Tumgik
#e in cuor tuo senti che non è una cosa così normale da dire
i-love-things-a-lot · 2 years
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susieporta · 1 year
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L'AMORE È PIÙ FORTE DELLA MORTE
Verso le 3 del mattino, la notte prima che seppellissimo mio padre, ho sentito la sua voce, forte e chiara come sempre.
Forse era la mia voce più profonda, la mia intuizione, il mio cuore. La mia presenza, la sua presenza, la stessa cosa.
Chi lo sa.
Ha detto: "Non preoccuparti per me, figliolo. Sto bene. Non avevo più bisogno di quel dannato corpo! Era vecchio, estenuante e troppo piccolo per me. Sono sollevato di esserne libero.
Non cercarmi ragazzo mio Non sono andato da nessuna parte. Ho perso il corpo ma non lo sono mai stato. Mi sono solo avvicinato a te. Io sono quello che sei tu. Lo sono sempre stato.
Posso chiederti un favore, figliolo? ”
"Certo, papà. Vai avanti", risposi.
Disse: “Non ho più occhi. Se ho bisogno di vedere, posso guardare attraverso il tuo? ”
“Certo, papà. Possiamo guardare insieme le cose di questo mondo, ogni volta che ne hai voglia. ”
"E le tue orecchie, figliolo? Posso usarli, qualche volta? Non ho più le mie orecchie. ”
“Certo, papà. Possiamo sentire il suono e la musica dei nostri giorni insieme. Ti offrirò le mie orecchie, ogni volta che avrai bisogno di sentire. ”
"E la tua bocca? Per assaggiare, per dire parole? Il tuo naso, per annusare, per respirare? Le braccia e le gambe? Il tuo corpo? Il tuo cuore? ”
“Sì papà. Puoi sentire tutto attraverso di me. Senti tutto. Sii vivo. Ti farò entrare, ogni volta che avrai bisogno di provare questa materialità. ”
E poi ho pensato - no, no, anche questo non è vero. "Lui" non può vivere il mondo attraverso "me". Questa è una falsa divisione fatta da questa mente umana. "Lui" e "io" non sono divisi, non due. Non lo siamo mai stati. È la Presenza che vive, vede, sente, odora, pensa, sente. Papà non mi parla "con", o vive "attraverso" di me o cose del genere - l'amore è prima del linguaggio e di tutte queste divisioni illusorie e fatte con la mente.
Ero papà. Lo sono sempre stato.
Comunque, il giorno dopo, "noi" ci siamo seduti insieme, guardando il sole sorgere prima del suo funerale. Sembrava così normale.
Eravamo vivi. Io ero lui e lui ero io, guardando un'alba per la prima volta. Esistevamo in pura intimità. Non c'era nessun corpo separato che si mettesse in mezzo. Nessuna divisione mentale. Nessuna morte da nessuna parte.
Ci siamo goduti il funerale, a dire la verità. Abbiamo riso e pianto insieme, ci siamo mancati e ci siamo ritrovati più vicini che mai, abbiamo detto addio a un corpo e detto ciao ad un Infinito Ora e non aveva senso ma tutto aveva perfettamente senso.
Viviamo insieme ora in perfetta armonia. Papà vede quello che vedo io, sente quello che sento io, sente quello che sento io, pensa quello che penso io, sente la mancanza e si ritrova attraverso di me. Lui ti scrive queste parole adesso. Per ricordarti quello che hai sempre saputo:
La morte non è niente, solo un misterioso crollo di tempo, distanza, memoria.
O, per dirla in parole povere,
L'amore non può morire.
Addio, papà.
E ciao.
- Jeff Foster
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roseepsiche · 2 years
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Fa strano pensare che tutte le cose che credevo di non superare alla fine le ho superate. Non parlo di successo nè fama, ma parlo di emozioni, sentimenti.
La fine di una relazione è sempre dura, che tu venga lasciato o che tu sia lasciato.
Nei primi mesi non fai altro che pensarci, pensarci, pensarci. Non fai altro che rimuginare, non fai altro che ripensare ai bei ricordi, alle cose che andavano bene, ai momenti in cui non ti rendevi conto che pian piano stava tutto crollando a pezzi.
Nei primi mesi non fai altro che piangere. Piangi per ciò che credi di aver perso, piangi per ciò che sareste potuti essere, piangi per tutti i ricordi che avreste potuto creare ma che ormai non potete più avere.
Nei primi mesi ti mancano le sue chiamate, i suoi messaggi, le frasi stupide che ti diceva, le mani nei capelli, sul volto, sulla schiena, sul seno.
Nei primi mesi credi che forse restare insieme non era così sbagliato.
I mesi successivi, però, anche se a stento, realizzi che la vostra separazione era la cosa giusta. Non c’era motivo di stare insieme se non eri più felice.
Nonostante questo ti arriva un messaggio e ci caschi, e credi che le cose possano tornare quelle di prima, che tu possa essere felice nonostante le complicazioni. Ma tempo qualche mese e torni alla realtà, e ti separi di nuovo.
La separazione riporta ai primi mesi della rottura. Ti riporta alla luna di miele che vivevi, dove non vedevi niente se non il tuo amore riflesso. Ritorni ad uno stato di malinconia dove ti manca, ma questa volta sai che non funzionerà.
Ti dai altri mesi di tempo, vi scambiate due messaggi, vi vedete un paio di volte; ma quando vi abbracciate non senti più il cuore che batte. Quando ci abbracciate non senti più il calore nel petto, le farfalle nello stomaco, la tua anima che si scioglie grazie al calore che ti porta. Tutto ciò che provi è freddezza; ti rendi conto che non provi più nulla e sei solo legata al ricordo che hai di voi in un passato ormai lontano.
Passano altri mesi e ogni tanto ci pensi, alla vostra relazione. Ogni tanto ci pensi ai mesi di tira e molla. Ogni tanto ci pensi a tutte le lacrime versate, i pianti interrotti, i singhiozzi smorzati e il dolore al petto.
Ogni tanto ci pensi a quanto tu avessi paura che venissi dimenticata.
Però pensi anche a quanto, in realtà, non ha più importanza.
Ormai non importa più essere dimenticati, non importa più essere speciali, non importa più essere accarezzati da mani apparentemente calde.
Non importa più perché ora stai bene. Ora stai bene e sai che le rotture fanno parte della vita, e per quanto possano fare male ti insegnano sempre qualcosa. E no, l’insegnamento non è chiudersi in se stessi per evitare di essere feriti, ma è amare e farsi amare. Lasciare che le persone possano conoscere il tuo cuore, affezionarsi e vivere.
L’insegnamento è che dopo una rottura non ci si dimentica, non si cancellano i ricordi, ma semplicemente si impara a convivere con essi, gioiosi o dolorosi che siano. Si impara a convivere con essi e a prenderli per quello che sono: ricordi. Ricordi che ti hanno fatto stare bene, male, e che contribuiscono a creare la persona che sei oggi. Sono ricordi che vivono nel passato e nel passato rimangono. Sono ricordi che non possono cambiare ma che ti accompagnano per tutta la vita, e questo non significa che siano dietro di te, a tenerti d’occhio come se fossi una preda e loro un predatore; ma sono lì con te e ti accompagnano, ti scaldano e ti fanno andare avanti.
È normale soffrire dopo una rottura ed è normale credere di essere senza uscita, all’inizio. Ma la verità alla quale spesso non si crede dopo essersi appena lasciati, è che tutto passa. E passa davvero. Non vuol dire che sarà facile e che dovrai eliminare tutti i ricordi, foto, video, memorie di voi per poter superare questa fase, ma prima o poi passa e potrai ripensare al passato, rileggere messaggi o riguardare delle foto senza la lacrima che ti scende dal viso, senza pensare “ma se…”. Ripenserai o riguarderai queste cose quasi forse con un sorriso, e penserai che stavi bene, sì, ma certe relazioni sono fatte per avere una fine.
Tutto passa, ma bisogna darsi tempo e ascoltarsi.
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adessotiportoconme · 4 years
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come se, insieme a te, fossi morta anch’io
Sono qui a scrivere da un pc poggiato sul letto, per cercare di tirare fuori ciò che penso di te e provare a calmarmi, a trovare un senso ad ogni cosa, a rendermi conto che è tutto reale e che, purtroppo, non è un brutto sogno dal quale domattina mi sveglierò sudata ma rassicurata dal fatto che fosse solo frutto della mia mente, forse un po’ troppo stanca. in questi mesi, da quando sei andato via, ho provato ad accettare ciò che è successo, mi sono ripetuta tante volte che “può succedere”, che capita a tanti ragazzi della nostra età e che, quindi, perché non sarebbe dovuto capitare ad una persona che per me è stata speciale? Perché, proprio io, sarei dovuta essere esente dal provare questo dolore? Mi è capitato molte notti di svegliarmi convinta che se ti avessi mandato un messaggio tu avresti potuto rispondere, come se fosse normale portare il cellulare con sé anche dentro una bara; altrettante volte mi è capitato di piangere, fino a non respirare, a ripercorrere tutti i momenti insieme, le corse in autostrada, le sdraio messe al sole a gennaio, le camere da letto al buio e il tuo profumo. Molte volte ho sperato di sentire tutto il dolore umanamente possibile, perché magari dopo le sensazioni peggiori sarei tornata a vivere e avrei accettato tutto. Invece ho scoperto che stare male non cambia le cose. Che disperarmi non porterà via dall’asfalto il tuo sangue. Ho capito che ogni cosa che abbiamo vissuto dovrò custodirla io, perché se dimenticassi anche solo una sfumatura della tua voce, un tuo neo sul petto o una cosa che ti piace, in quel momento tu smetteresti di esserci anche spiritualmente e non solo fisicamente, e questo non posso permetterlo. Ho il terrore che il tuo profumo un giorno svanisca dai miei ricordi come qualcosa che ami e che non senti più da tempo, come l’odore di casa quando vivi all’estero, che cerchi di ricordare, ma proprio non ce la fai. Ed ho paura che tu possa dimenticare me. Ho paura che dove sei tu adesso non ci sia tempo per pensare. E soprattutto ho paura che dopo non ci sia niente e che i fiori che ti regaliamo non li vedi e non li annusi. E che non ci vedi mentre sentiamo la tua mancanza. E che non pensi che anche tu ci amavi e non riesci a stare senza noi. Insomma, ho paura davvero di tutto da quando non ci sei. Ho paura della morte, ma ho paura anche di vivere, a lungo, sentendo questo cuore vuoto. Vorrei poter almeno dire che mi hai insegnato a godermi ogni cosa come se fosse l’ultima possibilità che ho per provarla, e sarebbe anche vero, se non fossi paralizzata dall’idea che è tutto finito. Perché, purtroppo, mi sento così. Una parte della mia adolescenza, una parte dei miei anni più belli, una parte dei miei sentimenti più sinceri, quelli che provavo prima di iniziare ad avere paura degli uomini e di provare delle emozioni, quelli, sono volati via, insieme a te. Che me li hai fatti provare, che hai reso possibile l’esistenza di una nuova Stefania, quelli che ora mi fanno pensare “li rivivrò di nuovo?”. E se dovessi riviverli, come potrei accettare il fatto che tu non sarai più in grado di provare niente, che non potrai più fare l’amore o aggiustare la moto? Che non potrai più mangiare in quella pasticceria sul mare che amavi e che amavo anch’io, dove non ho più il coraggio di andare. Come farò ad andare avanti senza sentirmi in colpa di poter vivere quando tu non puoi? Se potessi tornare indietro, se potessi dirti qualcosa, ti guarderei e ti ringrazierei per ciò che mi hai dato e forse ti darei dello stronzo per ciò che non siamo stati in grado di darci, invece. Perché ora non c’è più tempo. Perché adesso non esiste più la speranza del “un giorno cambieranno le cose, un giorno riproveremo di nuovo tutto e sembrerà di non esserci allontanati mai”. Perché adesso non ci sei. Ma non ci sono più nemmeno io.
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steffydragun · 4 years
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Mi batte forte il cuore.
Troppo forte.
Non va bene.
«Io sono lo psicologo della scuola. Come ti è stato detto, a causa della depressione in costante crescita ogni anno fra gli studenti, il nostro istituto ha voluto far fare una seduta a ciascuno di voi, così che possiamo intervenire e aiutarvi il prima possibile»
Annuisco senza dire una parola.
La mia gola è asciutta e le mie mani tremano.
«Ti chiedo quindi di raccontarmi come ti senti, cosa hai provato e cosa provi tuttora da quando sei al nostro liceo.
Sarà in fine mio compito valutare se ti servirà una serie di sedute o meno.
Prego»
Prende un block notes e segna il mio nome.
Poi allunga un braccio e prende il mio questionario; in breve era un test a crocette sul nostro stato d'animo in generale ed in specifiche situazioni e noi dovevamo segnare con una x l'opzione che più ci rappresentava.
Guarda tutte le mie risposte e sorride.
Sembra soddisfatto.
«Basandomi su questo pare che tu non abbia nessun problema, non soffra d'ansia o abbia paure, tanto meno ti senta male nella tua classe o in collera con te stessa »
I suoi occhi leggono velocemente tutto il foglio.
«Ciononostante, ci tengo a sentire cosa provi tu, con le tue parole. »
Si sistema gli occhiali e si mette comodo su quella poltrona che cigola sotto al suo peso, come se si stesse preparando a sentire una storiella.
Qualcosa dentro me scatta.
Nonsocosastofacendo.
«Vuole la mia versione?
Innanzitutto il mio questionario è completamente falso, e lo capirebbe chiunque che ho mentito spudoratamente; nessuno è sempre e costante mente “felice”, nessuno non ha mai problemi con la famiglia e con i suoi coetanei e nessuno non ha delle paure.
Ma che razza di psicologo eh, scusi?
Lavora tutto il giorno con degli adolescenti e non sa ancora che chi sta davvero male e si sente sprofondare non lo dice così apertamente, non ne va fiero ma, anzi, se ne vergogna e cerca di nasconderlo finché può.
Dato che non sa leggere fra le righe, glielo dico chiaro e tondo; aiuto.
Aiuto per ogni cosa.
Vuole parlare della scuola? Va bene.
Da quando sono entrata qui non faccio altro che sentirmi inadeguata, costantemente non un gradino, ma chilometri di scale dietro ai miei compagni.
Loro capiscono subito ogni materia, ogni lezione. Sono sempre preparati, impeccabili e hanno ottimi voti.
Io mi sforzo, studio giorno e notte e continuo a fare schifo, continuo a non essere abbastanza per nessuno.
Sa cosa significa impegnarsi e dare il massimo, ma essere sempre l'ultima a capire un'argomento, l'ultima a consegnare la verifica, quella che prende sempre il voto più basso? Significa che in me sorgono complessi, inizio a pensare di essere stupida, di non valere quanto valgono gli altri, e anzi, orma ne sono più che convinta.
Vuole parlare delle mie relazioni coi miei coetanei?
Okay, semplice; vanno a puttane.
Non mi riescioad inserire in nessun gruppo, vengo giudicata una sfigata solo perché non fumo e non bevo, mi prendono in giro perché i miei capelli non sono impiastricciati di colori e la mia pelle non è ricoperta di tatuaggi.
Ormai se ogni sera non vai ad ubriacarti in discoteca e non sei insultare il prossimo per far ridere chi ti sta accanto sei un perdente.
Bello schifo.
E guardi, davvero, fra ragazzi che vogliono solo giocare coi tuoi sentimenti e spezzano il tuo cuore in mille frammenti, ragazze che se non ti vesti e ti trucchi da Troia ti ignorano, ma se ti metti una maglia scollata ti dicono i peggior insulti del mondo, io preferisco stare sola.
E la mia situazione familiare?
Ah beh, sa, avere una figlia che sta tutto il giorno chiusa in camera o fra le pagine di un libro perché odia le persone e non esce con nessuno, e a scuola ha voti pessimi, e non è la sorella perfetta o ideale, non è che ne vanno molto fieri, tanto meno ne sono orgogliosi.
E la mia vita?
Tralasciando il fatto che non riesco a dormire a causa dei miei incubi che come catene mi stringono il collo, il petto, la pancia, le gambe, il corpo, e mi schiacciano al suolo, soffocandomi, ed i miei demoni che hanno la permanenza fissa nella mia mente, anche quella fa schifo.
Sa, più volte quando sono sul balcone di camera mia mi domando cosa accadrebbe se saltassi giù, e questo pensiero mi perseguita ogni qualvolta vedo un edificio alto, peccato che sono sempre troppo bassi.
O smesso di passeggiare in strada perché ero tentata di gettarmi sotto al primo camion che passava.
Ho gettato i temperini perché sono tormentata dal desiderio di tagliarmi le vene, di dissanguarmi con le mie stesse mani e punirmi una vola per tutte per ciò che sono.
Ultimamente credo di meritare solo dolore, vorrei farmi sempre più male, fino ad affogare nelle mie stesse lacrime e frantumarmi le ossa.
Mi odio. Mi odio all'inverosimile, mi sto distruggendo ma lo merito.
È giusto così.
E sa perché? Perché certe persone non vogliono essere salvate.
Mi basta tenermi tutto dentro, finché non implodo e scompaio lentamente »
Respiro.
Respiro.
Respiro.
No. Non posso.
Saprei già come andrebbe a finire.
Già lo vedo sto qui farmi altre mille sedute e telefonate ai miei genitori, così che abbiamo un altro problema e, grida a caso, chi l'avrebbe mai detto, di nuovo per colpa mia.
Lo psicologo mi richiama dai miei pensieri «Prego, ci tengo a sapere la tua storia. Le tue emozioni. »
Sorrido.
«Non c'è nulla da dire sul mio conto. Come può osservare dal questionario appena svolto, sono una ragazza che è felice con poco e si rallegra con ancora meno.
Ho così tante amiche che tendo a confondere i loro nomi e fatico a sistemare gli appuntamenti per riuscire ad uscire con tutte, senza dimenticarne nessuna.
La mia famiglia è il mio punto di forza» che schifo, una recita peggiore non la posso fare, magari questa volta si accorge che sto mentendo «mi incoraggiano costantemente e mi fanno sentire amata. A scuola ho buoni voti, ottenuti senza stress o ansia. Mi consideri un adolescente normale, con una vita tranquilla e ricca di serate, alcol, e cazzate. »
Lo guardo negli occhi, sinceramente spero che mi tradiscano «Non potrei essere più felice».
Lui mi sorride«come immaginavo, i questionari non sbagliano mai. Prego, puoi andare»
Lo saluto ed esco.
La porta si chiude alle mie spalle e non si è reso conto che il mio era un addio, un “me ne vado, per sempre”.
I veri assassini sono quelli che sanno che vuoi farti del male, ti guardano distruggerti, e se vanno mentre cerchi di ucciderti.
Perché è molto più facile così.
Non essere un assassino.
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sciatu · 5 years
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RISPEDDI - Racconto di Natale
Si avvicinò alla porta e l’osservò. Era una di quelle porte antiche a due ante con uno spioncino ed un colore mogano antico; era lucidissima come se chi ci abitava passasse il tempo a lucidarla. Si aggiustò la cravatta, a cui non era abituato, si tirò la giacca e allungò la mano destra verso il campanello in ottone lucido, bilanciando sulla sinistra il vassoio di cannoli che aveva comprato per l’occasione. Il dito esitò qualche secondo prima di premere il campanello che suonò con un trillo forte e metallico. Sentì qualcuno borbottare, seguito da uno strisciare di ciabatte fino alla porta e poi un rumore di chiavistelli e ferraglia fino a che la porta non si apri e il volto di un signore piccolo e calvo con due baffetti curati apparve nella fessura della porta. “È il signore Catalano? – chiese il ragazzo incerto - sono Tommaso, ….Tommaso Pitrè “ disse tutto di un fiato come se volesse vincere la paura che lo aveva assalito “Si ma…. – fece il vecchio non capendo e dondolando impercettibilmente la testa come a sottolineare che per lui restava un perfetto sconosciuto, poi d’improvviso lo guardò attentamente ed i suoi occhi si illuminarono come se avesse capito chi aveva davanti e stupito, forse un po' spaventato, chiese – lei … è …. Tommaso ….. quel … Tommaso…?” “Si signor Catalano, sono io, ecco in occasione delle feste ero venuto a salutarvi e a farvi gli auguri di buon Natale a lei e a sua… “ disse tutto di un fiato il ragazzo recitando il discorso che si era preparato Il vecchio non lo lasciò finire, lo guardò stupito e con gli occhi lucidi e la voce tremante lo tirò dentro il corridoio della casa gridando con una voce tradita dall’emozione “Concetta, veni chi c’è u carusu… Tummasinu… veni.” Il ragazzo si sentì tirare dentro un ingresso quadrato e ampio su cui davano quattro porte, una di queste era quella di una cucina in cui una vecchia signora, piccola e magra, vestita da casa con una vestaglia di un cupo color nero ed con i capelli bianchi raccolti in una cuffietta di plastica trasparente perché stava friggendo qualcosa “Chi ti gridi – fece la donna acida e seccata – cu jè?” “ Tummaso ! Cuncetta,  Tummasinu jè” Fece il vecchio spazientito che la moglie non capisse, indicandolo come se già il vederlo avesse dovuto farle capire la sua importanza Lei si avvicino asciugandosi le mani nel grembiule grigio e già malmesso “buongiorno … scusassi, stava frijennu du rispeddi” Fece fredda allungando due dita per semplice convenzione. Il ragazzo allungò la mano stringendo le due dita e sorridendo ripeté tutto di un fiato “Buongiorno signora, sono Tommaso Pitrè sono venuto a portarvi un pensiero e a farvi gli auguri di buon Natale” La donna lo guardò ancora non capendo ma strinse gli occhi perché con la mente cercava di ricordare perché quel ragazzo che non aveva mai conosciuto prima era venuto a salutarla ed avesse qualcosa di familiare. Terribilmente familiare. “È Tommasino, Concetta – disse sottovoce suo marito armandosi di pazienza, senza staccare gli occhi dal ragazzo – ti ricordi? Ce ne aveva parlato in ospedale il dottor Gugliando  …. per Paolo…” La donna aveva aggrottato la fronte come a cercare ancora dentro di se ma appena senti il nome Paolo aprì la bocca dallo stupore coprendosela con le mani come a fermare un grido che le stava uscendo. Gli occhi le si allagarono riempiendosi di lacrime e prima che il ragazzo potesse dire qualcosa lo abbraccio e lo strinse a sé piangendo Il ragazzo restò interdetto ed osservò il vecchio a chiedere cosa fare. Lui pero aveva tirato fuori un enorme fazzoletto bianco con cui si soffiò rumorosamente il naso poi preso il vassoio di cannoli che stava traballando per i singulti della moglie ancora stretta al ragazzo, le disse con fermezza “Veni, fallu sittari “ ed aprì la porta che dava sul salotto entrò e dopo aver appoggiato il vassoio sul tavolo dischiuse le pesanti tende che davano su una vetrata per far entrare un po' di luce “Veni – ripeté la moglie levandosi la cuffia da cui uscivano dei capelli grigi, quasi appassiti  prematuramente – veni, fatti avvidiri” Lo portò tirandoselo per la mano verso un vecchio divano su un lato del salotto e lo fece sedere accanto a se guardandolo attentamente. Il vecchio prese una sedia e si mise sul lato opposto come se anche lui volesse stare il più vicino possibile al ragazzo. La donna lo guardava con gli occhi fissi, cercandone ogni più piccolo particolare mentre incurante delle lacrime che le scendevano sulle guance, stringeva tra le sue mani tremanti quella di lui. Osservò i suoi occhi nerissimi e circondati da un alone scuro che risaltava sulla pelle bianchissima di chi non aveva mai potuto avere una giornata al mare o una passeggiata tra i monti “Ma sei più giovane di Paolo – disse ad un certo punto la vecchia stupita per la scoperta – quanti anni hai?” “ne farò 21 l’otto gennaio” rispose lui felice. “ Ma allora eri ammalato da quando eri piccolo?” Osservò il vecchio “Da sempre… - rispose sorridendo il ragazzo – appena nato, già stavo male. Il mio cuore faceva già i capricci. Non potevo correre, sudare, e dovevo evitare di ingrassare. Dovunque andavo dovevo stare attento che non mi venisse qualche crisi. Ogni minuto poteva diventare una tragedia. Poi ultimamente, anche da fermo stavo male. Era una cosa impossibile, ormai non potevo neanche uscire dall’ospedale che avevo crisi continue. Alla fine il cuore smise di funzionare e a un certo punto diventò inutile, Mi tenevano in vita con le macchine cercando disperatamente un donatore….” Si fermò un istante preoccupato di dire troppo senza riguardo per chi lo ascoltava. “ Paolo … “ disse la vecchia commossa “Si, Paolo, se non avesse deciso di donare i suoi organi, anch’io non sarei più qui” Esitò ancora e continuò. “ ecco  ormai no ce la facevo più, a stare li attaccato alle macchine con tutti i fili e tubi che mi tenevano in vita, Mi chiedevo quale fosse il senso di vivere in quel modo dipendendo per ogni mia cosa da qualcuno o qualcosa. Della vita avevo solo visto dottori ed ospedali e le cose belle le avevo vissuto per poco, di corsa, pronto a dover soffrire in cambio di una passeggiata sulla spiaggia o una camminata per negozi: tutto quello che per gli altri era normale per me era eccezionale. Non ho mai visto un tramonto, la luna sul mare, una passeggiata in collina, non avrei mai potuto amare per come si deve e sognare per come si vuole. Vivevo pensando solo a soffrire il meno possibile. – il ragazzo si fermò e guardò negli occhi la donna – ecco, quando si soffre si vive in un banco di nebbia che non ti fa vedere oltre il prossimo passo che devi fare; non vedi nient’altro che il tuo dolore e la solitudine che a causa sua soffri. Poi ti dicono che hanno trovato un cuore e che ti opereranno di corsa e tu non te ne rendi conto. Forse non ci credi e poi tutto diventa diverso e la nebbia attorno a te si alza e ti accorgi del mondo che avevi intorno, e comprendi che la vita non è i vetri della finestra della tua stanza, il cambio delle infermiere in corsia o il marciapiede vuoto che va verso l’ospedale, ma sono le persone, i loro occhi, i loro sorrisi, il loro parlarti ed ascoltarti. È questo che Paolo mi ha insegnato: la vita sono gli altri, non il freddo parlarti dei tuoi dolori, o il tuo piangerti addosso. Per questo oggi sono uscito di casa e mi sono chiesto cosa avrebbe fatto piacere a Paolo, e mi sono risposto che gli avrebbe fatto piacere se fossi venuto a trovarvi. Ho fatto così e sono venuto” “Hai fatto bene – gli disse il vecchio mentre si asciugava ancora il naso – lui l’avrebbe apprezzato” La donna sorrise   “Vedi anche noi vecchi siamo come a te quando eri malato, circondati da una nebbia che non ci fa vedere gli altri, ma solo i nostri acciacchi, i nostri problemi, il piccolo mondo in cui per la paura che nasce dal nostro sentirci deboli ci chiudiamo. Io ad esempio non volevo. Mio figlio era morto e lo volevano … aprire e prendergli tutto quello che potevano come ladri in una chiesa di notte. Li ho odiati! Sentivo che gli avrebbero fatto solo del male, che ci stavano rubando un'altra volta mio figlio. Quando me lo dissero, mi misi a gridare come una pazza che erano ladri di vita. – scosse la testa mentre osservava le sue mani stringere quello del ragazzo – poi mio marito mi fece ragionare. Mi disse che Paolo lo aveva deciso molti anni prima. Che era una sua scelta e per quanto lo amavamo dovevamo rispettarla. Lui lo riteneva un suo dovere aiutare gli altri che soffrivano e lo aveva lasciato anche per iscritto. -  si fermò qualche secondo scuotendo la testa - Paolo amava la vita, era un compagnone, sempre pronto a fare casino con i suoi amici. Lui non era accecato dalla nebbia della solitudine, del sentirsi deboli e vulnerabili: non aveva paura! Non pensava che il suo mondo finisse alla porta di casa. Era giovane, e chi vede la sua vita con gli altri e per gli altri, resta giovane. Per sempre! Non può morire perché vive in chi ha amato, lo portano nei loro cuori, lo tengono in vita nei loro pensieri, e tu me lo hai provato, hai provato che Paolo aveva ragione” Si asciugò gli occhi. Vi furono pochi secondi di silenzio “posso chiederti un piccolo favore?” “Si signora  mi dica” “Posso sentire il tuo cuore? Lui la guardò stupito per la richiesta “Certo, se vuole…” Lei sorridendo appoggiò l’orecchio al petto del ragazzo ed ascoltò per qualche secondo, poi guardando il marito disse sottovoce “ lo sento…. – chiuse gli occhi ed aggiunse con un filo di voce più sottile – … ciao Paolo” E stringendo gli occhi si mise a piangere “Così mortifichi Tommaso - fece seccato il marito – cosa gli fai pensare…!” “scusa … scusa… - fece lei mettendosi dritta – sono sciocchezze di una madre “ “No, non sono sciocchezze: è amore! ” Rispose serio Tommaso. “Paolo non poteva essere diverso da quello che era perchè era vostro figlio. Era amato e per questo amava. È una cosa semplice, quasi banale, ma non tutti sono capaci di essere nello stesso tempo un frutto e un seme fecondo, non tutti sanno essere buoni maestri dopo essere stati ottimi allievi. Molti sanno solo chiedere perché non hanno mai capito cosa vuol dire dare” La madre sorrise poi si alzò di scatto “Aspetta, aspetta un minuto….” e scomparve verso la cucina. Il vecchio l’osservò stupito ma si dimentico subito di lei e chiese al ragazzo “Ma ora come stai? va tutto bene?” “Si adesso tutto bene. Vede – disse tirando fuori un piccolo quaderno dalla tasca interna della giacca – ogni giorno vado in giro per Messina e mi scrivo le cose belle che vedo e che prima non conoscevo…. guardi, guardi pure…” fece il ragazzo passandolo al vecchio. Il vecchio aprì a caso e incominciò a leggere “i bambini che escono felici da scuola….. l’arrivo del traghetto…. l’alba vista dalla chiesa di Cristo Re…. gli innamorati che passeggiano di fronte alla Fiera….” Arrivò la vecchia con in mano un enorme vassoio di rispeddi fritte ricoperte da grossi cristalli di zucchero “Pigghiani una, fozza,…” lo incoraggiò mettendogliele davanti Il ragazzo le guardò un po' sorpreso e disorientato. “Veramente non sono un fanatico delle rispeddi; i dottori mi hanno sempre detto di stare attento… ne prendo una per assaggiare….” disse alla fine quasi per non offendere la vecchia. Prese un tovagliolo che la vecchia gli porgeva e raccolse una piccola rispedda dal grande vassoio mettendosela in bocca. Fece una faccia stranita e senza pensarci sopra ne prese un'altra e se la mangiò e continuò così fino a che, vedendo i vecchi che lo guardavano stupiti, si fermo disorientato “Scusate, non so perché, ma sono buonissime, è come se le avessi sempre mangiate…. non riesco a fermarmi….” I due lo guardarono e sorrisero “ è il dolce preferito di Paolo….” disse la vecchia sorridendo
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matem-artistica · 5 years
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Mi sono Innamorata
Non conosco la vostra vita, immagino ognuno di voi abbia tanti, ma tanti problemi. So che state male. Io non so bene quello che mi sta succedendo, ma è veramente doloroso. Sono un essere vivente ed è naturale che prova dei sentimenti, devo attribuirmi una colpa anche per questo? Lo capite che non lo decido io quando il cuore mi illumina il cammino? Non sono come quelle tante persone che tentano di copiare l'amore vero con degli stereotipi sociali. Un po' mi dispiace per coloro che non l'hanno mai capito e un po' vorrei essere come loro. Anzi provo anch'io a tentare di copiare le loro false intenzioni, ma ricado in una palude mostruosa. L'unica cosa che mi viene da dire riguardo a questo è: orrore umano!
Queste emozioni mi stanno solo che distruggendo, questo che forse chiamano amore è veramente crudele. Cosa c'è di bello in tutto questo? Per caso, quelle frasette che scrivono nei libri romantici quando le emozioni di esse sono solo dei semplici attimi volatili? Non ci credo, o almeno, ho smesso per quanto fosse magnifico immaginarlo. Non pensiate che nella mia vita, io ho solo da pensare all'amore, perché vi sbagliereste. Non dico di aver già fatto quello che era dispensabile perché cosa da pigri; dico solo che ogni volta che affronto una sfida o una difficoltà metto sempre il mio massimo. Facevo l'80%, poi ho iniziato a fare solo il 100% e non sempre sono riuscita nei miei obbiettivi; ad 80 resti normale, per il 100 arrivi alla fine del possibile distrutto. Con il tempo ho capito che tra 80 e 100 la differenza si vede poco, perché non fare sempre 80? Ho imparato a lottare, sono diventata una guerriera. Dopo aver fatto il massimo, ti senti distrutto, quando fai il massimo sempre, non sei quasi vivente. Avviene proprio così, ti senti morto, vivi da morto, con la consapevolezza di aver superato molti e ne fai il tuo premio.
Mi sono innamorata, una volta.
Mi sono fatta fremere il cuore,
Ho aspirato ad una grande gioia,
Ho avuto ansia e paura.
Ho aspettato tempo,
Ho sognato e ho sofferto,
Continuo ad aspettare,
Forse sogno ancora,
Sono dei sogni tristi.
Sogni che mi hanno catturato
Dai miei punti deboli
E ora si nutrono di me.
Mi sono innamorata, una volta,
Di nuovo,
Ho pensato:
Adesso riprovo
E dissolvo ogni sorta di male passato.
Ho sperato,
Ho pregato il Fato,
Ho fatto tutto quello che l'attimo mi ha suggerito di fare.
Alla fine ho capito che non era più nulla da fare,
Mi sono pugnalata dentro
Ancora.
Ho provato addosso un vestito calzante due fallimenti consecutivi e mi ha assolto al volto un mostro depresso.
Mi sono innamorata, una volta
Di nuovo,
Quella volta è ancora adesso,
Lo so che non dovevo mai,
Non dovevo mai innamorarmi,
Ma ora è troppo tardi e questa volta non finirà davvero.
Vivere per me, è diventato questo sacrilegio;
Sono rinchiusa in questa voragine
Causata dall'amore.
Mi fa così tanta paura che sono inconsapevole di amare,
Sono come Prometeo addentato dagli avvoltoi,
Penso che avvenga tutto fuori e poso le mani sugli occhi,
Ma è dentro,
Intriso nelle mie membra.
Mi sono innamorata.
matem-artistica
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gloriabourne · 5 years
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The one where Ermal is a father
Ermal parcheggiò in doppia fila, davanti alla scuola di Libero. Probabilmente avrebbe trovato una multa al suo ritorno, ma in quel momento era l'ultimo dei suoi problemi.
Quando Fabrizio l'aveva chiamato, circa venti minuti prima, chiedendogli di andare a prendere Libero a scuola, Ermal aveva subito capito dal suo tono di voce che c'era qualcosa che non andava.
"Non lo so" aveva risposto Fabrizio sospirando. Poi aveva aggiunto: "M'ha chiamato la maestra. Dice che è successa una cosa oggi a scuola ma non mi ha spiegato niente di più. Io sono bloccato in studio, Giada sta accompagnando Anita al compleanno di una sua amichetta..."
Ermal aveva fermato il suo fiume di parole dicendogli di stare tranquillo, che ci sarebbe andato lui da Libero.
In fondo, Fabrizio era stato così gentile da ospitarlo a casa sua mentre si trovava a Roma per un evento. Il minimo che poteva fare era ricambiare il favore andando a prendere suo figlio a scuola.
Entrò all'interno dell'edificio ignorando le occhiate curiose degli altri genitori e si diresse a passo spedito lungo il corridoio, cercando la classe di Libero.
Rimase fermo sulla porta a guardare qualche secondo Libero, che se ne stava seduto al primo banco con lo sguardo basso, e la sua maestra, seduta alla cattedra davanti a lui.
"Salve" disse Ermal, entrando nell'aula timidamente.
Sembravano passati secoli dall'ultima volta in cui era stato in una scuola per qualcosa che non riguardasse il suo lavoro.
La maestra, una donna sulla cinquantina, alzò lo sguardo e sorrise. "Salve. Il padre di Libero mi ha avvertito che avrebbe mandato lei a prenderlo."
"È successo qualcosa?" chiese Ermal curioso, mentre Libero sbuffava continuando a tenere lo sguardo rivolto verso il basso.
La maestra sospirò gettando un'occhiata a Libero, poi rivolse l'attenzione a Ermal e disse: "Avrei preferito parlarne con i genitori. Anzi, sicuramente li contatterò per un colloquio. Ma, per farla breve, oggi c'è stato un litigio piuttosto intenso tra Libero e un suo compagno di classe."
"Che significa intenso?" chiese Ermal.
"Si sono spintonati durante l'ora di ginnastica e Libero ha detto delle parole che non mi sarei aspettata di sentire da un bambino della sua età" spiegò l'insegnante.
"Cioè?" disse Ermal guardando Libero, incerto se in quella situazione fosse più corretto continuare a parlare con l'insegnante o rivolgersi direttamente al bambino.
"Le parole precise sono state: brutto stronzo."
Ermal si passò una mano tra i capelli sospirando.
Non aveva la minima idea di come comportarsi, di cosa dire.
"Senta, so che non è suo figlio, ma non potevo chiudere un occhio questa volta. E visto che i genitori di Libero l'hanno autorizzata ad occuparsi di lui in loro assenza..." iniziò la maestra.
"Questa volta?"
"Non è la prima volta che succede."
  Se c'era una cosa che Ermal non era mai stato in grado di fare, era guidare in silenzio.
Era sempre stato abituato a chiacchierare con chi c'era in macchina con lui o semplicemente a canticchiare una canzone alla radio.
Ecco perché rimanere in totale silenzio, mentre Libero accanto a lui fissava il finestrino, lo stava rendendo nervoso.
Il fatto era che proprio non sapeva come comportarsi.
Avrebbe dovuto sgridarlo? Chiedergli perché l'aveva fatto? Fargli un discorso ispirato sul perché si era comportato male?
Nessuno di quei compiti spettava a lui.
Lui era semplicemente il fidanzato di suo padre - anzi agli occhi di Libero era un semplice un amico, visto che Fabrizio non gli aveva ancora detto di avere una relazione con Ermal - che era andato a prenderlo a scuola.
"Lo dirai a papà?" chiese Libero a un certo punto.
Ermal sospirò. "Sì. Tanto lo saprà dalla maestra prima o poi. E io non me la sento di nascondere le cose a tuo padre."
Libero rimase in silenzio per qualche secondo, mentre Ermal si fermava a un semaforo e gli rivolgeva un'occhiata curiosa.
C'era qualcosa che Libero non stava dicendo, qualcosa che stava tenendo nascosto su quella storia.
"Ti va di raccontarmi cos'è successo?" chiese Ermal mentre il semaforo diventava verde.
"Te l'ha già detto la maestra."
"Sì, ma io vorrei saperlo da te" rispose Ermal, probabilmente con un tono più brusco di quanto avrebbe voluto perché sentì Libero sbuffare.
"Libero..."
"Senti, tu non sei mio padre!" sbottò il bambino, cercando di chiudere la conversazione.
Ermal si ammutolì. In fondo, Libero aveva ragione.
Non era suo padre, non poteva permettersi di sgridarlo o di dire qualsiasi cosa su quella faccenda.
Quando arrivarono a casa, pochi minuti più tardi, Fabrizio non era ancora rientrato.
Ermal sospirò mentre lasciava le chiavi sul mobile dell'ingresso, consapevole che in mancanza di Fabrizio spettasse a lui dire qualcosa a Libero. Se non sgridarlo, almeno cercare di capire per quale motivo avesse agito in quel modo.
Libero, da parte sua, non aveva nessuna intenzione di parlare di ciò che era successo a scuola, tanto meno con Ermal.
Non aveva nulla contro di lui, anzi gli stava simpatico e vedeva quanto suo padre fosse felice ogni volta che erano insieme. Però se c'era qualcuno che doveva dire qualcosa su quella storia, dovevano essere suo padre o sua madre. Non Ermal.
"Hai ragione" disse Ermal a un certo punto, mentre si sedeva accanto a Libero sul divano.
"Su cosa?"
"Sul fatto che non sono tuo padre. Anzi, io non so nemmeno come si fa a fare il padre. Non ho avuto un buon esempio."
Libero si voltò verso di lui. "Non vai d'accordo con lui?"
"Diciamo che non si è comportato bene" rispose Ermal cercando di addolcire la situazione. Poi aggiunse: "Insomma, io non so come si fa il padre e non voglio cercare di farlo con te. Voglio solo capire che succede."
Libero si strinse nelle spalle. "Niente. Abbiamo litigato, stop."
"Vi siete spintonati. Hai detto delle cose che non avresti dovuto dire. I gesti e le parole, a volte fanno più male di quanto credi" disse Ermal.
Quella situazione lo stava facendo inevitabilmente ripensare alla sua infanzia.
Aveva riportato a galla i ricordi degli anni passati in Albania, con un padre che non l'aveva amato, un padre che era quasi riuscito a convincerlo che la violenza fosse una cosa normale.
Era stato fortunato a saper leggere lo sguardo di sua madre, a vedere oltre il sorriso che cercava di stamparsi in faccia nonostante tutto. Era stato bravo a leggerle dentro e a rendersi conto, anche se era solo un bambino, che c'era qualcosa di profondamente sbagliato in tutto quello.
E quando l'aveva capito, quando con l'ingenuità tipica di un bambino aveva affrontato suo padre sperando che le parole avrebbero potuto cambiare le cose, le botte erano arrivate anche per lui.
C'erano stati schiaffi, c'erano stati segni sulla pelle che aveva faticato a nascondere, c'erano state le parole di suo padre che lo avevano ferito più delle sue mani.
Sua madre lo aveva truccato un paio di volte - mettendogli il suo fondotinta per cercare di coprire i lividi - ma non aveva potuto fare nulla per le altre ferite, quelle che Ermal si portava nel cuore, quelle causate da un uomo che lo definiva nullità e che cercava di denigrarlo in qualsiasi modo.
Aveva impiegato anni per disfarsi degli incubi su suo padre, per avere una vita normale. Ma ciò che aveva vissuto lo aveva segnato e lo aveva portato a provare repulsione per qualsiasi tipo di violenza, mettendolo in difficoltà dovendo affrontare una discussione simile proprio con un bambino che mai avrebbe creduto potesse avere quei problemi.
"C'è una bambina nella mia classe che ha problemi a camminare" disse Libero improvvisamente.
Ermal aggrottò la fronte - domandandosi cosa c'entrasse con il loro discorso - ma non disse nulla.
"I nostri compagni la prendono in giro, ridono di lei... Oggi a ginnastica hanno iniziato a ridere perché lei non riusciva a fare un esercizio. Un mio compagno rideva più degli altri, così me la sono presa con lui" spiegò Libero tenendo lo sguardo basso.
"E l'hai spintonato e chiamato con quelle parole?"
Libero annuì senza alzare lo sguardo.
Si vergognava per quello che era successo, anche se era ancora convinto di averlo fatto per un buon motivo. Ripensandoci però forse avrebbe potuto evitare di alzare le mani o di insultare il suo compagno di classe. Forse avrebbe potuto semplicemente dire alla maestra cosa stava succedendo e non ci sarebbero stati problemi.
Ma in quel momento, aveva agito di istinto e proprio non ci aveva pensato.
Ermal gli strinse affettuosamente una spalla, tirandolo verso di sé in un goffo abbraccio.
"Va tutto bene, è tutto ok. Volevi solo difendere una tua compagna" cercò di rassicurarlo Ermal.
"Ma l'ho fatto nel modo sbagliato" mormorò Libero.
"Questo è vero" disse Ermal, cercando di nascondere gli occhi lucidi.
Le prime volte in cui era stato picchiato da suo padre, avevano tutte un'unica costante: suo padre che andava da lui e gli diceva che aveva solo cercato di dargli una lezione, anche se nel modo sbagliato.
Prometteva di non rifarlo più, diceva che se avesse dovuto dargli un'altra lezione non avrebbe più alzato le mani, ma poi lo faceva comunque.
Si scusava - a modo suo - e ammetteva di avere sbagliato, solo per poi comportarsi nello stesso modo appena qualche giorno più tardi.
Ermal avrebbe mentito se avesse detto che le parole di Libero non gli avevano ricordato quelle di suo padre. Ma sapeva anche che, per quanto quella situazione fosse simile a qualcosa che aveva vissuto, Libero non sarebbe mai stato come suo padre.
Lo strinse a sé ricacciando indietro le lacrime, mentre il bambino sollevava lo sguardo e lo fissava curioso.
"Perché piangi?"
Ermal si asciugò in fretta gli occhi e rispose: "Non sto piangendo."
"Non si dicono le bugie."
Ermal si lasciò scappare una risata di fronte a quella frase. "E va bene, sto piangendo. Ma è solo perché ho ripensato a una cosa triste che mi è successa quando avevo più o meno la tua età."
Erano ancora stretti in un abbraccio - con Libero che teneva il viso affondato nel petto di Ermal e il più grande che gli accarezzava i capelli - quando Fabrizio entrò in casa.
"Allora, che succede?" chiese entrando in salotto, per poi bloccarsi di fronte alla visione di Ermal con gli occhi lucidi abbracciato a Libero.
"Libero, potresti andare un po' in camera tua? Ci parlo io con papà" disse Ermal.
Il bambino annuì e uscì dal salotto mentre Fabrizio si sedeva accanto a Ermal.
"Che ha combinato?" chiese Fabrizio sospirando.
"La maestra l'ha visto mentre spintonava un compagno e lo chiamava brutto stronzo."
Fabrizio sgranò gli occhi. "Stai scherzando?"
Ermal scosse la testa. "No. La maestra ha detto che è successo altre volte. Non che alzasse le mani, ma che dicesse cose che non avrebbe dovuto dire."
"Ora mi sente..." iniziò a dire Fabrizio alzandosi dal divano.
Ermal lo fermò prendendogli il polso e costringendolo a sedersi nuovamente.
"Bizio, aspetta. L'ha fatto per difendere una sua compagna. Non voglio giustificarlo, ha fatto una cosa che non avrebbe dovuto fare. Però sa di avere sbagliato e si sente in colpa per quello che ha fatto."
Fabrizio si passò una mano sul volto, cercando di trascinare via la stanchezza accumulata nel corso della giornata e pensare in maniera più lucida, ma senza successo.
Come poteva pensare in modo lucido, sapendo che suo figlio aveva spintonato e insultato un coetaneo? Come poteva pensare in modo lucido, sentendosi in colpa per aver coinvolto Ermal in quella storia?
Proprio Ermal, che non tollerava la violenza in nessuna circostanza. Proprio Ermal, che la violenza l'aveva vissuta.
Da quando si conoscevano - e ancora di più da quando avevano iniziato a frequentarsi come più che amici - Fabrizio aveva sempre sentito un fortissimo senso di protezione verso Ermal.
Si sentiva responsabile per lui, sentiva il bisogno di dargli quella sicurezza che non aveva mai avuto da bambino, sentiva la necessità di fargli capire che con lui e con la sua famiglia sarebbe sempre stato al sicuro.
E poi però, era proprio la sua famiglia a far vacillare quell'equilibrio.
Improvvisamente, lo sguardo di Ermal mentre stringeva Libero, gli occhi lucidi e il leggero tremore che continuava ad avere alle mani acquistarono un senso.
"Stai bene?" chiese Fabrizio. Il tono di voce era basso e un po' incerto, ma arrivò forte e chiaro alle orecchie di Ermal.
Ermal annuì.
Fabrizio si avvicinò ulteriormente a Ermal, stringendolo a sé. "Non devi fare il duro. Puoi permetterti di essere debole quando sei con me."
"Lo so. Ma sto bene, davvero. Ho parlato con Libero, l'ho guardato mentre mi spiegava cos'era successo. È davvero pentito per avere reagito così, anche se l'ha fatto per un motivo."
"Non avrebbe dovuto farlo. Non è così che io e Giada l'abbiamo cresciuto."
Ermal gli accarezzò delicatamente una guancia sorridendo. "Sempre ad addossarti il peso del mondo, eh."
"Che vuoi dire?" chiese Fabrizio confuso.
"Ti stai prendendo colpe che non hai. Tu e Giada avete fatto un lavoro splendido con Libero e Anita. Sono due bambini svegli, educati, socievoli... E ok, magari a volte fanno delle cose che non dovrebbero fare. Ma chi non lo fa? Tutti sbagliano, Bizio. L'importante è rendersene conto" disse Ermal.
Fabrizio sorrise.
Ancora non capiva cosa avesse fatto per meritarsi una persona come Ermal al suo fianco.
"T'ho mai detto che ti amo? T'ho mai detto che non so come farei senza di te?" disse Fabrizio con lo sguardo fisso negli occhi di Ermal.
"Tutti i giorni. Ma non mi offendo se lo dici ancora."
  Quando Giada aveva riaccompagnato Anita a casa di Fabrizio e aveva saputo cos'era successo, Libero si era beccato l'ennesima ramanzina della giornata e una punizione non da poco.
Ma, a differenza di tutte le altre volte in cui i genitori lo sgridavano per qualcosa e lui cercava di ribattere, era rimasto in silenzio.
"Sicuro che va bene se resta qui? So che i bambini dovrebbero stare con te in questi giorni, ma magari preferisci..." iniziò a dire Giada, ma Fabrizio la bloccò quasi subito.
"Giadì, i bambini restano. Non ti preoccupare."
Ermal non poté fare a meno di notare lo sguardo preoccupato che Giada gli aveva rivolto.
Certo, era felice che in quella famiglia si preoccupassero tutti così tanto per lui, ma non c'era bisogno di trattarlo con i guanti di velluto ogni volta che c'era di mezzo quell'argomento.
"D'accordo. Se ci sono problemi chiamami" disse lei prima di uscire di casa.
Quando Fabrizio richiuse la porta e tornò in salotto, Ermal era accasciato sul divano e stava passando velocemente da un canale all'altro senza soffermarsi davvero su niente.
Si sedette accanto a lui e abbandonò la testa sulla sua spalla, mentre sentiva il corpo di Ermal rilassarsi accanto al suo.
"Andiamo a dormire?" disse Fabrizio dopo qualche minuto.
Ermal annuì e spese il televisore, mentre Fabrizio si alzava dal divano.
Ermal era ancora seduto quando si accorse che Libero era entrato nella stanza.
"Tutto bene, Lì?" chiese Fabrizio, sorpreso di vederlo ancora sveglio.
Libero annuì e poi si diresse a passo svelto verso Ermal, buttandosi letteralmente tra le sue braccia.
Ermal lo strinse a sé mentre lanciava uno sguardo sorpreso a Fabrizio, senza capire per quale motivo Libero si stesse comportando in quel modo.
"Stai bene?" chiese Ermal abbassando lo sguardo verso Libero.
Il bambino annuì, poi sollevò lo sguardo e disse: "Non è vero che non sei capace a fare il padre. Con me sei bravo."
Poi, senza aggiungere altro, sciolse l'abbraccio e corse in camera sua.
Ermal rimase seduto sul divano, gli occhi lucidi per la seconda volta in quella giornata - sempre a causa di Libero - e lo sguardo di Fabrizio puntato su di sé.
"Hai detto a Libero che non sei in grado di fare il padre?" chiese Fabrizio curioso.
Non sapeva se sentirsi più stupito perché Ermal - la persona che più di ogni altro si inteneriva di fronte ai bambini - fosse convinto di non saper fare il padre, oppure se sentirsi leggermente geloso perché il suo fidanzato aveva scelto di confessare una cosa così intima e personale a suo figlio piuttosto che a lui.
Ermal si strinse nelle spalle. "Non ho figli, quindi è ovvio che io non sappia fare il padre. E non ho avuto un grande esempio, quindi..."
"Quando Anita si è beccata l'influenza, sei stato vicino a lei tutta la notte per assicurarti che non le salisse troppo la febbre. Oggi, quando Libero aveva bisogno di qualcuno che gli spiegasse i suoi errori, tu eri lì. Sei un padre anche se geneticamente non sono figli tuoi. Lo sai, vero?"
Sì, lo sapeva anche se prima di quel momento non se n'era mai reso conto davvero.
Quando lui e Silvia si erano lasciati - e ancora di più quando si era reso conto di essere innamorato di Fabrizio - la prospettiva di diventare padre era svanita.
Non che per Ermal fosse davvero un problema.
Si era autoconvinto di non essere pronto a fare il padre, di non esserne in grado. E poi, avere Fabrizio era più che sufficiente. Non aveva bisogno di altro.
E invece in quel momento, seduto sul divano e con le parole di Libero ancora nelle orecchie, Ermal si rese conto che Fabrizio gli aveva dato qualcosa che nemmeno lui pensava di desiderare così tanto.
Gli aveva dato una famiglia. Gli aveva dato due figli, che pur non essendo davvero suoi erano diventati parte di lui. Gli aveva dato l'amore, la gioia, i regali scartati tutti insieme la mattina di Natale, i pranzi in famiglia. E poi gli aveva dato anche la responsabilità di andare a prendere i suoi figli a scuola, l'autorità di sgridarli se facevano qualcosa di sbagliato e il permesso di metterli in punizione, anche se Ermal non l'aveva mai fatto.
Gli aveva lasciato abbastanza spazio per ritagliarsi dei momenti con i bambini, degli attimi solo per loro, come leggere la favola della buonanotte ad Anita o guardare i film dei supereroi con Libero.
Ed Ermal non ci aveva mai fatto caso. In tutto quel tempo, non si era mai reso conto di essere entrato così tanto nella vita di Fabrizio e di quei due bambini al punto da comportarsi come si sarebbe effettivamente comportato un padre.
Sollevò lo sguardo osservando Fabrizio - che tendeva una mano verso di lui mentre gli chiedeva di andare a dormire - e sorrise.
Era solo grazie a Fabrizio se la sua vita era diventata improvvisamente perfetta.
Afferrò la sua mano e si alzò dal divano, sentendo un familiare brivido lungo la schiena mentre le dita di Fabrizio si intrecciavano con le sue.
"Grazie" mormorò mentre seguiva il più grande in camera da letto.
"Per cosa?"
"Per tutto. Per la nostra canzone, Sanremo, l'Eurovision... Ma soprattutto grazie per i baci, le carezze, le nottate passate al telefono. E grazie per avermi reso un padre."
Fabrizio sorrise avvicinandosi a Ermal e sfiorandogli le labbra in un bacio appena accennato. "Grazie a te per essere il padre che i miei figli meritano."
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" Tanto per far passare la noia "                          (2015)
-1. Senti anche tu quel vuoto nel cuore ? : alcune volte si, solo se mi ci fermo a pensare a qualcosa che mi manca, ma non so cosa
-2. Scrivi il testo di una canzone che ti rappresenta: taylor swift- back to december, scriverò solo il pezzo che mi rappresenta di più…‘It turns out freedom ain’t nothing but missing you Wishing I’d realized what I had when you were mine I go back to December, turn around and make it alright I go back to December all the time These days, I haven’t been sleeping Staying up, playing back myself leaving When your birthday passed, and I didn’t call ’
-3. Cosa vorresti dire alla persona che ti a fatto più male fino ad adesso? : “ grazie per avermi fatto male, non lo dimenticherò….mi è servita di lezione per il futuro, grazie, grazie ancora”
0. Ti piace il cielo? : “ si, lo osservo sempre, lo trovo meraviglioso, mi piacciono le sue varie sfumature della giornata. Faccio molte foto al cielo ”
1. Che hai fatto oggi? : “ Sono uscita con degli amici ”
2. Come ti immagini da grande? : “ mi immagino che farò un lavoro artistico e sarò riconosciuta da molte persone, per il mio talento ”
3. Come ti chiami? : “ Elisa ”
4. Dove abiti? : “Roma”
5. Quanti anni hai? : “ 15”
6. Cosa ti piace di te stessa/o?: “ gli occhi e le labbra ”
7. Cos'è l'ultima cosa che hai guardato su YouTube ?: “ un video di cleotoms ”
8. Vai spesso su siti porno? : “em..no, non ho interesse hahaha 😅”
9. Che scuola o lavoro fai? : “liceo linguistico ”
10. Cosa deve fare un ragazzo per conquistarti ? : “ deve farmi ridere e saper accettare le mie scelte, sopratutto per i gusti musicali ”
11. Hai una data che significa o ti fa ricordare qualcosa di importante ? : “ ne avrei tre.. 29/06/2014 San Siro, lo so può sembrare stupido, ma è stata una delle giornate più belle della mia vita, 16/07/2014 primo viaggio in America 😍 e 25/12/2013 viaggio a london 😍”
12. Che posti ti piacerebbe visitare ? : “ un'altra volta Londra, New York e Boston e per la prima volta Los Angeles, Berlino e alche paese dell Europa del Nord ”
13. Cosa rappresenta per te la tua migliore amica ? : “ niente, non la ho ”
14. Ti confidi mai con qualcuno ? : “ qualche volta, ma in casi rari”
15. Fai qualche sport? : “ quest'anno no, ma ho fatto Karate e hip hop, gli scorsi ”
16. Sei vergine ? : “ No, pesci…🙈 a parte glie scherzi si ”
17. Cos'è la prima cosa che noti in una persona del sesso opposto sia di fisico che di carattere ? : “ fisico le spalle, mi piacciono i maschi con le spalle grosse e il torace piatto, mentre carattere noto subito se una persona sa Divertisti o meno, non mi piacciono i mosci ”
18. Quanto sei alta ? : “ boh, l'ultima volta ero 1. 53, due anni fa 😂”
19. Ti piace leggere ? : “ abbastanza, diciamo che ho imparato da poco ad amare quest'arte ”
20, Segui qualche serie TV ? : “ e melo chiedi pure ?! Ovvio, shameless, teen wolf, pretty little liars, american horror story, glee, suits, csi, ncis, scorpion e tante altre ”
21. Spesso sola ? : “ Direi più che mi manca avere una migliore amica, ma completamente sola no ”
22. Hai mai detto “ ti amo ” a qualcuno ? : “ a loro due ogni giorni della mia vita #nashgrier #niall horan
23: Ti piace qualcuno ? : ” Shiii “
24. Scrivi il nome di qualcuno importante per te. Nash e Niall
25. Come immaginavi la tua adolescenza da piccola ? : “non la immaginavo, ora che ci penso non mene fregava un cazzo di come sarei diventata ”
26. Che gente di musica ti piace ? : “ Non ho un genere, mi piacciono tutti…
27. La tua canzone preferita la momento ? : ” Jordan jea- hopping fences “
28. Credi negli alieni ? : ” Si …“
29. Credi in Dio ? : ” non ho mai fatto comunione, battesimo ecc… Ma ci credo “
30. Credi negli esseri umani ? : ” non ho capito a pieno il senso, perché sono stanca morta (sono le 3 di notte ), quindi non so come risponderti e vado a letto, riprendo domani
31. Qual è il tuo colore preferito ? : “ nero e verde ”
32. Qual è il tuo cibo preferito ? : “ forse l'oreo o la parmigiana, non saprei scegliere ”
33. Hai mai avuto un ragazzo ? : “ yep ”
34. Sessualità ? : “in che senso… Se intendi te "se sono maschio o femmina” sono femmina, se intendi “se sono gay o etero ” sono etero “
35. Come si chiama la tua migliore amica ? : ” non la ho e sono 429182829 “
36. Che ascolti adesso ? : ” Gli uccelli fuori dalla finestra “
37. Che tipo di persona sei ? : ” Divertente, casinista, tendo a trovare sempre il pelo nel l'uovo e sono abbastanza pigra. Però so essere una brava amica e sono molto altruista
38. Riesci a parlare di te ? : “ Si, so ammettere i miei pregi e i miei difetti, anche quando faccio una cosa sbagliata lo ammetto ”
39. Secondo te, cosa ti manca per essere felice ? : “ avere l'amica ideale, a qui puoi dire tutto ”
40. Fai uso di droghe ? : “ sono già matta di mio, non ne ho bisogno ”
41. Fumi ? : “ no..”
42. Bevi ? : “ occasionalmente 👍🏻 ”
43. Ti sei mai ubriacato ? : “ no ”
44. Racconta un fatto divertente : “ allora… Partiamo dal fatto che io faccio figure di merda praticamente sempre, quindi ne avrei tanti da raccontare, ma racconterò quello più recente. Ieri stavo passeggiando per andare da una mia amica.( Dove stavo camminando io ci stavano i sampietrini e aveva appena piovuto, quindi il terreno era scivoloso) quindi stavo andando da questa mia amica, quando un tizzio con lo skate mi è arrivato addosso e mi sono ritrovata col culo per terra davanti a tutti i suoi amici che ridevano. Io infuriata mi alzo e faccio per attraversare, quando inciampo sul gradino del marciapiede e ricasco 🙈🙈. Quindi ci ho fatto doppia figura di merda…
45. Sei triste ? : ” nah..“
46. Sei felice ? : ” normale “
47. Sei innamorata ? : ” sono nel periodo che mi piacciono tutti e nessuno “
48. A quanti anni hai dato il tuo primo bacio ? : ” 12 è stato orribile “
49. Ti piacciono con il sole o con la pioggia ? : ” allora in inverno quando si muore di freddo, la pioggia e in estate, in primavera e in autunno , il sole “
50. Estate o inverno ? : ” inverno “
51. Secondo te l’ inferno esiste ? : ” si “
52. Secondo te il paradiso esiste ? : ” yes “
53. Hai un autore preferito ? : ” la rowling forevah 💁🏼, cioè “
54. Che genre di libri ti piace leggere ? : ” fantasy “
55. Dai una tua definizione alla parola ” demone “. Demone, dal greco demae (?), è una sorta di figura oscura che controlla l'inferno, chiamato diavolo o satana. Alcune volte si impossessa delle persone terrene e le controlla, facendole completamente impazzire…. NO OKAY, NON SO DARGLI PROPRIO UNA DEFINIZIONE”
56. Hai veri amici ? : “ Boh… ”
57. Credi nelle relazioni a distanza ? : “ se uno si ama e vuole mantenere un rapporto si..perché no?!”
58. Sei fedele ? : “ credo di si ”
59. Ti piacciono le piante ? Ne hai una preferita ? : “ si, le margherite anche se sono fiori ”
60. Riusciresti a vivere 3 giorni senza usare il cellulare ? : “ si, non sono così disperata ”
61. Secondo te sei dipendente da internet? : “ abbastanza ”
62. Cosa farai per Natale ? : “ non lo so, siamo a giugno ”
63. Cosa farai per l'anno nuovo ? : “ qualcosa che non ho mai fatto ”
64. Quando compi gli anni ? : “ 02/03/2000 ”
65.Sei figlia/o unica/o ? : " no, ho due fratelli da parte di mamma " 66. Cosa indossi ora ? : "una maglietta
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Bagnino al lido fuori stagione - we’re back after this
Eeee si arriva nella maggica Roma
Arrivano che sono praticamente le 4 del pomeriggio tra una sosta e l'altra
E c'hanno fame
Ma prima devono beccare il tipo che li ospita
“è un amico di mio cugino, ha detto che i coinquilini non ci sono” “e dov'è” “….” “Chiamalo va’”
Nel frattempo Ermal contempla il cellulare come se gli avesse fatto un torto personale
È che Fabrizio gli aveva intimato di avvisare appena sarebbero arrivati iper eccitato che boh per un momento Ermal si era lasciato trasportare
Cioè come fai a resistergli oh dai
Però adesso,,,,,,che fare?
“chiamalo” sentenzia una voce al suo fianco. Andrea gli fa prendere un coccolone che chettelodicoaffà Ermal manda un urlo very virile
“andrè ti devo attaccare un campanello”
“si però prima chiamalo. Si vede che vuoi chiamarlo. Tanto vale che lo fai”
Ora. Non è che non volesse.
(e non è che Fabrizio non gli avesse detto almeno tre volte “Oh QUANDO ARRIVATE ME CHIAMATE VE FACCIO FARE ER GIRO DE ROMA, CAPITO? MI RACCOMANDO CHIAMA”)
Però,,,, , ,,, ,,,, ,,, ,, ,,,, , , ,, ,, magari lo diceva per dire
Magari non era il caso
Magari
“magari te dai na’ mossa Paolì” esclama la voce soave di Anna che lo riporta alla realtà “c'ho fame”
Arrivano a casa der cuggino de paolino, tale Robero detto “Sceriffo”
E Ermal ancora non ha chiamaro Fabrizio mannagg tu vedi a questo
Fortuna che i deus ex machina le coincidenze esistono perché mentre Ermal parlotta con Marco sul da farsi a Roberto squilla il cellulare e “Fabbrì!! Bella fratè, sto co'ddei pischelletti pugliesi cugini di Giovanni er Caciocavallo…..seh, uno se chiama Ermal, come lo sai…come li conosci…si stiamo a casa…va beh ci vediamo dopo, cià”
Il sangue di Ermal ghiaccia nelle vene che boh Roma come er paesino
“ma potevate dire che eravate amici di Fabbrizzietto oh”
Eeee,,,,, già,,,,, amycy
“vabbé comunque se andiamo a mangià dar porchettaro qua sotto tra mezz'ora ce raggiunge”
E annamo a magnà dar porchettaro prima che anna magna a noi
Ermal, che già stava come stava dopo quel pacco di Oreo che forse davvero non era il caso, ora ha lo stomaco così chiuso che pare il cervello di Salvini
E sta là a guardare i compagnucci suoi rifocillarsi e tornare sempre più umani
Si sta quasi rilassando, tra una cazzata di Vige e una battuta di Marco, quando si sente tirare indietro dal qualcosa e quasi cade dallo sgabello
Ha riconosciuto il profumo prima ancora di vederlo Amortentia LEVATE
Insomma prima che potesse capirci qualcosa Ermal viene girato, messo in piedi, ABBRACCIATO, e mollato perché adesso guarda Fabrizio salutare Andrea
e all’improvviso realizza che FABRIZIO era nei suoi stessi tre metri e tutto quello che voleva era appiccicarsi a lui tipo Koala sichiamaCIUFFO 
quindi ovviamente si alza e va nella direzione opposta
“ma è uscito senza cappotto?” “eh, voleva prendere aria” “voleva prendere n’accidente”
perché è sempre gennaio anche a Roma e stanno si e no 10 gradi
Marco e Anna (e il paninazzo) si scambiano uno sguardo di intesa CAPISC CAPISC--CAPISC CAPISC e Marco si alza a bloccare Fabrizio che stava giusto uscendo per raggiungerlo
“NON TI PREOCCUPARE GLIELO PORTO IO” e ruba il giaccone da mano per portarlo al suo amico
perché he would have his back sia contro le malattie sia contro i cuori spezzati
e se le prime si possono evitare mentre i secondi no, può fargli compagnia mentre aspettano che la tempesta passi
“se mi hai fatto venir fino a Roma per morire di polmonite ti ammazzo”
ma Ermal non lo caga neanche, impegnato com’era a farsi i km davanti alla paninoteca kebbabbara abusiva
perché credeva di essere pronto e di exere FRT e tutte quelle cose ma non lo era e se d’estate era bello bellissimo, d’inverno con il naso rosso e la sciarpona era di un softness illegale
erano due womini che cavolo non dovevano essere soft (e invece si ICSDI)
e poi c’era il dettaglio che,,,,,come dirlo senza sembrare needy e clingy,,,,,,,,,,,,
“pare che s’estate io mi sia limonato col gemello” 
“te piacerebbe che avesse un gemello” 
“..................”
“...” 
“DICEVO, ti sembra normale? come se non fossi nessuno? e voglio dire, è giusto, non è che mi aspettassi chissà cosa, però NO.” 
“WOW such eloquenza” 
“ma come cazzo parli”
però nel mentre di questa big convo tra intellettuali gli altri finiscono di magnare e decidono di raggiungerli
La situazione sarebbe divertente se non fosse così tragica, perché Ermal diventa più dritto di un polaretto appena Fabrizio si fa vedere
E praticamente passa la serata in silenzio mentre fanno fare loro un giro sfruttando le poche ore di luce che ancora c'erano
E FabrizioVirgolaChescemononèVirgola se pure si rende conto che c'è qualquAdra che non cosa non lo fa notare, perché passa il tempo a scherzare con Andrea e Roberto
Ermal non ha più dubbi su se quel viaggio fosse un errore o meno: ne era certo
La notte crolla a dormire solo perché non chiudeva occhio da due giorni
(E GRAZIE AL CAZZO CHE TI PARE TUTTO UNA MERDA NON DORMI E NON MANGI KIDS NON SEGUITE IL SUO ESEMPIO)
Sarebbero stati là un altro giorno e un'altra notte per ripartire il giorno dopo, quindi mentre Ermal era distratto a fare l'emo, Fabrizio e Marco si mettono d'accordo per il giorno dopo
E insomma alle 11 di mattina casa di Roberto è invasa da GENTE e Ermal si sveglia con qualcuno che canta l'inno nazionale a squarciagola CHE COS
Turns out, tutta la compagnia di Fabrizio era là per tenerli occupati perché Bizio lavorava però ci teneva che stessero presi bene
Ermal vorrebbe uccidere tutti ma di più Fabrizio
Ma poi Anna gli molla una tazza di caffè in mano e "....okay"
"ma quindi tu sei Ermal?" "Quell'Ermal?" "Iiih c'è Ermal" "maronn ti facevo più bello" e altre frasi simili vengono emesse mentre Ermal sorseggia il suo caffè e medita l'omicidio e ovviamente il suo cervello non traduce il GUARDA CHE I SUOI AMICI TI HANNO RICONOSCIUTO DALLA FACCIA VEDI QUANTO CAZZO PARLA DI TE
E passano la giornata a vedere le cose classiche il colosseo piazza Navona cose romane deqqui cose romane dellà romaneggiando in mezzo ai cinesi e le loro attrezzature da turismo strane
(anna e Marco ne hanno approfittato per farsi fare gli scatti bellini da Andrea che oh, già che ci sei)
E tutti vanno abbastanza d'accordo tutto sommato gli amici di Bizio sono simpatici quanto quelli al mare
*send a kiss to the sky* for Claudio che è disperso in Conservatorio
E Ermal mano a mano si rilassa perché Roma è bellissima e si sta divertendo con i suoi amichetti
Avevano anche mangiato dei biscotti buoni al ghetto ebraico e pure lui che non piacciono i dolci ne ha presi un paio
Ma poi, mentre si dirigevano a Villa borghese perché Anna ci teneva a vederla e si era alleata con Andrea (non Vige, uno degli amici di Fabri), Bizio li ha raggiunti e Ermal ha ricominciato a sentirsi Un Pochino Malino
Perché arriva e sembra iper intenzionato a voler parlare con lui e chiede come va questo e quello e chiede della gente del lido e di cose
E Ermal risponde perché non ha senso non rispondergli e si rilassa al punto che sembra essere tornati ad Agosto
Ridono - Ermal ride per la prima volta di gusto da quando erano arrivati- e Fabrizio gli racconta della sua audizione per la casa discografica
"quindi ti ha sentito cantare qualcun'altro, finalmente" "eh ma se non m'avessi dato la spinta tu non c'avrei manco provato"
No ma dico. Ti pare il caso di dire ste cose
È ormai sera, sul Trastevere, i loro amici più avanti a dire e fare cose, e Fabrizio se ne esce con NONSCIALANZ con roba simile no ma certo
E Ermal dimentica letteralmente tempo e luogo perché rivede lo stesso ragazzo timido che durante l'estate si divertiva a rispondere ai suoi dispetti e oh no, zitto cuore che non è il momento
Fabrizio gli prende il polso con delicatezza e lo conduce per un vicolo più tranquillo, lontano dalla via principale e dalla gente
"che c'hai?" "Non c'ho niente, torniamo dagli altri" "t'ho dovuto cavare a forza due parole, qualcosa c'hai per forza. Sono io? Ti senti male? È successo qualcosa?"
E Ermal: scoppia
"Si." "si cosa" "si tutto. Si sei tu. Si mi sento male. Si è successo qualcosa. Si. Sono passati mesi e ancora non riesco a smettere di pensare a te e a quest'estate e non è normale e non è giusto perché tu la tua vita l'hai portata avanti mentre io rimango indietro come un coglione. E visto che ci stiamo dicendo le cose, ti dico pure tutto il resto. Ti dico quanto mi dia fastidio che tu, tutto imbaccucato riesca comunque a essere più bello di letteralmente chiunque altro. E mi urta da morire il tuo accento romano perché ero riuscito a smettere di usarlo ma adesso ricomincerò a farlo e quindi sarai nel mio cervello ancora di più e non va bene quando qualcuno lo devi dimenticare non va----" ma il suo sproloquio non ha fine
Tornano qualche tempo dopo dai loro amici e Ermal è chiaramente s p i r i t a t o, saluta tutti velocissimamente prima di infilarsi nel portone
Anna è pronta a menare le mani ma Marco la ferma
Perché guarda in faccia Fabrizio e pure lui pare più dellà che deqquà
E mo'?
Mo' niente, aspettiamo che Ermal si ripigli
Il giorno dopo riparte e Ermal prende il volante perché comunque non avrebbe dormito e gli serviva impegnarsi in qualcosa
Marco non è che fosse così certamente certo di mollargli la macchina
Però va beh, si mettono in viaggio e sono in macchina da un bel po'.
Vige e Paolino beatamente dormienti a creare il simbolo dell'armonia
Anna comodamente sistemata sulla spalla di Andrea con il cappotto di Ermal a far da cuscino
Marco stesso si è abbandonato in un pacifico sonnecchiare mentre il freddo mattino di gennaio si trasforma in pomeriggio
E poi una voce proveniente dall'oltretomba spaventa tutti
Beh, non dall'oltretomba, ma insomma
È Ermal. Ermal molto fortunato che stia guidando perché in ogni altro caso lo avrebbero gonfiato di botte
Ermal totalmente inconsapevole del volume con cui aveva esclamato quelle parole
"FABRIZIO MI HA BACIATO"
Eeeeeee sipario? Si? No? Who knows? Dedicata a @estefra , anche se non era quello che volevi (sorry for that)
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restless-people · 5 years
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henlo, i'm quite scared.
i wrote an asheiji thing today. in Italian. if someone's interested, i could try to translate it. let me know. here it is, hope you like it☁️✨
💌~
guardavo il soffitto bianco nella luce soffusa della camera, sorridevo lievemente, mi sentivo al mio posto. accarezzavo lentamente i capelli biondi di Ash, incredibilmente morbidi. lui era girato di spalle a me, e non diceva una parola.
l'ho sentito scuotersi, mi sono voltato verso di lui per vederlo alzarsi dal letto, ancora nudo, dicendo che si sarebbe fatto una doccia. è sparito nel bagno, ed io sono rimasto steso ad ascoltare e pensare.
lo scroscio dell'acqua che si apriva, il leggero frusciare della tenda, i suoi piedi che entravano nella doccia.
mi sono rigirato nel letto, ed ho visto la sua maglietta sul pavimento. ho allungato un braccio per prenderla e ci ho affondato il viso. il suo profumo rimarrà per sempre l'odore di casa.
era la prima volta che avevo avuto Ash in quella maniera, senza nulla addosso, senza maschere, solo io e lui, i nostri corpi come uno solo. non avevo mai voluto provarci, non sapevo come avrebbe reagito. è stato lui ad arrivare a casa di corsa e baciarmi mentre si toglieva la camicia. ero preoccupato, a dire il vero. non capivo perché l'avesse fatto, ma ne ero stato felice.
mi sono alzato, insospettito dallo scrosciare della doccia ininterrotto, e mi sono accostato alla porta del bagno. è stato lì che l'ho sentito. ho aperto poco poco la porta per dare una sbirciata dentro, e l'ho visto piangere seduto nella doccia, con l'acqua che gli bagnava la schiena, il viso chino sulle ginocchia tirate al petto. non aveva nemmeno chiuso la tenda.
sono entrato in bagno senza pensarci due volte e l'ho raggiunto nella doccia.
"Ash cosa succede?" la preoccupazione nella mia voce era evidente.
non mi ha guardato in faccia mentre mi rispondeva.
"volevo darti ciò che aspettavi da tempo. ora anche tu avrai una scusa per andartene. mi dispiace non so nemmeno perché sono qui a piangere come un imbecille e non di là ad amarti come meriteresti. mi dispiace che tu sia qui a perdere il tuo tempo, mi dispiace di essere me stesso, di essere così, mi dispiace tanto, davvero, mi dispiace."
ero incredulo. le sue parole mi rimbombavano nella mente, mi scorrevano nelle vene, mi immobilizzavano gli arti.
mi dispiace.
mi dispiace.
gli dispiaceva.
ma perché.
ha alzato il viso leggermente per cercare una risposta nei miei occhi.
ero pietrificato.
ho allungato una mano e gli ho scostato un ciuffo bagnato dalla fronte, per poi accarezzargli la guancia.
l'ho tirato in piedi, e gli ho preso il viso tra le mani, accarezzandogli le guance con i pollici.
"Ash, non devi dispiacerti di nulla. perché pensi che io sia stato con te per più di tre anni? nonostante tutto quello che comportava vivere con te ed amarti, nonostante la gente che voleva uccidermi, perché pensi che io non me ne sia andato?"
ha abbassato la testa. gli ho messo due dita sotto il mento per obbligarlo a guardarmi.
"non me ne sono andato perché non volevo. non volevo perderti, non volevo lasciarti, non volevo più vivere senza te. incontrarti è stata la cosa migliore che mi potesse accadere.
mi sono innamorato di te Ash.
mi sono innamorato di te in un contesto come quello in cui vivevamo due anni fa, figurati se posso smettere di amarti ora che riusciamo ad uscire ed andare al ristorante, o a fare una passeggiata come una coppia normale. non ho mai voluto forzarti a fare nulla, Ash, perché so bene quanto hai sofferto. lo rispetto in tutto e per tutto. sono innamorato di te e di tutte le tue ferite, che sto cercando di curare come posso."
stava piangendo ancora di più.
ho intrecciato le nostre dita e l'ho tirato verso di me, in pieno sole.
con l'altra mano gli ho accarezzato il viso e ho cancellato una lacrima che era appena scesa.
"guardati ash. guardati. quanto sei bello."
il suo corpo bagnato brillava nel sole. brillavano anche le sue lacrime, brillavano i suoi occhi ancora lucidi, brillavano i suoi soffici capelli, le sue braccia, le goccioline che gli scendevano lungo il petto.
"io sono innamorato di ogni aspetto di te, anche delle tue lacrime."
gli baciai la guancia. sapeva di sale.
gli baciai il naso, la fronte, le labbra, il mento, gli baciai sotto l'orecchio, il collo, il petto, mentre le mie mani correvano lungo la sua schiena, lungo il suo collo, gli accarezzavano i capelli.
stai brillando, ash. fai concorrenza al sole che ti sta facendo splendere. sei la luce della mia vita ash. un raggio di sole ti colpisce e tu lo rifletti intorno a te in mille sfaccettature, mille parti diverse di te stesso che io ancora non conosco, che scopro giorno per giorno, e di cui mi innamoro, ogni giorno di più.
amarti è ciò che riempie me stesso e le mie giornate, amarti è quotidiano, quasi abitudinario, ma è sorprendente, diverso, ogni giorno più bello, ogni giorno più forte.
mi ha preso il viso tra le mani e mi ha baciato dolcemente.
l'ho sentito sorridere in quel bacio, l'ho sentito tremare contro il mio corpo.
l'ho stretto a me, sentivo il suo cuore battere forte contro il mio, li sentivo battere all'unisono.
ha affondato il viso nell'incavo del mio collo, l'ho sentito sospirare ed ho sentito una lacrima bagnarmi la spalla.
l'ho accarezzato dolcemente, cullandolo, stringendolo forte e lasciandogli qualche bacio sulla testa.
ha alzato il viso, dopo un po', mi ha messo una mano sulla guancia e si è avvicinato, strofinando insieme i nostri nasi.
"grazie" ha sussurrato, a mezzo millimetro dalle mie labbra, per poi farle incontrare.
ci siamo baciati in piedi nella doccia, di nuovo, mentre l'acqua continuava a scorrere, le mani che accarezzavano luoghi che non si sapeva più a chi dei due appartenessero.
siamo usciti dalla doccia senza staccarci, siamo tornati a letto, dove ho continuato a baciare ogni centimetro di lui, per fargli capire a cosa arrivasse l'amore, quanto fosse forte ciò che mi faceva provare, quanto fossi felice di amarlo.
"sei la luce della mia vita"
esplicitai ciò che pensavo prima nella doccia. gli baciai l'angolo della bocca.
"voglio che tu sappia che sei ciò di più importante che ci sia nella mia vita" gli sussurrai all'orecchio, baciandolo, scendendo sul collo e proseguendo giù.
"ti amo Ash, la mia anima ama la tua, il mio corpo ama il tuo, ogni singola parte di me ama ogni singola parte di te, non può essere diverso, ne sono certo. se qualcosa dovesse mai succedere tra noi, sono certo che non amerei mai più nessuno come amo te. potrebbe finire il nostro tempo prima di quando finiscano le nostre vite, ma se le nostre vite finiranno prima che finisca il nostro tempo, stai certo che troverei un modo per amarti ancora, e ancora, e ancora. in tutto e per tutto, pregi, difetti, ferite, lacrime. senza pensare al futuro, senza pensare al passato, pensando solo a questo istante, e poi a quello subito dopo, e a quello subito dopo, amandoti di più ogni istante, amandoti in modi sempre diversi, sempre nuovi, amandoti con tutto me stesso, con tutte le mie forze, amandoti perché semplicemente non c'è niente altro che mi piacerebbe di più."
la mia energia sembrava essere risucchiata via mentre mi prendevo cura di lui e del suo corpo. volevo fargli capire che ciò che gli hanno sempre fatto sentire come una cosa brutta, una violazione è invece una cosa magnifica, un di più, un qualcosa che fa stare bene entrambi in un modo diverso dal quotidiano.
esploravo con la bocca il suo corpo, mi sembrava di conoscerlo a memoria e di non conoscerlo affatto, lo sentivo ansimare, lo sentivo sussurrare cose che non riuscivo a comprendere, mi girava la testa, sentivo che il mio cuore sarebbe potuto scoppiare per tutte le energie che fluivano da me a lui e da lui a me, eravamo quasi in simbiosi, eravamo una cosa sola, le sue dita tra i miei capelli, le mie dita sulla sua pelle, il percorso tracciato dalle mie labbra indelebile sulla sua pelle, indelebile ma allo stesso tempo fragile, bellissimo.
brillava, Ash, mentre gli facevo raggiungere il culmine, mentre gli provavo che lo amavo, che lo amavo genuinamente, non per avere qualcosa in cambio, lo amavo per come era e per come mi amava lui.
ho appoggiato la testa sul suo petto, ansimante, mentre lui mi accarezzava la schiena. respirava così forte che io stesso mi alzavo ed abbassavo velocemente.
gli ho baciato il petto, proprio sopra il suo cuore, per poi prendergli la mano ed appoggiarla sul mio, che batteva fortissimo, come mai aveva fatto.
"lo senti?" gli ho sussurrato. "lo senti come batte?"
ha annuito.
"è per te, Ash. è tutto per te. è solo per te."
ha sorriso, dolcemente. continuava a ricordarmi un bambino.
mi ha messo una mano dietro il collo e mi ha attirato a sé per baciarmi, un bacio dolce, soffice.
mi sono lasciato andare a fianco a lui, con il naso che gli sfiorava la guancia, le nostre gambe intrecciate, i nostri corpi come uno solo.
l'ultima cosa che ho sentito prima di addormentarmi è stata
"ti amo, eiji."
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miryelefp · 2 years
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Siamo Antitesi
Di nuovo, come sempre, in largo anticipo aveva risolto il caso prima di lui.
Non che la cosa lo sorprendesse ancora, ma John Watson era quasi stufo di fingere che le cose andassero bene, che quel fatto fosse ormai normale.
Non c’era niente di normale, in quella relazione e il fatto che dovesse condividere il suo cuore con un uomo profondamente consapevole di ogni cosa, che non gli lasciava finire una frase che già sapeva cosa stava succedendo, lo destabilizzava.
Anzi, più precisamente, lo irritava da morire.
Si lasciò scivolare con poca grazia sulla poltrona, poggiando i gomiti ai braccioli e, controllando distrattamente il cellulare, rimase in silenzio per minuti interminabili, mentre il suo compagno era al telefono con Lestrade e gli spiegava per filo e per segno quello che aveva fatto per risolvere l’ultimo caso, cui John era stato solo uno spettatore a suo parere inutile.
“Non è servito nemmeno il supporto medico di John. L’uomo è morto tra le due del mattino e le tre, e a confermare la cosa è stato l’orologio che si è spaccato nel momento esatto in cui è caduto - anzi, stato gettato dalla finestra”, stava dicendo e il dottore non riuscì a reprimere l’istinto di alzare gli occhi al cielo e sbuffare, davanti a quella frase che lo aveva decisamente sminuito, quasi mortificato.
Così, quando Sherlock attaccò e si sedette sulla poltrona di fronte alla sua, sospirando come se fosse stanco morto, sebbene fosse ancora in vestaglia e non avesse fatto nulla per tutta la mattina a parte deambulare per casa senza una meta, lo guardò.
“Cosa?”, chiese, dopo aver preso il violino per tentare forse di accordarlo, sentendo il suo sguardo addosso.
“Dovevi proprio?”, chiese John, corrugando la fronte, con la voce stizzita che avrebbe voluto che fosse uscita meno dura.
“Dovevo proprio cosa?”, gli chiese Sherlock, ignaro.
C’erano delle cose che quell’uomo, forse il più intelligente che avesse mai conosciuto, non riusciva proprio a capire e per quanto si sforzasse di sembrare una persona normale da quando stavano insieme, John sapeva che era impossibile che ciò accadesse e per di più, ogni volta che cercava di sembrare un essere umano come gli altri, finiva per trasformarsi nell’essere più inquietante della storia della Gran Bretagna.
“Puntualizzare sul fatto che io non ho fatto niente e tu hai risolto il caso senza il mio aiuto?”, gli fece notare.
Sherlock alzò un sopracciglio, continuando a non capire e, occupandosi ancora dello strumento, chiese: “L’ho fatto?”.
“Sì, lo hai fatto”.
“E allora? Ho detto le cose come stavano. Sta volta il tuo consulto medico non è servito, ma questo non significa che nel prossimo caso io non ne abbia bisogno”.
“Non è questo il punto, Sherlock…”, sospirò, e riprese il cellulare, per fingersi disinteressato alla questione, ma gli rodeva lo stomaco e i denti… sapeva che li stava digrignando.
“Smettila, finirai per farti venire un’infiammazione alla mandibola”, lo riprese il detective, che come sempre riusciva a vedere cose che nessun altro avrebbe potuto, in nessuna circostanza.
“E cosa ti importa? Tanto anche se dovessi perdere l’uso della parola, non ti sarei utile comunque”.
“John, stiamo litigando?”, chiese Sherlock e in altre occasioni John avrebbe riso, perché certe uscite, certe domande, erano sempre così stupide ma allo stesso tempo adorabile se si pensava a chi le stava facendo.
“No, no… non stiamo litigando”.
“A me pare di sì”, constatò l’altro, poi sospirò, “Senti, so che il problema non è questo. Hai sempre accettato il fatto che tra i due io sia quello più intelligente”.
“Se non sapessi cosa vuoi dire davvero ti darei un pugno in faccia… certe cose non dovresti nemmeno pensare, per quanto so per certo che tu non lo dica in cattiva fede, ma fanno male. Almeno ad un essere umano come me”, puntualizzò il dottore e Sherlock si allungò verso di lui, con i gomiti sulle ginocchia.
“Essere più intelligente non significa essere migliori”. Due antitesi, erano esattamente questo. L’uno l’antitesi dell’altro: uno intelligente e scaltro, l’altro razionale e a volte incapace di formulare un verdetto con la stessa freddezza mentale di Sherlock. Uno era più propenso alla logica, lui troppo attaccato alle questioni di cuore (era un medico mica per nulla, dopotutto).
“Questo è quello che vuoi farmi credere, perché non vuoi discutere, perché la cosa ti piace e perché non sei tu a fare la figura dello stupido ogni accidenti di volta”.
“Nemmeno tu fai la figura dello stupido, ogni accidenti di volta”, gli fece il verso l’altro, alzando leggermente la voce e guadagnandosi un’occhiata omicida.
John avrebbe voluto rispondere, ma John sapeva anche a volte faceva bene a tacere, a non dire quello che realmente pensava perché se Sherlock a volte poteva sembrare un mostro, lui quando era arrabbiato lo diventava davvero.
Si limitò ad abbassare gli occhi sul telefono e a smettere di guardarlo, e di parlare, e finse che non fosse lì e Sherlock, stranamente, lo capì.
Si alzò dalla poltrona e si sedette sul bracciolo appena vicino a lui e con una goffa dolcezza, chiese: “Qual è il vero problema?”.
“Sei tu”.
“A parte me? Il problema che rende me un problema qual è?”, chiese ancora, carezzandogli i capelli con fare distratto e quasi bastò quello a tranquillizzarlo.
“Sai tutto. Io sono lì, dietro i te. Pendo dalle tue labbra, sono al margine della tua infinita sapienza. Faccio uno sforzo immane a starti dietro e tu… tu sembri non capire che la cosa fa male. Non sai che vuol dire essere oscurato dalla persona che si ama senza essere sia felice che profondamente invidioso. È un comportamento immaturo, lo so”.
“È un comportamento umano… che io non saprei gestire perché sono cosí lontano dall'esserlo. E non sai quanto invidi te. Vorrei avere le tue stesse paura, i tuoi stessi accorgimenti. Vorrei vivere la nostra relazione stando male anche io, ogni tanto. Deve essere bello dissipare dei dubbi e poi stare bene. O no?”, chiese Sherlock, con tono interessato e attento di quando risolveva un caso e fu tenerissimo.
John non riuscì a trattenere un sorriso e uno sbuffo divertito, poi disse, consapevole di star provando proprio quella sensazione di conforto che Sherlock aveva descritto così bene pur non avendo mai provato niente del genere.
“Già… hai ragione”.
“Quindi… non stiamo più litigando?”, chiese il detective e lui, prima alzò un sopracciglio poi rise: “No, non stiamo più litigando".
“E dopo aver fatto pace che si fa?”.
John si alzò in piedi, ridendo ancora sotto i baffi e, prendendolo per mano e incamminandosi verso la camera da letto al piano di sopra, rispose: “Te lo mostro subito”.
Fine.
[questa storia partecipa al COWT12 indetto da lande di fandom con il prompt "antitesi" cw: 1106]
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Mi batte forte il cuore. Troppo forte. Non va bene. «Io sono lo psicologo della scuola. Come ti è stato detto, a causa della depressione in costante crescita ogni anno fra gli studenti, il nostro istituto ha voluto far fare una seduta a ciascuno di voi, così che possiamo intervenire e aiutarvi il prima possibile» Annuisco senza dire una parola. La mia gola è asciutta e le mie mani tremano. «Ti chiedo quindi di raccontarmi come ti senti, cosa hai provato e cosa provi tuttora da quando sei al nostro liceo. Sarà in fine mio compito valutare se ti servirà una serie di sedute o meno. Prego» Prende un block notes e segna il mio nome. Poi allunga un braccio e prende il mio questionario; in breve era un test a crocette sul nostro stato d'animo in generale ed in specifiche situazioni e noi dovevamo segnare con una x l'opzione che più ci rappresentava. Guarda tutte le mie risposte e sorride. Sembra soddisfatto. «Basandomi su questo pare che tu non abbia nessun problema, non soffra d'ansia o abbia paure, tanto meno ti senta male nella tua classe o in collera con te stessa » I suoi occhi leggono velocemente tutto il foglio. «Ciononostante, ci tengo a sentire cosa provi tu, con le tue parole. » Si sistema gli occhiali e si mette comodo su quella poltrona che cigola sotto al suo peso, come se si stesse preparando a sentire una storiella. Qualcosa dentro me scatta. Nonsocosastofacendo. «Vuole la mia versione? Innanzitutto il mio questionario è completamente falso, e lo capirebbe chiunque che ho mentito spudoratamente; nessuno è sempre e costante mente “felice”, nessuno non ha mai problemi con la famiglia e con i suoi coetanei e nessuno non ha delle paure. Ma che razza di psicologo eh, scusi? Lavora tutto il giorno con degli adolescenti e non sa ancora che chi sta davvero male e si sente sprofondare non lo dice così apertamente, non ne va fiero ma, anzi, se ne vergogna e cerca di nasconderlo finché può. Dato che non sa leggere fra le righe, glielo dico chiaro e tondo; aiuto. Aiuto per ogni cosa. Vuole parlare della scuola? Va bene. Da quando sono entrata qui non faccio altro che sentirmi inadeguata, costantemente non un gradino, ma chilometri di scale dietro ai miei compagni. Loro capiscono subito ogni materia, ogni lezione. Sono sempre preparati, impeccabili e hanno ottimi voti. Io mi sforzo, studio giorno e notte e continuo a fare schifo, continuo a non essere abbastanza per nessuno. Sa cosa significa impegnarsi e dare il massimo, ma essere sempre l'ultima a capire un'argomento, l'ultima a consegnare la verifica, quella che prende sempre il voto più basso? Significa che in me sorgono complessi, inizio a pensare di essere stupida, di non valere quanto valgono gli altri, e anzi, orma ne sono più che convinta. Vuole parlare delle mie relazioni coi miei coetanei? Okay, semplice; vanno a puttane. Non mi riescioad inserire in nessun gruppo, vengo giudicata una sfigata solo perché non fumo e non bevo, mi prendono in giro perché i miei capelli non sono impiastricciati di colori e la mia pelle non è ricoperta di tatuaggi. Ormai se ogni sera non vai ad ubriacarti in discoteca e non sei insultare il prossimo per far ridere chi ti sta accanto sei un perdente. Bello schifo. E guardi, davvero, fra ragazzi che vogliono solo giocare coi tuoi sentimenti e spezzano il tuo cuore in mille frammenti, ragazze che se non ti vesti e ti trucchi da Troia ti ignorano, ma se ti metti una maglia scollata ti dicono i peggior insulti del mondo, io preferisco stare sola. E la mia situazione familiare? Ah beh, sa, avere una figlia che sta tutto il giorno chiusa in camera o fra le pagine di un libro perché odia le persone e non esce con nessuno, e a scuola ha voti pessimi, e non è la sorella perfetta o ideale, non è che ne vanno molto fieri, tanto meno ne sono orgogliosi. E la mia vita? Tralasciando il fatto che non riesco a dormire a causa dei miei incubi che come catene mi stringono il collo, il petto, la pancia, le gambe, il corpo, e mi schiacciano al suolo, soffocandomi, ed i miei demoni che hanno la permanenza fissa nella mia mente, anche quella fa schifo. Sa, più volte quando sono sul balcone di camera mia mi domando cosa accadrebbe se saltassi giù, e questo pensiero mi perseguita ogni qualvolta vedo un edificio alto, peccato che sono sempre troppo bassi. O smesso di passeggiare in strada perché ero tentata di gettarmi sotto al primo camion che passava. Ho gettato i temperini perché sono tormentata dal desiderio di tagliarmi le vene, di dissanguarmi con le mie stesse mani e punirmi una vola per tutte per ciò che sono. Ultimamente credo di meritare solo dolore, vorrei farmi sempre più male, fino ad affogare nelle mie stesse lacrime e frantumarmi le ossa. Mi odio. Mi odio all'inverosimile, mi sto distruggendo ma lo merito. È giusto così. E sa perché? Perché certe persone non vogliono essere salvate. Mi basta tenermi tutto dentro, finché non implodo e scompaio lentamente »
Respiro. Respiro. Respiro. No. Non posso. Saprei già come andrebbe a finire. Già lo vedo sto qui farmi altre mille sedute e telefonate ai miei genitori, così che abbiamo un altro problema e, grida a caso, chi l'avrebbe mai detto, di nuovo per colpa mia. Lo psicologo mi richiama dai miei pensieri «Prego, ci tengo a sapere la tua storia. Le tue emozioni. »
Sorrido.
«Non c'è nulla da dire sul mio conto. Come può osservare dal questionario appena svolto, sono una ragazza che è felice con poco e si rallegra con ancora meno. Ho così tante amiche che tendo a confondere i loro nomi e fatico a sistemare gli appuntamenti per riuscire ad uscire con tutte, senza dimenticarne nessuna. La mia famiglia è il mio punto di forza» che schifo, una recita peggiore non la posso fare, magari questa volta si accorge che sto mentendo «mi incoraggiano costantemente e mi fanno sentire amata. A scuola ho buoni voti, ottenuti senza stress o ansia. Mi consideri un adolescente normale, con una vita tranquilla e ricca di serate, alcol, e cazzate. » Lo guardo negli occhi, sinceramente spero che mi tradiscano «Non potrei essere più felice». Lui mi sorride«come immaginavo, i questionari non sbagliano mai. Prego, puoi andare» Lo saluto ed esco. La porta si chiude alle mie spalle e non si è reso conto che il mio era un addio, un “me ne vado, per sempre”.
I veri assassini sono quelli che sanno che vuoi farti del male, ti guardano distruggerti, e se vanno mentre cerchi di ucciderti. Perché è molto più facile così.
Non essere un assassino.
-Alessia Alpi (Volevoimparareavolare on Tumblr)
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la mia vita al tempo del COVID-19 (giorno 13)
Oggi il giornale apre con un articolo molto interessante dal titolo: asintomatici, presintomatici, paucisintomatici: quali le differenze e come fare per rientrare al lavoro? Quali sono le distinzioni di terminologia e sintomatologia e soprattutto quali procedure si devono seguire per rientrare al lavoro e nella vita di comunità dopo essere stati positivi o in stretto contatto con malati di Covid-19. È evidente: là fuori è una vera e propria giungla. Come potremmo solo immaginare di vivere senza sapere quali sono le “distinzioni di terminologia e sintomatologia”. Come? Io non ne so niente. Ecco adesso sono depresso. Potrei anche farla finita qui, ma sono troppo depresso per pensarci. Andiamo avanti... altri titoli: – Coronavirus, su quasi 19mila tamponi 2.160 nuovi positivi – Provvedimenti anti-smog prorogati fino al 19 novembre – Come cuocere la pasta con meno gas, un recente test scientifico dimostra che la cottura è possibile anche senza tenere il fornello sempre acceso. – Donna anziana di Martina Franca (TA) suona al contrario disco di Albano e scopre il modo di aggirare il fisco e di non pagare la TARI.
Poi, la solita intervista Happines is Homemade, con l’imprescindibile punto di vista del solito VIP locale che, per qualche oscuro motivo è chiamato a snocciolare i suoi speciali ingredienti per farti meglio affrontare, vivere la tua vita. Frasi fatte a profusione, a cazzo se preferite (?), del tipo: “trova il tuo punto di equilibrio / gli obiettivi per la tua crescita personale / i valori sono le convinzioni alla base del proprio sé”. Che palle! Roba da far scappare i neuroni a dorso d’asino. Come vedo me stesso? Io sono una leggenda nella mia mente. Un’audace che cammina lento, controcorrente, fingendo di essere distratto dalle cose che gli accadono intorno, interessato a quel niente che hai da dire. Io non distolgo lo sguardo, io ti guardo fisso negli occhi, e non mi volto più dall’altra parte. Io non tendo sempre ad accentuare i miei difetti piuttosto che i miei pregi, e la pasta la cucino come mi pare a me. Hai capito? Il punto è proprio questo: io non vedo, non ho bisogno di vedere me stesso nello specchio del mondo, perché non provo terrore di essere quello che sono! Io sono uno di quelli che hanno la sensazione che in Italia tutto vada a farsi fottere. Sì, la sensazione di essere costantemente sul punto di dire: Ok. Lasciamo perdere. Basta pensare a come tutto sia corrotto, l’ambiente, l’arte, il governo, la faccenda del Covid-19, qualunque cosa. Io sono quello che vuole riscattarsi dai fanghi parassiti che ci ammorbano. E sono altro, molto altro. Per questo ho avuto l’idea di tenere questo diario, questo blog che espone il fianco alle coltellate di tutti e di tutto. Lo scrivo anche per quelli che non parlano mai con nessuno, che immaginano che nessuno li ascolti, perché pensano che non ci sia nessuno là fuori che abbia voglia di ascoltarli. Tengo questo diario perché un giorno, nel pieno di questa cazzo di pandemia, mi sono svegliato e ho capito che non sarei mai stato normale e mi son detto: e chissenefrega!!? Scrivo perché nessuna vocina nella mia testa mi ha mai detto: non farlo Andre- non scrivere!
Prova a pensare alle sabbie mobili della vita, al barlume predestinato di ciò che ti hanno sempre detto, quello che dovevi fare, come ti dovevi comportare: genitori, insegnanti, esperti, film, libri, riviste e televisione. Influencers… Pensa a tutte le loro mercanzie, all’artificialità e agli artifici del loro linguaggio che ti ingabbia, che ti frusta. Alle loro balle, al loro brulicante brulichio di bruchi.
Ma tu, in realtà lo sai. Da tempo sai che cosa dovevi e devi fare, qual’è il tuo compito. Il tuo obbiettivo è solo quello di farti accettare, sentirti in pace e pensare a qualcosa di grande per la tua vita – e se ti senti confuso, se il tuo lavoro non ti soddisfa, se sei buffo e non riesci a trovarti una ragazza, se sei così stanco di controllare che non ti freghino quando ti danno il resto, e di prestare attenzione a leggere le cose scritte in piccolo, di confondere i tuoi vestiti con il tuo nome e, non ne puoi più della proposta culturale avvilente e svilente della tua stramaledetta città, dell’alfabeto di parole buie che scaturisce dalle bocche spente di chi ti sta vicino, non importa – il tuo unico obiettivo è sempre e solo quello di farti accettare per quello che sei.
Mi capisci? Insomma sei lì con tutti questi pensieri che ti frullano dentro il cervello, magari cerchi conferme, una risposta, e chi ti tocca sentire? Briatore, la Santanchè, Zingaretti, i CinqueCosi, Meluzzi, Albano Carrisi…?!!! Senti di non aver via di scampo, come quando ti accendi l’ultima paglia al contrario, ma infondo al tuo cuore sai che c’è una semplice, un’incredibilmente semplice soluzione: vomitare. Vomita. Sì, rimetti tutto quello che hai dentro, non importa se sei represso e depresso, se provi dolore – non vergognartene – VOMITA. E se ti dicono che c’è qualcosa che non va in te, tu vomita. Vomita il tuo vero io. Parla, canta, balla, dipingi, scrivi, ma fallo!
Questo diario è il mio vomito.
Mi piace l’idea che le mie parole, queste, quelle che stai leggendo, possano insinuare la mente di coloro che non ne possono più di fare tutto il possibile per essere perfetti. Che per qualcuno, le mie parole si rivelino Parole Esatte. La voce di quelle persone che nessuno sente urlare in questo mondo capovolto nella mole delle unanimi approssimazioni.
Ad esempio, mi piace immaginare che tutte le mattine tu, le aspetti, queste mie parole, che le senti arrivare, scorrere lungo le tubature là fuori, venire su dalle fogne… penetrano le pareti della tua bella casa e inseminano il tuo smartphone… ed ecco: le puoi finalmente leggere. Così prendono a scorrere attraverso il lago dei tuoi occhi, risuonano nel tuo cervello, ovunque, come un criminale, come una persona non invitata che gira liberamente per casa tua e si fermi dove vuole. Come un cattivo pensiero in una mente pulita…mi dirigo verso il mobile dove tieni gli alcolici e mi servo da solo, incrocio le gambe sul tavolo del tuo salotto come un cowboy e sorseggio il mio isocianato di metile on the rocks. Do il via alla festa, accendo il tuo stereo: canzoni che non hai mai sentito prima, ma che ti piacciono.
– Sprofondiamo tutti nella stessa merda, ma sai, grazie a un duro allenamento aerobico e a una ferrea dieta ipocalorica ricca di fibre, quella robaccia non ha effetti su di me, ti dico sputando un cubetto di ghiaccio nella tua direzione e tu con un incedere da grosso felide americano, ti fai più vicina. A questa distanza i peli che hai sulle braccia mi ricordano la felce frattale che si crea sgocciolando tintura in una soluzione acquosa di polimero, e te lo dico. Tu ti avvicini ancora di più, producendo un fruscio simile al rumore prodotto dallo sfregamento dei pantaloncini da corsa di un corridore sovrappeso.
–Ci nutriamo delle stesse prede, mi grugnisci incurvando la spina dorsale come un amo, fregandotene del distanziamento minimo di un metro, e giungendo a meno di un millimetro dalla mia faccia.
– Il giorno 13, della mia vita al tempo del Covid-19, quello che sto scrivendo proprio in questo istante è un virus che ucciderà i tuoi buoni propositi e si sostituirà a loro. Pensa a che cosa succederebbe se le mie parole potessero cambiare qualcosa…?
– Questo sarebbe grave. Molto grave!… mi dici, con la voce strozzata dall’emozione. FALLO! Non importa che cosa, ma SCRIVILO ora Andre e non fermarti, ti prego!
È cosi che immagino il momento in cui la mesta quiete iperborea – nelle profondità libranti dello spazio ignoto, in prossimità del punto nella distanza infinita in cui le parallele finalmente si incontrano – l’inizio della tua giornata, poco prima che incominci a leggere le mie parole e poi, poi mi leggi…
Io sono la voce che grida nel vuoto quella che nel silenzio del tuo teatro mastica wafer con gran fracasso quella che si rannicchia pericolosamente sul tuo canceroso cesso pubblico La voce che alla fine ti frega il portafogli
Io sono la voce che chiede: “con permesso”… ti saluta inchinandosi come il fiore acceso dall’estate e quando se ne va lascia le sue impronte di fango sul tuo tappeto buono
Io sono la voce che brucia il tuo cervello e ti strappa le viscere … Sì, la mia voce ti sventra: le tue viscere si immolano sul mio altare e predicono il futuro le tue viscere fumanti e luccicanti svelano la tua natura
Io sono la voce che ti conosce non il tuo nome, ma quello che sei conosco il tuo vero io
Adesso leggimi! O sarà la mia voce a leggere te.
Fine giorno13
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plumers97 · 6 years
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“Ah su di lei avrei molte cose da dire,basta odiarla,lei è semplicemente innamorata,ogni giorno leggo delle cose spaventose su di lei,io personalmente devo dire che all'inizio ho pianto ed ero distrutta,ma poi ho capito che Zayn la ama,perché quando è con lei Zayn ha un sorriso enorme e una luce strana nei suoi occhi. Lei è perfetta,è qualcosa di unico,e io sono fiera di chiamarla idola. Lei è bellissima anche senza trucco. Lei è solamente se stessa non vedo il motivo di offenderla ed odiarla solo perché stia con Zayn. Sei parte del mio cuore,con la tua musica sono cresciuta e mi hai insegnato ad essere me stessa e a credere nei sogni. Non credevo di potermi interessare ad una persona fino a questo punto;e pensare che fino a poco tempo fa non ti conoscevo,ma poi ti ho visto lì sul piccolo schermo,eri così piccola,fragile,non sapevo nulla di te,e non immaginavo che saresti diventata cosi importante. Sai fino a poco tempo fa non dicevo a nessuno che mi piacevi,e ancora oggi me ne pento,tu non meriti questo odio,e inoltre ognuno ha i propri gusti,e ognuno deve rispettare quelli altrui. Non sei solo la mia cantante preferita,sei anche la mia migliore amica invisibile,mi aiuti a sognare. Quando ti vedo in tv o semplicemente quando ti penso,mi vengono le farfalle nello stomaco,come se fossi innamorata,ma a pensarci bene,io ti amo! Molti non ti definiscono una vera cantante,ma io sono del parere che si sbagliano di grosso. Ed io so che non sei diventata così solo per fortuna,ma che hai dovuto faticare per ottenere la fama che hai,hai dovuto fare avanti e indietro da un milione di volte. Ultimamente la tua immagine è cambiata,e molte tue fan ti hanno abbandonato,ma credimi Perrie io non lo farò mai,accetterò qualunque tua scelta,perché sono una tua vera fan!Basta un tuo sorriso stampato su una foto per rendermi felice! Spero che prima o poi riesca ad incontrarti,e allora,beh,non so cosa farò! Grazie di tutto ciò che riesci a trasmettermi idola. Tu per me sei così grande che ti ascolterei tutto il giorno,le tue canzoni sono così belle che mi emozionano tanto,tu le canti con passione. Ti ammiro perché tu eri una ragazza semplice con una famiglia normale,che è riuscita a diventare famosa:con tanto lavoro e con tanti sacrifici sei arrivata così in alto. A me piaci perché esprimi quello che senti inserendolo dentro le canzoni. Io nella mia camera ho molti tuoi poster e molte tue canzoni sui muri. Ogni giorno quando torno a casa,e inizio a fare i compiti, sento sempre le tue canzoni. Io non sono mai venuta ad un tuo concerto,ma vorrei andarci,anche se so che mia madre non me lo permetterà.”
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francesca-fra · 4 years
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Una settimana estatta, penso e ripenso, e non posso fare a meno di sentire quelle parole e rivivere quel momento, rivivo ogni gesto, ogni sguardo, ogni lacrima è come un coltello piantato nel cuore....E dire che appena due giorni prima facevamo l'amore e mi dicevi quanto mi amavi...
Difficilmente darò più così tanto di me a qualcuno, sarà difficile credere ancora in un altro uomo, dovrà prima dimostrare molto....
Un insieme di dolori che segnano profondamente, forse davvero mi servirà ad essere più dura e cazzuta e a farmi rispettare, ma non è certo una conquista.... Il rispetto dovrebbe essere la base sempre, in maniera implicita e comunque l'orgoglio non va a braccetto con i sentimenti veri, ed io ti amo e ti ho amato tanto.
Io ho sempre creduto in quel comandamento che dice: "NON FARE AGLI ALTRI CIÒ CHE NON VORRESTI FOSSE FATTO A TE", ma quando si parla di amore reciproco, ti affidi alla persona che senti di amare, ci vuoi credere fino all'ultimo respiro, cerchi sempre un nuovo inizio perché non riesci a immaginare la fine di qualcosa di così grande che porti dentro di te per lui, sopra ogni cosa.... Vorresti poter tenere al tuo fianco il tuo Amore per sempre, ma poi un giorno vieni preso a calci proprio da chi ami...
Purtroppo penso che certi giudizi facciano parte di un grado di maturità che si sviluppa solo se hai vissuto situazioni di un certo tipo, altrimenti, evidentemente, non puoi capire soprattutto se non hai la delicatezza e l'umiltà per accettare opinioni diverse dalle tue in quanto tratte da un'esperienza di vita decisamente più complessa e non molto fortunata.
Ho sempre cercato di fare di questo comandamento il fondamento della mia vita. L'ho applicato alla lettera! Ho sempre agito cercando di avere rispetto per tutti, anche per chi fa parte del mio passato, ma ha, a suo tempo, avuto un ruolo importante. Devo dire che anche il mio passato, ha sempre avuto rispetto per me ed è per questo che ho un ottimo rapporto con le persone che hanno fatto parte della mia vita, anche se ogniuno di noi ha poi preso la propria strada.
Mio padre un giorno, uno di quelli difficili, in cui stavo affrontando una separazione, mi disse: la vita è tua, ora cerca di non sbagliare più, fai i tuoi passi solo quando sarai sicura che potrai costruire qualcosa di solido. Fino ad allora, non coinvolgerci e soprattutto tutela i tuoi figli! Ebbene, l'ho fatto, per me, per i miei figli e per non deludere più la mia famiglia.
L'amore è una componente fondamentale e rara, quando ami, concedi la tua anima, ma ci vuole tempo, pazienza e razionalità per costruire intorno a quel sentimento una vita in due. Ci vuole solidità, comprensione, rispetto, forza e sostegno...avere un compagno non è sempre vivere su una nuvoletta ed i rapporti tra adulti non sono banalmente semplici e rosei. I problemi ci sono, ma è lì che si capisce chi davvero ti ama. Puoi mandarti a fanculo mille volte, per mille motivi, ma se davvero è amore, si affronta poi la cosa e si diventa forti, ma non si va a sopperire con altro, perché nemmeno ti puoi immaginare con un'altro e di certo non si può dire ti amo tanto per dire a chiunque, non esiste interruttore per fare attacca e stacca.
Sarò sbagliata, ma questi sono i valori che i miei genitori mi hanno scolpito addosso. E ci crederò sempre. E nonostante le cicatrici profonde che avevo e quelle che avrò... Non smetterò mai di desiderare un compagno di viaggio con cui ci sia una reciprocità vera! Non smetterò mai di desiderare L'AMORE e una vita decisamente normale, ma di famiglia.
Avevo immaginato che fossi tu il mio compagno di viaggio, ho cercato quella stabilità che ogni volta veniva annientata da discussioni su cose spesso piccole vicino ai PROBLEMI REALI DELLA VITA.
Come si può pensare ad un futuro in cui più ci si impegna, anche materialmente, ed in cui ci sono responsabilità grandi da gestire (i figli, il lavoro, la gestione di una casa) se non si riesce a vivere sereni nemmeno le normali cose quotidiane con molto meno in ballo... Come ci si può buttare... Come spesso mi è stato chiesto. Ci si butta solo con una base, forse a 20 anni, o da adulto sprovveduto, si può azzardare con due figli ed un trascorso. Le cose vanno sempre ponderate.
Il risultato... La delusione più grande della mia vita.
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