#dimora dei propri sogni
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La verità è che nessuno si regge più in piedi da solo, sulle proprie gambe. Nessuno regge più il dolore, la perdita, la frustrazione, l’attesa.
Insomma, le cose della vita.
Abbiamo bisogno di normalizzare i processi della vita: nascere, crescere, ammalarsi, ferirsi, invecchiare, morire.
Un tempo si moriva sazi di vita, appagati, senza rimpianto alcuno, in modo del tutto naturale.
Oggi si muore insoddisfatti, delusi e stanchi.
Il lutto non rientra più nelle categorie del vivente.
Abbiamo inventato questa parola: “elaborazione”, dimenticando che i lutti non si elaborano, ma si accolgono, come parti integranti dell’esistenza, tutt’al più si contemplano come espressioni mutevoli del flusso continuo della vita.
“Sii paziente verso tutto ciò
che è irrisolto nel tuo cuore
e cerca di amare le domande,
che sono simili a
stanze chiuse a chiave
e a libri scritti
in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte
che possono esserti date
poiché non saresti capace
di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa.
Vivere le domande ora.”
Aveva ragione Rilke.
Abbiamo disimparato il valore del piangere insieme, di condividere il pasto, dono gentile e premuroso gesto della vicina di casa, la sera, quando si raccontava ai bambini dove sta il nonno adesso, e si passava la carezza della mano piccola sul suo viso freddo e immobile, disteso sul letto.
I sogni facevano il resto, perché si aveva tempo per dormire e per sognare. E al mattino, appena svegli, per raccontare.
Così chi non c’era più continuava ad esserci, a contare, a suggerire, a consolare.
I morti stavano insieme ai vivi.
Complicato allora non è il lutto, ma il modo di viverlo, di trattarlo, come se fosse una malattia in cerca di una cura. Ma la vita non è un problema da risolvere.
Ancora Rilke. Piuttosto un mistero da sperimentare. Una quota di ignoto inevitabile che spinge lo sguardo oltre la siepe.
Chi ha ancora desiderio di quell’infinito che solo l’esperienza del limite può disvelare?
Oggi tutti reclamano il diritto alla cura della psiche, forse perché i medici del corpo non riescono a guarire certe ferite dell’anima.
Ma così si sta perdendo il valore della psicoterapia. Così si confonde la patologia con la fisiologia dell’esistente, che contempla nel suo lessico le voci: malattia, solitudine, sofferenza, perdita, vecchiaia, morte.
Qual è l’immagine del nostro tempo, che rappresenta il senso estetico dominante? Una enorme superficie levigata, perfetta, specchiante.
In questo modo, privata delle increspature, delle imperfezioni, del negativo, della mancanza, l’anima ha smarrito il suo luogo naturale, la sua origine, il respiro profondo della caducità, della provvisorietà, della fragilità del bene e del male.
Perché alla fine, tutto ciò che comincia è destinato a finire e l’unica verità che rimane è questo grumo di gioia che adesso vibra ancora nel cuore, qui e ora, in questo preciso istante, nonostante la paura, il disincanto, la sfiducia.
Non c’è salute dunque che non sia connessa alla possibilità di salvezza.
Alle nostre terapie manca quel giusto slancio evolutivo, che spinga lo sguardo oltre le diagnosi, i funzionamenti, i fantasmi che abitano nelle stanze buie della mente.
Un terapeuta non può confondere la luna con il dito che la indica.
Può solo indicare la direzione e sostenere il desiderio di raggiungerla.
Per questo ogni sera mi piace chiudere gli occhi del giorno con una poesia, ogni sera una poesia diversa, per onorare la notte con il canto dei poeti.
Perché la notte sa come mantenere e custodire tutti i segreti.
Perché le poesie assomigliano alle preghiere.
Dicono sempre cose vere.
Stanotte per esempio ho scelto questa:
“Si è levata una luna trasparente
come un avviso senza minaccia
una macchia di nascita in cielo
altra possibilità di dimora. E poi.
Siamo invecchiati.
Il volume di vecchiaia
è pesato sul tavolino delle spalle,
sugli spiccioli di salute.
Cos’è mai la stanchezza?
Le cellule gridano
chiamano l’origine
vogliono accucciarsi
nel luogo prima del nome
nello spazio che sta tra cosa e cosa
e non invade gli oggetti
li accarezza e li accalora.
Non smettere di guardare il cielo
ti assegna la precisa misura
fidati della vecchiaia
è un burattino redentore.
Dopo tanta aritmetica
la serenità dello zero.”
Chandra Candiani
Testo di Giuseppe Ruggiero
foto dal seminario " In Quiete". Introduzione alle costellazioni Familiari con Anna Polin
Gloria Volpato
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VOX BEATRIX
COLLETTIVO PLEIADIANO ~ Kundalini e dottrine di fede ~ PT 1
Amici della Luce e del Cambiamento!
Mentre ondate di energia fluiscono attraverso di te e intorno a te nel sogno finale a occhi aperti, comunichiamo in sfaccettature della comprensione che ti permettono di considerare molte percezioni. Dall'inizio della vita che prosperò sulla Terra, c'è stato il desiderio di comprendere il tuo Creatore collocando questa forza divina in una scatola creata da te. In effetti, molti si sono riuniti in gruppi per entrare nella scatola con te!
Lasciamo la scatola e buttiamola via!
In questi momenti di comunicazione spiegheremo il mistero di ciò che conosci come Kundalini. Amplieremo l'ambito per includere coloro che seguono la dottrina con molte credenze religiose che controllano ogni loro mossa!
In verità esiste una forza della divinità che l'uomo ha diviso in numeri indicibili per affrontare i propri obiettivi mentre era nella forma. La potenza di tutto lo Spirito di Dio Creatore non può essere divisa e non si schiera. Immagina la pace che cadrà sulla Terra con la consapevolezza che la tua forza vitale è condivisa con tutta la creazione.
Con il movimento dell'intenzione del Grande Spirito d'Amore, respiri ancora una volta senza pensare. Il tuo cuore batte e i tuoi organi suonano come una sinfonia che ha una canzone da suonare con tanta bellezza!
Kundalini è una parola abbracciata nell'induismo.
È la forza vitale della creazione che viene percepita come un'energia femminile che si muove lungo la base della colonna vertebrale da una posizione arrotolata come un serpente. Questa convinzione proveniva da antiche tradizioni che non potevano comprendere il potere all'interno del loro vaso umano. Anche in questi momenti di culmine di molti sogni, si tenta di promuovere questo movimento di energia con mantra, yoga e meditazione.
Kundalini consente di sentire la beatitudine in tutto il corpo con flussi e riflussi di energia che creano una sensazione di formicolio. La sensazione è quella di fluttuare nell'aria mentre un'essenza sacra viene avvertita come una presenza divina. Per questo motivo, molti inseguono la Kundalini come se risolvesse tutti i problemi del mondo esterno. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Fino a quando, a meno che ciascuna persona non vada dentro di sé per scoprire la propria divinità, cercherà sempre stimoli esterni.
La dottrina ha ingannato molti esseri umani sin dalla formazione dei primi raduni di gruppi religiosi. In quanto energia collettiva e spirito di UN Creatore, sembrava esserci un'attività speciale per il gruppo particolare che si identificava con le etichette per dire agli altri della loro speciale connessione con Dio.
Non capendo che lo Spirito di Dio esprime tutta la vita, questi gruppi si diffondono in lungo e in largo per il pianeta. I gruppi pentecostali hanno bandito tutti in un inferno creato. Battisti e cattolici si concentravano sull'inferno tanto quanto sullo spirito d'amore interiore che veniva negato. Ogni gruppo aveva il proprio metodo per raggiungere il Dio che dimorava dentro di sé.
A molti nella dottrina è stato insegnato che Dio era diviso e che la fede permetteva la dimora dello Spirito Santo, ma che se avessero approfondito, avrebbero potuto ricevere il riempimento dello Spirito Santo con la prova di parlare in lingue. Molti furono influenzati da altri nella congregazione a cadere quando furono imposte le mani su di loro. Le persone tremerebbero e tremerebbero per il potere delle proprie convinzioni.
Grazie a chi di Dovere
🙏
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Ci sono modi per aiutare l'Ucraina? Sul sito della croce rossa ho trovato una raccolta fondi. Ma non so se ci sia altro da poter fare.
Questo post sarà lungo (anche per la mia creazione il Demiurgo s'è scordato di stappare la provetta con l'ingrediente 'capacità di sintesi') ma confido nella sensibilità (e la pazienza) che più e più volte avete dimostrato nel leggermi.
Prima di svelarti quelle due parole che racchiudono il senso di quanto ognuno di noi possa fare per la popolazione ucraina, ti racconterò una storiella sufi che qualche abitante della terra dei sogni m'ha mandato questa mattina, tra il sonno e la veglia.
Quando Kavan Ibn Alborz chiese al suo Imam cosa fosse la guerra e quali le sue vittime, egli invitò il suo discepolo a uscire fuori nel sahn della sua dimora e giocare una partita a scacchi nel tiepido vento della sera.
Almurid - disse - tu sai bene che il gioco degli scacchi fu inventato da un uomo miscredente ma saggio che in questo modo cercò di consolare e aiutare un re che aveva perso il suo unico figlio in una battaglia per cui non aveva studiato la giusta strategia. Quello che tu chiami gioco, però, è il modo in cui il Creatore, sempre sia lodato, semplifica il mondo agli occhi miopi dei suoi figli, perciò disponi i pezzi e alla fine capirai cos'è la guerra e chi sono le vittime.
Kavan spazzò via dalla scacchiera la sabbia accumulata dal vento e cominciò a disporre gli scacchi.
Quelli che abbiamo davanti - disse il Maestro - sono due eserciti assetati di sangue del proprio nemico e mentre il re e la sua consorte mandano ordini dalla sicurezza delle retrovie, i soldati avanzano a versare il proprio sangue.
Entrambi mossero i propri pedoni, scricchiolanti per i granelli di sabbia che il vento continuava ad accumulare.
Morti i fanti - continuò - i Cavalieri caricano il nemico, mentre le torri d'assedio si preparano all'attacco e gli elefanti, che ai barbari occidentali sembrano uno dei loro preti, aspettano di tagliare di traverso il campo di battaglia.
E soffiò sulla scacchiera per far volare via la sabbia, più e più volte mentre la partita proseguiva.
Il sangue è stato quasi tutto versato - disse infine - oramai anche le donne hanno dato la vita per il loro marito Re e questo è il momento in cui ti dico shāh māt, il Re è morto. Hai perso la battaglia.
Kavan si accigliò e poi sorrise - Come sempre, Maestro. Ma allora qual è il significato della guerra e ancora ti chiedo, chi sono le sue vittime?
Non c'è significato - disse rimuovendo gli ultimi pezzi - solo l'eterna attesa del vincitore di diventare il vinto.
Sono loro le vittime? - chiese Kavan Ibn Alborz.
No - rispose il maestro con sguardo triste e con una mano spazzò via tutti i granelli di sabbia dalla scacchiera - Le vittime sono tutte quelle persone che non volevano giocare.
E allora ti dico quali sono quelle due parole che sono diventate il mio motto di vita
NEMO RELICTUS
Nessuno lasciato indietro
Non devi fare qualcosa ‘contro la guerra’ e non devi nemmeno fare ‘qualcosa per l’Ucraina’... quando affronti un 'nemico’ così grande hai perso ancora prima di muovere il pezzo.
Tu dovrai scavare, dipanare e demolire questa cosa mastodontica e invincibile finché non troverai quei granelli di sabbia calpestati e spazzati via da scacchi a malapena coscienti di chi hanno sotto i piedi, l’essenza sofferente alle sue radici, le singole persone che in questo momento stanno soffrendo.
Trovane una e dille che la capisci, che stai soffrendo con lei e che ci sarai sempre per supportarla, ascoltarla e offrirle il tuo aiuto.
Non è poi così difficile, credimi.
E poi fai anche una donazione alla Croce Rossa, a Emergency o a qualsiasi organizzazione (seria) che si sta prodigando per portare aiuti, scendi in piazza, firma, contrapponiti, discuti e arriva anche ad alzare la voce, non per urlare contro chi non capisce ma per darne a chi in questo momento l’ha persa.
Ti senti comunque impotente?
Abbassa il tuo riscaldamento, spegnilo e accendilo solo poche ore oppure spegnilo e basta, negando così quei pochi metri cubi di gas a chi ne trae profitto per espandersi e togliere diritti a quei granelli di sabbia.
Io l’avevo spento per risparmiare in un momento di bisogno e adesso che, per fortuna, non ce n’è più necessità, continuo a tenerlo spento.
Certo, non manderò in bancarotta Putin, come il mio essere vegetariano non salverà le migliaia di animali che ogni giorno vengono macellati ma è una mia scelta di singolo individuo, la cui portata sarà efficace tanti più individui comprenderanno la differenza tra individualismo - sono il centro del mondo e le altre persone semplici attori sul mio palcoscenico - e individualità... sono il centro del mio mondo in una galassia di altri mondi con i quali orbitare assieme.
Non bisogna vincere una guerra... bisogna non far perdere le persone.
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“ De gustibus non est disputandum “ ! Asserzione sicuramente non discutibile, anche per quello che concerne la dimora dei propri sogni, la casa ideale; infatti ognuno di noi la concepisce e quindi la vive in maniera diversa, dato che anche la casa rispecchia spesso noi stessi, le nostre inclinazioni ed il nostro modo di essere. Tuttavia possiamo altrettanto affermare che, proprio con riguardo alla propria abitazione, esiste una sorta conditio sine qua non valevole in generale per tutti: vale a dire la luminosità degli ambienti di casa, caratteristica praticamente indispensabile per vivere e viversi meglio la propria dimora: indubbiamente un ambiente ricco di luce da immediatamente l’impressione di essere, oltre che più ampio, anche accogliente e confortevole. Può tuttavia accadere che un’ abitazione, si tratti di un casale, piuttosto che di un’ antica villa o di un appartamento ( soprattutto se situato in un centro storico ), possegga delle caratteristiche per così dire “ originarie” tali da non consentire una particolare luminosità degli ambienti : ad esempio, soffitti bassi, finestre piccole e/o affacciate a nord o su cortili interni ristretti; infine, anche un certo stile di arredamento non proprio azzeccato può volgere a discapito della luminosità! Di conseguenza occorre “ escogitare” tuta una serie di accorgimenti aventi un obbiettivo comune: rendere la casa dei propri sogni più luminosa! Vediamone allora alcuni:
innanzitutto, nella scelta di un pavimenti, si dovrebbero prediligere quelli chiari e luminosi; ideali ì pavimenti in legno ( come l’acero, la betulla e il pino ), ma anche delle soluzioni in ceramica! Nel caso non vi sia la possibilità di “ sostituire” il pavimento esistente, allora si potrà ricorrere ad un grande tappeto di design in tinta chiara, che darà un tocco di freschezza e luce;
avendone la possibilità, bisognerebbe poi cercare di evitare pareti divisorie in mattoni, piuttosto che in carton-gesso, preferendo invece pareti in vetro e plexiglass ! Non potendo utilizzare questi particolari materiali si potrebbero modificare le tinteggiature delle pareti delle varie stanze della casa, per renderle più luminose: ovviamente via libera a colori e tinte chiari e vive e nitide. Relativamente agli antichi casali ristrutturati, questo discorso può essere fatto anche in relazione ai solai; infatti proprio i casali presentano spessissimo solai in travi di legno a vista e pianelle in cotto; in questi casi , per dare luminosità agli ambienti , si potrebbe pensare di “ schiarire” gli elementi del solaio, utilizzando ad esempio travi “decapate”.
Altri suggerimenti a tutto vantaggio di una casa più luminosa riguardano più direttamente gli oggetti ed i mobili che si possono utilizzare per arredarla. A tal proposito perfetti sono sia gli specchi che, oltre a dare un senso di profondità agli ambienti, riflettono molto la luce, soprattutto se posizionati vicino alle finestre, sia tutte le superfici lucide, che contribuiscono a schiarire gli interni. Nella scelta dei mobili, si dovrebbero preferire quelli in legno chiaro o in vernice bianca, e di moderata altezza, che permettono alla luce e all’ aria di entrare e circolare con libertà! Perfette anche le librerie “ aperte” cioè utilizzate come parete divisoria! Infine, le tende! Sì a colori e tessuti neutri e brillanti!
Proprio in tema di luminosità degli ambienti di casa, Great Estate vuole richiamare la Vostra attenzione su tre interessanti proprietà in vendita nel rinomato borgo della Toscana di Cetona, ideali per intende acquistare un immobile di prestigio, uno dei cui punti di forza è rappresentato dalla luminosità degli interni! Vediamole:
Casale “La Dimora di Ulisse”: “La Dimora di Ulisse” è un magnifico casale di circa 400 mq recentemente ristrutturato ed immerso in uno stupendo parco con piscina, cipressi secolari ed ulivi; Si trova a pochissimi chilometri dal borgo medievale di Cetona, in provincia di Siena, Toscana. La location è meravigliosa: collinare, con grandiosa vista panoramica sulle circostanti campagne della Toscana. Compresi nella proprietà anche circa 14 ettari di terreno. Come possiamo agevolmente vedere dalle foto dello splendido casale “La Dimora di Ulisse”, sia la zona giorno, sia le varie stanze da letto e da bagno, si presentano particolarmente luminose, grazie ad espedienti come le tinte utilizzate per le pareti, le ampie finestre, nonchè l’ altezza dei solai.
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La Dimora di Ulisse – Codice: csge3543 – Prezzo: € 2.150.000
Residenza ” White Apartment “
” White Apartment ” è un grazioso appartamento di circa 57 mq, distribuito su due piani, situato nel caratteristico centro storico del borgo di Cetona, (SI), nel sud della Toscana. L’ appartamento è stato ristrutturato nel 2014 con estrema attenzione per i dettagli e con molto gusto. Caratteristica di immediata percezione è la particolare lucentezza dei suoi ambienti. Questa è resa possibile dai pavimenti in parquet di rovere sbiancato, dai solai con controsoffitti dotati di faretti ad incasso, nonchè dai mobili ed arredi ( recentemente utilizzati e compresi nella vendita dell’ appartamento ) utilizzati in cucina, nella zona living, nella stanza da letto e nel bagno.
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White Apartment – Codice: spge3523 – Prezzo: € 148.000
Villa “La Dolce Vita”:
Great Estate Vi propone una villa di grande esclusività e fascino. Villa “La Dolce Vita” si trova nei pressi di Cetona, immersa in un fiabesco parco con curatissimo prato, cipressi secolari, magnifica piscina e piccolo laghetto. La proprietà si compone della villa principale di circa 550 mq, oltre due dependance, una cantina e circa 9 ettari di terreno, comprensivi anche di un piccolo vigneto che produce Chianti Classico DOC. Villa “La Dolce Vita” ha mantenuto inalterato il suo fascino originario: i pavimenti son in cotto dell’ epoca, i solai con travi a vista o a volticine; nella zona giorno si trovano caminetti in pietra, ed i bagni presentano mattonelle decorate; inoltre, quanto ai dettagli, nei grandi ed ariosi ambienti della villa sono stati impiegati tendaggi particolarmente lucenti, arredi e divani dai tessuti chiari, che,ovviamente conferiscono grande luminosità!
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La Dolce Vita – Codice: vsge3542 – Prezzo: € 2.000.000
La luminosità degli ambienti di casa: alcuni accorgimenti per rendere gli interni più luminosi “ De gustibus non est disputandum “ ! Asserzione sicuramente non discutibile, anche per quello che concerne la dimora dei propri sogni, la casa ideale; infatti ognuno di noi la concepisce e quindi la vive in maniera diversa, dato che anche la casa…
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Il 24 giugno allo Sherwood Festival si è svolto un talk dal titolo: La società del controllo. Sicurezza, repressione e abusi.Tra gli interventi anche il contributo di Elena Guerra, sorella di Mauro il trentaduenne ucciso il 29 luglio 2015 a Carmignano San'Urbano. Quella sera Elena con molto lucidità ha ripercorso quei tristi momenti, ma soprattutto ha raccontato l'iter processuale che ha portato all'assoluzione in primo grado del maresciallo Marco Pegoraro. Elena non ha utilizzato parole proprie, ma quelle utilizzate dal giudice nelle cinquanta pagine di motivazione di assoluzione del maresciallo. Non fu omicidio colposo, ma nella sentenza sono elencati tutta una serie di reati commessi dai carabinieri prima dell'uccisione di Mauro. A distanza di un mese è la mamma, Giuseppina Businaro, a prendere parola e lo fa con una lettera inviata al Generale dei Carabinieri Giovanni Nistri. Una lettera che fa emergere tutto il dolore che prova una madre che ha perso in quel modo tragico suo figlio, ma che con estrema lucidità chiede che venga fatta giustizia.
Egregio Generale Nistri,
chi le scrive è la madre di Mauro Guerra,il giovane assassinato il 29 luglio luglio 2015 a Carmignano di Sant'Urbano da un maresciallo dei carabinieri, Marco Pegoraro.
L'esigenza di scriverle nasce dal bisogno di metterla a conoscenza della tragedia che ha colpito la mia famiglia, per mano di un carabiniere nel caso non ne fosse al corrente. In questi lunghi e dolorosi anni passati senza mio figlio, anni in cui la sofferenza e la disperazione hanno fatto da padrone in quella che rimane della mia vita senza più senso, ho aspettato una parola, una presenza, un qualsiasi segno di vicinanza da parte dell'istituzione che non è mai arrivata, da nessuno in alcun modo.
So che Lei è stato a Padova lo scorso inverno, al Comando Provinciale dei Carabinieri ed in tutta sincerità aspettavo una sua presenza, mi illudevo che la sua visita a Padova avesse una correlazione con l'omicidio di mio figlio.
Così non è stato, ed è per questo che mi è sorto il dubbio che l'uccisione di mio figlio sia una tragedia sconosciuta alla sua persona e che altrettanto sconosciuto le sia l'iter giudiziario che in è seguito e che ha portato ad un processo verso mio figli e non al sua assassino, dove è stato ricercato di tutto fuorché la verità, dove un Procuratore ha difeso l'assassino come mai si era visto prima d'ora, dove lo stesso Procuratore chiede la piena assoluzione per quell'uomo in divisa che a sangue freddo senza nessuna pietà, senza nessuna necessità, senza nessuna considerazione della vita umana , ad un passo di distanza gli spara alle spalle e gli trapassa tutti gli organi vitali.
Ma Pegoraro indossava una divisa! Aveva quindi la licenza di uccidere Aveva ed ha tutt'ora anche la licenza di mentire, hanno tutti la licenza di uccidere e di mentire gli appartenenti all'arma?
Sembrerebbe di no visti gli ultimi sviluppi del processo cucchi e vista la posizione che lei ha preso in questo processo.
Mio figlio non è stato picchiato,è stato però brutalmente ammazzato solo per essersi difeso da un carabiniere che lo voleva senza ragione privare della sua libertà. Ha difeso solo la sua vita Mauro quel maledetto giorno,non mettendo comunque in pericolo la vita di nessun' altro.Mauro non aveva commesso nessun reato, sig. Generale, non aveva fatto del male a nessuno quel maledetto 29 luglio 2015, quando si è visto accerchiato e braccato da 10 uomini in divisa comandati da Pegoraro, che per oltre tre ore sotto 40 gradi lo hanno tenuto sequestrato presso la sua dimora, imponendogli un ricovero per il quale non c'era nessuna disposizione giuridica e senza nessuna situazione di pericolo che potesse legittimare tale intervento. La verità vera è solo questa sig. Generale: quella che un giovane laureato di 32 anni, Mauro Guerra, figlio, fratello zio, cugino e amico; il mio adorato figlio è stato ucciso in un torrido pomeriggio di fine luglio in mezzo ad un campo di grano appena tagliato dove scalzo a piedi nudi e in mutande stava scappando per fuggire ad un ricovero coatto deciso esclusivamente da Pegoraro.
Ma l'assassino di mio figlio, Pegoraro, è un uomo libero che non dovrà espiare nessuna colpa, perchè «uccidere mio figlio è stato come uccidere nessuno». Un assassino a piede libero che può circolare ovunque che detiene ancora una pistola che presta ancora servizio nella zona di Padova,che io potrei trovarmi di fronte, che potrei trovarmi difronte anche ad altri carabinieri che hanno concorso all'omicidio di mio figlio.
L'unica che deve scontare l'ergastolo sono io sua madre, assieme a suo padre al fratello e alla sorella, che oltre ad essere stata abbandonata da qualsiasi istituzione, che mai nessuna si è fatta presente neanche nei primi giorni della tragedia, deve sopravvivere al dolore più grande del mondo, deve continuare a sopravvivere nell'isolamento più totale, perché io non sono più una donna normale come le altre, ma soprattutto deve continuare a lottare con una giustizia malata che tutela solo ricchi e i potenti, che non persegua la verità, che condanna addirittura la vittima, che non processa lo Stato e i suoi appartenenti.
Ma fra i tanti carabiniere onesti e ligi al loro dovere non solo a Roma esistono le “ mele marce “ma anche in un piccolissimo paese della bassa padovana, Carmignano un paesello di mille anime che in un triste giorno d'estate ha visto qualcosa di irreale che mai potrà dimenticare.
Mio figlio ha pagato con la sua stessa vita la prevaricazione dell'autorità, l'abuso di potere e la sopraffazione, le condotte illegali, squadriste ed illegittime poste in essere prima di arrivare a sparargli ad un passo di distanza con la stessa facilità con la quale si spara ad una lepre. Sono state violate tutte le norme costituzionali sulla libertà della persona, sulla dignità e sulla vita stessa, ma senza vergogna si continua a garantire l'impunità agli appartenenti alle forze dell'ordine, attraverso strategie manipolazioni degli eventi al punto tale da modificarli e trasformarli anche grazie ed accordi con le magistrature e con i giudici.
Un prezzo troppo alto ha pagato Mauro per difendere la sua libertà, sig. Generale, un giovane che con tanti sacrifici suoi e miei era arrivato ad una laurea, ma un uomo crudele e sprezzante della vita,in un attimo ha cancellato tutti i suoi sogni e le sue speranze. E un peso troppo grande per me da sopportare, la sofferenza di mio figlio, la paura la vergogna l'angoscia e la disperazione alle quali è stato sottoposto in quelle interminabili ore.
Saperlo là agonizzante, steso sopra un campo di sterpaglie bruciato dal sole cocente e assalito da un branco di carabinieri per ammanettarlo mentre moriva, invece di prestargli soccorso e trasportarlo immediatamente al vicino ospedale che dista appena dieci km dal luogo dell’omicidio!
È rimasto vivo ed ammanettato per oltre un'ora su quel campo, finché moriva dissanguato ma ciò che era necessario fare era costruire un alibi era mettersi in contatto con gli alti vertici per sapere cosa fare e cosa dire. Solo questo è stato fatto, mentre mio figlio moriva soffrendo cercando l'aria che gli mancava essendo stato colpito dal proiettile a fegato polmoni stomaco e diaframma, ma a nessuno di loro interessava, nessuno di loro nelle loro testimonianze ha parlato della sofferenza di mio figlio. Io non so ancora se qualcuno ha parlato con mio figlio negli ultimi istanti della sua vita, se ha lasciato una parola per noi.. niente!
Io so solo che Pegoraro assieme a Capiello dopo avere sparato cercava a terra i bossoli o le ogive dei proiettili per costruire una dinamica a lui consona e che Truglio dava informazioni false ai giornali per fornire all'opinione pubblica una versione dei fatti falsa ma che non screditasse la loro figura.
Questo era importante, non la vita di mio figlio, lasciato morire come un cane rabbioso dopo avergli tolto tutti i diritti umani e costituzionali previsti dalla legge.
Anche lei è padre Generale e come tale so che non potrebbe mai accettare che uno dei suoi figli potesse subire ciò che ha subito mio figlio ed io come madre non potrò mai rassegnarmi alla perdita del mio Mauro, per mano di chi dovrebbe invece proteggerci e tutelarci.
Ed è per questo che la mia voce non smetterà mai di urlare e di gridare verso questa ingiustizia vergognosa e peccaminosa e assieme a me lo faranno i suoi fratelli e continueranno a farlo anche quando la mia voce si sarà spenta.
Nel pieno rispetto delle sue funzioni volevo infine ribadire che la mia intenzione, come detto sopra, era solo quella di metterla al corrente di quanto accaduto e di quale scellerato atto abbiano compiuto dei carabinieri che afferiscono comunque anche a Lei.
Lei potrebbe anche rispondermi che il giudizio verso Pegoraro è stato espresso in un tribunale ma noi riteniamo che quel giudizio sia parziale e contorto, che chi avrebbe dovuto eseguire indagini impeccabili e condurre un'accusa giudiziaria super partes abbia ceduto invece al sentimento di “amicizia e gratitudine” verso i colleghi carabinieri.
In attesa di un suo riscontro, Le porgo i più distinti saluti
Businaro Giuseppina, mamma di Mauro Guerra assassinato da Marco Pegoraro il 29 luglio 2015 a Carmignano di Sant'Urbano in provincia di Padova.
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. ⋰⋰ ↷ january 1st, 2024 𝘐'𝘮 𝘨𝘰𝘯𝘯𝘢 𝘣𝘦 𝘩𝘢𝘱𝘱𝘺 𝘵𝘩𝘪𝘴 𝘺𝘦𝘢𝘳. 𝘐'𝘮 𝘨𝘰𝘯𝘯𝘢 𝘮𝘢𝘬𝘦 𝘮𝘺𝘴𝘦𝘭𝘧 𝘩𝘢𝘱𝘱𝘺. ─ ─ home ,, #dangeroushprpg ↷ ↷ ↷ Nonostante le iniziali remore del giovane, Elijah era sinceramente felice di essere tornato a casa, in quel momento. I fuochi d'artificio risuonavano attorno la dimora degli Addington, i suoi fratelli festeggiavano ed i genitori versavano spumante per tutti, lui si guardava attorno e stringeva la mano di Lucy, a cui ovviamente aveva dedicato un dolce bacio allo scattare della mezzanotte. Subito dopo, però, si era distratto per guardarsi attorno cercando qualcosa che realmente apprezzasse in quel posto, più di quanto avesse mai fatto negli ultimi anni, sin da quando aveva iniziato a studiare ad Hogwarts. I suoi genitori si amavano, era evidente, e questo era assolutamente un aspetto della propria famiglia che Elijah apprezzava sin da sempre. Avevano accettato che Lucy trascorresse con loro parte di quelle vacanze, così come avevano fatto i suoi fratelli, senza alcuna protesta ma, anzi, curiosi di conoscerla meglio, cosa che a scuola non era successa poi molto, per svariati motivi. Avevano trascorso bene quegli ultimi giorni dell'anno, dopotutto, ed Elijah non poteva che apprezzare anche quel minimo sforzo mostrato dai genitori nel chiedergli come andasse a scuola, invece che dar per scontato che no, non andava bene (cosa non vera, per altro, perché Elijah era probabilmente uno dei più studiosi, in barba alle proprie capacità ben meno spiccate dei propri compagni). Al riguardo, proprio rivolgendo un leggero sorriso al padre, che proprio in quell'istante si avvicinò per porgere a lui e Lucy due bicchieri, Elijah si fece un appunto mentale: doveva chiarire le cose con i propri genitori prima di tornare a scuola, perché desiderava davvero che loro credessero in lui e nei suoi sogni come faceva lui stesso e come, lo sapeva, faceva Lucy. Un coro di "buon anno!" percorse il salotto di casa Addington, tra abbracci e baci reciproci, cosa che stranamente coinvolse anche Elijah, che si allungò verso la Weasley, per prima, e poi verso ognuno dei fratelli, sino a raggiungere i genitori e posare un bacio sulla guancia di sua madre. La donna sorrise, accarezzando la guancia al figlio, mentre suo padre gli posò una mano sulla spalla, alzando infine il bicchiere e portando gli altri a fare lo stesso, prima di portare li spumante alle labbra. 𝑸𝒖𝒆𝒔𝒕'𝒂𝒏𝒏𝒐 𝒔𝒂𝒓𝒐' 𝒇𝒆𝒍𝒊𝒄𝒆, pensò il biondo, imitando suo padre, come tutti gli altri, e portando il bicchiere alle labbra. Sarebbe stato felice, aveva deciso, ad ogni costo, ed avrebbe fatto il possibile per raggiungere i suoi sogni, avrebbe ottenuto dei M.A.G.O. brillanti ed avrebbe fatto di tutto per entrare in Accademia. ↷ ↷ ↷
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I partecipanti al laboratorio sperimentale di scrittura creativa, attraverso parole ed immagini ci hanno raccontato le loro storie!
Parole senza dimora ci hanno condotto nel presente e nel passato dei ragazzi, ospiti del progetto SAI gestito dalla Don Vincenzo Matrangolo ad Acquaformosa.
“Quando mi trovavo in condizioni molto difficili, in Libia. Ho conosciuto una persona molto speciale; il mio migliore amico. Lui mi ha aiutato e sostenuto come un vero fratello, mi ha ospitato a casa sua e mi ha dato la possibilità di trovare un lavoro. Ha fatto per me tante cose buone che nessuno della mia famiglia ha fatto. Lui è molto importante nella mia vita. Non lo dimenticherò mai.”
Legami affettivi difficili da dimenticare come un albero che porta con sé le proprie radici, la propria storia, e allo stesso tempo desideri e sogni.
Una maschera a rappresentare le fragilità ma anche la fantasia di un supereroe che rende giustizia e sconfigge i mali del mondo o dalla quale ci si aspetta in regalo la possibilità di abbracciare i propri familiari anche solo per un giorno.
I lavori sono stati presentati in occasione del Festival delle Migrazioni! Grazie ai ragazzi che hanno condiviso con noi questa bellissima esperienza!
To be continued :D
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Si salva chi vince la Sfinge. Dialogo con Fabrizio Gifuni, l’uomo che è stato Freud
Alla caccia seguì la grazia, la gratuità. Ho cominciato a tallonare Fabrizio Gifuni a marzo. No, non m’importava tanto l’attore ‘da grande schermo’, come si dice (Gifuni, chi non lo sa?, è il viso di film importanti come L’amore probabilmente, Il partigiano Johnny, La meglio gioventù, Il capitale umano, Fai bei sogni), o il talento per la fiction (sulla Rai lo abbiamo visto di recente interpretare Pippo Fava in Prima che la notte, diretto da Daniele Vicari). Di Gifuni m’interessava, intanto, il lettore. Intransigente. Quello che ha valicato l’opera di Carlo Emilio Gadda, di Pasolini, di Albert Camus, di Julio Cortázar, di Cesare Pavese, di Giovanni Testori e, ultimamente (al Franco Parenti, il 10 giugno scorso), di Giorgio Caproni, e che per questo ‘Tor Vergata’ ha onorato, a maggio, con la Laurea honoris causa in Letteratura italiana. Così, mi metto nelle sue tracce. Soprattutto perché Gifuni è il protagonista di uno degli spettacoli teatrali più importanti della stagione. Freud o l’interpretazione dei sogni. Scrive Stefano Massini, dirige Federico Tiezzi, in scena, al Piccolo, a fare il dottor Sigmund, Fabrizio Gifuni. “Sette settimane di repliche tutte esaurite”, specifica Gifuni, per quasi 40mila spettatori. Un evento. Così, appunto, da giornalista flâneur, che fiuta cultura ad ogni latitudine e spacca le pietre cavandone versi, fermo Gifuni. Ma lui non si fa fermare. Prima è malato, poi è al Salone del Libro – legge Aldo Moro – poi mette il muso in Caproni. Come il giaguaro sull’albero, attendo senza sonnecchiare. Posticipiamo a maggio, poi a giugno. Poi penso, beh, ha di meglio da fare, ovvio. E dopo l’attesa, la grazia, gratuita. Gifuni arriva. “Mi scuso ancora per l’attesa. Finalmente con un minimo di mente sgombra”. Lo davo per perduto – mi ha sorpreso. Questo per dire il tiro dell’uomo. La generosità è un dono così caro, docile, raro, ora, quando, giornalisticamente, hai a che fare con troppa gente troppo occupata da se stessa per capire il diamante delle relazioni, il nitore di chi ha davanti. La prossima stagione Gifuni tornerà al Piccolo, a Milano, dal 22 al 25 novembre, con Concerto per Amleto; ora, a sgranchire la mente dalla fatica teatrale, mi scrive, “curo, con Natalia Di Iorio, la stagione teatrale del teatro Garibaldi di Lucera, una bellissima cittadina pugliese – dimora per anni di Federico II – da cui provengono una parte importante delle mie radici. In questi giorni sto lavorando alla programmazione della prossima stagione”. L’uomo che è stato Freud per sette settimane. Mi sembra un buon titolo per un racconto. (d.b.)
“L’interpretazione dei sogni” è “una Bibbia della nostra contemporaneità”. Lo scrive Stefano Massini. Lei è attore da letture forti, fortissime. La pensa allo stesso modo?
Non scomoderei la Bibbia, nonostante Freud la conoscesse a menadito. L’interpretazione dei sogni è senz’altro un libro cardine del ’900. Lo è stato sicuramente per Freud che iniziò a scriverlo per esorcizzare la morte di suo padre, attraverso un lavoro di autoanalisi dei propri sogni e successivamente di quelli dei suoi pazienti. Col tempo Die traumdeutung diventerà un formidabile ordigno per la cultura europea. Un testo costruito con grande abilità che servirà a Freud per scaraventare la teoria psicanalitica sulla scena mondiale, ma destinato anche ad avere un fortissimo influsso su tutta l’arte e gli studi antropologici del ’900: scrittori, drammaturghi, pittori, musicisti ne verranno definitivamente attratti modificando in molti casi il loro approccio al gesto espressivo. L’intuizione di Freud per molti si rivelerà decisiva. Aver squarciato il velo mettendo al centro del dibattito sull’uomo la terra emersa dell’inconscio, con tutte le implicazioni, successivamente sviluppate, sull’ambiguità del linguaggio, contribuirà in maniera definitiva a fare di questo scienziato uno dei pensatori più interessanti del secolo scorso. Per questo credo che aver pensato di scrivere un testo teatrale su L’interpretazione dei sogni di Freud e portarlo in scena sia stata una grande intuizione.
Fabrizio Gifuni è stato Sigmund Freud in “Freud o l’interpretazione dei sogni”, l’evento teatrale della scorsa stagione (photo Masiar Pasquali)
Come è entrato in Freud? O meglio: come è entrato Freud in lei? Si è imbevuto di ‘fonti’ particolari, quali? Cosa ha scoperto, interpretandolo, di Freud che le era oscuro?
Sono partito da una suggestione reale: l’inaspettata e potente fragilità da cui Freud era dominato negli anni in cui lavorava al libro. In una lettera al suo collega Fleiss – uno spregiudicato e geniale otorinolaringoiatra che conduceva spericolati esperimenti sulle cavità nasali – Freud si paragona a Giacobbe, figlio di Isacco, azzoppato per sempre dall’angelo dopo un’estenuante lotta durata fino all’aurora. E conclude la sua lettera scrivendo: “Bene, ora ho 44 anni e sono un vecchio israelita piuttosto meschino”. Un’immagine molto lontana da quella dello scienziato sicuro di sé e delle sue scoperte che avanza lancia in resta verso un radioso avvenire di fama e celebrità. Ci rivela piuttosto un uomo ferito pienamente consapevole della sua fallibilità e anche della sua hybris prometeica: rubare il fuoco agli dei – in questo caso il segreto dei sogni – non è cosa da semidei figurarsi da uomini. Per quel che riguarda le fonti ho cercato come faccio sempre di documentarmi il più possibile sui testi cercando, data l’enorme mole, di non lasciarmi troppo schiacciare dal peso. Una biografia di Freud di Elisabeth Roudinesco mi è stata molto utile e naturalmente molti testi freudiani. Ho seguito una mia traccia personale; poi ho cercato di abbandonarmi, mettendo a disposizione il mio corpo e le mie fragilità. Il Gioco è stata un’altra delle chiavi d’accesso allo spettacolo. Una delle chiavi del mio lavoro, la ricerca dell’abbandono attraverso il gioco che coincide in parte con la ricerca di un’infanzia perduta, in questo caso coincideva anche con l’essenza del mito inseguito da Freud: solo chi risolve un indovinello può salvare la città. Solo chi sa giocare meglio degli altri resta in vita, altrimenti la sfinge lo inghiotte. Cosa ho scoperto? Molte cose dell’uomo Freud, qualcosa del suo rapporto con i pazienti. La lotta di una mente laica a cospetto del Mistero. Il confronto aspro con la rimozione, l’accettazione dei propri limiti e del proprio fallimento. “Fallire sempre, fallire meglio” diceva Beckett. E con lui Giacometti mentre tentava invano di scolpire una testa.
Parlo, sempre, al lettore ‘forte’. Esiste l’anima o siamo succubi dell’inconscio? Siamo, noi umani, solo una malattia ambulante trafitta da rimorsi e da desideri smangiati? Cosa la conquista di Freud, cosa non la convince?
Personalmente non vedo un’opposizione. Credo che esista un’anima che ci preceda ma credo allo stesso tempo che esista un luogo istituito dalla rimozione che possiamo, dopo Freud, chiamare inconscio. Siamo sufficientemente adulti per poter ammettere, volendo, l’esistenza di entrambe. Mi conquista di Freud il suo continuo tornare, nel corso della sua vita, sulle apparenti certezze raggiunte, senza temere di smentirsi, modificando le sue teorie, rimettendole in discussione. Cercare di trasformare la ‘malattia’ e le ferite in energia luminosa. Mi colpisce che molte delle sue prime pazienti isteriche diventarono importanti psicanaliste. Mi convince meno, ma è un discorso che non riguarda solo Freud, una certa ortodossia di pensiero a cui fatalmente certe intuizioni sembrano sempre destinate come forma di difesa. Penso che chi attraversa certi territori, qualsiasi sia il suo credo, sia sempre al confine di una riflessione mistica e quindi destinato a restare in bilico accettando lo strapiombo. Del resto sappiamo oggi attraverso le sue lettere che Madre Teresa continuò a dubitare in silenzio dell’esistenza di Dio fino all’ultimo istante della sua vita esattamente come Freud si allenava a dubitare fino all’ultimo delle sue teorie.
Pasolini, Gadda, Camus, Cortázar, Pavese… cito alcuni autori che ha attraversato e portato sulla scena. In quale autore vorrebbe lavorare, ora? Che tipo di linguaggio preferisce?
Continuerò senz’altro a lavorare su quegli autori che hanno saputo mettere in campo una lingua forte, necessariamente eversiva, incendiaria, rispetto al proprio tempo. I grandi sperimentatori che hanno allargato le maglie della propria lingua, esondando la letteratura, sfidando spesso le convenzioni, senza temere l’isolamento. È un viaggio teatrale entusiasmante, impagabile, che ho iniziato quindici anni fa con il mio primo spettacolo – ‘Na specie de cadavere lunghissimo – che ha dato vita fra l’altro a un lungo sodalizio con un grande uomo di teatro, di cinema e di poesia che è stato Giuseppe Bertolucci. Dopo quello spettacolo ho sentito che mettermi addosso le parole di grandi autori, inventando per la scena nuove drammaturgie teatrali da condividere col pubblico, era un viaggio di conoscenza che scatenava la fantasia, metteva alla prova il mio corpo, sfinendolo fino a liberarlo. Qualcosa che mi emozionava, mi divertiva e mi corrispondeva. Cosa volere di più?
Il teatro ha ancora un ruolo ‘politico’? A chi parla, oggi, il teatro?
Il teatro ha un ruolo politico per statuto, sempre, se e quando riesce a instaurare un rapporto reale, fisico, con la polis. Credo che l’incontro dei corpi in un tempo sospeso come quello teatrale continui e continuerà ad avere una sua meravigliosa e segreta urgenza pronta a deflagrare in uno spazio, e credo anche che l’esperienza del teatro diventi sempre più forte, gioiosa e liberatoria in tempi come questi in cui vorrebbero farci credere che i corpi non esistono più. Quando in un teatro succede realmente qualcosa, il gioco torna a fare lo sgambetto all’odiosa e cupa attualità, ci aiuta non poco a sopportare le storture della storia e di noi stessi, ci avvicina alla parola poetica. Senza alcuna retorica ci rende migliori. Il teatro è politico quando difende la bellezza sfidando il tragico in tutte le sue forme. Decidere di inaugurare il Salone del libro di Torino leggendo per un’ora e quaranta le parole del Memoriale e delle lettere di Aldo Moro dalla prigionia, sfidando uno dei più pericolosi imperativi del nostro tempo – semplificare semplificare semplificare – a favore della complessità del ragionamento, è un gesto deliberatamente politico. Scegliere ogni volta i testi e le parole da cui farmi investire, leggere Caproni in teatro, come ho fatto poche settimane fa, far suonare i suoi versi lievi e profondissimi, è il mio modo di fare politica.
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20/04/2021 - 30/04/2021 #SCRAP
E’ iniziata la residenza creativa per la ricerca e la composizione dello spettacolo di Collettivo Impara L’Arte, accompagnati dagli sguardi d’autore a cura della Piccola Compagnia Dammacco
Attraverso l’espressione teatrale i suoni, le immagini e il movimento la compagnia intende raccontare le similitudini tra i comportamenti umani e le caratteristiche dei rifiuti che quotidianamente produciamo. Guardare una bottiglia di plastica o di vetro, un foglio di carta, un medicinale scaduto o un oggetto che non serve più è un po’ come guardarsi allo specchio. Rovistando nella spazzatura si riesce a capire chi siamo e a che cosa aneliamo, cosa desideriamo e a che cosa rinunciamo, un viaggio introspettivo nelle nostre paure, nei nostri sogni, desideri e comportamenti. I rifiuti, carta, vetro, plastica sotto forma di personaggi prendono vita e si raccontano, ognuno con le proprie personalità e caratteristiche. L’arroganza della plastica ma anche sua estrema duttilità, l’eleganza, la bellezza e la trasparenza del vetro, la carta e la sua saggezza con la capacita di accogliere e tramandare il pensiero e la parola, l’ipocondria di un medicinale ormai scaduto che sa di aver finito la sua utilità, ma che ancora si aggrappa alla scienza come unica verità, l’importanza degli scarti umidi come metafora della vita eterna, sembra che non abbiano alcun valore ma decomponendosi danno vita a cibo per la terra per produrre altro cibo e altra vita, e cosi via.Uno spaccato della società umana ambientato in un vicolo di una grande città, un luogo in cui le persone abbandonano non solo i propri rifiuti, ma metaforicamente nascondono anche tutto quello che non vogliono vedere o affrontare. Una storia che si ripete nel tempo con i suoi lati positivi e negativi, un viaggio verso la fine della propria esistenza con la speranza che il domani attraverso la trasformazione sia un mondo migliore, toccando temi attuali come il degrado dell’ambiente e dei valori umani, valori che spesso vengono dimenticati o addirittura soppressi, come la solidarietà, il rispetto, l’accettazione della diversità come bene prezioso. Punto focale di questo viaggio è il tema del riciclo come speranza di non essere abbandonati e considerati solo degli scarti inutili ma la possibilità di avere una nuova esistenza, di reinventarsi e riscrivere la propria storia nel cerchio della vita che mai si interrompe ma che ad ogni giro e diversa pur essendo consapevoli che esiste anche una fine e che e indispensabile per dare spazio al nuovo.
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Collettivo Impara L’arte. Gruppo di recentissima formazione che nasce dalla collaborazione tra Massimo Fabbri e Marco Moretti con il coordinamento dell’Associazione Il Tasello mancante, con la partecipazione di performers e attori del territorio. Massimo Fabbri, musicista, tecnico audio e sound designer. Dal 1986 ha collaborato con artisti nazionali ed internazionali e partecipato a diverse produzioni RAI come fonico. Negli ultimi anni ha collaborato ala realizzazione di musical e spettacoli multimediali sia dal punto di vista tecnico che artistico. Dal 2020 è responsabile tecnico de L’arboreto – Teatro Dimora. Marco Moretti, dal 1997 partecipa alla realizzazione di spettacoli teatrali, seguendone fin dall’inizio le fasi di creazione, scrittura e azione scenica. Nel corso del tempo diventa autore delle proprie messe in scena. Si occupa di progetti teatrali formativi. Il Tassello mancante, nasce a Riccione nel 2008 da un gruppo di giovani tra i 16 e i 25 anni, aperto a chiunque desidera impegnarsi nelle espressioni culturali ed artistiche. A metà tra movimento e associazione culturale giovanile si costituisce come inedita esperienza di aggregazione e di impegno civile, aperto al confronto e alla sperimentazione di nuove idee. Residenza artistica di importanti progetti e di partnership con le realtà culturali locali: Il Premio DIG, Riccione Teatro, Città Teatro.
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(HD 1080p) Intermezzo from Cavalleria Rusticana, Pietro Mascagni
QUELLI CHE DIO ODE.
O TU CHE ASCOLTI LE PREGHIERE, DA TE VERRA’ OGNI TIPO DI PERSONA. (SALMO 65:2)
PERCHE’ GLI UOMINI CHE RIMANGONO CERCHINO DILIGENTEMENTE GEOVA INSIEME A PERSONE DI TUTTE LE NAZIONI, PERSONE CHE SONO CHIAMATE CON IL MIO NOME,DICE GEOVA,COLUI CHE FA QUESTE COSE (ATTI 15:17)
E’ IL TUO POPOLO ,LA TUA PROPRIETÀ’, CHE FACESTI USCIRE CON GRANDE POTENZA,CON IL TUO BRACCIO POTENTE’. ( DEUTERONOMIO 9:29)
‘’E LO STRANIERO CHE NON FA PARTE DEL TUO POPOLO ISRAELE E CHE VIENE DA UN PAESE LONTANO A M,OTIVO DEL TUO GRANDE NOME, DELLA TUA MANO FORTE E DEL TUO BRACCIO POTENTE,E VIENE E PREGA VERSO QUESTA CASA, VOGLIA TU ASCOLTARLO DAI CIELI,LA TUA DIMORA ,E FARE TUTTO CIO’ CHE LO STRANIERO TI CHIEDE, AFFINCHÉ’ TUTTI I POPOLI DELLA TERRA CONOSCONO IL TUO NOME E TI TEMANO COME TI TEME IL TUO POPOLO ISRAELE, E SAPPIANO CHE IL TUO NOME E’ STATO INVOCATO SU QUESTA CASA CHE HO COSTRUITO. ( 2 CRONACHE 6:32,33)
GEOVA COPIRA’ L’EGITTO,LO COLPIRÀ’ E LO SANERA’; GLI EGIZIANI TORNERANNO DA GEOVA,ED EGLI ACCOGLIERÀ’ LE LORO SUPPLICHE E LI SANERA’. ( ISAIA 19:22)
PERCIO’ RICORDATEVI CHE UN TEMPO VOI, CHE SIETE PER NASCITA PERSONE DELLE NAZIONI,ERAVATE CHIAMATI ‘’INCIRCONCISIONE’’, DA QUELLI CHIAMATI ‘’CIRCONCISIONE’’, LA QUALE VIENE PRATICATA NELLA CARNE DA MANI UMANE. A QUEL TEMPO ERAVATE SENZA CRISTO,ESCLUSI DALLA NAZIONE D’ISRAELE, ESTRANEI AI PATTI DELLA PROMESSA; NON AVEVATE NESSUNA SPERANZA ED ERAVATE SENZA DIO NEL MONDO.ORA INVECE ,UNITI A CRISTO GESU’,VOI CHE UN TEMPO ERAVATE LONTANI VI SIETE AVVICINATI MEDIANTE IL SANGUE DEL CRISTO. LUI INFATTI E’ LA NOSTRA PACE, COLUI CHE DEI DUE GRUPPI NE HA FATTO UNO SOLO E HA DISTRUTTO IL MURO DIVISORIO CHE LI SEPARAVA. MEDIANTE LA SUA CARNE HA ABOLITO LA CAUSA DELL’ INIMICIZIA,LA LEGGE COSTITUITA DA COMANDAMENTI SOTTO FORMA DI DISCRETI, PER FARE DEI DUE GUPPI,UNITI,UN SOLO UOMO NUOVO E PORTARE LA PACE, E PER RICONCILIARE COMPLETAMENTE CON DIO ENTRAMBI I GRUPPI IN UN SOLO CORPO MEDIANTE IL PALO DI TORTURA, AVENDO ELIMINATO L’ INIMICIZIA PER MEZZO DI SE’ STESSO. ( EFESINI 2:11-16)
ALLORA PIETRO INIZIO’ A PARLARE, DICENDO: ‘’ORA CAPISCO VERAMENTE CHE DIO NON E’ PARZIALE, MA IN OGNI NAZIONE ACCETTA CHI LO TOME E FA CIO’ CHE E’ GIUSTO. ( ATTI 10:34,35)
INVOCO CON TUTTO IL CUORE. RISPONDIMI,O GEOVA. OSSERVERÒ’ LE TUE NORME. (SALMO 119:145)
A DIO NEI CIELI INNALZIAMO I NOSTRI CUORI INSIEME ALLE NOSTRE MANI:(LAMENTAZIONE 3:41)
E RICEVIAMO DA LUI QUALUNQUE COSA CHIEDIAMO, POICHE’ OSSERVIAMO I SUOI COMANDAMENTI E FACCIAMO CIO’ CHE GLI E’ GRADITO. (1GIOVANNI 3:22)
MA TU,O GEOVA,ASCOLTERAI LA RICHIESTA DEI MANSUETI. RAFFORZERAI IL LORO CUORE E PRESTERAI LORO ATTENZIONE. ( SALMO 10:17)
IL SACRIFICIO DEI MALVAGI E’ DETESTABILE PER GEOVA, MA LA PREGHIERA DEI GIUSTI GLI E’ GRADITA. ( PROVERBI 15:8)
PERCHE’ GLI OCCHI DI GEOVA DSONO SUI GIUSTI E I SUOI ORECCHI ASCOLTANO LE LORO SUPPLICHE’,MA IL VOLTO DI GEOVA E’ CONTRO QUELLI CHE FANNO IL MALE’’. ( 1PIETRO 3:12)
GEOVA E’ LONTANO DAI MALVAGI, MA ASCOLTA LE PREGHIERE DEI GIUSTI. (PROVERBI 15:29)
QUANTO A CHI SI RIFIUTA DI ASCOLTARE LA LEGGE, PERFINO LA SUA PREGHIERA E’ DETESTABILE. ( PROVERBI 28:9)
E QUANDO STENDETE LE MANI, DISTOLGO LO SGUARDO DA VOI. ANCHE SE MI RIVOLGETE MOLTE PREGHIERE, NON ASCOLTO; LE VOSTRE MANI SONO SPORCHE DI SANGUE. ( ISAIA 1:15)
ALLORA INVOCHERETE L’ AIUTO DI GEOVA, MA EGLI NON VI RISPONDERÀ’.IN QUEL TEMPO NASCONDERÀ’ DA VOI LA SUA FACCIA A MOTIVO DELLE VOSTRE AZIONI MALVAGIE. ( MICHEA 3:4)
MI ACCERCHIANO CON PAROLE PIENE DI ODIO E MI ATTACCANO SENZA RAGIONE; RICAMBIANO IL MIO AMORE OPPONENDOMI RESISTENZA, MA IO CONTINUO A PREGARE; MI RENDONO MALE PRER BENE , E RIPAGANO IL MIO AMORE CON L’ODIO. COSTITUISCI SU DI LUI UN UOMO MALVAGIO; STIA ALLA SUA DESTRA UNO CHE OPPONE RESISTENZA. QUANDO SARA’ GIUDICATO,SIA DICHIARATO COLPEVOLE; ANCHE LA SUA PREGHIERA SIA CONSIDERATA UN PECCATO. ( SALMO 109:3-7)
ANCHE SE INTERROGO’ GEOVA , GEOVA NON GLI RISPOSE MAI,NE’ CON SOGNI,NE’ TRAMITE GLI URI’M,NE’ PER BOCCA DEI PROFETI. ( 1SALMO 28:6)
‘’E QUANDO PREGATE,NON FATE COME GLI IPOCRITI,A CUI PIACE PREGARE IN PIEDI NELLE SINAGOGHE E AGKLI ANGOLI DELLE STRADE PRINCIPALI PER FARSI VEDERE DAGLI UO0MINI.IN VERITA’ VI DICO: QUESTA E’ L’UNICA RICOMPENSA CHE RICEVONO. (MATTEO 6:5)
DIVORANO LE CASE DELLE VODEVE E FANNO LUNGHE PREGHIERE PER METTERSI IN MOSTRA. LORO SUBIRANNO UN GIUDIZIO PIU’ SEVERO’’. ( MARCO 12:40)
‘’DUE UOMINI SALIRONO AL TEMPIO PER PREGARE: UNO ERA UN FARISEO E L’ ALTRO UN ESATTORE DI TASSE. IL FARISEO, STANDO IN PIEDI,PREGAVA FRA SE’: ‘O DIO,TI RINGRAZIO CHE NON SONO COME GLI ALTRI UOMINI ,LADRI, INGIUSTI E ADULTERI,E NEANCHE COME QUESTO ESATTORE DI TASSE. IO DIGIUNO DUE VOILTE ALLA SETTIMANA,E DO LA DECIMA DI TUTTO QUELLO CHE GUADAGNO’. L’ESATTORE DIN TASSE, INVECE,SE NE STAVA A DISTANZA SENZA NEANCHE ALZARE GLI OCCHI AL CIELO;ANZI,BATTENDOSI IL PETTO, DICEVA: ‘O DIO, SII MISERICORDIOSO CON ME CHE SONO UN PECCATORE’. IO VI DICO CHE, QUANDO SE NE TORNO’ A CASA, QUEST’ UOMO ERA PIU’ GIUSTO DEL FARISEO, PERCHE’ CHI SI ESALTA SARA’ UMILIATO ,MA CHI SI UMILIA SARA’ ESALTATO’’. (LUCA 18:10-14)
LUI RISPOSE LORO: ‘’E VOI, PERCHE’ TRASGREDITE IL COMANDAMENTO DI DIO A CAUSA DELLA VOSTRA TRADIZIONE? PER ESEMPIO, DIO HA DETTO:’ONORA TUO PADRE E TUA MADRE’, E: ‘CHI PARLA IN MODO OFFENSIVO DI SUO PADRE O SUO MADRE SIA MESSO A MORTE’. MA VOI DITE:’CHIUNQUE DICE A SUO PADRE O A SUA MADRE: ‘’QUALUNQUE COSA IO ABBIA CHE POTREBBE ESSERTI DI AIUTO E’ UN DOMNO DEDICATO A DIO’’, QUELLA PERSONA NON E’ AFFATTO TENUTA A ONORARE SUO PADRE’. COSI’ AVETE RESO LA PAROLA DI DIO SENZA VALORE A CAUSA DELLA VOSTRA TRADIZIONE. IPOCRITI,ISAIA PROFETIZZO’ APPROPRIATAMENTE DI VOI QUANDO DISSE: ‘QUESTO POPOLO MI ONORA CON LE LABBRA ,MA IL SUO CUORE E’ MOLTO LONTANO DA ME. CONTINUANO AD ADORARMI INUTILMENTE, PERCHE’ INSEGNANO COME DOTTRINE COMANDI DI UOMINI’’’. ( MATTEO 15:3-9)
‘’GRIDA A SUARCIAGOLA ,NON TRATTENERTI! FA’ SENTIRE LA TUA VOCE COME UN CORNO. DICHIARA AL MIO POPOLO .LA SUA RIVOLTA, ALLA CASA DI GIACOBBE I SUOI PECCATI. MI CERCANO GIORNO DOPO GIORNO, E SONO FELICI DI CONOSCERE LE MIE VIE, COME SE FOSSERO UNA NAZIONE CHE HA PRATICATO LA GIUSTIZIA E NON HA ABBANDONATO LE LEGGI DEL SUO DIO. MI CHIEDONO GIUDIZI GIUSTI, SONO FELICE DI AVVICINARSI A DIO. ‘PERCHE’ NON VEDSI QUANDO DIGIUNIAMO E NON TI ACCORGI DI QUANDO CI AFFLIGGIAMO? PERCHE’ NEL GIORNO DEL VOSTRO DIGIUNO CURATE I VOSTRI AFFARI E OPPRIMETE I VOSTRI OPERAI. I VOSTRI DIGIUNI FINISCANO IN LITIGI E RISSE, E COLPITE CON IL PUGNO DELLA MALVAGITÀ’. NON POTETE DIGIUNARE COME FATE OGGI E PENSARE CHE LA VOSTRA VOCE SIA UDITA IN CIELO. DEV’ ESSERE COSI’ IL DIGIUNO CHE IO SCELGO? DEV’ESSERE UN GIORNO IN CUI CI SI AFFLIGGE, SI CHINA LA TESTA COME UN GIUNCO E SI FA IL PROPRIO GIACIGLIO CON TELA DI SACCO E CENERE? E’ QUESTO CHE CHIAMATE DIGIUNO E GIORNO GRADITO A GEOVA? NO,IL DIGIUNO CHE IO SCELGO E’ QUESTO: TOGLIERE LE CATENE DELLA MALVAGITÀ,’ SCIOGLIERE LE CINGHIE DEL GIOGO, LIBERARE GLI OPPRESSI E SPEZZARE IN DUE OGNI GIOGO; DIVIDERE IL PANE CON CHI HA FAME, PORTARE A CASA PROPRIA I POVERI E I SENZATETTO, VEDERE QUALCUNO NUDO E VESTIRLO, E NON VOLTARE LE SPALLE AI PROPRI PARENTI. ALLORA LA TUA LUCE SPLENDERÀ’ COME L’ AURORA E LA TUA GUARIGIONE AVVERRÀ’ RAPIDAMENTE. LA TUA GIUSTIZIA ANDRA’ DAVANTI A TE E LA GLORIA DI GEOVA SARA’ LA TUA RETROGUARDIA. ALLORA CHIAMERAI,E GEOVA RISPONDERÀ’; GRIDERAI AIUTO,ED EGLI DIRA’: ‘ECCOMI!’ SE TOGLIETE DI MEZZO A TE IL GIOGO E SMETTERE DI PUNTARE IL DITO E DI FARER DISCORSI MALEVOLI, (ISAIA 58:1-9)
SENZA FEDE E’ IMPOSSIBILE PIACERE A DIO,PERCHE’ CHI SI AVVICINA A DIO DEVE CREDERE CHE EGLI ESISTE E CHE RICOMPENSA QUELLI CHE LO CERCANO ASSIDUAMENTE. ( EBREI 11:6)
AVVICINIAMOCI CON CUORE SINCERO E PIENA FEDE,ESSENDO STATO IL NOSTRO CUORE ASPERSO PER ESSERE PURIFICATO DA UNA CATTIVA COSCIENZA E IL NOSTRO CORPO LAVATO VCON ACQUA PURA. (EBREI 10:22)
‘’MA IL MIO GIUSTO VIVRA’ PER FEDE’’, E ‘’SE TORNA INDIETRO ,NON MI COMPIACCIO DI LUI’’. ORA NOI NONN SIAMO DI QUELLI CHE TORNANO INDIETRO VERSO LA DISTRUZIONE,MA DI QUELLI CHE HANNO FEDE PER LA SALVEZZA DELLLA PROPRIA VITA. (EBREI 10:38,39)
COSI’ MI SONO DETTO:’ORA I FILISTEI SCENDERANNO CONTRO DI ME A GHI’LGAL,E IO NON MI SONO ASSICURATO ILO FAVORE DI GEOVA’. ALLORA ,MI SONO SENTITO IN DOVERE DI OFFRIRE L’ OLOCAUSTO’’. (1SAMUELE 13:12)
TUTTA QUELLA CALAMITA’ SI E’ ABBATTUTA SU DI NOI,PROPRIO COME E’ SCRITTO NELLA LEGGE DI MOSE’. EPPURE NOI NON ABBIAMO IMPLORATO IL TUO FAVORE,O GEOVA NOSTRO DIO; NON ABBIAMO ABBANDONATO IL NOSTRO ERRORE NE’ COMPRESO LA TUA VERITA’. ( DANIELE 9:13)
MA AL RE DI GIUDA,CHE VI HA MANDATO A INTERROGARE GEOVA, DOVETE RIFERIRE: ‘’QUESTO E’ CIO’ CHE GEOVA ,L’IDDIO D’ISRAELE,DICE:’IN RELAZIONE ALLE PAROLE CHE HAI SENTITO, VISTO CHE IL TUO CUORE E’ STATO SENSIBILE E TI SEI UMILIATO DAVANTI A DIO QUANDO HAI ASCOLTATO LE SUE PAROLE RIGUARDO A QUESTO LUOGO E AI SUOI ABITANTI,E TI SEI UMILIATO DAVANTI A ME,TI SEI STRAPPATO LE VESTI E HAI PIANTO DAVANTI A ME, ANCHE IO TI HO ASCOLTATO , DICHIARA GEOVA. PER QUESTO MOTIVO TI RIUNIRÒ’ AI TUOI ANTENATI,E SARAI SEPOLTO IN PACE, E I TUOI OCCHI NON VEDRANNO TUTTTA LA CALAMITA’ CHE FARO’ ABBATTERE SU QUESTO LUOGO E SUOI ABITANTI’’’’. LA RISPOSTA FU QUINDI PORTATA AL RE. (2 CRONACHE 34:26-28)
TU INFATTI NON VUOI UN SACRIFICIO, ALTRIMENTI LO OFFRIREI, NE’ GRADISCI UN OLOCAUSTO. IL SACRIFICIO GRADITO A DIO E’ UNO SPIRITO AFFRANTO. UN CUORE AFFRANTO E ABBATTUTO, O DIO,TU NON DISPREZZI. ( SALMO 51:16,17)
MI APPELLO A TE CON TUTTO IL CUORE. MOSTRAMI FAVORE,PROPRIO COME HAI PROMESSO. ( SALMO 119:58)
A UN CERTO PUNTO IO’ACAZ IMPLORO’ IL FAVORE DI GEOVA,E GEOVA LO ASCOLTO’, PERCHE’ AVEVA VISTO COME IL RE DI SIRIA OPPRIMEVA ISRAELE. (2RE 13:4)
QUANDO CHIUDERÒ’ I CIELI E NON CI SARA’ PIOGGIA,E QUANDO COMANDERÒ’ ALLE LOCUSTE DI DIVORARE ILO PAESE,E QUANDO MANDERÒ’ UN EPIDEMIA IN MEZZO AL MIO POPOLO, SE IL MIO POPOLO SU CUI E’ STATO INVOCATO IL MIO NOME SI UMILIERÀ’, PREGHIERA’, RICERCHERÀ’ LA MIA FACCIA E ABBANDONERÀ’ LA SUA MALVAGIA CONDOTTA, ALLORA IO ASCOLTERÒ’ DAI CIELI, PERDONERÒ’ IL SUO PECCATO E SANERO’ IL SUO PAESE. ( 2 CRONACHE 7:13,14)
GEOVA PARLO’ PIU’ VOLTE A MENASSE E AL SUO POPOLO,MA LORO NON PRESTARONO ATTENZIONE. ALLORA GEOVA MANDO’ CONTRO DI LORO I CAPI DELL’ ESERCITO DEL RE D’ ASSIRIA,CHE CATTURARONO MANASSE CON UNCINI,LO LEGARONO CON DUE CATENE DI RAME E LO PORTARONO A BABILONIA. NELLA SUA ANGOSCIA, M MANASSE IMPLORO’ IL FAVORE DI GEOVA SUO DIO E CONTINUO’ A UMILIARSI GRANDEMENTE DAVANTI ALL’ IDDIO DEI SUOI ANTENATI. CONTINUO’ A PREGARLO,ED EGLI FU TOCCATO DALLE SUE SUPPLICHE E ASCOLTO’ LA SUA RICHIESTA DI FAVORE. LO FECE TORNARE QUINDI A GERUSALEMME ,AL SUO REGNO;E MANASSE RICONOBBE CHE GEOVA E’IL VERO DIO. ( 2CRONACHE 33:10-13)
AVVICINATEVI A DIO, ED EGLI SI AVVICINERÀ’ A VOI.PULITE LE VOSTRE MANI ,O PECCATORI,E PURIFICATE I VOSTRI CUORI, O INDECISI. SIATE AFFLITTI, FATE CORDOGLIO E PIANGETE . IL VOSTRO RISO SI TRASFORMI IN LUTTO,E LA VOSRA GIOIA IN DISPERAZIONE. UMILIATEVI AGLI OCCHI DI GEOVA, ED EGLI VI ESALTERA’. ( GIACOMO 4:8-10)
ESAMINIAMO LA NOSTRA CONDOTTA, SCRUTIMOLA,E TORNIAMO DA GEOVA. A DIO NEI CIELI INNALZIAMO I NOSTRI CUORI INSIEME ALLE NOSTRE MANI: ‘’ABBIAMO PECCATO E CI SIAMO RIBELLATI,E TU NON CI HAI PERDONATO. CI HAI OSTRUITO L’ACCESSO CON IRA, CI HAI INSEGUITO E UCCISO SENZA PIETA’. HAI OSTRUITO LACCESSO A TE CON UNA NUBE,PèERCHE’ LA NOSTRA PREGHIERA NON PASSI. ( LAMENTAZIONE 3:40-44)
ALLO STESSO MODO VOI, MARITI, CONTINUATE A VIVERE CON LE VOSTRE MOGLI MOSTRANDO LORO CONSIDERAZIONE.DATE LORO ONORE COME A UN VASO PIU’ FRAGILE,QUELO FEMMINILE, DAL MOMENTO CHE SONO EREDI INSIEME A VOI DELL’ IMMERITATO DONO DELLA VITA, COSI’ CHEN LE VOSTRE PREGHIERE NON SIANO IMPEDITE. ( 1PIETRO 3:7)
‘’INFATTI ,SE VOI PERDONATE AGLI ALTRI LE LORO COLPE,ALLORA IL VOSTRO PADRE CELESTE PERDONERÀ’ LE VOSTRE; MENTRE SE VOI NON PERDONATE AGLI ALTRI LE LORO COLPE, NEPPURE IL PADRE VOSTRO PERDONERÀ’ LE VOSTRE. ( MATTEO 6:14,15)
E QUANDO PREGATE, PERDONATE QUALUNQUE COSA ABBIATE CONTRO QUALCUNO,COSI’0 CHE ANCHE IL PADRE VOSTRO CHE E’ NEI CIELI PERDONI LE VOSTRE COLPE’’. ( MARCO 11:25)
E PERDONA I NOSTRI PECCATI, PERCHE’ ANCHE NOI PERDONIAMO CHIUNQUE SIA IN DEBITO CON NOI.E NON FARCI CADERE IN TENTAZIONE’ ‘’. ( LUCA 11:4)
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Sono un bottone blu.
Nessuno di voi umani ricorda il momento della propria nascita, l’istante in cui una donna “vi dà alla luce”, come siete soliti dire. Eppure per noi “cose” è tutto diverso. Io, ad esempio, sono un bottone blu.
Ricordo di essere stato una miscela di plastica sciolta, bollente, prima di essere pressato sotto quella che sarebbe diventata un giorno la mia forma di oggi.
Ricordo di aver passato i miei primissimi mesi, quando ancora ero scombussolato dal fragore di questo nuovo mondo, in una scatola di latta. Sul rivestimento erano disegnati dolcetti e scritte corsive, che come dice la parola correvano tutt’attorno la superficie arrotondata, perciò pensavo sempre che nessuno si sarebbe ricordato che proprio lì dentro stavo io, assieme agli altri bottoni, aggrovigliati senza alcuna logica in una meravigliosa trama del disordine. E l’idea di restare in incognita per tutta la vita, detto tra noi, non mi dispiaceva.
Ricordo di aver passato anni interi a fissare quella fascia di luce che con il passare delle ore si spostava e penetrava da quel bordo di metallo che era diventato la mia casa. Provavo ad immaginare la terra fuori, dipinta di quei guizzi di luce che facevano innamorare persino i miei occhi, rinchiusi in un mondo millimetrico.
Ma il momento che ricordo meglio, sarà per sempre quella mattina di primavera, quando, tra i profumi dei boccioli e i tremori della rugiada al vento, tra le voci di un vinile graffiato e quelle delle rondini, una mano fece sobbalzare il nostro piccolo rifugio. Ciò che ci teneva al buio diede spazio a miliardi di colori, di bagliori… credevo che il cuore non potesse reggere questo tumulto vorticoso di sensi.
La pelle delle sue dita era molto chiara, e l’intensità dello smalto con cui erano state laccate le sue unghie curate accentuava la loro purezza cromata. Ricordo che scorse i polpastrelli caldi su ognuno di noi, come ci accarezzasse. Ora, che sono io a raccontare con le lacrime agli occhi, risulterà ovvio che scelse me, ma io mai me lo sarei aspettato. Non sono mai stato in attesa nella mia vita, prima di quel momento, ho soltanto riposato e spinto la mente su altalene di immagini inventate.
Lei, però, scelse me. Mi prese fra le sue mani, e per la prima volta vidi i suoi occhi, quegli occhi che con il tempo sarebbero diventati anche i miei, di giorno in giorno, di viaggio in viaggio, di sguardo in sguardo. Mi posò sul bracciolo di una poltrona color porpora, prese un filo di cotone bianco e con delicatezza chiese all’ago di farle spazio per lasciar passare la fibra sottile attraverso il mio corpo, per unirci in un legame di solo contatto. Nel tempo di un brivido facevo già parte di qualcosa di più grande.
La donna dalla quale ero stato scelto, aveva deciso che la mia nuova dimora sarebbe stato il suo petto, legato ad una blusa candida. Da quel momento sarei per sempre restato, protetto dall’abbraccio di un’asola spaziosa.
Incominciai a conoscere di chi era il corpo che mi aveva accolto; ogni mattina, le sue mani ancora calde di sogni e di caffè, mi avvolgevano per ripormi nuovamente al mio posto. Il momento che preferisco, prima che si esca di casa per andare a lavoro, è l’ultimo sguardo sfuggevole che si dà allo specchio, per mettere a posto qualche capello fuori posto o per accarezzare le lunghe ciglia nere come a pettinarle. D’altronde, durante la giornata, lo specchio è l’unico mezzo che ho per guardare i suoi occhi, il suo viso, solitamente vedo soltanto quello che è lei a vedere. Stiamo dalla stessa parte.
Con il tempo ho imparato a capire anche i movimenti della sua anima. Le ansie, le paure, gli amori, le felicità, le riflessioni… ognuno di essi possiede un ritmo proprio, e il suo petto si muove, sotto il mio corpo, secondo la frequenza dei propri battiti.
In questi anni ho sempre adorato l’inverno insieme a lei. Passavamo le giornate avvolti in cappotti roventi del suo profumato calore, seppure non potessi mostrare quasi a nessuno il mio bel colore acceso.
Niente, però, mi ha mai fatto tremare quanto i suoi innamoramenti fugaci. Ricordo la prima volta che successe, nel bel mezzo di un parco, quello proprio nel centro della città. Era autunno, e ogni foglia aveva già iniziato da un po’ la sua metamorfosi cromatica, in un vortice di baleni tenui. La mia donna aveva deciso di voler alzare un po’ di più lo sguardo, e così si era incamminata tra le vie di ciottoli bagnati, osservando la biancheria stesa alle finestre del centro, dalle magliette di bambini a bande rosse e bianche, alle vestaglie in pizzo nero di spose annoiate. Comprò un caffè, velocemente, con un debole sorriso soltanto accennato, dissolto tra quei pensieri che la sopraffacevano. Arrivata al parco scelse una panchina, quella priva del terzo asse in legno, sfilò il cappotto e ne estrasse un libricino dalla copertina bianca, con soltanto alcune parole scritte sopra. Mentre lei leggeva, io seguivo i fluttui che le lettere, una accanto all’altra, creavano. Era poesia, posso assicurarlo, non tanto perchè io sapessi estrarne un qualche significato, quanto perchè le frasi, sovrapposte, costruivano una scala; erano le sue preferite.
Non ho mai amato la musica perchè, solitamente, ogni volta che Lei ascoltava una melodia, il ritmo del suo petto, che io sentivo così forte, scombussolava l’andamento dei battiti provenienti dal giradischi. Eppure, quel giorno, ogni vibrazione che arrivava a me, sembrava essere in sintonia. In lontananza, l’eco delle corde di una chitarra dal corpo umido, rifletteva su ogni tronco d’albero, su ogni velo d’acqua, per poi giungere a noi, quasi amplificato.
E’ stato proprio in quell’atmosfera mistica, intrisa di stimoli sensoriali, che quella prima figura d’amore avanzò verso la mia donna. Con il suo energico incedere, si scoprì alla luce un giovane uomo flessibile, dalle lunghe dita affusolate che sembravano appoggiarsi all’aria ad ogni passo. La sua barba mora e quasi folta si scostò dalle sue labbra per fare spazio ad alcune parole, con le quali avrebbe poi convinto Lei a regalargli un po’ di quella preziosa poesia bianca.
Da quel giorno lo vedemmo spesso, Lei parlava alle sue orecchie e io mi dondolavo su quella serenità. Ricordo la tenerezza delle prime volte. Ricordo le sere passate davanti al camino, tra calici di vino rosso e incenso, il calore che mi bruciava il corpo ogni volta che si avvicinava al fuoco per aggiungere della legna. I suoi occhi ed io avevamo lo stesso riflesso lucido al fronte delle fiamme, io a causa della mia vernice lucida, e loro a causa delle emozioni che si nascondevano appena sotto le palpebre. Ricordo anche quando rimaneva nuda di fronte a lui, coperta soltanto da me e dalla blusa bianca, quasi trasparente. Quando lui la stringeva a sè, sentivo attorno a me una confusione inverosimile, incomprensibile. Si mescolavano, ed io, appoggiato tra i suoi capezzoli turgidi che sporgevano dal tessuto, riposavo palpitante, felice delle sue sensazioni forti.
Così finisco di raccontare quel poco di vita che la mia Donna è stata capace di regalarmi fin’ora. Nonostante io sia soltanto un oggetto silenzioso, immobile. E’ giusto, credo, che vi ricordiate della mia quieta presenza, che vi ricordiate di darmi uno sguardo, ogni tanto, quando attraverso i viali appoggiato alla mia blusa, sul corpo della mia Donna. E soprattutto che ripensiate a questa mia breve esistenza, raccontata in poche righe, che ho visto da questo petto caldo.
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PHOTOS: http://girlfromtube.tumblr.com/post/182760059083 Bastian's Dad: Abbiamo tutt'e due delle responsabilità e la morte della mamma non dev'essere una scusa per non fare il nostro dovere. No? Bastian: Lo so. Bastian's Dad: Dobbiamo parlare un po' noi due. Mi ha telefonato la tua insegnante di matematica, ieri. Lei dice che tu disegni cavalli sul quaderno. Bastian: Unicorni. Erano unicorni quelli. Bastian's Dad: Cosa? Bastian: No, niente. Bastian's Dad: Dice anche che ogni tanto, ti scordi di fare i compiti. E a me dispiace che tu non tenti nemmeno di far parte della squadra di nuoto. In quanto poi alle lezioni di equitazione a cui tenevi tanto, tu dici che ami i cavalli, ma hai paura di montare su uno vero. Sai Bastian ormai sei grande. E' ora che tu scenda dalle nuvole e impari a tenere i piedi per terra. No? Bastian: Va bene. Bastian's Dad: Basta fantasticare e affronta la realtà, va bene? Bastian: Va bene. Koreander: I videogames sono più avanti. Qui vendiamo solo piccoli oggetti rettangolari, si chiamano libri. Richiedono un certo impegno, non fanno "bi bi bi bi bi bi bip". Su, sparisci! Bastian: Li conosco i libri io, ne ho 186 a casa mia. Koreander: Già, avrai i fumetti. Bastian: No. "L'Isola del tesoro", "L'ultimo dei Mohicani", "Ventimila leghe sotto i mari", "Il mago di Oz", "Il Signore degli Anelli", "Tarzan"... Koreander: I tuoi libri sono innoqui. Mentre li leggi tu diventi Tarzan o Robinson Crouseau. Bastian: Ma è per questo che mi piace leggerli. Koreander: Già, ma quando hai finito ritorni ad essere un bambino. Bastian: E allora? Non capisco. Koreander: Sta a sentire. Non sei mai stato il Capitano Nemo, intrappolato nel tuo sottomarino mentre la piovra ti sta attaccando. Bastian: Si. Koreander: E non tremavi all'idea di non farcela? Bastian: E' solo un racconto. Koreander: Esattamente quello che dicevo io. I libri che leggi tu, sono innoqui. Teeny Weeny: C'è solo il Nulla e ogni giorno dilaga, dilaga. Night Hob: Uno strano Nulla, sta distruggendo tutto. Maghetto: Forse il Nulla è già dappertutto. Atreyu: Se non mi volevate, non dovevate invitarmi. Bastian: Atreyu e Artax avevano già perlustrato le Montagne d'Argento, il Deserto delle Speranze Infrante e la Valle delle Torri di Cristallo, ma senza alcun risultato. Era rimasta una sola possibilità, trovare Morla l'essere millenario noto come il più saggio di tutta Fantasia che aveva la propria dimora nel Monte Guscio, sperduto nelle insidiose Paludi della Tristezza. Bastian: Era cosa nota che chiunque si fosse abbandonato alla Tristezza, sarebbe affogato nella Palude. Atreyu: Sei tu Morla, l'essere millenario? Morla: Non che ciò interessi granché, però si. Morla: Noi non parliamo con nessuno da qualche migliaio di anni, così abbiamo cominciato a parlare con noi stessi. Atreyu: Hai il raffreddore? Morla: No, è solo allergia alla gioventù. Morla: Morire? Beh, sarebbe già qualcosa. Falcor: Non arrenderti e la fortuna verrà da te. Urgl: Allora giovanotto, ti fa ancora male?! Atreyu: Un po', ma sto bene. Urgl: Oh questo mi piace! Il paziente dice al dottore "Ora sto bene!" Devi star male se vuoi guarire!!! Atreyu: Vi siete mai incontrati? Engywook: Incontrati? Vuoi scherzare??? Io lavoro in modo scientifico!!! Engywook: Gli occhi delle Sfingi restano chiusi finché qualcuno, il quale non ha fiducia in sé stesso, cerca di varcarne la soglia. Engywook: Non c'è armatura che ti ripari. Le Sfingi riescono a vedere fin dentro il tuo cuore. Engywook: Non dubitare di te stesso!!! Abbi fiducia in te!!! Bastian: Abbi fiducia!!! Devi aver fiducia!!! Engywook: Il peggio deve ancora affrontarlo! La Porta dello Specchio Magico! Si troverà faccia a faccia con il proprio io! Falcor: E con questo? Che vuoi che sia per lui? Engywook: Eh tutti sono convinti che sia facile!!! Ma sovente, i buoni scoprono di essere crudeli. Eroi famosi scoprono di essere codardi. Posti di fronte al loro vero io, pressoché tutti gli uomini fuggono urlando! Atreyu: Presto Falcor! Il Nulla è dappertutto! Falcor: Sta tranquillo, raggiungeremo i confini di Fantasia. Atreyu: Sai dove sono? Falcor: Non ne ho la minima idea! Bastian: Volarono su monti e valli finché non giunsero al Mare delle Possibilità. Gmork: Fantasia non ha confini. Atreyu: No, non è vero! Tu menti! Gmork: Sei uno sciocco e non sai un bel niente di Fantasia. E' il mondo della fantasia umana, ogni suo elemento, ogni sua creatura scaturisce dai sogni e dalle speranze dell'umanità e quindi Fantasia non puo' avere confini. Atreyu: Perché Fantasia muore? Gmork: Perché la gente ha rinunciato a sperare e dimentica i propri sogni. Così il Nulla dilaga. Atreyu: Che cos'è questo Nulla? Gmork: E' il vuoto che ci circonda, la disperazione che distrugge il mondo. Gmork: E' più facile dominare chi non crede in niente. E questo è il modo più sicuro di conquistare il potere. Imperatrice: Lui ha sofferto con te, ha vissuto tutto quello che hai vissuto tu. E adesso è giunto qui con te. E' vicinissimo e sente tutto quello che diciamo. Bastian: Cosa??? Atreyu: E dov'è??? Se è tanto vicino, perché non arriva??? Imperatrice: Non si è ancora accorto di fare già parte della Storia Infinita. Atreyu: Storia Infinita? Ma che cos'è? Imperatrice: Lui vive le tue avventure e altri intanto vivono la sua. Erano tutti con lui quando si è rifugiato nella libreria. Bastian: Ma questo è impossibile!!! Imperatrice: Ed erano con lui quando si è preso il libro con l'aureen impresso sulla copertina. Il libro nel quale sta leggendo la sua storia, anche adesso. Imperatrice: Non immagina nemmeno che un bambino possa essere così importante! Bastian: E' solamente un racconto! Che cosa c'entro io, è solamente un racconto!!! Imperatrice: Perché non ascolti i tuoi sogni!?!?! Bastian: Ma io, devo restare con i piedi per terra!!! Bastian: Perché è così buio? Imperatrice: All'inizio è sempre buio. Bastian: E' stato tutto inutile. Imperatrice: No, non è vero. Fantasia puo' ancora risorgere, dai tuoi sogni e dai tuoi desideri. Bastian: E come? Imperatrice: Apri una mano. C'è qualcosa che desideri? Bastian: Non lo so. Imperatrice: Allora Fantasia non esisterà più, mai più. Bastian: Quanti ne posso dire? Imperatrice: Tutti quelli che vuoi. Più tu ne esprimerai e più il regno di Fantasia diventerà splendido!
#La storia infinita#Die unendliche Geschichte#1984#Wolfgang Petersen#Michael Ende#The NeverEnding Story
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L’affare Mayerling di Bernard Quiriny
Il condominio è per definizione incompatibile con gli impianti hi-fi, gli apparecchi radio a tutto volume, le casse amplificate, con tutto ciò che, insomma, produca più decibel di uno spazzolino elettrico.
Bisognerebbe installare in questi apparecchi un chip collegato a un jammer piantato nel muro. Questo disturbatore di frequenze riconoscerebbe il chip e neutralizzarebbe l'apparecchio, salvando la pace mentale dei vicini.
O altrimenti si potrebbero istituire delle milizie del rumore controllate dallo Stato che, ispezionando gli appartamenti, sarebbero in grado di stanare gli apparecchi pericolosi. A quel punto non dovrebbero sottoporli a confisca ma semplicemente ridurne, con interventi mirati, la portata acustica a un livello ragionevole, come quando si asporta il veleno dalla coda di uno scorpione.
“L’affare Mayerling” è l’ultimo romanzo di Bernard Quiriny uscito in italiano per L’Orma Editore, come sapete ormai una delle mie case editrici preferite. Dello scrittore belga ormai ho letto tutto e questo libro mi ha intrigato fin da quella copertina, con la planimetria, fin da quell’accenno che spiegava come il vero protagonista della storia fosse un condominio. La bravura di Quiriny ha fatto il resto per farmi innamorare follemente.
Quale imperscrutabile mistero si cela dietro i cancelli del condominio Mayerling? Tra le mura di questa «dimora di pregio» sorta nel centro di Rouvières con una promessa di pace e benessere per i suoi inquilini, i contorni del possibile si slabbrano e la realtà prende una piega inattesa: la famiglia Lequennec è attanagliata dai mefitici attacchi di un impianto idraulico in rivolta; l’attempata signora Camy si ritrova a insidiare la virtù di giovani e nerboruti traslocatori; il placido signor Paul pianifica lo sterminio dei suoi chiassosi vicini di casa; mentre nei meandri del seminterrato una macchina infernale sembra risvegliarsi... Con un tono divertito cui fa da contraltare un’implacabile critica dell’ipocrisia e della pusillanimità borghese, Quiriny stila l’esilarante cronaca di un palazzo che prende vita e tenta in tutti i modi di fagocitare i propri ospiti. In un crescendo di situazioni grottesche e perturbanti – nelle quali risuona la voce di Perec e Ballard, e si assapora il piglio comico di Wodehouse e Daninos – L’affare Mayerling compone tessera dopo tessera il variopinto mosaico di un’umanità prigioniera dell’assurdo, messa in scacco dai suoi stessi sogni.
Ho scoperto per caso Quiriny e ne leggo i libri con lo stesso entusiasmo che dedico a ben pochi autori. Sarà che la sua immaginazione mi affascina incredibilmente, sarà che il fatto che si parli della storia di un palazzo ha stuzzicato la mia curiosità, ma ammetto che sono rimasta incollata ad ogni pagina ansiosa di sapere che cosa sarebbe successo. Il Mayerling è un condominio costruito in una tranquilla zona residenziale della cittadina di Rouvières, in una cosa all’appalto di imprese di costruzione senza scrupoli, alla ricerca di un facile affare. Il terreno ideale da lottizzare e rivendere, per appartamenti ideali per piccole famiglie. Ogni casa organizzata in maniera piuttosto simile viene occupata da una varietà umana affascinante e inquieta, che viene tormentata da episodi disturbanti e inquietanti. Ogni personaggio quindi diventa un catalizzatore per un aspetto distruttore, e l’esasperazione di una situazione già di per sé molto complicata. I rumori che bombardano senza dare tregua, il bagno rigurgitante, il garage infestato, ogni aspetto viene a simboleggiare una famiglia e la guerra ingaggiata a colpi di dispetti e colpi bassi. Quiriny racconta una storia che cerca di divertire e aprire gli occhi, ma soprattutto descrive una storia di unione e di rivalsa che supera i confini delle mura e delle pagine e si sedimentano tra le pieghe impreviste di una ribellione. Ogni personaggio arriva al punto di non ritorno, finché non comprende che deve lasciarsi andare e impugnare le armi. Ognuno di noi deve intraprendere una battaglia e non tutti ne escono vincitori. Il Mayerling allora riassume tutte le nostre paure più profonde e l’incertezza che deriva dal dissociarsi completamente da un mostro tentacolare.
Il particolare da non dimenticare? Delle tubature scoppiate…
Un palazzo fagocitante che riempie le pagine rende questa storia affascinante e inquietante, un racconto corale che rapisce il lettore, un viaggio improvviso che spezza le catene dell’assurdo in cui l’unione fa la forza.
Buona lettura guys!
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C’era una volta la principessa
«Oggi il fantastico si popola di eroine forti, indipendenti»: la scrittrice di fantasy italiana più letta al mondo spiega perché le rivoluzioni iniziano sempre con un sogno. Per esempio, l’autoaffermazione delle donne.
Ho passato buona parte della mia infanzia a sperare di essere da qualche altra parte. La mia famiglia era tutta campana, e io non sentivo alcun senso di appartenenza nei confronti di Roma, la mia città di cui neppure parlavo il dialetto. Non amavo il quartiere periferico in cui vivevo, e non mi sentivo a mio agio a scuola, dove nessuno sembrava assomigliarmi, tranne poche, fidatissime amiche. Le cose sono lentamente cambiate quando ho iniziato le superiori, e Roma pian piano mi ha fatta sua, ma, a conti fatti, ci ho messo trentacinque anni a trovare un posto che riuscissi davvero a chiamare casa, nel quale costruire la mia tana. È stato quando ho trovato questo angolo dei Castelli Romani, stretto tra il cono mozzo di Monte Cavo e i declivi dolci del Tuscolo, che d’improvviso ho capito che anch’io potevo appartenere a un luogo. La dialettica tra il bisogno di avere delle radici e quello di spostarsi in cerca di una vita migliore sembra qualcosa di molto contemporaneo. Mai come in questi tempi si fronteggiano da un lato quelli che sono per la chiusura e la strenua difesa di una non meglio specificata patria, la cui essenza è sempre più sfuggente, e coloro che invece si muovono, spinti da necessità irresistibili, in un mondo in cui, almeno dal punto di vista economico, i confini non hanno più alcuna ragione di essere. Ma, a ben guardare, la ricerca di un altrove è stata il segno sotto il quale si è svolta tutta la vicenda umana. Qualche tempo fa lessi un articolo in cui si spiegava una cosa sorprendente: il gene della pelle bianca, di cui tanto andiamo fieri, non è proprio dei Sapiens, ma con ogni probabilità proviene dall’uomo di Neanderthal. I primi Sapiens, comparsi in Africa circa 200.000 anni fa, avevano la pelle scura. Da qui, i nostri antenati iniziarono a colonizzare l’intero pianeta, arrivando fino in Europa, dove in parte soppiantarono e in parte si fusero coi Neanderthal. Dunque anche il colore della nostra pelle è il frutto di una storia di migrazioni. Da allora, il bisogno di muoversi, esplorare, andare altrove, non si è mai spento nell’uomo. Quasi ogni storia che ci raccontiamo è la storia di un viaggio: che sia interiore, alla ricerca di se stessi e di un senso, o di uno spostamento fisico, la dialettica di ogni racconto è quella di un passaggio da uno stato all’altro, da un luogo a un altro. E questo bisogno è così forte che, quando abbiamo finito di esplorare la nostra Terra, abbiamo deciso di volgere lo sguardo verso le stelle. Abbiamo raggiunto fisicamente la Luna, e poi, per mezzo di sonde e robot vari, buona parte dei corpi del Sistema Solare. Nel 2016 Stephen Hawking, Mark Zuckerberg e il miliardario russo Yuri Milner hanno presentato un progetto per spedire una serie di microsonde verso Alpha Centauri, la stella a noi più vicina, così distante che la luce che emette – e che, lo ricordiamo, viaggia a 300.000 km/s – impiega più di quattro anni a raggiungerci. Le sonde sarebbero spinte da vele che catturano il vento solare, e viaggerebbero a una velocità tale da coprire la distanza in venti anni. Ma qualcosa di noi ha già varcato i confini del Sistema Solare: è la sonda Voyager 1, lanciata nel 1977, e oggi distante dal Sole 19 ore luce. Non basta. L’altrove spesso non è solo un luogo fisico, ma uno spazio metafisico, vivo solo nelle nostre menti. Abbiamo immaginato il futuro, in centinaia di libri, film e telefilm di fantascienza. L’abbiamo alternativamente visto come un luogo in cui l’utopia di un’umanità in pace si è finalmente realizzata – basti pensare a “Star Trek” – o dove i nostri peggiori incubi sono diventati realtà – la Repubblica di Galaad di Atwood, per citarne solo una. E abbiamo reinventato anche il passato, nelle mille declinazioni fantastiche del Medioevo che hanno ospitato le gesta di innumerevoli eroi fantasy. Anche il presente ha sacche d’ombra, nelle quali è facilissimo inserire un altrove accessibile solo a chi ha certi poteri. Io stessa mi sono divertita spesso a popolare i luoghi che amo di labirinti segreti, rifugi di sette esoteriche antichissime, città perdute: un lago vulcanico può diventare ciò che resta di una città che si è staccata dalla terra e ha iniziato a vagare in cielo, i resti di un’antica villa romana la dimora perduta di una malvagia viverna. L’altrove è stato spesso anche un luogo prezioso per le donne – la “stanza tutta per sé”, soprattutto fisica, ma anche mentale di Virginia Woolf –, ove reinventarsi, trovare una propria libertà, e al tempo stesso affermarsi. Il fantastico, soprattutto in anni recenti – ma non mancano esempi anche nei decenni scorsi – si è popolato di eroine femminili forti e indipendenti, modelli diversi da quello imperante di madre o donna di malaffare, nelle cui trame a lungo siamo rimaste imprigionate. Per me, in quanto scrittrice di personaggi principalmente femminili, è stata soprattutto l’occasione per presentare un modello di femminilità diverso, più aderente agli esempi che ho avuto la fortuna di vedere intorno a me, e al tipo di donna che volevo essere. Da cosa deriva questa costante insoddisfazione che ci muove? Questo desiderio di andare oltre, al di là dei nostri limiti, dei luoghi in cui ci sentiamo sicuri, “là dove nessuno si è mai spinto prima”? C’è chi si muove sulla scorta di terribili necessità: sfuggire alla guerra, alla povertà, o soltanto sognare un futuro migliore, per sé e per i propri figli. Ma non è solo questo. È forse l’acuta percezione dei nostri limiti fisici, cui non corrispondono uguali limiti mentali. I nostri corpi sono vincolati qui, a questa Terra, splendida eppure troppo piccola per contenere tutti i nostri sogni, la nostra carne è limitata dalla morte: ma non così il nostro cervello, che immagina, progetta, e oltre questi confini si spinge di continuo. Sogniamo l’altrove perché è l’ultima fuga, quella dal tempo e dall’inevitabile concludersi della nostra vicenda terrena. Immaginiamo luoghi in cui la nostra sete d’infinito possa essere soddisfatta, ed è lì, nello spazio senza tempo e dimensione, che creiamo con le nostre menti, che infine siamo davvero liberi.
Licia Troisi, Vogue Italia, settembre 2018, n.817, pag.518
*Licia Troisi, 37 anni, astrofisica, è l’autrice fantasy italiana più letta nel mondo. Romana, ha raggiunto il successo a soli 24 anni con il primo libro della saga del Mondo Emerso, nel 2004. Ha pubblicato poi, sempre con Mondadori, le serie La ragazza drago, I regni di Nashira, Pandora, e La Saga del Dominio, di cui il terzo e ultimo libro uscirà il prossimo autunno. È tradotta in diciotto paesi e ha venduto complessivamente tre milioni e mezzo di libri.
L'articolo C’era una volta la principessa sembra essere il primo su Vogue.it.
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[Books] Gli anni della leggerezza di Elizabeth Jane Howard
Titolo originale: The Light Years Autore: Elizabeth Jane Howard Prima edizione: 1990 Edizione italiana: Traduzione di Manuela Francescon - Roma, Fazi Editore, 2015
Presentazione dell'editore: È l’estate del 1937 e la famiglia Cazalet si appresta a riunirsi nella dimora di campagna per trascorrervi le vacanze. È un mondo dalle atmosfere d’altri tempi, quello dei Cazalet, dove tutto avviene secondo rituali precisi e codici che il tempo ha reso immutabili, dove i domestici servono il tè a letto al mattino, e a cena si va in abito da sera. Ma sotto la rigida morale vittoriana, incarnata appieno dai due capostipiti affettuosamente soprannominati il Generale e la Duchessa, si avverte che qualcosa sta cominciando a cambiare. Ed ecco svelata, come attraverso un microscopio, la verità sulle dinamiche di coppia fra i figli e le relative consorti. L’affascinante Edward si concede svariate amanti mentre la moglie Villy si lacera nel sospetto e nella noia; Hugh, che porta ancora i segni della grande guerra, forma con la moglie Sybil una coppia perfetta, salvo il fatto che non abbiano idea l’uno dei desideri dell’altra; Rupert, pittore mancato e vedovo, si è risposato con Zoë, un’attrice bellissima e frivola che fatica a calarsi nei panni della madre di famiglia; infine Rachel, devota alla cura dei genitori, che non si è mai sposata per un motivo ben preciso. E poi ci sono i nipoti, descritti mirabilmente nei loro giochi, nelle loro gelosie e nei loro sogni, in modo sottile e mai condiscendente, dalle ingenuità infantili alle inquietudini adolescenziali. Ma c’è anche il mondo fuori, e la vita domestica dei Cazalet s’intreccia inevitabilmente con la vita di un paese sull’orlo di una crisi epocale. Mentre le vicissitudini private dei personaggi vengono messe a nudo e vicende grandi e piccole intervengono a ingarbugliare le loro esistenze, si comincia a mormorare di una minaccia che viene dal continente, e che assume sempre più spessore nelle consapevolezze dei protagonisti, fino a diventare tangibile: la seconda guerra mondiale è alle porte. La prosa sapiente di Elizabeth Jane Howard, il suo sguardo acuto e la sua ironia affilata ci accompagnano in queste pagine mano nella mano, fino alla fine del primo libro della saga dei Cazalet, lasciandoci con la voglia di andare avanti.
«È una scrittrice che dimostra attraverso il proprio lavoro a cosa serve un romanzo… ci aiuta a fare quello che è necessario: aprire occhi e cuore». Hilary Mantel
«La scrittrice più interessante della sua generazione». Martin Amis
«La sua scrittura è brillante. Ti fa ridere, a volte ti sciocca, e spesso ti fa piangere». Rosamunde Pilcher
“E questo fu l’inizio di quell’estate, che nella memoria si confuse con tante altre estati, ma che restò memorabile come l’estate in cui nacque il piccolo William, (...); per Polly fu l’estate della morte di Pompey e del suo solenne funerale; per il vecchio William Cazalet fu l’estate in cui concluse l’acquisto della casa col mulino giù in fondo alla strada; Edward la ricordò come l’estate in cui, mentre sostituiva Hugh in ufficio, conobbe Diana; per Louise fu l’estate in cui ebbe le prime mestruazioni; per Teddy fu quella in cui sparò per la prima volta a una lepre e in cui cominciò a cambiargli la voce; Lydia la ricordò sempre come l’estate in cui i ragazzi la chiusero nella gabbia della frutta, poi andarono a giocare a bike polo e si scordarono di lei, cosicché fu trovata che era già ora di pranzo (Nan aveva il giorno libero) e aveva cominciato a pensare che, una volta finita l’uvaspina, non le sarebbe rimasto niente da mangiare; per Sid fu l’estate in cui le fu chiaro che Rachel non avrebbe mai lasciato i suoi genitori e che lei non sarebbe mai riuscita a “sbattere contro qualcosa, così il dente se l’era inghiottito e non l’aveva detto a nessuno, ma aveva vissuto poi nel terrore che il dente gli mordesse le viscere; fu l’estate in cui Rupert capì che sposando Zoë aveva perso ogni chance di diventare un pittore serio, perché doveva tenersi stretto il lavoro d’insegnante per provvedere a quelle che per Zoë erano necessità primarie; per Villy fu l’estate in cui per noia si era messa a studiare violino e aveva costruito un modellino di una Cutty Sark che le era venuto troppo grande per essere infilato in una bottiglia, cosa che era riuscita a fare con una nave più piccola l’estate precedente; Simon se ne ricordò come dell’estate in cui papà gli insegnò a guidare, facendo su e giù per il vialetto con la Buick; per Zoë fu l’estate spaventosa in cui ebbe un ritardo di tre settimane e si convinse di essere incinta e per la Duchessa fu l’estate in cui l’albero delle peonie fiorì per la prima volta; Clary la ricordò come l’estate in cui si ruppe un braccio cadendo da Joey mentre Louise le insegnava a cavalcare, e in cui una notte era scesa sonnambula in sala da pranzo mentre tutti cenavano, pensando di sognare, e papà l’aveva riportata a letto in braccio; e Rachel la ricordò come l’estate in cui aveva visto nascere un bambino e in cui la schiena aveva cominciato a darle problemi, cosa che avrebbe continuato a fare per il resto della sua vita. Will invece, per il quale fu la prima estate, non se ne ricordò affatto."
Come ogni estate, i Cazalet si riuniscono a Home Place, nel Sussex.
Questa ricca famiglia borghese di commercianti di legname è formata dai due capostipiti, affettuosamente chiamati il Generale e la Duchessa, dai loro tre figli maschi, con mogli e prole al seguito, e da una figlia nubile, Rachel, che vive con i genitori.
Intorno al nucleo principale gravitano poi parenti acquisiti e vari dipendenti.
Siamo nel 1937 e la guerra è ancora (fortunatamente) una minaccia lontana.
Il precedente conflitto mondiale ha segnato indelebilmente il primogenito Hugh: ha perso una mano e alcune schegge di proiettile che non si sono potute estrarre, ancora gli causano frequenti mal di testa. Il secondogenito Edward, invece, non ha riportato nemmeno un graffio, né nel corpo né nello spirito. Così, mentre Hugh è sempre posato, introverso e riflessivo, Edward è brillante ed espansivo, dotato di un lascino a cui le donne difficilmente sanno resistere.
Il più giovane dei fratelli, Rupert, è un aspirante pittore che arriva a fine mese grazie al suo lavoro come insegnante. I due fratelli maggiori, lavorando nell'azienda di famiglia, sono in condizioni nettamente più agiate e, almeno in apparenza, sono stati più fortunati anche in amore; Rupert ha infatti perso la prima moglie, morta di parto dando alla luce il loro secondo bambino, ed è ora sposato con una giovane e bellissima ragazza, Zoë, che oltre l'avvenenza non ha nulla, e non fa il minimo sforzo per essere una madre per i due figli del marito, Clary e Neville.
Hugh ha due figli, la riflessiva e giudiziosa Polly e il timido Simon, terrorizzato dall'idea del collegio; un altro bebè è in arrivo, e facciamo la conoscenza di sua moglie Sybil quando la gravidanza è ormai più che inoltrata. Il loro affetto è profondo, ma allo stesso tempo i due sono troppo preoccupati dal compiacersi l'un l'altra, tanto da essere raramente sinceri; spesso si ritrovano a far cose che non vorrebbero, solo perché convinti che sia quello che l'altro desidera, sbagliando completamente. Edward è sposato con Villy, un ex ballerina che ha lasciato il lavoro per la famiglia. Hanno due figli, l'esuberante Louise, appassionata di libri (e di Shakespeare in particolare - sogna un giorno di poter interpretare Amleto) e Teddy, via in collegio, come si addice ai giovani rampolli del suo ceto sciale. Le ragazze, invece, possono tranquillamente essere educate in casa.
Rachel non si è mai sposata, ed è segretamente innamorata di Syd; le due donne, purtroppo, non riescono a passare molto tempo insieme: Syd è angariata dalla sorella minore Evie, di cui deve prendersi costantemente cura, mentre Rachel ha un carattere talmente altruista da mettere continuamente in secondo piano i suoi bisogni e i suoi desideri, sempre al servizio di tutti gli altri membri della famiglia, per i quali rappresenta quel sostegno su cui fare sempre affidamento.
La vita dei Cazalet trascorre tranquilla, senza particolari scossoni; sono una famiglia come tante altre, molto legati alle apparenze e a ciò che è consono o meno: ci sono molti argomenti di cui è meglio non parlare, e soprattutto le donne devono tener fede al loro ruolo di mogli e madri, lasciando i propri problemi e dolori per quanto sono sole, lontano dagli sguardi altrui.
Gli uomini sono impegnati con il loro lavoro, e c'è chi, come Edward, dedica molto tempo anche a frequenti scappatelle: in fondo alla moglie il sesso non è mai interessato (ma nessuna donna ben educata potrebbe mai apprezzare il sesso) e un uomo ha le sue esigenze...A lungo andare, però, questo concedersi tutto rischia di far perdere di vista l'esistenza di tabù che non dovrebbero mai essere violati...
Sybil si ritiene la più fortunata tra le cognate, avendo sposato il caro Hugh; certo, non è brava in tutto come Villy, né bella e giovane come Zoë, ma nella vita bisogna accontentarsi, e i suoi figli, i maschi in particolare, sono tutto ciò che davvero conta.
Villy aveva una carriera avviata come ballerina, ma lascia per sposarsi: la famiglia non è forse tutto per una donna? Abbandonare il proprio lavoro non è che un piccolo sacrificio. Con gli anni, però, la consapevolezza che quel "tutto" è davvero ben poco, e che la sua vita di un tempo era il suo vero "tutto", si fa sempre più strada, ma non è certo qualcosa da ammettere ad alta voce.
Zoë ha solo la sua bellezza, e con il tempo ne diviene sempre più consapevole. Estremamente egoista ed infantile, è abituata ad ottenere tutto solo in virtù del suo aspetto; Rupert è però pazzo di lei, e pur rendendosi conto dei suoi difetti, è sotto una malia di cui non riesce a liberarsi.
Questo il mondo degli adulti, ma senza che loro se ne accorgano c'è anche il mondo dei bambini, con i loro piccoli e grandi drammi, le amicizie, le liti, le paure e le delusioni.
La parte più apprezzabile del romanzo è proprio quella che si concentra sui pensieri e le avventure di tutti i giorni dei più piccoli: ha un che di nostalgico, anche perché è facile identificarsi in quelle estati trascorse in famiglia, in compagnia di uno stuolo di cugini...
I ritratti più efficaci sono quelli delle bambine, Louise, Polly e Clary: hanno un mondo tutto loro, e una sensibilità che sfugge completamente agli adulti, troppo presi dalla loro quotidianità.
Louise è un fiume in piena: ha sempre qualche progetto per la testa, è sagace e le piace perdersi nelle sue fantasie; Polly sa vedere oltre l'apparenza e mettersi nei panni dell'altro, dimostrandosi molto più matura dei suoi dodici anni; Clary, sempre messa in secondo piano, un po' trasandata e che risente profondamente della mancanza di una madre, ha però un talento straordinario nella scrittura.
Nella innocenza della forza dei loro sogni ed aspirazioni rappresentano la speranza in un mondo migliore, senza le costrizioni delle regole a cui sottostanno gli adulti.
L'infanzia, però, non è destinata a durare per sempre, e c'è chi è costretto a crescere prima degli altri...
La saga dei Cazalet si articola in cinque volumi (Fazi ha già pubblicato i primi quattro, diventati in breve tempo alcuni dei suoi titoli di punta) ed ha il suo punto di forza nella descrizione psicologicamente verosimile della vita di tutti i giorni dei suoi personaggi; nel contempo è anche una testimonianza della mentalità inglese tre le due guerre, con particolare attenzione a quella che è stata la condizione delle donne: escluse dall'istruzione riservata agli uomini, destinate, se fortunate, al matrimonio; da qui l'attenzione per l'aspetto fisico e la necessità di mantenere sempre un contegno, come pur il dover sottostare agli abominevoli "doveri coniugali", il prezzo da pagare per ottenere il benessere concesso loro dagli uomini... Molto più infelice è infatti il destino di chi rimane nubile (solitamente perché bruttina), e particolarmente commovente nella sua semplicità è il ritratto della signorina Milliment, l'istitutrice personale delle piccole Cazalet.
La prosa è estremamente scorrevole, e il libro può essere divorato davvero in poco tempo.
Consigliato agli amanti delle grandi saghe familiari e anche a chi solitamente diffida dei grandi battage pubblicitari: talvolta dove c'è il fumo, c'è anche l'arrosto...
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Il team “a piedi” di 7 Mila Miglia Lontano, partito il primo marzo da Ukhimat, è arrivato alla conclusione della prima tappa. Ad Agra, nell’Uttar Pradesh, le nuove leve hanno dato il cambio ad alcuni dei caminatori iniziali.
Estasiati dal paesaggio dell’India, dalla meraviglia del Taj Mahal e dai tesori del Forte di Agra, i nuovi viaggiatori non ci hanno messo molto per farsi contagiare dallo spirito del progetto “Ritorno al Centro” che culminerà il 17 luglio a Kannur con la costruzione della scuola-bottega di arte e artigianato per i ragazzi e le ragazze di questa zona rurale.
29 marzo
Si conclude così la PRIMA TAPPA del percorso a PIEDI. Pietro e Agnese si apprestano a dare il cambio a Gianluca, MatteoS e Stefano. MatteoV rimane il nostro riferimento e colonna portante di questa LUNGO CAMMINO che, vi ricordiamo, ha come punto di ARRIVO Kannur, il 17 Luglio 2017.
E allora, esiste un modo migliore, se non sorvolando Mathura, città natale di Krishna, una delle divinità più popolari in India, di rappresentare questa prima, fondamentale fase del percorso e proseguire il nostro viaggio, assetati di avventura, consapevoli che REALIZZARE PROGETTI e RENDERE CONCRETI I PROPRI SOGNI è POSSIBILE!!?
Buon Viaggio, con la testa e con il cuore… SEMPRE
30 marzo
Cambio Team.
Agnese e Pietro arrivano il giorno 28 di Marzo verso le ore 12:00 ad Agra.
Gianluca, Matteo e Stefano partono il 29 alle 7:30 da Agra. Usiamo il tempo a disposizione tutti insieme per il passaggio di consegne e attrezzature, raccontarci consigli e aneddoti. Al tramonto ci siamo recati al Methab Bagh, il parco di fronte al Taj Mahal dalla parte opposta del fiume. Lì c’è stato il trapasso del testimone di viaggio (ossia di oneri e onori) dal team bresciano a quello romano. Gente che va, gente che viene…d’altronde, il mondo è la nostra casa.
31 marzo
Il cambiamento, inizia un nuovo capitolo.
Agnese cammina tra i mille odori dell’India scortata dai passi di Pietro e l’ormai veterano Matteo.
Il primo assaggio del paese è un pugno nello stomaco, di quelli che tolgono il fiato e ingombrano il pensiero. I folli clacson che aprono la strada a tuck tuck dai mille colori, ripieni di una folla capricciosamente viva ed invadente, tra le esalazioni delle acque reflue sotto gli ingressi rialzati a bordo strada e i profumi di un carnevale di spezie sconosciute.
L’inquinamento totale, ce ne ubriachiamo fino a stordirci.
La squadra che ci ha preceduto ormai cammina in scarpe che hanno preso la forma di questo popolo proiettato in una modernità pervasa da un insuperabile passato; noi novelli assorbiamo come spugne.
La pace torna tra le simmetrie delle luci candide e simmetriche riflesse nelle fontane moghul. È il Taj Mahal, la meraviglia costruita dall’imperatore Shah Jahan come dimora eterna della moglie Mumtaz, morta dando la vita al quattordicesimo erede. Torniamo a respirare nel bianco del San Pietro d’Oriente, secondo le parole del Pasolini.
Il chai, i cibi della strada ci sfamano, almeno quanto i sorrisi dei nostri curiosi ospiti. Sempre la curiosità ci invita ad una festa hindi, un bazar di musica. Sazi, prepariamo il sonno avvolti nella zanzariera rinfrescata dal soffio delle pale. È iniziato il viaggio, VIAGGIAMO!
1 aprile
Arrivederci Agra.
Dopo la visita mattutina allo strepitoso forte di Agra, la nuova formazione si dirige alla volta di Jaipur, ma prima decidiamo di approfittare dell’ospitalità della famiglia Sikh di Anij, amico indiano de Roma di Pietro e Agnese, che ci trasporta a casa loro in campagna, un po’ fuori rotta, ma che ci può aprire nuovi scenari. Già oggi, durante il viaggio abbiamo avuto la possibilità di visitare il palazzo di Deeg, ex sede di un maraja ora parco cittadino, che si affaccia su uno stagno artificiale a cui si accede con le tipiche scalinate dei Gath. Uno spettacolo! Pensare che non è segnato sulle guide turistiche… ah, a contorno, i pipistrelli piu grandi mai visti in vita nostra!
Domani vita da Sikh e poi finalmente in marcia!
7 Mila Miglia Lontano: ad Agra arrivano i nuovi camminatori Il team "a piedi" di 7 Mila Miglia Lontano, partito il primo marzo da Ukhimat…
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