#economia neoclassica
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In edicola e in libreria dal 21 novembre con Il Sole 24 Ore il libro: Per una nuova economia di Elena Beccalli. Costruire paradigmi basati su persona, etica, fiducia e cooperazione
La premessa della ricerca e delle riflessioni che l’autrice Elena Beccalli porta avanti da anni sulle pagine del Sole 24 Ore è che l’economia neoclassica si è tradizionalmente basata sull’utilitarismo individuale, ritenendo che sia neutrale sotto il profi
Elena Beccalli Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Prefazione di Sua Eminenza Cardinal Pietro Parolin Segretario di Stato La premessa della ricerca e delle riflessioni che l’autrice Elena Beccalli porta avanti da anni sulle pagine del Sole 24 Ore è che l’economia neoclassica si è tradizionalmente basata sull’utilitarismo individuale, ritenendo che sia neutrale sotto il…
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https://jacobinitalia.it/salvare-leconomia-da-se-stessa/?fbclid=IwAR0YIJgTm8oBenH0v3PA4AqfKXcRM9d1o0kLZc2fAxIhIUibrVXF5Do2ros
Salvare l’economia da sé stessa
Jacopo Caja
Steve Keen
3 Gennaio 2024
L'economista australiano Steve Keen, intervistato da Jacobin, propone una visione alternativa a quella dell'economia neoclassica che domina da cinquant'anni a livello globale, per fronteggiare realmente le disuguaglianze e scongiurare il collasso climatico
La politica economica dei paesi avanzati negli ultimi anni ha mostrato tutti i suoi limiti ed è sempre più in discussione. Da quasi cinquant’anni, l’economia è dominata dalla visione neoclassica che presuppone la razionalità degli individui e ignora il ruolo della moneta, escludendola dai modelli di previsione. Questa semplificazione, nata con l’idea di rendere più «maneggevole» l’economia, ha prodotto effetti profondi nel mondo reale, aprendo alla deregolazione dei mercati finanziari e alle politiche di austerità.
Steve Keen, professore di economia alla Western Sydney University e all’University College di Londra nel libro L’economia Nuova, da poco uscito in Italia per Meltemi, evidenzia la necessità di un’alternativa a questa visione prevalente. Un’alternativa che tenga conto delle complessità per fronteggiare realmente le disuguaglianze e scongiurare il collasso climatico.
Lei è da sempre uno studioso del mercato monetario e del ruolo del debito privato. Ed è stato uno dei pochi economisti ad aver previsto la crisi del 2008. Come mai, invece, non l’hanno prevista gli economisti mainstream?
Gli economisti neoclassici hanno sempre sostenuto che il denaro non abbia importanza per l’economia reale. Pensano che il governo controlli l’offerta di moneta: se quest’ultimo crea troppa moneta, produce inflazione. In questa visione, i fattori monetari non influenzano il livello reale della produzione. E questo è categoricamente sbagliato. Al contrario, il denaro creato dalle banche diventa sia parte del reddito aggregato che della spesa aggregata. Quindi, il denaro ha effetti reali.
Questo aspetto è completamente tralasciato dagli economisti neoclassici, che si limitano a dire che l’attività di una persona è la passività di un’altra. Il modello neoclassico del sistema bancario è basato sui cosiddetti «fondi mutuabili», per cui le banche non sono altro che intermediari tra persone più pazienti e persone meno pazienti. Quindi, un risparmiatore paziente di fatto sta prestando soldi a uno meno paziente che li sta prendendo in prestito.
Nel mondo reale, le banche quando prestano creano denaro – come rimarcato anche dalla Banca d’Inghilterra nel 2014. Il denaro aggiuntivo creato dalle banche si aggiunge alla domanda aggregata e al reddito. Una volta incluso questo aspetto, diventa ovvio che il fulcro delle crisi finanziarie sono le bolle di debito privato. In corrispondenza delle bolle, il credito – ovvero la variazione del debito – cresce e porta a un’espansione dell’attività economica per un periodo di tempo. Ma, soprattutto se il denaro viene preso in prestito per speculare sui prezzi delle attività, l’aumento del debito aumenta i prezzi senza aumentare la capacità di saldare il debito. E a un certo punto, il sistema crolla.
È quello che è successo nel 1929, e anche nel 2007. Gli economisti neoclassici tendono a trattare la Grande Recessione (o crisi finanziaria globale) come un’anomalia che non sono in grado di spiegare. In effetti, spiegare le ragioni delle crisi è al di fuori delle loro capacità, ma molte persone l’hanno spiegata. E queste persone, come me, si sono concentrate sul ruolo del credito. Se si guarda alla crisi del 2007 negli Stati uniti, il credito è passato da essere più del 15% del Pil nel 2006 a meno 5% nel 2009. Questo enorme cambiamento è ciò che ha portato al crollo. Io ne ero consapevole, e così ho visto arrivare la crisi.
Fondamentalmente, il credito è la causa principale dei crolli dell’economia e delle crisi finanziarie. E poiché gli economisti neoclassici lo ignorano, non sono in grado di prevedere l’arrivo di queste crisi.
In Italia gli effetti della miopia degli economisti si sono visti in maniera più evidente che altrove: il paese è stato un laboratorio in cui si è provato a dare una risposta «ortodossa» alla crisi. In prospettiva, i vincoli fiscali e monetari dell’Ue hanno limitato le capacità di adattamento del paese?
La critica che ho sempre avuto verso l’euro – e questa visione è stata condivisa da economisti con opinioni divergenti come Milton Friedman e Wynne Godley – è che oltre a rinunciare alla sovranità monetaria, si perdeva anche qualcosa in più, ovvero la capacità di controllare la spesa pubblica. La formazione dell’euro è stata una decisione sbagliata sotto tutti i punti di vista.
Ma per l’Italia, in particolare, ha significato perdere la capacità di creare la propria moneta, obbligando il paese ad affidarsi all’Unione europea. Ma con i criteri di Maastricht che limitano al 3% il deficit e al 60% il debito pubblico, crescere diventa complicato. In Italia, poi, già all’inizio dell’esperimento europeo, il livello di debito pubblico era quasi doppio rispetto a quello richiesto. Quindi, la capacità del governo di creare moneta è sempre stata soggetta a forti vincoli, e rimaneva solo il denaro privato da prendere in prestito. Infatti, come in molti paesi europei, anche in Italia si è verificata un’impennata del debito privato, passato da meno dell’80% del Pil all’inizio dell’euro a oltre il 120% al momento della crisi.
Non si tratta di un livello elevato, in media i paesi avanzati hanno un debito privato pro-capite intorno al 180% del Pil. Però l’impossibilità del governo di creare moneta e la crescita eccessiva del debito privato ha portato il paese a trovarsi tra l’incudine e il martello, bloccando la possibilità di stimolare la crescita. Con l’aggiunta, poi, che gran parte del debito privato era usato per speculare sui prezzi, piuttosto che per investimenti produttivi.
Per questo motivo, la performance di crescita dell’Italia è diminuita drasticamente rispetto a come stava andando non solo prima dell’euro, ma anche prima che le politiche liberiste prendessero il sopravvento su quelle keynesiane. Fino agli anni Ottanta, infatti, la crescita dell’Italia era migliore di quella americana. Poi, il paese si è trovato senza gli strumenti per espandere l’offerta di moneta, che è ciò che permette la crescita in un’economia capitalista.
Per certi versi, l’Italia dimostra quanto sia stata sbagliata l’idea del Trattato di Maastricht. Nel 2020, il debito pubblico è cresciuto oltre il 150%. Di conseguenza, ora l’Ue sta costringendo a una massiccia austerità per ridurre il debito e il paese ancora una volta sta sottraendo risorse all’economia. Ma il vero pericolo in un’economia capitalista non è affatto il debito pubblico, ma quello privato. In pratica, si hanno entrambe le gambe legate insieme, e si dice loro di correre.
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La razionalità del mercato
“Con un intervento su twitter, T. M. professore ordinario di Economia all’Università Bocconi di Milano ha spiegato come abbia pienamente senso che il prezzo delle mascherine si sia impennato in concomitanza con l'epidemia di Covid-19: “I prezzi più alti" - ci spiega - "servono ad allocare le mascherine a chi ne ha veramente bisogno. E a scoraggiare quelli meramente ansiosi. Non e’ sciacallaggio. E’ razionalità.”
Ecco, per carità di patria avrei lasciato correre un'uscita così improvvida, se non fosse che gironzolando sui social si finisce per trovare un buon numero di persone (anche sedicenti 'di sinistra') che sostengono che il professore ha ragione, che è proprio così, o addirittura che 'si tratta di leggi naturali'.
Ora, siccome quel giudizio ha dietro di sé il principio di autorità, e siccome la confusione nelle italiche menti è già ben oltre ogni livello di guardia, una breve puntualizzazione è opportuna.
1) L'idea che la 'razionalità' delle leggi di mercato serva ad 'allocare i beni a chi ne ha veramente bisogno' è un'idea che circola nei dipartimenti di economia e talvolta sui manuali.
Trattasi, per dirla con moderazione, di una schietta idiozia.
L'idea, derivata come mille altre, dalle idealizzazioni astratte di cui campa la scienza economica neoclassica, sarebbe che la gravità del bisogno si ripercuote in intensità del desiderio, e l'intensità del desiderio si ripercuote in innalzamento dell'offerta (della disponibilità a pagare). Ergo, chi ha più bisogno di mascherine, o Amuchina o altro finirà per offrire di più e portarsele a casa.
Ovviamente, chiunque non abbia appaltato il cervello per esperimenti in vivo, capisce subito che il mercato NON esamina i 'gradi di bisogno', e che NON ci si reca in farmacia o altrove, con attestati o cestini di bisogno. Ciò cui il mercato è interessato è solo la DOMANDA REALE, non quella 'psicologica' o 'fisiologica', e la domanda reale è dettata da chi ha il denaro per fare l'acquisto. E se ha abbastanza denaro per acquistare un ettolitro di Amuchina solo per il piacere di pulire la piscina, a ciò il mercato è del tutto cieco. (Il presupposto ideale che renderebbe la variabile 'bisogno soggettivo' determinante è l'esistenza di una distribuzione uniforme dei redditi; quanto questo dato abbia a che fare con la realtà può giudicarlo ciascuno da sé.)
2) Chi parla in questi casi di 'razionalità' fa parte di quella significativa parte della popolazione che, vittima di una dieta unilaterale a studi economici, ha introiettato l'idea che la cosiddetta 'razionalità economica' sia una forma di ragione umana. Naturalmente sul piano proprio della stessa razionalità il comportamento più razionale di chi abbia bisogno di X, e non possieda il denaro per accedervi, è di munirsi di un bastone nodoso e abbattere, in un angolo buio, il detentore di X, appropriandosene senz'altro. Per grande fortuna dei detentori di capitale, e dei loro intellettuali accademici di riferimento, la maggior parte delle persone non ragiona secondo i parametri dell'Homo Oeconomicus.
3) Una nota infine a chi parla a proposito di queste come di altre ferree leggi dell'economia' in termini di 'leggi di natura'. Ecco, chi fa questi discorsi è talmente interno al sistema, da non riuscire più nemmeno ad immaginare che qualcosa possa esistere all'esterno. La "naturalità delle ferree leggi del mercato" è la stessa 'naturalità' di consegnare sette vergini in pasto al Minotauro, o di torturare e squartare sulla pubblica piazza i tentati regicidi, o di fucilare dieci civili per ogni soldato tedesco ucciso. E' la naturalità di qualcosa che, nel contesto dato, abbiamo buone ragioni di credere che accadrà. E che tuttavia qualunque possessore di ragione umana, a dispetto di ogni 'razionalità economica', continuerà a ritenere ributtante.”
A.Zock
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Economia Neoclassica
La economía clásica partía del principio de escasez, como lo muestra la ley de rendimientos decrecientes y la doctrina malthusiana sobre la población. A partir de la década de 1870, los economistas neoclásicos como William Stanley Jevons en Gran Bretaña, Léon Walras en Suiza, y Karl Menger en Austria, imprimieron un giro a la economía, abandonaron las limitaciones de la oferta para centrarse…
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