#disuso
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POESIE IN PROGRESS
In certe sere d’estate nel limbo delle cose sospese appare il tuo sorriso nel nascondiglio di una vita e fluttua nell’aria come un soffio nel tremolio leggero del vento si adorna di campanelli e di fragili fiamme accese a creare nuvole di vetro soffiato come una preziosa pagoda tra le note delle turbate fronde Sono le confuse luci senza nome che stellano gli occhi così nasce la tua meraviglia mai immaginata a splendere nel buio e nominare costellazioni nuove dove la parola usa le sue gemme per non mentire sulla tenera pelle dove staziona le luna ignara tra quei motorini in disuso. Vengo camminando tra una grata e una fontana per raggiungere il litigio del corpo in questa attesa ormai sbiadita tra il mare e il cielo nel pensarti con le mani nelle righe di terra e le pietre scure per scaldarci nei falò dell’amore in fiamme.
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Amore in disuso - Love in disuse
Amore in disuso.É il dramma di sempre. Non manca l’amore, lo inscatoliamo nell’abitudine e nel pregiudizio. Continue reading Amore in disuso – Love in disuse
#amore in disuso#blog#I never give up#life#Love in disuse#myself#Non mollo#oggi#pensieri#roberto perodi#self help#thoughts#today#today&039;s gospel#vita
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Scioccolare
Degli anni trascorsi nella Maremma toscana ho portato con me oltre a tanti paesaggi indimenticabili anche ritratti di persone e personaggi e parole e linguaggi. Sì, perché la Maremma ha voci e suoni diversi rispetto alla Toscana tutta. Tra le varie parole che ai tempi mi avevano colpita c’è certamente “verduraio” e “dringolare” e “scioccolare”. Se le prime due erano e sono facilmente…
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C'era una volta la vacanza estiva che durava dai due ai tre mesi. Aveva un nome obsoleto ed in disuso, "la villeggiatura".
Tanti partivano addirittura ad inizio giugno od ai primi di luglio e tornavano a metà settembre. L' autostrada era una fila di Fiat 850, 600, 1100, 127, 500 e 128, Maggiolini e Prinz.
Non era guardato affatto chi aveva la Bmw la Mercedes o l'Audi, perché gli status symbol allora non esistevano.
Era tutto più semplice e più vero.
La vacanza durava talmente tanto che avevi la nostalgia di tornare a scuola e di rivedere gli amici del tuo quartiere, ed al ritorno non ricordavi quasi più dove abitavi.
La mattina in spiaggia la 50 lire per sentire le canzoni dell'estate nel juke box o per comprare coca cola e pallone.
Il venerdì chiudevano gli uffici e tutti i papà partivano e venivano per stare nel fine settimana con le famiglie.
Si mandavano le cartoline che arrivavano ad ottobre ma era un modo per augurare "Buone vacanze da..." ad amici e parenti.
Malgrado i 90 giorni ed oltre di ferie, l'Italia era la terza potenza mondiale, le persone erano piene di valori e il mare era pulito.
Si era felici, si giocava tutti insieme, eravamo tutti uguali e dove mangiavano in quattro mangiavano anche in cinque, sei o più.
Nessuno aveva da studiare per l'estate e l'unico problema di noi ragazzi era non bucare il pallone, non rompere la bicicletta e le ginocchia giocando a pallone altrimenti quando rientravi a casa ti prendevi pure il resto.
Il tempo era bello fino al 15 di Agosto, il 16 arrivava il primo temporale e la sera ci voleva il maglioncino perchè era più fresco.
Intanto arrivava settembre, tornava la normalità.
Si ritornava a scuola, la vita riprendeva, l'Italia cresceva e il primo tema a scuola era sempre.
"Parla delle tue vacanze". Oggi è tutto cambiato, diverso. La vacanza dura talmente poco che quando torni non sai manco se sei partito o te lo sei sognato.
E se non vai ai Caraibi a Sharm o ad Ibiza sei uno stronzo. O magari hai tante cose da fare che forse è meglio se non parti proprio, ti stressi di meno.
Una risposta certa è che allora eravamo tutti più semplici, meno viziati e tutti molto più felici, noi ragazzi e pure gli adulti. La società era migliore, esisteva l’amore, la famiglia, il rispetto e la solidarietà. Fortunati noi che abbiamo vissuto così.
La vita era quella vera insomma.
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Cari Compagni,
sì, Compagni , perché è un nome bello e antico che non dobbiamo lasciare in disuso; deriva dal latino " CUM PANIS " che accomuna coloro che mangiano lo stesso pane .Coloro che lo fanno condividono anche l'esistenza con tutto quello che comporta : gioia, lavoro, lotta e anche sofferenze.
È molto più bello che "Camerata " come si nominano coloro che frequentano stesso luogo per dormire, e anche " Commilitone " che sono i compagni d'arme.
Ecco, noi della Resistenza siamo Compagni perché abbiamo sì diviso il pane quando si aveva fame ma anche , insieme, vissuto IL PANE DELLA LIBERTÀ che è il più difficile da conquistare e mantenere .
Oggi che, come diceva Primo Levi , abbiamo una casa calda e il ventre sazio, ci sembra di aver risolto il problema dell'esistente e ci sediamo a sonnecchiare davanti alla televisione.
All'erta Compagni !
Non è il tempo di riprendere in mano un'arma ma di non disarmare il cervello sì, e l'arma della ragione e più difficile da usare che non la violenza. Meditiamo quello che è stato e non lasciamoci lusingare da una civiltà che propone per tutti autoveicoli sempre più belli e ragazze sempre più svestite. Altri sono i problemi della nostra società: la PACE , certo ,ma anche il LAVORO per tutti , la LIBERTÀ di accedere allo studio , una vecchiaia serena ; non solo egoisticamente per noi , ma anche per tutti i cittadini .Così nei diritti fondamentali della nostra Costituzione nata dalla RESISTENZA .
Vi giunga il mio saluto , Compagni dell'associazione Nazionale Partigiani d'Italia e Resistenza sempre.
Vostro Mario Rigoni Stern , Mira ( Venezia )
20 gennaio 2007 ( lettera inviata all'Anpi di Treviso
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"Il fatto che un'opinione sia ampiamente condivisa, non è affatto una prova che non sia completamente assurda. Anzi, considerata la stupidità della maggioranza degli uomini, è più probabile che una convinzione diffusa sia balorda che sensata."
Da "Marriage and Morals", Bertrand Russell, 1929
"È nota la definizione della democrazia come sistema pieno di difetti ma di cui non si è ancora trovato nulla di meglio. Da questa ragionevole assunzione discende, per la maggior parte della gente, la convinzione errata che la democrazia (il migliore o il meno peggio dei sistemi di governo) sia quello per cui la maggioranza ha sempre ragione. Nulla di più falso. La democrazia è il sistema per cui, visto che è difficile definire in termini qualitativi chi abbia più ragione degli altri, si ricorre a un sistema bassamente quantitativo, ma oggettivamente controllabile: in democrazia governa chi prende più consensi. E se qualcuno ritiene che la maggioranza abbia torto, peggio per lui: se ha accettato i principi democratici deve accettare che governi una maggioranza che si sbaglia.
Una delle funzioni delle opposizioni è quella di dimostrare alla maggioranza che si era sbagliata. E se non ce la fa? Allora abbiamo, oltre a una cattiva maggioranza, anche una cattiva opposizione. Quante volte la maggioranza può sbagliarsi? Per millenni la maggioranza degli uomini ha creduto che il sole girasse intorno alla terra (e, considerando le vaste aree poco alfabetizzate del mondo, e il fatto che sondaggi fatti nei paesi più avanzati hanno dimostrato che moltissimi occidentali ancora credono che il sole giri) ecco un bel caso in cui la maggioranza non solo si è sbagliata ma si sbaglia ancora. Le maggioranze si sono sbagliate a ritenere Beethoven inascoltabile o Picasso inguardabile, la maggioranza a Gerusalemme si è sbagliata a preferire Barabba a Gesù, la maggioranza degli americani sbaglia a credere che due uova con pancetta tutte le mattine e una bella bistecca a pasto siano garanzie di buona salute, la maggioranza si sbagliava a preferire gli orsi a Terenzio e (forse) si sbaglia ancora a preferire "La pupa e il secchione" a Sofocle. Per secoli la maggioranza della gente ha ritenuto che esistessero le streghe e che fosse giusto bruciarle, nel Seicento la maggioranza dei milanesi credeva che la peste fosse provocata dagli untori, l'enorme maggioranza degli occidentali, compreso Voltaire, riteneva legittima e naturale la schiavitù, la maggioranza degli europei credeva che fosse nobile e sacrosanto colonizzare l'Africa.
In politica Hitler non è andato al potere per un colpo di Stato ma è stato eletto dalla maggioranza, Mussolini ha instaurato la dittatura dopo l'assassinio di Matteotti ma prima godeva di una maggioranza parlamentare, anche se disprezzava quell'aula «sorda e grigia». Sarebbe ingiusto giocare di paradossi e dire dunque che la maggioranza è quella che sbaglia sempre, ma è certo che non sempre ha ragione. In politica l'appello alla volontà popolare ha soltanto valore legale ("Ho diritto a governare perché ho ricevuto più voti") ma non permette che da questo dato quantitativo si traggano conseguenze teoriche ed etiche ("Ho la maggioranza dei consensi e dunque sono il migliore").
In certe aree della Sicilia e della Campania i mafiosi e i camorristi hanno la maggioranza dei consensi ma sarebbe difficile concluderne che siano pertanto i migliori rappresentati di quelle nobilissime popolazioni. [...]"
Da una "Bustina di Minerva" di Umberto Eco del 27 Maggio, 2010
"Alta sui naufragi, dai belvedere delle torri
China e distante sugli elementi del disastro
Dalle cose che accadono al di sopra delle parole
Celebrative del nulla, lungo un facile vento
Di sazietà, di impunità
Sullo scandalo metallico di armi in uso e in disuso
A guidare la colonna di dolore e di fumo
Che lascia le infinite battaglie al calar della sera
La maggioranza sta, la maggioranza sta
Recitando un rosario di ambizioni meschine
Di millenarie paure, di inesauribili astuzie"
Da "Smisurata preghiera”, brano di Fabrizio De André tratto da "Anime Salve", 1996
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"Bruna cara,
sono precisamente le sette secondo l’ora italiana, ma a San Paolo devono essere le sei e trenta appena. Devi dormire ancora, e Ti ha disturbato il sonno il mio pensare a Te così mattutino? Se il mio pensare a Te dovesse disturbarTi, non avresti un minuto di pace.
Sento sempre la Tua voce, quella Tua di quella mattina al telefono, mentre stavo per partire. E cerco con gli occhi il Tuo viso, e a volte non riescono a rivederlo com’è, e allora mi stringo con le due mani il viso, e l’accarezzo, e nel mio viso mi rinasce il Tuo nelle mie mani, la più cara cosa, la sola che amo su tutte, l’anima della mia anima, sei l’anima della mia anima, l’ultima forza che mi resta, l’ultima mia poesia, la vera, l’unica vera.
Sono qui al mio scrittoio, in una cabina grande come una piazza. Era per due persone, ma pensano che sono un personaggio tale da meritare d’occupare da solo due letti. Tutto invece, credo, per ricordarmi piuttosto che alla mia età ho il dovere d’essere solo, e anche per rinfacciarmi, forse, con la necessaria ironia, questo mio assurdo atto di scriverTi.
Come hai fatto a entrare così a fondo nella mia vita? Sei d’una sicurezza in quello che fai incredibile, e sei venuta con quella poesia. A dirti la verità, quando sei andata via e l’ho letta, m’è parsa inutile. C’era un’enfasi, c’era un metro in disuso, non so cosa c’era che mi urtava. L’ho ripresa poi a leggere, e vi ho scoperto una grazia, un’onestà, il modo raro d’indovinare il peso, la qualità, la novità, qui e là dei vocaboli, e mi ha toccato, d’improvviso mi ha toccato il sentimento, il dono vero che offre solo la buona poesia, quel dono che illuminava l’ingenuità di quelle strofe un po’ antiquate, che illumina tutto quello che fai. […]
Non sono che un piccolo poeta di questo secolo, nel quale anche i maggiori non possono essere che piccoli poeti; ma anche oggi, nel trambusto, nell’inferno d’oggi, – anche oggi la poesia ha bisogno di essere una persona che si scopre tra la gente – che infonde tanta carità, tanta fede, tanta speranza […]
Io sono ormai troppo vecchio, oltre misura vecchio, quasi un antenato, e non occorre che io sia ancora felice, e non mi pare che sia successo un giorno ch’io fossi felice. Ma l’augurio che Tu abbia lunghi anni felici si avvererà. Nessuno ha mai desiderato con più violenza, con più disperazione che sia felice una persona, e non è mai accaduto, se il desiderio era fortissimo, che non fosse esaudito."
- Giuseppe Ungaretti a Bruna Bianco, 15 settembre 1966
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Il bosco è un corpo vivente. È un magnete che ha la forza d’attrazione più intensa nel cuore e più lasca alla periferia. Il bosco è una città con i tesori concentrati in certi punti: sono gli organi, i polmoni, il cervello, il fegato, e intorno sta la pelle e la sfera dell’esistenza, dove le gambe si agitano, le braccia si alzano e indicano. Il bosco è un oceano in continuo movimento, che arretra in certi punti e si allunga in altri. Il bosco è una lingua che nasce e muore continuamente, che subisce intrusioni e colonizzazioni, che smarrisce vocaboliradice precipitati in disuso, come se fossero stati inghiottiti nel fondo d’una grotta che si richiude immediatamente. Il bosco è una nuvola che scarica energia appena entra in contatto con altre nuvole, che si modifica a seconda delle depressioni in cui fluisce. E quando ti giri e ritorni sui tuoi passi, orma dopo orma, diretto alla parola “casa”, perdendo l’ombra del patriarca, lasciandoti alle spalle i confini stessi del bosco, richiudendo il paesaggio fuori dall’abitacolo della macchina e tornando a essere ostaggio dei pensieri, delle preoccupazioni, dei doveri e dei diritti che rivendichi, ti rendi conto che la vita tutta è una continua oscillazione: aggredito come sei, come sei stato e come sarai fra il polo nord del radicamento e il polo sud dello sradicamento. Le stelle ti chiamano.
Tiziano Fratus, Ogni albero è un poeta. Storia di un uomo che cammina nel bosco.
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E‘ necessario, a un certo punto delle relazioni, avere il coraggio di andare via.
Senza spiegazioni o amarezze, in punta di piedi sparire con rispetto.
Le persone sono stagioni nella nostra vita, e come frutti cambiano nell’albero della nostra anima che ha bisogno di essere continuamente rinnovata e capita. È inutile e frustrante restare, guardare e non vedere più il coinvolgimento dell’altro ( amore, amicizia, rapporti di lavoro ).
È inutile capire continuamente che una sintonia è terminata e non fare nulla.
Inutile anche subire l’umiliazione di sentirsi non graditi o superflui.
E’ come avere nell’armadio degli abiti in disuso che portano via spazio e si coprono di polvere o tarme.
Occorre chiudere situazioni dove non si ha più la sensazione di contare qualcosa, inutile imporci presenze che non fanno del bene e non arricchiscono più il nostro cuore.
Tatiana Andena 2019
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Fabrizio De André - Khorakhanè (Live)
youtube
Khorakhanè
(a forza di essere vento)
Il cuore rallenta la testa cammina
in quel pozzo di piscio e cemento
a quel campo strappato dal vento
a forza di essere vento
porto il nome di tutti i battesimi
ogni nome il sigillo di un lasciapassare
per un guado una terra una nuvola un canto
un diamante nascosto nel pane
per un solo dolcissimo umore del sangue
per la stessa ragione del viaggio viaggiare
Il cuore rallenta e la testa cammina
in un buio di giostre in disuso
qualche rom si è fermato italiano
come un rame a imbrunire su un muro
saper leggere il libro del mondo
con parole cangianti e nessuna scrittura
nei sentieri costretti in un palmo di mano
i segreti che fanno paura
finché un uomo ti incontra e non si riconosce
e ogni terra si accende e si arrende la pace
i figli cadevano dal calendario
Yugoslavia Polonia Ungheria
i soldati prendevano tutti
e tutti buttavano via
e poi Mirka a San Giorgio di maggio
tra le fiamme dei fiori a ridere a bere
e un sollievo di lacrime a invadere gli occhi
e dagli occhi cadere
ora alzatevi spose bambine
che è venuto il tempo di andare
con le vene celesti dei polsi
anche oggi si va a caritare
e se questo vuol dire rubare
questo filo di pane tra miseria e sfortuna
allo specchio di questa kampina
ai miei occhi limpidi come un addio
lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
il punto di vista di Dio
Cvava sero po tute
i kerava
jek sano ot mori
i taha jek jak kon kasta
Poserò la testa sulla tua spalla
e farò
un sogno di mare
e domani un fuoco di legna
vasu ti baro nebo
avi ker
kon ovla so mutavia
kon ovla
(Trad. da lingua rom)
perché l'aria azzurra
diventi casa
chi sarà a raccontare
chi sarà
ovla kon ascovi
me gava palan ladi
me gava
palan bura ot croiuti
sarà chi rimane
io seguirò questo migrare
seguirò
questa corrente di ali...
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Ma deve per forza essere trasgressivo l'omosessuale, vestirsi come un Frank-N-Furter pazzo e limonare passanti a caso menando il culo? Questa ossessiva rappresentazione del prototipo "kink-fetish-bdsm" non rende giustizia al gay che beatamente mena la sua vita alla luce del sole senza troppe scene. Quanto è scema e borghesuccia questa idea dell'omosessualità come luogo della depravazione, chissà cosa si immaginano gli etero, che gli omosex prima di fare sesso s'infilano il giubbotto con le borchie e si pizzicano i capezzoli con le mollette, Freddy Mercury look alike. Si credono di fare un dispetto all'autorità, ribaltare i valori della famiglia tradizionale, ma quale famiglia tradizionale che è dagli anni settanta che è caduta in disuso? La famiglia tradizionale sopravvive solo nei sogni erotici di Mario Adinolfi o di chi ha i soldi per comprare la cucina. Una guerra di tutti contro nessuno, la guerra è finita da un pezzo e loro continuano a menarsi a colpi di calzini riempiti a merda.
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“Ciana” e “indovinala grillo!” Parole in disuso e modi di dire
Copertina Le ragazze di San Frediano nella prima edizione Vallecchi Le ragazze di San Frediano, di Vasco Pratolini, fu pubblicato per la prima volta nel 1949, in rivista; è ambientato a Firenze e precisamente, come recita il titolo, in San Frediano: i protagonisti, da buoni fiorentini, parlano all’uso di Toscana, vi troviamo quindi modi di dire, termini del toscano di ieri ancora riconosciuti…
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#“Ciana” e Indovinala grillo#Le ragazze di Sanfrediano#Parole in disuso e modi di dire#Vasco Pratolini
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Credo nei prossimi cinque minuti. Credo nella storia dei miei piedi. Credo nell’emicrania, nella noia dei pomeriggi, nella paura dei calendari, nella perfidia degli orologi. Credo nell’ansia, nella psicosi, nella disperazione. Credo nelle perversioni, nelle infatuazioni per alberi, principesse, primi ministri, stazioni di rifornimento in disuso (più belle del Taj Mahal), nuvole e uccelli. Credo nella morte delle emozioni e nel trionfo dell’immaginazione. Credo in Tokyo, Benidorm, La Grande Motte, Wake Island, Eniwetok, Dealey Plaza. Credo nell’alcolismo, nelle malattie veneree, nella febbre e nell’esaurimento. Credo nel dolore. Credo nella disperazione. Credo in tutti i bambini. Credo nelle mappe, nei diagrammi, nei codici, negli scacchi, nei puzzle, negli orari aerei, nelle segnalazioni d’aeroporto. Credo a tutti i pretesti. Credo a tutte le ragioni. Credo a tutte le allucinazioni. Credo a tutta la rabbia. Credo a tutte le mitologie, ricordi, bugie, fantasie, evasioni. Credo nel mistero e nella malinconia di una mano, nella gentilezza degli alberi, nella saggezza della luce.
James G. Ballard, da “Ciò in cui credo”
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[...] quando il legale di tuo padre, nel desiderio di cogliermi in contraddizione, presentò improvvisamente in tribunale una delle lettere che t’avevo scritto nel marzo 1893 e in cui ti dichiaravo che piuttosto di sopportare la ripetizione delle orrende scenate che parevano arrecarti un piacere tanto tremendo, avrei volentieri acconsentito a «subire il ricatto d’un qualsiasi marchettaro londinese», provai un sincero dolore che quel lato della nostra relazione venisse rivelato agli occhi avidi del pubblico; però che tu fossi tanto tardo di comprendonio, e in modo tale sprovvisto di sensibilità, in modo tale ottuso e cieco davanti a quanto è raro, delicato e bello, da arrivare a proporre la pubblicazione delle lettere in cui e con cui cercavo di mantener vivo il vero spirito e la vera anima dell’Amore, per conservare l’amore in me durante i lunghi anni dell’umiliazione del mio corpo, questo, proprio questo, fu, e costituisce ancora, l’origine della mia più profonda amarezza e della mia più dolorosa delusione. E temo di sapere, anche troppo bene, perché tu lo volessi fare. Se l’Odio t’accecava le pupille, la Vanità ti cuciva le palpebre col fil di ferro. La «facoltà per cui e per cui soltanto possiamo capire gli altri nelle loro relazioni vere e ideali», era stata ottusa dal tuo gretto egoismo, il lungo disuso l’aveva poi resa inservibile. L’immaginazione era prigioniera come lo ero io. La Vanità aveva sbarrato le finestre, e Odio era il nome del carcere.
#pag69#De profundis#oscar wilde#oscar wilde citazioni#citazoni#citazione#frasi#lettera#lettere#De profundis citazioni#De profundis citazione#letteratura#citazoni libri#citazione libro#libri letti#libri#citazioni libri#citazioni#wilde#oscar wilde quotes
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... è probabile...
... che la soddisfazione ricavata dall'estasiatica risposta al fragoroso applauso di una folla inneggiante a valori che sente propri ma in disuso con i tempi moderni, possa arrecare una sorta di eccitazione orgasmica, che vede il culmine del piacere mentale di taluna affinità, in un unione di ideali tanto scomodi seppur legittimi, per i comportamenti politici del momento. LA POLITICA PIÙ CHE MAI È QUESTIONE DI MODE DEL MOMENTO...
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IAN KERSHAW
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Oggi ho riesumato Facebook, in disuso dal 2018, solo per potermi iscrivere al gruppo del quartiere ("Sei di.... se") e postare un AAA signora delle pulizie cercasi.
Come se non bastasse, parlando con un 25enne la metà delle cose che diceva non le capivo e dovevo googlarle con vergogna: no cap, no drake.... ...... ......
Non so come definire il tutto se non con "inizio dell'inesorabile declino verso l'età dei boomer"
#la buona notizia è che odio cucinare e sono una canara#non c'è pericolo che tra qualche anno io possa iniziare a spammare crostate e gattini nei gruppi whatsapp
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