#dignità defunti
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Comune di Alessandria: Avvio del Procedimento di Risoluzione del Contratto per la Gestione dei Cimiteri
Inadempienze e disservizi nella gestione dei cimiteri alessandrini portano il Comune di Alessandria a intraprendere azioni per risolvere il contratto con il concessionario.
Inadempienze e disservizi nella gestione dei cimiteri alessandrini portano il Comune di Alessandria a intraprendere azioni per risolvere il contratto con il concessionario. Il Comune di Alessandria ha annunciato il 31 ottobre 2024 l’avvio di un procedimento di risoluzione del contratto di concessione per la gestione dei cimiteri cittadini. Questa decisione è stata presa a seguito di numerose…
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nonditeloabeatrice · 2 months ago
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Manchi... 01/11/2024
Vorrei tanto poterti scrivere che mi manchi, che sfiori continuamente i miei pensieri e che sei in ogni mio respiro. Penso a cosa stai facendo in questo momento, con chi sei, e se sei serena. Vorrei tanto poterti chiedere come stai, ascoltare le tue preoccupazioni e magari stringerti in un abbraccio per fartele passare. Nulla di tutto questo mi è permesso, subirei il trattamento del silenzio com'è successo nei giorni scorsi, lo capisco sai, quando si viene feriti dalla vita è necessario non essere disturbati da energie esterne. Occorre ristabilire la propria connessione intima, per questo non ti infastidisco con troppi messaggi. Oggi ti ho inviato il buongiorno e ti ho chiesto dopo qualche ora cosa stessi facendo, magari più tardi ti scriverò di accendere una candela per i tuoi antenati, visto che tra un paio d'ore è la commemorazione dei defunti. Occorre sempre ringraziare chi ci ha permesso di essere in questo mondo terreno, le anime dei nostri avi vanno sempre ricordate dandogli dignità di memoria. Nella mia libreria c'è la cornice contenente la lettera che mio nonno scrisse a mia nonna quando erano fidanzati, correva l'anno 1922! Quando mi manchi vengo a cercarti online, scorgo su Messenger se ti sei connessa da poco o se sei super indaffarata da qualche ora, non avviene in maniera possessiva, è solo un modo di cercarti. E' ciò che farei anche nella realtà, cercherei i tuoi occhi tra la folla, per farti sentire unica (e per me lo sei). Non immagini quanto mi piacerebbe corteggiarti, ne sarei onorato. Nell'era delle connessioni veloci, corteggiare sembra essere diventata una perdita di tempo, ci siamo tutti disabituati a queste attenzioni, ma io rimango un po' all'antica sotto certi aspetti, radicato ancora in gran parte nel mondo analogico. Domani è l'ultimo giorno disponibile per ritirare il pensierino che ti ho fatto recapitare nel locker, mi hai scritto che non riesci a connetterti e quindi a prelevarlo, non so se sia vero, ma non importa. Forse lo percepisci come un fastidio e non come un dono. E' un piccolo carillon in legno, suona la melodia "You are my sunshine", puo' sembrare un regalo sciocco, ma non è per la Beatrice adulta, serve a richiamare il tuo IO bambino, l'ego infantile che non hai ancora accolto e che non stai nutrendo. Ti "vedo" chiaramente, se solo ascoltassi il tuo istinto e mi lasciassi nutrire il tuo aspetto animico...Ma tanto per te sono solo un rappresentante di genere a cui tocca scontare le pochezze che ti hanno mostrato tutti i miei predecessori.
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lamilanomagazine · 8 months ago
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L'Onu chiede un'inchiesta internazionale sulle fosse comuni a Gaza
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L'Onu chiede un'inchiesta internazionale sulle fosse comuni a Gaza. L'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha chiesto un'indagine internazionale sulle fosse comuni scoperte nei due principali ospedali della Striscia di Gaza e si è detto «inorridito» dalla distruzione dell'ospedale Shifa di Gaza e del complesso medico Nasser di Khan Yunis. In un comunicato stampa, l'Alto Commissario per i diritti umani Volker Türk, ha sottolineato la necessità di «indagini indipendenti, efficaci e trasparenti». L'agenzia di protezione civile di Gaza ha dichiarato sabato scorso che i corpi di 50 palestinesi sono stati recuperati da una fossa comune presso l'ospedale Nasser a Khan Yunis, dopo i raid israeliani nella zona. Successivi aggiornamenti diffusi dalla stessa agenzia hanno portato a 283 il numero dei corpi recuperati, a due settimane dal ritiro delle forze israeliane dall’area. E l'Iran accusa Israele: «La terribile notizia del massacro e della sepoltura di massa di centinaia di persone nelle vicinanze dell'ospedale Nasser ha stupito il mondo intero», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanani, sottolineando che «il regime israeliano e i suoi sostenitori sono responsabili di tali crimini». L'esercito israeliano ha smentito le accuse, definendole «infondate», secondo cui avrebbe sepolto dei palestinesi in fosse comuni nell'ospedale Nasser di Khan Yunis, spiegando di aver invece riesumato dei cadaveri nella ricerca di quelli degli ostaggi israeliani. «Durante l'operazione nella zona dell'ospedale Nasser, nel tentativo di localizzare ostaggi e dispersi, dei corpi sepolti dai palestinesi sono stati esaminati con prudenza e unicamente nei luoghi dove le informazioni di intelligence riferivano della possibile presenza di ostaggi», ha spiegato l'esercito assicurando di «aver preservato la dignità dei defunti». Tuttavia, «i corpi esaminati non erano quelli di ostaggi e sono stati rimessi al loro posto», ha aggiunto l’Idf.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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claudio1959 · 1 year ago
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A livella, la famosissima poesia di Totò che rende omaggio ai defunti restituendo dignità a coloro che in vita hanno avuto esperienze spiacevoli e poche... | By Nostalgia Musica Italiana | Facebook
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cinquecolonnemagazine · 2 years ago
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Tanatoprassi: l'arte di preservare la dignità nella morte
La morte è un evento inevitabile nella vita di ogni individuo, ma ci sono persone che dedicano il loro impegno a rendere questo passaggio un momento di dignità e rispetto. La tanatoprassi, una pratica millenaria che ha acquisito maggiore rilevanza nel corso degli anni, si propone di preservare la bellezza e l'integrità del corpo dopo la morte. In questo articolo esploreremo la tanatoprassi, le sue origini, i suoi benefici e la sua evoluzione nel contesto moderno. Quando nasce la tanatoprassi? La tanatoprassi ha radici antiche e risale ai tempi degli antichi Egizi, che utilizzavano tecniche di imbalsamazione per preparare i corpi dei defunti per l'aldilà. Il termine "tanatoprassi" deriva dal greco "thanatos", che significa "morte", e "praxis", che significa "azione". Questa pratica si concentra sull'arte di trattare il corpo dopo la morte, preservandone l'aspetto naturale e prevenendo la decomposizione. Quali sono i benefici della tanatoprassi Questa tecnica offre diversi benefici sia per i defunti che per i loro cari. Innanzitutto, consente di preservare l'aspetto naturale del defunto, ripristinando l'aspetto che aveva prima della morte. Ciò consente ai familiari e agli amici di ricordare i loro cari nel modo in cui li hanno conosciuti, contribuendo a facilitare il processo di lutto. Inoltre, la tanatoprassi può aiutare a prevenire la diffusione di malattie infettive, proteggendo il personale medico e i familiari che entrano in contatto con il corpo. L'evoluzione Nel corso degli anni, la tanatoprassi ha subito un'evoluzione significativa grazie ai progressi nella scienza e alla tecnologia. Oggi, i tanatoprattori utilizzano tecniche avanzate e strumenti specializzati per raggiungere i migliori risultati. I fluidi conservanti vengono utilizzati per prevenire la decomposizione e per trattare il corpo in modo da preservarne l'aspetto naturale. Inoltre, sono disponibili prodotti cosmetici speciali per ripristinare l'aspetto della pelle e dei capelli. La tanatoprassi come servizio professionale La tanatoprassi è diventata una professione specializzata, con tanatoprattori addestrati che offrono i loro servizi presso case funerarie e strutture apposite. Questi professionisti hanno conoscenze approfondite dell'anatomia umana, delle tecniche di preparazione del corpo e delle normative sanitarie e legali. Il loro obiettivo principale è garantire che ogni defunto sia trattato con rispetto, sensibilità e professionalità. Considerazioni etiche e culturali La tanatoprassi solleva anche considerazioni etiche e culturali. Alcune persone potrebbero sostenere che la conservazione del corpo sia in contrasto con i processi naturali di decomposizione e che la morte dovrebbe essere accettata come parte del ciclo vitale. Altri, invece, vedono nella tanatoprassi un modo per onorare e rispettare il defunto e per fornire un sostegno emotivo ai loro cari. Foto di Rae Wallis da Pixabay Read the full article
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amicidomenicani · 2 years ago
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Quesito Buongiorno p. Angelo,  ho letto sul sito tutte le risposte in merito alla cremazione e dispersione in natura.  Mia madre ha chiesto entrambe le cose.  Ora vorrei chiederLe se a parte una preghiera al momento della dispersione ci sono altre pie pratiche o preghiere fa fare.  (anche per la dispersione si deve dare una notifica alle pubbliche autorità) Grazie. cordiali saluti. s.b. Risposta del sacerdote Carissima, 1. la Chiesa preferisce la sepoltura dei corpi, sebbene acconsenta alla loro cremazione. 2. E questo per quattro motivi menzionati dall'Istruzione Ad resurgendum cum Christo della Congregazione per la dottrina della fede, che porta la data del 15 agosto 2016. 1) “Seppellendo i corpi dei fedeli defunti, la Chiesa conferma la fede nella risurrezione della carne”. 2) “Intende mettere in rilievo l’alta dignità del corpo umano come parte integrante della persona della quale il corpo condivide la storia” 3) “Inoltre, la sepoltura nei cimiteri o in altri luoghi sacri risponde adeguatamente alla pietà e al rispetto dovuti ai corpi dei fedeli defunti, che mediante il Battesimo sono diventati tempio dello Spirito Santo e dei quali, come di strumenti e di vasi, si è santamente servito lo Spirito per compiere tante opere buone”. 4) Infine la sepoltura nei cimiteri o in altri luoghi sacri favorisce il ricordo e la preghiera per i defunti da parte dei familiari e di tutta la comunità cristiana, nonché la venerazione dei martiri e dei santi". 3. In questa Istruzione viene ricordato che proprio attraverso la sepoltura dei corpi nei cimiteri, nelle chiese o nelle aree ad esse adibite, è stata tenuta desta la comunione tra i vivi e i defunti. Nello stesso tempo si è ovviato al pericolo di nascondere un evento al quale tutti dobbiamo prepararci. Ugualmente si rimedia ad un altro pericolo qual è quello di privatizzare la morte di una persona cara, dimenticando la dimensione sociale ed ecclesiale di ogni persona per la cui nascita ci si è rallegrati, con la quale si è vissuti insieme, che è stata partecipe della gioia e del dolore degli altri, della quale si è fruito del suo apporto e alla quale ci si è donati. 4. Privilegiando dunque la sepoltura o l’inumazione, tuttavia “laddove ragioni di tipo igienico, economico o sociale portino a scegliere la cremazione, scelta che non deve essere contraria alla volontà esplicita o ragionevolmente presunta del fedele defunto, la Chiesa non scorge ragioni dottrinali per impedire tale prassi, poiché la cremazione del cadavere non tocca l’anima e non impedisce all’onnipotenza divina di risuscitare il corpo e quindi non contiene l’oggettiva negazione della dottrina cristiana sull’immortalità dell’anima e la risurrezione dei corpi”. La cremazione è vietata solo nel caso in cui venga “scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana”. 5. Fatta la cremazione per ragioni legittime, “le ceneri del defunto devono essere conservate di regola in un luogo sacro, cioè nel cimitero o, se è il caso, in una chiesa��o in un’area appositamente dedicata a tale scopo dalla competente autorità ecclesiastica. 6. La conservazione delle ceneri in un luogo sacro può contribuire a ridurre il rischio di sottrarre i defunti alla preghiera e al ricordo dei parenti e della comunità cristiana. In tal modo, inoltre, si evita la possibilità di dimenticanze e mancanze di rispetto, che possono avvenire soprattutto una volta passata la prima generazione, nonché pratiche sconvenienti o superstiziose. 7. Conseguentemente l’Istruzione dichiara: “Per i motivi sopra elencati, la conservazione delle ceneri nell’abitazione domestica non è consentita”. Vi si legge inoltre: “Non sia permessa la dispersione delle ceneri nell’aria, in terra o in acqua o in altro modo oppure la conversione delle ceneri cremate in ricordi commemorativi, in pezzi di gioielleria o in altri oggetti, tenendo presente che per tali modi di proced
ere non possono essere addotte le ragioni igieniche, sociali o economiche che possono motivare la scelta della cremazione”. Questo per evitare di pensare che con la morte finisca tutto e venga troncato il rapporto con i vivi. 8. Sarebbe stato bello se l’Istruzione avesse ricordato l’importanza del sepolcro e della preziosità di essere sepolti in un luogo sacro. A questa lacuna supplisce San Tommaso ricordando l'importanza del monumento funebre, anche se la parola monumento dà l'impressione di qualcosa di grandioso, mentre è sufficiente un sepolcro, un loculo. Dice testualmente: “Tale pratica giova ai morti perché chi guarda i sepolcri ricorda i defunti e prega per loro” (Somma teologica, Supplemento, 71,11). “la sepoltura in luogo sacro giova al defunto: poiché si deve credere che il morto stesso, o un altro, nello scegliere la sepoltura del corpo in un luogo sacro affidi l'anima alla protezione e alle preghiere di qualche santo; e anche al patrocinio di quanti sono addetti a quella chiesa, in quanto pregano spesso per i morti tumulati presso di loro”. In passato i cimiteri venivano legati al nome di qualche santo, soprattutto martire. Con questo si intendeva affidare le anime dei defunti all'intercessione del santo patrono del cimitero. Oggi vi supplisce l'intercessione del santo patrono di quel territorio o di quella parrocchia. Ora disperderli per l'aria o nell'acqua del mare significa sottrarli alla speciale intercessione dei santi protettori di quel luogo sacro. Ti benedico, ti ricordo nella preghiera e ti auguro ogni bene. Padre Angelo
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arreton · 5 years ago
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C’è un vento freddo e feroce, fuori. La casa è piena di spifferi, quindi ha modo comunque di filtrare: fa dei versacci macabri, tombali. È tutto così desolante, questa sera. La sua stanza è fredda. Non la facevo così fredda. Mi chiedo quanto poco cura di lei ci siamo presi. Lei non si aiutava, questo sì, ma non era più capace; era nostro dovere prenderci cura di lei, soprattutto negli ultimi tempi ed invece abbiamo fatto solo il minimo indispensabile, solo quel tanto che non ci poteva essere rinfacciato. Io non ho fatto proprio niente, invece. Certo è che doveva vivere un po’ maluccio, ma forse nemmeno lei ne aveva pienamente coscienza. Quando i miei genitori invecchieranno non so se sarò in grado di prendermi cura di loro, temo proprio di no. Con delle persone anziane il discorso è completamente differente, è proprio lo spazio temporale che cambia: mentre con un figlio tu pensi al futuro come possibilità, con un anziano tu pensi al futuro come una certezza imminente, ovvero la certezza della morte ed ogni anno che passa è un passo più vicino della morte. Questo sarebbe un discorso che vale sempre, a qualsiasi età, ma varcata una certa soglia, si sa che il pensiero si fa più presente e più pressante. A volte mi sembra che inizi a bussare già da ora e siamo tutti relativamente abbastanza giovani.  L’anno scorso, a novembre, era ancora qui con noi. Ricordo che si mangiò le frittelle che si preparano per San Martino. O forse fu l’anno precedente? Non ricordo bene. Quest’anno, comunque, non ha mangiato le frittelle; giace, piuttosto, in un loculo, al cimitero, in una zona tra l’altro piuttosto desolata, piuttosto triste, si vede che lì giacciono i corpi di chi non s’è potuto garantire un posto privilegiato al cimitero. Dio mio, che cosa sciocca e stupida e inaccettabile. Il cimitero è solo un posto per piangere i propri defunti, ma anche lì la gara a chi se la passava meglio in vita. Che schifo. Non si può conservare dignità nemmeno da morti, non basta perderla da vivi. La gente non riesce ad essere sobria, né da viva, né per la morte. L’attaccamento alle cose materiali è così assurdo che mi dico che siamo dotati di moltissima intelligenza, moltissimo potenziale, ma siamo comunque profondamente idioti di fronte a certe cose. Mi fa rabbia vedere che le è stato dato un posto così, all’angolo, con loculi rotti, coperture misere; è come se in vita non fossi stata capace di prendermi cura di lei, come se siamo delle persone misere, dei poveracci. Questo senso di inferiorità che comunque mi trasmette il tutto è una cosa che detesto, che mi dà rabbia sia nei confronti di quegli ipocriti che dimenticano che alla fine sempre di corpi morti che andranno in decomposizione, si tratta; e nei confronti di me stessa ché non dovrei farmi coinvolgere e toccare da questa stupida ipocrisia. Mi chiedo come vivono i miei la cosa: se si rimproverano qualcosa, se ci hanno fatto i conti, se ci hanno fatto pace. Ricordo il viso improvvisamente invecchiato di dieci anni di mio padre; ricordo l’aver dovuto togliere parte delle decorazioni di natale per allestire la camera ardente. Ero profondamente dispiaciuta. Il mio credo che più che dolore, sia e sia stato un profondo dispiacere per come sono andate le cose: dall’inizio, fino alla sua morte. Era, in fondo, un affetto un po’ superficiale, quel poco che si era riuscito a conservare. Ci saremmo potuti evitare molta sofferenza, molta solitudine. Me lo dico spesso, ma che senso ha dirselo, ormai? A conti fatti, alla fine, va sempre così: tutto poteva essere condotto meglio, c’era sempre qualcosa che si poteva perfezionare, che si poteva fare diversamente. Adesso non c’è più e solo ora, a distanza di un anno, mi riscopro a sentirne la mancanza. Un po’ mi manca. Come se avessi potuto darle affetto; chissà se sarebbe stato possibile. Ma che senso ha, appunto, chiederselo? Chissà come sta, dov’è ora? Boh. Se è per questo lei non c’era più tanto nemmeno quando era ancora in vita. Mi torna in mente il volto sfigurato dai tubi, la bocca che non voleva chiudersi, gli occhi che teneva socchiusi e si intravvedeva un luccichio, come se stesse dormendo, ma il petto non si alzava ritmicamente al movimento involontario del respiro. Che cosa atroce, la morte, comunque. Nel suo silenzio, nella sua tranquillità, sa essere veramente atroce, sa squarciare a metà.  Il vento ulula ancora forte. Vorrei poter fare qualcosa in camera sua per evitare che prenda freddo, che si acculi freddo. Mi dico: Ma che senso ha? Ormai non c’è più, dovevi pensarci prima. Lo so che dovevo pensarci prima, è da ventisei anni che nelle cose ci dovevo pensare prima, arrivo sempre in ritardo, quando ormai è troppo tardi, sempre perché aspetto aspetto aspetto. Ma che cosa, esattamente? Adesso, cosa aspetto? Che ci rivediamo, questo indubbiamente. Che mi piaccia o no, ormai, devo farmene una ragione: se potessi conterei pure i minuti che mancano, ma non sono così disperata da farlo veramente, cerco di mantenere un briciolo di dignità, ancora. Allora intanto aspetto questo, e poi? Cos’è, per il resto, che aspetto?  Se voglio avvertire un minimo di senso di protezione dovrò chiudere del tutto la porta di camera mia. Solitamente la lascio leggermente accostata, come facevo da piccola; poi presi a chiuderla del tutto, poi presi a chiudermi del tutto; da quando è morta son tornata a lasciarla accostata ma questa sera è tutto troppo inquieto, angosciante; ho bisogno di raccoglimento, di senso di protezione, di un rifugio sicuro. Meno male che ho lo scaldino che mi sta vicino, a letto. 
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pangeanews · 6 years ago
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Il volo non decolla!, annuncia un Caronte dalla faccia finnica. Reportage notturno dall’aeroporto di Helsinki, con i morti che mi mordono la clavicola mentre resto imbambolato dalla magia del cartellone delle partenze
Caronte ha una faccia finnica, con tinta anglosassone, lavora all’aeroporto di Oulu, la ‘Capitale della Scandinavia Settentrionale’, e con flemma invidiabile annuncia – in finlandese e in inglese – che il volo per Helsinki delle 8,35 locali è soppresso. Troppa nebbia rende insicuro il volo, dice – io faccio i conti, 2 novembre, ricorrenza dei morti. Forse sono loro, i morti, mentre si stropicciano gli occhi, ad aver creato questa trincea di nebbia.
*
Fossimo in Italia, si sarebbero divorati il Caronte finnico in un boccone. Invece. I finlandesi, educatamente, si disperdono – cullano l’imprevisto come una possibilità? – rari turisti anglicizzati chiedono spiegazioni. Lui sorride, si scusa, non può far nulla: da cinque anni, dice, la compagnia per cui lavora, la Norwegian Airlines, non annulla un volo.  Lo dicevo, ci sono di mezzo i defunti. Il gate d’imbarco è vuoto, si dona al vuoto, come la bocca di Caronte senza lingua.
*
A proposito. Cerco il cimitero di Oulu. Non lo trovo. Non ho mai visto cimiteri in Finlandia. Forse si mangiano i morti. Forse, appena morto, tocchi il morto sul naso e lui scompare.
*
Di fronte a Oulu c’è l’Isola dei Beati, con case come questa…
Nel giorno dei morti mi accorgo che Oulu è piena di bambini. Vedo una bimba al semaforo. Cerco i genitori. Non ci sono. Lei non pare allarmata, ha la cartella in spalla, gli stivaletti da sci. Poco dopo, vedo diversi bimbi – intorno ai dieci anni – sull’autobus. Soli. L’autobus si avventa contro l’oscurità con l’autorevolezza di un felino. Riflessione rapida. La criminalità, al Nord, non c’è – è ridicolizzata dal gelo. Le ville, che confinano con il bosco, non hanno cancelli – neppure quelle che sorgono in città. I genitori responsabilizzano i bambini. I bambini sono autonomi, sono piccoli adulti – hanno già seppellito i genitori.
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Di fronte al teatro di Oulu, sul mare, esordisce un ponte: sfoga un’isola, con case di legno, gialle, rosse e azzurre. Sembra l’Isola dei Beati – o della beatitudine dei beoti. Un’area che è un esercizio d’eremitaggio: il mare sembra una tavola di bronzo liquido su cui incidere i propri pensieri più remoti e irrisolti – sperando che qualcuno, per noi, li traduca in melodia.
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Gli aeroporti non sono tutti uguali. A Oulu si aprono spazi con giochi per i bambini, enormi cuscini, un pianoforte con l’indicazione, ‘suonami’. Non è un aeroporto – sembra il luogo dove i morti si scambiano opinioni sulla vita passata.
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A proposito: dove sono i morti? A volte mi pare che i morti servano a ricordarci che la vita va vissuta. La stazione eretta, di per sé, non è una suggestione estetica sufficiente – ci vuole l’al di là per mutare l’intenzione in gesto, per sostanziare un dialogo in promessa. I morti ci ricordano – poiché li ricordiamo – che si vive lungo l’arco di generazioni, che il corpo è un quaderno, gli occhi una missione alfabetica.
*
Da Oulu città all’aeroporto dilagano boschi di betulle – avamposti abitati, nella fuga boschiva – qualche bicicletta con il fanale che rinnova l’oscurità. Le automobili, quando sfrecciano, sembrano il grido dei morto, che ti toccano la spalla – non siete mai stati toccati alla spalla dai morti?, ne avete mai assaggiato il fruscio di fragola e di enigma?, qualcosa ti si appoggia sulle clavicole, queste ali ossificate, e chiede dizione di volo. A un certo punto, dall’oscurità, un cubo di luce. Una biblioteca. In mezzo alla foresta, poco lontano dalla strada. Chi viene, lì, a leggere? Una falange di volpi intellettuali?
*
Non è vero che gli aeroporti sono anonimi: la transumanza umana affascina, e ciascuno è cibo per l’altro. Al bar, gioco a parole crociate con i volti. Penso: e se quel tizio X – corpulento, barba rossa, occhi finnici – parlasse con la tipa Y – magra, di nordica eleganza, occhiali, bimba a tracolla – cosa accadrebbe, quali vite, quali percorsi, quali viaggi? Helsinki, notte rapinata dal neon. Bisognerebbe fare così. Far vacanza nell’albergo dell’aeroporto. Poi sedersi al bar, caffè lungo e cornetto – piuttosto caro, intorno ai 7 euro – e giocare a parole crociate con gli uomini. Poi avviarsi verso il cartellone luminoso delle partenze, profezia del Giorno dei Giorni. Singapore, Tenerife, Santo Domingo, Riga, Bangkok, Nuova Delhi, Amsterdam. Rollio del nome sotto la lingua – godere del nome. Nulla è più perfetto di un nome, snocciolato lettera per lettera: chi l’ha detto che non si possa visitare un nome, con i suoi laghi, le città, i rapaci rilievi rocciosi?
*
Nei cessi dell’aeroporto di Helsinki trillano gli uccellini. Preliminare: la natura di una casa è riassunta nella dignità del bagno. Nei bagni degli alberghi finlandesi è possibile trovare delle piccole saune, ma non c’è il bidè, prerogativa specificamente italiana. Gli italiani hanno, tendenzialmente, una faccia come il c**o, ma amano lavarselo accuratamente, il c**o. All’aeroporto di Helsinki il bagno è addobbato con immagini di betulle, e mentre fai la pipì senti il trillo degli uccellini che gocciola da alcuni altoparlanti. L’effetto fisiologico e filologico è eccellente.
*
Non si dorme in aeroporto, neppure a piena notte, perché altrimenti chi lo custodisce tutto questo traffico di umani, ciascuno con la sua magnifica foga di amare, di sbriciolarsi tra le mani di qualsiasi altro?
*
Qualcuno vede i morti sulle ali dell’aereo, altri li portano dentro la valigia o nel taschino della camicia. Spesso i miei morti – l’unica proprietà di cui possiamo effettivamente dichiarare possesso – stanno sul palato, tra i denti – ne rimordo il ricordo. Da tempo, però, preferisco occuparmi dei morti degli altri. I morti non hanno paura di farsi amare – così, finalmente, suonano, come acqua sulla schiena. (d.b.)
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targi · 3 years ago
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E se in realtà l'elezione del Presidente fosse tutta una montatura?
Ribalto le cose, di default. Così mi immagino essere il Presidente in pectore a cercar di trovare elettori onesti, integerrimi, di peso, di grado di spessore di dignità rappresentanza valori competenza e personalità disposti a diventare suoi eletti. C'è fretta, così si rivolge a un'agenzia di collocamento. La nostra. Cerca degli italiani che facciano al caso suo. Incontro breve ma intenso. Nel briefing scriviamo che le aspettative del Presidente sono di ancorare attorno alla sua figura pochi e sinceri valori cardine per arrestare la franosità. L'impresa non è facile, sentiamo quelli del marketing e per loro il quadro è serio: c'è da fare la pagina del Chi siamo, Cosa facciamo, Mission, l'insegna fuori, la carta intestata e mille altri ciappini dai quali cominciare. Eletti ed elettori si cercano in un paese slegato e ripiegato su se stesso. Ma con queste elezioni c'è l'opportunità di ritrovare una propria identità, di guardarsi allo specchio. "Non sono molto propensi", si legge negli appunti del marketing. Su di loro il copywriter scrive solo cose con la "I" di Italia: impauriti, insicuri, intolleranti, ignoranti, indifferenti. Incurabili? vediamo la scheda con la breve storia del Cliente. Usciti logori dalla guerra, poi stagione di impegno e rinnovamento con testimonial dell'italianità nel mondo nella cultura, nel cinema e nella musica, oggi tutti defunti. Oggi se c'è qualcosa o non viene valorizzato o non riesce a farsi largo fra gerontocrazia, baronati, nepotismi, inegualità, discriminazioni. Un paese risparmioso alle origini ma vissuto a lungo al di sopra delle proprie possibilità, un tessuto etico sempre più logoro e conflittuale, dipendenti sempre più divisi fra campanilismi e interessi privati. Il paese degli spaghetti, scrivono a margine con una faccina che ride, si spacca anche su chi fa la migliore carbonara. E come li vedono gli altri? Il focus group convocato per l'occasione si è espresso come previsto in maniera contrastante. Geniali, sregolati, ospitali. Tutti però valori in forte calo rispetto ai tradizionali mafia, malaffare, spreco, inaffidabilità e il sempiterno mandolino. "Stronzi, i panini con cui ci avete pagato per venire qua facevano cagare", lasciano scritto. Vista la situazione, sentiamo infine gli scarni colleghi del Crisis Management: mettere fondi nella manutenzione più che al nuovo. Messa in sicurezza del territorio, scuole e ospedali, lotta agli sprechi e all'evasione fiscale, frenare la fuga dei cervelli, salvaguardia del territorio e dell'ambiente per conservare la biodiversità del paese, una delle più straordinarie ricchezze agroalimentari, climatiche e di conseguenza turistiche su cui sono seduti sopra senza accorgersene. C'è una cosa cerchiata: "Giochi di team building per far conoscere, riconoscere e aggregare le persone attorno alle loro bellezze, fra le poche certezze". Pure in rima. Consegniamo la relazione, firmiamo il preventivo via fax e ci congediamo."Tante cose, Presidente".
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cresy · 6 years ago
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“GIORNATA DEL RICORDO”
BARI – Si terrà sabato 📌23 Febbraio alle ore 11.00📌 la Santa Messa, presso la Parrocchia di San Giuseppe, in memoria di tutti i defunti che nella vita hanno incontrato malattia e dolore. La Giornata del Ricordo è organizzata dal Comitato Provinciale ANMIC di BARI, l’associazione che per Legge ha la legale rappresentanza della categoria degli invalidi civili, Ente Morale di Diritto Privato DPR 23.12.1978.
“Un momento di raccoglimento, preghiera ma anche di riflessione – evidenzia Michele Caradonna Presidente del comitato provinciale barese – che l’ANMIC organizzerà anche per i prossimi anni, nell’ultimo sabato del mese di Febbraio. Una giornata del Ricordo voluta affinché le Battaglie silenziose delle persone con disabilità, combattute con dignità e amore per la Vita fino alla fine, non vengano dimenticate e ci aiutino a riflettere sul significato della nostra opera su questa terra.”
La funzione Liturgica sarà celebrata da Don Marcello Calefati, vicario episcopale per la Marina Militare italiana
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“GIORNATA DEL RICORDO” Parrocchia San Giuseppe – Bari “GIORNATA DEL RICORDO” BARI - Si terrà sabato 📌23 Febbraio alle ore 11.00📌 la Santa Messa, presso la Parrocchia di San Giuseppe, in memoria di tutti i defunti che nella vita hanno incontrato malattia e dolore.
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cristianesimocattolico · 6 years ago
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Tutti da Santa Rita, pioggia di Grazie sulla Famiglia
«Vedo folle di giovani, donne e famiglie che accorrono a Santa Rita per imparare da lei la vita cristiana in famiglia…». Così il beato cardinale Ildefonso Shuster lodava Dio nel giorno della dedicazione del Santuario di Santa Rita a Milano, potendolo finalmente consegnare al suo popolo il 2 maggio del 1954. Sapeva bene, infatti, quanto fosse benedetto da Dio quel Santuario, che aveva superato i devasti della guerra per uscirne incredibilmente edificato, invece che distrutto. Ciò che non poteva sapere, l’allora vescovo cittadino, era la sua stessa profezia, che si sarebbe compiuta oltre ogni aspettativa.
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di Costanza Signorelli
«Vedo folle di giovani, donne e famiglie che accorrono a Santa Rita per imparare da lei la vita cristiana in famiglia…». Così il beato cardinale Ildefonso Shuster lodava Dio nel giorno della dedicazione del Santuario di Santa Rita a Milano, potendolo finalmente consegnare al suo popolo il 2 maggio del 1954. Sapeva bene, infatti, quanto fosse benedetto da Dio quel Santuario, che aveva superato i devasti della guerra per uscirne incredibilmente edificato, invece che distrutto. Ciò che non poteva sapere, l’allora vescovo cittadino, era la sua stessa profezia, che si sarebbe compiuta oltre ogni aspettativa.
Ed infatti, la santa delle cause impossibili, che sin dal primo giorno intercede generosissima per il fiume di pellegrini al suo capezzale, quest’anno ha deciso di “strafare”. Il 16 dicembre scorso, ad Ottant’anni anni esatti dalla posa della prima pietra e a Sessant’anni anni dall’istituzione della parrocchia, si è aperto a Milano, presso il Santuario a lei dedicato, il grande Giubileo familiare dal titolo “Nulla è impossibile a Dio”, con la concessione dell’indulgenza plenaria per tutti i fedeli che ne varcheranno la porta in questo Anno Santo.
SE LA “CAUSA IMPOSSIBILE” E’ LA FAMIGLIA
Non è un caso che questa particolare pioggia di Grazie venga concessa da Santa Madre Chiesa, per intercessione della Vergine e sposa di Cascia. E ancor più: non è un caso che essa si rovesci proprio a vantaggio della Famiglia in questo preciso momento storico.
Se è vero infatti che Santa Rita ebbe una vita familiare tempestata di dolore, ancor più vera fu l’incrollabile Speranza che plasmò l’esistenza di questa moglie e madre. Il marito ostile e iracondo si convertì prima di morire assassinato ed i figli salirono al Cielo giovanissimi, ad un passo dal compiere la sanguinosa vendetta sui carnefici del padre, che la Santa perdonò in nome di tutta la famiglia.
Furono perciò l’incessante preghiera di Rita e la sua vita di perfezione in Dio Padre, a permettere che, alla fine, tutti i familiari volgessero uniti sulla strada della Salvezza.
Ecco perché oggi, in un contesto umano e sociale in cui la famiglia geme e soccombe sotto i colpi dello spirito del mondo, l’esempio di questa Santa agostiniana riconsegna al popolo di Dio la Fede nel Matrimonio come via alla santità e la Speranza nella Famiglia come specchio dell’amore chiamato all’Eternità.
Di più: Santa Rita ci parla dell’infinita Misericordia di Dio che pensa ad un preciso piano di Salvezza per ogni singola famiglia ed ha brama di poterlo realizzare a vantaggio di tutti. Infine, la stessa ci mostra come, anche la prova più dura, può essere trasformata da Dio in una Grazia feconda, se ci si abbandona completamente al Suo Amore.
Proprio nel santuario di Milano, poi, la Vergine e sposa è particolarmente venerata e supplicata a patrocinio delle famiglie: qui è conservata l’insigne reliquia riconosciuta quale frammento del dito anulare, ove la Santa portava, appunto, l’anello nuziale.
IL GIUBILEO PERCHE’ “NULLA E’ IMPOSSIBILE A DIO!”
“In questo preciso periodo storico percepiamo forte ed irrinunciabile l’obbligo a riscoprire e rilanciare il primato insostituibile dei valori della famiglia, così come volle fortemente il beato cardinale benedettino nel dare via all’opera del Santuario. Oggi, ancor più di allora, è cruciale, ridare coraggio, speranza, dignità e potere alla famiglia”.
Così, i padri agostiniani chiamati a reggere l’Opera sin dal principio, spiegano la ragione essenziale per cui hanno ardito fare richiesta al preposto ufficio vaticano, tramite l’arcivescovo mons. Mario Delpini, che subito ha appoggiato l’iniziativa di indire un anno giubilare. “Tutte le famiglie – continuano i Padri – trovino grazia, pace, sollievo, speranza in questo anno e rafforzino la fede per l’esempio e l’intercessione di Santa Rita. Sia questo anno propizio per la riconciliazione in famiglia, per ritrovare e riapprezzare vera e duratura pace con tutti i parenti, sia occasione benedetta per perdonarsi e rasserenarsi nei confronti di esperienze negative o ricordi oppressivi, sia questo anno di Grazia un tempo concesso per guarire dal male e gioire del bene di ogni famiglia”.
Perciò, il 28 novembre scorso la penitenzieria apostolica rispondeva positivamente alla richiesta, assicurando l’intenzione di concedere l’indulgenza plenaria. Mentre pochi giorni più tardi, il 16 dicembre, il vescovo ausiliare di Milano, Paolo Martinelli, inaugurava l’Anno Santo così: “Ecco una nuova occasione preziosissima per attingere alla Misericordia di Dio di cui abbiamo tanto bisogno. Un giubileo per le famiglie: per la famiglia della comunità di santa Rita, per tutte le famiglie che oggi devono affrontare tante difficoltà interne ed esterne, per le famiglie che nascono, per le famiglie ferite, per le famiglie che ricominciano. Senza la Grazia di Dio nessuno di noi può rimanere fedele alla propria vocazione. Senza la sua Misericordia i nostri limiti e i nostri peccati ci inchiodano e rendono impossibile il progresso della vita ed il cammino sereno verso la meta in Dio che ci aspetta”.
In tal senso è particolarmente bello il titolo scelto per questo Giubileo: “Nulla è impossibile a Dio”, a evocare le parole dell’Angelo a Maria durante l’Annunciazione ed insieme la caratteristica più conosciuta della Santa Patrona.
Ma soprattutto, una Parola che vuole infondere in ciascuna famiglia ed in ogni singolo uomo una fiducia totale e incondizionata in Dio Padre che tutto può.
COS’E’ L’INDULGENZA E COME SI OTTIENE?
Per ottenere l’indulgenza plenaria sono necessarie le solite condizioni previste dalla Chiesa: essere battezzati, visita al Santuario, recita del Credo e di un Pater, Ave e Gloria secondo le intenzioni del Papa, Confessione e Comunione entro gli otto giorni precedenti o seguenti.
Ogni fedele può acquisire le indulgenze per se stesso o applicarle ai defunti (CCC 1471). Si richiede inoltre che sia esclusa qualsiasi affezione al peccato anche veniale.
Ma che cos’è l’Indulgenza? “Le Indulgenze sono la remissione dinanzi a Dio della pena temporale meritata per i peccati, già perdonati quanto alla colpa, che il fedele, in determinate condizioni, acquista, per se stesso o per i defunti mediante il ministero della Chiesa, la quale, come dispensatrice di redenzione, distribuisce il tesoro dei meriti di Cristo e dei Santi”. (Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica, n. 312; vedi anche Penitenzieria Apostolica, Il dono dell’Indulgenza).
Detto in altre parole: se nel sacramento della Riconciliazione, Dio perdona i peccati, che sono davvero cancellati, tuttavia l’impronta negativa che essi hanno lasciato nei nostri comportamenti e nei nostri pensieri rimane.
Perciò, attraverso l’Indulgenza il peccatore viene perdonato e liberato da ogni residuo della conseguenza del peccato e viene abilitato ad agire con carità e a crescere nell’amore, piuttosto che ricadere nuovamente nel peccato.
Ciò significa che può toccare con mano la Misericordia di Dio che “non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva” (cfr Ez 33).
E infatti, per i meriti di Cristo e per l’intercessione di Santa Rita, abbiamo la grandissima e imperdibile occasione,  durante quest’Anno Santo, di essere liberati anche dalla pena, potendo così preferire il Paradiso.
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italianaradio · 5 years ago
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LOCRI Celebrata con una messa al cimitero la commemorazione dei defunti
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LOCRI Celebrata con una messa al cimitero la commemorazione dei defunti
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LOCRI Celebrata con una messa al cimitero la commemorazione dei defunti Lente Locale
R. & P.
«Quest’anno la ricorrenza dei defunti ha un sapore e un senso diverso. Il giorno del ricordo ma un giorno di ritrovata libertà e normalità». A dichiararlo è il sindaco Giovanni Calabrese che, per la commemorazione del 2 novembre ha voluto ricordare tutti i cari defunti e l’impegno dell’Amministrazione a ridare dignità al cimitero.
«Una giornata in un luogo sacro, per tanti e lunghi anni, oltraggiato e profanato dalla prepotenza e arroganza mafiosa. Tutti sapevamo, tutti tacevamo. Un po’ per paura, un po’ perché siamo fatti così. Tutti siamo rimasti ostaggio di una incredibile forma di arroganza e prevaricazione. “Ma tutte le cose hanno un inizio e una fine”.
Ieri mattina, anch’io in visita ai miei cari, sono stato fermato da centinaia di cittadini che hanno voluto manifestare gratitudine per la ritrovata libertà. Non Vi nascondo che mi sono commosso per l’affetto e il sostegno ricevuto, in modo garbato, da tanti e tanti cittadini. Questa mattina è stato bello ascoltare l’omelia del nostro Vescovo monsignor Francesco Oliva che ha ribadito con fermezza che il “camposanto è un luogo pubblico dove non si fanno affari o speculazioni”». 
«Nel  2013, dopo pochi mesi dal nostro insediamento, abbiamo bloccato per sempre quella volgare attività di “vendita” di fiori e lumini che molti erano obbligati a subire in silenzio sotto quegli “sguardi” poco simpatici.
A distanza di sei anni, – vuole ricordare il primo cittadino- attraverso un lavoro molto complesso e non facile da tutti i punti di vista, abbiamo segnato un altro passo importante, quello dell’abusivismo delle tombe, per restituire “libertà” e dignità al cimitero cittadino».
«Un cimitero che oggi finalmente è di tutti. Un cimitero senza padrini e senza padroni. Anzi con i nuovi e giusti padroni: tutti noi cittadini di Locri. Un cimitero dove tutti abbiamo subito arroganza e prepotenza. Penso che oggi anche i nostri cari, che ci guardano e ci proteggono dall’alto, stanno plaudendo e apprezzando quanto sta avvenendo nella loro casa eterna. Presto troveremo il modo per risarcire chi ha subito torti e danni anche con complicità amministrative (in corso di verifica)». 
«Infine- conclude- troveremo una soluzione per riqualificare il cimitero con l’obiettivo di trasformarlo in un giardino decoroso, dove l’unico “rispetto” deve essere riservato ai nostri cari defunti ai quali oggi va il nostro affettuoso ricordo. 
Locri ha subito per oltre quarant’anni questo scempio. Locri non subirà mai più. A nessuno sarà più consentito tornare ad abusare della nostra libertà. 
Grazie di cuore al nostro Vescovo, alle Forze dell’ordine,  alla Magistratura e alla Prefettura che hanno ci hanno sostenuto in questo importante percorso di “riscatto” che non è ancora completato».
Locri, 02/11/2019
Ufficio Stampa
LOCRI Celebrata con una messa al cimitero la commemorazione dei defunti Lente Locale
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R. & P. «Quest’anno la ricorrenza dei defunti ha un sapore e un senso diverso. Il giorno del ricordo ma un giorno di ritrovata libertà e normalità». A dichiararlo è il sindaco Giovanni Calabrese che, per la commemorazione del 2 novembre ha voluto ricordare tutti i cari defunti e l’impegno dell’Amministrazione a ridare dignità al cimitero. «Una […]
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Gianluca Albanese
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sinapsinews · 5 years ago
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Cede un loculo al cimitero di Cardito Crispano, Borrelli (VERDI): “Situazione inaccettabile"/video Si indaghi sulle responsabilità”. A Ponticelli lapide sradicate, erbacce e sporcizia “Garantire la dignità dei defunti dovrebbe essere la priorità di ogni cimitero.
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pangeanews · 6 years ago
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Morire è diventato imbarazzante. Ecco perché la morte è un tabù e i medici sono i nuovi dèi (ma l’obbligo della felicità ci rende infelici)
Cos’è diventata la morte oggi? Perché è vietato parlarne? Che rapporto avevamo e abbiamo con lei? Ci ha pensato Philippe Ariès a rispondere, e l’ha fatto con Storia della morte in Occidente, disamina sulla dipartita dal Medioevo a oggi.  Non abbiamo mai avuto un bellissimo rapporto con la morte, neanche nei secoli bui, ma mai come oggi ci è così lontana e nemica.
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Siamo arrivati ad amare la vita in maniera morbosa, e spesso non si accetta la morte non per paura, ma perché a un certo punto si tirano le somme, ci si guarda indietro, e si comincia a fare i conti con i propri fallimenti, con gli obiettivi non raggiunti, con i rimpianti, e si scopre che ormai è troppo tardi. Secondo Ariès, nella società industriale è diventato intollerabile non essersi realizzati, non aver dato abbastanza spazio ai sogni che si avevano quando si era giovani, e questo a volte può addirittura condurre all’alcolismo o al suicidio.
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“Le immagini della decomposizione, della malattia, traducono con convinzione un nuovo accostamento fra le minacce della decomposizione e la fragilità delle nostre ambizioni e dei nostri affetti”.
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Questo attaccamento deriva anche da un diffuso senso d’immortalità dovuto all’allungamento della prospettiva di vita. Il momento della morte sembra talmente lontano e procrastinabile da non pensarci.
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La morte è sempre stata presente in passato, era rappresentata, faceva parte della vita di tutti i giorni; il morente trascorreva gli ultimi momenti a casa, tra i suoi cari, a volte agonizzante, e partecipavano anche i bambini, cosa oggi impensabile. È stato il sociologo inglese Geoffrey Gorer ad aver mostrato come la morte sia diventata tabù, e come, nel XX secolo, abbia sostituito il sesso quale principale divieto. Ne parla nel libro The Pornography of Death, dove addirittura paragona il lutto solitario e pieno di vergogna alla masturbazione.
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Ariès sostiene che tutto ciò abbia avuto inizio negli Stati Uniti agli albori del XX secolo. È qui, infatti, che la vita ha cominciato a dover sembrare sempre e comunque felice. È qui che la noia e la tristezza hanno cominciato a essere ospiti non graditi, ed è qui che la felicità è divenuta la nuova religione.
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In questo saggio si parla anche della storia dei cimiteri, come e perché sono diventati quello che sono oggi, come sono cambiate le usanze in merito ai cadaveri. Per esempio, solo nel XVIII secolo nacque un vero e proprio culto dei morti – e con esso i cimiteri – manifestazione religiosa comune ai miscredenti e ai credenti di tutte le confessioni.
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“[…] nel Medioevo i morti furono affidati, anima e corpo, ai santi e alla Chiesa; poi che i progressi della coscienza religiosa hanno meglio distinti, o addirittura contrapposto, il corpo e l’anima dei defunti: l’anima immortale era oggetto di una sollecitudine di cui testimoniano le fondazioni pie dei testamenti, mentre il corpo era abbandonato alle anonime fosse comuni”.
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Ariès esamina tutti i cambiamenti avvenuti nel corso dei secoli, compresi quelli che riguardano la perdita di dignità del morente, che nel tempo ha perso ogni diritto e si è ritrovato non più a comando della propria morte, non potendo più organizzarla, ma in balìa di dottori e parenti, spesso privato anche della possibilità di essere a conoscenza del proprio imminente decesso. Per la prima volta si muore davvero soli, e quando tutti si sono ormai voltati dall’altra parte.
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Tutto ciò è anche causa – non certo colpa – del progresso. Oggi, grazie alle cure mediche sempre più all’avanguardia, è difficile capire quando si morirà, c’è sempre speranza e possibilità di salvezza. Ariès considera soltanto il cancro la nuova e vera faccia della morte, quel male ancora chiamato ‘incurabile’, la vera sfida della medicina moderna. È il cancro, oggi, a far più paura della rappresentazione di uno scheletro o di una mummia.
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E qui entriamo in una sezione molto interessante del saggio, legata alla figura dei medici e degli infermieri, che sembrano aver preso il posto dei preti. Sono loro i moderni ma glaciali traghettatori di anime. Sono loro che spesso decidono di tenere all’oscuro il paziente non rivelandogli la sua condizione. Sono loro che ritardano il momento di avvertire la famiglia. Non si comunica più niente per paura di far perdere il controllo emotivo sia al malato sia alla famiglia. Negli ospedali non sono ben accette scene drammatiche, è sempre meglio far finta di niente, per il bene di tutti, per evitare grida, pianti, lacrime ed esaltazioni. Morire è diventato imbarazzante.
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“Una volta la morte era un volto familiare, e i moralisti dovevano renderlo orribile per fare paura. Oggi basta soltanto nominarla per suscitare una tensione emotiva incompatibile con la regolarità della vita quotidiana”.
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E il malato, se dovesse capire che la sua ora è giunta, non può comunque accettarla, non può arrendersi, non può chiudere gli occhi e lasciarsi andare voltandosi verso il muro, no, deve continuare a fingere, a lottare anche se non vuole, altrimenti rischia di sembrare folle agli occhi degli infermieri, colpevole di rinunciare alla vita, vergogna inaccettabile. (L’episodio è reale ed è avvenuto in un ospedale californiano).
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E non sarà un caso, aggiungo io, che dagli anni ’90 i nuovi miti siano diventati proprio i protagonisti di serie televisive come ER, Grey’s Anatomy, Dottor House. I medici sono diventati i nuovi dèi, icone, angeli a cui consegnarsi totalmente, possibilmente belli e sexy, per invogliarci ancora di più ad affidare loro anima e corpo.
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Insomma, in Storia della morte in Occidente appare chiaro che oggi l’importante è morire con dignità, facendo meno rumore possibile, che si sia consapevoli della propria dipartita oppure no. Ma ovviamente tutta questa negazione della morte conduce a un altro problema, al rifiuto del lutto, che è stato per secoli il dolore per eccellenza, che andava anche ostentato, e che oggi va nascosto. Bando alle condoglianze, alle lacrime, alla sofferenza, alla commozione. Ci si deve riprendere il più presto possibile, e se si vuole piangere, lo si deve fare in solitudine. Bisogna mostrarsi duri, forti, e non parlare con nessuno della propria perdita. La persona in lutto è considerata alla stregua di un malato contagioso che va emarginato. E in questo contesto, anche il cadavere deve essere truccato, ben lavato e ben vestito. Deve sembrare un non morto, una persona semplicemente assopita. Non esiste più l’esibizione della bruttezza del cadavere. In America si è arrivati addirittura all’imbalsamazione e alle funeral homes, mentre in Inghilterra alla più definitiva cremazione, considerata come il sistema più radicale per sbarazzarsi dei morti.
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Per concludere, la morte è diventata il grande assente, scomparsa com’è dalle nostre case e trasferitasi soltanto negli ospedali. La morte invidiata sembra essere quella che permette di dire “non si è accorto di nulla”, cosa che si augura anche a se stessi. E nel frattempo la malattia è diventata una lunga e interminabile agonia proprio perché si fa di tutto per ritardare il fatidico momento. La progressiva perdita della fede ha portato l’uomo a divenire nullità di fronte alla morte, mentre prima, credendo nell’aldilà, si considerava importante mantenere dignità e valore fino alla fine e oltre. Ma Ariès ci pone di fronte a una riflessione finale ben più triste e preoccupante: e se fosse proprio la negazione della morte a rendere l’uomo moderno sempre più nevrotico? E se fosse proprio il nascondimento del lutto a farci ammalare? La mancanza di sostegno in uno dei momenti più importanti e difficili della nostra vita può scatenare psicosi e isterie che si potrebbero protrarre per chissà quanto tempo.
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“Allora si arriva a chiedersi, con Gorer, se gran parte della patologia sociale di oggi non abbia le sue radici nell’evacuazione della morte fuori della vita quotidiana, nella proibizione del lutto e del diritto di piangere i propri morti”.
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Che la crisi della morte sia strettamente in relazione con la crisi dell’individualità che attanaglia questo XXI secolo?
Dejanira Bada
*In copertina: Damien Hirst, “For the Love of God”, 2007
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latinabiz · 5 years ago
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L'omelia di Mons. Vari nella parrocchia dei SS. Cosma e Damiano di Gaeta il 25 aprile
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Mons. VariMessa nella parrocchia dei SS. Cosna e Damiano di Gaeta Una messa che era stata preparata per le cresime, come poi ha detto l'arcivescovo di Gaeta prima di fare l'affidamento alla "Madonna Nostra" come la chiamano i residenti dell'antica Elena la Madonna di Porto salvo, che viene festeggiata in modo solenne nella seconda domenica del mese di agosto con una suggestiva processione a mare. Continua questo peregrinare a porte chiuse del presule dell'arcidiocesi di Gaeta con una omelia incentrata sull'affidamento a Maria: "Veneriamo insieme ai sacerdoti della città, alla città questa mattina la Madonna di Porto Salvo. già ieri, stavamo riflettendo che questo pellegrinaggio non è un pellegrinaggio folcloristico, ma è lo specchio di una consapevolezza che molti di noi stiamo maturando, e cioè la consapevolezza che ci siamo costruiti un mondo che è un colosso, un gigante di bronzo dai piedi di argilla, non ha in se da solo la forza di stare in piedi. Ecco,  il virus ha funzionato come un sassolino che scende dal monte, diventa una frana e blocca tutto. Niente sta salvando in questa frana. Vediamo tante cose che ci lasciano un pò così disorientati, e tanti pilastri che noi abbiamo pensato che erano ormai incrollabili, ne abbiamo fatto una religione, vediamo che non sono così solidi, sopratutto siamo un pò disorientati da tutti questi pareri discordanti, dagli scienziati che si contraddicono, che ognuno di ce una cosa. Allora noi, che pensavamo che la scienza ci avrebbe salvato, ci troviamo di averlo ridimensionato un pò il nostro giudizio. Allora quando c'è una frana, quando c'è un qualcosa che crolla, si possono fare due cose: o ricostruire tutto come prima, o migliorare, sapendo però che se non si migliora le cose poi possono solo peggiorare. in questo tempo di pasqua noi stiamo leggendo, durante le messe, una lettera che è la lettera di Pietro, che a un certo punto parla del male, parla di condizioni negative, dice ma ilo vero male, però, è quello che ti fa credere di non poter migliorare, il vero male è ciò che ti spinge a rassegnarti senza lottare. L'apostolo Pietro scriveva a persone che vivevano in condizioni di schiavitù, che avevano tutti i motivi per rassegnarsi. E lui dice a questi cristiani: attenti che il male è come un leone, che si aggira cercando chi divorare, il male è una forza che ti fa credere che solo tu stai male, che solo tu soffri, il male ti fa dimenticare degli altri e ti fa diventare indifferente alla sorte degli altri. E allora dice Pietro: l'unica maniera per resistere al male è la fede, a lui resistete, dirà, saldi nella fede. La fede che genera nel nostro cuore la fiducia, un sentimento che però passando i giorni si sta sempre un pochino più indebolendo. Allora la fiducia da sola come sentimento, come sforzo, come delusione della volontà non basta. Si deve riempire questa fiducia di qualcosa e questo qualcosa è la consapevolezza che per noi cristiani deve essere centrale che Dio non ci abbandona, che Cristo è vivo e non ci abbandona. Se riflettiamo per moltissimi di questi ventimila morti solo in Italia, che abbiamo contato a causa di questa epidemia, questa fede è stata per moltissimi di loro l'unica luce che li ha illuminati nel loro calvario. Un operaio di un cimitero di Milano, dove sono seppelliti quelli che nessuno reclama dopo la morte, e alcuni di questi ospiti delle case di riposo, dei quali forse le famiglie nemmeno sanno o non possono raggiungerli, diceva: noi facciamo quello che possiamo per dare dignità a queste persone anonime, mettiamo un fiore e diciamo una preghiera, lui ha detto diciamo una preghierina. Ecco, la Madonna di Porto Salvo ci aiuta a fare questi pensieri, e nei racconti di molti pescatori o naviganti, quando il mare diventa un nemico potente, implacabile, un nemico per la vita, quando la fiducia di potercela fare diventava sempre più debole, o addirittura nel momento del naufragio, la preghiera alla Madonna di Porto Salvo per essere salvi, per poter scampare alla morte, dava il coraggio che serviva per reagire,per non abbandonarsi alla tempesta e questo coraggio gli salvava la vita. Ecco, noi lo sappiamo che cosa è un mondo senza Dio, è un mondo su un orlo perpetuo di una crisi, un mondo senza porti dove approdare, senza riserve di energia, dell' energia necessaria per cambiare. Io credo che quando noi sapremo i numeri veri di questa catastrofe, quando sapremo che cosa sta succedendo a causa di questo virus nei paesi poveri del mondo, anche in paesi che  a Gaeta sono cari, ho sentito del Venezuela, allora ci renderemo conto di quello che tutto il tempo sia. E allora bisogna scegliere se rassegnarci per poi prima o  poi affogare oppure reagire. e non si reagisce senza fede, senza passione. Reagire e cambiare costa tanto. Ieri c'era un fondo di un giornale che diceva: parliamo tanto di cambiare ma avete visto in 15 giorni nel mese che ci siamo fermati quando può fare per cambiare. Cambi solo se capisci che è l'unica cosa da fare, ma capirlo è un dono di Dio. Madonna nostra di Porto Salvo, ascolta il grido dei figli tuoi che cercano la forza per reagire, per cambiare, liberaci dalla rassegnazione che abitava nei nostri cuori e i nostri occhi già prima di questo virus. Rendici insopportabili tutti i pensieri e gli atteggiamenti meschini. Prega per noi, perché la superbia sia abbattuta dall'umiltà, l'avidità dalla generosità. Vedendo la forza che tende ad abbatterci, dacci la determinazione per continuare a navigare, consapevoli di dover lasciare al mare molta zavorra. Madonna nostra di Porto Salvo, ti affidiamo i defunti di questo tempo per i quali ogni giorno preghiamo e che sono andati via in silenzio. Ti affidiamo le autorità di questa città, ti affidiamo i pastori di questa città, ti affidiamo loro perché veramente sappiano essere loro maestri di cambiamento. Ti affidiamo le famiglie, ti affidiamo i nostri anziani e i nostri bambini, ti affidiamo i nostri malati, ti affidiamo sopratutto la povera gente che magari abita in piccoli locali e non respira pi. Ti affidiamo tutti, tu sii porto salvo per tutti, tu sii la stella del mattino, tu sii la speranza che da la forza, sii quello che ci serve, che ci serve, sii una mamma e nessuno sa più di una madre quello che serve ai figli. Amen!" Ed alla fine della celebrazione, ecco l'affidamento della città di Gaeta e dell'intera arcidiocesi alla divina protezione della Madre celeste con il titolo di Porto Salvo, invocata in special modo dai pescatori del borgo antico gaetano: "O Madonna nostra di Porto Salvo, sotto cui il tuo bel titolo ci troviamo di averti patrona in questo di particolare periglio, i nostri cuori di figli si stringono intorno alla tua venerata immagine per chiedere  soccorso a te, che sempre sollecita sei accorsa in nostro aiuto nei tanti frangenti che la  vita riserva. Vogliamo raccomandarti, o cara madre, l'intera città e la diocesi di Gaeta, che attraversa il pericolo di contagio dal Coronavirus e la paura di questa nuova calamità porta con se. Custodisci tutti noi  sotto il tuo materno manto e preservaci sani e santi. Mentre ti affacci benedicente tra le nuvole a vegliare sulla nostra città di Gaeta, dalla quale sei vanto e presidio, ascolta la nostra preghiera che si eleva al tuo cuore materno, per quanti combattono sul fronte tale flagello con il pericolo di essere contagiati, avvolgili col tuo manto protettivo. Ti affidiamo le tante anime falciate dal Coronavirus che in questo frangente non hanno potuto vivere i loro ultimi momenti il conforto dei loro cari e le attenzioni spirituali e sacramentali, sii per essi vascello che li conduce al porto della salvezza, il Paradiso, e sii conforto a quanti hanno lasciato su questa terra nel dolore e nella disperazione. Come balsamo spirituale scendi nell'anima di quanti contagiati combattono ogni giorno, sii per loro conforto, aiuto e guarigione del corpo e dell'anima. A tutti infine, superate  le burrasche del male insidioso del secolo concedi, o soave  regina, di raggiungere il felicissimo porto della salvezza che è Cristo tuo figlio, e unite le nostre lodi a quelli dei cari trapassati, benediremo in eterno te,  rifugio e speranza nostra. Amen!" Read the full article
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frontiera-rieti · 7 years ago
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I cimiteri dopo il sisma: ridare dignità alle sepolture
I cimiteri dopo il sisma: ridare dignità alle sepolture ------------------- Il sisma di un anno fa ha devastato anche i cimiteri. Sofferenza per le famiglie: in tanti andavano a pregare sulle tombe dei propri cari tra le macerie. Fondi Caritas–Cei aiutano nel ripristino
Ridare dignità alla sepoltura dei defunti è una delle richieste più sentite ad un anno di distanza dal sisma in Italia centrale. Da Amatrice e Accumoli, una sofferenza nella sofferenza, quella dei cimiteri devastati dalle scosse, e ovviamente passati in secondo piano rispetto al soccorso ai sopravvissuti. Per ripristinarli si è mobilitata anche Caritas italiana, che su richiesta della diocesi di…
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