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La Costituzione dell'Uzbekistan: Fondamento di Diritti, Sovranità e Benessere Sociale
Un'analisi sul significato e l'importanza della Costituzione uzbeka, simbolo di indipendenza e guida per la società
Un’analisi sul significato e l’importanza della Costituzione uzbeka, simbolo di indipendenza e guida per la società. La Costituzione della Repubblica dell’Uzbekistan è più di un semplice documento giuridico: è il pilastro della sovranità nazionale e il fondamento per i diritti e la dignità dei cittadini. Approvata il 8 dicembre 1992 e arricchita da successivi emendamenti, la Costituzione…
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Hanno appena arrestato quell'efficientista aziendale di Toti.
Quello che per far girare l'economia voleva sforbiciare il codice antimafia e quello degli appalti.
Caro Bersani, è la differenza antropologica tra chi governa per governare e chi per distribuire cadreghe: le spartizioni positive io faccio questo tu quello come si fa lavorando, invece dei compromessi al ribasso in cui stian dentro tutti come si fa nei sonnolenti uffici pubblici.
Ricordi ancora Bersani, quella volta che andasti a pietire in diretta ueb un ingresso al governo dei 5Stelle, il prezzo fatelo pure voi, chemmefrega a me basta esserci?
#bersani#aziendalismo#fdi#fratelli d'italia#spoil system#meloni#presidenzialismo#separazione delle carriere#magistratura#divisione dei poteri
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Pochi istanti fa è intervenuta la prima Presidente della Corte di Cassazione in persona, Margherita Cassano.
E ha dato una risposta a Salvini e Meloni sulla sentenza Diciotti che è un capolavoro di stile, fermezza, eleganza e senso profondo delle istituzioni.
“Le decisioni della Corte di Cassazione, al pari di quelle degli altri giudici, possono essere oggetto di critica. Sono, invece, inaccettabili gli insulti che mettono in discussione la divisione dei poteri su cui si fonda lo Stato di diritto”.
Punto. Cinque righe.
Le sono bastate cinque righe per rimettere al loro posto Salvini e Meloni, il governo e questa destra semplicemente eversiva.

Queste quattro righe andrebbero appese nelle scuole.
🙏
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Il liberalismo, unica ideologia dogmatica rimasta, rivela la sua essenza proprio nella gestione del fenomeno migratorio. Ma andiamo per gradi e dall’inizio: il liberalismo nasce come ideologia borghese e mercantile per tutelare gli interessi della nascente borghesia compradora che liberatasi di Trono e Altare, trova la sua legittimazione culturale e politica nell’utilitarismo di Locke, Hume e altri , basandosi soprattutto sulle teorie di Hobbes dove l’assetto sociale e statuale è determinato dal ” contratto sociale ” tra i componenti e in quelle di Montesquieu sulla divisione dei poteri , dove prevale però chi detiene i mezzi economici.
Il liberalismo infatti concepisce solo diritti del tutto ” astratti�� e non collegati in alcun modo alla concretezza materiale tranne quello alla proprietà privata ( anche questo soggetto alle differenze di censo) e alla libera impresa. Ad esempio il CD diritto al lavoro e’ il classico esempio di diritto che in realtà è esercitabile a condizione che la dinamica domanda/ offerta corrisponda alle necessità del ” mercato del lavoro ” ergo alle necessità del Capitale, altrimenti è un diritto inesigibile da parte del titolare del diritto stesso. Potremmo citare altri esempi di diritti totalmente svincolati dalla realtà e dalla dinamica materiale ( libertà di espressione, alla salute, alla sicurezza…) ed è proprio per questo che ad esempio in Italia dal 1948 si parla di Costituzione formale, in pratica mai attuata , e Costituzione reale, cioè quella parte che per prassi necessita per il funzionamento dell’economia di mercato.
Posto questo dato , nel caso del fenomeno migrazione, controllata o meno, assistiamo ad un classico dello Stato liberale. Cercare di agevolare l’ingresso di un esercito industriale di riserva , in modo più o meno surrettizio, cercando al contempo di introdurre l’idea culturale che la persona, come le merci, è spazialmente e temporalmente ” fungibile” .Ergo un congolese ad Oslo o un norvegese in Congo possono ” integrarsi” a vicenda perché sono persone che , in teoria , non soffrono alcuna influenza identitaria o ambientale.
Ora il marxismo , che lo ricordiamo nasce come liberalismo ” rovesciato”, nella sua corrente rappresentata da Adorno , Horkheimer ma anche dalla corrente francese che fa capo a Guattari , pone invece l’uomo come prodotto delle condizioni sociali, ambientali e della società in cui vive. Si arriva a dire , ed è per certi versi assolutamente inconfutabile, che l’uomo è determinato dalla famiglia, dal clima e dal paesaggio in cui vive , tralasciando usi, costumi, credenze religiose etc. Questi fattori determinano non solo chi li vive ma anche le generazioni successive che dovessero emigrare altrove, come dimostrano anche gli italiani che da generazioni vivono in altri paesi che mantengono uno stretto legame, magari spesso folkloristico, con le proprie origini.
Quindi l’origine come il DNA di ogni persona è ineliminabile, a onta dei” costruttori di diritti a tavolino” che continuano a parlare di inesistenti ” diritti universali” che si concretizzano solo nel ” diritto del capitale ” di spostare manodopera da un capo all’ altro del pianeta. I tentativi quindi di eliminare i dati identitari e qualitativi sia degli europei che degli immigrati, in nome di un astrattismo materiale che vorrebbe solo ” replicanti” consumatori globali o ” cittadini del mondo” non è logico, non è razionale e soprattutto genera violenza e problemi psichici che ben vediamo nella cronaca nera quotidiana anche e soprattutto con gli immigrati di terza generazione. I tentativi surrettizi tipo lo ” ius scholae” sono semplicemente risibili , ancora una volta non basta studiare Dante per sentirsi europei, anche perché primo non si capisce perché un africano dovrebbe sentirsi ” europeo” e viceversa, ma soprattutto perché la cd integrazione non può avvenire su queste basi di astrattezza puramente mercantile che non permette un effettivo dialogo tra culture e identità, ma al contrario lo mortifica e lo soffoca in nome del puro profitto di pochi.
-Kulturaeuropa
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"Una questione irrisolta, da Tangentopoli a oggi, ha a che fare con la tendenza inveterata della nostra classe politica a eludere, anziché affrontare, la “questione morale”, sottraendosi al controllo di legalità, rafforzando il profilo “decidente” degli esecutivi, affermando il primato dell’investitura popolare sulla legge. Non si tratta solo dell’eterna questione della separazione delle carriere e della subordinazione dei pubblici ministeri all’esecutivo, ma del mito dell’esecutivo forte, perché legittimato dall’investitura popolare diretta, all’insegna del motto «il voto è tutto e la legge nulla, […] la legittimità vince sulla legalità, la divisione dei poteri è un arnese settecentesco» (I. Dominijanni, Paradossi, il manifesto, 16 febbraio 2002). La quintessenza di questa aspirazione assolutistica è bene espressa da una dichiarazione rilasciata da Toti nel 2020: «Via codice degli appalti, via gare europee, via controlli paesaggistici, via certificati antimafia, via tutto. Almeno per due anni» (P. Ronco e A. Paolacci, Supermercati, spiagge private: il “modello Genova”, il manifesto, 8 maggio 2024, p. 3). Certo, in quel momento c’era la pandemia, e uno stato di emergenza più che giustificato. Ma l’insofferenza per ogni forma di controllo e vincolo che trasuda da quelle parole ci ricorda che l’invocazione dell’emergenza – vera o presunta – è stata, ed è, usata spesso nel nostro paese per assecondare la pulsione brutale a “comandare”, anziché a governare rispettando l’equilibrio dei poteri."
Valentina Pazè
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dopo aver letto le dichiarazioni di donna giorgia vorrei solo ricordare che matteo salvini non rischia sei anni di galera (che comunque dubito verrà condannato perché siamo in italia) perché ha “difeso i confini”, ma perché ha tenuto in ostaggio dei richiedenti asilo politico, in mezzo al mare, in condizioni pietose e disumane e, incredibile ma vero, in italia (stato di diritto aka democratico aka fondato anche sul principio di legalità aka qualsiasi istituzione dello stato deve agire secondo norme di legge) soltanto l’autorità giudiziaria può disporre (o comunque autorizzare le forze dell’ordine) la detenzione o qualsiasi forma di limitazione della libertà personale di un individuo
se matteo salvini avesse potuto fare quello che ha fatto qualche anno fa, in qualità di ministro e non di magistrato, significherebbe vivere nel ventennio fascista, se poi la destra italiana “finalmente” ammettesse che il loro obiettivo è l’accentramento dei pieni poteri e la distruzione della divisione montesquiana, sarebbe tutto molto più limpido
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La differenza tra scendiletto e incarico istituzionale
La dichiarazione villana, arrogante, irrispettosa, dell'uomo più ricco del mondo, nei confronti dei magistrati di uno stato sovrano e del loro operato, oltreché il silenzio della presidente del Consiglio dei Ministri, che, con e per il villano nutre forte empatia e armonia di intenti, rispetto alla voce del deserto del Capo dello Stato (sovrano), sta tutta nel rispetto del proprio ruolo istituzionale e nel rispetto della divisione dei poteri, che, già in altre occasioni il garante della Costituzione, ha ritenuto necessario dover ricordare.
Il silenzio della presidente del Consiglio dei Ministri, non è solo complicità, ma, va ben oltre. L'uscita villana, non è solo consonanza di intenti. Dietro vi è un disegno preciso. Lo smantellamento della divisione dei poteri, in vista della riforma costituzionale sul premierato, che necessita di menti raffinatissime e di propaganda al massimo livello.
Il social dell'uomo più ricco del mondo, ne sarà il megafono.

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“Le decisioni della Corte di Cassazione, al pari di quelle degli altri giudici, possono essere oggetto di critica.
Sono, invece, inaccettabili gli insulti che mettono in discussione la divisione dei poteri su cui si fonda lo Stato di diritto”.
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Salvini fottiti, e ristudia la Costituzione sulla quale hai già giurato in modo del tutto disonorevole!
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AVERE TRUMP E HARRIS ALLA CASA BIANCA NON E' INDIFFERENTE
La campagna elettorale per la Casa Bianca é una fiera dell’assurdo, un teatro delle finzioni, un amusement per i trumpiani che gabbano gli elettori. Che gabbano, soprattutto, la sinistra “vera” dovunque. E l’assurdo si fa indifferentismo: che vinca Donald Trump o Kamala Harris poco importa poiché la Casa Bianca sta dalla parte di Israele comunque. Fuori degli States, questa logica riluce di anti-americanismo. E, quindi, Harris e Trump “pari son”. Negli States, il risvolto di questo “lack of trust” si materializzerà probabilmente nella scelta di molti arabo-americani democratici di astenersi dal voto, con l’illusione di non votare per Trump. E “gli sciagurati” gli faranno un grosso favore. Beffati, avranno in cambio quel che piú temono.
Non votanto per Harris non fermeranno il massacro in corso a Gaza, in Cisgiordania e in Libano. Lo agevoleranno. Trump è stato sempre molto chiaro: sta completamente dalla parte del governo di Israele. Ha sempre parlato senza lingua biforcuta -- a ragion del vero, questo vale per tutte le questioni incendiarie da lui sostenute, come l’odio per gli immigrati, il disprezzo per gli europei, la misogenia, il machismo (ricordiamo quando nel corso della campagna del 2016, disse che la sua pratica con le donne era “grab the pussy”?).
Nel corso del suo primo mandato come presidente, Trump ha preso una decisione epocale piena di significato: ha spostato la sede dell’ambasciata statunitense in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, un gesto che intendeva gettare al macero la politica dei due popoli e due stati. Ora che le armi e la distruzione hanno reso quella politica una chimera, la posizione di Trump come “protettore” di Israele si manifesta col sostegno pieno alla guerra di religione di Netanyahu. Al quale Trump ha sempre detto di “fare ciò che deve”, di "andare avanti" con la pulizia etnica della terra del popolo di Dio. E Netanyahu ha ricambiato diventando uno dei capi di governo piú impegnati nella sua rielezione di Trump (l’altro grande supporter è Vladimir Putin).
Vi è un'altro particolare che non puó sfuggire agli arabo-americani democratici che pensano di astenersi dal votare Harris: fin alle prime mosse della sua presidenza, Trump ha perseguito una dura politica anti-islamica. Del resto, l'islamofobia è sempre stata la carta di identità dell’internazionale dell’estrema destra. Giorgia Meloni gridava nei suoi comizi (e lo scrisse nel programma elettorale del suo partito nel 2022) di difendere la “tradizione giudeo-cristiana”
contro quella “islamica”. Intervenendo al congresso dei camerati spagnoli di Vox alcuni anni fa, ha urlato le stesse parole usate da Trump. Oggi Meloni sussurra l’islamofobia, evidentemente perché l’Italia ha una dipendenza energetica strutturale dall’estero e i dirigenti dell’Eni la seguono come un’ombra nei suoi viaggi nei paesi produttori di petrolio, che sono per lo piú di reglione islamica.
Il potere imperiale di cui godono gli Stati Uniti consente a Trump di essere meno diplomatico, e quando puó ridicolizza il popolo di Allah. Il primo decreto presidenziale che firmó nel marzo 2017 fu contro gli ingressi di mussulmani (anche per turismo) ovvero dei cittadini di Iran, Siria, Sudan, Yemen, Somalia e Libia. La sua prima prova di forza contro la magistratura, l’inizio delle ostilità contro la divisione dei poteri, fu all’insegna della islamofobia.
Prevedendo gli esiti del non-voto, cento leader arabi dell'Arizona hanno rilasciato alcuni giorni fa una dichiarazione che invita i cittadini di origine araba a leggere bene le dichiarazioni dei candidati. Il 13 ottobre scorso, si dice nel documento, lo stesso giorno in cui l'amministrazione Biden minacció di riconsiderare il sostegno militare se Israele non avesse migliorato le condizioni umanitarie a Gaza e ridotto le vittime civili nei successivi 30 giorni, Harris ha twittato: “Israele deve urgentemente fare di piú per facilitare il flusso di aiuti a chi ne ha bisogno. I civili devono essere protetti e avere accesso a cibo, acqua e medicine. Il diritto umanitario internazionale deve essere rispettato”. E nel suo comizio in Michigan, davanti a una platea numerosa di arabo-americani, Harris ha usato espressioni forti di empatia per le sofferenze del popolo palestinese e libanese; e si è impegnata a fare “tutto ciò che è in suo potere” in qualità di Presidente “per porre fine alla guerra a Gaza” e per “un futuro di sicurezza e dignità per tutti i popoli della regione”. Il documento suggerisce infine di ragionare politicamente: “le decisioni di Harris come presidente saranno influenzate dalla più ampia coalizione del Partito Democratico, che comprende una forza crescente che spinge per i diritti umani dei palestinesi”. Chissà se il pensare politico vincerà sull’assurdo.
Nadia Urbinati
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La divisione dei poteri legislativo, governativo e giudiziario nella Costituzione italiana
La divisione dei poteri legislativo, governativo e giudiziario nella Costituzione italiana è un principio fondamentale che garantisce il funzionamento della democrazia e la tutela dei diritti dei cittadini. Questo sistema si basa sulla separazione delle funzioni statali in tre ambiti distinti, ciascuno attribuito a specifici organi. Potere Legislativo Il potere legislativo è esercitato dal…
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Regeni, Ballerini: "Parole Meloni? Fortunatamente in Italia c'e' la divisione dei poteri"
L’avvocata della famiglia: “Al-Sisi? Lo abbiamo citato”source
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Meglio la bomba
Basta leggere le sgangherate e assurde “motivazioni ” con cui la corte costituzionale – via tutte le immeritate maiuscole in maniera da assimilarsi a c/c- giustifica la sua sentenza ignobile sulla dittatura covid, per convincersi che non solo non siamo più in uno stato di diritto il quale ha bisogno della divisione dei poteri per funzionare e per essere, ma anche in mano a una mediocrità…

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Continua la persecuzione giudiziaria nei confronti di Eddi. La Cassazione rigetta il ricorso contro la sorveglianza speciale - Osservatorio Repressione

Proprio pochi giorno dopo la denuncia della Digos contro Maria Edgarda Marcucci, Eddi, per aver osato prendere pubblicamente la parola a Pordenone, il 25 settembre la Cassazione ha rigettato il suo ricorso contro il provvedimento del Tribunale di Torino che le ha inflitto la Sorveglianza speciale.
Così, dopo la sconfitta in appello nel 2020, anche l’ultimo tassello della giustizia italiana si chiude decretando la “pericolosità sociale” di una delle persone che più hanno ispirato approvazione e ammirazione in Italia negli ultimi anni.
La Cassazione ha affermato che Eddi è pericolosa perché dedita ad attività illecite in Italia, riferendosi a episodi come apericene per chiedere il pagamento dei salari ai lavoratori della ristorazione o verbali di Trenitalia su biglietti non pagati e proteste verso i controllori. Eddi è incensurata.
Anche per questo l’avvocato Claudio Novaro aveva eccepito che se si usano sospetti o ipotesi di reato, magari confezionate dalla polizia politica, per definire la pericolosità della persona, la stessa garanzia di una divisione dei poteri sembra negata.
La Cassazione, come già il Tribunale di Torino, ha riaffermato che invece le regole del “giusto processo” non valgono quando il procedimento pertiene alla sezione speciale che ogni tribunale italiano ha, a settant’anni dalla fine del fascismo: la sezione per le “misure di prevenzione” istituite da Mussolini (1931) ed emendate nelle epoche di Scelba (1956) e Berlusconi (2011).
Ogni anno in Italia migliaia di persone vengono sottoposte a sorveglianza speciale e privati del diritto di muoversi, riunirsi e parlare in pubblico senza accuse e senza processo, sulla base del pronostico che polizia e magistratura formulano sulla loro futura condotta (sulla base di una descrizione della loro “personalità”).
Questa misura viene spesso applicata a persone che vivono nella marginalità sociale e, sempre più spesso, ad attivisti politici. Non mi risultano applicazioni a figure ben note e potenti che hanno già collezionato sentenze e accumulato responsabilità gravissime contro l’intera società, o verso ben noti militanti di estrema destra, o verso ex poliziotti sindaci della Lega che sparano alla gente per strada.
Io credo che i giudici non stiano perdonando a Eddi di aver portato questa norma alla luce del sole, di averla pubblicamente sfidata e rifiutata e di aver mostrato con le parole e con i suoi atti – dalle manifestazioni No Tav e di Non un di Meno in Italia fino ai mesi passati nell’esercito femminile curdo delle Ypj, impegnato contro i jihadisti siriani ed Erdogan – di aver mostrato, dicevo, che per lo stato può essere pericoloso ciò che a chiunque appare ammirevole, giusto e segno di speranza.
Questa storia era iniziata con cinque persone proposte per questa misura perché impegnate nella rivoluzione confederale siriana (quella che ha edificato un’autonomia democratica alternativa ad Assad sconfiggendo l’Isis) tra il 2016 e il 2018. Proprio quando il procedimento è iniziato, nel 2019, il martirio di Lorenzo Orsetti con la stessa uniforme di Eddi aveva condotto l’opinione pubblica dalla nostra parte, mettendo in grave difficoltà la procura di Torino.
I giudici hanno infine deciso di infierire su una sola persona – l’unica donna tra i proposti – affermando che la sua pericolosità non è tanto dovuta all’aver usato le armi in Siria ma all’aver usato la propria voce nelle strade e nelle piazze in Italia. Le sue attività qui, sempre critiche e pacifiche, sono bollate come pura violenza nelle carte dei giudici; i quali naturalmente mentono snaturando pensiero e linguaggio, oppure non sanno in alcun modo di cosa parlano.
Anche ora che si è confermata la volontà repressiva verso la vita di questa donna italiana – verso questa amica; anche ora che la polizia comincia ad imbastire contro di lei ulteriori processi per aver rotto le limitazioni alla libertà di espressione che le sono scandalosamente imposte in base a una norma fascista; ebbene anche ora l’arroganza dello stato contro la voce, la figura e la storia di Eddi è sintomo di una specie di paura.
Non perché sia violenta, ma perché non si è piegata; non perché sia pericolosa per la società – ovvero per tutt* noi! – ma perché denuncia il pericolo di restare in silenzio; non perché sia una criminale, ma perché afferma che non si deve restare passivi – a costo di pagare un prezzo – di fronte ai crimini veri, reali e gravissimi del nostro tempo.
Ora più che mai Eddi non deve essere lasciata sola da chi in questo paese ama la libertà.
Davide Grasso
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Arsiero. Il ‘don complottista’ preferisce il silenzio e non si scusa. Il sindaco: “Cittadini disorientati” Il caso del prete no vax è di dominio pubblico, quei media contro i quali ce l’ha in maniera livorosa, si stanno occupando di lui. Per le sue teorie complottistiche e per quel suo non riuscire a trattenere un linguaggio a tratti violento, anche se c’è da tirare in ballo i bambini disabili con ritardo mentale. Ad Arsiero oggi, dopo l’esplosione del caso, non si fa che parlare di Don Paolo Zampiva, del suo vivace profilo facebook e di quella lettera al vetriolo inviata al vice direttore del Corriere della Sera Beppe Severgnini. “Lei non è un giornalista, ma un pennivendolo, lei è meno di un bambino ritardato mentale…”. E poi tutte una serie di accuse, sulle quali si può discutere a lungo dei contenuti, ma che appaiono raccapriccianti nei toni. Poche righe che hanno fatto inorridire il navigato giornalista che davanti alla parola ‘don’ che precedeva la firma del sacerdote ha stentato a credere che a mandargli quella lettera il 5 gennaio fosse stato proprio un uomo di chiesa. Il sacerdote ha preferito non rilasciare dichiarazioni, nonostante il clamore mediatico e l’offesa ai bambini con handicap mentali, non ha sentito nemmeno il bisogno di chiedere scusa dal suo profilo facebook. (...) Invece di limitarsi a diffondere la parola del Vangelo come richiederebbe il suo ruolo, don Zampiva si sente depositario di verità assolute, della conoscenza di accordi tra giornalisti e poteri forti che assolderebbero i cronisti tutti per convincere la gente a vaccinarsi facendo guadagnare le lobby farmaceutiche. Una sfilza di luoghi comuni smontati dalla stampa autorevole che giornalmente invita l’opinione pubblica a non cadere nelle bufale diffuse sul web. Una vera e propria piaga sociale. “Sono dispiaciuta, delusa e vorrei che tutta questa divisione cessasse – ha detto amareggiata Cristina Meneghini – Quella lettera a Severgnini era davvero pesante, irrispettosa dei bambini disabili. Ho più volte contattato il nostro parroco per invitarlo ad abbassare i toni, ricordandogli che lui stesso è stato vittima del covid, è stato malissimo e la nostra comunità ha perso tante vite umane a causa di questo virus che dovrebbe renderci più sensibili e uniti”. (...) Marco Zorzi - altovicentinonline
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Ciao a tutti! Oggi parlo di un altro libro stupendo. Buona lettura!

Titolo: Sei di Corvi
Autore: Leigh Bardugo
Casa editrice: Mondadori
Anno di pubblicazione: 2019
Valutazione in stelline: *****
Pagine: 401
Trama:
A Ketterdam, città famosa per gli scambi commerciali internazionali, Kaz Brekker, detto Manisporche, è il re dei malviventi del Barile, la zona più pericolosa della città.
Kaz, sebbene sia molto giovane, è un ladro estremamente temuto e rispettato, infatti quando Van Eck, un potente e ricchissimo mercante, si ritrova una sfida impossibile davanti e la necessità di far fare il lavoro sporco a qualcun altro, si rivolge proprio a lui. A Kaz viene offerta un’incredibile ricompensa a patto che lui riesca a liberare Bo Yul-Bayur dall’inespugnabile Corte di Ghiaccio di Fjerda. Lo scienziato è in fatti l’unico conoscitore del segreto della jurda parem, una droga da lui inventata fatale per l’uomo comune ma capace di rendere immensi i già incredibili poteri dei Grisha.
Kaz sa di non poter tentare il colpo da solo.
Inej, una spia soprannominata “lo Spettro”; Jesper, un tiratore scelto appassionato di bische e gioco d’azzardo; Matthias, un ex soldato Fjerdiano recentemente evaso di prigione; Nina, un’abile Grisha e Wylan, un ragazzino proveniente dall’alta società di Ketterdam dalla spiccata intelligenza ed esperto in demolizioni, saranno i compagni di squadra di Kaz. Sono ragazzi molto diversi, ma hanno una cosa in comune: non hanno nulla da perdere e sono così disperati da accettare l’impossibile missione.
Cosa ne penso:
Sei di Corvi non è il primo libro della Bardugo ambientato nel “GrishaVerse”, il mondo magico nato dalla sua immaginazione. Precedentemente a questa duologia ha infatti pubblicato la Grisha Trilogy che purtroppo non è stata tradotta in italiano (salvo il primo dei tre libri) infatti io non l’ho letta; immagino che se l’avessi fatto la mia esperienza con Sei di Corvi sarebbe stata più ricca, ma essendo due storie completamente diverse non è necessario farlo.
I più grandi punti di forza di questa storia sono molto probabilmente i personaggi, fantastici e caratterizzati magistralmente, e le cupe ambientazioni che sono state descritte meravigliosamente portando il lettore ad immergersi completamente nei vicoli bui del Barile o nella fredda Fjerda.
Lo stile di scrittura è stupendo e rapisce il lettore sin dalla prima pagina accompagnandolo con il fiato sospeso fino all’ultima frase del libro. Un’altra cosa molto riuscita è la divisione dei capitoli per punto di vista dei personaggi: solitamente noto che quando nei libri si segue la storia da diversi punti di vista lo scrittore fa fatica a gestirli tutti e ci ritroviamo con un sacco di punti di vista tutti uguali e praticamente indistinguibili. In Sei di Corvi la caratterizzazione dei personaggi è fatta talmente bene che ogni punto di vista è unico e riconoscibile.
La trama inoltre è fra le più belle e originali di cui abbia letto e stupisce continuamente.
Questo romanzo è uno di quelli che preferisco in assoluto e non credo che io o chiunque abbia avuto l’immensa fortuna di leggerlo se ne scorderà mai.
#leigh bardugo#sei di corvi#grishaverse#grisha#kaz brekker#inej ghafa#jesper fahey#nina zenik#matthias helvar#wylan van eck#italian#italiano#letture#booklover#booklovers#letture consigliate#ketterdam#fjerda#il barile
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Democrazia tradita.
Democrazie mafiose. Mezzo secolo fa Panfilo Gentile pubblicò un affilato pamphlet sull’involuzione oligarchica delle democrazie e sulla trasformazione dei partiti in circuiti chiusi e autoreferenziali di stampo mafioso. Lo pubblicò nel 1969 l’editore Volpe, ma il libro uscì dalla ristretta cerchia dei lettori di destra perché Indro Montanelli lo elogiò sul Corriere della sera. Ci aveva visto giusto, Gentile, sull’involuzione mafiosa e partitocratica delle democrazie; ma non aveva ancora visto l’Italia, e l’Europa, dei nostri anni, la spaccatura verticale tra popolo e notabilato, tra sovranità nazionali e potentati interni e internazionali, l’esproprio del voto fino al disprezzo per la volontà popolare e gli interessi nazionali.
È la quarta volta consecutiva che la sinistra in Italia si affaccia al governo non legittimata direttamente dalle urne. Letta, Renzi, Gentiloni, e ora si profila il quarto governo, non solo non scaturito dalle urne ma nato con lo scopo evidente di evitarle. Per adeguarsi al tono e al livello delle accuse che lancia la sinistra a chiunque governi senza il suo benestare – dittatura, ritorno al nazismo e al fascismo, leader anti-sinistra trattati tutti come delinquenti comuni – si potrebbe dire che la sinistra è un’associazione politico-culturale di stampo mafioso che elimina gli avversari con sistemi non democratici, mette a tacere i dissidenti con forme di omertà e discriminazione, s’impossessa del potere con metodi non democratici e impone un protettorato antipopolare funzionale ai codici ideologici e politici della cosca.
Lasciamo il terreno melmoso delle polemiche e saliamo di un piano. Cosa sta succedendo alle democrazie europee? Le classi dirigenti si sentono assediate a nord dal modello Brexit, a sud dal modello Salvini, a est dal modello Orban e a ovest dal modello Le Pen. Sono i quattro punti cardinali del sovranismo, ma sono anche quattro forze maggioritarie nei loro paesi, tutte criminalizzate. Dietro di loro vengono esorcizzati gli spettri di Trump, di Putin, di Bolsonaro, di Modi, di Abe, e si potrebbe continuare. Forme diverse di primato nazionale e identitario rispetto al modello liberal-radical-dem della sinistra.
Per trovare un modello diverso di rifermento si ricorre al modello cinese. Recensioni entusiastiche del Corriere della sera e de la Repubblica hanno accompagnato la traduzione del libro di Daniel A. Bell Il modello Cina, con un sottotitolo indicativo: “Meritocrazia politica e limiti della democrazia” (Luiss, prefazione di Sebastiano Maffettone). Il modello cinese non è una democrazia, ma è un regime liberista, oligarchico e comunista, col doppio primato del mercato e del partito. È un sistema capitalistico ma illiberale, in cui la sovranità popolare è in realtà un feticcio ereditato dai tempi di Mao, che elogiava il popolo ma poi lo rieducava con la forza, instaurando una sanguinaria dittatura. Ora quel tempo è passato, la Cina ha fatto passi da gigante, si espande nel mondo tra tecnica e finanza, dall’Africa all’Occidente; il turbo-comunismo resta catechismo di stato. Il capitalismo assume in Cina il ruolo che aveva la tecnologia per Lenin: la sua formula fu socialismo + elettrificazione, oggi la formula cinese è comunismo + mercato.
Bell, canadese che guida una facoltà di scienze politiche e pubblica amministrazione in Cina, non sposa il regime cinese nei suoi tratti più repressivi, corrotti e totalitari o l’autocrazia di Xi Jinping ma lo addita come modello per la formazione di classi politiche competenti, per il controllo del consenso popolare e la nascita di una tecnocrazia vigilata sotto il profilo etico (l’ultimo travestimento dell’ideologia e del politically correct).
La Cina diventa per l’Europa e in particolare per l’Italia (che coi grillini ha già sposato la via della Seta) il paese di riferimento per uscire dalla morsa Usa-Russia-India-Brasile più sovranisti nostrani e per limitare la democrazia.
Un modello che ruota intorno all’Intellettuale Collettivo che è poi il Partito, la Setta, la Casta; è la Cupola a rilasciare o revocare patenti di legittimazione, a vigilare sulla democrazia e a stabilirne i filtri, i limiti e a deciderne gli assetti.
Resta però irrisolto un molesto interlocutore, il popolo sovrano. Come aggirarne la volontà e come impedire – oltre che con le inchieste giudiziarie e le criminalizzazioni mediatiche – l’avvento di leader sovranisti?
Il mio suggerimento non del tutto ironico è prendere esempio non dalla lontana Cina ma dalla lontana Roma del quinto secolo avanti Cristo: istituire i Tribuni della Plebe. Ovvero incanalare il consenso popolare, gli umori e legare i capi populisti verso quei ruoli d’alta magistratura. I tribuni della plebe sono difensori civici che rappresentano gli umori popolari, legittimamente nominati e ascoltati; ma poi a governare ci pensano i consoli e i patrizi (ora provvisoriamente consociati a un altro clan prodotto dalla piattaforma Rousseau). È forse la soluzione più equilibrata e meno truffaldina di limitare la democrazia: il popolo non esercita più la sovranità, ma solo il controllo tramite i tribuni. Il potere resta saldamente nelle mani del patriziato, delle oligarchie, delle cupole. Un compromesso, una divisione dei poteri, una regolamentazione “costituzionale” del potere mafioso vigente in Italia e per certi versi in Europa, dove governano leader di minoranza quasi ovunque, dalla Francia alla Germania, alla Spagna. Pensateci, è una soluzione per aggirare la democrazia e frenare i populisti.
MV, Panorama n. 40 (2019)
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