#disuguaglianza economica
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Buddismo e Capitalismo: Possibilità di coesistenza?
Il buddismo e il capitalismo mostrano differenze fondamentali, rendendo difficile una coesistenza ideologica. Tuttavia, individualmente, i principi buddisti possono influenzare anche i capitalisti, sebbene manchi un vero cambiamento sistemico.
Non vi siete mai chiesti se il buddismo e il capitalismo possano coesistere? Non intendo solo metterla su un piano di sistema generale, ma proprio a livello individuale.In questi giorni mi sono posto questa domanda e quindi ho cercato di trovare una risposta.Proverò a condividerla con voi, passando dall’arrivo del buddismo in Occidente, alle diverse differenze e a qualche esempio di “super ricco…
#accumulo di ricchezza#attaccamento#benessere#Buddismo#cambiamento#capitalismo#capitalismo consapevole#capitalismo globale#compassione#competizione#consapevolezza#consumo responsabile#desiderio#disuguaglianza economica#Dukkha#economia del bene#economia etica#economia sostenibile#equità fiscale#filosofia orientale#impatto sociale#meditazione#mindfulness#ricchezza#rifiuto del consumismo#risveglio spirituale#sistema economico#sistemi ideologici#sofferenza#spiritualità e denaro
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Giornata Mondiale dell'Alimentazione: Un Impegno Globale per un Futuro Sostenibile. Recensione di Alessandria today
Come la Giornata Mondiale dell'Alimentazione sensibilizza su fame, malnutrizione e agricoltura sostenibile.
Come la Giornata Mondiale dell’Alimentazione sensibilizza su fame, malnutrizione e agricoltura sostenibile. Ogni anno, il 16 ottobre, si celebra la Giornata Mondiale dell’Alimentazione, istituita dalla FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) nel 1979. Questa ricorrenza ha lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sulla necessità di garantire il…
#agricoltura di precisione#Agricoltura Sostenibile#agroecologia#alimentazione globale#alimentazione sostenibile#Cambiamenti climatici#Cibo#cibo equo#crisi alimentare#Crisi Climatica#diete sostenibili#disuguaglianza economica#Fame nel mondo#FAO#filiera alimentare#filiere agricole locali#Giornata Mondiale dell&039;Alimentazione#hunger#hunger relief#innovazioni agricole#malnutrizione#ONU#piccoli agricoltori#Produzione alimentare#riduzione degli sprechi#risorse naturali#Sicurezza alimentare#Sprechi alimentari#tecniche agricole
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Riflettiamo sul Divario Globale della Ricchezza: Una Chiamata all'Azione
📈Introduzione Nel corso degli ultimi anni, abbiamo assistito a un fenomeno inquietante nel panorama economico globale: una crescente concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi, a fronte di una vasta popolazione che lotta quotidianamente per le necessità più elementari 💰 Il Paradossale Accumulo di Ricchezza Dal 2020, i cinque uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato le loro…
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#disuguaglianza economica#economia globale#etica aziendale#giustizia sociale#inclusione sociale#politiche economiche#ricchezza globale#sostenibilità#sviluppo sostenibile
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KILL BILL
L'assassino, il delinquente per eccellenza, il criminale del secolo, colui che è stato ed è tuttora la punta di diamante di tutti gli sporchi affari degli States e che spesso si immischia anche con gli sporchi affari del governo di Pechino.
Dietro al siero killer c'è Kill Bill; dietro al cibo sintetico c'è Kill Bill; dietro alla geoingegneria e alle scie di “condensa” c'è Kill Bill; dietro alle campagne dell'OMS c'è Kill Bill; dietro al delirio tecnoambientalista c'è Kill Bill; dietro all'espansione della gabbia digitale all'inizio c'era Kill Bill, anche se adesso ha ceduto il posto; lo Zio dai virus informatici è passato a quelli genetici.
Lo chiamano filantropo, ma a noi più che altro sembra un vero delinquente, un gangster, uno sciacallo; come del resto aveva documentato Linsday Mc Gohan nel saggio «Altro Che Filantropi», Bill Gates e tutti quelli come lui grazie a dei meccanismi che la burocrazia americana consente, grazie alle donazioni fatte in poche parole a se stesso (le sue fondazioni), Gates ha potuto per anni evadere tasse e nel contempo con quei soldi risparmiati da suddette tasse, ha eroso il pubblico, per poi finanziare i propri interessi a spese del pubblico con progetti logoranti e fallimentari, progetti spremi-welfare, ungendo ruote a più livelli ed entrando prepotentemente nell'alveo degli uomini più importanti degli States e del mondo intero.
Grazie alle sue attività lobbistiche ed imprenditoriali, grazie alle speculazioni e grazie alle sue amicizie all'interno di certi circoli è diventato uno degli uomini più influenti del pianeta.
I signori della beneficienza un tanto al chilo vengono sottoposti all'esame ai raggi x dall'autrice e accademica Linsey McGoey che mette sotto il microscopio questa nuova età dell'oro della filantropia, prestando particolare attenzione alla Bill & Melinda Gates Foundation.
Mentre le grandi organizzazioni di beneficenza sostituiscono i governi come fornitori di assistenza sociale e servizi primari alle persone, la loro generosità è tanto sospetta quanto ovviamente utilitaristica.
Le multinazionali manipolano speculativamente il denaro generando proprio l'instabilità economica e la disuguaglianza sociale che paradossalmente le fondazioni caritatevoli dovrebbero poi risolvere, rendendosi quindi presentabili all’opinione pubblica per i propri profitti.
Stiamo entrando in un'era surreale in cui gli ideali di uguaglianza e giustizia sociale dipenderanno dalla ipocrita generosità degli oligarchi della forma capitale?
Certo che si, ci siamo dentro fino al collo e lo Zio Kill Bill adesso specula attivamente sulla nostra pelle con il bene placito dei nostri governati che a tal signori delle multinazionali ci hanno bellamente consegnato da almeno quattro anni, o forse da molto prima e semplicemente non ce ne eravamo accorti.
Francesco Centineo
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Non c’è un’accezione amabile della patria, e se c’è è forse proprio quella che dovremmo temere di più. La terra dei padri, questo significa patria, è un concetto letterario le cui ambiguità è utile tenere ancora presenti, se non altro perché dimenticarle ci ha dato lezioni amare per tutto il ’900. La prima ambiguità è nelle parole stesse: la patria non è una terra, ma una percezione di appartenenza, un concetto astratto, tutto culturale, che si impara dentro alle relazioni sociali in cui si nasce e dentro alle quali, riconosciuti, ci si riconosce. In un mondo dove i rapporti di confine tra le terre sono cambiati mille volte e le culture si sono altrettanto intrecciate, dire “la mia patria” riferendosi a una terra significa creare di sé un falso logico, oltreché geologico.
La seconda ambiguità è in quel plurale monogenitoriale, quel categorico “padri” che solleva simbolicamente dalle loro tombe un’infinita schiera di vecchi maschi dal cipiglio accusatorio rivolto alla generazione presente. Le madri nella parola patria non ci sono, benché per definizione siano sempre certe, né generano appartenenza, nonostante ce ne sia una sola per ognuno di noi. Non possono esserci perché nell’idea del patriottismo è innestata la convinzione profonda che la donna sia natura e l’uomo cultura, cioè che la madre generi perché è il suo destino e l’uomo riconosca la sua generazione per volontà e autorità, riordinando col suo nome il caso biologico di cui la donna è portatrice.
È in quanto estensione del maschile genitoriale che la patria è divenuta fonte del diritto di identità, perché è il riconoscimento di paternità che per secoli ci ha resi figli legittimi, né è un caso che le rivoluzioni culturali post psicanalisi si definissero anche come “uccisioni dei padri”. Gli apolidi dentro questa cornice si portano inevitabilmente addosso l’aura del figlio bastardo, gli espatriati per volontà sono sempre traditori della patria e gli emigrati economici hanno il dovere morale di coltivare e manifestare a chi è rimasto a casa un desiderio di ritorno, pena il passare per rinnegati.
E se per una volta - solo una, giusto per vedere l’effetto che fa - provassimo a uscire dalla linea di significati creata dal concetto di patria? Averlo caro del resto non ha alcuna attualità; appartiene a un mondo dove il diritto di sopraffazione e la disuguaglianza sociale ed economica erano voci non solo agenti, ma indiscutibilmente cogenti: per metterle in crisi ci sono volute rivoluzioni di pensiero prima ancora che di piazza, e quelle rivoluzioni ci hanno lasciato in eredità il dovere di fare un atto creativo nei confronti di tutte le categorie che non bastano più a raccontare la complessità in cui siamo. E se proprio non è possibile uscire dalla percezione genitoriale dell’appartenenza collettiva - padre, ma anche l’ossimoro madre patria - potrebbe essere interessante cominciare a parlare di Matria.
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Eguali o diseguali?
Il tema della disuguaglianza, economica e sociale, è ancora centrale nei nostri giorni e nel dibattito odierno, come ci ricordano report a cadenza quasi mensile dove si mostra come sia sempre più amplia la forbice tra la classe più ricca e quella più povera e l’affannosa ricerca di modelli che permettano di invertire o almeno ridurre questo andamento. Con questo articolo vorrei invitare a…
#disuguaglianza#filosofia#filosofia politica#niccolò fratini#origini della disuguaglianza#Rousseau#sinistra
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Lo spettatore.
Ovunque girassi lo sguardo la mia mente percepiva il male e la sofferenza di chi era stato sfortunato per colpa di situazioni politiche o per scelte sbagliate che ne avevano impoverito la vita. Questo a mio parere era l’inferno sulla terra; le interazione tra le persone una la lunga catena che li inchiodava alla croce del razzismo e alla riluttanza dell'osservare delicate realtà lontane. Tenendo gli occhi aperti si percepiva come il limite sottile della disuguaglianza era data dalla propria ricchezza economica, dal credo antico impiantato nella mente come un cip i cui calcoli ostacolavano la parità tra le persone. Tanti venivano imbambolati dall'oscillio dei media, un pendolo che ne confondeva opinione e giudizio, alcuni erano completamente assorbiti dalla rivoluzione televisiva e quello schermo risucchiava la loro immaginazione ed i loro pensieri. Ma il distacco maggiore era dato dal ceto. Definendo questa concezione come un qualcosa di religioso: il denaro era diventato l’unico Dio che l’uomo riconoscesse, le banche il nuovo Papa, e le matrici la nuova Bibbia. Il consumo di articoli di bene sovrastava l'applicazione di un giudizio a ciò che stava accadendo nel mondo, ai legami velenosi tra paesi un tempo ostili che marciavano armati alla conquista di piccole potenze. Il mondo stava andando lentamente nel caos ma il vizio continuava a rendere cieche le persone davanti all'evidenza.
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Clima e guerre aumentano la povertà globale
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Così il mondo perde la lotta contro la povertà e il climate change aumenta i rischi. Metà della popolazione vive con meno di 6,85 dollari al giorno e 700 milioni di persone hanno meno di 2,15 dollari. Un rapporto della Banca Mondiale rivela che l’eliminazione dell’indigenza estrema entro il 2030 è fuori portata. Il climate change aumenta i rischi - Quasi metà della popolazione mondiale (44%) vive con meno di 6,85 dollari al giorno: per sottrarla alla condizione di povertà, potrebbe volerci oltre un secolo. Quasi 700 milioni di persone (8,5%) vivono addirittura con meno di 2,15 dollari, in condizioni di estrema indigenza. Secondo un nuovo rapporto della Banca Mondiale, potrebbero volerci almeno tre decenni per sradicarla, sulla base delle attuali politiche in campo. L’obiettivo di sconfiggerla entro il 2030 è ormai «fuori portata». I poveri restano poveri «Si è perso un decennio», afferma il report «Povertà, prosperità e pianeta», pubblicato il 15 ottobre, la prima valutazione dei progressi globali verso l’eliminazione della povertà dopo la pandemia di Covid-19, che ha fatto aumentare il numero di persone in condizioni di indigenza. Una ferita che non si rimargina.
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La povertà estrema (meno di 2,15 dollari al giorno) rimane concentrata nei Paesi con crescita economica storicamente bassa e zavorrati da alto debito, che costringe a dirottare sui rimborsi dei prestiti una parte significativa delle risorse pubbliche, sacrificando istruzione, sanità, sviluppo. Molti di questi Paesi si trovano nell’Africa subsahariana. «Dopo decenni di progressi, la lotta contro la povertà globale sta subendo gravi battute d’arresto, a causa dell’intersecarsi di sfide che includono la lenta crescita economica, la pandemia, l’elevato debito, i conflitti e gli shock climatici», ha dichiarato Axel van Trotsenburg, direttore generale senior della Banca Mondiale. Secondo il report, i redditi di tutto il mondo dovrebbero in media quintuplicarsi per raggiungere uno standard di benessere di 25 dollari a persona al giorno, che in molti luoghi rimane una mera aspirazione. Anche se il numero di Paesi con elevate disuguaglianze di reddito è diminuito nell’ultimo decennio, ben 1,7 miliardi di persone (una su cinque nel mondo) vivono in queste condizioni, soprattutto in America Latina e nell’Africa subsahariana. L’elevata disuguaglianza riflette una mancanza di mobilità socioeconomica, che ostacola le prospettive di crescita inclusiva e di riduzione della povertà. Un altro report della Banca Mondiale mostra che i 26 Paesi più poveri del mondo (reddito medio pro-capite inferiore a 1.145 dollari), che ospitano il 40% delle persone indigenti, hanno l’indebitamento più alto dal 2006, pari al 72% del Pil. Rischio climatico Gli eventi climatici estremi minacciano di gettare nella povertà un numero elevato di persone. Quasi un individuo su cinque, a livello globale, rischia di subire nel corso della propria vita un grave shock meteorologico, da cui faticherà a riprendersi economicamente. L’Africa subsahariana ha la quota maggiore di popolazione esposta. Per ridurre la povertà è quindi necessaria una crescita economica sostenibile, a più basso impatto di gas serra. La maggior crescita necessaria per ridurre la povertà estrema non avrebbe effetti globali elevati in termini di maggiori emissioni, poiché i Paesi più poveri contribuiscono in misura molto ridotta. Al contrario, ridurre la povertà per i Paesi a reddito medio-alto potrebbe portare a un aumento significativo dei gas serra, se la crescita richiesta non fosse sostenibile dal punto di vista climatico. Ricette su misura Per la Banca mondiale, i Paesi a basso reddito dovrebbero dare la priorità agli investimenti nella creazione di posti di lavoro, nel capitale umano, nell’accesso ai servizi e nelle infrastrutture, migliorando al contempo la resilienza delle economie. I Paesi a medio reddito dovrebbero invece mettere al centro l’aumento dei redditi, per ridurre la vulnerabilità agli shock, insieme a politiche per ridurre l’intensità di CO2 della crescita economica. Nei Paesi ad alto e medio reddito, dove le emissioni di gas serra sono elevate, l’attenzione dovrebbe concentrarsi sulla loro riduzione, accompagnata da misure a sostegno delle persone che possono perdere il lavoro per effetto della transizione o possono subire perdite economiche, in particolare le fasce povere o vulnerabili. Read the full article
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Vola il dividendo ma crolla il potere d’acquisto dei lavoratori
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Negli ultimi 3 anni gli utili distribuiti agli azionisti dalle aziende quotate italiane a maggiore capitalizzazione sono aumentati, mentre le buste paga dei dipendenti del settore privato, tenendo conto dell’inflazione, si sono alleggerite. Guardando al resto del mondo, negli stessi anni a cavallo della pandemia in 31 Paesi i dividendi, aggiustati per l’inflazione, sono saliti del 45% (+195 miliardi di dollari), mentre i salari reali sono cresciuti in media solo di poco più del 3%. E, se si esclude la Cina, in media le retribuzioni hanno lasciato sul terreno il 3% del loro valore reale. “Ciò fa sì che milioni di lavoratori non riescano ad uscire dal circolo vizioso della povertà e ad assicurare un livello di esistenza dignitosa per sé e per le proprie famiglie”, commenta Misha Maslennikov, policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia. “Una palese ingiustizia, sintomatica di un sistema economico che ricompensa più la ricchezza che il lavoro”. Ampliando l’orizzonte temporale, in Italia i salari nominali tra il 1991 e il 2022 sono saliti del 107,5% ma in termini reali sono rimasti pressoché invariati, mostrando una crescita di appena l’1%. Un arretramento che nel 2022 ha collocato l’Italia in 22esima posizione tra i Paesi Ocse per il livello dei salari medi annuali reali: 13 posizioni in meno rispetto al 1992. “La moderazione salariale è un problema macroscopico del mercato del lavoro italiano”, commenta Maslennikov. “Altri problemi strutturali riguardano i ritardi occupazionali rispetto ad altre economie avanzate, la bassa qualità lavorativa di giovani e donne, il diffuso ricorso a forme di lavoro atipico che determina marcate disuguaglianze retributive e amplia le fila dei working poor. Purtroppo il governo non sembra intenzionato ad affrontare i tanti nodi irrisolti. Con il suo mantra del ‘più assumi, meno paghi’ non attribuisce alle politiche industriali il ruolo prioritario per lo sviluppo della buona occupazione, ma lo lascia alle convenienze economiche e fiscali delle imprese. La scelta di liberalizzare ulteriormente i contratti a termine e il lavoro occasionale rischia inoltre di rafforzare le trappole della precarietà. L’accesa opposizione al salario minimo legale denota poi un disinteresse a tutelare i lavoratori meno protetti”. La ricerca arriva anche alla conclusione che l’1% più ricco della popolazione globale, che possiede il 43% degli asset finanziari, si è messo in tasca nel 2023 una cifra media di 9mila dollari, pari a 8 mesi di stipendio di un lavoratore medio (dati Organizzazione internazionale del lavoro). La forte concentrazione dei redditi da capitale in molti Paesi comporta tra l’altro che la crescita dei dividendi allarghi la disuguaglianza interna dei redditi. I dati, secondo Oxfam, confermano l’allarme lanciato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro sulla diffusione crescente della povertà lavorativa su scala globale: quasi 1 lavoratore su 5 percepisce un salario inferiore alla soglia di povertà di 3,65 dollari al giorno (a parità di potere d’acquisto) e i salari del 66% dei lavoratori nei Paesi a basso reddito non superano tale soglia. I dati sugli utili distribuiti sono tratti dal Janus Henderson Global Dividend Index, che monitora i dividendi versati agli azionisti dalle 1.200 società più grandi al mondo per capitalizzazione di mercato (pari al 90% del monte dividendi globale). Read the full article
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Invertire la rotta. Disuguaglianza e crescita economica
Per molti anni ci hanno fatto credere che la disuguaglianza è necessaria per la crescita economica. È vero il contrario: per crescere tutti e in modo sano è necessaria una maggiore uguaglianza nella distribuzione del reddito. ‘Invertiamo la rotta’ è il monito del premio Nobel per l’economia. «Non è difficile individuare le politiche economiche necessarie per invertire la rotta. Abbiamo bisogno di…
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In edicola e in libreria dal 21 novembre con Il Sole 24 Ore il libro: Per una nuova economia di Elena Beccalli. Costruire paradigmi basati su persona, etica, fiducia e cooperazione
La premessa della ricerca e delle riflessioni che l’autrice Elena Beccalli porta avanti da anni sulle pagine del Sole 24 Ore è che l’economia neoclassica si è tradizionalmente basata sull’utilitarismo individuale, ritenendo che sia neutrale sotto il profi
Elena Beccalli Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Prefazione di Sua Eminenza Cardinal Pietro Parolin Segretario di Stato La premessa della ricerca e delle riflessioni che l’autrice Elena Beccalli porta avanti da anni sulle pagine del Sole 24 Ore è che l’economia neoclassica si è tradizionalmente basata sull’utilitarismo individuale, ritenendo che sia neutrale sotto il…
#Alessandria today#benessere comune#Cardinal Pietro Parolin#Cooperazione#crisi finanziaria#Disuguaglianza#Economia#economia e società#economia globale#economia integrale#economia neoclassica#economia relazionale.#economia umana#Elena Beccalli#etica#Fiducia#finanza etica#Google News#governance bancaria#Il Sole 24 Ore#Inclusione sociale#Innovazione#innovazione economica#Intelligenza artificiale#italianewsmedia.com#Libro#modelli economici#nuova economia#Papa Francesco#paradigma economico
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He – Yin Zhen, pioniera del femminismo cinese
Gli uomini e le donne sono uguali: entrambi sono esseri umani, tuttavia non godono di parità. Questo è scorretto e va contro la giustizia naturale. La lotta delle donne è finalizzata a porre fine a questo sopruso.
He – Yin Zhen, anarchica e scrittrice, si può considerare la madre del femminismo cinese.
Ha rappresentato una voce fuori dal coro per le sue posizioni radicali e critiche contro il nazionalismo e la società in cui viveva.
I suoi scritti, agli inizi del Novecento, hanno anticipato l’approccio intersezionale del femminismo contemporaneo, mettendo in relazione il genere con classe, razza, sistema politico e economico. Tutti dispositivi di oppressione, generatori di gerarchie e disuguaglianze che si alimentano a vicenda.
Con una scrittura diretta e provocatoria, partiva dal presupposto che la liberazione delle donne fosse il tassello per la rivoluzione della società tutta. Ha visto l’oppressione delle donne come problema globale che sta alla base di tutte le altre disuguaglianze.
Liberare la donna per liberare la società, perché l’uguaglianza tra i sessi richiede lo smantellamento di tutte le strutture sistemiche di potere.
Nata nel 1884, nella provincia di Jiangsu, sulla costa orientale della Cina, col nome di He Ban, aveva ricevuto una buona educazione di base, nonostante fosse una donna.
Dopo aver sposato Liu Shipei, intellettuale e rivoluzionario, nel 1903, si era trasferita a Tokyo, entrando a far parte del movimento intellettuale anarchico cinese.
È stato in Giappone che aveva cominciato a firmare i suoi scritti col nome di He-Yin Zhen, per conservare il cognome da nubile di sua madre, aggiungendo Zhen che significa tuono.
Ha collaborato con la rivista Tianyi (Giustizia Naturale) e per Xin Shiji (Nuova Era).
Nel 1907 ha fondato l’Associazione per il Recupero dei Diritti delle Donne (Nüzi Fuquan Hui), che sosteneva la necessità dell’uso della forza per porre fine all’oppressione degli uomini sulle donne, così come la resistenza alla classe dominante e al capitalismo accompagnata dalla promozione di valori tradizionali come la perseveranza e il rispetto per la comunità.
Scrittrice e saggista, il suo pensiero si fonda sull’osservazione che la dominazione maschile sulle donne va intesa innanzi tutto come un problema legato a una distribuzione sbilanciata delle risorse.
Partendo da una questione meramente economica, ha sostenuto che i fattori sociali e culturali che hanno mantenuto la disparità tra i generi, sono cominciati con gli insegnamenti del Confucianesimo che relegavano il sesso femminile nella sfera domestica, suggerendo che uno dei passi necessari per una maggior eguaglianza fosse il superamento dell’istituzione della famiglia e della concezione per cui la crescita della prole debba essere un’attività unicamente femminile.
Nei suoi scritti, che comprendono il Manifesto delle donne, pubblicato il 10 giugno 1907 sulla rivista Tianyi, ha analizzato la disuguaglianza nel matrimonio, nello status sociale, nei doveri, nel sistema rituale, sempre a svantaggio delle donne.
He – Yin Zhen è probabilmente morta nel 1920, lasciando un importante lascito nel pensiero anarco-femminista cinese.
Il tuono dell’anarchia è la prima raccolta del suo lavoro tradotta in lingua italiana, curato e tradotto da Cristina Manzone.
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Perché il mondo non può permettersi i ricchi Costi della disuguaglianza economica e dei ricchi nel mondo Con l’intensificarsi delle crisi ambientali, sociali e umanitarie, il mondo non può più permettersi i costi della disuguaglianza economica e dei ricchi. L’1% delle persone più ricche ha catturato quasi il doppio della ricchezza globale creata rispetto al restante 99%. Nel decennio fino al 2022, i miliardari del mondo hanno più che raddoppiato la loro ricchezza. Impatto delle disuguaglianze sul benessere sociale Le grandi differenze di reddito rappresentano un potente fattore di stress sociale che porta a disfunzionalità nella società. Il divario tra ricchi e poveri è associato ad alti tassi
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La crisi economica del 2008: un decennio di conseguenze
La crisi economica del 2008, conosciuta anche come la "Grande Recessione", ha segnato un punto di svolta nella storia economica globale. Le sue scosse si sono avvertite in tutto il mondo, lasciando un'eredità di disoccupazione, debiti e disuguaglianza che ancora oggi pesa sulle economie e sulle società. Le cause della crisi economica del 2008 Le cause della crisi sono complesse e multifattoriali. Tra i fattori principali si possono identificare: - La bolla immobiliare statunitense: Negli anni 2000, le banche americane hanno erogato mutui a tassi d'interesse bassi a persone che non avrebbero potuto ripagarli. Questi mutui "subprime" sono stati poi trasformati in complessi prodotti finanziari e venduti a investitori in tutto il mondo. - La deregulation del sistema finanziario: Le leggi che avrebbero dovuto limitare i rischi assunti dalle banche sono state allentate, permettendo loro di accumulare enormi quantità di debiti. - La mancanza di trasparenza: I prodotti finanziari derivati dai mutui subprime erano opachi e complessi, rendendo difficile per gli investitori valutare il loro rischio reale. Il crollo Nel 2007, la bolla immobiliare è scoppiata. I prezzi delle case sono crollati, i mutui subprime sono andati in sofferenza e il valore dei prodotti derivati è crollato. Le banche che avevano investito in questi prodotti hanno subito perdite ingenti, alcune fallendo. Le conseguenze La crisi ha avuto un impatto devastante sull'economia globale. La crescita è crollata, i mercati azionari hanno subito un crollo e la disoccupazione è salita alle stelle. I governi di tutto il mondo sono stati costretti a intervenire con massicci salvataggi bancari e stimoli fiscali per evitare una depressione. Un decennio dopo Sono passati più di dieci anni dalla crisi, ma le sue conseguenze si fanno ancora sentire. L'economia globale è cresciuta, ma la disoccupazione rimane alta in molti paesi. Il debito pubblico è salito a livelli record in molte economie avanzate. La disuguaglianza è aumentata, alimentando tensioni sociali e politiche. Lezioni apprese La crisi del 2008 ha insegnato diverse lezioni importanti. La deregulation del sistema finanziario può portare a rischi eccessivi e a crisi devastanti. La trasparenza dei mercati finanziari è fondamentale per la stabilità economica. I governi devono essere pronti a intervenire in caso di crisi, ma è importante che i loro interventi non creino distorsioni nel mercato. La sfida del futuro La sfida del futuro è quella di costruire un sistema economico più resiliente e sostenibile. Le riforme del sistema finanziario sono necessarie per ridurre i rischi e aumentare la trasparenza. È necessario inoltre affrontare le cause profonde della disuguaglianza e della disoccupazione. La crisi del 2008 è stata un evento traumatico, ma può essere un'occasione per costruire un futuro migliore. Foto di Gerd Altmann da Pixabay Read the full article
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Le fantasie di complotto sulle scie chimiche esemplificano anche uno dei principali paradossi della cultura cospirazionista: c’è un piano segreto, segretissimo, ma i suoi artefici lasciano che sia esposto nei dettagli e denunciato in tantissimi libri pubblicati in molte lingue, innumerevoli articoli, migliaia di video visti da milioni di persone. Libri, articoli e video disponibili sulle piattaforme di proprietà degli uomini più ricchi e influenti del mondo: Sergey Brin e Larry Page, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Elon Musk.
A proposito di loro Rebecca Solnit ha scritto che i miliardari “sono una minaccia per tutti: la loro mole politica distorce la nostra vita pubblica”, perché “funzionano come poteri non eletti, una sorta di aristocrazia globale autonoma che tenta di governare su tutti. Secondo alcuni le aziende tecnologiche che hanno generato tanti miliardari moderni agiscono con metodi più simili al feudalesimo che al capitalismo, e di certo molti miliardari operano come i signori del mondo, mentre si battono per difendere la disuguaglianza economica che ha reso loro così ricchi e tanti altri così poveri. Usano il loro potere in modi arbitrari, irresponsabili e spesso devastanti per l’ambiente”.
È un vero e proprio punto cieco della fantasia di complotto. I magnati della Silicon valley esercitano sulla nostra società e sulla nostra cultura una delle più estese e arroganti influenze mai viste. Se ci sono persone di cui, con un’iperbole, possiamo dire che “controllano le menti”, sono loro. Se c’è gente che cospira – letteralmente: respira insieme, negli stessi ambienti, in luoghi inaccessibili ai comuni cittadini – è proprio quella. Eppure nessuno li indica come complici del piano delle scie chimiche né, in generale, di alcun altro complotto su scala mondiale. Come mai?
C’è una possibile spiegazione: se Amazon, Facebook, Instagram, X, YouTube e Whatsapp fossero indicati come parte della cospirazione, nella mente di chi la denuncia su quelle piattaforme si produrrebbe una dissonanza cognitiva: percepirebbe il proprio star lì come incoerente, inconciliabile con quel che dice o scrive. Con fatica cognitiva dovrebbe giustificare la contraddizione in qualche modo, oppure rimuoverla. Tutto ciò sarebbe causa di stress. Meglio rimuovere a monte, evitando di pensarci e descrivendo lo scenario più implausibile: un complotto planetario in cui i padroni dei più potenti mezzi di comunicazione del pianeta non hanno alcun ruolo.
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La prima puntata qui
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L’uguaglianza non è un valore, perché ogni uomo è diverso: esce il nuovo libro dell’economista Eamonn Butler
Arriva oggi in libreria l’ultimo saggio dell’economista britannico Eamonn Butler: Il valore della disuguaglianza. Questo testo veloce e di facile lettura affronta, come scrive Nicola Porro nella Prefazione, «uno dei buchi neri di ogni politica economica e sociale contemporanea, ossia quello che prevede, con politiche paradossalmente disuguali e asimmetriche, di combattere le disuguaglianze». E…
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