#diritto alla disuguaglianza
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pier-carlo-universe · 5 months ago
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La Giornata Internazionale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza: Un Impegno Universale
Il 20 novembre si celebra il diritto a un futuro migliore per i bambini e gli adolescenti di tutto il mondo.
Il 20 novembre si celebra il diritto a un futuro migliore per i bambini e gli adolescenti di tutto il mondo. Il 20 novembre di ogni anno, il mondo si unisce per celebrare la Giornata Internazionale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, un’occasione per riflettere sull’importanza di garantire ai bambini e ai giovani un futuro libero da discriminazioni, abusi e povertà. Questa data…
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about-me2072 · 1 year ago
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Mi rammarico di quanta disarmonia c'è nel mondo, se ci sforziamo un attimo, affacciandoci alla più grande finestra della terra, ci accorgiamo come il nostro sguardo passa da posti lussuosi, grandi resort, accessori di lusso, macchine costose, vestiti griffati ecc, a strade popolate da persone in condizioni disumane le cosiddette " favelas" , tra virgolette "baraccopoli vivere in condizioni abitative precarie, assenza di fognature e mancato accesso all'acqua potabile,. Ai bambini viene negato il diritto all istruzione e negata una caramella perché essendo che non ci sono medicinali una carie sarebbe devastante. Posti come Guatemala, Africa Subsahariana Asia meridionale: Asia orientale, America Latina Caraibi Congo e tanti ancora. Tutto questo mi fa pensare e chiedermi il perché di tanta disuguaglianza. Impegnati a combattere una lotta di potere si perdono di vista le cose essenziali.. la vita🌻
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curiositasmundi · 2 years ago
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Non c’è un’accezione amabile della patria, e se c’è è forse proprio quella che dovremmo temere di più. La terra dei padri, questo significa patria, è un concetto letterario le cui ambiguità è utile tenere ancora presenti, se non altro perché dimenticarle ci ha dato lezioni amare per tutto il ’900. La prima ambiguità è nelle parole stesse: la patria non è una terra, ma una percezione di appartenenza, un concetto astratto, tutto culturale, che si impara dentro alle relazioni sociali in cui si nasce e dentro alle quali, riconosciuti, ci si riconosce. In un mondo dove i rapporti di confine tra le terre sono cambiati mille volte e le culture si sono altrettanto intrecciate, dire “la mia patria” riferendosi a una terra significa creare di sé un falso logico, oltreché geologico.
La seconda ambiguità è in quel plurale monogenitoriale, quel categorico “padri” che solleva simbolicamente dalle loro tombe un’infinita schiera di vecchi maschi dal cipiglio accusatorio rivolto alla generazione presente. Le madri nella parola patria non ci sono, benché per definizione siano sempre certe, né generano appartenenza, nonostante ce ne sia una sola per ognuno di noi. Non possono esserci perché nell’idea del patriottismo è innestata la convinzione profonda che la donna sia natura e l’uomo cultura, cioè che la madre generi perché è il suo destino e l’uomo riconosca la sua generazione per volontà e autorità, riordinando col suo nome il caso biologico di cui la donna è portatrice.
È in quanto estensione del maschile genitoriale che la patria è divenuta fonte del diritto di identità, perché è il riconoscimento di paternità che per secoli ci ha resi figli legittimi, né è un caso che le rivoluzioni culturali post psicanalisi si definissero anche come “uccisioni dei padri”. Gli apolidi dentro questa cornice si portano inevitabilmente addosso l’aura del figlio bastardo, gli espatriati per volontà sono sempre traditori della patria e gli emigrati economici hanno il dovere morale di coltivare e manifestare a chi è rimasto a casa un desiderio di ritorno, pena il passare per rinnegati.
E se per una volta - solo una, giusto per vedere l’effetto che fa - provassimo a uscire dalla linea di significati creata dal concetto di patria? Averlo caro del resto non ha alcuna attualità; appartiene a un mondo dove il diritto di sopraffazione e la disuguaglianza sociale ed economica erano voci non solo agenti, ma indiscutibilmente cogenti: per metterle in crisi ci sono volute rivoluzioni di pensiero prima ancora che di piazza, e quelle rivoluzioni ci hanno lasciato in eredità il dovere di fare un atto creativo nei confronti di tutte le categorie che non bastano più a raccontare la complessità in cui siamo. E se proprio non è possibile uscire dalla percezione genitoriale dell’appartenenza collettiva - padre, ma anche l’ossimoro madre patria - potrebbe essere interessante cominciare a parlare di Matria.
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costancen · 1 year ago
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👠👠
Qualcuno, forse, ha voluto che io nascessi donna.
In quanto donna desidero sentirmi libera di camminare per le strade di questa terra scegliendo cosa indossare e chi essere. Gli abiti sono espressione della propria identità e l'identità è un processo in fìeri. In quanto donna voglio vivere le trasformazioni della mia identità in maniera libera e spassionata, senza dover pensare esistano uomini incapaci di tenere a freno i loro istinti o persone, in generale, non in grado di dosare le parole. Non voglio subire il giudizio di nessun'altro, né farlo subire alla mia prossima, in quanto anch'essa presente su questo pianeta e deve godere degli stessi diritti.
Il caso ha voluto che io nascessi donna, non che subissi violenza verbale, fisica, psicologica, diretta o indiretta da chicchessia. Sì, perché la violenza non giunge soltanto dagli uomini, ma anche dalle donne che "temono" le altre o che non accettano ci sia sempre la possibilità di scegliere nelle varie strade che la vita propone, dove nessuno ha in partenza disposto che i diritti fondamentali dell'essere umano venissero sottratti.
Il caso ha voluto che io nascessi donna e di questo sono grata, anche se la società fatica ancora ad accettare ognuna possa esser fatta a suo modo: con un corpo che racconti una propria storia e che non per forza rispecchi rigide immagini, canoni o stereotipi; con sogni da inseguire, ambizioni e desideri da avverare senza dover per forza spiegare il perché. Una donna deve avere la possibilità di dire "no" e non bisogna pretendere essa si giustifichi. Una donna può essere chi vuole e nessuno deve erogarsi il diritto di decidere al posto suo.
Appartengo all'unica e universale "razza" dell'essere umano, anche se vengono spesso presi d'esempio coloro che dimenticano o addirittura non conoscono la loro umanità e seminano odio in ogni sentiero percorso. A un certo punto ci si chiede come mai esista la violenza, eppure ogni giorno essa assume sfumature d'ogni sorta attorno a noi, talvolta difficili da rilevare.
"Normalizzare" qualsiasi tipo di violenza - sminuendola o giustificandola - significa normalizzare l'odio. In realtà non bisognerebbe mai smettere di indignarsi dinanzi all'ennesimo insulto, all'ennesimo atto di bullismo o di cyberbullismo, all'ennesimo tentativo di prevaricazione, all'ennesimo abuso. Soprattutto non bisognerebbe mai sentirsi indifesi e impotenti.
Spesso non si discorre di come la violenza nasca da altra violenza, ma ci si limita al giudizio impervio. Non ci si domanda quali siano i fallimenti del nostro sistema, da quali "malattie" sia affetto e come noi agiamo per "prevenire" e "curare" i batteri della disuguaglianza, della disparità, del sessimo, del maschilismo, del razzismo, dell'intolleranza.
Fino a quando esisterà una "Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne" non potremo mai ritenerci pienamente al sicuro. Fino a quando esisteranno giornate volte a sensibilizzare contro qualsiasi genere di violenza, significherà che l'essere umano non avrà ancora compreso i principi basici su cui si fonda ogni singola esistenza.
La promessa urgente che ogni donna deve fare a se stessa è quella di non sentirsi mai sbagliata. Quando succede essa deve allontanarsi da persone e ambienti tossici. Ogni donna deve rivendicare il sacrosanto diritto di essere se stessa.
Il tempo è un bene prezioso e va donato a chi veramente merita: chi è capace di posare lo sguardo con assoluta delicatezza e non a chi vorrebbe vederci sofferenti o, addirittura, esanimi.
Il primo dovere che abbiamo è quello di essere libere di amarci!
Prometto questo e tanto altro a me stessa e anche a Giulia, Oriana, Martina, Teresa, Alina, Giuseppina, Antonia, Rosina, Stefania, Cesina, Iulia, Rossella, Francesca, Wilma, Safayou, Pierpaola, Floriana, Anna, Mara e a tutte le vittime di femminicidio in ogni parte del mondo, dunque alle attiviste politiche Mirabal che vennero deportate, stuprate e uccise sotto la dittatura della Repubblica Dominicana del 1960.
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italiani-news · 11 days ago
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carmenvicinanza · 14 days ago
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Dora Black Russell
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Spero che il lungo cammino della donna nella storia per raggiungere il posto che le spetta contribuisca pienamente e condivida con dignità la formazione di un popolo e di un destino degni del nome di essere umano.
Dora Black Russell, scrittrice, pedagogista, attivista femminista, socialista e pacifista, è stata una pioniera dell’informazione sulla sessualità e ha difeso strenuamente i diritti intellettuali, economici e riproduttivi delle donne, considerati essenziali per ottenere il controllo sulle proprie vite e raggiungere la completa emancipazione. 
Si è impegnata a migliorare il mondo spinta da una convinzione incrollabile nel valore dell’umanità e nel ruolo di ogni persona nel creare un cambiamento positivo. 
Nata Dora Black a Londra, il 3 aprile 1894 in una famiglia alto borghese che teneva all’educazione delle tre figlie come del figlio, si era laureata col massimo dei voti in lingue medievali e moderne al Girton College di Cambridge nel 1915.
È stato all’università che aveva iniziato a frequentare la Heretics Society che, mettendo in discussione le autorità tradizionali e i dogmi religiosi, comprendeva un riesame del posto delle persone nel mondo e una crescente consapevolezza della posizione delle donne, che ha contribuito a sviluppare il suo pensiero femminista.
Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, ha partecipato al Secondo Congresso Mondiale del Comintern a sostegno della causa bolscevica.
Nel 1921 ha sposato Bertrand Russell, filosofo, pacifista e umanista con cui ha condiviso progetti e pensieri, lottando contro l’opinione diffusa che tutte le sue idee derivassero da lui. Insieme visitarono la Russia dei Soviet e la Cina.
Sostenitrice dei diritti riproduttivi delle donne, nel 1924 ha contribuito a formare il Workers’ Birth Control Group per fornire consigli sul controllo delle nascite alle donne della classe operaia. Nello stesso anno, si era candidata, senza successo come laburista per Chelsea. Aveva sostenuto, all’interno del partito, una campagna per sostenere cliniche per il controllo delle nascite, mozione non appoggiata dagli uomini, poco interessati ai diritti delle donne che temevano di perdere il sostegno degli elettori cattolici.
Nel 1925 ha scritto un libro sull’inadeguata istruzione delle donne e sulla disuguaglianza con il titolo Ipazia o la donna e la conoscenza.
Insieme al marito, nel 1927, ha fondato la Beacon Hill School, istituzione progressista che concepiva come un microcosmo di un esperimento più ampio per formare future generazioni più felici. Vi si insegnava ad abbandonare superstizioni e credenze senza supporto razionale per stimolare il libero pensiero, l’apertura e il valore supremo della felicità. Ha diretto la scuola fino al 1943 (gli ultimi undici anni senza Bertrand Russell).
Ha espresso le sue idee sull’educazione nel libro In Defence of Children del 1932, che era successo a quello del 1927, Il diritto alla felicità.
È stata la segretaria fondatrice della sezione inglese della World League for Sexual Reform. Si è impegnata attivamente nell’organizzazione del Congresso della Lega a Londra, nel 1929, che aveva approvato risoluzioni su matrimonio e divorzio, sesso e censura, educazione sessuale, controllo delle nascite, aborto, prostituzione e malattie veneree, basi per una società più tollerante e umana.
È stata co-fondatrice della Federation of Progressive Societies and Individuals nel 1932, il National Council for Civil Liberties nel 1934 e dell’Abortion Law Reform Association nel 1936.
Durante la seconda guerra mondiale ha lavorato per il Ministero dell’Informazione e contribuito a creare il British Ally: Britansky Soyuznik, giornale sovietico pubblicato a Londra.
Dal 1950 in poi, si è dedicata con tutte le sue forze alla causa femminista e pacifista. È stata attiva nel Six Point Group, nella Married Women’s Association e nella Women’s International Democratic Federation.
Nel 1958 ha organizzato la Women’s Caravan of Peace, una marcia attraverso l’Europa fino a Mosca al culmine della Guerra Fredda, chiedendo pace e disarmo.
Impegnata fino alla fine dei suoi giorni, aveva 89 anni quando ha guidato una manifestazione della Campaign for Nuclear Disarmament a Londra, tenendo un celebre discorso alla Merseyside Paece Week.
La sua autobiografia in tre volumi, The Tamarisk Tree, è stata pubblicata nel 1977, 1981 e nel 1985.
Si è spenta a Porthcurno, in Cornovaglia, il 31 maggio del 1986, all’età di 92 anni.
Dora Black Russell per tutta la sua vita ha sfidato la tradizione e sostenuto il progresso come mezzo per raggiungere una società più giusta e felice.
Io vedo questo tipo di amore – l’empatia che dovrebbe essere comune a tutte le creature viventi – piuttosto che gli approcci religiosi e intellettuali, come la possibile forza riconciliatrice per la pace nel mondo e come la base per la cura e l’educazione dei bambini.
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tinadicit · 2 months ago
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Pranzo domenicale a casa del mio compagno con tutta la sua famiglia.
Finiamo di mangiare e aiuto a togliere qualche piatto (come insomma un essere civile dovrebbe fare invitato ad un pranzo a casa di qualcun altr*, ripudio dalla tradizione "È casa mia, voi siete serviti e riveriti". Se vogliamo essere serviti e riveriti andiamo in un ristorante e paghiamo l* camerier*, cuoch* e tutto l'ambaradam che gira attorno per essere serviti e riveriti).
La madre del mio compagno "no stai tranquilla, lascia stare"
Io "No, ma mi sento in imbarazzo a stare ferma senza far niente"
Lo zio machista di turno "Se vuoi sta mia moglie che ha bisogno di una mano in casa."
Ora.
A voi tutte le considerazioni del caso.
Io solo tanto schifo.
A stento mi sono trattenuta da dirgli "Ah perché tu cosa fai?".
Il punto è proprio in queste piccole frasi, battute, idee e preconcetti. Come l'altro giorno che stavo ad un convegno di Giuslavoristi che parlavano di lavoro povero, di lavoro dei detenuti, di diritti, e poi, quando è arrivato l'argomento lavoro riproduttivo e di cura, hanno utilizzato il termine "lavoro delle donne". Ma ci siete o ci fate? Come potete fare un convegno sul lavoro povero e sui diritti e sulle leggi che servono, in un'ottica "progressista" con la terminologia "il lavoro delle donne". Non è il lavoro delle donne. Si chiama lavoro di cura e riproduttivo. Ed è asessuato. Categorizzarlo in un genere è identificarlo in quel genere, non è andare avanti, ma è rimanere lì dove si è. Vero che il diritto viene sempre dopo e quello che fa è solo regolarizzare l'esistente. Ma in alcuni temi rimanere fermi nel presente non va bene. E poi si cadrebbe nel giro contorto del "Ho solo seguito gli ordini" dei sottoposti e generali tedeschi durante la Shoah. Quello era pieno diritto. E cosa ha portato? Usare la giusta terminologia, anche da altre materie che sia sociologia o filosofia o antropologia, ma comunque usare una giusta terminologia. Altrimenti l'interlocutore basico e decerebrato si fa inculcare ah lavoro delle donne, allora faccio bene a starmene spanzato sul divano a grattarmi l'ombellico mentre mia moglie tornata alle otto di sera da lavoro mi cucina la cena. Coglione.
Faccio molta fatica. Però con mia madre forse qualcosa si sta smuovendo. Le faccio stamattina un discorso sulla costituzione italiana primo articolo. "l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro". Le faccio un discorso molto semplice e comprensivo sulla distinzione tra lavoro produttivo e lavoro riproduttivo e con calma le dico
"Vedi mamma, il lavoro riproduttivo è proprio quello che fai tu. Che cucini, lavi, pulisci, ti occupi della famiglia quando ha dei malanni e mandi avanti attraverso i tuoi gesti quotidiani tutto il resto del mondo. Io e mio fratello studiamo, papà lavora retribuito e tutto grazie a te che ti sei sempre occupata di noi. Il punto è che, la distinzione tra i due lavori non dovrebbe esserci. Ogni lavoro ha il suo carico e sforzo che sia fisico e mentale e ogni lavoro ha pari dignità, ma la società vuole che ci siano lavori che sono retribuiti e altri invece che sono sommersi, gratuiti, sfruttati e che non siano visti. Questo è il motivo per il quale tu mamma non hai uno stipendio. E non è giusto questo, perché tu lavori 12 ore al giorno 7 giorni alla settimana senza pausa e riposi, senza diritti, senza ferie e senza giorni di malattia. Una retribuzione consona per te sarebbe il minimo sindacale."
E mia madre che paziente mi ha ascoltata da credente che è ha risposto "Be', il mondo è ingiusto e l'essere umano è imperfetto, altrimenti saremmo nel Regno dei Cieli".
Un commento che comunque, ha un suo fondamento nella disuguaglianza, e forse forse, dopo anni e anni qualcosa si muove.
Il personale è politico.
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cinquecolonnemagazine · 2 years ago
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Empowerment femminile: esiste in azienda ancora un gap salariale?
Il 45% delle manager pensa che ci sia un gap salariale tra persone di genere diverso all’interno della propria azienda e l’85% ha pensato di cambiare azienda negli ultimi 5 anni, sintomo di realtà lavorative che non sono in grado di valorizzare e trattenere i propri talenti. Un fenomeno che spesso si concretizza nella ricerca di un nuovo posto di lavoro: infatti, il 53,3% afferma di aver cambiato azienda negli ultimi 5 anni.  Gap salariale, la survey di WomenX Impact Questi sono solo alcuni dei dati che emergono dalla survey condotta su un campione di cento donne appartenenti alla community di WomenX Impact, il principale evento sull’empowerment e l’imprenditoria femminile in Italia. Creato da Eleonora Rocca, WomenX Impact nasce per valorizzare il ruolo delle donne nella società civile ed economica attraverso la presentazione di case studies e testimonianze di leadership femminile esposte da importanti imprenditrici, manager, CEO, influencer e libere professioniste. l palinsesto degli speaker conta già numerose presenze e figure internazionali che arrivano da tutto il mondo, da Boston, Dubai, Parigi, Londra, e non solo, pronte a salire sul palco per formare ed ispirare le leader di oggi e di domani. Uomini e donne al lavoro Tornando ai dati, emerge che il 64% delle intervistate ritiene che ci siano delle soft skill che riescono ad avvantaggiare di più le donne rispetto gli uomini, come ad esempio: una maggior capacità organizzativa (indicata dal 28% delle intervistate), maggiore empatia (26%) e una maggior capacità di mediazione (6,7%). Capacità che non trovano concretezza nella quotidianità lavorativa, dato che il sentimento comune è quello di non sentirsi valorizzate abbastanza sul luogo di lavoro. Inoltre, il 47% afferma che all’interno delle proprie aziende non sono state attuate azioni concrete per migliorare il livello di parità salariale di genere. Riguardo gli ostacoli per le donne nei loro percorsi di carriera, il 50% indica che il maggior impedimento sia la poca possibilità di conciliare la vita lavorativa e quella familiare. Segue con 36,7% il retaggio culturale, come ad esempio i pregiudizi e gli stereotipi nei confronti delle donne, e la disuguaglianza di retribuzione tra uomini e donne indicata dal 6,7%. Interpellate sulle azioni concrete per combattere il gender gap, il 51,7% ritiene essenziale che le aziende adottino politiche trasversali di welfare che favoriscano un maggior equilibrio tra famiglia-casa-lavoro. Seguono una maggior parità salariale tra uomini e donne (23,3%) e un bisogno di maggior formazione aziendale (11,7%). Ridurre il gap salariale “La riduzione del gap salariale è un passo fondamentale verso la parità di genere. Solo quando donne e uomini saranno retribuiti in modo equo per lo stesso lavoro potremo parlare di una società giusta, inclusiva e progressista. Impegniamoci oggi per costruire un domani in cui il talento e il valore siano riconosciuti indipendentemente dal genere, creando opportunità e abbattendo quelle barriere dure da buttare giù” – ha dichiarato Eleonora Rocca, Founder e Managing Director di WXI – “La parità di retribuzione è un diritto universale e insieme possiamo renderlo una realtà.” WomenX Impact Summit 2023 La survey sarà presentata nel corso del WomenX Impact Summit 2023 dal 23 al 25 novembre che anche quest’anno si terrà presso il FICO Eataly World di Bologna. L’evento vedrà la partecipazione di molte professioniste e professionisti che tratteranno di come le aziende stanno affrontando questo cambiamento, spunti di riflessione importanti sul futuro dei media e della comunicazione, sul ruolo dei content creator e degli influencer nell’orientare le nuove generazioni rispetto ai valori in cui credere e tanti altri temi che verranno affrontati durante il summit. Read the full article
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pinktastemakerruins · 4 months ago
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La Costituzione italiana, entrata in vigore nel 1948, presenta elementi che riflettono un contesto storico patriarcale, nonostante i suoi principi di uguaglianza.
L'articolo 29 della Costituzione Italiana definisce la famiglia come "società naturale fondata sul matrimonio", enfatizzando l'unione tra un uomo e una donna, invece di ispirarsi a principi di autodeterminazione e uguaglianza fra uomini e donne.
L'articolo 3 della Costituzione italiana afferma che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso; tuttavia, la realizzazione di questa uguaglianza non è mai avvenuta, perché chi ha concepito la Costituzione italiana ha cercato di garantire diritti solo agli uomini, e le norme sociali e culturali sbagliate del tempo continuano a perpetuare disuguaglianze ancora oggi.
"E il patriarcato è lì con te adesso?"
IL PATRIARCATO E' UN PROBLEMA REALE, non solo una parola, che influisce su molte donne: è un sistema di potere che crea disuguaglianza, violenza, e ignorarlo non fa che perpetuare il grave problema, come dimostrano le statistiche sulla violenza di genere.
Ogni donna ha il dovere di rivendicare la sua dignità e il suo diritto ad essere rispettata: a non permette a NESSUNO di sminuire il suo valore come Persona.
Il patriarcato non deve trovare più spazio nella vita di nessuna donna.
"Linda, se hai così tanto da piagnucolare posso (perché ne ho la disponibilità) di pagarti il viaggio in Arabia Saudita, e se ti va posso addirittura comprarti casa la, a te andrebbe bene? Sono sicuro che ti troverai benissimo in una società che tratta per davvero di merda le donne depersonificandole mettendole al pari di un soprammobile"
Queste affermazioni riflettono l'IGNORANZA patriarcale, che sminuisce i problemi reali delle donne in Italia, tentando di farli apparire come inventati rispetto a grave situazioni esistenti in altri Paesi; il fatto che esistano situazioni allarmanti in altri Paesi non cancella il sistema patriarcale italiano, dove una donna non può decidere ancora da sola per la propria vita; quando una donna prova a decidere da sola, viene uccisa DA UN UOMO, come è accaduto a Giulia Cecchettin e a molte altre donne.
Il patriarcato è un sistema che permea vari aspetti della nostra società, influenzando le dinamiche di potere e le opportunità per le donne: negare questa realtà non aiuta a migliorare la situazione. Le statistiche mostrano chiaramente che la violenza di genere è un problema serio in Italia, con un alto numero di femminicidi e violenze domestiche. Questo è un chiaro indicativo di un sistema patriarcale che continua a esistere.
Gli stereotipi di genere sono ancora molto radicati nella cultura italiana, e questo influisce sulla vita quotidiana delle donne, limitando le loro libertà e opportunità; ovviamente il comune cittadino maschio stupido, che in Italia prevale, non è interessato a cambiare la situazione, perché vuole continuare a godere di privilegi guadagnati con violenza e prevaricazione verso il sesso femminile - per poi lamentarsi se una donna non vuole avere a che fare con un retrogrado.
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Commenti come questo qui sopra, che spesso si trovano sui social in risposta alle donne femministe, dimostrano quanto sia radicato il patriarcato negli uomini italiani, dove le donne vengono derise per le loro opinioni e contestazioni, poiché le nostre pretese progressiste infastidiscono, toccando il nervo scoperto soprattutto degli uomini che non riescono a trovare una compagna o non l'hanno ancora mai avuta, o sono stati lasciati, perché sgradevoli in quanto STUPIDI (situazione sempre più diffusa).
E' interessante come gli incel scelgano di cambiare argomento invece di affrontare il problema reale del patriarcato: questo dimostra proprio che parlare di patriarcato li infastidisce, poiché non vogliono sentirsi responsabili del fatto di essere uomini brutti, soli - soli perché non sanno stare al mondo.
Denuncia collettiva nei confronti dei Consultori per fermare le violenze sulle donne
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Perché questa petizione è importante
I tempi sono più che maturi per una denuncia collettiva nei confronti dei 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐮𝐥𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐟𝐚𝐦𝐢𝐥𝐢𝐚𝐫𝐢: oggi, una donna che voglia abortire subisce una palese 𝘃𝗶𝗼𝗹𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗽𝘀𝗶𝗰𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗰𝗮 basata sulla moralità distorta che l'aborto sia omicidio (illecita colpevolizzazione); quella specifica gravidanza indesiderata, inoltre, si tenta di trasformarla in GPA, in Gestazione per Altri ("puoi darlo in adozione") - questione che nel nostro Paese ancora non è diritto riconosciuto e normato adeguatamente.
La 𝘃𝗶𝗼𝗹𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗽𝘀𝗶𝗰𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗰𝗮 è una forma di maltrattamento che si manifesta attraverso atti, parole e comportamenti volti a controllare e sottomettere un'altra persona, senza l'uso della forza fisica; 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗼 𝘁𝗶𝗽𝗼 𝗱𝗶 𝘃𝗶𝗼𝗹𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗲̀ 𝘀𝗽𝗲𝘀𝘀𝗼 𝘀𝗼𝘁𝘁𝗼𝘃𝗮𝗹𝘂𝘁𝗮𝘁𝗼 𝗽𝗼𝗶𝗰𝗵𝗲́ 𝗻𝗼𝗻 𝗹𝗮𝘀𝗰𝗶𝗮 𝘀𝗲𝗴𝗻𝗶 𝘃𝗶𝘀𝗶𝗯𝗶𝗹𝗶, 𝗺𝗮 𝗽𝘂𝗼̀ 𝗮𝘃𝗲𝗿𝗲 𝗲𝗳𝗳𝗲𝘁𝘁𝗶 𝗱𝗲𝘃𝗮𝘀𝘁𝗮𝗻𝘁𝗶 𝘀𝘂𝗹𝗹𝗮 𝘀𝗮𝗹𝘂𝘁𝗲 𝗺𝗲𝗻𝘁𝗮𝗹𝗲 𝗲 𝘀𝘂𝗹 𝗯𝗲𝗻𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝘃𝗶𝘁𝘁𝗶𝗺𝗲.
La 𝘃𝗶𝗼𝗹𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗽𝘀𝗶𝗰𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗰𝗮 può manifestarsi in vari modi, tra cui: - 𝗢𝗳𝗳𝗲𝘀𝗲 𝗲 𝗶𝗻𝘀𝘂𝗹𝘁𝗶: commenti denigratori e svalutazioni personali (esempio: "𝐿'𝑎𝑏𝑜𝑟𝑡𝑜 𝑒̀ 𝑜𝑚𝑖𝑐𝑖𝑑𝑖𝑜" = le donne che abortiscono sono assassine *) - Minacce: intimidazioni verbali che creano paura - Controllo: limitazione della libertà personale e delle interazioni sociali - Isolamento: privazione delle relazioni con amici e familiari - 𝗠𝗮𝗻𝗶𝗽𝗼𝗹𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗲𝗺𝗼𝘁𝗶𝘃𝗮: utilizzo di sensi di colpa per mantenere il controllo sulla vittima (*)
𝗟𝗮 𝗱𝗼𝗻𝗻𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝗱𝗲𝗰𝗶𝗱𝗲 𝘃𝗼𝗹𝗼𝗻𝘁𝗮𝗿𝗶𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗱𝗶 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗿𝗼𝗺𝗽𝗲𝗿𝗲 𝘂𝗻𝗮 𝗴𝗿𝗮𝘃𝗶𝗱𝗮𝗻𝘇𝗮 𝗻𝗼𝗻 𝘂𝗰𝗰𝗶𝗱𝗲 𝘂𝗻𝗮 𝘃𝗶𝘁𝗮 𝘂𝗺𝗮𝗻𝗮: il feto, scientificamente, è soltanto una 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑡𝑎̀ 𝑏𝑖𝑜𝑙𝑜𝑔𝑖𝑐𝑎 e non una persona giuridica; ritenere che l'aborto equivalga all'omicidio comporta inoltre conseguenze illogiche, come il considerare anche la contraccezione come un atto omicida; l'idea che un embrione sia una persona sin dal concepimento è una convinzione metafisica priva di fondamento scientifico, perché la 𝘃𝗶𝘁𝗮 𝗯𝗶𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗰𝗮 esiste prima della formazione dell'embrione: non è corretto pertanto assegnare lo status di 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑎 ad un embrione in fase iniziale.
Si chiede di firmare affinché medici obiettori e Pro Vita siano del tutto allontanati dal settore sanitario in modo definitivo.
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io-pentesilea · 6 years ago
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La libertà è innanzitutto diritto alla disuguaglianza.
-Nikolaj Berdjaev
Freedom!!!
Pentesilea
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quadernorosso · 2 years ago
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Dicembre per me, è stato solo Annie Ernaux! Mi sono immersa nella lettura dei suoi scritti che ho divorato senza riuscire a fermarmi. Oggi voglio parlarvi del libro "La donna gelata", un libro che parla della donna degli anni Quaranta alle temperie di liberazione degli anni Settanta; affronta uno dei temi più discussi del nostra epoca: la disuguaglianza di genere.
«Sempre attenta ai bisogni degli altri. Come se per una donna non ci fosse nulla, proprio nulla, di più importante.»
Questo libro è un punto di vista. Un racconto che illustra con parole leggere che l'uomo e la donna non sono la stessa cosa e quindi impossibile pretendere di essere sullo stesso piano. Certo, all'inizio è diverso. Anche se tutti le anticipano che il suo futuro è quello di moglie; si illude che lei non cadrà nella trappola. Poi, cresce, e si sente incompleta. Pensa che il matrimonio sia quel tassello di puzzle che la farà sentire finalmente completa. Si sposa. Rimane incinta. Ha dei sogni? Sì, diventare una professoressa, insegnare. Per il marito è facile continuare i studi. Lei deve badare al bambino e alla casa. Poi, nelle poche ore di liberazione, prova a studiare. Viene bocciata all'esame. Il marito no. Il marito prosegue nella sua carriera. È un percorso che è un suo diritto. A lei rimane il diritto di badare agli altri. Di sé stessa si dimentica.
«Sono finiti senza che me ne accorgessi, i miei anni di apprendistato. Dopo arriva l'abitudine. Una somma di intimi rumori d'interno, macinacaffè, pentole, una professoressa sobria, la moglie di un quadro che per uscire si veste Cacharel o Rodier. Una donna gelata.»
È un libro forte. Che insegna a scegliere sé stesse. E soprattutto, è un libro che dove essere letto, per conoscere la disuguaglianza che ancora oggi, nella nostra epoca, viene regolarizzata.
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corallorosso · 3 years ago
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L’Italia è alla frutta: ecco gli ultimi disonorevoli indizi di Paolo Ercolani Talvolta è sufficiente un piccolo esercizio per ottenere il quadro di un paese, nella fattispecie il nostro. L’esercizio consiste nel mettere insieme alcune notizie tratte dalla cronaca più stringente. Se apriamo il giornale leggiamo di un europarlamentare che, nell’atto di doversi esprimere a difesa di un noto prodotto italico contro le brutte copie straniere dello stesso, è costretto a rinunciare al proprio intervento perché incapace di svolgere un discorso di sessanta secondi in inglese. Poi leggiamo di un uragano che sta per abbattersi sulla Sicilia sud-orientale, dove il maltempo aveva provocato svariati danni già pochi giorni fa, ma contemporaneamente veniamo a sapere che gli amministratori di quella regione non sono riusciti ad attingere alla consistente somma di denaro che l’Europa aveva messo a disposizione per i territori colpiti da fenomeni climatici. Si parla di cifre considerevoli praticamente inutilizzate. Sempre in questi giorni abbiamo assistito allo spettacolo indegno di un Parlamento italiano che riporta il nostro paese al Medioevo, bocciando una legge che avrebbe garantito le persone vittime di violenza in seguito a un pregiudizio sessuale o riferito a una qualche disabilità. Invece di rappresentanti eletti dal popolo per curare gli interessi di quest’ultimo – profumatamente pagati anche per tenere un decoro degno della posizione ricoperta (questo determina la Costituzione) – abbiamo visto signori disonorevoli sbraitare e festeggiare come forse soltanto in uno stadio di calcio. Ciò a motivo dell’essere riusciti ad affossare una legge che non avrebbe limitato la libertà di alcuno, ma soltanto tutelato quella di molte persone che da tempo immemore subiscono violenze ai più vari livelli. Sì, il nostro è fra i paesi in cui molte persone ancora si sentono in diritto di discriminare, dileggiare o esercitare violenza verso altri individui soltanto in virtù delle loro inclinazioni sessuali o in nome di una intollerabile diversità. Si sarebbe potuto porre fine a questa barbarie premoderna, attuata sulla base di questioni tanto private quanto superficiali, ma evidentemente non da un Parlamento in cui molti sono il prodotto di quella medesima barbarie, invece che l’auspicabile cura. Bastano questi pochi esempi per rendersi conto delle due radici malate che affliggono la pianta dell’Italia, riassumibili con due termini: competenza e ignoranza. La prima è quella che sempre più risulta sistematicamente ignorata quando si tratta di far assurgere persone a ruoli politici, amministrativi e culturali, in buona sostanza operando attraverso privilegi e cooptazioni invece che considerando il merito individuale. La seconda è quella condizione per cui si è di fatto lavorato da decenni, in cui tutto ciò che è cultura, educazione e istruzione è stato meticolosamente ignorato, degradato e impoverito. Non a caso siamo fra gli ultimi paesi per investimenti sulla ricerca e fra i primi per tagli indiscriminati all’istruzione. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un’opinione pubblica mediamente ignorante e imbarbarita, con una classe politica che ne rappresenta la degna proiezione. Un’epoca sciagurata, la nostra, in cui si procede nell’errore fatale di scambiare l’informazione per conoscenza. Sulla base di questo assunto è derivato l’intendimento assurdo che ogni testa valga uno, che ogni persona possa ricoprire qualunque ruolo e soprattutto che non vi sia bisogno di figure competenti nei vari ruoli che vanno dal “popolo” al “potere”. Basterebbe la Rete a compensare ogni laurea mancata, come ci insegnano no vax e complottisti di varia estrazione. È perfettamente inutile gridare al pericolo del fascismo, se poi dimentichiamo che esso è stato il prodotto dell’ignoranza e della disuguaglianza sociale che proprio sono tornate ad abbondare. A questo si aggiunga la scarsa qualità delle figure intermediarie (parlamentari, scienziati, docenti etc.), che troppo spesso ricoprono quei posti a fronte di tutto salvo che per merito, e avremo il capolavoro finale di un popolo abbrutito ed esasperato in cerca del Duce salvifico. Dimenticavo l’ultimo episodio tratto dalla cronaca di questi giorni, eloquente anch’esso. La senatrice Liliana Segre, oggetto al tempo stesso di sciocche beatificazioni (a sinistra e dintorni) e vergognose offese (a destra e dintorni), dopo essere stata indicata da più parti come prossimo Presidente della Repubblica, ha candidamente e onestamente declinato accampando la più ragionevole e oscena delle motivazioni: non ha le competenze per ricoprire un ruolo politico così delicato. C’è voluta una nobile signora scampata al fascismo per fornirci una delle chiavi con cui evitare il nuovo fascismo, quello che sta bussando con forza alle porte di un paese alla frutta.
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libriaco · 4 years ago
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Uno per tutti
Nessuno ha il diritto di lavorare solo per la propria personale soddisfazione, di chiudersi nei confronti dei suoi simili e rendere la sua cultura inutile per essi. Infatti è proprio grazie al lavoro della società che egli è stato messo nella condizione di acquisire quella cultura; questa è in un certo qual modo un prodotto della società, un suo possesso; ed egli deruba i suoi simili di una loro proprietà se non vuole utilizzare la sua cultura in loro favore. Ognuno ha il dovere non solo di voler esser utile alla società nel suo insieme, ma anche di dirigere tutte le sue energie, nell’ambito delle sue possibilità, alla realizzazione del fine ultimo della società, che è quello di rendere sempre più nobile il genere umano e di renderlo sempre più autonomo, autosufficiente e libero dal giogo delle forze naturali. Così da questa nuova disuguaglianza viene a determinarsi una nuova uguaglianza, vale a dire un progresso uniforme della cultura in tutti gli individui.
J. G. Fichte, [Einige Vorlesungen über die Bestimmung des Gelehrten, 1794],  La missione del dotto, Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1991 [Trad. M. Marroni]
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canesenzafissadimora · 4 years ago
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La libertà è innanzitutto il diritto alla disuguaglianza.
cit
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rosaleona · 2 years ago
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“Ogni due minuti nel mondo muore una donna per cause legate alla gravidanza. Il 45% degli aborti praticati non sono sicuri”
“Ogni due minuti nel mondo muore una donna per cause legate alla gravidanza. Il 45% degli aborti praticati non sono sicuri” https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/04/06/ogni-due-minuti-nel-mondo-muore-una-donna-per-cause-legate-alla-gravidanza-il-45-degli-aborti-praticati-non-sono-sicuri/7122632/
Presto anche in Italia.
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carmenvicinanza · 11 months ago
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Kikue Yamakawa
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Kikue Yamakawa, scrittrice e politica, ha dedicato la sua vita alla liberazione delle donne giapponesi e al miglioramento della loro condizione domestica, lavorativa e sociale.
Pioniera del femminismo socialista nipponico, ha contribuito a fondare l’associazione Sekirankai (l’Onda Rossa) e pubblicato un famoso manifesto in sei punti per chiedere tutela e pari diritti per le donne del suo Paese.
Nata a Tokyo il 3 novembre 1890, col nome di Kikue Aoyama, discendeva da una nobile famiglia di samurai da parte di madre. Ma lo spirito nazionalista e conservatore non ha mai attecchito sulla sua indole rivoluzionaria. Grazie al suo status privilegiato ha potuto frequentare l’accademia di lingua inglese Joshi Eigaku Juku. Il tipo di insegnamento limitante rispetto al sistema di istruzione maschile, aveva ben presto, provocato in lei critiche e dissenso.
Durante gli anni universitari, le si è spalancato il mondo del pensiero femminista e, grazie a Raichō Hiratsuka, fondatrice della prima rivista letteraria di sole donne Seitō, che ha illuminato i movimenti femminili nel primo ventennio del XX secolo, ha potuto pubblicare i suoi primi scritti.
Laureatasi alla Tsuda English Academy nel 1912, aveva 17 anni quando ha sposato Hitoshi Yamakawa, futuro professore di economia all’Università di Kyoto, leader sindacale e uno dei primi membri del movimento comunista clandestino poi passato alla fazione Rōnōha (Gruppo dei lavoratori e agricoltori) del movimento socialista. La coppia ha avuto spesso problemi con la legge a causa delle loro posizioni.
Kikue Yamakawa è passata da teorica ad attivista nel momento in cui, nell’aprile 1921, ha contribuito alla fondazione dell’associazione socialista femminile Sekirankai il cui scopo principale consisteva nell’abolizione del capitalismo, visto come fonte primaria dell’oppressione nei confronti delle donne. Dopo una vita breve e tumultuosa, due anni dopo, l’organizzazione è definitivamente sciolta.
La condizione delle donne e, in particolare, quella delle lavoratrici è stata al centro del suo interesse. Ha contribuito a organizzare una serie di conferenze sui diritti femminili al Kanda Seinen Kaikan e nel 1925, quando si è ristabilito il partito comunista, ha pubblicato un manifesto in sei punti, ancora attuale:
Abolizione del sistema familiare patriarcale e delle leggi a favore dell’ineguaglianza fra uomini e donne.
Uguali opportunità nel campo dell’istruzione e del lavoro.
Abolizione del sistema di prostituzione autorizzata.
Garanzia di salario minimo indipendentemente da sesso ed etnia.
Parità di retribuzione a parità di lavoro.
Tutela della maternità inclusa l’assistenza post natale e il divieto di licenziamento delle donne in gravidanza.
Il partito aveva accettato tutti i punti del suo programma tranne quello riguardante la prostituzione.
Visto che le donne continuavano a essere relegate alle sezioni femminili dei partiti e dei sindacati, ha continuato a esporsi per espandere l’identità delle donne da oggetto a soggetto, costante comune tra tutti i partiti, conservatori o liberali.
Dopo l’allargamento della guerra del Giappone contro la Cina nel 1937 e contro l’Occidente, sebbene di sinistra, è stata più incline a interagire con lo stato sempre più autoritario in tempo di guerra che ad opporsi o sfidarlo. Sostenere le posizioni di governo erano da lei considerate come un modo per ottenere vantaggi sociali migliori per le donne. 
Contro le politiche di assistenza finanziaria che forniscono solamente soluzioni parziali, non ha partecipato al movimento per il suffragio femminile chiamato Shin Fujin Kyōkai (Associazione delle Nuove Donne), ritenendo  che concentrarsi sul diritto di voto, senza alcuna critica costruttiva su ciò che la società doveva essere, avrebbe perpetuato la disuguaglianza delle donne, utilizzandole come armi della dittatura.
Quando il movimento socialista giapponese venne dichiarato fuorilegge, il marito venne arrestato. Rimase in carcere per due anni e dopo la guerra, si unirono entrambi al Partito Socialista Giapponese.
Dal 1947 al 1951 è stata a capo dell’Ufficio Donne e Minori del Ministero del Lavoro.
Durante la sua direzione venne prestata notevole attenzione alla parità salariale, la tutela dei diritti delle lavoratrici e la riduzione del lavoro minorile. È stata anche responsabile del lancio della Settimana della donna, a partire dall’aprile 1949.
In un’intervista sul Tokyo Times, del 12 novembre 1948, ha dichiarato che dovere del suo dipartimento era proteggere e dare dignità a donne e minori, per fare questo era necessario conoscere e indagare sulla reale vita quotidiana della popolazione per scoprire quale fosse il problema più urgente delle  lavoratrici o delle vedove di guerra.
In Giappone le leggi sono cambiate e alle persone sono stati concessi uguali diritti, ma la popolazione non ne conosce il vero valore. Auspichiamo che tutte le donne abbiano abbastanza buon senso da rivolgersi al tribunale per le relazioni domestiche quando si presenta una causa di divorzio e che le leggi svantaggiose per le donne vengano riviste.
Prolifica scrittrice di saggi e libri, la sua vita, il suo pensiero e il suo impegno politico sono stati importanti per mostrare il contributo delle donne all’evoluzione del movimento socialista giapponese e per l’attuazione di riforme significative per lavoratrici e minori in un’economia ancora impoverita del primo dopoguerra.
Ha continuato a scrivere e impegnarsi fino alla sua morte, avvenuta il 2 novembre 1980.
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