#disuguaglianza economica
Explore tagged Tumblr posts
pier-carlo-universe · 1 month ago
Text
Giornata Mondiale dell'Alimentazione: Un Impegno Globale per un Futuro Sostenibile. Recensione di Alessandria today
Come la Giornata Mondiale dell'Alimentazione sensibilizza su fame, malnutrizione e agricoltura sostenibile.
Come la Giornata Mondiale dell’Alimentazione sensibilizza su fame, malnutrizione e agricoltura sostenibile. Ogni anno, il 16 ottobre, si celebra la Giornata Mondiale dell’Alimentazione, istituita dalla FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) nel 1979. Questa ricorrenza ha lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sulla necessità di garantire il…
0 notes
aaquilas-blog · 11 months ago
Text
Riflettiamo sul Divario Globale della Ricchezza: Una Chiamata all'Azione
📈Introduzione Nel corso degli ultimi anni, abbiamo assistito a un fenomeno inquietante nel panorama economico globale: una crescente concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi, a fronte di una vasta popolazione che lotta quotidianamente per le necessità più elementari 💰 Il Paradossale Accumulo di Ricchezza Dal 2020, i cinque uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato le loro…
View On WordPress
0 notes
falcemartello · 4 months ago
Text
Tumblr media
KILL BILL
L'assassino, il delinquente per eccellenza, il criminale del secolo, colui che è stato ed è tuttora la punta di diamante di tutti gli sporchi affari degli States e che spesso si immischia anche con gli sporchi affari del governo di Pechino.
Dietro al siero killer c'è Kill Bill; dietro al cibo sintetico c'è Kill Bill; dietro alla geoingegneria e alle scie di “condensa” c'è Kill Bill; dietro alle campagne dell'OMS c'è Kill Bill; dietro al delirio tecnoambientalista c'è Kill Bill; dietro all'espansione della gabbia digitale all'inizio c'era Kill Bill, anche se adesso ha ceduto il posto; lo Zio dai virus informatici è passato a quelli genetici.
Lo chiamano filantropo, ma a noi più che altro sembra un vero delinquente, un gangster, uno sciacallo; come del resto aveva documentato Linsday Mc Gohan nel saggio «Altro Che Filantropi», Bill Gates e tutti quelli come lui grazie a dei meccanismi che la burocrazia americana consente, grazie alle donazioni fatte in poche parole a se stesso (le sue fondazioni), Gates ha potuto per anni evadere tasse e nel contempo con quei soldi risparmiati da suddette tasse, ha eroso il pubblico, per poi finanziare i propri interessi a spese del pubblico con progetti logoranti e fallimentari, progetti spremi-welfare, ungendo ruote a più livelli ed entrando prepotentemente nell'alveo degli uomini più importanti degli States e del mondo intero.
Grazie alle sue attività lobbistiche ed imprenditoriali, grazie alle speculazioni e grazie alle sue amicizie all'interno di certi circoli è diventato uno degli uomini più influenti del pianeta.
I signori della beneficienza un tanto al chilo vengono sottoposti all'esame ai raggi x dall'autrice e accademica Linsey McGoey che mette sotto il microscopio questa nuova età dell'oro della filantropia, prestando particolare attenzione alla Bill & Melinda Gates Foundation. 
Mentre le grandi organizzazioni di beneficenza sostituiscono i governi come fornitori di assistenza sociale e servizi primari alle persone, la loro generosità è tanto sospetta quanto ovviamente utilitaristica.
Le multinazionali manipolano speculativamente il denaro generando proprio l'instabilità economica e la disuguaglianza sociale che paradossalmente le fondazioni caritatevoli dovrebbero poi risolvere, rendendosi quindi presentabili all’opinione pubblica per i propri profitti. 
Stiamo entrando in un'era surreale in cui gli ideali di uguaglianza e giustizia sociale dipenderanno dalla ipocrita generosità degli oligarchi della forma capitale?
Certo che si, ci siamo dentro fino al collo e lo Zio Kill Bill adesso specula attivamente sulla nostra pelle con il bene placito dei nostri governati che a tal signori delle multinazionali ci hanno bellamente consegnato da almeno quattro anni, o forse da molto prima e semplicemente non ce ne eravamo accorti.
Francesco Centineo
45 notes · View notes
curiositasmundi · 1 year ago
Text
Non c’è un’accezione amabile della patria, e se c’è è forse proprio quella che dovremmo temere di più. La terra dei padri, questo significa patria, è un concetto letterario le cui ambiguità è utile tenere ancora presenti, se non altro perché dimenticarle ci ha dato lezioni amare per tutto il ’900. La prima ambiguità è nelle parole stesse: la patria non è una terra, ma una percezione di appartenenza, un concetto astratto, tutto culturale, che si impara dentro alle relazioni sociali in cui si nasce e dentro alle quali, riconosciuti, ci si riconosce. In un mondo dove i rapporti di confine tra le terre sono cambiati mille volte e le culture si sono altrettanto intrecciate, dire “la mia patria” riferendosi a una terra significa creare di sé un falso logico, oltreché geologico.
La seconda ambiguità è in quel plurale monogenitoriale, quel categorico “padri” che solleva simbolicamente dalle loro tombe un’infinita schiera di vecchi maschi dal cipiglio accusatorio rivolto alla generazione presente. Le madri nella parola patria non ci sono, benché per definizione siano sempre certe, né generano appartenenza, nonostante ce ne sia una sola per ognuno di noi. Non possono esserci perché nell’idea del patriottismo è innestata la convinzione profonda che la donna sia natura e l’uomo cultura, cioè che la madre generi perché è il suo destino e l’uomo riconosca la sua generazione per volontà e autorità, riordinando col suo nome il caso biologico di cui la donna è portatrice.
È in quanto estensione del maschile genitoriale che la patria è divenuta fonte del diritto di identità, perché è il riconoscimento di paternità che per secoli ci ha resi figli legittimi, né è un caso che le rivoluzioni culturali post psicanalisi si definissero anche come “uccisioni dei padri”. Gli apolidi dentro questa cornice si portano inevitabilmente addosso l’aura del figlio bastardo, gli espatriati per volontà sono sempre traditori della patria e gli emigrati economici hanno il dovere morale di coltivare e manifestare a chi è rimasto a casa un desiderio di ritorno, pena il passare per rinnegati.
E se per una volta - solo una, giusto per vedere l’effetto che fa - provassimo a uscire dalla linea di significati creata dal concetto di patria? Averlo caro del resto non ha alcuna attualità; appartiene a un mondo dove il diritto di sopraffazione e la disuguaglianza sociale ed economica erano voci non solo agenti, ma indiscutibilmente cogenti: per metterle in crisi ci sono volute rivoluzioni di pensiero prima ancora che di piazza, e quelle rivoluzioni ci hanno lasciato in eredità il dovere di fare un atto creativo nei confronti di tutte le categorie che non bastano più a raccontare la complessità in cui siamo. E se proprio non è possibile uscire dalla percezione genitoriale dell’appartenenza collettiva - padre, ma anche l’ossimoro madre patria - potrebbe essere interessante cominciare a parlare di Matria.
[...]
4 notes · View notes
scienza-magia · 1 month ago
Text
Clima e guerre aumentano la povertà globale
Tumblr media
Così il mondo perde la lotta contro la povertà e il climate change aumenta i rischi. Metà della popolazione vive con meno di 6,85 dollari al giorno e 700 milioni di persone hanno meno di 2,15 dollari. Un rapporto della Banca Mondiale rivela che l’eliminazione dell’indigenza estrema entro il 2030 è fuori portata. Il climate change aumenta i rischi - Quasi metà della popolazione mondiale (44%) vive con meno di 6,85 dollari al giorno: per sottrarla alla condizione di povertà, potrebbe volerci oltre un secolo. Quasi 700 milioni di persone (8,5%) vivono addirittura con meno di 2,15 dollari, in condizioni di estrema indigenza. Secondo un nuovo rapporto della Banca Mondiale, potrebbero volerci almeno tre decenni per sradicarla, sulla base delle attuali politiche in campo. L’obiettivo di sconfiggerla entro il 2030 è ormai «fuori portata». I poveri restano poveri «Si è perso un decennio», afferma il report «Povertà, prosperità e pianeta», pubblicato il 15 ottobre, la prima valutazione dei progressi globali verso l’eliminazione della povertà dopo la pandemia di Covid-19, che ha fatto aumentare il numero di persone in condizioni di indigenza. Una ferita che non si rimargina.
Tumblr media
La povertà estrema (meno di 2,15 dollari al giorno) rimane concentrata nei Paesi con crescita economica storicamente bassa e zavorrati da alto debito, che costringe a dirottare sui rimborsi dei prestiti una parte significativa delle risorse pubbliche, sacrificando istruzione, sanità, sviluppo. Molti di questi Paesi si trovano nell’Africa subsahariana. «Dopo decenni di progressi, la lotta contro la povertà globale sta subendo gravi battute d’arresto, a causa dell’intersecarsi di sfide che includono la lenta crescita economica, la pandemia, l’elevato debito, i conflitti e gli shock climatici», ha dichiarato Axel van Trotsenburg, direttore generale senior della Banca Mondiale. Secondo il report, i redditi di tutto il mondo dovrebbero in media quintuplicarsi per raggiungere uno standard di benessere di 25 dollari a persona al giorno, che in molti luoghi rimane una mera aspirazione. Anche se il numero di Paesi con elevate disuguaglianze di reddito è diminuito nell’ultimo decennio, ben 1,7 miliardi di persone (una su cinque nel mondo) vivono in queste condizioni, soprattutto in America Latina e nell’Africa subsahariana. L’elevata disuguaglianza riflette una mancanza di mobilità socioeconomica, che ostacola le prospettive di crescita inclusiva e di riduzione della povertà. Un altro report della Banca Mondiale mostra che i 26 Paesi più poveri del mondo (reddito medio pro-capite inferiore a 1.145 dollari), che ospitano il 40% delle persone indigenti, hanno l’indebitamento più alto dal 2006, pari al 72% del Pil. Rischio climatico Gli eventi climatici estremi minacciano di gettare nella povertà un numero elevato di persone. Quasi un individuo su cinque, a livello globale, rischia di subire nel corso della propria vita un grave shock meteorologico, da cui faticherà a riprendersi economicamente. L’Africa subsahariana ha la quota maggiore di popolazione esposta. Per ridurre la povertà è quindi necessaria una crescita economica sostenibile, a più basso impatto di gas serra. La maggior crescita necessaria per ridurre la povertà estrema non avrebbe effetti globali elevati in termini di maggiori emissioni, poiché i Paesi più poveri contribuiscono in misura molto ridotta. Al contrario, ridurre la povertà per i Paesi a reddito medio-alto potrebbe portare a un aumento significativo dei gas serra, se la crescita richiesta non fosse sostenibile dal punto di vista climatico. Ricette su misura Per la Banca mondiale, i Paesi a basso reddito dovrebbero dare la priorità agli investimenti nella creazione di posti di lavoro, nel capitale umano, nell’accesso ai servizi e nelle infrastrutture, migliorando al contempo la resilienza delle economie. I Paesi a medio reddito dovrebbero invece mettere al centro l’aumento dei redditi, per ridurre la vulnerabilità agli shock, insieme a politiche per ridurre l’intensità di CO2 della crescita economica. Nei Paesi ad alto e medio reddito, dove le emissioni di gas serra sono elevate, l’attenzione dovrebbe concentrarsi sulla loro riduzione, accompagnata da misure a sostegno delle persone che possono perdere il lavoro per effetto della transizione o possono subire perdite economiche, in particolare le fasce povere o vulnerabili. Read the full article
0 notes
notiziariofinanziario · 7 months ago
Text
Vola il dividendo ma crolla il potere d’acquisto dei lavoratori
Tumblr media
Negli ultimi 3 anni gli utili distribuiti agli azionisti dalle aziende quotate italiane a maggiore capitalizzazione sono aumentati, mentre le buste paga dei dipendenti del settore privato, tenendo conto dell’inflazione, si sono alleggerite. Guardando al resto del mondo, negli stessi anni a cavallo della pandemia in 31 Paesi i dividendi, aggiustati per l’inflazione, sono saliti del 45% (+195 miliardi di dollari), mentre i salari reali sono cresciuti in media solo di poco più del 3%. E, se si esclude la Cina, in media le retribuzioni hanno lasciato sul terreno il 3% del loro valore reale. “Ciò fa sì che milioni di lavoratori non riescano ad uscire dal circolo vizioso della povertà e ad assicurare un livello di esistenza dignitosa per sé e per le proprie famiglie”, commenta Misha Maslennikov, policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia. “Una palese ingiustizia, sintomatica di un sistema economico che ricompensa più la ricchezza che il lavoro”. Ampliando l’orizzonte temporale, in Italia i salari nominali tra il 1991 e il 2022 sono saliti del 107,5% ma in termini reali sono rimasti pressoché invariati, mostrando una crescita di appena l’1%. Un arretramento che nel 2022 ha collocato l’Italia in 22esima posizione tra i Paesi Ocse per il livello dei salari medi annuali reali: 13 posizioni in meno rispetto al 1992. “La moderazione salariale è un problema macroscopico del mercato del lavoro italiano”, commenta Maslennikov. “Altri problemi strutturali riguardano i ritardi occupazionali rispetto ad altre economie avanzate, la bassa qualità lavorativa di giovani e donne, il diffuso ricorso a forme di lavoro atipico che determina marcate disuguaglianze retributive e amplia le fila dei working poor. Purtroppo il governo non sembra intenzionato ad affrontare i tanti nodi irrisolti. Con il suo mantra del ‘più assumi, meno paghi’ non attribuisce alle politiche industriali il ruolo prioritario per lo sviluppo della buona occupazione, ma lo lascia alle convenienze economiche e fiscali delle imprese. La scelta di liberalizzare ulteriormente i contratti a termine e il lavoro occasionale rischia inoltre di rafforzare le trappole della precarietà. L’accesa opposizione al salario minimo legale denota poi un disinteresse a tutelare i lavoratori meno protetti”. La ricerca arriva anche alla conclusione che l’1% più ricco della popolazione globale, che possiede il 43% degli asset finanziari, si è messo in tasca nel 2023 una cifra media di 9mila dollari, pari a 8 mesi di stipendio di un lavoratore medio (dati Organizzazione internazionale del lavoro). La forte concentrazione dei redditi da capitale in molti Paesi comporta tra l’altro che la crescita dei dividendi allarghi la disuguaglianza interna dei redditi. I dati, secondo Oxfam, confermano l’allarme lanciato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro sulla diffusione crescente della povertà lavorativa su scala globale: quasi 1 lavoratore su 5 percepisce un salario inferiore alla soglia di povertà di 3,65 dollari al giorno (a parità di potere d’acquisto) e i salari del 66% dei lavoratori nei Paesi a basso reddito non superano tale soglia. I dati sugli utili distribuiti sono tratti dal Janus Henderson Global Dividend Index, che monitora i dividendi versati agli azionisti dalle 1.200 società più grandi al mondo per capitalizzazione di mercato (pari al 90% del monte dividendi globale). Read the full article
0 notes
chiamalegge · 7 months ago
Text
Invertire la rotta. Disuguaglianza e crescita economica
Per molti anni ci hanno fatto credere che la disuguaglianza è necessaria per la crescita economica. È vero il contrario: per crescere tutti e in modo sano è necessaria una maggiore uguaglianza nella distribuzione del reddito. ‘Invertiamo la rotta’ è il monito del premio Nobel per l’economia. «Non è difficile individuare le politiche economiche necessarie per invertire la rotta. Abbiamo bisogno di…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
carmenvicinanza · 8 months ago
Text
He – Yin Zhen, pioniera del femminismo cinese
Tumblr media
Gli uomini e le donne sono uguali: entrambi sono esseri umani, tuttavia non godono di parità. Questo è scorretto e va contro la giustizia naturale. La lotta delle donne è finalizzata a porre fine a questo sopruso.
He – Yin Zhen, anarchica e scrittrice, si può considerare la madre del femminismo cinese.
Ha rappresentato una voce fuori dal coro per le sue posizioni radicali e critiche contro il nazionalismo e la società in cui viveva.
I suoi scritti, agli inizi del Novecento, hanno anticipato l’approccio intersezionale del femminismo contemporaneo, mettendo in relazione il genere con classe, razza, sistema politico e economico. Tutti dispositivi di oppressione, generatori di gerarchie e disuguaglianze che si alimentano a vicenda.
Con una scrittura diretta e provocatoria, partiva dal presupposto che la liberazione delle donne fosse il tassello per la rivoluzione della società tutta. Ha visto l’oppressione delle donne come problema globale che sta alla base di tutte le altre disuguaglianze.
Liberare la donna per liberare la società, perché l’uguaglianza tra i sessi richiede lo smantellamento di tutte le strutture sistemiche di potere.
Nata nel 1884, nella provincia di Jiangsu, sulla costa orientale della Cina, col nome di He Ban, aveva ricevuto una buona educazione di base, nonostante fosse una donna.
Dopo aver sposato Liu Shipei, intellettuale e rivoluzionario, nel 1903, si era trasferita a Tokyo, entrando a far parte del movimento intellettuale anarchico cinese.
È stato in Giappone che aveva cominciato a firmare i suoi scritti col nome di He-Yin Zhen, per conservare il cognome da nubile di sua madre, aggiungendo Zhen che significa tuono.
Ha collaborato con la rivista Tianyi (Giustizia Naturale) e per Xin Shiji (Nuova Era). 
Nel 1907 ha fondato l’Associazione per il Recupero dei Diritti delle Donne (Nüzi Fuquan Hui), che sosteneva la necessità dell’uso della forza per porre fine all’oppressione degli uomini sulle donne, così come la resistenza alla classe dominante e al capitalismo accompagnata dalla promozione di valori tradizionali come la perseveranza e il rispetto per la comunità.
Scrittrice e saggista, il suo pensiero si fonda sull’osservazione che  la dominazione maschile sulle donne va intesa innanzi tutto come un problema legato a una distribuzione sbilanciata delle risorse.
Partendo da una questione meramente economica, ha sostenuto che i fattori sociali e culturali che hanno mantenuto la disparità tra i generi, sono cominciati con gli insegnamenti del Confucianesimo che relegavano il sesso femminile nella sfera domestica, suggerendo che uno dei passi necessari per una maggior eguaglianza fosse il superamento dell’istituzione della famiglia e della concezione per cui la crescita della prole debba essere un’attività unicamente femminile.
Nei suoi scritti, che comprendono il Manifesto delle donne, pubblicato il 10 giugno 1907 sulla rivista Tianyi, ha analizzato la disuguaglianza nel matrimonio, nello status sociale, nei doveri, nel sistema rituale, sempre a svantaggio delle donne.
He – Yin Zhen è probabilmente morta nel 1920, lasciando un importante lascito nel pensiero anarco-femminista cinese.
Il tuono dell’anarchia è la prima raccolta del suo lavoro tradotta in lingua italiana, curato e tradotto da Cristina Manzone.
0 notes
newsnoshonline · 9 months ago
Text
Perché il mondo non può permettersi i ricchi Costi della disuguaglianza economica e dei ricchi nel mondo Con l’intensificarsi delle crisi ambientali, sociali e umanitarie, il mondo non può più permettersi i costi della disuguaglianza economica e dei ricchi. L’1% delle persone più ricche ha catturato quasi il doppio della ricchezza globale creata rispetto al restante 99%. Nel decennio fino al 2022, i miliardari del mondo hanno più che raddoppiato la loro ricchezza. Impatto delle disuguaglianze sul benessere sociale Le grandi differenze di reddito rappresentano un potente fattore di stress sociale che porta a disfunzionalità nella società. Il divario tra ricchi e poveri è associato ad alti tassi
0 notes
pier-carlo-universe · 7 days ago
Text
In edicola e in libreria dal 21 novembre con Il Sole 24 Ore il libro: Per una nuova economia di Elena Beccalli. Costruire paradigmi basati su persona, etica, fiducia e cooperazione
La premessa della ricerca e delle riflessioni che l’autrice Elena Beccalli porta avanti da anni sulle pagine del Sole 24 Ore è che l’economia neoclassica si è tradizionalmente basata sull’utilitarismo individuale, ritenendo che sia neutrale sotto il profi
Elena Beccalli Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Prefazione di Sua Eminenza Cardinal Pietro Parolin Segretario di Stato La premessa della ricerca e delle riflessioni che l’autrice Elena Beccalli porta avanti da anni sulle pagine del Sole 24 Ore è che l’economia neoclassica si è tradizionalmente basata sull’utilitarismo individuale, ritenendo che sia neutrale sotto il…
0 notes
cinquecolonnemagazine · 10 months ago
Text
La crisi economica del 2008: un decennio di conseguenze
La crisi economica del 2008, conosciuta anche come la "Grande Recessione", ha segnato un punto di svolta nella storia economica globale. Le sue scosse si sono avvertite in tutto il mondo, lasciando un'eredità di disoccupazione, debiti e disuguaglianza che ancora oggi pesa sulle economie e sulle società. Le cause della crisi economica del 2008 Le cause della crisi sono complesse e multifattoriali. Tra i fattori principali si possono identificare: - La bolla immobiliare statunitense: Negli anni 2000, le banche americane hanno erogato mutui a tassi d'interesse bassi a persone che non avrebbero potuto ripagarli. Questi mutui "subprime" sono stati poi trasformati in complessi prodotti finanziari e venduti a investitori in tutto il mondo. - La deregulation del sistema finanziario: Le leggi che avrebbero dovuto limitare i rischi assunti dalle banche sono state allentate, permettendo loro di accumulare enormi quantità di debiti. - La mancanza di trasparenza: I prodotti finanziari derivati ​​dai mutui subprime erano opachi e complessi, rendendo difficile per gli investitori valutare il loro rischio reale. Il crollo Nel 2007, la bolla immobiliare è scoppiata. I prezzi delle case sono crollati, i mutui subprime sono andati in sofferenza e il valore dei prodotti derivati ​​è crollato. Le banche che avevano investito in questi prodotti hanno subito perdite ingenti, alcune fallendo. Le conseguenze La crisi ha avuto un impatto devastante sull'economia globale. La crescita è crollata, i mercati azionari hanno subito un crollo e la disoccupazione è salita alle stelle. I governi di tutto il mondo sono stati costretti a intervenire con massicci salvataggi bancari e stimoli fiscali per evitare una depressione. Un decennio dopo Sono passati più di dieci anni dalla crisi, ma le sue conseguenze si fanno ancora sentire. L'economia globale è cresciuta, ma la disoccupazione rimane alta in molti paesi. Il debito pubblico è salito a livelli record in molte economie avanzate. La disuguaglianza è aumentata, alimentando tensioni sociali e politiche. Lezioni apprese La crisi del 2008 ha insegnato diverse lezioni importanti. La deregulation del sistema finanziario può portare a rischi eccessivi e a crisi devastanti. La trasparenza dei mercati finanziari è fondamentale per la stabilità economica. I governi devono essere pronti a intervenire in caso di crisi, ma è importante che i loro interventi non creino distorsioni nel mercato. La sfida del futuro La sfida del futuro è quella di costruire un sistema economico più resiliente e sostenibile. Le riforme del sistema finanziario sono necessarie per ridurre i rischi e aumentare la trasparenza. È necessario inoltre affrontare le cause profonde della disuguaglianza e della disoccupazione. La crisi del 2008 è stata un evento traumatico, ma può essere un'occasione per costruire un futuro migliore. Foto di Gerd Altmann da Pixabay Read the full article
0 notes
alemicheli76 · 1 year ago
Text
L’uguaglianza non è un valore, perché ogni uomo è diverso: esce il nuovo libro dell’economista Eamonn Butler
Arriva oggi in libreria l’ultimo saggio dell’economista britannico Eamonn Butler: Il valore della disuguaglianza. Questo testo veloce e di facile lettura affronta, come scrive Nicola Porro nella Prefazione, «uno dei buchi neri di ogni politica economica e sociale contemporanea, ossia quello che prevede, con politiche paradossalmente disuguali e asimmetriche, di combattere le disuguaglianze». E…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
curiositasmundi · 11 months ago
Text
[...]
Le fantasie di complotto sulle scie chimiche esemplificano anche uno dei principali paradossi della cultura cospirazionista: c’è un piano segreto, segretissimo, ma i suoi artefici lasciano che sia esposto nei dettagli e denunciato in tantissimi libri pubblicati in molte lingue, innumerevoli articoli, migliaia di video visti da milioni di persone. Libri, articoli e video disponibili sulle piattaforme di proprietà degli uomini più ricchi e influenti del mondo: Sergey Brin e Larry Page, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Elon Musk.
A proposito di loro Rebecca Solnit ha scritto che i miliardari “sono una minaccia per tutti: la loro mole politica distorce la nostra vita pubblica”, perché “funzionano come poteri non eletti, una sorta di aristocrazia globale autonoma che tenta di governare su tutti. Secondo alcuni le aziende tecnologiche che hanno generato tanti miliardari moderni agiscono con metodi più simili al feudalesimo che al capitalismo, e di certo molti miliardari operano come i signori del mondo, mentre si battono per difendere la disuguaglianza economica che ha reso loro così ricchi e tanti altri così poveri. Usano il loro potere in modi arbitrari, irresponsabili e spesso devastanti per l’ambiente”.
È un vero e proprio punto cieco della fantasia di complotto. I magnati della Silicon valley esercitano sulla nostra società e sulla nostra cultura una delle più estese e arroganti influenze mai viste. Se ci sono persone di cui, con un’iperbole, possiamo dire che “controllano le menti”, sono loro. Se c’è gente che cospira – letteralmente: respira insieme, negli stessi ambienti, in luoghi inaccessibili ai comuni cittadini – è proprio quella. Eppure nessuno li indica come complici del piano delle scie chimiche né, in generale, di alcun altro complotto su scala mondiale. Come mai?
C’è una possibile spiegazione: se Amazon, Facebook, Instagram, X, YouTube e Whatsapp fossero indicati come parte della cospirazione, nella mente di chi la denuncia su quelle piattaforme si produrrebbe una dissonanza cognitiva: percepirebbe il proprio star lì come incoerente, inconciliabile con quel che dice o scrive. Con fatica cognitiva dovrebbe giustificare la contraddizione in qualche modo, oppure rimuoverla. Tutto ciò sarebbe causa di stress. Meglio rimuovere a monte, evitando di pensarci e descrivendo lo scenario più implausibile: un complotto planetario in cui i padroni dei più potenti mezzi di comunicazione del pianeta non hanno alcun ruolo.
[...]
La prima puntata qui
1 note · View note
scienza-magia · 1 year ago
Text
Successo economico ma a un costo ambientale ed umano elevato
Tumblr media
I due paesi pagano un prezzo elevato per la loro crescita.  La Cina e la Russia sono due delle maggiori potenze economiche del mondo, ma il loro sviluppo ha avuto un impatto negativo sull'ambiente e sui diritti umani. Cina e Russia sono due delle nazioni che negli ultimi anni hanno registrato la crescita economica più rapida al mondo. Questo successo è stato ottenuto grazie a un modello di sviluppo che ha privilegiato l'industria e l'estrazione mineraria, a discapito dell'ambiente e della popolazione. Queste due nazioni hanno sfruttato le loro risorse naturali, come le miniere, senza riguardo per la salvaguardia dei territori, della biodiversità e della salute delle popolazioni. Hanno inoltre adottato politiche di redistribuzione del reddito inique, che hanno favorito solo una ristretta élite di potere, mentre la maggior parte della gente vive in condizioni di povertà e precarietà. Infine, hanno destinato gran parte dei loro proventi alla spesa militare, alimentando conflitti e tensioni a livello regionale e globale. L'impatto ambientale L'impatto ambientale dell'industrializzazione cinese e russa è evidente in diversi ambiti. La Cina è il primo produttore mondiale di CO2, responsabile del 28% delle emissioni globali. Il suo consumo di carbone, che copre il 60% del fabbisogno energetico nazionale, ha causato gravi problemi di inquinamento atmosferico, idrico e del suolo. La Cina ha anche realizzato grandi opere infrastrutturali, come la Diga delle Tre Gole, che hanno alterato l'equilibrio ecologico e idrologico delle regioni interessate¹. La Russia, invece, ha sfruttato intensivamente le sue risorse minerarie, soprattutto in Siberia, dove ha estratto petrolio, gas, oro, diamanti e altri metalli preziosi. Questa attività ha provocato la distruzione di vaste aree di foresta, la contaminazione di fiumi e laghi, e il rilascio di sostanze tossiche nell'aria. La Russia è anche il quarto produttore mondiale di CO2, con il 4,6% delle emissioni globali. L'industria mineraria, in particolare, ha un impatto devastante sull'ambiente. Le miniere a cielo aperto, ad esempio, causano la degradazione del territorio, l'inquinamento atmosferico e l'avvelenamento delle acque superficiali e sotterranee. In Siberia, ad esempio, le miniere di carbone stanno causando il disgelo del permafrost, con conseguenze potenzialmente catastrofiche per l'intero pianeta. Anche le industrie in generale contribuiscono all'inquinamento atmosferico e idrico. In Cina, ad esempio, le emissioni di gas serra sono tra le più alte al mondo, e l'inquinamento atmosferico nelle città è spesso irrespirabile. L'impatto umano L'impatto umano dello sviluppo cinese e russo è altrettanto preoccupante. Queste due nazioni hanno basato la loro crescita economica sulla sfruttamento della forza lavoro, senza garantire adeguati diritti e tutele ai lavoratori. In Cina, milioni di contadini si sono trasferiti nelle città, dove hanno trovato impiego nelle fabbriche e nei servizi, ma con salari bassi, orari lunghi e condizioni precarie. La Cina ha anche una scarsa protezione sociale, che costringe le famiglie a risparmiare per far fronte alle spese sanitarie e pensionistiche. Di conseguenza, il consumo interno è rimasto limitato, e la ricchezza nazionale è stata concentrata nelle mani di pochi. La Cina ha infatti uno dei più alti livelli di disuguaglianza al mondo, con un indice di Gini pari a 0,46⁷. In Russia, la situazione non è migliore. La Russia ha subito una profonda crisi economica e sociale dopo il crollo dell'Unione Sovietica, che ha portato a una drastica riduzione del reddito e del benessere della popolazione. La Russia ha anche una forte corruzione e una debole democrazia, che hanno favorito l'ascesa di una classe di oligarchi legati al potere politico. La Russia ha un indice di Gini di 0,42⁹, e il 10% più ricco della popolazione detiene il 48% della ricchezza nazionale. Il successo economico di Cina e Russia si basa anche sullo sfruttamento della forza lavoro. I lavoratori nelle miniere e nelle industrie sono spesso pagati salari bassi e non hanno tutela contro gli infortuni e le malattie. In Cina, ad esempio, le morti sul lavoro sono all'ordine del giorno. Inoltre, i guadagni economici di questi paesi vanno a beneficio di una piccola élite, mentre la popolazione versa in condizioni di povertà. In Russia, ad esempio, il divario tra ricchi e poveri è tra i più alti al mondo. La guerra la Cina e la Russia hanno investito ingenti somme nella spesa militare, che hanno usato per affermare i loro interessi e la loro influenza a livello regionale e globale. La Cina ha aumentato la sua spesa militare per il ventiseiesimo anno consecutivo, raggiungendo i 292 miliardi di dollari nel 2022, pari all'1,6% del PIL. La Cina ha modernizzato le sue forze armate, potenziando le sue capacità nucleari, missilistiche, navali e spaziali. La Cina ha anche espanso la sua presenza e la sua assertività nel Mar Cinese Meridionale, dove rivendica la sovranità su isole e scogli contesi con altri paesi asiatici. La Russia ha speso 86,4 miliardi di dollari nel 2022, pari al 4,3% del PIL, per rafforzare il suo arsenale militare, soprattutto nel settore nucleare, missilistico e cibernetico. La Russia ha anche condotto operazioni militari in Siria, in Georgia, in Ucraina e in Bielorussia, violando la sovranità e l'integrità territoriale di questi paesi. La Russia ha anche minacciato e intimidito i paesi vicini, in particolare quelli appartenenti alla NATO, con esercitazioni e provocazioni militari. La maggior parte dei proventi economici di Cina e Russia viene utilizzata per acquistare o costruire armamenti e condurre guerre. In particolare, la Russia ha utilizzato i proventi del petrolio e del gas per finanziare la sua invasione dell'Ucraina. Questa situazione determina che non solo Cina e Russia stanno degradando il loro territorio, ma che stanno anche creando condizioni di invivibilità che possono compromettere l'intero pianeta. Conclusione La Cina e la Russia sono due esempi di come lo sviluppo economico possa avere un costo elevato in termini ambientali ed umani. Queste due nazioni hanno privilegiato la crescita a scapito della sostenibilità e della giustizia sociale, creando gravi problemi interni e esterni. La Cina e la Russia hanno anche usato la loro potenza economica per aumentare la loro potenza militare, mettendo a rischio la pace e la sicurezza internazionale. Questo comportamento richiede una risposta adeguata da parte della comunità internazionale, che deve promuovere il dialogo, la cooperazione e il rispetto delle norme e dei valori condivisi. Il successo economico di Cina e Russia è un successo che ha un costo elevato. Questo modello di sviluppo è insostenibile e sta causando danni irreparabili all'ambiente e alla popolazione. È necessario trovare un nuovo modello di sviluppo che sia più sostenibile ed equo. Articolo redatto con l'aiuto di Bing e Bard Read the full article
0 notes
personal-reporter · 1 year ago
Text
Società: le tendenze e i cambiamenti in atto
Tumblr media
La società sta cambiando rapidamente, a causa di una serie di fattori, tra cui i progressi tecnologici, la globalizzazione e i cambiamenti demografici. Questi cambiamenti stanno influenzando tutti gli aspetti della nostra vita, dalla cultura al lavoro, dalla politica alle relazioni personali. Ecco alcuni dei principali trend e cambiamenti in atto nella società moderna: La tecnologia sta cambiando il modo in cui viviamo, lavoriamo e interagiamo gli uni con gli altri. Lo sviluppo di Internet e dei social media ha reso possibile la comunicazione globale in tempo reale. La diffusione dei dispositivi mobili ha portato a una maggiore connettività e mobilità. La tecnologia sta anche automatizzando molte attività, cambiando il modo in cui lavoriamo e produciamo beni e servizi. La globalizzazione sta ridefinendo il modo in cui interagiamo con il mondo. I mercati globali, la produzione e il commercio stanno rendendo il mondo sempre più interconnesso. Questo sta portando a una maggiore diffusione della cultura e delle idee, ma anche a nuove sfide, come la disuguaglianza e il cambiamento climatico. I cambiamenti demografici stanno influenzando la società in modi profondi. L'invecchiamento della popolazione, l'aumento della diversità razziale e culturale e la crescita delle migrazioni stanno cambiando il volto della società. Questi cambiamenti stanno mettendo a dura prova i sistemi economici e sociali esistenti, ma stanno anche creando nuove opportunità. Questi trend e cambiamenti stanno avendo un impatto significativo sulla società moderna. È importante comprendere questi cambiamenti per prepararsi alle sfide e alle opportunità che ci attendono. Ecco alcuni esempi specifici di come questi trend e cambiamenti stanno influenzando la società: La tecnologia ha reso possibile l'apprendimento a distanza e l'istruzione online, rendendo l'istruzione più accessibile a tutti. La globalizzazione ha portato a una maggiore diffusione della cultura e delle idee, ma anche a una maggiore competizione economica. I cambiamenti demografici stanno mettendo a dura prova i sistemi pensionistici e sanitari, ma stanno anche creando una nuova forza lavoro diversificata. È probabile che questi trend e cambiamenti continuino ad evolversi in futuro. È importante essere preparati a questi cambiamenti per avere successo nella società moderna. Read the full article
0 notes
trying2understandw · 1 year ago
Text
Things Are Falling Apart … And the centre's not looking too good, either. - Le cose stanno andando a rotoli… E anche il centro non si presenta bene. (21 GIUGNO 2023)
Le cose stanno andando a rotoli...
E anche il centro non si presenta bene.
AURELIEN
21 GIU 2023
Il mio ultimo saggio https://www.tumblr.com/trying2understandw/726360909549846528/round-two-there-is-no-round-two?source=share
ha suscitato molti commenti, tra cui suggerimenti per portare l'analisi un po' più avanti e cercare di esaminare alcune delle conseguenze a lungo termine per l'Occidente della fine della guerra in Ucraina e del suo fallimento politico e militare. Ecco quindi un modesto tentativo.
Non è una previsione. Non solo non credo nelle previsioni, ma bisogna ricordare che gli eventi si muovono a una velocità e a una complessità tali da far sì che ciò che scrivo ora possa essere facilmente superato quando lo leggerete. Nel mio saggio su L'arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon, scritto qualche mese fa, avrei dovuto menzionare il povero brigadiere Pudding, che passava il suo tempo libero a scrivere un libro intitolato Cose che possono accadere nella politica europea, per poi scoprire che c'erano così tante possibilità e così tante interazioni che non era in grado di stare al passo con gli eventi attuali (per non parlare di prevedere il futuro) e che il libro stava in realtà andando al contrario.
Detto questo, è possibile individuare alcune direzioni in cui le cose potrebbero andare (o soprattutto non andare). Voglio iniziare con il lato negativo, perché è un modo per mettere in un certo contesto alcuni degli scenari più estremi di cui si legge. Non voglio dire che nessuna di queste possibilità estreme sia intrinsecamente impossibile, dato che quasi nulla nella politica internazionale lo è, ma per le ragioni che seguono non credo che dovremmo dedicarvi molto tempo.
La prima possibilità è un fallimento politico ed economico catastrofico. All'inizio, gli opinionisti pensavano che questo potesse accadere in Russia: di recente non se ne parla più. Altri, invece, vedono la fine dell'"Impero americano", la dissoluzione della NATO, conflitti violenti e persino guerre civili in alcuni Stati occidentali, molteplici fallimenti bancari e il crollo di intere economie, il tutto entro la fine dell'anno. La difficoltà è duplice. Da un lato, sì, le conseguenze economiche più ampie della guerra in Ucraina, tra cui la (limitata) de-dollarizzazione del commercio, la vulnerabilità di catene di approvvigionamento complesse e sofisticate, l'aumento dei prezzi del carburante e il lento spostamento del potere economico dall'Occidente, potrebbero avere implicazioni piuttosto significative nel prossimo futuro. O forse no, perché sono anche inseriti in una serie di altri problemi, non specificamente legati all'Ucraina, ma in alcuni casi collegati: inflazione, deindustrializzazione, povertà, crescente dipendenza dalle importazioni, sistemi politici in disfacimento e crescente disuguaglianza economica, tutti temi sui quali ho scritto più volte. È chiaro che per l'Occidente si prospettano tempi molto difficili nei prossimi anni e oltre. Ma le previsioni su singole conseguenze catastrofiche, legate in particolare alla guerra in Ucraina, mi sembrano molto pericolose. La storia suggerisce che una delle previsioni estreme o più estreme si avvererà, o si avvererà in parte, ma probabilmente sarà per puro caso, e sarà comunque l'ultima cosa che ci aspetteremmo. Quindi la NATO non chiuderà l'anno prossimo, e nemmeno l'anno dopo: la politica internazionale non funziona così.
D'altra parte, uno dei miei punti fermi in questi saggi è la necessità di distinguere tra modelli di fondo di eventi e spostamenti di potere, da un lato, e circostanze specifiche, spesso inconoscibili in anticipo, che hanno innescato una particolare catena di eventi disastrosi, dall'altro. Il crollo dell'Unione Sovietica, l'ascesa al potere dell'ayatollah Khomeini in Iran o la recente guerra civile in Etiopia sono esempi di questo tipo: gli ingredienti c'erano, ma la crisi sarebbe potuta arrivare prima, dopo o forse non sarebbe potuta arrivare affatto. Lo stesso è probabile in questo caso: alcune conseguenze dirette o indirette della fine della guerra in Ucraina potrebbero innescare una catena catastrofica di eventi da qualche parte, ma non lo faranno automaticamente, né senza una necessaria lievitazione preliminare di stupidità umana nel posto sbagliato al momento sbagliato. Quindi non entusiasmiamoci troppo per le singole previsioni apocalittiche a breve termine.
La seconda possibilità è il business as usual. Secondo questa teoria, la sconfitta in Ucraina verrebbe rapidamente relegata nel buco della memoria, proprio come l'Afghanistan (si sostiene), e gli ultras di Washington e Bruxelles inizierebbero a prepararsi per una guerra con la Cina. Non credo che nemmeno questo sia fattibile. L'Afghanistan ha avuto effetti essenzialmente localizzati e temporanei. Non sarà così per l'Ucraina. A seconda dello scenario esatto (e ci arriverò tra un attimo) il fallimento delle politiche occidentali in Ucraina avrà conseguenze significative e a lungo termine per l'Occidente nel suo complesso. Le conseguenze più ovvie saranno di tipo economico, ma quelle davvero interessanti si trovano altrove. Per esempio, nell'ultimo decennio Kiev è stata un sobborgo di Washington, Londra e Bruxelles. Ma basterà che i russi annuncino di non poter più garantire la sicurezza dei leader occidentali in visita a Kiev e il rapporto comincerà a sgretolarsi, anche se gli ucraini vorranno mantenerlo. A prescindere dall'esatto regime che seguirà quello di Zelensky, è sempre più probabile che l'Occidente venga congelato dalle relazioni con l'Ucraina. Non ci saranno contratti di costruzione succulenti per le aziende occidentali per ricostruire le aree sotto il controllo russo. I leader e gli uomini d'affari occidentali potrebbero trovarsi ospiti sempre più sgraditi e imbarazzanti. (La cosa più importante, forse, è che le forze russe, molto numerose e ben equipaggiate, saranno dispiegate ben in avanti, scomodamente vicino ai confini della NATO. Gli aerei russi potrebbero pattugliare la frontiera ucraino-polacca con la riluttante acquiescenza di Kiev. Quasi ogni giorno si corre il rischio di una nuova umiliazione politica per l'Occidente e di una crescente prova della sua graduale perdita di status. Non sono cose che si possono nascondere, soprattutto in Paesi e organizzazioni internazionali che si sono abituati all'idea di essere i naturali dominatori del mondo.
La terza possibilità è l'"escalation" che porta inevitabilmente a una sorta di guerra nucleare. Ho già sottolineato più volte che l'escalation ha un significato solo se si ha qualcosa con cui farla e un posto dove farla. La retorica e le minacce, che sono state la prassi della NATO e dell'UE fino ad ora, non hanno alcun valore in questo caso. Le forze di terra della NATO sono troppo deboli e disperse per intervenire. Le forze aeree della NATO farebbero... cosa? Se tutti gli aerei impegnati nell'attuale esercitazione aerea della NATO virassero improvvisamente verso est, pochi, se non nessuno, raggiungerebbero la linea di contatto prima di esaurire il carburante (o di essere abbattuti, naturalmente) e che effetto avrebbero sulla battaglia? La teoria alla base di esercitazioni militari come questa è che si invia un messaggio politico sulla determinazione a rimanere coinvolti e sulla volontà di intensificare gli interventi. Ma quando non si ha nulla con cui rimanere coinvolti o con cui fare un'escalation, tutto diventa un po' inutile. Chi state cercando di convincere, a parte voi stessi e il vostro pubblico? In realtà, le esercitazioni e i movimenti di truppe e aerei sono una delle pochissime opzioni disponibili nel repertorio degli Stati che si trovano ad affrontare una crisi, ed è probabile che ne vedremo di più nei prossimi mesi e anni, non perché siano efficaci, ma perché non ci sono molte alternative.
E poi, naturalmente, ci sono le armi nucleari. Dato che se ne è parlato molto, soffermiamoci un attimo sulla questione. Prima di tutto, non credo che nessuno in Occidente sia stato così folle da pensare di tentare il classico brinkmanship nucleare, ovvero la minaccia di attaccare Mosca con armi nucleari se i russi non si fossero ritirati dall'Ucraina. Una tale minaccia equivarrebbe a un suicidio nazionale per gli Stati Uniti (e per altri) se fosse portata a termine, e a un'umiliazione nazionale se non lo fosse. Senza dubbio, da qualche parte nelle fogne di Washington ci sono persone abbastanza illusorie da pensare che questa sia una linea d'azione accettabile, ma nella vita reale non credo che avranno molta influenza. Lo stesso vale per l'uso "dimostrativo" di armi nucleari in numero molto ridotto, da qualche parte, che appartiene ai best-seller degli aeroporti e ai libri di testo di scienze politiche, non alla vita reale.
Torniamo quindi alle armi nucleari tattiche o, come preferirei chiamarle, "da campo di battaglia", sulle quali di recente si è fatto un gran parlare. Ora, è necessario fare un po' di storia. Le armi nucleari non sono state originariamente sviluppate in base a un'esigenza militare, e fin dall'inizio i militari hanno avuto il problema di trovare un ruolo operativo per esse, al di là delle loro funzioni puramente politiche come la deterrenza e il significato dello status di Grande Potenza. Man mano che le armi nucleari diventavano fisicamente più piccole, c'era la possibilità di utilizzarle in battaglia, consentendo potenti attacchi a concentrazioni di truppe, campi d'aviazione e quartieri generali, che altrimenti sarebbero stati molto difficili da distruggere. Inoltre, poiché le armi nucleari sul campo di battaglia potevano essere consegnate con una precisione sempre maggiore, la resa poteva scendere fino a livelli inferiori ai kilotoni, tenendo presente che l'effetto di un'arma a scoppio cade con la radice cubica della distanza, per cui la precisione è molto importante. Alla fine della Guerra Fredda, il risultato fu una pletora di sistemi: bombe a caduta libera, razzi, proiettili d'artiglieria e persino piccole munizioni da demolizione. (Esattamente quanti fossero rimane discutibile, ma l'Occidente vi ha dato maggiore importanza, perché fin dall'inizio i governi occidentali non vedevano alcuna speranza di mantenere le stesse dimensioni delle forze convenzionali del Patto di Varsavia: un impegno che alla fine ha contribuito molto a distruggere l'economia sovietica. Le armi nucleari sul campo di battaglia erano quindi l'unica risposta: se le forze del WP fossero mai avanzate a ovest fino a un punto della Germania noto come Linea Omega, i militari avrebbero chiesto il cosiddetto "sganciamento nucleare".  Da parte sovietica, l'uso precoce delle armi nucleari sembra essere stato dato per scontato: tutte le attrezzature sovietiche erano progettate per essere utilizzate in un ambiente nucleare (e biologico e chimico);
Con la fine della Guerra Fredda, tutto questo cominciò a sembrare un po' inutile. Gli inglesi e i francesi rinunciarono alle loro armi nucleari tattiche e gli Stati Uniti si sbarazzarono di tutte le loro, ad eccezione di alcune bombe a caduta libera. Non si conoscono le cifre esatte, ma fonti aperte suggeriscono che potrebbero averne circa 200, alcune delle quali almeno a rendimento variabile, e forse la metà di queste sono conservate in strutture sicure in Europa. Nessuno sa davvero quante armi abbiano conservato i russi, ma sicuramente più degli Stati Uniti, perché la loro dottrina militare si occupa ancora prevalentemente di guerra terra/aria. Quindi, in teoria, sarebbe possibile utilizzare armi nucleari sganciate per via aerea contro le concentrazioni di truppe russe nel Donbas, ora o in una futura iterazione della crisi. In pratica, non molto, per due motivi.
Primo: è possibile? Per quanto ne so, non esistono velivoli ucraini in grado di sganciare armi nucleari (e questo presuppone che esistano velivoli ucraini). Quindi, velivoli della NATO appositamente attrezzati dovrebbero essere trasferiti in basi in Ucraina, velivoli della NATO appositamente adattati dovrebbero far volare le armi, in condizioni di grande sicurezza, verso basi aeree appositamente protette in Ucraina, sufficientemente vicine alla linea di contatto da permettere agli aerei della NATO di fare ritorno, e infine gli aerei della NATO dovrebbero arrivare lì e (preferibilmente) tornare indietro attraverso difese aeree che finora si sono dimostrate estremamente efficaci. Non lo so, ma ho il sospetto che le bombe a caduta libera come le B-61 siano già armate una volta che l'aereo decolla, quindi un aereo della NATO abbattuto in qualsiasi punto dell'Ucraina potrebbe potenzialmente causare un'esplosione nucleare, o nella migliore delle ipotesi un inquinamento nucleare diffuso. In secondo luogo, queste armi possono essere "tattiche", ma hanno comunque un effetto su una vasta area. Anche una "piccola" arma da 1 chilotone ucciderebbe o danneggerebbe tutti e tutto nel raggio di circa un chilometro: coloro che non sono morti a causa dell'esplosione o del fuoco potrebbero ammalarsi o addirittura morire per avvelenamento da radiazioni nelle settimane e nei mesi successivi. È difficile vedere una circostanza in cui la NATO, per quanto stressata, pensi che una dozzina di questi ordigni sia una buona idea, indipendentemente dal numero di soldati russi uccisi nel processo.
Quindi queste sono le cose che, a mio avviso, è improbabile che accadano. (Non posso dire che siano impossibili, come ho indicato, ma poche cose in politica lo sono). Spostiamo quindi la nostra attenzione sulle conseguenze più probabili, e per farlo dobbiamo avere uno scenario di riferimento su cui lavorare. Propongo il seguente, tenendo presente che l'esito effettivo potrebbe essere un po' più radicale.
Le forze armate ucraine vengono effettivamente distrutte come entità. Rimangono piccoli gruppi (forse fino al livello di un battaglione), ma hanno poca o nessuna capacità di influenzare le operazioni. I russi hanno occupato le aree dell'Ucraina che hanno votato per l'adesione alla Russia e la costa fino a Odessa. Hanno centinaia di migliaia di truppe pesantemente armate dispiegate nel terzo orientale del Paese e una presenza nel resto del Paese. A Kiev c'è un nuovo governo che considera le buone relazioni con la Russia come la sua principale priorità. I consiglieri e gli addestratori occidentali si sono, almeno teoricamente, ritirati dal Paese e non vengono più inviate attrezzature occidentali.
Questo, lo sottolineo, è un risultato minimamente probabile. Ma comunque lo si guardi, rappresenta una sconfitta per la NATO e l'UE, e una nuova realtà con cui bisognerà convivere. Consideriamo alcune delle probabili reazioni, a partire da quella più ovvia: la negazione, per quanto possibile, della nuova realtà. Questo è il comportamento tipico di qualsiasi gruppo in difficoltà, e notoriamente di organizzazioni con un forte ego istituzionale. È semplicemente impossibile che la NATO dica "abbiamo sbagliato" o "abbiamo ****** sbagliato", qualunque cosa possano pensare i singoli governi o i singoli individui. La politica non funziona così: il massimo che si potrebbe ammettere è che gli altri non hanno fatto quello che avrebbero dovuto fare, o addirittura che ci hanno tradito. Quindi si cercherà in tutti i modi di far passare una sconfitta come una vittoria. Come? Beh, immaginiamo il vertice NATO del 2024 e facciamo loro il favore di redigere un breve comunicato. Il testo sarebbe del tipo: "Noi, Capi di Stato e di Governo della NATO
Noi, Capi di Stato e di Governo della NATO, ci siamo riuniti a Hobart, in Tasmania, per riaffermare il nostro impegno per la sicurezza e la prosperità dell'Europa e la forza del legame transatlantico, nonché per i valori e i principi che hanno guidato l'Alleanza fin dalla sua nascita. Rinnoviamo i nostri ringraziamenti al Governo australiano per aver ospitato la riunione e per aver messo a disposizione un alloggio a prova di bomba nucleare per tutta la durata della stessa.
Accogliamo con favore la partecipazione del Governo ucraino in esilio da Zoom delle Isole Cayman e la partecipazione dei governi di Australia, Nuova Zelanda, Singapore e Vanuatu in qualità di osservatori e di rappresentanti della più ampia comunità internazionale.
Ricordiamo con orgoglio che la fermezza d'intenti e la disponibilità al sacrificio della NATO hanno portato alla completa sconfitta dei tentativi russi di invadere e occupare con la forza i territori dell'Ucraina, della Polonia e degli Stati baltici, ed esprimiamo la nostra rinnovata determinazione ad opporci, con mezzi economici e se necessario di altro tipo, a qualsiasi ulteriore mossa russa in questa direzione.
Abbiamo istituito un Gruppo di lavoro sotto la presidenza congiunta del Vice Segretario Generale e del Vice Presidente del Comitato militare, che riferirà al prossimo Vertice sulle possibili misure per sviluppare l'Alleanza, per continuare a preservare e rafforzare la sicurezza dell'Europa.
Se siete mai stati coinvolti in questo genere di cose, vi renderete conto che si tratta solo di una leggera parodia. Ma perché non vengono mai proposte misure concrete? Perché tutto è sempre mascherato da una nebbia di parole che possono significare qualsiasi cosa per chiunque. In pratica, si può considerare il processo di decisione della politica, e ancor più di descrizione della politica, come un gigantesco esercizio di disegno di diagrammi di Venn. Laddove c'è una sufficiente sovrapposizione, un'idea o un pezzo di linguaggio si fa strada nella casella contrassegnata dal "consenso". Alcune nazioni possono essere fortemente favorevoli, anche se spesso per motivi diversi; altre possono essere disposte ad accettare l'idea o il linguaggio, sempre per motivi diversi. Alcuni potrebbero non essere particolarmente interessati, altri ancora potrebbero essere scontenti, ma decidere che ci sono altre battaglie più importanti da combattere, oppure potrebbero vendere la loro acquiescenza in cambio di concessioni altrove. Quindi, uno dei fatti fondamentali da tenere a mente riguardo a qualsiasi politica multilaterale, o a qualsiasi sua espressione, è che essa significa cose diverse per persone diverse e rappresenta sempre un compromesso di qualche tipo. Per i testi, questo è ciò che viene chiamato Storia dei negoziati, cioè il modo in cui il testo è arrivato a essere così com'è, con tutte le false partenze, le sordide contrattazioni, i mercanteggiamenti, le proposte fallite e i dolorosi compromessi. Si tratta di un'area estremamente poco studiata, sia per quanto riguarda l'evoluzione della politica stessa, sia per il modo in cui questa viene successivamente descritta.
Il problema sorge, ovviamente, quando una politica di compromesso fragile come questa finisce nei buchi e deve essere ripensata. Come ho già sottolineato, non bisogna mai sottovalutare l'importanza dell'inerzia nella politica internazionale, soprattutto quando sono coinvolti molti Stati. Continuare a fare la stessa cosa, per quanto stupida, è sempre più facile che cercare di trovare un consenso per un cambiamento.
In sostanza, questo è il motivo per cui la posizione della NATO (e dell'UE) sulla Russia/Ucraina è ora quasi impossibile. Tanto per cominciare, non è mai esistita "una" politica della NATO nei confronti della Russia, ma una serie di politiche nazionali e multilaterali non molto coerenti che avevano dimensioni diverse, anche all'interno dei singoli Paesi. Sarebbe bello pensare che, da qualche parte in un bunker sotto il quartier generale della NATO, ci sia stato un gruppo di collaboratori Top Secret della NATO che ha lavorato per dieci o vent'anni su come far cadere la Russia e il suo attuale governo. Ma le organizzazioni internazionali non funzionano così, e la NATO certamente non lo fa. Piuttosto, ci sono state forse una mezza dozzina di politiche nazionali e multilaterali, che si sono sviluppate con i nuovi governi e le mutate situazioni. Possiamo elencarne alcune, tenendo presente che raramente sono completamente distinguibili l'una dall'altra.
In primo luogo, c'era la naturale cautela degli Stati europei nei confronti di una grande potenza militare vicina. Questa è una costante della politica internazionale: vale per la posizione della Nigeria in Africa occidentale, per quella degli Stati Uniti in America centrale, della Cina nell'Asia meridionale e persino della Germania in alcuni dei suoi piccoli vicini. Questo non significa, ad esempio, che il Burkina Faso tema un'invasione nigeriana, ma solo che la sua politica di sicurezza deve tenere conto delle dimensioni e della potenza del suo vicino. Dire che la Russia "non era una minaccia" non è proprio il punto, perché in pratica i Paesi più piccoli provano sempre un certo nervosismo nei confronti di quelli più grandi, non per quello che stanno facendo ma per quello che potrebbero ipoteticamente fare.
Questo è stato essenzialmente l'approccio franco-tedesco, tipico di Hollande e Merkel. C'era preoccupazione per le dimensioni e il potere della Russia e il timore che, dopo la Crimea e l'inizio del conflitto separatista nell'Ucraina orientale, il Paese cadesse effettivamente sotto il dominio russo. Dato lo stato deplorevole dell'UAF, bisognava fare qualcosa per addestrarla come deterrente. Ma naturalmente la situazione era molto più complicata all'interno di ciascun Paese e tra altri Paesi che seguivano più o meno la stessa linea. Per cominciare, entrambi i Paesi avevano relazioni complesse e sfaccettate con la Russia: La preoccupazione della Germania per l'accesso al gas russo a basso costo è ben nota, ma forse si è dimenticato che la Francia stava vendendo navi alla Marina russa e che gli equipaggi russi si stavano addestrando su di esse nel 2014, all'epoca della crisi di Crimea. Non c'è alcuna indicazione che Merkel e Hollande abbiano percepito il loro sostegno all'Ucraina e l'accordo di Minsk II come atti ostili, né che abbiano creduto che i russi li avrebbero percepiti come ostili.
Naturalmente, c'erano molti altri attori che sostenevano le politiche della NATO a favore dell'Ucraina per ragioni molto diverse. C'erano nostalgici della Guerra Fredda senza speranza, che sognavano di combattere la battaglia che era stata loro negata dagli eventi del 1989. C'era una grande quantità di razzismo antislavo residuo in molti Stati europei, soprattutto (ma non solo) dell'ex Patto di Varsavia. C'erano estremisti che sognavano di provocare una guerra che avrebbe portato a un cambio di regime a Mosca. Alcuni avevano fantasie di una Russia debole, umiliata e distrutta dall'Ucraina con l'aiuto dell'Occidente. Altri avevano fantasie di una Russia più forte che travolgeva l'UAF, ma che veniva sconfitta dagli uomini delle tribù ucraine sulle montagne con le armi della NATO. O qualcosa del genere. Altri ancora sembravano aver creduto a versioni di entrambi in tempi diversi, o addirittura contemporaneamente. Come ho sottolineato, c'era un'intera ideologia PMC, post-nazionale, post-culturale, post-modernista, per la quale la stessa esistenza della Russia era un insulto ideologico, e che giustificava le sanzioni dell'UE già in vigore. C'erano globalisti per i quali il rifiuto russo di piegarsi era inspiegabile e inaccettabile. C'erano quelli che ritenevano che tutti i problemi internazionali dovessero essere risolti dall'Occidente e dalle sue istituzioni e che vedevano la Russia come un pericoloso emergente. C'era chi si limitava ad assecondare pragmaticamente qualsiasi politica NATO del momento, perché aveva altre priorità e poca influenza.
È improbabile che più di una piccola percentuale di queste persone abbia deliberatamente deciso di provocare un conflitto, e non potrebbero comunque farlo in modo coerente. Quando erano al potere, c'erano certamente gruppi e individui che spingevano per lo scontro aperto, ma facevano solo parte di una comunità molto più ampia, che andava più o meno nella stessa direzione, ma a velocità diverse, con motivazioni molto diverse e obiettivi in qualche modo diversi, e naturalmente erano contrastati da altri gruppi potenti. Ciò che univa questi gruppi più militanti, però, era la convinzione che, alla fine, ciò che facevano non aveva importanza. La Russia era povera e debole, il suo esercito era inutile (tranne per coloro che credevano che fosse spaventosamente forte) e quindi ciò che l'Occidente faceva e diceva non aveva letteralmente importanza perché la Russia non poteva farci nulla. L'Occidente poteva imporre sanzioni, rafforzare l'Ucraina, emettere comunicati incendiari e cercare di intimidire Mosca, ma alla fine non aveva importanza, perché cosa potevano fare i russi? I russi non avevano alcun diritto di considerare queste mosse come minacce, ma se lo avessero fatto, cosa avrebbero fatto? Cosa avrebbero fatto? In effetti, ciò che univa tutti gli attori occidentali in questo dramma, dai più estremi ai più moderati, era un senso di assoluta impunità. La reazione russa semplicemente non aveva importanza e poteva essere ignorata. (Allo stesso modo, tutta la sciocca retorica sulla guerra con la Cina in questo momento non significa che ci sarà una guerra con la Cina, ma solo che l'Occidente sta suonando duro e bellicoso a spese della Cina, perché ciò che la Cina pensa non conta e non può entrare nei calcoli occidentali).
Ecco quindi il senso di panico che ha accompagnato l'intervento russo. Per alcuni è stato il culmine di paure storiche, per altri un'opportunità celeste, per altri ancora un'occasione per perseguire clandestinamente altri obiettivi, per altri ancora un pericolo per l'esistenza stessa della NATO, per altri una meravigliosa opportunità politica per cambiare il sistema di governo in Russia, mentre per altri ancora una secchiata d'acqua gelida gettata su di loro da una realtà recalcitrante. Come spesso accade in politica, le risposte possibili erano molto limitate, e così la NATO finì per fare solo un numero ristretto di cose, che i diversi governi giustificarono a se stessi e ai loro pubblici secondo logiche diverse.
Questa incoerenza della politica originaria significa, a sua volta, che il disfacimento di questa instabile coalizione anti-russa produrrà una situazione molto complessa e potenzialmente pericolosa, con diversi gruppi che tirano in direzioni diverse. Sarebbe stato tutto molto più semplice se ci fosse stato un piano generale. Se il piano fosse sempre stato quello di provocare un confronto diretto con la NATO, allora la NATO avrebbe potuto preparare le forze per rendere possibile tale confronto. Se il piano fosse sempre stato quello di coinvolgere direttamente gli Stati Uniti, allora questi ultimi avrebbero potuto dotarsi dei mezzi necessari per farlo. Inoltre, se l'intera crisi fosse stata provocata dall'industria degli armamenti, quest'ultima avrebbe già aumentato in anticipo la sua capacità di produrre armi e quindi di ottenere maggiori profitti: ma non l'ha fatto.
Quindi parlare di "una" reazione occidentale al tipo di vittoria russa che ho delineato è fuorviante. Una conseguenza molto più probabile è una serie di risposte incoerenti e conflittuali che tendono in direzioni diverse, forse nel disperato tentativo di mantenere una certa solidarietà con la NATO e l'UE, ma che in realtà minacciano di danneggiare o addirittura distruggere entrambe le organizzazioni. È probabile che questa incoerenza non sia solo tra gli Stati, ma anche al loro interno, dato che i diversi gruppi di interesse si combattono e stringono alleanze con altri partner.
Parliamo innanzitutto degli Stati Uniti, perché questo Paese è il più grande attore singolo sul versante occidentale. È tuttavia fuorviante pensare che esista una politica statunitense univoca e definita su qualsiasi cosa: meno che mai sull'Ucraina in questo momento. Nell'infinita e feroce lotta nel fango che è la politica degli Stati Uniti, una tendenza o un gruppo di interesse otterrà di tanto in tanto una vittoria temporanea, che altri gruppi cercheranno immediatamente di minare e ribaltare. (Il fatto che anche il Presidente sia d'accordo su qualcosa non garantisce che questo avvenga davvero). Ci sono fazioni a Washington che vogliono un confronto politico e militare senza fine con la Russia sull'Ucraina e possono arrivare a credere (e persino a convincere altri) di avere il potere di farlo accadere. In realtà, però, non controllano le risorse che renderebbero possibile tale confronto. Infatti, una caratteristica della burocrazia di Washington è che nessuno ha mai il controllo completo di nulla, e la "politica statunitense" è in pratica solo un compromesso instabile che diversi gruppi sono più o meno disposti a sostenere per il momento.
Per questo motivo, il risultato più probabile a breve termine di una vittoria russa a Washington sarà la paralisi. Ubriaco di deliri di superiorità e onnipotenza autogenerati, un intero sistema politico si troverà improvvisamente impotente a influenzare il corso degli eventi. Il risultato più comune in queste circostanze è che il sistema si ripiega su se stesso e si divora, mentre gli attori disperati cercano di scaricare la colpa su altri. Su scala più ridotta, vedremo più o meno la stessa cosa in altri Paesi. Questo è particolarmente vero in Europa, perché le conseguenze pratiche del tipo di scenario che ho descritto sopra saranno molto diverse, ad esempio, in Polonia rispetto al Portogallo. L'unità superficiale tra gli Stati europei in realtà non si estende molto al di là delle loro caste professionali e manageriali, ed è chiaro che l'opinione pubblica sta iniziando a rivoltarsi in modo piuttosto netto contro le presunzioni del PMC, e del PMC stesso, in diversi Paesi. Dal momento che la sinistra si è suicidata in quelle parti d'Europa in cui non era già da tempo parte attiva dell'élite della PMC, il campo è aperto per i partiti di destra (e persino di "estrema destra") per prendere il potere, dal momento che saranno gli unici partiti a parlare delle questioni che interessano la gente comune. (Suggerimento: l'Ucraina non è una di queste).
Ci sarà una grande attività e molte riunioni, comunicati e dichiarazioni da parte della NATO e dell'UE. Ci saranno atti dimostrativi come esercitazioni, dichiarazioni sulle strutture delle forze, iniziative politiche e tentativi di costruire più ampie coalizioni politiche e militari anti-russe. Soprattutto, ci saranno sforzi disperati per mantenere in funzione entrambe le istituzioni di fronte a enormi forze centrifughe.  Questi sforzi probabilmente avranno successo, se non altro perché le possibilità di trovare un accordo su alternative coerenti sono di fatto nulle.
A livello nazionale, intanto, sarebbe profondamente ironico se le politiche occidentali, che molti speravano portassero alla disintegrazione della Russia, portassero invece alla disintegrazione di alcuni sistemi politici occidentali. Ma la storia ha un senso dell'umorismo malvagio e ama le ironie di questo tipo. Questo sarebbe meno importante se ci fossero altre forze politiche sensate e organizzate in attesa di prendere il sopravvento. Ma il deserto politico di cui ho scritto in precedenza, dominato da partiti affiliati al PMC, incompetenti e disprezzati dai loro stessi elettori, non sembra destinato a produrre molte alternative. È improbabile che in qualsiasi momento della storia occidentale ci sia stata una classe politica meno capace di quella attuale, proprio mentre l'Occidente stesso affronta la sua più grande crisi dal 1945. Le conseguenze di questo disallineamento sono impossibili da conoscere per il momento, ma non saranno divertenti e potrebbero rivelarsi i risultati più significativi di tutto questo orrendo episodio.
0 notes