#ecco il perché di tutti quei complimenti
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Nonostante mio cognato abbia una madre bella tosta pure lui, ha chiaramente ZERO esperienza con l'insistenza aggressiva con cui nostra madre cerca in ogni modo di infilarsi nelle nostre vite.
Io e Sorella ci siamo abituate, abbiamo aggiunto catenacci su catenacci ai portoni man mano che gli anni passavano. Sorvolare sulle cose o mentire è ormai parte del nostro sistema operativo. Non dire nulla di quando stiamo male è la base. O dei lavori che ancora dobbiamo fare in casa.
Ora, loro han quasi finito di mettere a posto la pizzeria. Mater, chiaramente, chiede regolarmente se c'è bisogno di aiuto per VUOLE essere utile (e siccome è in pensione, ha tutto il tempo del mondo ora per cercare di sentirsi utile).
So, gather around kids, perché ecco una lezione base di come rispondere alle suocere quando vogliono a tutti i costi aiutare ma tu non le vuoi tra i piedi.
Avete due modi di rispondere:
1: no grazie, ormai è tutto sotto controllo. Ora arriva l'elettricista e poi siamo quasi pronti a partire.
2: no grazie, è tutto sotto controllo, settimana prossima arriva l'elettricista e poi grandi pulizie finali. Magari verso l'inizio di ottobre.
Prendetevi due minuti per analizzarle e poi sceglietene una.
Fatto?
Se avete scelto la due, complimenti! Non avete offerto spiragli con cui infilarsi dentro la porta e tirato il primo catenaccio. Ora dovete solo continuate a dire che non avete bisogno, aggiungendo catenacci a ogni messaggio.
Se avete scelto la uno, SCIOCCHI! Quel "Magari verso l'inizio di ottobre" vale come un invito in piena regola. Ora il suo piede è infilato dentro la porta e non mollerà finché non manderete l'intero reparto d'assalto a casa sua per impedirle di partire (e mandate del supporto psicologico ai quei poveracci). Solo Gandalf, forse, può salvarvi ora.
Se poi la permanenza di suddetta suocera non sarà nemmeno a carico vostro, ma di vostra cognata, sappiate che ora sanno in due a rompervi le palle, perché la cognata ama i suoi spazi e la sua routine, che Mater scombussola già solo respirando e se voi le avete dato il permesso a venire, non è di certo lei, ora, che la può fermare.
Ah, e la vostra compagna avrà un diavolo per capello.
Salvate la salute mentale di tutti e reprimete le suocere.
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Quando, nel 2001, Erika e Omar uccisero la madre e il fratellino di lei a coltellate, l'Italia restò ovviamente attonita. Meno ovvia fu la reazione che seguì perché per mesi, forse addirittura per anni, adulti e giornalisti continuarono a domandarsi "Cosa sta accadendo ai nostri figli?".
A quei tempi avevo vent'anni e già da un po' di tempo mi ero accorta che il numero di omicidi di donne per mano di uomini stava aumentando. Non so se a quei tempi il ritmo era già come quello attuale, con una media di una donna uccisa ogni tre giorni ma che queste notizie passassero spesso al telegiornale era un dato di fatto. Eppure la società non si poneva la domanda "Cosa sta accadendo ai nostri uomini?" , troppo presa com'era dal chiedersi angosciata "Cosa accade ai nostri figli?" e "Cosa accade ai nostri giovani?" perché due adolescenti dicasi due avevano commesso una strage familiare che era sì terribile ma anche più unica che rara.
I giornalisti erano troppo impegnati a tendere agguati ai pochi casi di parricidio per dare rilievo a tutte quelle donne ammazzate per mano di un uomo. Occorsero anni prima che si cominciasse a notare il fenomeno, altri anni ancora prima che gli si desse il nome di femminicidio e solo recentemente qualcuno si azzarda a scrivere "Cosa sta accadendo ai nostri uomini?".
Scrivo questo perché l'omicidio di Giulia Cecchini per mano di Filippo Turetta mi ricorda il periodo di Erika e Omar. Opinionisti, giornalisti, terapeuti, filosofi, politici e quant'altro approfittano del fatto che Filippo ha 22 anni ed è un figlio per imbastire la loro lezioncina su "È colpa dell'educazione familiare", "La scuola ha fallito, "I giovani sono fragili", " I segnali che i genitori devono cogliere" e via cialtronando, come se il problema fossero i vent'anni di Filippo.
Cari signori e signore, e gli uomini che uccidono a 40, 50, 60, 70 anni e sono vostri coetanei? Cosa mi dite di loro? Anche loro (e voi), come sermona Crepet, appartengono ad una generazione a cui i genitori non dicevano mai di "no" e li giustificavano sempre? Anche loro (e voi, e noi) appartengono ad una generazione fragile? O forse è meglio smettere di parlare di problema generazionale per affrontare il problema sociale?
In questi giorni, le uniche parole sensate sono state quelle di Elena, la sorella di Giulia. E proprio per la lucidità e la determinazione con cui parla sta già raccogliendo tanti commenti di odio verso la sua persona. Non mi stupisce. Tutti bravi a condannare il femminicidio in sé ma ascoltare una ragazza di 24 anni spiegare chiaramente che l'omicidio è solo l'ultimo atto di una lunga catena di eventi e se davvero vogliamo porre termine a questa strage ogni singolo individuo deve assumere su di sé la responsabilità del cambiamento culturale, ecco che molti esponenti della classe dominante (o che ritengono di appartenervi) si sentono punti sul vivo.
Individui e giornali abituati a vivere di stereotipi e a respirare pregiudizi, adesso ci tengono a "mettere i puntini sulle i". Persone abituate a sentenziare "Gli zingari sono tutti ladri", "Le donne sono tutte troie", "Gli immigrati sono tutti stupratori" adesso se ne escono con piccati "Mica gli uomini sono tutti così!". Giornali abituati a pubblicare articoli dello stesso tenore, scontenti di vedersi di vedersi interrompere la narrazione del "raptus omicida", se la prendono col bersaglio sbagliato e titolano "Le femministe sono troppo aggressive" "Macché patriarcato! Smontato il copione della sinistra" e via sproloquiando.
E a proposito di "La colpa è dei ggggggiovani" ( influenzati dal cellulare/dai social/la musica trap/una roba qualsiasi a caso) titolone avvistato oggi "Il 40%dei delitti commesso da chi ha meno di 35 anni" il che vuol dire che ben il 60% è commesso da chi di anni ne ha più di 35. Complimenti per la zappata sui piedi.
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Storie iniziate male e finite peggio 5# Long version
Al liceo, come nelle migliori tradizioni adolescenziali, avevo fatto un patto con un mio amico. Se entro i 35 anni non avessimo trovato un compagno, ci saremmo sposati, convinti entrambi che a 35 anni da mo’ che ci saremmo sposati.
Ci siamo rivisti due settimane fa, complice un attico con affaccio sul mare e molta nostalgia dei tempi che furono. Bello era a scuola e bello è rimasto. Se possibile, ancora più bello. (NdA: mia madre me lo aveva detto dal quinto ginnasio che sarebbe diventato bellissimo, quando ancora non ci credeva nessuno e lui era un ragazzetto in sovrappeso.)
Lo aspetto, molto emozionata e ansiosa, sotto il portone per fargli strada e nel tragitto mi dice cose belle. Quanto sei cambiata, non ti avevo riconosciuto. Hai i capelli lunghi e di un solo colore. Ho sempre pensato che ti sarebbero stati bene. Sei quella che ha fatto il miglioramento più esaltante di tutte. Le altre sembrano già vecchie. Grazie davvero, faccio io mentre divento rossa,tu invece sei rimasto bello come ti ricordavo.
Andiamo su e gli faccio vedere subito la casa che avrebbe dovuto affittare. Usciamo sul terrazzo e, mentre beviamo una birra ricordando le stronzate della scuola, “Ti ricordi quando dicevamo di sposarci a 35 anni?” “Certo” “Ne abbiamo 37 Frà.” “Eh” “Forse dovremmo pensarci” “Beh non sarebbe male” “Già. Peccato che mi piace il cazzo” “Ah. Anche a me.”
Se mi avessero dato una stilettata al cuore non sarebbe uscita nemmeno una goccia di sangue ma ho ritrovato un vecchio amico a cui raccontare anche le cose becere. A luglio andremo al concerto di Lauryn Hill insieme e a settembre sarà il mio cavaliere a un matrimonio. ❤️
#storie iniziate male#finite peggio#anche se questa è una storia che non è iniziata affatto#vi assicuro che è di una bellezza imbarazzante#molto maschia#ma ci piace la stessa cosa#quindi niente#lauryn hill#voglio vederla da una vita#finalmente ci andrò con il mio marito di copertura#frociarola#ecco il perché di tutti quei complimenti
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Sono italiana, e sono sempre stata fiera di esserlo. Credevo di essere nata in un paese libero,sotto un governo che definiscono "Repubblica Democratica". Col tempo ho capito che di democratico in questo paese non c'è niente, se non il nome. E quello che fa più male è vedere gente disinteressata, gente che si fa plagiare, gente che ancora ascolta e crede alle notizie riportate dai telegiornali. Fa male vedere una popolazione ormai divisa, una rivolta sileziosa. Gestori di locali che non fanno entrare persone non munite di Green Pass, università che rifiutano studenti non muniti di Green Pass. Ma qualcuno di voi sa spiegarmi cosa sia questo Green pass? Sapete spiegarmi come mai in Italia ci sono problemi ben più gravi del covid, problemi dei quali fa scomodo parlare e quindi si lasciano lì nell'angolino, aspettando che si risolvano da soli? Vogliamo parlare dei rifiuti tossici sui quali viviamo? Vogliamo parlare dei bambini che nascono con malformazioni o tumori? No, di questi argomenti il telegiornale non ne parla. Meglio parlare del covid19, o meglio ancora del Green Pass. Informatevi gente, aprite gli occhi. Il covid ha fatto lo stesso numero di morti, se non minore dell'influenza stagionale. Vogliamo parlare dei medici, esperti, virologi che espongono la propria idea su canali scagati o alle ore più buie della notte? No, perché quei medici nessuno li ascolta. Ed intanto in tv, continuano ad intervistare sempre le stesse persone, come fossero gli unici a capire tutto. Avete ascoltato tutti il discorso del presidente Draghi "se non ti vaccini muori, se non ti vaccini muore chi ti sta accanto" ecco, questo si chiama TERRORE PUBBLICO. Ora ditemi, come mai persone normali che espongono la propria idea nichilista vengono multati, incarcerati, e al nostro caro presidente non è successo nulla? Anzi, milioni di applausi.
Rileggete le vecchie pagine di storia, rileggete come Mussolini ha preso il potere. Ma lì parliamo di fascismo, avete ragione. Ma siete sicuri che non sia la stessa cosa?
Dittatura : " Convenzionalmente, la situazione data dall'accentramento, in via straordinaria e temporanea, di tutti i poteri in un solo organo, monocratico o collegiale."
E cosa sta succedendo in Italia? Riflettete gente, riflettete prima che sia troppo tardi.
Gestori di locali, i quali non sono mai stati aiutati dallo stato, mai. Sommersi da tasse, iva e pensioni minime. E ora? Credete davvero lo stato voglia aiutarvi con l'istituzione del Green Pass? Non lo capite che a perdere siete e sarete nuovamente voi? Siete stati aiutati durante il lockdown? I 600€ vi sono bastati per pagare affitti, bollette, spese, personale e per sopravvivere? Beh se è così, complimenti. Che poi questo certificato verde una volta ha validità sei mesi, poi nove, ora un anno, wow un'immunità record! Eppure si può contagiare e ci si può ammalare, e si può morire, perché è successo, bel controsenso.
Siamo diventati un paese marcio. Il paese dell'omertà, dove tutto è è possibile. Un paese che di democratico non ha nemmeno più la dicitura. Davvero credete che il green pass possa migliorare la situazione attuale? E allora ditemi, come mai in giro ci sono così tante varianti? Cari virologi, a cosa sono dovute le varianti? Ai non vaccinati? E qui casca l'asino. Informatevi prima di parlare, informatevi prima di sottomettervi, che liberi si nasce, non si diventa con un foglietto verde.
La libertà è un bene comune fondamentale e ce la stanno togliendo pian piano, perché se tu vuoi vaccinarti ed io no, fallo, ma perché devi obbligare anche me? Anzi ricattare, ecco la giusta accezione. O almeno tu Stato, se credi così tanto nel vaccino, imponi l'obbligo vaccinale e prenditene le conseguenze, e invece no. Le conseguenze a carico del cittadino.
Si parla tanto dei "no vax" definiti da tanti ignoranti, complottisti, quando in realtà la stessa accezione è stata data da qualcun altro. Un no vax è una persona contro un qualsiasi vaccino, non contro una cura sperimentale. E non tutti i no vax pensano al 5G, ai chip iniettati, però ovviamente in televisione, la gente che ha un minimo di cervello, non viene intervistata e vi fanno vedere una parte minima del tutto, ovviamente la peggiore.
Investite soldi per le strutture ospedaliere, che ritrovarci in questa condizioni nel 2021,è una vergogna. Sono stati chiusi ottimi ospedali, strutture abbandonate a loro stesse, senza manutenzione né nulla.
Investite soldi per la manutenzione, che l'Italia è il paese della tragedia, perché "erano necessari troppi soldi per fare manutenzione, tanto non succederà mai una tragedia" e cadono ponti, e cadono scuole, e cadono funivie e muoiono persone.
Investite soldi verso le imprese, che facciano lavorare i giovani, che un ragazzo è chiaro preferisca il reddito di cittadinanza a lavorare 7/8 ore al giorno per 500€ al mese, no?
E poi si parla di fuga di cervelli, ma nessuno si chiede mai il motivo. Perché in Italia non si può più vivere, questa è la verità. Ed io me ne andrò da questo paese, lascerò il buon cibo, la mia casa, il mio mare e le mie montagne, ma almeno vivrò libera, libera e lontana da tutto questo schifo.
#io#pensieri#riflettete gente#leggetelo tutto#vaffanculo#green pass#obbligo vaccinale#no vax#che schifo#italia
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Lavorare nelle crociere è molto difficile, non è un bell'ambiente. Oltre a scendere poco a terra, il personale non ha grandi momenti di svago e riposo, e ha molta pressione perché tutto deve essere perfetto ed uguale, sera dopo sera. C'è molto stress e non un buon rapporto con i colleghi - salvo eccezioni. Qualche decennio fa la paga valeva la pena, adesso non molto. Un mio conoscente ha lavorato nelle cucine di Costa Crociere, ed era un ciclo continuo di produzione, finito di lavorare andava in cabina a dormire e poi di nuovo in cucina. Così fino alla fine del periodo.
Ecco, e non era una cosa che non si notava. Le cucine a buffet sono un ciclo continuo di produzione che, se da lato mio, mi ha fatto quasi venire lo schifo di mangiare (e chi mi conosce sa che io di mangiare veramente non smetterei mai), dall'altro lato mi è passato per la camera del cervello di quei poveri cristi che, finita di pulire (con che minuzia, con che accuratezza e precisione, manco ve lo sto a dire) la cucina dopo pranzo, dovevano cominciare a preparare la "merenda" (che a parer mio non era proprio necessaria, dato che a pranzo finisci sempre per riempirti).
Ma pure lasciando stare la cucina, ogni cosa è appositamente fatta per farti sentire letteralmente viziato (che tradotto per la gente comune è "coccolare"), ma a me ha dato tutto molto fastidio, perché letteralmente era come vivere in una reggia con la tua mandria di servitù al seguito. Tutti come pezzi di un enorme ingranaggio, quasi automi.
Forse si salvano solo un po' gli animatori (ma anche lì, chissà cosa c'è dietro a parte la paga misera con la scusa della gratuità di vitto e alloggio).
Detto questo, pensiamo alle parole del grandissimo Alessandro Borghese che ha affermato:"I giovani di oggi sono viziati e non vogliono lavorare" perchè lui ha cucinato su una nave da crociera gratuitamente considerandolo "un investimento per il futuro". Gran bello investimento del cazzo da consigliare.
Comunque fai i complimenti al tuo amico per la pazienza e pure per la cucina perché i piatti che ho mangiato sono stati tutti da 10+++++ porca zozza.
#ovviamente pensate che i parenti non mi abbiano chiesto di andare a lavorare lì con le lingue che so?#e ovviamente pensate che non abbia pensato che lavoro di merda sarebbe?#tra l'altro ho avuto pure una collega al lavoro che prima era stata con costa e non ne aveva parlato benissimo#Quindi vabbè tutto molto bello#Esisterà un ambiente lavorativo sano e piacevole in questo mondo capitalista di merda?#Detto questo io a fare una crociera MAI PIÙ NELLA MIA VITA.#Anon#Ask
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CURE DOMICILIARI: LE ISTITUZIONI CHIUDONO UN OCCHIO, ANZI DUE
Lo stato che fa? Si costerna, s'indigna, s'impegna poi getta la spugna con gran dignità. Così cantava De André nella famosa canzone “Don Raffaé”.
L’impegno delle istituzioni per contrastare le bufale sul Covid è pari a zero. Sembra proprio che questo compito sia stato lasciato a pochi eroici divulgatori (dei quali non mi vanto di fare parte per la mia irrilevanza sia chiaro) e a qualche giornalista di buona volontà.
Lo stato è terzo, un po’ come le erano tradizionalmente coloro che non appartenevano organicamente alla mafia ma che si guardavano bene dal combatterla pur rivestendo cariche pubbliche rilevanti. Anzi a volte lo stato è addirittura complice.
Siamo così abituati al fatto che le istituzioni siano codardamente silenziose che abbiamo osannato il presidente Mario Draghi solo per aver detto chiaramente che bisognava vaccinarsi, neanche avesse fatto il discorso più mirabile degli ultimi 50 anni. Abbiamo vissuto quelle parole, di per sé doverose e banali, come un atto di coraggio straordinario, una liberazione collettiva. E invece non era neanche il minimo sindacale.
È uno dei motivi per cui ho attribuito al ministro Roberto Speranza l’immaginario premio di miglior ministro non protagonista. Il punto è: egli non dovrebbe sentire, dato il suo ruolo, una sacra responsabilità comunicativa prima ancora di quella tecnico-operativa? Il paese si divide sulla cura De Donno? Le persone sono confuse perché un signor nessuno giura che in Giappone hanno risolto ogni problema con il famigerato Avigan? I giornali parlano di magici integratori? Dei cialtroni dicono che ci sono pezzi di feti nei vaccini? Personaggi ridicoli affermano che i tamponi non funzionano perché rilevano la positività anche nella frutta? Alcuni medici continuano a sconsigliare fortemente i vaccini in gravidanza o a chi prende la pillola? Allo stato non gliene può fregare di meno. Nessuno si pone il problema di fare chiarezza per il bene dei cittadini. In pratica le istituzioni hanno definitivamente deciso di lasciare la comunicazione ai talk show. Non mi pare una grande idea.
E poi ci sono i cittadini “furbi” che vanno ai centri vaccinali con i loro avvocati che mettono in difficoltà i poveri medici (che sono medici non giuristi), lo stato vuole dare indicazioni su come comportarsi? Sarei stanco di vedere questi avvocati cialtroni che si vantano sui social di aver impaurito una povera infermiera citando ad cazzum leggi e regolamenti di cui la malcapitata non può avere contezza. L’ordine degli avvocati fa finta di non vedere?
Data l’emergenza che stiamo vivendo ecco cosa dovrebbe succedere in uno stato minimamente serio e con politici che abbiano un grammo di personalità e coraggio: periodicamente il ministro della salute, un suo delegato o addirittura il presidente del consiglio (opportunamente istruiti) dovrebbero comunicare in solenni conferenze stampa ai cittadini le evidenze scientifiche su tutte le bufale, le dicerie, le notizie, le nuove questioni che possono impattare sui comportamenti delle persone. Lo dovrebbero fare portando tutto il peso e la credibilità delle istituzioni. Degli inutili messaggi a reti unificate a Natale e a capodanno onestamente potrei anche fare a meno. Non è il momento di essere codardi e avere paura di scontentare qualcuno.
In particolare la vicenda delle cure domiciliari precoci ha qualcosa di surreale. È sotto gli occhi di tutti che una moltitudine di medici sta prescrivendo, senza alcuna visita, a pazienti completamente sconosciuti, protocolli semi-misteriosi che non sono stati validati dalla comunità scientifica e dalle istituzioni preposte. Anzi per molti di quei farmaci/integratori è già stata sancita l’inefficacia, la pericolosità o l’inadeguatezza nelle fasi precoci da montagne di studi scientifici. Mentre, per esempio, la FDA americana si preoccupa di fare campagne per mettere in guardia dall’uso e l’abuso di Invermectina, da noi tutto tace. Non è un tema che a quanto pare interessi le istituzioni.
Alcune regioni addirittura suggeriscono ai medici di medicina generale di implementare questi fantomatici protocolli (vedi Sardegna e Piemonte) per dimostrarsi vicini ai cittadini e attenti alle loro esigenze, suscitando il giusto sconcerto dei medici seri che si sentono colpiti alle spalle dal “fuoco amico”. Il ministero della salute ha qualcosa da dire? Il governo se ne lava le mani? I leader politici che si vantano di essere pro scienza tacciono per non indispettire nessuno? I tweet li usano solo per promettere millemila miliardi per la transizione ecologica o per fare i complimenti alla nazionale italiana?
E l’ordine? Anzi, gli ordini dei medici che ci stanno a fare? Chi diavolo si preoccupa di fornite delucidazioni ai cittadini? Immagino avrete visto tutti la famosa (oserei dire fantasiosa) prescrizione fatta dal medico odontoiatra Andrea Stramezzi, ex membro del Comitato terapie domiciliari Covid 19 (dell’avvocato Erich Grimaldi) e attualmente membro del comitato scientifico dell’altra grande associazione di cure domiciliari, Ippocrate. org. La vera e propria barzelletta è che il dott. Stramezzi ha accusato il giornalista Gerardo D'Amico di essersi spacciato per una certa Alberta Trocino malata di Covid per ottenere la ricetta. Stramezzi tagga anche il ministero della salute a dimostrazione del fatto che questi personaggi sono certi di godere della più totale impunità, lo sanno benissimo che le istituzioni se ne lavano le mani. Pronto? Ordine dei medici di Milano (OMCeO Milano) ci sei? Un medico raccoglie fondi per non meglio precisati scopi, fa propaganda contro i vaccini, dichiara di essere in possesso della cura per il Covid, ammette pubblicamente di aver prescritto una montagna di farmaci ad una paziente sconosciuta che non ha neanche visto in faccia… cosa bisogna fare per essere attenzionati? Bisogna strangolare un bambino? Facciamo finta che sia un caso isolato? Qualcuno ai vari livelli delle istituzioni ha intenzione di prendere pubblicamente una posizione di fronte ai cittadini confusi?
Sembra di no, nel paese della cura Di Bella e del caso Stamina le istituzioni sono terze, stanno a guardare e a volte si rendono addirittura complici dell’anti scienza. Non sia mai che ci si faccia dei nemici. - Elio Truzzolillo
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No, il catcalling non è affatto un complimento Di Selvaggia Lucarelli Sono nata e cresciuta in un posto in mezzo alla campagna che si chiama Borgata Aurelia. Un piccolo villaggio – all’epoca erano poche case di tufo – a qualche chilometro da Civitavecchia, in cui c’erano tre cose: una piazzetta con un bar, una tabaccaio e delle aiuole di cemento, un grande arco all’ingresso nel villaggio, un campo da calcio sgangherato e una caserma. La caserma 1° Battaglione Bersaglieri La Marmora Civitavecchia. Per me la presenza della caserma a 100 metri da casa, significava molte cose: intanto, la mia sveglia della mattina tutti i giorni alle 7,10 in punto era la fanfara. Una marcetta allegra, troppo allegra per quell’ora, che mi costringeva a un risveglio senza decompressione. La sentivo, e sapevo che era ora di prepararmi per la scuola. Ingrid, la mia vicina di casa e migliore amica, era figlia del maresciallo più noto (e temuto) in caserma. Ogni tanto lo vedevo rientrare a casa, mentre giocavamo, col suo cappello piumato, e mi sembrava una specie di eroe severo e impenetrabile. E poi c’erano, appunto, i militari (quando il servizio militare era obbligatorio). Arrivavano da tutte le regioni d’Italia, in particolare dalla Sicilia e dalla Sardegna, ma non solo. Erano, ovviamente, ragazzi molto giovani che un po’ come me, diventata ormai adolescente, godevano di una libera uscita con poche possibilità: al massimo, una passeggiata in piazza o un bus per Civitavecchia. Le nostre vite, dunque, si incrociavano quasi tutti i giorni, più volte al giorno, anche perché la fermata del bus più vicina alla caserma era esattamente di fronte casa mia, che era la prima a destra entrando dall’arco. Parto da qui, per spiegare cosa sia il catcalling, perché quella fermata, quel bus, quella caserma sono stati passaggi indimenticabili dell’adolescenza. Perché non ricordo il singolo episodio (che già comunque sarebbe abbastanza), ma quel disagio costante e imbarazzato nel trovarmi al centro di sguardi, gomitate, battute (spesso in dialetto) che non capivo o, purtroppo, capivo. É stato il mio imprinting col branco, con il cameratismo volgare, con le attenzioni maschili. Ero una ragazzina rimasta più o meno invisibile fino alle medie, poi diventata improvvisamente florida e appariscente intorno ai 14 anni. Quelli in cui cominciavo a prendere il bus per uscire con gli amici, con i primi amori. Quelli in cui mettevo le prime gonne, un po’ di trucco. Quelli in cui mi vestivo, anche, per piacere al ragazzino che piaceva a me. Io quei viaggi in bus o anche la semplice camminata verso la piazza per andare a comprare un gelato o la farina a mia mamma me li ricordo bene. Ricordo la vergogna nel sentire ridacchiare quei ragazzi al mio passaggio, le parole fuori posto, gli inseguimenti, le battute sulle tette, i “sei carina” viscidi, quelli che mi venivano vicino chiedendomi come mi chiamavo e talvolta gli insulti perché non rispondevo. Ricordo le guance che mi si infiammavano, io che guardavo dritta davanti a me fingendo che quei ragazzi non esistessero, che fossero dei fantasmi, delle voci nelle orecchie. Il sollievo quando mi mollavano e li sentivo allontanarsi, il sollievo quando magari mi passavano accanto e non dicevano nulla, il sollievo quando uno di loro diceva: lasciala stare. Ricordo che alle volte guardavo dal terrazzo di casa se fosse il momento buono per uscire, se la strada fosse libera o ci fossero gruppi di ragazzi. Se ne scorgevo qualcuno prendevo la strada laterale, allungavo il percorso ma ero certa che nessuno mi avrebbe notata. Alle volte, quando il bus si avvicinava alla mia fermata e vedevo che tanti, troppi ragazzi erano già saliti in piazza, rinunciavo. Tornavo a casa. Salire su un bus con 30 sconosciuti uomini mi provocava un’ansia insostenibile. Non c’erano neppure i cellulari, neppure la possibilità di fingere di non vedere o sentire, di chiamare qualcuno, di isolarsi dalle attenzioni moleste. Il periodo estivo poi, prendevo il bus per andare al mare, quindi pochi vestiti e il costume sotto, un inferno. Mi vergognavo, tantissimo. E questo, qui sta il nodo fondamentale, nonostante io all’epoca fossi entusiasta di piacere ai ragazzi. Era una sensazione nuova, che mi faceva sentire apprezzata e importante. Peccato che quella sensazione non avesse nulla a che fare con ciò che provavo sul bus o per strada quando ricevevo attenzioni feroci, invasive e mortificanti. Non mi sentivo apprezzata, ma aggredita. Sentivo che la mia femminilità provocava reazioni morbose, che il mio spazio non era più mio. Ecco, se dovessi spiegare il catcalling ai tanti analfabeti emotivi (e alle tante analfabete emotive) che ho sentito parlare a sproposito in questi giorni, direi che chi fa catcalling non fa un complimento. Occupa uno spazio non suo. Si appropria di una familiarità che non gli è stata concessa, annulla le giuste distanze, commenta ad alta voce ciò che pensa di una sconosciuta che gli passa accanto perché quella sconosciuta in quel momento è un semplice oggetto. Nessuno, di norma, commenta ad alta voce il suo pensiero su qualunque essere umano gli passi accanto. Si commentano le cose – una macchina, un paesaggio, la facciata di un palazzo, le vetrine di un negozio – non le persone e non in modo che possano sentire. Il discorso vale per tutti tranne che per le donne, costrette a subire attenzioni e commenti non richiesti, non desiderati perché, appunto, in quel momento sono oggetti. Oggetti sessuali. Chi parla di “complimenti” salta un passaggio fondamentale. Il complimento è una parola gentile, detta in un’atmosfera di momentanea o prolungata familiarità, in cui esistono scambio e reciprocità. Il complimento non è tale se prevede invasioni e l’abbattimento, a senso unico, delle distanze. E le distanze sono un diritto, sanciscono il grado di confidenza e lo spazio che intendiamo concedere all’altro. Il fatto che le donne, purtroppo, fatichino spesso anche ad ottenere un diritto così elementare, dovrebbe essere oggetto di indignazione, non di minimizzazione. E passino le battute idiote di Pio e Amedeo (“Cioè, ‘che bel vestito a fiorellini, ce lo aggiungiamo il gambo?’ non si può più dire?’) o le idiozie del Faina, ma che tante persone dotate di strumenti e perfino tante donne non comprendano quanto un fischio o una qualsiasi attenzione non richiesta siano lontani dal concetto di complimento è disarmante. Disarmante soprattutto perché il commento indesiderato è considerato gradito e legittimo se la donna lo subisce da sola. Se la donna è in compagnia di marito o fidanzato, l’apologeta del catcalling, probabilmente ringrazia l’artefice del fischio con una manata in faccia. Perché sia chiaro: in un modo o in un altro, la donna resta sempre un oggetto. Del marito, del fidanzato o, in assenza del maschio alfa accanto, del maschio dotato di fischio polifonico.
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Prima di andare via, volevo dirti una cosa. Ecco, volevo... lasciarti le istruzioni, i consigli per essere felice.
Riguardano la donna che amerai dopo di me.
Sceglila completamente diversa. Scegline una che non si imbarazza ai complimenti. E non dirle le solite cose, “sei bella”, “hai un sorriso fantastico”, “che occhi meravigliosi”. Dille che ami il suo modo di pensare. Dille che il suo passato l'ha resa fantastica. Dille che i suoi capelli riflettono la luce del sole e i suoi occhi la luminosità delle stelle. Dille che adori le sue opinioni su qualsiasi cosa, che grazie a lei vedi tutto da una nuova prospettiva. Dille che sei orgoglioso di lei.
Ti prego, scegline una che legge, ma non come me, ok? Non una che non riesce a stare senza un libro in borsa, che odia i rumori forti. Scegline una che non si nega un giro in libreria, ma che non si preoccupa per una serata in un locale con i tacchi alti e il trucco pesante. Scegline una sicura di sé, una che non diventa triste se le neghi una parola d'amore.
Scegline una che ti dice quello che non funziona tra di voi. In questo davvero sono categorica: scegline una così. Lo sai quanto era difficile, con me. Che non volevo farti stare male e allora tenevo i nostri problemi per me e tu mi chiedevi cosa non andasse e io mi arrabbiavo e ti punivo con i miei silenzi e con le mie lacrime.
Scegline una che non ti ricordi mai me, neanche per un istante. Ti prego, scegline una che non ti faccia ripensare mai a noi e ai nostri sbagli, ai nostri abbracci sempre troppo stretti, ai nostri baci sempre troppo bisognosi, alle cene bruciate e ai pranzi saltati perché troppo impegnati a fare l'amore.
Scegline una che ti ami e amala. Ti prego, amala come non sei riuscito ad amare me. Per favore.
Portale dei fiori, apri la portiera della macchina, offri una cena. Portala al mare, alle mostre, a vedere le stelle, portala in qualsiasi posto voglia andare e falle delle foto. Fotografala, per favore, mentre si pettina, mentre si mette le scarpe, mentre cucina, mentre si veste; fotografala quando la mattina è in disordine con il pigiama e gli occhi assonnati, quando si mette il rossetto, quando sorride. Abbracciala quando la senti distante, non lasciarla da sola in quei momenti, a lei basta un tuo abbraccio per sapere che ci sei.
Tienila stretta a te dopo aver fatto l'amore, non dare mai per scontata la sua presenza. Falle delle sorprese. Vai a prenderla al lavoro, dille che la ami, aiutala a realizzare i suoi sogni, lei ti permetterà di farne parte. Ti prego, donale tutto l'amore che non hai dato a me. Rendila felice. Asciugale le lacrime e non permettere mai che pianga per te. Cerca di essere in tutti i suoi sorrisi. Amala tutti i giorni, a tutte le ore, amala sapendo che se non lo facessi potresti perderla, amala sentendoti male al pensiero di perderla.
Amala come non hai amato me. Non fare con lei gli stessi sbagli, ti prego.
Non lasciarla andare via.
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Pioggia
Ciao, sono Annalisa, oggi sono stata molto fortunata. Può essere lo sia in assoluto. Ma un’ora fa, se qualcuno me l’avesse detto, gli avrei menato. Sto parlando di una cosa di cui magari a voi non frega un cazzo, ma a me sì. E’ stato quando la prof mi ha vista e mi ha detto “Ah, ma se c’è anche lei facciamo tutto stasera”. Le ho risposto che sì, insomma, a dire il vero l’esame era previsto per il pomeriggio successivo, io ero solamente venuta a vedere... Però quando una che ha assoluto potere su di te ti risponde “ma non è detto che domani sera sarà più facile” che fai? Che le dici? Io ho detto “va bene”, avrei voluto vedere voi. Anche se tra me e me pensavo “ma guarda tu sta fija de ‘na mignotta, stai a vedè che per questo esame del cazzo mi rovino la media...”.
E invece no, è andata benissimo. Mi ha pure fatto i complimenti, mi ha detto “signorina, ce ne fossero come lei...”. E’ una un po’ fissata con il fatto che le donne sono sempre state discriminate a proposito di matematica. Mi è pure sempre stata simpatica anche se, appunto, la materia è un po’ del cazzo. Ma in quel momento l’avrei strozzata.
Comunque ci siamo rivisti tutti al bar, dopo l’esame. Eravamo in sei, eh? Non è che a matematica ci siano tutte ste frotte di gente agli appelli. Anche i miei compagni, quando hanno saputo l’esito, si sono affrettati a sottolineare “ma che culo, Annalì”. Non nel senso in cui in genere me lo dicono. Intendevano proprio la fortuna. Ahò, ma che cazzo volete? Si vede che avevo studiato.
Già mi pregustavo i complimenti al mio ritorno a casa, avevo in mano le chiavi della macchina. L’unico vero vantaggio di fare un esame a quest’ora del pomeriggio, per la verità si erano fatte le sette, in questa villa fuori dalla città universitaria, è che si trova parcheggio abbastanza facilmente. E della macchina, oggi, ne avevo proprio bisogno. Perché sono tre giorni che piove a dirotto. Ma forte, eh? E non smette mai. Al massimo rallenta un po’ e poi ricomincia.
A me non è che la pioggia dia fastidio, anche se la gente comincia già a rompere i coglioni dicendo che un tempo così non c’è mai stato. Ora, a parte il fatto che non è vero, di che cazzo vi stupite? Siamo agli inizi di dicembre, è autunno, piove! Fa il dovere suo. E quando fa 27 gradi a Natale che vi dovete preoccupare.
Anyway, stavo per salutare e andare via quando a qualcuno è venuta la bella idea di festeggiare a cena. Declinare mi è stato praticamente impossibile, perché sono partiti una serie di appelli molto gentili, del tipo “dai, Annalì, non fare la stronza come al solito” che non me la sono sentita di rifiutare. E’ stata Elena a convincermi. Non tanto per il suo “viene pure Gilberto”, che io ho registrato mentalmente con un sarcastico “ah beh, allora...”, quanto perché ha detto “viene pure Gilberto e offre lui”. Ok, già va meglio. Sto Gilberto è il suo ragazzo ed è impaccato di soldi, suo padre gli ha comprato – non affittato, comprato – una casa dalle parti del Colosseo dove vivono insieme. Voglio dire, io con Gilberto non ci vivrei mai, ma se a lei piace... No, ok, esagero. Sono carini. Una volta mi hanno invitata a una festa da loro ed è lì che ho conosciuto le mie amiche Serena e Giovanna. Almeno questo glielo riconosco, glielo devo. E poi non è che i miei compagni mi stanno sul cazzo. Sono bravi ragazzi. Non li trovo interessanti, d’accordo, ma per una sera...
L’unico dubbio mi viene al momento in cui mi annunciano la destinazione: “Da Eataly? Cazzo, ma è dall’altra parte della città, con questa pioggia ci sarà un traffico terrificante, non si può fare altrove? Più vicino?”. No, non si può fare, hanno tutti voglia di andare da Eataly. Mi carico in macchina Elena e partiamo. Durante il viaggio si parla del più e del meno. Si vede che lei è molto compresa nel suo ruolo di ragazza-fuorisede-che-convive-con-il-suo-ragazzo-fuorisede e che le piace molto giocare all’adulta. A me pare molto buffa, ma non gliene voglio, anche se quando mi domanda “ma tu ce l’hai il ragazzo, Annalisa?” a me sembra che voglia più che altro sottolineare la nostra differenza di status. Ma forse mi sbaglio.
No. No, non ce l’ho il ragazzo. Sì, è vero, sarebbe carino avercelo, ma finora non ho trovato nessuno che.. e poi preferisco pensare solo a studiare, ci tengo molto a finire il prima possibile. Sì, ok, d’accordo, ma come mai, tu così carina, eh lo so ma che ci vuoi fare, ogni tanto qualcuno che sembra interessante lo trovo ma poi... sai com’è, vogliono solo quello. Frasi così, chiacchiere sconclusionate che per fortuna si fermano sempre abbondantemente prima di toccare argomenti più scabrosi. Elena non è il tipo da chiederlo e io certo non mi sogno di rivelarle che razza di troia stia in questo momento al volante, figuriamoci.
Il problema è che, mentre parliamo, all’argomento “ragazzo” inizio a pensarci io, in piena autonomia, tra me e me. E non mi ci vuole poi molto per fare l’upgrade “ragazzo-sesso”. Anche perché son quasi due mesi che non faccio nulla, ma proprio nulla a parte le (poche) avventure in solitario nel mio letto.
L’ultima volta è stato con Fabrizio, il più classico degli scopa-amici. L’avevo cercato dopo due esperienze che mi avevano lasciata, per usare un eufemismo, parecchio turbata.
Essere stata beccata a scoparmi uno dentro casa sua dalla moglie, essere stata menata e buttata fuori di casa nuda sul pianerottolo, sempre dalla suddetta moglie, già mi aveva scossa e non poco. Trovarmi un paio di giorni dopo a essere aggredita insieme alla mia amica Serena dentro la Rinascente da un pazzo omofobo era stata la ciliegina sula torta.
Ero stata io a cercare Fabrizio, a chiedergli se quella sera fosse libero. Senza ipocrisie, tra noi non ce n’è bisogno. Mentre ero a gambe aperte sotto di lui, mi aveva detto “ma quanto sei troia stasera? sei già venuta sei volte”. Appena finito di dirmelo è arrivata la settima. Io lo adoro, Fabrizio. E non solo perché mi scopa benissimo, ma anche per questi particolari. Perché tiene il conto dei miei orgasmi e perché mi chiama troia come un altro in quei momenti mi chiamerebbe amore mio. Io, troia, lo preferisco. Anche perché nessuno mi ha mai detto amore mio. Sì, oddio, quando ero al liceo ogni tanto c’era qualcuno che lo faceva. Di solito dopo che gli avevo fatto un pompino, a volte anche prima. C’è sempre qualcuno che si innamora o pensa di farlo.
Ma la verità è che quella sera non ero andata da lui perché volessi farmi chiamare troia. E nemmeno perché avessi voglia solo di essere scopata. In realtà avevo voglia di essere scopata prima e abbracciata dopo. Coccolata. Che avete da guardarmi in quel modo? Anche a me piace essere coccolata, sapete? E che cazzo...
Comunque, l’ultima volta è stata quella, quasi due mesi fa. Poi Fabrizio è partito. Lui lavora in uno studio di progettazione, è ingegnere idraulico o qualcosa del genere. Arabia Saudita, fino a Natale. In realtà, mi ha spiegato, va più che altro a fare il garzone di bottega, altro che ingegnere. Ma pare che sia la prassi. Ci sono rimasta talmente male a sapere che partiva che gli ho estorto – sì, io, proprio io – un appuntamento per il suo ritorno. In quel momento non avrei proprio voluto che se ne andasse, e fargli promettere che ci saremmo rivisti al suo ritorno mi era sembrato l’unico modo per lenire il dispiacere.
Così mi sono buttata sulle lezioni, su questo cazzo di esame a dire il vero molto facile, sono stata molte sere a casa, ho visto le mie amiche. Anche Serena, naturalmente. Con la quale però non c’è stato più nulla, da quel punto di vista. Ho fatto la brava, insomma, la bravissima. E volete sapere una cosa? Non ho nemmeno avuto bisogno di sforzarmi tanto. Ecco.
Solo che, adesso che sto in macchina con Elena e lei mi chiede come mai una come me non abbia un fidanzato che-a-te-i-ragazzi-dovrebbero-correrti-dietro-mamma-mia, penso in effetti quasi due mesi senza combinare nulla di nulla mi sembrano un periodo piuttosto lungo. Tanto lungo da pensare che forse vale la pena di aspettare qualche giorno e raggiungere i due mesi tondi tondi e intanto fare qualche calcolo per cercare di stabilire se sia o meno un record.
E invece no, un attimo dopo penso che ho voglia, anche se non so esattamente di cosa. Un attimo dopo ancora capisco di cosa ho voglia: ho voglia di farmi riempire la bocca. Sì, un pompino. Di quelli nemmeno troppo delicati. Odore, sapore e dominio incontrastato di un cazzo nella mia bocca. Anzi no, nemmeno questo a dire il vero. Sì, ok, lo so che vi do ai nervi, ma aspettate un momento, cavolo, sto mettendo a fuoco! Un pompino ok, brutale ok. Ma in realtà, quello che voglio è bere. Bere sperma. Ecco. Sì è questo. Ho una formidabile voglia di ingoiare sperma, in questo momento. Anche se so perfettamente che, vista la compagnia, si tratta di una voglia che di sicuro non esaudirò stasera.
Non lo so, sono confusa. A tutto pensavo tranne che a questo, quando sono uscita di casa.
- Cosa stai pensando? – mi domanda Elena. Non so nemmeno da quanto tempo la ascolto senza sentire quello che dice.
- Scusa – le rispondo – stavo pensando che per festeggiare stasera vorrei bere qualcosa di speciale.
- Per ora c’è solo acqua – commenta lei. La pioggia batte fortissimo, di là dal vetro faccio fatica a vedere le macchine davanti.
Il “qualcosa di speciale” è alla fine una birra artigianale, anzi due. Ma per il resto non è che la serata sia il massimo della convivialità. Mangiare, si mangia bene, eh? Non fantastico, ma si mangia bene. Però, un po’ perché i miei amici non sono proprio una banda di allegroni, un po’ perché non ci fanno nemmeno accostare i tavolini, la serata è davvero moscia. La mia proposta di vendicarci dei camerieri parlando ad alta voce da un tavolo all’altro e tirandoci le molliche di pane viene, tra l’altro, bocciata. Ho di fronte a me un tipo, Enrico, che d’ora in poi chiamerò “Harry tre parole”, perché in tutta la cena avrà spiccicato tre parole, appunto. Vi lascio immaginare i discorsi e il divertimento. Mi annoio come in una serata passata davanti alla tv a guardare la De Filippi.
Fortunatamente agli altri tavoli c’è un po’ di turn over, così almeno posso distrarmi con la gente che va e viene. Proprio davanti a me, due postazioni più in là, a un certo punto arrivano due coppie. Non li osservo uno per uno, almeno all’inizio, mi mantengo su una visione complessiva del quartetto, per così dire. Solo che quello che sta proprio di fronte a me, a meno di una decina di metri, mentre si siede mi fissa. E mentre mi fissa viene anche a me da fissarlo. Per reazione, più che altro. Non so dire bene che età abbia, intorno ai trentacinque, direi. Ma è davvero difficile, non ci scommetterei. Sono tutti e quattro vestiti molto casual, con jeans e maglioni. Come me del resto. Qualche secondo dopo volto lo sguardo e vedo che mi sta riservando un’occhiata clandestina, poi si sporge un po’ in avanti per dire qualcosa a quella che presumo sia la sua ragazza e finisce sotto la luce della lampada. Non è per niente male. Che sia alto, asciutto e con le spalle larghe me ne ero accorta prima. Ora posso vedere meglio e suoi riccetti corti e castano-chiari, gli occhi azzurri. E, soprattutto, un sorriso da canaglia.
“Mica male”, penso rimanendo un po’ imbambolata. Lui muove ancora una volta gli occhi nella mia direzione e si accorge che lo sto osservando. Ricambia. Ehi, ma tu sei un uomo, io sono solo una ragazzina. Te ne dovresti accorgere dai miei occhioni spalancati e dal ditino che porto alle mie labbra fingendo di mordermi un’unghia nervosamente. Una ragazzina un po’ impertinente, d’accordo, visto che col cazzo che abbasso lo sguardo, aspetto che sia tu a farlo. Del resto, è uno dei miei giochi preferiti prendere in castagna uomini più grandi di me che mi lanciano occhiate eloquenti di nascosto dalle loro compagne. Mi diverte da matti.
Tra una chiacchiera e l’altra con le nostre rispettive compagnie il gioco di occhiate va però avanti più del solito. Così decido di giocare un po’ più pesante. Mi alzo e vado verso la cassa a pagare la terza Menabrea, accentuando impercettibilmente il mio naturale sculettamento. Credo che le forme del mio sedere e i jeans stretti facciano il resto. Quando torno a voltarmi verso di lui avanzo bevendo direttamente dalla bottiglia, fissandolo. Arrivo al mio posto e mi siedo continuando a bere dalla bottiglia. Fissandolo. Non ho staccato gli occhi dai suoi nemmeno per un’istante. Sono sfacciata e mi godo il gioco sino in fondo, proprio sulla soglia dell’eccitazione.
Purtroppo però l’ora di andarsene arriva troppo presto. E poiché il conto lo abbiamo già pagato prima di mangiare, non ci resta che alzarci, metterci i giacconi e scendere. Il boato di un tuono sottolinea il momento. Oltre le vetrate l’acqua riprende a scendere a secchiate.
Mi volto un’ultima volta, di nascosto. Lui mi sta osservando ancora e si accorge che lo sto guardando anche io con la coda dell’occhio. Spero che possa vedere il mio sorriso, spero che capisca che mi sono divertita.
Pianto i miei compagni con una scusa. Anzi due, visto che la prima non basta. “Ciao ragazzi, devo andare al bagno”, “dai ti aspettiamo”, “no, ma poi volevo anche fare un giro a cercare una marmellata di mandarino tardivo per mia mamma”, “ah ok, allora ci vediamo a lezione”, “sì, ci vediamo a lezione, ciao ragazzi”. Mi dirigo verso i bagni e, già che ci sono, faccio pipì, compiacendomi della mia innata capacità di inventare cazzate su due piedi.
Non è che abbia proprio un programma, mi va semplicemente di continuare il gioco, vedere se funziona ancora con qualcun altro. Sì, è vero, non sono appariscente stasera, ma gli sguardi li ho sempre attirati. E stasera ci ho preso proprio gusto. Voglio attirare sguardi e rispondere agli sguardi, altro che mandarino tardivo.
L’idea è divertente, la sua realizzazione pratica molto meno. Soprattutto perché non mi si caga nessuno. Tranne uno, in realtà, una specie di sosia di Danny De Vito che è meglio perderlo che trovarlo. La cosa mi indispettisce non poco, come sempre quando va così. Anche perché, ma cazzo, fino a cinque minuti fa funzionava benissimo. Forse proprio per questo decido di fare una cosa che non ho mai fatto. Non da sola almeno. Vado alla birreria, direttamente al bancone, mi siedo su uno sgabello alto e aspetto di essere servita dal ragazzo. Assumo un’aria civettuola perfino con lui, faccio l’oca. Voglio proprio vedere se qualcuno si avvicina.
Vorrei chiarire una cosa: non ho voglia di essere rimorchiata. Non ho voglia di sesso. Sì, lo so che prima in macchina avevo pensato che fare un pompino del tutto senza senso a qualcuno e bere il suo sperma non sarebbe stata per nulla una cattiva idea. Ma quel momento è passato e dopo il gioco degli sguardi con il riccetto, interrotto dagli eventi, la mia immaginazione mi ha portata da tutt’altra parte.
Comunque niente, eh? Non succede un cazzo nemmeno qui. Dopo un po’ l’unica cosa che mi trattiene dall’andarmene è che fuori è ormai un nubifragio vero e proprio e che io ho lasciato la macchina al parcheggio più lontano, cretina che sono.
Poi però una cosa succede, cazzo. Succede che il riccetto di poco fa è seduto con la sua ragazza e l’altra coppia su un divanetto della caffetteria, e mi ha vista. E che porco cane la situazione non è esattamente quella di prima, quando stavamo a scambiarci occhiate ognuno al riparo delle proprie compagnie. Manco per niente. Quella che lui sta osservando adesso è una ragazzina bionda con la faccia da adolescente che sta facendo l’oca con il ragazzo delle birre e che ha in pratica un cartello addosso con su scritto “sono una troietta, che aspettate a farvi avanti?”.
Non so nemmeno io perché, ma improvvisamente mi sento a disagio, mi vergogno. Cioè, non è proprio vergogna. E’ che il gioco con questo tipo è andato anche troppo avanti, mentre a me questo gioco piace perché è fatto di momenti, sguardi allusivi. A me diverte fare l'oca con gli uomini quando sono in compagnia delle loro donne, è vero. Divertono le piccole provocazioni, mi piace l'ammirazione clandestina che leggo nei loro occhi e godo nel vedere come reagiscono quando si accorgono che non volto la faccia dall'altra parte, che li fisso con un'espressione a metà tra l'ironico e il malizioso che dice "ah, se fossimo soli".
Quasi mi vergogno a scrivervelo, ma in realtà tutto quello che volevo quando mi sono seduta al bancone era essere abbordata da qualcuno, ma non dal riccetto. Con quello meglio di no, troppo pericoloso per questo tipo di gioco.
Mi andava solo di fare la troietta idiota, rifiutare le eventuali avances di un tipo qualsiasi, almeno per l’immediato, facendogli però capire che uno di questi giorni sarei stata molto più che disponibile a restare come mamma mi ha fatta davanti a lui, dargli un numero di telefono fasullo e lasciarlo all’asciutto. Per poi tornare a casa e sditalinarmi nel mio letto immaginando come sarebbe stato farmi scopare da lui in centouno modi.
Scema, vero? Me l’hanno detto in tanti. In ogni caso, il numero del Servizio di igiene mentale della mia zona è 06 7730 8400. Magari potreste volermi fare un favore e segnalare il mio caso.
Mi alzo quasi di scatto e imbocco il tapis roulant che scende al primo piano, all’uscita. Nubifragio o non nubifragio è meglio levare le tende.
Solo che, ecco, chiamatelo intuito femminile o come cazzo vi pare, ma sento di essere seguita, sento una presenza alle mie spalle. Non è che ci sia poi tanta gente su questo tapis roulant, sono quasi certa che se mi voltassi lo vedrei. E questo è il motivo per cui non mi va di voltarmi. Il motivo per cui invece mi volto ve l’ho detto prima: sono scema. E’ così, fatevene una ragione che io me la sono fatta da un pezzo.
L’occhiata che ci scambiamo per un paio di secondi che sembrano interminabili è completamente diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta. La mia è l’occhiata della preda che ha individuato il predatore e che viene assalita dal panico perché non sa dove cazzo andare a nascondersi.
Chiariamoci: a me piace sentirmi preda. A patto però che il cacciatore lo scelga io. Altrimenti ho delle reazioni che variano dall’indifferenza al vattelapijanderculo, dipende da una serie di fattori. In questo caso il cacciatore non è nemmeno male, ve l’ho detto. Ma non l’ho scelto io.
Avete presente quando fate una cosa e immediatamente dopo vi chiedete "ma perché cazzo l'ho fatto?". E vi date pure della cretina, perché non è che avete seguito un impulso, manco per niente. Avete pianificato le cose, avevate una strategia. E d'improvviso, puff: ma perché ho fatto una stronzata del genere? E’ esattamente quello che è successo. Lui è dietro di me e, a meno che non si tratti di una coincidenza assurda, si appresta a tirare fuori il gancio per il rimorchio. D'improvviso tutto mi sembra implausibile, inattuabile. Inutile, persino. E anche un po' imbarazzante. Voglio dire, io volevo solo giocare e adesso mi trovo a dovere fare i conti con le conseguenze del mio gioco.
Non sento il rumore delle porte automatiche che si richiudono. Non so se è a causa del fracasso della pioggia sul selciato o del fatto che qualcuno è passato dopo di me e ne ha ritardato la chiusura. Piove da matti, adesso. Non si vede nulla e dalla fine del porticato alla mia macchina ci saranno almeno cento metri allo scoperto. Mi fermo giusto un paio di metri indietro dalla fine della copertura. L’acqua cade talmente forte che le gocce rimbalzano e arrivano a bagnarmi. Ma non è questo su cui sono concentrata, sono concentrata su una cosa che sta per succedere, che è inevitabile che succeda.
“Ciao, come ti chiami?”, penso tra me e me.
- Ciao – dice una voce alle mie spalle.
- Ciao – rispondo dopo essermi voltata lentamente. Una lentezza che mi sono imposta.
- Che acqua, eh?
- Già.
- Io sono Marco.
- Io Annalisa.
Nonostante il buio mi è talmente vicino che posso vederlo meglio di come abbia fatto prima. Probabilmente ho fatto male i miei calcoli, credo che abbia di più dei 35 anni che gli davo. E’ molto giovanile nei modi e nel vestire, ma certi dettagli non mentono. Il contorno occhi, per esempio.
- Stai andando a casa?
- Sì.
- Anche io. Vado a prendere la macchina.... inutile bagnarsi in quattro.
Fisicamente non potrebbe essere più diverso, ma parla come Silvio Muccino, ha persino la zeppa di Silvio Muccino. E’ incredibile quanto sia identico. Per il resto no, per il resto è davvero un bel manzo. Vista l’età dovrei dire un bell’uomo. E non posso non notare il suo modo timido di atteggiarsi, quasi premuroso, che si annulla completamente quando sfodera il sorriso da canaglia. E’ obiettivamente un sorriso fatto per stenderti.
- Ho visto che mi guardavi – dice.
- A dire il vero hai cominciato tu...
- Mi sei piaciuta, non hai mai abbassato gli occhi.
- Era un gioco...
- Che tipo di gioco?
- Nulla una cazzata...
- Potremmo riprovare a giocare, una sera di queste...
Istintivamente starei per dirgli “ma no dai, lascia perdere”. Poi mi fermo, senza un motivo. Gli squilla il telefono e mi dice “scusa” prima di rispondere. Dice, presumo alla sua compagna, che è meglio aspettare che spiova un po’, che è una tempesta, che per strada è un lago. E che chiamerà lui quando starà per arrivare, che forse ci vorrà un po’. Mi torna in mente Elena, quando mi ha chiesto se avessi un ragazzo, mi torna in mente il suo ingenuo senso di superiorità. E però immediatamente dopo mi torna anche in mente il pensiero osceno che le sue parole mi avevano portata a fare.
Per la verità, non so nemmeno io di che cosa ho voglia in questo momento. Sì, ok, farmi riempire la bocca in modo insensato, bere sperma. Avevo pensato questo. Ma ora come ora non saprei nemmeno dire se ho voglia di qualcosa di più. O di meno. O di nulla in assoluto. Mi sento confusa e anche abbastanza idiota.
- Certi giochi ha senso portarli in fondo una volta che si sono cominciati... – gli dico d’impulso una volta che ha chiuso la telefonata.
- Cosa intendi dire con “portarli fino in fondo”?
E’ chiaro che ha capito. O meglio, spera di aver capito. Ma è ancora guardingo.
- Intendo dire che potresti baciarmi – gli faccio avanzando di un passo verso di lui.
Si volta per guardarsi alle spalle ma non ce n’è bisogno. Ci siamo solo io e lui qui sotto il porticato. Pochi metri più in là tonnellate di acqua che scendono con violenza. Mi afferra la mano e mi trascina dietro un angolo buio e qui sì che ci bagnamo, cazzo. Ci schiacciamo contro il muro, ma la tettoietta che è sopra di noi è troppo piccola per ripararci da questa valangata di pioggia. Ridacchio stupidamente, è un riflesso nervoso. Lo faccio sempre quando vengo forzata fisicamente a fare qualcosa, non posso farci nulla. L’unica cosa che riesco a fare, in realtà, è coprirmi la testa con il cappuccio della mia The North Face tecnica. Lui fa altrettanto e poi mi bacia.
E’ un bacio lungo, furioso, cinematografico. In quante canzoni avete sentito il verso “kiss you in the rain”? Abbiamo troppa roba addosso, labbra e lingue sono il nostro unico punto di contatto, eppure bastano e avanzano. Almeno per me.
- Dimmi che mi vuoi – ansima.
- Ti voglio... – rispondo quasi in automatico.
- Domani sera? – domanda. E mentre me lo domanda porta la mano in mezzo alle mie gambe. Avrò pure i jeans, ma vi assicuro che la scossa la sento tutta.
Io però non riesco a concepire che lui si possa proiettare su domani sera. E adesso che cazzo devi fare, portare a casa la fidanzata? Oppure vivete insieme? Come cazzo pensi di mollarmi qui così? E stanotte? E domani mattina? Che c’è, ti aspettano al lavoro? Mi vuoi così tanto da non poter mandare all’aria niente della tua vita? Sono irragionevole, lo so. Ma se non lo fossi non starei qui sotto l’acquazzone a farmi baciare e a farmi tastare la fregna da un perfetto sconosciuto.
- Chissà se ci sono, domani sera – gli dico concitata, prima di rituffarmi a baciarlo.
- Che significa?
- Significa che ti voglio ora...
- E come cazzo facciamo?
Apro la bocca per accogliere la sua lingua e stavolta sono io che gli porto la mano in mezzo alle gambe. Il contatto di questo pacco gonfio per me mi fa quasi piegare le ginocchia.
- Posso farti venire con la bocca, se vuoi... – gli mormoro quando ci stacchiamo.
Mi guarda esterrefatto, preso in contropiede. Non so cosa stia pensando. Se stia valutando le possibilità, la fattibilità della cosa. O se mi abbia semplicemente presa per matta.
- Un pompino... – gli sussurro come se sentissi la necessità di spiegarmi, guardandolo negli occhi. Dall’alto in basso, perché nonostante io non sia proprio una nana, lui è decisamente alto. Ehi, l’hai capita? Sto parlando di succhiartelo...
- Ma chi cazzo sei, Baby?
- Ahahaha... sicuramente sono meno annoiata di Chiara, ma probabilmente sono anche peggio, da quel punto di vista...
- Quale punto di vista?
- Indovina...
Adesso il suo sguardo non è più esterrefatto. Adesso il suo sguardo è quello di un maschio che si è velocemente arrapato e che sta per prendersi qualcosa che gli è stato offerto su un piatto d’argento.
- Corriamo in macchina... – propone.
- Rischiamo di annegare prima di arrivarci, alla macchina – gli dico – qui va bene.
- Qui? – domanda sorpreso.
- Qui. Qui è perfetto.
- Tu sei strana, non sei normale... – mi dice, ma il suo è più che altro un tono sorpreso, di autodifesa.
“Cos’è normale?” gli domando mentre mi accuccio davanti a lui. Non mi sembra il caso di posare le ginocchia per terra. Mentre gli lavoro le cerniere del giaccone e dei pantaloni sento la sua voce ancora un po’ incredula che mi apostrofa con un “ma lo sai che sei un po’ troia?”. Gli rispondo “anche più di un po’” in modo veloce, quasi disinteressato, senza nemmeno alzare lo sguardo verso di lui. L’unica cosa su cui sono concentrata in questo momento è il tentativo di liberare quel bozzo che vedo sotto il tessuto delle mutande color prugna.
Sarà che mi sono raffreddata con tutta questa pioggia, ma non sento nessun odore particolare quando glielo tiro fuori. Non è ancora duro, ma quasi. Duro lo diventa quando me lo lascio scivolare dentro la bocca e inizio a rotearci la lingua intorno. Nonostante tutta la stranezza della situazione, mentre lo faccio ammetto con me stessa che il pompino mi sta venendo benissimo. Forse perché oltre a voler bere il suo sperma voglio che gli piaccia davvero, che ne goda. Non saprei dire perché, ma ci tengo.
Dire che abbia un grande arnese sarebbe una bugia, ma chissenefrega. La sua consistenza mi gratifica, il suo sapore mi gratifica. Il suo “oh cazzo” sospirato quando glielo prendo tutto mi gratifica. Siamo fradici e infreddoliti, ma la mia bocca e il suo uccello sono roventi.
“Che troia”, “sei bravissima”, “sei una bravissima troia”. Anche queste frasi smozzicate mi gratificherebbero, e non poco, se non fosse per il suo telefono che riprende a squillare. Se non mi interrompessi, sinceramente non lo so se lui risponderebbe. Ma comunque lo faccio, e lui risponde.
- Sì, c’è anche uno che blocca la sbarra del parcheggio con la macchina, sto deficiente, ma adesso arrivo, vi chiamo io...
Penso tra me e me che anche lui non è male, quando si tratta di inventare cazzate. Lo guardo dal basso in alto, tenendo in mano il suo affare. Improvvisamente, però, non ne ho più voglia. Che cazzo ne so. Potrei dire che ho paura che la sua ragazza scenda e che mi meni anche lei, come ha fatto la moglie di quello che mi aveva rimorchiata al parco. Ma non è vero, non è così. La verità è che non mi va più e basta. Con quella telefonata si è rotta la magia del momento, se vogliamo chiamarla così.
- Lasciamo perdere, dai, non voglio farti passare un guaio – gli sorrido cercando di rimettergli il cazzo nelle mutande.
Mi guarda con un misto di riconoscenza e di rimpianto. Spero solo che capisca che non sono incazzata con lui, mi dispiacerebbe. E’ andata così, non è colpa di nessuno. Mi rialzo e gli appoggio la testa sotto la spalla. Cazzo, se è alto.
- Che hai da ridere? – mi domanda.
Rido. Non ci posso fare nulla, mi viene da ridere. Anzi, da ridacchiare. Nulla di esplosivo, però inarrestabile.
- E' la prima volta che faccio un pompino con un cappuccio in testa - riesco a dire. E poi riattacco a ridere.
- Come prima volta non c'è male... però non hai finito, non è stato un vero e proprio pompino...
Trovo la precisazione un po’ pignola, ma sono indulgente e sto al gioco. “Ok, allora diciamo che è la prima volta che succhio un cazzo con un cappuccio in testa...”. Mi risponde ridacchiando anche lui, mentre io forse per la prima volta realizzo lo stato in cui si trovano i miei jeans.
- Dio santo, sono tutta bagnata.
- Non in quel senso, intendi.
- Ahahaha... non lo so, sono talmente zuppa che in quel senso dovrei controllare...
- Se vuoi controllo io...
- Ahahahahah meglio di no... meglio che andiamo.
- Annalisa, hai detto?
- Non è molto carino da parte tua non ricordarti il nome...
- Se domani sera continua a piovere possiamo darci appuntamento qui...
- Ahahahah... magari domani sera ho la polmonite...
- Sarebbe carino, però. Potrei metterti con le spalle al muro. Anche quella è una cosa che non ho mai fatto sotto la pioggia.
- Ah, ecco... non so se avrei voglia di essere inchiodata a quel muro.
In realtà, se ci penso, la prospettiva non mi dispiace affatto. Pioggia o non pioggia. Ma è meglio non creare tante aspettative.
- "Inchiodata al muro"... ma parli sempre così?
- In genere no. Ci sono cose che si pensano e non si dicono...
- Ma si immaginano...
- Sì...
- Immagine per immagine, non spalle al muro, ma faccia al muro. E con i jeans calati. Io immagino di inchiodarti così, prima un buco e poi l'altro.
Eccolo, anzi eccoli. Lo spasmo e il calore. Adesso sì che non ho più bisogno di controllare se sono bagnata anche sotto le mutandine.
- Sei un porco... – sibilo.
- E tu una troia...
- Non sai quanto, te l’ho detto. E poi avevo proprio voglia di qualcuno che mi chiamasse troia.
Mi stringe, poi mi bacia ancora. Sta combattendo contro il suo desiderio, lo sento. E la cosa mi piace. Il mio calore avanza.
- Allora facciamo per domani sera? - sussurra.
- No – gli rispondo senza nemmeno pensarci tanto.
- Perché no? – domanda sorpreso.
- Perché no. E nemmeno dopodomani o un’altra volta. Vorrei dirti restiamo semplicemente amici – gli dico sbottando quasi a ridere – ma in realtà chi cazzo ti conosce?
- Te l’ho detto prima – mi fa dopo qualche secondo di silenzio – non sei normale.
- E io te l’ho chiesto prima, ma non mi hai risposto: cos’è normale? Scambiarsi i numeri, vedersi domani sera o comunque quando sarai libero, uscire, corteggiarsi, farti un pompino in macchina, portarmi a casa tua? Scoparmi in un albergo?
- Cosa ci sarebbe di male? – chiede.
- Nulla. Per carità, nulla. Anzi. Ma perché sarebbe stato meglio di un pompino qui? Poi è andata buca, pazienza... ma sarebbe stato fantastico.
- Però avremmo più tempo – obietta - staremmo più comodi. Di sicuro più asciutti.
- Non discuto. Ma a me andava ora.
- Davvero non me lo dai il telefono?
- Davvero.
- Sei proprio matta...
- Sì, lo so. Matta e troia. Una troia matta... Stammi bene, Marco.
Mi volto e comincio a correre verso il parcheggio, verso la mia macchina. Non perché non voglia bagnarmi. Tanto, nonostante l’acqua continui a precipitare in modo assurdo, più bagnata di così non potrei essere. Corro perché ho voglia di scomparire alla sua vista, ho voglia di non voltarmi indietro. Ho voglia di salire in macchina grondante e bagnare i sedili, accendere il riscaldamento e correre il più veloce possibile a casa. Spogliarmi e infilarmi sotto una doccia bollente.
E sditalinarmi prima che mi scompaia dalla mente l’immagine di lui che si stupra una ragazzina tenendola faccia al muro. Una ragazzina bionda con i jeans abbassati e il giaccone tirato un po’ su. Sotto la pioggia che batte e che copre ogni altro rumore intorno. Ma che non riesce a coprire gli strilli di quella zoccoletta.
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"Le otto e due minuti! Sei in ritardo!" Fu l'accoglienza di mio padre, mostrandomi platealmente il suo orologio. Poi, rivolto a mia madre: "Maria, tira fuori il minestrone dal frigo, che pure questa sera, tuo figlio se l'è guadagnato."
Questo significava giocare sporco. Avevo tardato soltanto due minuti. Due minuti non erano un cazzo di fronte all'eternità. Chi cazzo sarà mai stato quello che aveva inventato il minestrone? Bastardo di un sadico. Speravo con tutte le mie forze che stesse marcendo all'inferno da un pezzo. E che tutti i diavoli stessero facendo a gara a chi gli infilzava il culo con più forza. Se l'era meritato! Dovevo aver fatto una faccia davvero buffa, perché i miei scoppiarono a ridere come davanti ad un film di Stanlio ed Ollio. Mia madre mi passò accanto scompigliandomi i capelli, si diresse verso il forno, aprì lo sportello e ne fece uscire la più buona di tutte le magie: pollo arrosto e patatine. Quello si che era mangiare! Altro che quell'insulsa brodaglia! Lo sconforto mutò all'istante in incontenibile euforia. Cavolo, sembrava fosse Domenica! Abbracciai mia madre e le stampai un bel bacio con lo schiocco su una guancia, feci lo stesso con mio padre. Lui ne fu felice, lo so, anche se non lo avrebbe mai dimostrato. Era poco incline alle smancerie, infatti mi allontanò delicatamente dicendo: "Va bene, ho capito, sei felice. Però adesso vedi di farmi un favore, piccolo ruffiano: togliti dai coglioni, che mi impedisci di vedere la televisione. E fallo subito, altrimenti, nel minestrone, ti ci faccio il bagno."
Mi avventai sulla mia cena come un lupo digiuno da una vita e, in men che non si dica, il piatto era di nuovo pulito. Luccicava a tal punto che poteva benissimo essere di nuovo riposto nella dispensa senza passare per il lavandino. Una volta soddisfatto l'animale selvaggio che dimorava all'interno del mio stomaco, sollevai lo sguardo e lo feci andare per la cucina. C'era qualcosa che non andava. Qualcosa che prima, in balia della fame, non avevo notato, o che avevo ritenuto del tutto trascurabile. Mia sorella non era a tavola con noi.
"Dov'è Marina?" Chiesi
"Di là, in camera sua." Rispose secca, mia madre, lanciando un'occhiata di traverso a mio padre, che, da parte sua, non diede segni di vita. Rimase con lo sguardo incollato allo schermo e la forchetta a mezz'aria. Segno che gli interessava molto di più ciò che stava guardando.
"E non cena con noi?" Era un bel po' strano. Lei aveva perennemente fame. Non prendeva un chilo neanche ad ammazzarla, ma era vorace come un pesce gatto. Molto strano!
"Ha detto che non aveva fame." Rispose nuovamente mia madre, arrossendo all'istante.
"E' impossibile!" Qualcosa non quadrava. E non potevo restarne all'oscuro.
"Ha bisticciato con tuo padre e le è passata la fame."
"Se è così, allora la strapazzo tutte le sere. Con quello che si mangia, in un anno mi compro la macchina nuova!" Disse mio padre, senza distogliere gli occhi dalla tele.
"Piantala, Alfredo! Stasera hai davvero esagerato!" Ruggì mia madre. Finalmente aveva disseppellito l'ascia di guerra.
"Adesso non farmi incazzare pure tu, Maria! Che ancora mi deve passare quella di prima. Ero stato chiaro con lei, mi pare. L'avevo avvisata. Ma lei, no, lei vuole fare di testa sua. Si sente grande, allora si becca le conseguenze. In casa mia, fa quello che dico io. Giusto o sbagliato che sia. Quando sarà maggiorenne, potrà fare quello che le pare, ma, intendiamoci, fuori da qui. Fino ad allora: muta ed obbediente!" Bevve un bel bicchiere di vino rosso, tutto d'un fiato, si pulì la bocca col polsino della camicia e: "Perdio!" Aggiunse. Come a dire: capitolo chiuso! Capitolo chiuso un corno. Mia madre indossò l'armatura, salì a cavallo e partì alla carica, lancia in resta. E, cazzo, io ancora non avevo capito un bel niente! Una volta tanto che ne ero fuori, che il cazziatone e, forse, pure le sberle toccavano a mia sorella, avrei voluto godermi lo spettacolo, fin dall'inizio. Mi ero perso il primo tempo, peccato, me ne rimasi seduto in attesa di una sorta di riassunto delle puntate precedenti. Riassunto che non tardò ad arrivare.
"Complimenti! Devi essere proprio fiero del modo in cui ti esprimi! Lo punzecchiò mia madre, preparando l'assalto finale.
"Non ne sono fiero, né mi dispiace. Semplicemente me ne sbatto le palle. Mi hai conosciuto così e così sono rimasto. Non hai ricevuto brutte sorprese. E adesso, per favore, taci, che voglio ascoltare la tele."
"Taci? Mi hai detto di tacere? Certe volte sei più ridicolo che offensivo. Ti comporti come la caricatura di un dittatore. Fai questo, fai quello, parla solo quando sei interrogato, taci. Ma chi ti credi di essere? In questa casa hai rispetto soltanto per quello che dici tu. La tua parola è Vangelo. E noialtri inginocchiati ad obbedire agli ordini."
"Cazzo, ora che mi ci fai pensare, non la trovo una cattiva idea. Niente affatto cattiva!" rispose mio padre, che sembrò valutare davvero l'offerta.
"Bravo, continua pure. Se ti tolgono le parolacce e le bestemmie dal vocabolario, rimani con quattro parole contate. Sei tu che dovresti tacere, non io."
"Te lo ripeto per l'ultima volta: non farmi incazzare!"
"Altrimenti cosa fai? Mandi anche me in camera mia? Come hai fatto con Marina? Che, poi, tornando al discorso di prima, cosa ha combinato di tanto grave? Ti sei lanciato contro di lei come un cane rabbioso!"
"Le avrò detto almeno mille volte che non la voglio vedere insieme a quei vagabondi perdigiorno!"
Finalmente! Iniziavano ad uscire fuori i dettagli. Mi ero quasi stancato di aspettare. E, senza sapere di cosa stessero parlando, mi era difficile decidere da che parte stare, visto che non si trattava di me. Ora c'era da sapere chi fossero i vagabondi. Qualcosa si stava muovendo e la mia attenzione si stava risvegliando.
"Fammi capire bene," Disse mia madre con una voce da calma prima della tempesta, "Stavi tornando a casa dal lavoro ed hai visto Marina che parlava con Francesco, Alessandro e Fabio, il figlio del fattore del conte. L'hai vista parlare con loro sulla scalinata della cattedrale. E' così, vero? Avevo capito bene?"
"Precisamente!"
"E tu avresti fatto quella scenata da indemoniato solo per averla vista parlare?"
"Ridevano, anche!"
"Ah, ridevano! Ecco svelato il mistero! Certo, questo cambia tutto! Di, ma ti sei rincoglionito? Ti ascolti quando parli? Parlava e rideva...Tutto qui l'atroce misfatto?" Era offesa e furiosa. Ero sicuro che, se avesse potuto, e se fosse stata meno gentile, lo avrebbe volentieri preso a calci nel culo.
"Non era tanto quello che faceva, ma con chi lo faceva. Marina può parlare e ridere quanto vuole, ma non con quelli. Quelli non li deve neanche guardare. E' per il suo bene!" Mio padre, certe volte, era proprio uno stronzo. C'erano pochi dubbi.
"Quelli, come li chiami tu, sono figli e nipoti dei tuoi migliori amici, con i quali giochi a carte tutti i giorni e vai in cantina a sbronzarti. E ti sbronzavi con loro anche da giovane. Me lo ricordo bene. Ora vorresti salire sul pulpito e fare la predica agli altri? Te lo sei dimenticato cosa dicevano di te e della tua cricca?" Brava mamma, faccio il tifo per te, pensai.
"Che cazzo c'entra? I loro genitori sono a posto, onesti, simpatici e, non ultimo, dei gran lavoratori!"
"E Francesco, Alessandro e i loro amici, invece, come sarebbero?"
"Lasciamo perdere, che è meglio."
"Non lasciamo perdere affatto, caro mio! Con te, non si finisce mai un discorso. Si apre e si chiude a tuo piacimento. E io sono stufa! Ti ripeto la domanda: come sarebbero, secondo te, gli amici di tua figlia?" Conosceva la risposta, non era un'ingenua, o, peggio, una stupida. Sapeva benissimo come la pensasse quel retrogrado del marito, nonché mio padre, ma, evidentemente si era stancata, non gliela avrebbe fatta passare liscia. Non stavolta. Se lo sarebbe mangiato vivo. E quel “gli amici di tua figlia”, non era stato buttato lì a casaccio. Era una provocazione bella e buona.
"Degli scansafatiche e dei drogati! Ecco cosa sono! Ci tenevi tanto a sentirtelo dire? Bene, ti ho accontentata!" Urlò mio padre, sputacchiando un pochino.
"Ma bravo! Sei veramente bravo a sputare! Anche le sentenze! Sei il figlio legittimo di quella mentalità ottusa e paesana in cui sprofondi. Non sai un bel niente di loro, ma giudichi lo stesso. E trascuri che quei ragazzi lavorano tutti e tutti portano a casa la pagnotta. Tutti, tranne Francesco, che..."
"Che è un perdigiorno dichiarato! E drogato!" Soddisfatto della risposta, diede fuoco ad una delle sue pestilenziali nazionali senza filtro.
Mia madre non raccolse il guanto di sfida, non gli avrebbe permesso di buttarla in caciara. Proseguì del suo passo, lento, ma fermo: "Che fa l'università. Si è diplomato con il massimo dei voti e, con lo stesso profitto, sta proseguendo gli studi. sono sicura che riuscirà prestissimo a diventare un ingegnere navale."
"Bene! Ci sei cascata! E' bastato lasciarti parlare e ti sei messa in trappola con le tue stesse mani! Lo sapevo!" Esultò, raggiante, il vecchio.
"Ma che vai ululando? Sei già ubriaco prima di uscire?" Rispose mia madre, non aveva idea di dove volesse andare a parare.
"Lo hai appena detto tu, che vuole diventare ingegnere navale."
"Allora?"
"Andiamo, mi pare evidente. Ecco la prova che è un drogato. Abitiamo in collina, il mare più vicino è a quasi cento chilometri e lui cosa sceglie di fare? L'ingegnere navale! Solo uno stupido, o, appunto, un drogato poteva avere una simile idea!" Stavolta il vecchio non aveva tutti i torti. Come cazzo era venuto in mente, a Francesco, di studiare tanto per diventare cosa? Ingegnere navale! L'indomani mi sarei dovuto ricordare di chiederlo a Tonino.
"Se fai di questi ragionamenti, allora, mi sa che il drogato sei tu! La verità è che certi tuoi giudizi, anzi, meglio, certi tuoi pregiudizi hanno come unica fonte le bigotte chiacchiere di paese, cioè il nulla. Nessuna prova. Ti basta aprir bocca e sparlare, proprio come la maggior parte dei tuoi paesani."
"Beh, proprio nulla non direi."
"Su allora, dimmi che prove hai? Quali sono le prove che inchiodano quei ragazzi alla droga? I capelli lunghi? I vestiti che non ti piacciono? Il fatto che , senza mai far del male a nessuno, fanno quello che vogliono?"
"Certe volte, le prove non servono." Asserì con fermezza, mio padre.
"Non servono a te! Tanto li hai già condannati!"
"Ti ripeto, che non servono. Ricordi quando tutto il paese mormorava alle spalle di tua cugina Antonietta?"
"Certo che me lo ricordo..." Mormorò mia madre, abbassando lo sguardo e lanciandomi un'occhiata furtiva.
"Ricordi che tutti erano concordi nel dire che era cornuta e puttana? Nessuno fornì le prove, ma lo dicevano lo stesso. Come andò a finire?
Andò a finire che era la verità!" Concluse, soddisfatto, mio padre.
"Ma quali prove? Quale ragione? Ti risulta che fosse cornuta?"
"Cornuta no, ma puttana si! Perdio! Altro che andare a Roma a fare la cameriera, come diceva lei. Lo so io cosa andava a fare! Sul fatto dell'essere cornuta, però, è vero, si erano sbagliati. d'altra parte, suo marito, buon'anima, era brutto come la paralisi, chi altra avrebbe trovato il coraggio di andarci a letto? Solo lei. Ma, visto come stavano le cose, forse si faceva pagare!"
Mia madre ebbe uno scatto d'ira che spaventò anche me. Gli arrivò ad un palmo dal muso, furente, credo che avesse avuto una gran voglia di insultarlo. Ma, credo anche che, in quel momento le venissero in mente soltanto parolacce. E lei non diceva parolacce, così si limitò a ripetere: "Sei un...Sei un..." non riuscii mai a sapere cosa fosse, di preciso, mio padre. Non fu in grado di terminare la frase. Lui si alzò dalla sedia visibilmente soddisfatto e uscì di casa. Il caffè e la solita partita a tresette lo stavano aspettando.
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stampini e regali
«Allora… Dobbiamo fare la forma per lo stampino, perché non ne ho uno a forma di zampa.» Ovviamente, chi produrrebbe mai stampini in silicone a forma di zampa di rospo? «Mettilo qua.» Artie, ovviamente. E indica il foglio pulito, mentre prende la matita. Se il ragazzo seguisse le sue indicazioni, la Corvonero prenderebbe delicatamente la zampa dell’animale fra le mani, e inizierebbe a tracciarne i contorni con la matita.
« Okay capo » ridacchia nel sentirla dargli quei primi ordini su cosa fare con Artie. Il rospo viene lasciato dove richiesto dalla Corvonero, le mani che restano comunque a tenerlo fermo per il corpo. « Altrimenti scappa » si giustifica così, anche se magari Cheryl non gli chiede nulla. « Stai fermo eh. Ci vuole un attimo » continua a rivolgersi sempre al rospo mentre lascia che l`altra faccia quello che deve fare per prendere la forma della zampetta di Artie. Lui rimane solo a guardare curioso il foglio e i movimenti di lei.
«Adesso trasfiguro il foglio in uno stampino.» Logico, no? Però le serviva avere chiaro il profilo della zampa, nero su bianco, per esser in grado di concentrarsi meglio e creare un buono stampo. Gli occhi della Roberts si puntano quindi sulla pergamena, mentre la bacchetta si muove a croce, prima dall’alto verso il basso e poi dal basso verso l’alto. «Vèrto.» Con voce sicura, senza alcuna sbavatura di accento, la biondina pronuncia la formula dell’incantesimo trasfigurante, mentre lo sguardo si tiene fisso sul foglio: immagina che questo si contorca e si trasformi in uno stampino di silicone, trasparente, della stessa identica forma della zampa di Artie, il povero martire di quell’esperimento. Se l’incantesimo fosse riuscito, la ragazzina prenderebbe soddisfatta l’oggetto appena ottenuto fra le mani, mostrandolo al compagno. «Che te ne pare?»
« E` perfetto! » decreta alla fine, assumendo anche lui un`espressione tutta soddisfatta ed allungando la mano per afferrare lo stampino, solo per poterlo osservare meglio. « E` proprio la sua » ma dai, si chiama stampino apposta. « Ora ci metti quella roba lì? » continua a domandare curioso adocchiando la bottiglia riposta sopra il banco. [...] « Facciamolo giallo! » decreta alla fine tutto contento. « Che anche Artie è un tassorosso » e qui vanno rispettati i colori di casata.
Le sue manine si richiudono subito attorno alla boccetta contenente la polvere colorante gialla. La stappa, e con attenzione inizia a versarla nel contenitore con la resina, senza però esagerare. Fatto ciò, inizia a mescolare. «Beh, visto che siete tutti e due tassorosso secondo me è fortissimo.» Il giallo come colore, quindi si, le piace tanto. Ecco, magari lei lo avrebbe fatto viola, ma quel colore tanto acceso non la disturba, come testimonia quel suo sorriso carico d’approvazione. Aggiunge ancora un po’ di giallo, e gira per bene, prima di passare il contenitore al ragazzo, con aria interrogativa. «Ti piace?»
« E` grinzafichissimo » certo che gli piace, neanche a dirlo, basta guardare lo sguardo ammaliato con cui guarda il tutto. « A te piace Artie, mh? » di nuovo coinvolge il rospo spostandolo per fargli osservare ciò che sta facendo Cheryl. Peccato che, a parte un bel CRAA, il rospo non possa esprimersi chissà quanto. « Gli piace » ci pensa lui a parlare per Artie tanto.
«Sono contenta ti piaccia.» Gli dice semplicemente, mentre canticchiando a bassa voce versa tutto il composto in due stampini: uno è quello a forma di zampa di Artie, l’altro è una sorta di mini rettangolo, sottile ed alto, che poi avrebbe incollato sulla zampa per dar modo al ragazzo di poter usare il timbro senza troppe difficoltà. Batte le formine sul tavolo, per essere sicura che il composto scivoli in ogni piega, prima di metterli fra loro. «Adesso devono solo asciugarsi.»
Ad un tratto, però, afferra lo zainetto e vi estrae due cose: la prima, è il solito sacchetto di biscotti che mette fra loro, il secondo è un pacchetto dalla forma rettangolare. Visto che devono aspettare, tanto vale fare merenda. «Ti ho preso una cosa.» Gli Dice, tendendo verso di lui il pacchetto, incartato con una carta semplice, beige, e decorato con dei fiorellini secchi, legati fra loro –e anche al pacchetto- con un piccolo nastrino.
« E quello? » domanda ma la ragazza ci mette poco a spiegarsi, facendogli distendere il cipiglio mentre le sopracciglia questa volta si piegano verso l`alto. « Per me? » domanda sinceramente stupito ma con la curiosità che si fa sempre più elevata. « E perché? » chiede ancora mentre va ad afferrare il pacchetto iniziando subito ad aprirlo ma cercando di non rovinare troppo tutte le decorazioni che Cheryl ha applicato su di esso. « Ceh se è per Natale, io non ti ho preso niente » e lo dice anche con tono dispiaciuto mentre cerca il suo sguardo.
«Ma mica ti ho fatto un regalo per riceverne uno in cambio.» Lo rassicura, cercando a sua volta il suo sguardo, per fargli capire che no, non è dispiaciuta, e che no, non deve assolutamente sentirsi in obbligo con lei. Probabilmente qualcuno dovrebbe toglierle la possibilità di fare regali, che veramente nel periodo di Natale lei si sbizzarrisce. Il pacchetto è dalla forma rettangolare perché contiene un libro zeppo di racconti d’avventura. Se lo aprisse, si ritroverebbe anche una dedica sulla prima pagina, quella subito dopo la copertina. Vi si legge un “Magari vedendo che non tutti i libri sono noiosi, ti passa l’allergia per la biblioteca. Cherry, 2076”. Ma lei continua ad osservarlo, curiosa. «Ti piace?»
« Mi piace un sacchissimo! » dice con tutta l`enfasi del mondo, prendendo a sfogliare qualche pagina ed incappando anche in quella dedica che lo fa scoppiare in una risatina. « Non so se l`allergia mi passerà mai » rivela col sorriso « Però è bellissimo, come facevi a sapere che i libri di avventura sono i miei preferiti?? » magari non lo sapeva ed è andata a intuito, ma lui è super contento. « Grazie » finalmente la ringrazia anche fermandosi qualche secondo di troppo ad osservarla, con gli incisivi che mordicchiano il labbro inferiore in un sorriso mal trattenuto. Poi, con ancora il libro stretto in una mano, allunga il braccio libero per cercare di avvolgerle le spalle in un abbraccio un po` goffo che dovrebbe farla ritrovare un po` spiaccicata contro di lui. « Sei proprio carina » che è un po` il suo complimento basic per le ragazze, ma è veramente sentito sta volta.
Si sarebbe aspettata di tutto, tranne un abbraccio. Quando infatti il ragazzo le cinge le spalle con un braccio, le guance le si sporcano di rosso, e menomale che lui non può vederla, perché quel complimento di certo non migliora la situazione. Goffamente, la Corvonero cingerebbe il busto del ragazzo con entrambe le braccia esili, e poserebbe per qualche istante la fronte contro la sua spalla, nel tentativo di celare il rossore del viso. Che poi, come si risponde ai complimenti? Non ci ha mai pensato. «Anche tu.» Mormora alla fine, non sapendo esattamente come comportarsi.
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Haikyuu Quarta Stagione
“Non è divertente non provare cose nuove se sai che esistono”.
E anche questa stagione è andata. E io sono sopravvissuta. Perché ogni volta rischio la morte per arresto cardiaco, e ogni volta miracolosamente sopravvivo.
Sinceramente avevo dimenticato quanto sia bello Haikyuu, quante cose belle abbia.
Amo questo cartone, amo i suoi personaggi, le evoluzioni, l’adrenalina, le squadre, le strategie di gioco.
Sono due le cose che non ho amato di questa stagione, e le dico subito così da togliermi i sassolini dalle scarpe: le pause di metà puntata, e i disegni. Prima durante le pause avevamo i personaggi che tiravano la palla e facevano gli idioti, ora ci hanno dato questi animaletti che simboleggiano i vari personaggi e sono sì carini, ma, vi prego, ridateci i personaggi! #petizione. E poi ci sono i disegni, e ammetto di aver impiegato oltre metà stagione per accorgermene, ma a un certo punto ho visto un salto talmente disegnato male che non ho potuto non notarlo. Tornate a fare i vecchi disegni! #petizioneparte2
Ora passiamo alle cose belle.
Il ritmo come sempre è davvero ottimo. Anzi forse hanno spinto un po’ sull’acceleratore nella prima parte, ma è comprensibile visto che va bene il ritiro, la preparazione e gli allenamenti, ma quello che volevo vedere erano i nazionali, quindi capisco che non si siano soffermati troppo sulle cose precedenti.
A proposito di cose precedenti, il ritiro io non me lo aspettavo. Quando ho finito di vedere la terza stagione, con la Karasuno che riesce a qualificarsi per i nazionali vincendo contro la Shiratorizawa, io pensavo che la quarta stagione iniziasse subito con loro che approdano ai nazionali, non mi aspettavo un ritiro, anzi due, e addirittura un’amichevole.
Ma tutto questo ha il suo perché, e mi è piaciuto.
Kageyama viene invitato al Ritiro giovanile nazionale, dove quindi si ritrova circondato da giovani brillanti nella pallavolo, mentre Tsukkishima viene chiamato per un ritiro delle matricole promettenti della prefettura, dove può allenarsi e fare pratica.
Mi sono chiesta perché non avessero invitato anche Nishinoya a questo secondo ritiro, perché è obiettivamente uno dei giocatori più bravi e “epici” della Karasuno. Ma la serie mi ricorda che Nishinoya non possiede esattamente un tale livello di maturità per poter essere invitato a un ritiro del genere, è troppo coglione in pratica, quindi si attacca. #legit
Hinata chiede se c’è un invito anche per lui da qualche parte, e con tutta la delicatezza del mondo Tsukkishima gli fa notare che lui è troppo pippa per poter essere chiamato a un ritiro di qualsiasi tipo. Il Ritiro giovanile nazionale poi, è fantascienza per lui.
Grazie Tsukki per la tua onestà sempiterna.
Tra l’altro Tsukki si fa notare anche per la sua profonda empatia e per il suo commovente senso di amicizia, visto che per tutto il ritiro non caga Hinata di pezza. Hinata che, siccome non è stato invitato, ha deciso di autoinvitarsi. Giustamente.
Parliamo un attimo di questo.
Non sono dispiaciuta o infastidita che Hinata non sia stato chiamato, perché Hinata è ancora un giocatore molto scarso e poco versatile, ma trovo immaturo ed infantile che il vecchio allenatore della Shoratorizawa che l’abbia invitato non tanto per le sue capacità ancora scarse, ma, sostanzialmente, perché invidioso.
È da quando ha iniziato a giocare a pallavolo che a Hinata viene ripetuto che è scarso, che è troppo basso, che è una pippa, e a quanto pare non conosce nemmeno le basi fondamentali della pallavolo (Karasuno, magari una lezioncina fategliela), e che sa sì saltare ed è velocissimo, ma che senza Kageyama non ha utilità. E vedere che nonostante tutto Hinata non si arrende, non perde l’entusiasmo, e continua a pretendere di stare sul campo, di giocare, e di toccare anche lui la palla, deve riempire di non poca invidia il vecchio allenatore Tanji Washijō (mai saputo che si chiamava così, son dovuta andare a cercarlo lol), che da giovane si trovava nella stessa situazione di Hinata, perché anche lui basso, ma che al contrario del nostro piccoletto si è dato per vinto. Quindi per lui è inaccettabile che Hinata possa dimostrare che invece si può fare.
Un atteggiamento di questo tipo lo potrei accettare molto meglio da un coetaneo di Hinata, da un quindicenne, non da un uomo adulto di oltre settant’anni (sì, ho cercato anche l’età), e da cui ci si aspetterebbe una certa maturità e magari anche saggezza. Il problema non è la gelosia, perché quello è un sentimento umano, il problema è che quest’uomo dovrebbe avere la forza d’animo di passare oltre, riconoscere la determinazione di Hinata e incoraggiarlo.
La cosa bella è che, anche se l’allenatore lo fa rimanere solo come raccattapalle, Hinata non si scoraggia, rimane al ritiro, e osserva. E osservando, impara. Perché finora è sempre stato sul campo a esercitarsi, mentre adesso ha la possibilità di vedere come si muovono gli altri giocatori, e di vedere l’andamento di una partita da prospettive diverse.
Hinata è un personaggio semplicemente fantastico e ha tutta la mia stima. In continua evoluzione, dinamico, determinato, simpatico, scemo, ma pieno di sfumature geniali e sorprendenti (lo stesso Daichi afferma che a volte Hinata è ancora un vero e proprio mistero anche per loro). Per me rappresenta un raggio di sole in questa serie, che mi diverte e mi dà calore. Non è solo un personaggio che ti piace o che ami, ma a cui vuoi proprio bene.
In realtà questo vale per tutti i giocatori della Karasuno. Voglio bene a tutti, perché ognuno di loro impara a farsi voler bene.
Anche quello stronzo di Kageyama, che rimane sempre un po’ egocentrico e scontroso, come dimostra durante l’amichevole con la Dateko quando dice senza tanti complimenti a Nishinoya di essere tra i piedi.
Che momento trigghered è stato.
Trigghered per tutti (me compresa, perché Nishinoya non si tocca), ma non per lo stesso Nishinoya, che invece di infastidirsi e mandare Kageyama a quel paese, capisce subito cosa intende dire e agisce di conseguenza.
Ma il peggio esplode quando Kageyama si lascia andare a uno scoppio d’ira con Asahi perché non schiaccia le sue alzate, facendo riemergere per un momento quel Re Dispotico che era alle medie.
Kageyama è un personaggio estremamente umano, e lo amo per questo. Mentre Hinata si evolve più dal punto di vista del gioco ma rimanendo sempre la stessa persona, l’evoluzione di Kageyama, già un alzatore formidabile, è più psicologica e introspettiva. Ed è un percorso fatto di alti e bassi il suo, ci sono momenti in cui la vecchia personalità riemerge, perché si può sì cambiare, ma il suo carattere rimane quello, e la trovo una cosa molto realistica.
Uno dei momenti più belli di questa quarta stagione è quando Hinata incorona Kageyama Re del campo mettendogli un asciugamano piegato a mo’ di corona sulla testa. Asciugamano che Kageyama gli tira in faccia, perché questi due hanno un modo di dimostrarsi affetto tutto loro.
Ma vediamo di arrivare alla ciccia, e parliamo dei nazionali.
Due partite hanno giocato in questa stagione. DUE. Se andiamo avanti così, io viva al finale di Hakyuu non ci arrivo, non credo che il mio cuore potrà reggere.
Vado di spoiler cattivi perché voglio finire in fretta questo commento. Denunciatemi.
Una buona parte di me sospettava che avrebbero vinto contro l’Inarizaki, perché mi sembrava strano che giocassero solamente due partite in questi nazionali dopo che hanno sudato tanto per arrivarci.
MA QUESTO NON MI HA IMPEDITO DI MANGIARMI LE DITA E PREGARE TUTTI I SANTI DURANTE TUTTA LA PARTITA.
Una delle cose bellissime di Haikyuu è che riesce sempre a mettere in campo personaggi nuovi e interessanti, senza mai risultare ripetitivo. E non è che a questi nuovi personaggi viene data più importanza e prendono il sopravvento, no, anche quelli che conosciamo già continuano ad essere esplorati e gli viene dedicato spazio.
E su questi ultimi Haikyuu mi ha regalato delle vere e proprie perle in questa quarta stagione.
Ma prima i personaggi nuovi, e ce ne sono quattro che mi sono piaciuti.
Abbiamo Kōrai Hoshiumi (nome che ho dovuto chiedere a @dilebe06 perché non sapevo dove e come cercarlo), da me soprannominato “Il Targaryen” perché ha i capelli platinati ed è mezzo pazzo: non poteva esserci soprannome migliore.
Un giocatore piccolo come Hinata, un ragazzo orgoglioso che se la lega al dito quando le altre persone rimangono scioccate di fronte alle sue abilità perché non sembra possibile che un piccoletto come lui possa essere così bravo. Hoshiumi rappresenta la rabbia contro i pregiudizi, e ha ragione.
Abbiamo poi i due gemelli Osamu e Atsumu Miya detti Amamiya, una coppia vincente e talentuosa che prova e mette in atto la veloce di Hinata e Kageyama perché... quale momento migliore di provare a fare una cosa del genere se non durante i nazionali? Tanto noi siamo i super brothers, possiamo fare tutto. Copioni!
Beh però, tanto di cappello a loro perché ci provano... e ci riescono.
Mi sono piaciuti molto entrambi (Atsumu mi ha dato feels di Oikawa, quindi capirai...), ma ho nel cuore Osamu perché deve sopportare quello stronzetto di suo fratello.
Poi c’è il capitano della squadra, Shinsuke Kita, detto anche Shin, di cui mi sono subito innamorata perché se ti chiami Shin il mio cuore vola: un ragazzo freddo e logico nel dare le sue opinioni e per questo temuto dai suoi compagni di squadra, un giocatore non straordinario e non uno dei più bravi, ma è il cervello della squadra e ha fede nelle sue abilità, non in un modo arrogante, ma perché è sicuro di non sbagliare mai. Nonostante l’apparenza fredda tiene molto ai suoi compagni (la scena di Atsumu col raffreddore... awwww), è molto metodico e ripetitivo, e non va mai nel panico perché non c’è motivo di agitarsi per qualcosa che fai quotidianamente. Sei forse nervoso quando devi mangiare? Ecco, per lui vale lo stesso discorso con la pallavolo.
È uno di quei giocatori che non spicca durante una partita e che non rimane impresso per il suo talento, ma è uno di quelli grazie ai quali la squadra è unita, va avanti e vince.
E ora i vecchi personaggi, partendo dai membri della Karasuno.
Avrei davvero voluto abbracciare Tanaka in questa stagione. Sono molto contenta e grata che gli abbiano riservato uno spazio serio e introspettivo, e non abbiano continuato a dipingerlo sempre e solo come un idiota della squadra.
È vero che ce l'hanno sempre mostrato come un bravo giocatore sul campo, ma una cosa del genere ci voleva proprio.
Mi è dispiaciuto per lui nel sentirgli dire che si sente un mediocre in mezzo ai talenti della sua squadra: Asahi è l'asso ed è una bomba a schiacciare, Kageyama è un formidabile alzatore e con Hinata fanno la loro veloce, Nishinoya spacca nel ricevere, Tsukishima è ottimo nel murare ed è anche molto intelligente... lui in cosa è bravo?
La sua insicurezza e il suo senso di inadeguatezza li ho trovati molto umani e credibili.
Uno dei punti di forza della Karasuno è che non vieni mai lasciato da solo. In questo frangente Tanaka può contare sulle alzate incredibili di Kageyama, che anche se continua ad avere un carattere un po' di merda non è più il re dispotico di una volta e capisce di doversi adeguare ad ogni schiacciatore della squadra.
La schiacciata parallela di Tanaka è semplicemente incredibile, e mi ha fatta morire come tutti i compagni di squadra corrono verso di lui per festeggiare, e poi c'è quell'asociale annoiato di Tsukishima che si congratula a modo suo.
Ma se ho amato Tanaka, come posso descrivere quello che ho provato per Nishinoya?
Non so se l’ho mai detto prima, ma io ho un debole per Nishinoya. È un bravo coglione, e io adoro i personaggi così. Mi piace un sacco il fatto che nella vita di tutti i giorni sia il più grande cretino sulla faccia della terra, per poi prendere molto seriamente la pallavolo nel momento in cui entra sul campo da gioco.
Capisco il discorso di non averlo invitato al ritiro perché non sembra avere una certa maturità - “l’incidente sexy” rimarrà per sempre uno dei momenti più esilaranti di Haikyuu - ma durante la partita contro l’Inarizaki Nishinoya si è completamente riscattato: ho adorato il suo approfondimento, la sua nostalgia, il suo racconto dell’infanzia, la sua serietà, il suo silenzio, i suoi palpabili nervi tesi per l’essere preso di mira, la sua ammissione di avere avuto paura. È sembrato quasi saggio.
E voi non lo avete invitato al ritiro perché dite che non è abbastanza maturo?
#giustiziapernishinoya
Nishinoya è quello che salva la palla con i salvataggi dell’ultimo secondo - salvataggi epici - e lo adoro per questo. Mi fa venire dei colpi tremendi, ma lo adoro. Ed è quello a cui piace provare cose nuove perché è questo il vero divertimento: ecco perché riceve la palla con un palleggio sulle dita piuttosto che con il solito bagher. Bello anche Kinoshita che lo incita a muoversi perché “se sei spaventato, fatti aiutare”.
E io qui mi sono commossa.
Nishinoya ha rotto il ghiaccio, e da quel momento in poi sono stata con la lacrima facile.
Mi sono mangiata gli ultimi episodi perché Haikyuu è così: quando cominci una partita la devi finire, non esiste interromperla e continuare la visione il giorno dopo. Se aspettassi, non arriverei al giorno seguente.
Se Nishinoya mi ha commossa, Hinata ha proprio rotto la diga delle mie ghiandole lacrimali.
VOGLIAMO PARLARE DELLA SUA PRIMA RICEZIONE IN PARTITA???
Nishinoya è il mio eroe personale, ma il vero eroe di questa storia è Hinata, e questa quarta stagione è sulla sua evoluzione, sul suo riscatto, su come stia scoppiando come giocatore.
Adoro l’amore di Hinata per la pallavolo, fa venire voglia di giocare pure a me. Il suo entusiasmo è contagioso, e lo dimostra quando incoraggia quel ragazzo alto al ritiro facendogli capire che l’essere così alti è una vera fortuna. La cosa bella di quella scena è che Hinata lo incoraggia senza volerlo: l’ho detto che questo è uno scemo e un genio allo stesso tempo.
Ma sto tergiversando.
La sua prima ricezione in partita è bellissima: è il frutto della sua attenta osservazione, della sua voglia di provare qualcosa di diverso perché lui non è solo quello che fa la veloce, è il suo coraggio di mettersi in gioco.
La sua buona riuscita lascia tutti di stucco, perché nessuno si sarebbe mai aspettato una cosa simile da Hinata - ora la finirete di sottovalutarlo?? - e volevo mandarli tutti a cagare quando perdono il punto e si buttano giù di morale. Immagino quanto possa essere frustrante, ma avete perso un punto, non la partita, e avete visto cosa ha fatto Hinata??? Vogliamo parlarne?!
Hinata non sta nella pelle dalla contentezza, ma siccome Kageyama è un grandissimo pezzo di stronzo - ma gli vogliamo bene per questo - afferma di non aver visto la ricezione, e io rido tantissimo.
Ma il mio momento preferito di questa partita, di questa quarta stagione, e in generale uno dei miei preferiti di tutta Haikyuu, è il punto finale.
Mentre guardavo la partita, siccome immaginavo la loro vittoria, mi sono chiesta come avrebbero vinto, chi e in che modo avrebbe segnato il punto decisivo, e speravo davvero che non si sarebbe conclusa con la classica alzata di Kageyama e conseguente schiacciata di Hinata, perché sarebbe stato troppo banale e anche ripetitivo.
Il modo in cui è finita è andata oltre le mie aspettative.
Hinata e Kageyama che murano la loro stessa veloce messa in atto dai fratelli Miya è qualcosa di poetico, bello, giusto e romantico tutto insieme.
I due hanno visto con i loro occhi come la loro specialità non sia poi così speciale, e che non è invincibile, quindi, invece che chiudersi nella rabbia e nella frustrazione come avrebbero potuto fare, hanno fatto tesoro di questa lezione e agito di conseguenza.
(Questi adolescenti sono più maturi di Tanji Washijō lol)
Come commenta Tsukishima, solo loro potevano murare quella veloce: questa è poesia.
E sì, è anche romantica. Perché questi due scemi non si sono mica messi d’accordo, sono saltati per murare nello stesso momento, senza dirsi niente, con lo stesso obiettivo: scusate ma qui li devo proclamare anime gemelle.
Ho guardato tre stagioni di Haikyuu sapendo della ship di Hinata e Kageyama ma senza mai shipparli perché non ci sono mai riuscita, ma guardando quella scena e al suo significato, beh, il mio cuore vola.
Hinata e Kageyama si completano a vicenda: uno è solare e scarso, l’altro non sa socializzare in modo adeguato ed è formidabile; uno schiaccia e l’altro alza. Poco importa se passano l’80% del tempo ad insultarsi, tutti noi sappiamo che sono fatti l’uno per l’altro.
MI È PARTITA LA SHIP.
Ma andiamo avanti con le considerazioni veloci.
Mi sono piaciute molto alcune cose: come Asahi che cerca nella sua timidezza di incoraggiare Nishinoya come il compagno ha fatto con lui decine di volte in passato (Asahi sei sempre il mio cucciolone), o come Tsukishima che sa di potersi fidare di Hinata quando capisce di non riuscire a murare gli avversari.
Mi piace molto il personaggio di Sugawara, che non evolve e non è interessante, ma proprio per questo dà equilibrio alla serie, e si fa comunque notare per la sua arguzia e le sue capacità strategiche.
Carinissimi, e in un certo modo anche commoventi, i tre ragazzi del terzo anno: Sugawara, Asahi e Daichi. I più grandi, i più saggi, i più tranquilli. Le radici della squadra, il motivo per cui la Karasuno esiste ancora. Spesso mi dimentico che nel momento in cui dovessero perdere una partita, sarebbe la loro ultima con quella squadra, quindi immagino quanto ci debbano tenere e comunque non voglio pensare ai pianti che si faranno e che mi farò quando tutto sarà comunque finito.
Apprezzo molto tutti quei personaggi di contorno, come l’allenatore o gli spettatori, che commentano le partite in diretta: i loro commenti sono sempre molti utili per seguire meglio l’andamento e per capire le azioni svolte.
Ci sono mille scene e momenti che mi hanno fatta piegare dalle risate, come i commenti dei ragazzi, il rapporto intriso di odio tra Tsukishima e Kageyama, Hinata che si dimentica di schiacciare perché troppo contento per il salto, Tanaka che “fraintende il fatto di aver frainteso” (lol tutta la vita), o il povero Tsukki che viene incastrato a fare da baby sitter per Hinata e Kageyama.
Haikyuu è un incredibile e ottimo mix tra risate e lacrime, perché a fine partita non puoi fare altro che piangere di gioia, e liberarti di tutta la tensione accumulata durante il match.
Ed è sempre bellissimo come questo anime riesca a farti amare anche le squadre avversarie, rendendole sfaccettate e tridimensionali invece che dipingerli come dei cattivi antipatici da sconfiggere. La trovo una cosa molto matura e un bel passo avanti rispetto ad altri cartoni.
Ultimissime cose.
Kenma, sei intelligente, machiavellico e hai un cervello incredibile, eppure non hai entusiasmo e voglia di giocare. Non sai quanta rabbia mi fai. Tsukkishima uguale (o dovrei dire, Fiaccoshima?)
Come faccia un coglione strambo, lunatico, esibizionista, eccentrico come Bokuto ad essere uno dei tre migliori giocatori del Giappone, Dio solo lo sa.
Hinata, Kageyama, Nishinoya... tutti bellissimi, ma il vero re di Haikyuu per me rimarrà per sempre Oikawa, il cui cameo vale oro.
Voto: 8.4
#haikyuu!!#haikyuu to the top#anime#japan anime#hinata shoyo#tobio kageyama#oikawa tōru#bokuto#atsumu miya#osamu miya#yu nishimura#kei tsukishima#karasuno#pallavolo#volleyball
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Ciao! Avete mai pensato di utilizzare i bug del cervello per vendere eticamente? In questo articolo proverò a fare una lista di baias cognitivi e come possono essere utilizzati per la vendita.
Ovviamente parliamo di una vendita etica, non per fregare la gente.
**Inoltre potrete capire che trucchi possono essere utilizzati su di voi. **
Achoring Baias => è un pregiudizio cognitivo in cui un individuo dipende troppo da un'informazione iniziale offerta per formulare giudizi successivi durante il processo decisionale.
Esempio: vendere significa truffare la gente.
Voi continuate ad insistere dicendo “ Non è vero, non è vero”
Il vostro interlocutore continua a pensarlo
Come risolverlo. Ci sono modi diversi. Le opzioni sono due
Emotivo => comunicazione del brand emotiva e priori
Lógico => un discorso che deve terminare con “ Come vede le sue tesi sono infondate signor Mancini” . Ricordarsi che la logica quasi mai vende.
Una frase che ho notato funzioni molto è sottolineare le condizioni che obbligano la persona all’ acquisto e dire una frase del tipo:
“Anche se io ti ho convinto a comprare lo yogurt tu lo yogurt lo avresti comprato lo stesso perché dovevi fare la cacca”
Il che è una palese presa in giro, perché l’olio di ricino, la crusca, le prugne avrebbero dato lo stesso effetto. Ma non menzionarle e dire di non avere scelta a volte fa sentire senza scelta davvero.
Availability Euristic => L'Euristica della disponibilità è una scorciatoia mentale che si basa su esempi immediati che arrivano alla mente di una determinata persona quando valuta un argomento, un concetto, un metodo o una decisione specifici.
“ Gli squali non sono abituati alla carne umana, quindi non la cacciano. Noi siamo per gli squali come il Sushi per tua nonna. Potrebbe mangiarlo ma non è abituata e quindi non lo fa”.
Questo argomento è sostenuto d una scorciatoia mentale => le nonne amano i piatti tradizionali e non il Suhi ( fatto tutto da dimostrare)
Se andate da persone che :
Da anni hanno bisogno di servizi di informatica
Di marketing
Di Vendita
Che già usano quei servizi, è estremamente facile che compreranno i vostri se li sapete vendere meglio. E dentro questo gruppo ci sono tutte le informazioni per essere e vendersi al meglio.
Bandwagon Effect : Lavoro per ( aggiungiere nome di grande brand ) . Se una cosa è stata scelta di molti la vostra proposta verrà maggiormente sottolineata. Se avete fatto centinaia di clienti mettetelo nel sito. Evitate di dire che avete lavorato con grandi brand. Viviamo nell’era della terziarizzazione dove io ho fatto la voce di Google Maps 4 anni fa ( se il vostro google bestemmia in marchigiano sapete chi è stato), ma non vado a dire in giro che ho lavorato per google. A meno che non abbiate lavorato in reparto o influito in modo significativo, non è rilevante dirlo
l bias blind spot è il bias cognitivo di riconoscere l'impatto dei bias sul giudizio degli altri, mentre non si riesce a vedere l'impatto dei bias sul proprio giudizio
Io che parlo
“La gente è proprio scema a comprare servizi da 300 euro al mese di SMM sperando di beccare un cliente”. Ma io sono la stessa persona che scrive come un pazzo due ore al giorno per il mio blog su Tumblr sperando che la mia content strategy mi aiuti ad procurarmi lead. Con scarsi risultati. Ma io sono un fighissimo scrittore di nicchia, loro no. O almeno questo è quello che penso nella mia testa.
Per vendere, basta fare leva sul confirmation Bias, e non dire la verità ( che 1 post su 10 becca 10 like e gli altri 2 di cui uno da una vecchietta che mis talkera)
Choice supportive baias => La distorsione a supporto della scelta o la razionalizzazione post-acquisto è la tendenza ad attribuire retroattivamente attributi positivi a un'opzione che è stata selezionata e / o a ridurre le opzioni dimenticate
Quello che pensa il cliente dopo che ha acquistato per 450 euro un servizio di SMM a 5 post a settimana con immagini, due video da 4 minuti al mese, gestione delle ads, copy, pixel installato, e sis ente soddisfatto del suo acquisto. A due mesi di distanza e zero risultati l’ effetto del baias svanisce.
Note: se fai parte di quel gruppo di persone che con 450 euro e un sacco di content riesce a ottenere risultati, ti faccio i miei complimenti: ora inizia a venderti almeno per 800
Clustering illusions => tre amiche sono state tradite dal ragazzo, quindi tutti i ragazzi tradiscono. Il fatto che un evento ripetuto vicino a noi possa darci l’illusione di essere una statistica. E così non è. In particolare questo genera obiezioni sull’efficacia del marketing, del servizio vendite, e di qualunque servizio al mondo. Semplicemente sappiate quali KPI la vostra azienda cliente deve monitorare, e leggeteli in modo da capire se potette aiutarli o meno.
Confirmation bias. Se mi faccio un’idea tendo a confermare questa . Motivo per cui si dice sempre la prima impressione è quella fondamentale.
Questo porta ad un paradosso che vi voglio presentare: il paradosso delle figure di merda: all’aumentare delle pessime figure aumenta la possibilità di migliorare la propria presentazione.
Da qui deriva l’ assunto: se sei agli inizi invia pure email con l’ indirizzo [email protected], manda email scritte male formattate peggio e senza firma ( come faccio io regolarmente e perdendo anche clienti grazie a questa pratica) , manda presentazioni scarse della tua azienda, a patto che la gente ti invii un feedback. Ecco, se non ti metti a piangere perché il cliente brutto e cattivo ha ferito i tuoi sentimenti, potresti ottenerne un discreto vantaggio.
A patto che il potenziale cliente ti risponda, tu continua a chiedere e a migliorare. Io con alcuni sono arrivati a pagarli per avere un feedback.
Conservation bias. La gente se deve scegliere se dare da mangiare alla famiglia o a voi, sceglie la famiglia. Certo a livello mondiale il concetto di conservazione è diverso. In Italia le spese di marketing le scarichi e c’ è chi con 20k in banca non investirebbe 1000 eu al mese x 3 mesi nemmeno con una pistola puntata alla testa. Di base il trucco e far diventare la narrativa del costo per acquisizione cliente un mantra in modo da normalizzarlo. Se ci fossero più post sull’argomento visti da migliaia di imprenditori, allora si potrebbe abbattere la barriera di coloro che vedono i costi di marketing come un extra.
Paradosso di Stockdale: coloro che sovrastimano gli esiti positivi di un’attività tendono a fallire più facilmente ( cfr capitolo sull’imprenditoria nel libro) questo perché ci sis sente più arrivati e più protetti, in realtà il cigno nero è dietro l’ angolo
Conservative Minset: il nostro cervello è fatto per essere conservativo e per vedere ogni cambiamento come brutto, sporco e cattivo. Più rendiamo questo cambiamento che rappresentiamo per gli altri quando vendiamo come supponente, arrogante, shady, pesante, mutatore, rivoluzionario, peggiori saranno i risultati,
Di contro, se riuscite ad essere divertenti, chiari ed esplicativi, a legarvi con la realtà delle persone, più facile sarà la vendita.
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35 anni in una settimana
Parole: 11248 (e pensare che non volevo superare le 3000 parole…)
No beta, we die like men
Fandom: Sanremo RFP
Ship: Amadello/Amarello
Avvertimenti: Bed sharing (molto bed sharing), sviluppo confuso, sdolcinatezza, angst (?), Fiorello è confuso per l’80% del tempo, Amadeus è più sicuro di quanto non dia a vedere, internalised homofobia (solo un po’, appena menzionata, non spaventatevi), Pining, praticamente è la parte finale di una lunga slow burn (quindi senza l’effettiva slow burn), Smut (o il mio penoso primo tentativo con dello smut)
Note autore: Sono solo contenta di averla finita, non so che altro dire. Perdonatemi per la parte smut (è davvero il mio primo tentativo)… Non l’ho riletta quindi non so neanche se segue un filo logico
Ringrazio @just-one-more-fandom per l’idea
Ci sono quei momenti in cui ti capita di poter fare qualcosa di grande, qualcosa di incredibile, qualcosa che assolutamente non ti saresti mai permesso di sognare nella tua vita. Puoi anche aver acquistato fama ed approvazione, ma ci sarà sempre una vocina nella tua testa che ti dice “questo non è il posto per te, non meriti di stare qui, rovinerai tutto.”. Un artista per natura è abituato a questo tipo di pensieri, non può non esserlo. I dubbi e le insicurezze ti possono assalire in ogni momento della tua carriera, in ogni momento della tua vita. E come si può fare in questi casi? Come fa Rosario Fiorello, in fondo un signor Nessuno, ad affrontare la possibilità di co-condurre il settantesimo Festival di Sanremo a fianco del suo migliore amico? È un avvenimento troppo bello per essere vero, eppure Fiorello sa che domani è il primo giorno del Festival, sa che domani sarà realtà. E per questo non può dormire.
È un tipo d’insonnia che lo fa agitare. Non è semplicemente non riuscire a trovare sonno: sente che il suo corpo è attraversato da scariche di energia, che il suo cuore continua a battere troppo veloce e che è pervaso da un profondo bisogno di muoversi o di scappare. Non ha scampo da un’agitazione simile. Per un breve momento gli passa per la testa l’idea di andare a farsi una passeggiata e non tornare. Forse se cammina abbastanza spedito può arrivare a Genova per quando dovrebbe iniziare il Festival. Forse. Sa solo che per adesso ha bisogno di uscire, che la stanza in cui si trova è soffocante e deve muoversi assolutamente o rischierà di impazzire. Si veste, in fretta e furia, ed esce.
Si blocca appena chiude la porta. Dall’altro lato del corridoio vede la porta della camera di Amedeo. Fissa il numero sulla porta per qualche istante, prova a voltarsi verso il corridoio per uscire, ma alla fine ritorna a fissare quella porta. “Al diavolo!” si dice nella sua testa prima di marciare deciso verso la stanza. Si ferma ancora un momento, all’improvviso, ad un soffio dalla porta. Alza un braccio, si morde il labbro, scuote la testa e finalmente bussa.
C’è un momento subito dopo il leggero rumore delle sue nocche contro la porta, in cui Fiorello si irrigidisce e sente una vampata di calore prendergli la faccia, con la realizzazione di quello che ha appena fatto. È quasi l’una di notte e lui sta svegliando Amedeo prima dell’inizio di Sanremo. È una pessima idea sotto ogni aspetto. Fiorello resta in tensione, dibattendo la possibilità di correre via e far finta di non aver mai avuto questa pessima idea, ma prima che possa trovare la forza per muovere le gambe, Amadeus apre la porta.
È in pigiama, ovviamente, strizza gli occhi per la difficoltà ad adattarsi alla luce del corridoio ed ha il classico aspetto disorientato di chi si è appena svegliato. «Rosario?» bisbiglia con voce rauca appena riesce a mettere a fuoco la faccia dell’amico. La voce nella testa di Fiorello gli sta urlando di andarsene, ma non riesce a muoversi e non gli resta che rispondere evitando al meglio che può di guardare il suo amico negli occhi «Ehi… Ehm… Io… Ecco… Uhm… Non riesco a dormire… Eh…» fatica a parlare e quasi soffoca sulle sue stesse parole e poi butta fuori la domanda che gli frulla in testa come se stesse lanciando una patata bollente «Posso dormire qui?» chiede. Amadeus strizza ancora di più gli occhi, se possibile, e corruga la fronte mentre si sforza di elaborare la domanda «Qui? Nella mia camera?» chiede, confuso e sorpreso, ma apparentemente non infastidito dall’idea. Fiorello non riesce a rispondere e si limita ad annuire, subito imitato da Amadeus in un gesto di comprensione. Il conduttore non aggiunge altro e si limita ad aprire la porta e tornare ciondolante verso il proprio letto.
Fiorello entra nella stanza con cautela, quasi vergognandosi, come se fosse un ladro. Amadeus ha acceso una lampada su uno dei comodini che gli permette di vedere dove sta mettendo i piedi. «Mettiti pure dove vuoi… C’è un divano, c’è un tappeto… Personalmente ti consiglio il letto, non solo è comodo e grande abbastanza per tre persone probabilmente, ma non sarebbe la prima volta che dormiamo nello stesso posto, quindi non fare troppi complimenti… Domani dovrai spiegarmi qual è il problema però… Okay?» dice Amadeus prima di sdraiarsi di nuovo nel letto e chiudere gli occhi. Fiorello annuisce, più a sé stesso, dato che il suo amico non può vederlo e dopo essersi tolto i pantaloni e la felpa che aveva addosso si stende nel letto accanto ad Amadeus, facendo attenzione a rimanere almeno ad una decina di centimetri di distanza. Il conduttore senza aggiungere niente spegne la luce.
È surreale. Amadeus ha reagito in maniera così rilassata all’essere svegliato all’una di notte il giorno prima del momento più alto della sua carriera da conduttore. Fiorello pensa che sia normale aspettarsi un comportamento simile dopo tutti gli anni che sono stati amici, ma non riesce a fare a meno di sentirsi strano. Amadeus non si è infastidito neanche un po’, non ha fatto domande su cosa non andasse bene, non ha preteso che dormisse sul divano. L’ha solo lasciato entrare come se fosse stata casa sua. E la cosa ancora più strana è che adesso Fiorello non sente la stessa agitazione di prima. L’energia che lo riempiva fino a qualche minuto fa è scomparsa e finalmente sente il sonno appesantirgli le palpebre.
La mattina dopo Amadeus tratta il suo amico con la stessa tranquillità e naturalezza della notte scorsa. Si alza, si veste e si prepara come se niente fosse, mentre Fiorello resta seduto sul bordo del letto troppo spaventato dall’idea di disturbare la sua routine per muoversi. Si è rivestito, ma non accenna a muovere un muscolo. «Ciuri, abbiamo qualcosa come venti interviste e due conferenze stampa, forse è il caso se ti prepari anche tu.» dice Amadeus in tono pacato mentre gli passa davanti per afferrare una giacca da una sedia nell’angolo della stanza. Fiorello scatta in piedi «Ehm… Sì… Adesso torno nella mia camera… E mi preparo… Uhm… Grazie per… L’ospitalità.» dice rischiando quasi di soffocare su ogni parola e subito si avvia verso la porta «Aspetta!» lo ferma il conduttore e Fiorello sente un brivido che gli percorre la schiena, il panico che sale «Non mi hai detto perché non riuscivi a dormire ieri… È successo qualcosa? Mi devo preoccupare?» aggiunge subito il conduttore osservando Fiorello che si è fermato ad un passo dalla porta.
Lui vorrebbe scuotere la testa e dire che no, non va tutto bene, perché è confuso, perché non capisce come i suoi problemi d’insonnia si siano risolti in un attimo ieri notte, perché il Festival inizia oggi e Amadeus dovrebbe essere quello che non riesce a dormire dall’ansia non lui, perché sente che questo Festival potrebbe essere l’inizio o la fine di tutto, ma non è sicuro del perché. «Io… Sai normale insonnia, un po’ d’ansia… Niente di che… Scusami per il disturbo, non era assolutamente mia intenzione romperti i coglioni la notte prima del Festival…» risponde Fiorello giocherellando con la manica della sua felpa. «Ciuri… Nessun disturbo… Siamo amici da più di trent’anni, come mai potresti darmi fastidio? Sentiti libero di venire a dormire qui quando vuoi, se ne hai bisogno. L’insonnia si combatte meglio se hai la compagnia di qualcuno.» risponde il conduttore sorridendo ampiamente, mentre Fiorello, che non ha idea di cosa dire o cosa fare, esce per tornare nella sua stanza.
La giornata passa più in fretta di quanto tutti vorrebbero, improvvisamente è già sera e il pubblico sta entrando dentro all’Ariston. Il Festival è cominciato. Amadeus, Fiorello e Tiziano Ferro continuano ad alternarsi sul palco, tra gli ospiti e i partecipanti. Le ore passano, ormai è notte e finalmente annunciano la classifica della serata. Il pubblico esce dal teatro con la stessa energia di un’orda di zombie, troppo stanchi per capire dove si trovano.
«I costumi potevi risparmiarteli…» commenta Amadeus mentre ritorna verso l’albergo con Fiorello. L’amico ride «E tu potevi risparmiarti le battutine sulle polemiche che hai ricevuto… Ma ormai è andata. Ed è andata molto bene direi.» Fiorello sorride e Amadeus si rende conto che è troppo pieno di energia per essere le tre di notte «Fiore… Mi sembri… un po’ iperattivo? Ce la fai a dormire in queste condizioni?» chiede cercando di non sembrare troppo preoccupato. Il sorriso di Fiorello scompare per un secondo e spalanca gli occhi, puoi scuote la testa e ritorna a sorridere «Certo, certo… Sono solo… Sai adrenalina dalla serata… Adesso, io… ehm berrò qualcosa e vedrai che crollerò come un sasso.» risponde Fiorello cercando di suonare tranquillo, ma crede di non esserci riuscito.
Si sente pieno di energia, ma sa che non si tratta più di agitazione o di ansia. La serata ormai è passata ed è andata bene. È andata splendidamente bene. Non è possibile che abbia ancora dei residui di ansia, eppure non riesce a calmarsi. Sarebbe pronto per salire di nuovo sul palco e fare altre dieci serate tutte in una volta, sarebbe pronto per cantare fino a perdere la voce, sarebbe pronto per ballare fino a crollare come un sacco di patate. È quello il punto? È lo show che lo ha caricato così tanto? Certamente si tratta di adrenalina, ma possibile che si ritrovi a volerne ancora? È come se fosse carico in attesa della prossima serata. La voce di Amadeus lo riporta alla realtà «Fiore! Non puoi stordirti a furia di alcolici! Non te lo permetto. Piuttosto torna a dormire nella mia stanza… Dovresti riuscire a rilassarti meglio… E se resti sveglio almeno non sei da solo.» Amadeus ha un tale sguardo di rimprovero misto a sincera preoccupazione che Fiorello non riesce a dirgli di no. E nell’esatto momento in cui accetta si sente più calmo, l’energia scivola via di nuovo e il peso della giornata gli cade addosso tutto in un colpo.
Fiorello stavolta può almeno prendere il pigiama dalla sua camera prima di andare da Amadeus, ma si ritrova ancora ad esitare davanti alla porta prima di bussare. Amadeus gli apre la porta con lo spazzolino da denti in bocca e gli fa un gesto con la testa per invitarlo ad entrare prima di spostarsi per tornare in bagno. Fiorello si muove ancora con cautela, come se fosse in territorio ostile, si sdraia sul letto e cerca di rimanere il più vicino possibile al bordo. Quando Amadeus ritorna da bagno e si sdraia nella sua parte del letto, ride dell’amico. «Ciuri, puoi anche evitare di rischiare di cadere appena ti addormenti. Dai, mettiti più vicino. Prometto di non prenderti a calci nel sonno.» dice il conduttore mentre sistema la sua posizione e Fiorello azzarda a muoversi di qualche centimetro verso il centro del letto. Con l’oscurità, la presenza di Amedeo accanto a lui e la ritrovata tranquillità, riesce ad addormentarsi di nuovo.
La mattina Fiorello si sveglia per primo e si ritrova con il volto di Amadeus ad un centimetro di distanza dal suo. Riesce a trattenere un sussulto di sorpresa e si allontana leggermente cercando di non fare rumore. Osserva attentamente l’espressione rilassata del conduttore, il leggero movimento dell’angolo delle sue labbra e il lento alzarsi ed abbassarsi del suo respiro. È una visione che lo riempie di una profonda sensazione di pace. Appena le palpebre di Amedeo iniziano a muoversi, lui si sente subito invaso dal panico. «Rosario…» sussurra il conduttore senza aprire gli occhi. Fiorello non è certo se stia ancora dormendo oppure no. Decide, per qualche motivo a lui oscuro, di non restare per scoprirlo. Esce con cautela da sotto le coperte ed esce dalla stanza in punta di piedi. Sta decisamente scappando. “Ma da cosa?” È la domanda che continua a frullargli in testa tutta la giornata.
Amadeus non fa una sola menzione al comportamento di Fiorello di quella mattina se non a sera, pochi minuti prima di salire sul palco, con una tranquillità che sembra quasi fuori luogo sul palco dell’Ariston «Ah, a proposito Ciuri, non sei costretto a fuggire come un ladro la mattina. Non mi disturbi, davvero.» dice in torno rassicurante prima di lasciarlo piantato lì da solo nel backstage a riflettere sulle sue parole. Fiorello lo osserva. Sul palco è completamente diverso. Quell’atteggiamento naturale e tranquillo che ha adottato con lui in questi giorni scompare. È teso. Costantemente teso. Sempre preoccupato, sempre insicuro, sempre sull’orlo di una crisi di nervi, tranne che quando si trova in sua compagnia.
Anche dopo la seconda sera di Festival Fiorello si sente pervaso dalla stessa irrequietezza delle sere precedenti e anche in questo caso, la calma sopraggiunge appena ha la conferma di poter dormire nuovamente nella camera di Amadeus. Solo che questa volta non dorme come un sasso fino alla mattina dopo. Si sveglia nel mezzo della notte e si rende conto che la testa di Amedeo è appoggiata sulla sua spalla, il suo respiro arriva direttamente contro il suo collo e una delle sue mani è appoggiata sulla sua vita. Fiorello si sente pietrificato per qualche minuto, finché non trova il coraggio di spostare delicatamente l’amico ed allontanarsi da lui di qualche centimetro. Ci mette comunque svariati minuti a riaddormentarsi perché ha l’inspiegabile sensazione di essere in fiamme. In particolare il fianco dove fino a poco tempo prima c’era la mano di Amadeus, la spalla dove era poggiata la sua testa ed il collo dove ha sentito il suo respiro, gli sembra che siano stati marchiati a fuoco.
Nonostante la difficoltà a riaddormentarsi, Fiorello dorme come un bambino. Crede di non aver dormito così bene da anni. Si sveglia sentendosi più leggero, come se fosse ringiovanito di dieci anni. Appena ha il tempo di capire dove si trova però, si sente subito bruciare come la notte precedente. Stavolta sta dando le spalle ad Amedeo, ma il corpo di lui è appoggiato contro la sua schiena, le sue braccia sono avvolte intorno alla sua vita, le mani sfiorano le sue e la sua testa è direttamente appoggiata al suo collo. Le labbra di Amadeus sono a pochi millimetri dalla sua pelle e lui riesce a sentire ogni leggero sospiro che emette. Forse ancora avvolto nel sonno il conduttore si stringe un pochino di più a lui e mugugna appena «Rosario…» Fiorello riesce a sentire ogni leggera vibrazione del suono del suo nome sulla pelle del suo collo e crede di star per esplodere.
Vuole disperatamente scappare, cercare di capire che cosa gli è preso, perché improvvisamente è così strano stare con il suo migliore amico da trentacinque anni, magari visitare un bravo psicologo. Non è che non ci sia mai stato contatto tra di loro, anzi c’è stato spesso. Non solo sono italiani e migliori amici, ma entrambi hanno origini siciliane, insomma il contatto fisico è all’ordine del giorno. È naturale, è frequente e non ha mai causato problemi. Quindi perché adesso all’improvviso Fiorello va in tilt appena Amadeus accenna a toccarlo? Anzi, non esattamente ogni volta che lo tocca, perché in queste due serate hanno avuto parecchi contatti sul palco che non gli hanno provocato quell’effetto. No, quella sensazione… Quella sensazione così strana di calore, di agitazione, di confusione… Quella capita soltanto quando sono nel letto di Amadeus.
Riesce a spostarsi quel tanto che basta per sfuggire alla presa del conduttore e quasi cade dal letto. Si mantiene quasi per miracolo sul bordo del materasso e subito controlla di non aver svegliato Amadeus. Lui si muove appena, chiaramente confuso dall’assenza del corpo di Fiorello mugugna ancora «Rosario…?» e poi lentamente apre gli occhi tornando piano piano alla realtà. Appena mette a fuoco Fiorello sorride ancora intontito dal sonno e lui per un momento crede di star sognando. Amedeo. Ama. Il suo migliore amico. È lì, avvolto nelle coperte che lo guarda con gli occhi ancora semichiusi dal sonno e sorride beato come se avesse appena visto… un cucciolo. Questo non è normale, questo è nuovo, questo non è una cosa da loro. Fiorello è sicuro che in trentacinque anni non ci siano mai stati momenti come questo e per un attimo una voce nella sua testa risponde “ma vorrei che ci fossero stati, tanti, tantissimi momenti come questo.” Fiorello scuote la testa e cerca di tornare alla realtà, ma nel farlo cade sul serio dal letto. Amadeus scoppia a ridere e lui si tira su di scatto cercando di far finta di non essere imbarazzato. «Rosario, tutto bene?» chiede Amadeus improvvisamente più sveglio. Fiorello annuisce «Sì, certo, certo… Ehm… Buongiorno… Scusa, ma perché mi chiami per nome? Non mi chiami mai per nome, sempre “Fiore” o “Fiorello” o… “Ciuri” …» Fiorello si strozza quasi sull’ultimo appellativo, come se gli fosse difficile dirlo. Il conduttore fa spallucce «Non lo so… Non posso chiamarti per nome? Puoi chiamarmi “Amedeo” se ti fa sentire meglio» risponde con calma. «No, no certo che puoi chiamarmi per nome… Solo che… Non importa.» si arrende Fiorello concludendo la conversazione con un gesto della mano. Si affretta a salutare e tornare subito verso la sua stanza.
La terza serata del Festival scorre confusa per Fiorello. Si ritrova carico come una molla, con l’urgenza di scaricare da qualche parte la sua confusione e la sua frustrazione nel non riuscire a capire perché è così diverso con il suo amico. È una delle prime volte dopo tanti anni che ha l’occasione di fare una trasmissione con lui e non una trasmissione qualsiasi: il settantesimo Festival di Saremo. È LA trasmissione. Possono lavorare insieme tutti i giorni, passare nel tempo insieme in albergo… In un certo senso è come una gita scolastica: un’occasione di divertimento e di avvicinamento che non è possibile nella vita di tutti i giorni. Forse è per questo che tutto sembra diverso? Forse è per questo che non riesce a non pensare al modo in cui, se pur per dei brevi momenti, Amadeus lo ha toccato durante la notte? Con… Intimità… Ma un’intimità che non deve chiedere il permesso a nessuno, che non deve chiedere una giustificazione o un contesto… Un’intimità che non deve dimostrare di essere dovuta ad una lunga amicizia per esistere.
Fiorello passa tutta la terza sera a cercare sempre più contatto con Amadeus, vuole vedere se riesce a riprodurre quella sensazione spaventosa e meravigliosa che ha provato nelle ultime sere in un contesto pubblico ed aperto come quello del palco. Scopre molto presto che non ci riesce in alcun modo. La semplicità e la naturalezza di quei gesti non hanno posto nell’intenzione e nell’esagerazione di Fiorello. La riservatezza e l’intimità non hanno posto nel pubblico e nello spettacolo. I silenzi ed i sussurri non hanno posto negli applausi e nei microfoni. Non ha modo di ottenere quello che cerca se non da Amadeus, nel suo letto, nel cuore della notte.
Questa volta Fiorello si è caricato di un’energia completamente diversa da quella delle altre sere. È sì agitato, è sì impossibile da tenere fermo, ma per la frustrazione. Perché il mondo ha deciso di negargli la tranquillità e la serenità che gli hanno donato i gesti intimi di Amadeus. Anzi, non proprio… Perché gli ha negato di ottenerli secondo i suoi termini e la sua volontà.
«Fiore? Sembri… Quasi incazzato…» commenta Amadeus mentre camminano verso l’albergo. Fiorello vorrebbe dire che sì, è incazzato, ma si rende conto che non saprebbe spiegare perché. O meglio, saprebbe spiegarlo, ma solo dopo aver spiegato tutto quello che gli è passato per la testa negli ultimi giorni e ci vorrebbe troppo tempo. «Io… Credo di essere solo teso… Ho bisogno di rilassarmi… Magari è il caso che io dorma nella mia stanza questa sera… Non voglio contagiarti con energie negative o cose del genere… Abbiamo bisogno che il nostro conduttore sia in perfetta forma.» risponde Fiorello tenendo lo sguardo basso e sperando che Amadeus accetti la sua proposta, non tanto perché pensa davvero che sia la cosa giusta, ma perché sa che se Amadeus gli dovesse offrire qualsiasi altra opzione lui non saprebbe dirgli di no.
«Non dire sciocchezze… Puoi tranquillamente dormire da me. Anzi, dicono che il contatto umano durante il sonno non solo faccia dormire meglio, ma aiuti anche a rilassarsi, quindi è seriamente meglio che tu dorma con me questa notte. Dato che sei così… Teso…» risponde il conduttore con un’espressione di rimprovero e Fiorello non osa protestare. È vero che dormire in compagnia aiuta a dormire meglio, ma lui sa che lo manderà al manicomio. Ed è stranamente d’accordo comunque.
Se le sere precedenti Fiorello era entrato in camera di Amadeus con la vergogna di qualcuno che sta per commettere un crimine, questa sera entra con il peso sul cuore di un condannato a morte. È certo che se il suo amico lo sfiorasse anche solo con un dito, lui potrebbe avere un infarto e non riprendersi più. Si è ritrovato a dover gestire questa nuova sensazione senza che nessuno gliela spiegasse e sta davvero facendo del suo meglio, ma non è pronto a nessuna sorpresa.
«Ciuri, mettiti pure a dormire, io devo solo lavarmi i denti.» dice Amadeus mentre scompare dietro la porta del bagno. Perché Fiorello è ancora in piedi in mezzo alla camera da quando sono entrati dieci minuti fa e non ha mosso un muscolo. Si sente improvvisamente preso dall’imbarazzo e si affretta a cacciarsi sotto le coperte, dando le spalle al lato del letto di Amadeus e rimanendo rigido come un pezzo di legno. Il conduttore una volta uscito dal bagno si mette in ginocchio sul letto «Mettiti seduto un momento, per favore, anche con le gambe sul letto se vuoi…» chiede all’amico con la stessa maledetta tranquillità che sta facendo diventare Fiorello scemo. «P-Perché?» chiede temendo chissà quale terribile tortura. Amadeus ride «Perché voglio tagliarti la testa! Rosario! Secondo te perché? Mi ha detto che sei teso, quindi ti faccio un massaggio alle spalle prima di dormire.» spiega il conduttore come se fosse la cosa più naturale del mondo. Quest’uomo non si rende proprio conto di quello che dice. Assolutamente no. Non è solo un problema di quando deve presentare allora, lo tormenta anche nella vita privata.
Fiorello sa che dovrebbe ribellarsi. Date le condizioni in cui ha passato gli ultimi giorni, anche un semplice contatto come quello di un massaggio alle spalle potrebbe seriamente ucciderlo. Ma ha davvero la forza per dire di no? Per resistere alla curiosità di sapere come sarà? Per andarsene e passare sicuramente una notte insonne da solo nella sua camera a rimuginare sul perché non è rimasto? No, ovviamente non ha la forza, probabilmente nessun uomo nella sua posizione l’avrebbe. Quindi si alza, si mette a sedere, con le gambe che penzolano dal bordo del letto e aspetta che Amadeus gli dia il colpo di grazia definitivo.
Amadeus si sistema alle spalle di Fiorello e delicatamente tira verso l’alto la maglia del pigiama dell’amico. Fiorello fa uno scatto di sorpresa ed il conduttore scoppia a ridere «Ciuri… Riesco a lavorare meglio se posso toccare direttamente le tue spalle, piuttosto che la tua maglia.» spiega con pazienza all’ancor più teso Fiorello. “Questa è stata decisamente una pessima idea.” pensa Fiorello, incapace di rilassarsi anche solo per un secondo. Sente Amadeus che si sfrega le mani per scaldarle e poi che le appoggia delicatamente tra le sue scapole prima di cominciare a premere.
Resta teso per un po’, ma presto la sensazione delle dita di Amedeo che scivolano sulla sua pelle e dei suoi muscoli che si sciolgono piano piano lo fa calmare un po’. Riesce a rilassare le spalle ed emette un sospiro di sollievo. Subito si vergogna di averlo fatto. “La situazione è già abbastanza strana. C’è davvero il bisogno di complicarla ulteriormente?” si rimprovera, ma subito sente Amadeus commentare soddisfatto «Visto? È quello che ti serviva: qualcosa di rilassante.» Fiorello in quel momento si rende conto della situazione in cui si trovano. Questo dovrebbe essere il momento di massima tensione per Amadeus, non per lui. E invece il suo amico è più sereno che mai, almeno finché non sale sul palco, mentre lui che è tranquillo sul palco appena scende si trasforma in un disastro. Vorrebbe continuare a considerare l’assurdità della cosa e cercare di capire esattamente perché sta accadendo, ma Amadeus riesce a sciogliere un altro muscolo ed il suo cervello si perde per un momento.
Fiorello si ritrova a sospirare ancora mentre Amadeus continua a massaggiargli le spalle. Sente che disegna dei cerchi nei muscoli delle sue spalle, che calibra con attenzione quando essere delicato e quando premere più forte, che studia ogni singola risposta volontaria ed involontaria per capire dove c’è più bisogno del suo intervento. Il tutto senza dire una singola parola. Tutta la tensione scivola via dal suo corpo e diventa solo uno sfocato ricordo. Fiorello si concentra solo sui polpastrelli di Amadeus che premono nelle sue spalle e nel suo collo e sulle tracce che sembra lascino sulla sua pelle. Si lascia scappare altri sospiri e gli sembra di sentire una leggera risata soffocata alle sue spalle.
Quando sente di essere più calmo che mai e che le palpebre cominciano ad appesantirsi, Amadeus si interrompe e gli porge la maglia del pigiama. «Ecco, dovrebbe bastare.» annuncia mentre si sdraia nel letto «Buonanotte Rosario.» aggiunge prima di spegnere la luce. Fiorello resta per un attimo fermo immobile, disorientato dall’improvvisa assenza delle mani di Amadeus sulla sua schiena e dal comportamento del suo amico. Si rimette la maglia del pigiama alla ceca e si stende ancora confuso. Mentre ripensa a quanto appena successo, ad ogni centimetro di pelle che Amedeo ha toccato e cosa potrebbe dirgli adesso se avesse la forza di parlare, si addormenta.
La mattina successiva Fiorello si risveglia sereno, fino al momento in cui ricorda cosa è successo la notte scorsa. È come se riuscisse ancora a sentire le mani del suo amico sulle sue spalle. Si rende conto di essersi attorcigliato ad Amadeus nel sonno, stringendosi al suo petto, avvinghiando le gambe intorno alle sue e appoggiando la testa alla sua spalla. Mentre dormiva ha cercato ed ottenuto tutto il contatto possibile, apparentemente senza che il conduttore se ne rendesse conto. Vuole scivolare via come ha fatto le sere precedenti, ma vuole anche restare lì, fermo, a bearsi del calore di Amedeo. Osserva il suo petto che si solleva e si abbassa lentamente e sa che se muovesse un pochino la testa riuscirebbe a sentire il battito del suo cuore. Proprio quando sta per cedere al desiderio di farlo, Amadeus inizia a muoversi e si mette su un fianco con la faccia nella sua direzione, costringendo Fiorello a spostarsi dalla sua posizione. Per un breve istante il volto del conduttore è a pochi millimetri dal suo esattamente come era capitato la seconda mattina. Sente il desiderio di riempire quella distanza, anche solo per un secondo, e scoprire se le labbra di Amedeo sono calde come il resto del suo corpo.
“Ma che minchiate vado a pensare” si ritrova a dirsi da solo, ma allo stesso tempo non riesce a distogliere lo sguardo dal volto di Ama e dalla curva delle sue labbra. Basterebbe che si muovesse solo un millimetro di più… Accenna un movimento e subito si morde la lingua per tornare alla realtà. Si allontana con delicatezza e scappa. Fugge davvero come un ricercato, torna nella sua stanza solo per vestirsi e poi corre fuori dall’albergo per farsi una passeggiata. Non serve a molto. La sua testa continua a fornirgli immagini di Amadeus sdraiato nel letto, della sua espressione serena, del suo respiro leggero, delle sue labbra così vicine… È questo il motivo dei suoi comportamenti strani? Ha deciso di avere davvero questo risveglio adesso? Alla sua età? In una situazione simile? Per Ama? Sente di aver bisogno di bere, tanto. Deve almeno riuscire a dimenticare il suo nome. Ed ecco che riesce a risentire Amedeo che sussurra il suo nome nel sonno, il suo respiro che gli colpisce il collo.
Fiorello ha scoperto adesso di…? Cosa? Avere una cotta per il suo migliore amico? Non ha dodici anni. Di avere sentimenti contrastanti? Di avere desideri nuovi? No. Non è possibile che le cose cambino in questo modo dopo tutti questi anni di amicizia, non è possibile… Quindi vuol dire che non si tratta di sentimenti o di desideri nuovi. Si deve trattare per forza di qualcosa che era già lì, sepolto per anni ed anni, dentro di lui. Qualcosa che per un crudele scherzo del destino ha deciso di riemergere adesso. Sa che ne dovrebbe parlare con Amedeo. È su questo che si basa la loro amicizia: sul dirsi sempre tutto. Non può, anche se vorrebbe tanto, nascondergli una cosa simile. Ma deve farlo davvero adesso? In questa situazione? Durante il Festival di Sanremo? E se distraesse Amadeus dal suo lavoro? Decide di tornare indietro e fare finta di niente. Potrà raccontare ad Ama cosa gli è successo in questi giorni una volta che il festival si sarà concluso.
Il piano di Fiorello fallisce ancora prima di cominciare. Non ha neanche il tempo di pensare a quando sarebbe un buon momento per poter parlare tranquillamente con Amadeus, perché lui lo avvicina prima di salire sul palco per la quarta serata. «Dopo la puntata di oggi… Possiamo parlare? Credo che ci sia qualcosa che non va e voglio confrontarmi con te…» dice il conduttore evitando lo sguardo dell’amico e fiondandosi subito sul palco per salutare il pubblico. Adesso tutta l’attenzione di Fiorello non può che essere concentrata su quella richiesta, perché ovviamente da quel momento in avanti non ha neanche un secondo libero per poter chiedere chiarimenti ad Amadeus prima della fine dello spettacolo. E non solo: la quarta sera si rivela essere un caotico disastro che non finisce più.
Dopo la fine della puntata Amadeus e Fiorello si ritrovano a vagare per le strade di Sanremo vicine al teatro alla ricerca di Bugo e di Morgan, di chiunque riescano a trovare per primo. La situazione è disperata, soprattutto per Amadeus che non riesce a calmarsi neanche per un momento, troppo concentrato sul disastro appena avvenuto. Fiorello invece non riesce a smettere di pensare alle sue parole e si sente un’egoista. Bugo è scomparso, il Festival potrebbe risultare un fallimento per via della scena avvenuta sul palco, sicuramente ne è già nato uno scandalo e lui se ne sta lì a pensare a “Chissà di cosa deve parlarmi Ama… Dio spero che non abbia notato il mio comportamento di questi giorni perché non ho idea di come affrontarlo direttamente su una cosa simile.” Davvero, è il massimo dell’egoismo, specialmente perché al momento il suo amico è accanto a lui che sta andando nel panico per riuscire a trovare un cantante scomparso.
Bugo viene ritrovato, l’emergenza finisce e lo scandalo resta qualcosa che verrà affrontato il giorno dopo, o i giorni dopo, o le settimane dopo, a seconda di quanto la televisione italiana deciderà di parlarne. In ogni caso è una preoccupazione che può aspettare, in questo momento quello che importa è riposare. Fiorello dà per scontato che con tutto quello che è successo e con la stanchezza assurda che si sente addosso, non ci sarà assolutamente bisogno di dormire in camera di Amadeus e soprattutto spera che il suo amico si sia completamente dimenticato del proposito di parlagli grazie allo stress. Si sente davvero un pessimo amico per aver anche solo pensato una cosa simile.
Le stelle però sembra che non siano dalla parte di Fiorello perché quando arrivano nel corridoio dove si trovano le loro camere Amadeus appoggia la testa contro la sua spalla e senza guardarlo in faccia mormora «Ti dispiace dormire ancora da me? Sono troppo stressato per riuscire ad addormentarmi, magari con la tua presenza avrò più fortuna…» la sua voce è così distrutta che Fiorello si sentirebbe un mostro a dire di no… O forse no, forse vuole soltanto avere una scusa, una qualsiasi, per dormire ancora nel letto di Amadeus. Forse tutto quello che ha fatto fino ad adesso è stato trovare scuse per passare la notte con il suo amico. Cerca di scacciare il pensiero dalla sua testa ed acconsente a dormire ancora con Amedeo, subito dopo aver recuperato il suo pigiama dalla propria stanza.
Amadeus si prepara molto lentamente per andare a dormire, come se ogni movimento gli costasse non solo una quantità immensa di fatica, ma anche un forte dolore. Fiorello vorrebbe intervenire, dire qualcosa, fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma si ritrova nuovamente bloccato ad osservare il più discretamente possibile il suo amico dal suo posto sul letto. Amadeus fa finalmente capolino da bagno con il pigiama addosso, si dirige verso il suo lato del letto e spegne la luce appena si sdraia. Fiorello pensa che non ci sarà alcun tipo di interazione questa volta, che si addormenteranno entrambi nel silenzio, ma poi sente Ama che si rivolta nel letto, appoggia la fronte contro la sua schiena e stringe la sua vita con le braccia. Istantaneamente Fiorello si pietrifica.
«Ho bisogno di contatto per questa sera…» spiega il conduttore sottovoce «Ho bisogno di te.» continua mentre si sistema per sfregare la faccia contro la nuca del suo amico «Ciuri… Sono… Sono molto felice che tu abbia dormito con me in queste sere, mi ha davvero aiutato a stare più tranquillo… Anche se tu questa mattina e due giorni fa sei scappato prima che mi svegliassi… Sai che non c’è bisogno di fare così con me… Siamo amici da troppi anni per dover essere imbarazzati dell’aver dormito nello stesso letto…» Fiorello continua a non riuscire a muoversi, anche se il tono di Amadeus è così calmo che sembra che stia approcciando un animale ferito, con la delicatezza e l’attenzione di un esperto. Di cosa sarebbe l’esperto Amadeus in questo contesto? Fiorello non ne è sicuro, non è neanche sicuro di quale sia esattamente il contesto, così resta in silenzio sperando che Amedeo pensi che si sia addormentato e smetta di parlare, o sperando che vada avanti comunque senza esigere da lui una risposta. Il conduttore non chiede se Fiorello lo sta ascoltando, ma continua a parlare lo stesso «Certo, a meno che l’imbarazzo non sia per qualcos’altro… Abbiamo dormito altre volte nella stessa stanza, nello stesso letto, soprattutto quando eravamo più giovani. Quindi se all’improvviso sei imbarazzato dall’averlo fatto e sparisci la mattina come se avessi commesso un crimine, vuol dire che c’è qualcos’altro, no? Ci ho pensato molto… Era il contatto che ti aveva dato fastidio? Non poteva essere, perché sul palco non ti sei fatto problemi… Doveva essere qualcosa che è accaduto solo qui.» Amadeus emette un leggero sospiro che si infrange sulla nuca di Fiorello, causandogli un brivido «Cosa poteva mai averti spinto a scappare da me?» il tono della voce del conduttore è più triste come se avesse davvero avuto la sensazione che il suo migliore amico non volesse la sua compagnia, ma continua comunque il suo discorso «Il tuo comportamento era così strano… E poi finalmente ho capito questa mattina… Mi sono svegliato prima di te, ma non mi sono mosso. Volevo godermi un altro po’ il letto, capisci?» Amadeus ridacchia e Fiorello si sente avvampare temendo di sapere dove sta andando a parare il discorso «Insomma ero sveglio, ma non ho aperto gli occhi, per restare in quello stato di quiete… Poi mi sono accorto che tu ti era avvinghiato a me durante la notte, che ti eri appena svegliato e volevo… Non sono sicuro di cosa volessi fare davvero… Credo testare una teoria… Così mi sono girato per ritrovarmi faccia a faccia con te.»
Ormai Fiorello è sicuro di aver capito che cosa vuole dire Amedeo ed è sicuro di non poterlo sopportare. In negativo o in positivo, finché la prossima frase del conduttore resta sospesa tra la sua mente e la sua bocca, la loro amicizia è salva. Come potrebbero mai affrontare un cambiamento simile? Deve fare qualcosa, prima che sia troppo tardi. «Ama…» cerca di dire, ma si ritrova a non sapere come continuare, quindi si volta per guardare l’amico dritto negli occhi, per quanto l’oscurità della stanza possa permettergli. Amadeus lo osserva con gli occhi che luccicano e Fiorello ha improvvisamente il dubbio che sia sul punto di piangere. «Rosario so che mi hai quasi baciato.» annuncia il conduttore guardandolo fisso negli occhi e Fiorello non riesce a decifrare la sua espressione troppo preso da come adesso il cuore gli stia martellando contro la cassa toracica. È sicuro di non aver mai conosciuto il vero significato della parola “panico” fino questo istante.
«Ama… Io…» per quanto si sforzi non riesce a trovare le parole, non sa neanche cosa vorrebbe dire esattamente. Che non voleva? Sarebbe una bugia gigantesca e Amadeus non ci crederebbe neanche per un attimo. Che era solo uno scherzo? Una bugia ancora peggiore. Come potrebbe scherzare in modo simile con Amadeus? Fiorello sputa fuori qualche altra sillaba sconnessa nella speranza che le parole vengano fuori da sole prima o poi. Il conduttore sorride leggermente ed appoggia delicatamente l’indice sulla bocca di Fiorello per fargli segno di restare in silenzio. Parla ancora, la voce debole «Come stavo dicendo, so che volevi baciarmi. E se non fossi scappato questa mattina, sapresti che lo voglio anche io.» conclude Amadeus con un altro piccolo sorriso.
Troppi pensieri passano per la testa di Fiorello tutti in una volta, tanti che non è neanche capace di processarli del tutto. Sa solo che questo è il momento di rottura. Da qui non si torna indietro, mai più. Però anche se credeva che si sarebbe sentito male, si sente invece sollevato. In un qualche modo questa è una liberazione. Trattiene il respiro per un momento mentre Amedeo si fa avanti di qualche centimetro per posargli un casto bacio sulle labbra. È appena un contatto. Quello che potrebbero fare due ragazzini timidi ai primi appuntamenti. Ma Fiorello lo sente come una scossa elettrica, un fiume in piena, un terremoto che lo attraversa e lo sconvolge. Non riesce a trattenersi dal farlo ancora, assaporarlo giusto un momento di più, poi ancora, ancora, ancora, ancora, finché non sta riempiendo Amedeo di baci, sempre più lunghi, sempre più languidi, sempre meno casti. Continua finché non sente un sospiro provenire dal conduttore che si scioglie in una risatina. Non può fare a meno di fermarsi e sorridere in risposta.
«Tutto okay?» chiede Fiorello con una punta di incertezza. Amadeus gli accarezza il viso con delicatezza «Più che okay…» lo rassicura subito e poi aggiunge «Non che non apprezzi la tua foga, ma… Abbiamo ancora una levataccia domani… Per quanto vorrei continuare la nostra attività, credimi vorrei tanto, ho ancora un festival da condurre. Ma se domani non scappi di nuovo, la notte posso essere tutto tuo.» spiega Amadeus lasciando un ultimo leggero bacio sull’angolo della bocca di Fiorello «Non vado da nessuna parte, lo giuro.» risponde a bassa voce stampando un ultimo bacio sulle labbra del conduttore.
La mattina dopo Fiorello si sveglia nuovamente avvinghiato ad Amadeus, ma non si azzarda a muoversi. Il panico, traditore, decide di tornare ancora, facendo dubitare che quanto successo la scorsa notte sia vero, facendogli dubitare che sia stata una buona idea, facendogli dubitare perfino che Amadeus lo voglia al suo fianco, ma appena il conduttore si sveglia e con gli occhi ancora semichiusi dal sonno gli sorride sussurrando «Buongiorno, Ciuri.» tutti i dubbi di Fiorello scompaiono all’improvviso. Non c’è nessuna menzogna, nessuna illusione e nessun errore nel modo in cui Ama gli sorride. «Buongiorno, Ama.» risponde sottovoce e si avvicina per baciarlo delicatamente «Sono felice di vedere che non sei scappato.» commenta il conduttore con un sorriso e Fiorello ridacchia «Da adesso giuro che non ti libererai più di me.» risponde baciandolo ancora «O dei miei baci… Ho recentemente scoperto che mi piace baciarti.» aggiunge un attimo dopo ed Amadeus ride «Bene, perché piace anche a me.»
Si alzano con calma, preferendo restare il più possibile a letto, prima di cominciare quella che sarà la giornata più difficile dall’inizio del Festival. Fiorello resta ad osservare Amadeus che si prepara fino all’ultimo minuto, poi non può evitare di doversi separare da lui per andare nella sua stanza a vestirsi. «Credi che riuscirai ad essere professionale questa sera?» dice al conduttore poco prima di uscire. Amadeus lo guarda confuso per un attimo. «Beh, riuscirai a non farti distrarre troppo dal pensare a me?» aggiunge Fiorello con un ampio sorriso. Amadeus afferra un cuscino e glielo lancia «Non dire minchiate!» gli grida prima di scoppiare a ridere. Fiorello si affretta ad uscire prima che il conduttore trovi altri oggetti da lanciare, ma nonostante la frettolosa fuga è quasi certo di averlo visto arrossire. Non male per due della loro età.
Ovviamente Fiorello non può trattenersi dal fare qualche numero. Sentirsi il cuor leggero significa anche che si sente più libero di essere aperto. Per la maggior parte della gente ha solo deciso di esagerare il suo comportamento dei giorni precedenti, stando ancora più vicino ad Amadeus, coinvolgendolo in ancora più sketch ed assurdità. L’unico nel backstage che lo guarda come se avesse capito tutto, per qualche strano giochetto di telepatia, è Tiziano Ferro. Fiorello gli lancia un’occhiata circa a metà sera e il cantante sorride e basta con un’espressione che può significare “Lo so. Sono felice per voi.”, o almeno lui lo interpreta così.
Fiorello è uno showman, e da bravo showman si sente obbligato a prendere in giro Ama almeno un po’. Aveva uno sketch pronto, qualcosa sulle differenze generazionali, ma a metà del suo discorso, preso dall’euforia pensa “Ma che minchia me ne frega a me ed a loro delle differenze generazionali? Divertiamoci un po’.» e decide di deragliare l’intera trasmissione. Cosa possono fare? Fermarlo? E ammettere che non aveva assolutamente il permesso di fare un numero che davvero divertendo il pubblico? È così che si ritrova a deviare il suo stesso sketch per costringere Amadeus a ballare un lento con lui. Ovviamente deve essere il lento più imbarazzante possibile per Amedeo, Fiorello deve essere sicuro che scenda dal palco come minimo non rosso, bordeaux. Quindi ci scherza sopra «Sei etero?» gli chiede prima di cominciare e si gode la confusione che passa sul volto di Ama che probabilmente sta dubitando di essere sveglio in questo momento e poi aggiunge «Beh, pure io.» sforzandosi di non ridere all’ulteriore disorientamento che ha causato. Poi Fiorello si assicura di mantenere il maggior contatto possibile, vuole dare uno spettacolo che l’Ariston dimenticherà difficilmente. Quando sente che il conduttore sta quasi per morire dall’imbarazzo, gli dà un colpo d’anca e conclude il suo numero. Amadeus è positivamente perso a quel punto, ma Fiorello ha ancora una canzone da cantare ed ovviamente deve essere una serenata.
La serata si conclude splendidamente. Il Festival ha avuto un grande successo, e anche se Fiorello sospetta che non sia del tutto merito di Ama, non può fare a meno di essere fiero di lui. Lo vede così pieno di energia e così felice e non può fare a meno di sentirsi bene di riflesso. Aspetta con impazienza che la conferenza stampa post-finale finisca, per costringere Amadeus a mantenere la sua promessa di essere “tutto suo” una volta finito il Festival. Finito… Non proprio, andrà avanti ancora qualche giorno tra interviste e notizie, però non sarà la stessa cosa e Fiorello sente che gli mancherà tantissimo.
Amadeus e Fiorello rientrano in albergo insieme come le altre sere e sono stranamente tranquilli. Non è la stanchezza a tenerli buoni, quanto il non sentire il bisogno di andare di fretta. «Manterrai la tua promessa?» chiede Fiorello di colpo mentre camminano, improvvisamente preso dall’insicurezza. Non sa perché, in fondo non ha assolutamente nessun motivo di sentirsi insicuro. Non si sono detti niente, non hanno davvero chiarito le cose, ma si sono baciati e… Dovrebbe bastare a farlo stare tranquillo, ma per qualche motivo non gli basta. Amadeus lo prende per uno scherzo per un attimo e ci ride sopra «Uhm… Non sono sicuro…» dice prima di notare l’espressione tesa di Fiorello «Ehi, ehi… Sto scherzando. Cosa ti prende?» aggiunge subito. Fiorello tiene lo sguardo basso «Ecco… Non abbiamo veramente parlato… E insomma… E adesso? Cosa siamo adesso? Cos’è questo? Perché c’è questo? Non hai bisogno di risposte chiare? Di certezze?» risponde cercando di trasmettere tutta la sua insicurezza al conduttore. Fiorello si sente strano. Tra loro non è mai lui quello incerto.
Amadeus ridacchia e si ferma per poter guardare Fiorello in faccia «Ciuri… Se ne hai bisogno ne possiamo discutere, ma personalmente credo che sia una situazione piuttosto semplice, la più semplice di tutte. Io provo dei sentimenti per te, che vanno oltre l’amicizia, sono attratto da te e ti voglio.» Amedeo lo dice con una chiarezza ed una sicurezza che fanno sembrare il discorso la cosa più ovvia del mondo «E tu?» chiede subito dopo, se è preoccupato della risposta non lo da assolutamente a vedere. Fiorello rimane bloccato un secondo. Non sta sognando, non si sta immaginando il tutto, sta accadendo davvero, questo è reale. Ama ha appena ammesso di essere innamorato di lui, senza usare queste esatte parole, ma comunque conta come una dichiarazione. Non si tratta più di una supposizione, adesso è una verità, un fatto. «Io… Sì… Davvero, sì… Sono solo confuso. Mi sembra che sia accaduto tutto così in fretta e non è possibile perché ci conosciamo da troppo tempo e queste cose non capitano dall’oggi al domani…» comincia a dire Fiorello perdendosi molto in fretta nel suo stesso discorso, Amadeus appoggia le mani sulle sue spalle e lo interrompe «Ha importanza?» chiede, ma come unica risposta ottiene uno sguardo confuso quindi continua «Ha importanza quando, come, perché o con che rapidità è successo? Può essere che sia accaduto questa settimana, può essere che sia accaduto dieci anni fa, può anche essere che sia accaduto il giorno che ci siamo conosciuti, ha davvero importanza quando è stato? Non basta che qui ed ora ce ne siamo accorti? Non basta che qui ed ora possiamo stare insieme?» spiega il conduttore guardando Fiorello direttamente negli occhi con lo sguardo più deciso che mai. Fiorello non riesce a far altro che scuotere la testa tutto tremante ed appena si rilassa non può fare a meno di prendere il volto di Amedeo tra le mani ed avvicinarsi per baciarlo. Si ferma a qualche millimetro dalle sue labbra e osserva per un attimo la sua espressione persa prima di spingersi in avanti con quasi tutto la sua forza. Le sue mani passano dal viso al collo ed alla vita e il bacio diventa più lento, più dolce. Appena si separano Amadeus abbassa lo sguardo e si schiarisce leggermente la voce «Direi che ci siamo chiariti.» commenta con un filo di voce.
Quando si ritrovano nel corridoio dell’albergo Fiorello apre la porta della sua camera e saluta con la mano Amadeus «Allora io vado a dormire, buonanotte eh.» dice prima di fare il primo passo dentro la stanza. Amadeus lo afferra per il colletto e lo costringe a fare marcia indietro «Dove credi di andare.» dice mentre lo spinge contro la porta della sua camera. Si guardano per un momento, sorridendo entrambi e cercando di trattenersi dal ridacchiare. «Allora?» chiede Fiorello sottovoce e subito Amadeus si fionda sulle labbra lasciando tanti piccoli e rapidi baci «Tu dormi con me stasera.» risponde il conduttore sorridendo sulle sue labbra mentre con una mano sblocca la porta dietro di loro. I due non si separano neanche per un attimo, trasformando i piccoli baci di prima in un unico languido bacio, mentre inciampano dentro la stanza cercando alla ceca un interruttore. Cadono entrambi sul letto e Fiorello, schiacciato dal peso di Amedeo riesce ad accendere la luce del comodino. Appena riescono di nuovo a vedersi in faccia sono costretti ad interrompersi perché non riescono a fare a meno di sorridere.
«Cominciamo dal toglierci i cappotti, che dici?» propone Amadeus alzandosi in piedi, subito imitato da Fiorello ed entrambi lanciano i loro cappotti in un angolo della stanza, seguiti subito dalle eleganti scarpe e dalle calze. Fiorello arriccia le dita finalmente libere dalla costrizione delle calzature e guarda per terra «Non sono esattamente sicuro di come dovremmo procedere adesso.» ammette Fiorello evitando lo sguardo di Amadeus. Il conduttore sorride e si avvicina a lui lentamente «Adesso…» comincia a dire mentre gli sfila lentamente l’elegante giacca di Fiorello «…Capiamo insieme, con molta calma…» prosegue lasciando piccoli baci sulle sue labbra, poi lungo la mandibola fino ad arrivare al collo «…Che cosa vogliamo fare…» aggiunge mentre inizia a sbottonare i primi bottoni della camicia «Senza fretta e senza forzature.» conclude tornando a guardare Fiorello negli occhi per cercare il suo assenso. Lui resta quasi in trance. È così sopraffatto dalle emozioni da non sapere neanche che cosa sta provando di preciso. Lo sguardo che Ama gli sta rivolgendo è abbastanza per togliere qualsiasi preoccupazione dalla sua testa. Lo bacia con cautela, con delicatezza, assaporando ogni millimetro delle sue labbra e della sua bocca ed azzardandosi ad aggiungere la lingua al bacio. Amedeo non protesta, anzi, emette un sospiro soffocato che Fiorello non sarà mai capace di dimenticare. In un attimo la delicatezza viene dimenticata, si aggrappano l’uno all’altro come se ne dipendesse la loro vita, mordono l’uno le labbra dell’altro ed allungano le mani per sbottonarsi a vicenda le camicie. Fiorello toglie in fretta la giacca ad Amadeus e per poco non strappa la sua camicia mentre lo fa cadere sul letto.
Il conduttore ride «Preferirei arrivare intero a domani mattina, sai?» commenta e Fiorello resta un attimo bloccato dall’imbarazzo, poi Amadeus gli prende il viso tra le mani per abbassarlo e continuare a baciarlo. Fiorello inizia a scendere con i suoi baci lungo il collo, lungo la clavicola, sullo sterno, concentrandosi su ogni centimetro di pelle a sua disposizione. I sospiri di Amadeus aumentano e lo incoraggiano a continuare. Scende ancora fino ad arrivare al bordo dei pantaloni di Amedeo e quello che sfugge dalle sue labbra è decisamente un gemito soffocato. Fiorello si sente avvampare. È consapevole di essere stato lui la causa di quel suono ed è un potere che non sa come gestire. Si interrompe, continuando solo ad accarezzare delicatamente i fianchi dell’uomo sotto di lui «Ama… Io… Non so cosa voglio fare…» ammette a bassa voce, mordendosi le labbra come se si vergognasse profondamente di aver anche solo pensato una cosa simile. Amadeus si mette a sedere e guarda Fiorello negli occhi mentre gli accarezza una guancia «Puoi farmi tutto quello che vuoi.» dice serio e Fiorello deglutisce a fatica «O puoi anche non fare niente…» continua il conduttore facendo scorrere un dito lungo le braccia e il lungo il petto dell’altro uomo «… E lasciar fare me…» suggerisce con un sorriso «E possiamo anche non fare assolutamente niente. L’importante è che tu non ti senta costretto a fare nulla che tu non voglia. Basta solo che mi dici che cosa vuoi ed io ti accontenterò.» conclude Amadeus baciandolo ancora una volta.
Fiorello prende un respiro profondo cercando di schiarirsi la mente ed interrogarsi su cosa voglia esattamente. Non vuole fare errori, non vuole macchiare con dei brutti ricordi questo momento e per assicurarsi che questo accada deve essere sicuro, assolutamente sicuro di che cosa vuole. Una serie infinita di immagini gli passano per la testa e la maggior parte, per quanto piacevoli gli provocano solo del panico. Piccoli passi. Ha bisogno di andare a piccoli passi. Questa non è l’ultima notte che ha a disposizione sulla terra e non ha senso avere fretta di fare cose per cui non è veramente pronto. Basta mantenere le cose semplici, gli piacciono le cose semplici nonostante quello che gli altri possano pensare di lui. C’è in fondo un unico pressante desiderio che ha assolutamente bisogno di soddisfare in questo momento e decide di chiedere ad Amedeo di soddisfare quello. «Voglio toccarti.» dice semplicemente con la voce strozzata. Amadeus trattiene il respiro ed annuisce con forza, tornando a stendersi sul letto «Sono tuo, Fiore. Solo tuo.» dice con filo di voce.
Fiorello si ferma ad ammirarlo per un attimo: lo sguardo perso rivolto verso di lui, il petto arrossato dai baci che gli ha dato prima e l’intero corpo che trema, quasi impercettibilmente. Quando abbassa lo sguardo Fiorello nota per la prima volta l’erezione nei pantaloni di Amadeus, si rende conto di essere in condizioni simili e sente il desiderio di toccare l’altro uomo crescere sempre di più. ricomincia a baciare il petto di Amedeo mentre con le mani che tremano slaccia la sua cintura e gli sfila lentamente i pantaloni e i boxer. Non sa esattamente che reazione si aspettava di avere in questo momento, ma la sensazione che il suo cervello sia andato in cortocircuito sicuramente non è una sorpresa. Fiorello ricomincia a baciare Amedeo a bocca aperta, senza controllare la sua foga e fermandosi di tanto in tanto per mordergli le labbra, nel frattempo fa scendere una mano tra le sue gambe e inizia a toccare delicatamente la sua erezione. Ammira Amedeo che si scioglie letteralmente sotto di lui, mentre si morde le labbra per trattenere i gemiti. Non sa esattamente cosa dovrebbe fare quindi cerca di pensare a quello che piace a lui e tenta di riprodurlo nei movimenti della sua mano, mentre continua a lasciare baci ovunque riesca ad appoggiare la bocca.
Quando Fiorello crede che Amedeo non possa farlo impazzire più di così, lui spinge il bacino verso la sua mano e si lascia sfuggire un vero e proprio gemito «Ah… Rosario-» prova a parlare ma viene subito interrotto da una serie di piccoli gemiti che ormai non si cura più di trattenere. Fiorello viene preso da un profondo istinto di possessione e stringe la mano libera intorno al fianco di Amedeo «Dillo ancora.» sussurra «Dì ancora il mio nome.» aggiunge e subito Ama inizia a cantilenare il suo nome tra un gemito e l’altro, spezzando più volte ogni sillaba con i suoi sospiri. A questo punto Fiorello non riesce più a fermarsi e continua a toccare l’erezione di Ama, scorrendo per la sua lunghezza, soffermandosi sulla punta e non smette mai di baciare, mordere e succhiare il suo collo scoperto. Non gli importa di altro se non di far provare piacere ad Ama, ogni suo pensiero è concentrato solo su quell’obbiettivo. I gemiti che provengono dalla sua bocca sono musica alle sue orecchie e vorrebbe sentirli ancora e ancora e ancora. Ama si morde le labbra e si sforza di parlare mentre ansima «Ro- Ah… Rosari- Oh… Oddio… Ci sono quasi… Sto per-» riesce a dire con un filo di voce e Fiorello non riesce a rispondere, concentrato solo sul muovere la sua mano più velocemente, a lasciare sempre più baci sul collo di Amadeus, finché non viene nella sua mano con il suo nome sulle labbra.
Fiorello non può fare a meno di sentirsi fiero mentre osserva Ama che fatica a riprendere fiato, le guance rosse, la fronte imperlata di sudore, completamente sopraffatto. Sapere di essere stato lui ad avere quell’effetto gli dà una sensazione di potere e di piacere che non ha mai provato prima. Si alza per portargli un asciugamano e lo aiuta a ripulirsi dal seme che gli è rimasto sullo stomaco. Non può fare a meno di notare come tutto questo gli sembri naturale, quasi familiare, sicuramente giusto. Il conduttore riesce lentamente a mettersi seduto sul letto e baciarlo pigramente «Sei… Sei stato perfetto…» riesce a sussurrare con voce stanca, poi lo spinge leggermente per farlo sdraiare dove prima si trovava lui «E adesso voglio ricambiare il favore…» aggiunge con un sorriso. A Fiorello basta sentire quella frase per fremere in anticipazione. Ama può fargli qualsiasi cosa in questo momento, può anche decidere di calpestarlo e lui lo ringrazierebbe.
Amedeo, come ha fatto lui prima, inizia dal baciargli la mascella ed il collo, ma al contrario di lui si sofferma sulla sua giugulare per mordere delicatamente e succhiare la sua pelle. Scende molto lentamente, prendendosi tutto il tempo per lasciare una sottile scia di morsi e segni. Ogni centimetro della sua pelle sta bruciando e Fiorello sente di impazzire, vuole più contatto, più attenzioni, vuole sollievo, ma Ama non accenna a volerlo toccare dove più ne ha bisogno. Fiorello sospira ed emette dei leggeri lamenti, ma Amadeus sembra ignorarlo. Mentre continua a coprirlo di morsi e baci lo accarezza delicatamente con le mani lungo il petto, intorno ai fianchi, fa scivolare una mano sotto di lui e solleva leggermente il suo bacino per stringergli il culo, gli slaccia i pantaloni ma non glieli sfila. Fiorello si ritrova a muovere il bacino verso l’alto alla disperata ricerca di un qualsiasi tipo di frizione, ma Ama lo tiene fermo con una mano e ridacchia «Ho io il controllo adesso, Fiore… Dovrai essere paziente.» dice con uno sguardo di sfida. Ritorna a baciare il suo petto e succhia delicatamente uno dei suoi capezzoli. Fiorello si fa sfuggire un leggero gemito e subito si morde il labbro. Ama ride contro la sua pelle e continua la sua opera prima da una parte e poi dall’altra.
Quando finalmente il conduttore ricomincia la sua inesorabile discesa lungo il suo corpo, Fiorello è sicuro di non ricordarsi nemmeno come si chiama. Non c’è spazio per nessun pensiero nel suo cervello, troppo perso nelle attenzioni che Amadeus gli sta dedicando. Sente che i suoi baci arrivare al bordo dei suoi pantaloni ed è sicuro di star per perdere i sensi, non riesce neanche ad immaginare come si potrà sentire quando Ama starà effettivamente toccando la sua erezione. Il conduttore gli sfila i pantaloni e li getta ai piedi del letto, ma gli lascia addosso i boxer e Fiorello, confuso vorrebbe chiedere perché ma appena apre la bocca per provare a parlare, Amedeo bacia la sua erezione attraverso i boxer e tutto quello che esce dalla bocca di Fiorello è un lamento strozzato. «Ah… Ama… Ti prego… TI prego… Sto impazzendo… Ti prego…» comincia a cantilenare appena trova la forza di parlare. Amadeus alza lo sguardo per stabilire un contatto visivo e sorride «Dovrai essere più specifico con le tue richieste, Ciuri…» dice trattenendo una risatina. Fiorello butta la testa contro il cuscino e emette un lamento di frustrazione. Quest’uomo. Incredibile. Sempre tutto timido, nervoso, insicuro, ed è questo il momento in cui decide di dimostrargli di saper essere assolutamente in controllo della situazione? È questo il momento in cui decide di dimostrargli di poterlo costringere a fare qualsiasi cosa? Perfino pregarlo?
«Ti prego… Ama…» dice a fatica tra un respiro spezzato e l’altro «Fai qualcosa, toccami… Ho bisogno… Non resisto più… Ama… Ti prego… Toccami…» non riesce nemmeno a formare una frase completa, troppo perso nel suo bisogno, troppo concentrato sulla sua erezione dolorante e si sente patetico. «Dato che lo hai chiesto così bene…» scherza Amadeus abbassando di nuovo la testa. Prima di aiutarsi con le mani decide di tirare giù i suoi boxer con i denti per i primi centimetri e Fiorello si sente davvero morire. Crede che non possa essere peggio di così, che ormai non c’è niente che lo possa sconvolgere di più, ma Ama non lo tocca come ha fatto lui prima al suo posto, no, Ama lo prende in bocca. Il suono gutturale che gli esce dalle labbra è qualcosa di innaturale, che gli rimbomba nelle orecchie per svariati secondi. È questo il momento in cui Fiorello si rende conto, e non sa perché ci ha messo così tanto a capirlo, che questo chiaramente non è il primo rodeo di Amadeus. Perché i suoi movimenti non sono incerti, neanche un po’. Sa esattamente dove si può permettere di passare con delicatezza i suoi denti, dove lasciare baci e dove dare delle piccole leccate. Riesce a prendere la maggior parte della sua lunghezza in bocca senza apparente sforzo e lo succhia con la stessa naturalezza che avrebbe con un ghiacciolo. Non può fare a meno di buttare la testa all’indietro e stringere i pugni nelle lenzuola fino a che le sue nocche non diventano bianche.
Fiorello non riesce più a parlare, solo a gemere, così forte che pensa che probabilmente lo stiano sentendo fino a Genova. Ma non gliene frega niente. Ha appena scoperto che Amadeus è a quanto pare un dio dei pompini, ha tutto il diritto di reagire in quel modo. Per un breve momento si chiede perché, in tutti questi anni, non ha mai saputo questo dettaglio e poi si dà da solo dell’idiota. Perché quando mai una persona normale si mette a parlare delle proprie abilità sessuali con i propri amici? Soprattutto nel loro caso, dato che Fiorello non sapeva neanche dell’attrazione di Amedeo per il genere maschile… Sì dà dell’idiota di nuovo. Lo sapeva. In un qualche modo lo ha sempre saputo, semplicemente ha sempre sepolto l’informazione in un qualche angolo del suo cervello per anni ed anni. In fond- I suoi pensieri vengono interrotti da un improvviso risucchio di Ama che lo fa quasi urlare. «Oh- Oddio- Ama-» dice tra i gemiti e spinge il bacino verso la bocca del conduttore, che ha la sfacciataggine di gemere attorno alla sua erezione facendogli sentire ogni minima vibrazione. «AMA-» grida Fiorello con la voce che si spezza «CAZZ- Sto per venir-» non riesce nemmeno a finire la frase perché intanto Amedeo ha aumentato il ritmo e lui non riesce a non venire in quell’istante urlando ancora il suo nome. Non riesce nemmeno a spostarsi per non venire nella bocca di Ama perché lui lo tiene fermo, ed ingoia. Fiorello è abbastanza sicuro di essere morto a questo punto e butta la testa all’indietro, sfinito.
Quando riesce a riprendersi, Amedeo sta tornando nel letto dopo essersi dato una ripulita e sta sorridendo come un idiota. Fiorello cerca di ricambiare il sorriso, ma è talmente stanco che riesce appena ad alzare un angolo della bocca. «Stai bene?» gli chiede a bassa voce il conduttore, anche lui chiaramente molto stanco, mentre gli si sdraia accanto ed appoggia la testa contro la sua spalla. Fiorello emette uno sbuffo sorpreso «Se sto bene? Me lo stai chiedendo sul serio? Dopo il pompino fantastico che mi hai fatto? Dovrei chiedertelo io se stai bene, in confronto a quello che mi hai fatto tu io probabilmente sono sembrato un ragazzino alla sua prima volta…» comincia a dire e subito Amadeus lo interrompe «Ehi, ehi… Sei stato fantastico… E comunque volevo sapere se ti senti bene, nel senso di “non ti stai pentendo di nulla e non ti stai torturando mentalmente, vero?”» si spiega «Oh.» risponde Fiorello «Beh. No, non mi pento di nulla e non mi sto torturando… Solo…» aggiunge prima di interrompersi un momento, attirando ancora di più l’attenzione di Amadeus che si volta leggermente verso di lui in attesa che continui «Solo che continuo a chiedermi una cosa… Quanta esperienza hai esattamente… E non provare a dire “nessuna” perché non sono stupido, è piuttosto lampante che tu abbia dell’esperienza.» conclude Fiorello e attende la risposta restando sulle spine. Non ci sarebbe niente di male anche se Ama gli dicesse di essere stato con mille altri uomini, ma non riesce a fare a meno di sentirsi un po’ troppo inesperto in confronto a lui e… geloso.
Amadeus nasconde il volto contro la spalla di Fiore ed esita per un attimo prima di rispondere «In quasi quarant’anni solo due.» dice prima di fare una piccola pausa per permettere a Fiorello di assorbire la notizia «Entrambi già dopo che ci eravamo conosciuti… Tu sei stato il primo per cui io abbia… Provato qualcosa… È grazie a te che mi sono accorto di essere attratto dagli uomini… Però… Mi sembravi così… Irraggiungibile…» cerca di spiegare il conduttore ma fa fatica a completare il suo discorso quindi prende un respiro profondo nel tentativo di calmarsi prima di continuare. Incredibile che sia così nervoso adesso considerando con che sicurezza di comportava prima, pensa Fiorello mentre lo guarda seppellire sempre di più la faccia contro la sua spalla ed evitare a tutti i costi il suo sguardo. «Ero convinto che non ti avrei mai avuto, capisci? E così… Ho provato ad andare con un uomo per distrarmi da te, senza successo… La seconda volta è stata parecchi anni dopo, ho avuto un momento di… Sconforto… Ero riuscito a seppellire i miei sentimenti per te molto in profondità, ma ho avuto un periodo in cui sono tornati a galla e volevo solo dimenticarmene per non dover soffrire… Sono uscito con un tizio per qualche tempo… Ma ho concluso subito la storia quando mi sono reso conto che rischiavo solo di ferirlo perché non provavo niente per lui e continuavo a pensare solo a te.» riesce a concludere Amadeus.
Fiorello lo costringe a sollevare la testa per baciarlo e si rende conto che sta piangendo. «Da quanto hai questi sentimenti per me?» non riesce ad evitare di chiedere, anche se teme di sapere già la risposta. «Ho iniziato ad averli poco meno di un anno dopo che ci siamo conosciuti.» risponde il conduttore, ma la sua voce si spezza a metà frase. Fiorello lo stringe e lo bacia, lentamente e dolcemente. In tutti questi anni non si è mai reso conto che Amedeo si stesse tenendo questo peso dentro. Si chiede quanto deve averlo consumato. Trentacinque anni. Trentacinque fottuti anni.
Fiorello sa che anche lui prova dei sentimenti per Amedeo, ovviamente, ma non riesce a stabilire un momento preciso, non riesce a ricordare quando ha iniziato ad averli. Cerca di scavare nella sua testa per pensare a quando ha scoperto di essere attratto anche dagli uomini. Lo sa da sempre. Ma fa finta di non saperlo. Per uno della sua generazione, che viene dalla Sicilia poi, una cosa del genere è quasi un crimine. Ha sempre, sempre, sempre mentito a sé stesso, così tanto che ad un certo punto ha iniziato a credere alle sue bugie. Ripensa a quando ha conosciuto Amedeo, a quando erano giovani e facevano tutto insieme, a quando si è reso conto che era il suo migliore amico. E si accorge che sì, sono sempre stati amici, ma già dall’inizio il legame che sentiva di avere con lui è sempre stato più forte. Non lo ha mai definito amore perché non avrebbe mai potuto, ma era quello che sentiva. Chiamarlo amicizia era solo più facile. Si accorge in quel momento che se entrambi avessero avuto più coraggio non gli ci sarebbero voluti trentacinque anni per finire a questo punto.
«Ama…» mormora piano e si sdraia su un fianco così da trovarsi faccia a faccia con il conduttore prima di continuare «Mi dispiace… Mi dispiace che ci siano voluti tutti questi anni… Ormai non possiamo tornare indietro, ma spero che tu possa accettarlo comunque. Ti amo. Mi sono reso conto che ti amo da trentacinque anni, che ti amo profondamente come mai ho amato nessuno… Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo… E adesso non smetterò mai di dirlo.» conclude con un sorriso appena accennato. Amadeus trattiene il respiro prima di spingersi in avanti per coprire le sue labbra di baci fino a perdere il fiato «Rosario… Ciuri… Non sai quanto ti amo… Ti amo, ti amo così tanto…» dice tra un bacio sorridendo sempre di più. Fiorello ricambia i suoi baci finché non diventano più lenti, più lunghi e più disordinati. Non riesce neanche a definire quello che prova, sa solo che si sente sopraffatto da una sensazione di immensa felicità, un’energia straordinaria che non accenna ad estinguersi presto.
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8 marzo, ecco otto frasi maschiliste che non sopporto più (...) Per questo 8 marzo, ecco otto frasi maschiliste che non sopporto più. 1) “Un po’ se l’è cercata”. Aggiungono un po’ all’inizio così sembrano meno stronzi. È l’abbreviazione di “non sono maschilista ma”. Vogliono dire che è ovvio che chi ha diffuso foto o video della ex su una chat del calcetto ha sbagliato, però lei ha sbagliato per prima. Siete proprio sicuri? Perché da quello che mi risulta inviare scatti al proprio partner non è un reato, diffonderli senza il suo consenso invece sì. Dopo l’approvazione della legge Codice Rosso, i casi di revenge porn sono almeno due al giorno. L’81% delle vittime è una donna, anche minorenni. 2) “Ma è solo un complimento”. Quando tra donne ci raccontiamo che l’ennesimo cretino ci ha clacsonato, la risposta classica (oltre a qualche parolaccia) è “sai che novità!”. E non è una frase fatta: più dell’80% delle donne ha subito catcalling. Se ti va bene – si fa per dire – ti becchi un “ciao bella”, se ti va male sei subito una troia. E no, non sono complimenti. Un complimento è se stiamo avendo una conversazione, se c’è feeling, non se io sono l’oggetto random del tuo desiderio per strada. Quella è molestia, perché infastidisce e spesso provoca paura. 3) “Le quote rosa sono imbarazzanti pure per voi!” Già. Anche a noi piacerebbe vivere in un mondo in cui le discriminazioni non esistono e quindi chiunque viene scelto solo in base alle competenze richieste, ma non è così. Perciò serve una legge che vada a normalizzare la presenza delle donne in ogni campo, uno strumento utile di cui a un certo punto potremo fare a meno, si spera. Quando c’è un’offerta imperdibile al supermercato, scrivono “massimo tre pezzi a cliente”. Perché? Perché se un affare è ottimo e ti pone in una condizione di vantaggio, tendi ad approfittarne. Ecco, le quote rosa sono quel cartello che dice: uomini, se prendete tutto voi perché la Storia vi ha abituati così, non resterà niente per altre persone meritevoli, quindi vi impongo di far spazio anche alle donne. Quando sarà chiaro che metà dello spazio ci spetta di diritto, forse la legge non servirà più. 4) “Non tutti gli uomini sono così”. Lo sappiamo, altrimenti odieremmo ogni uomo sulla faccia della Terra, compresi fidanzati, padri e altre potenziali brave persone. Ma non è questo il punto. Se un uomo venisse da me e mi dicesse “oggi mi hanno riempito di botte in Piazza Pallino” e io rispondessi “strano, Piazza Pallino è un posto così tranquillo”, questo dimostrerebbe una cosa molto semplice: non mi interessa ciò che hai vissuto, mi preme solo aggiungere il mio punto di vista su un elemento secondario. Se una donna dice “oggi uno mi ha palpeggiata” e tu rispondi “io non l’avrei mai fatto, non siamo tutti così”, stai sorvolando sul problema principale: fa male e siamo incazzate. 5) “Non fare la femminuccia”. Una frase che ha cresciuto intere generazioni di campioni mondiali di seppellimento di emozioni e sentimenti. Così tanti problemi in quattro parole: una visione del femminile come debole, la convinzione che il pianto e le lamentele siano un atteggiamento da donne, per non parlare dell’idea stessa che siano reazioni sempre negative e da evitare. Mi fa esplodere il cervello, quando la sento. 6) “Sei una donna con le palle”. Risata amara: spesso è un complimento, chi la usa in buona fede vuole dire che hai coraggio e determinazione. Come per la gemella delle righe precedenti, nasconde la convinzione che questi due attributi siano tipicamente del sesso maschile, quindi se li hai è giusto omaggiarti di un paio di palle ad honorem. Anche no, dai. 7) “Calciatrice, Avvocata, Ingegnera… ci sono cose più importanti a cui pensare”. Sicuramente. Considerando che al mondo c’è gente che muore di fame direi che ci sarebbe sempre qualcosa di più importante a cui pensare. Sorvoliamo su questa argomentazione. Io lo chiamo “femminismo gratuito”, quello del linguaggio. Mi piace perché usandolo immediatamente dimostri da che parte stai, e non devi fare nient’altro se non abituarti a quei termini. Uno, alcune professioni esistevano al femminile e poi sono scomparse, quindi possiamo recuperare termini datati ma già usati; due, le donne oggi fanno lavori che prima ci erano preclusi, quindi ci servono le parole per chiamarci. La nostra lingua è malleabile e ci torna comoda, per fortuna. Sono cacofoniche, mi dite? Poche storie, se si può dire “dirimpettaio” o “obbrobrio”, si può dire pure “sindaca”. 8) “Eh ma non si può più dire niente per colpa del politicamente corretto”. No, tu puoi dire esattamente le stesse cose di prima (nei limiti della legge), la differenza è che qualcuno potrà chiedertene conto. E quel qualcuno siamo noi. Eliana Cocca
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𝙸 𝚊𝚗𝚗𝚘 - "𝘗𝘳𝘪𝘮𝘰 𝘉𝘢𝘤𝘪𝘰"
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Quando lo reputa quindi opportuno, si volta e torna alla borsa andando a prendere cinque bicchieri, pieni di un liquido denso e rosso che passa a Tristan, Sebastian, Wesley e Charlotte e una se la tiene per sé. Immerge le dita che si macchiano di rosso e le muove così che le gocce rosse possano andare sulle facce di questi tre. « Fatelo a me e agli altri.. soprattutto a quelli che volete baciare »
Seb: . Il nostro Serpeverde prende il calice con il liquido denso e rosso, immergendoci le dita dentro, seguendo l`esempio di Niall e schizzando anche lui, ma alla seconda richiesta rimane interdetto, non vorrebbe baciare nessuno ma comunque si guarda intorno captando qualcuno a cui dare fastidio, perché ci sta, è troppo che non infastidisce nessuno, e girando la testolina tra i presenti intercetta ALexa Knox, alla quale si avvicinerebbe con un passo tranquillo ed arrivatoci abbastanza vicino la schizzerebbe «o questo o ti faccio finire di nuovo sul platano» gli nasce anche un sorriso malizioso, nella speranza che scelga la seconda opzione «scegli» su, forza, fai la scelta giusta.
Lex: Rimane un po` perplessa quando quei calici dal contenuto rosso iniziano a girare, fa qualche passo indietro tentando di nascondersi trai compagni, quasi pensa di usare la Loghain come scudo ma, prima che possa riuscirci, tra tutti i ragazzi presenti, le si avvicina Wardwell . Ebbene sì, proprio Wardwell, grazie al quale non è riuscita a sfuggire dalle grinfie del Platano e ha camminato per una settimana zoppicando. Ed ecco che infatti le arriva la minaccia del Platano, alchè quasi si pietrifica. Non ha nemmeno il coraggio di volgere uno sguardo ad Allister mentre fissa Sebastian con uno sguardo di rimprovero e quasi di timore, sempre per paura della seconda conseguenza «ma sulla.. sulla guancia?» certo che no, che domande fai «sei una testa di bolide, Wardwell» e allora si alza sulle punte con l`intenzione, per evitare spiacevoli conseguenze, di stampargli sulle labbra il bacio più preve possibile per poi, appena staccatasi, pulirsi subito col dorso della mano «questa me la paghi!» peccato che non conosce ancora alcun trollincantesimo, altrimenti non ci sarebbe voluto molto.
Alli: Così preso dall’atmosfera che si è creata e tutto quel trambusto che neanche si rende conto in prima battuta della questione del liquido rosso. Tasha lo spruzza e le porge le labbra, Allister completamente attento ad altro le porge rapidamente una guancia sulle labbra per scattare in direzione di Alexa, provando a “sbocciare” Wardwell con una spallata, impettito dinnanzi ad Alexa la tassina potrà vedere un sguardo inquisitorio chiedere spiegazioni, senza però muovere le labbra.
Seb: E arrivato davanti alla Knox questa gli regala uno dei più bei complimenti ricevuti in vita sua, un "testa di bolide" piazzato lì così forte e chiaro, che una vampata di orgoglio rinfresca Sebastian, sebbene proprio nell`esatto momento in cui le labbra dei due si toccano arriva la spallata da parte di Fralker, che non ha molta differenza fisica con il Serpverde: un`altezza pressocché identica e giusto dieci kg in meno(che in questa situazione risultano abbastanza ininfluenti) e quindi riesce senza troppi problemi a spostare Sebastian, che cade per terra, tenendosi rialzato solo con i gomiti «MA PORCO BOLIDE» urla mentre si rialza e si pulisce la divisa con un paio di colpi di mano «ma stai bene?» domanda con un`aria schifata verso il Tassorosso poco prima di girarsi verso Alexa «Se questo è il meglio che sai fare» gli occhi vanno a scendere dalla testa fino ai piedi «ti conviene non farlo più»
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