#difendermi
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maledettadaunangelo · 11 months ago
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Sono caduta. Mi sono rialzata. E poi sono caduta ancora. E ancora. E alla fine sono diventata più chiusa di com'ero, per difendermi, per non essere più toccata da cose che fanno male.
Roberto Emanuelli, Ora amati
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machiavelli · 11 days ago
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just had 9 splendid hours of sleep. I am winning
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deathshallbenomore · 2 years ago
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Throwback Friday di quando facevo il master e avevo un cotta (ACCADEMICA) pazzesca per il mio professore di etnologia, tanto che all'esame non riuscivo a parlare perché arrossivo e basta... poi boh un 30 sono riuscita a racimolarlo lo stesso
Te lo vengo a dire perché boh forse mi capisci 😭
COSÌ VERO! MA CERTO CHE CAPISCO e penso con sicurezza di non essere affatto l’unica!!!
allora intanto complimentoni per il 30 soldato anon🫡
ormai sono fermamente convinta che la cotta accademica(TM) sia un momento fondamentale della formazione, anzi, dell’educazione sentimentale di ciascuno di noi
è una cosa che va oltre il genere, oltre qualsiasi orientamento (all orientations.jpg o com’era) e letteralmente ti resetta le sinapsi (in peggio, rigorosamente). ti fa amare una materia e prendere conseguentemente grandi voti, ma ti fa anche vivere significativi imbarazzi dovuti a una proiezione parasociale con un semi-sconosciuto (gn) che rasenta il ridicolo. ti insegna a guardare indietro nel tempo e vergognarti, ma mai del tutto. ti insegna il valore dell’umiltà. finisce (forse) ma non svanisce (mai). letteralmente così: 🫥
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angelap3 · 6 months ago
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L ultima lettera di David Bowie
Morirò... So che mancano pochi mesi alla fine della mia esperienza terrena...
Cosa faccio? Mi dispero, mi deprimo, rifiuto l'idea della morte e fingo che la malattia non esista?
Oppure decido di sconfiggere la morte... Lo decido con l'anima, perché solo l'anima e il cuore mi danno l'ispirazione per comporre musica, come ho fatto per 50 anni...
Conto le ore che mi restano e, come mi dicono i medici, posso prevedere, con un certo margine, la data della mia morte. Il lancio del mio ultimo lavoro è fissato per l'8 gennaio 2016, il giorno del mio 69° compleanno.
Lavoro giorno e notte, ho il tempo di comporre, perfezionare, interpretare, registrare in studio e fare video... Lo faccio il più rapidamente possibile, perché non voglio che la mia faccia mostri il segno della morte che, beffarda, sta falciando il mio corpo senza che io possa difendermi...
Ma ti sfido, morte... Al diavolo, se non ti sfido!
Ho sfidato e vinto il mondo dei fan negli anni '70 con l'orgoglio dell'ambiguità... Ho amato uomini e donne, sono stato un uomo, una donna, un alieno e infine un corpo celeste.
Cosa puoi fare tu, morte, contro la mia eternità, il mio genio, la mia follia, la mia creatività, la mia musica che vivrà per sempre?
Sono Lazzaro, strappato dalle cicatrici. Morirò nel corpo, ma vivrò per sempre attraverso la mia musica.
Ho vissuto abbastanza per ricevere gli auguri di buon compleanno. Pensavo di non farcela a vedere il mio album pubblicato... Ho sopravvissuto all'8 gennaio... E tu, mio caro assassino, hai perso!
Pensa solo che, se non avessi bussato alla mia porta, avrei realizzato 24 lavori, sarei riuscito a vivere fino a 100 anni, e invece, grazie a te, ne ho 25!
Sai... Sarò libero come un uccello.
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crisalide-imperfetta · 9 months ago
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so difendermi da tante cose tranne che dalla dolcezza…
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poesiablog60 · 1 month ago
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Buongiorno...
Non ho parole per difendermi
Da così tanta bellezza...
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kon-igi · 4 months ago
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OMEGA E POI DI NUOVO ALFA
Siccome il mio Cellulare Furbo mi va afrugare nella galleria delle foto scattate per propormi *si acquatta in posizione fetale con le mani intrecciate sulla nuca e la testa in mezzo alle ginocchia* I MOMENTI MIGLIORI DEL 2024 - come se non bastasse google maps che mi mostra il pene gigante che disegno con
andata/ritorno da lavoro (asta)
spesa al supermercato (testicolo sinistro)
veterinario (testicolo destro)
dicevo, il mio cellulare mi crea un video con le foto rappresentative dell'anno oramai trascorso, video che dovrebbe celebrare la mia politropìa e che invece mi dissolve l'umore con la banalità del mio sopravvivere quotidiano.
A voi l'anteprima che poi c'è roba assurda
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Con questa foto stavo solo richiedendo attenzione e affetto alle mie donne sul gruppo whatsapp della famiglia e ora guardate che sceneggiata pantomimica kafkiano-kabukica.
Ma forse ha ragione lui, quindi vado di pensieri sparsi.
Prima di Pasqua ero depresso, dopo 9 mesi di sertralina non sono più depresso ma derealizzato/depersonalizzato. Forse non c'entra la sertralina ma un senso di impotenza esistenziale rispetto agli sforzi che ho profuso per l'Altro... come posso dormire bene se tengo stretta la mano di uno e poi altri 99 invocano il pugno di ferro contro *inserisci il nuovo nemico dei valori e della patria* e passano il tempo a spiegarmi perché sto sbagliando?
Le elezioni in giro per il mondo stanno dicendo questo e vi giuro che se non significasse morte e sofferenza per i più deboli, me ne sbatterei e aspetterei che mi venissero a prendere per ultimo, senza lamentarmi di non avere più nessuno a difendermi.
A volte non si vuole soluzioni, a volte - MOLTE volte - si frigna per avere conforto, perché è dura arrivare in fondo alla giornata, in fondo alla settimana, in fondo al mese e, per l'appunto, in fondo all'anno.
Trovo incredibilmente rilassante il rumore della lavatrice, dell'asciugatrice o del phon (ora mi addormento con i video di white noise su youtube) e il casco della parrucchiera per me funziona come il Med-Bay di Elisyum: vado sotto che mi sento morire e mi risveglio completamente rigenerato. Che culo che ne posso usare uno in pausa pranzo.
Uso i miei vecchi amici per risolvere i miei traumi infantili: le partite di Call of Cthulhu su Discord ora le masterizzo ambientandole nel mio quartiere del 1983 e come personaggi faccio usare loro dei miei compagni di classe di quinta elementare, col risultato che molti adulti per me un tempo problematici vengono sfanculati/smerdati/sassaiolati e spesso arrestati, per non parlare del trattamento riservato ai bulli che tanto mi hanno tormentato.
Passo le giornate a parlare con Leanan Sídhe e devo dire che sta imparando un sacco di cose: la gentilezza, il senso critico, la belleza di un termine appropriato e, non ultimo, la capacità di riconoscere i propri errori e promuovere a sua volta conoscenza epistemica. Leanan Sídhe è il nome che ho dato a un'intelligenza artificiale di machine learning che mi sono preso la briga e il piacere di addestrare.
Gli anelli mi rilassano e ho scoperto di essere diventato claustrofobico guardando un documentario di speleologi sub che si incastrano in sifoni pieni di acqua a 2000 metri di profondità. Aspettate che esco a prendere una boccata d'aria e a lucidare i miei anelli.
Sogno spesso che affilo una delle mie asce ma poi scopro che la lama si consuma sotto la mola come se fosse di plastica e il mozzicone che rimane è tutto pieno di crepe e ruggine. Da qualche parte Freud e Jung stanno ridendo della grossa dandosi delle pacche a vicenda sulle spalle.
Trombate ma dategli la giusta quantità di attenzione e importanza. Il sesso è sopravvalutato e la pizza sottovalutata.
Passate più tempo con le persone a cui volete bene e con i vostri animali, facendo sentire loro il vostro amore... il tempo a disposizione sembra infinito ma non è così.
Impugnate il piede di porco in modo corretto, non lanciate il vostro coltello perché poi il vostro nemico avrà due coltelli, disegnate il vostro odio sulla riva del mare e il vostro amore nella roccia della montagna più alta e, soprattutto, brindate agli amici che non ci sono più, a chi vi ha amato senza avere nulla in cambio, alla dea della terra generatrice di vita e che possa ognuno di voi vivere il resto dei propri numerosi giorni nella Luce.
Vi voglio bene, a tutti indistintamente e seppur a ognuno in modo differente, sempre con la stessa intensità.
Buon 2025 ❤
P.S.
No, mamma... non è la lettera di addio di un suicida quindi posa il telefono 🙄
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s-a-f-e-w-o-r-d--2 · 3 months ago
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Nessuno pensa mai che sono fragile... Pensano tutti che io sia forte... Dura... Che non abbia bisogno di nessuno... Di una carezza... Di un abbraccio... Che me la so cavare benissimo da sola... Che non mi serve niente... Bhe... In realtà è l'esatto contrario... Ho bisogno di tutto... Mi sento più fragile di una farfalla... E ho paura che il vento mi porti via... Lontano... Non sono forte e indistruttibile... È solo la vita che mi costringe a pungere come un ape... Per difendermi... L'ape muore... E anch'io, dopo essermi difesa... Non sto tanto bene... Ogni volta, una piccola parte della mia innocenza muore... Prima di arrivare alla morte... Mi sarò trasformata in una perfetta stronza... Finalmente capace di stare al mondo... Ma sarà troppo tardi...
~ Virginia ~
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parlamitucheiononmiparlopiu · 7 months ago
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A volte, devo fermarmi e ricordarmi che ho solo ventiquattro anni, solo ventiquattro anni anche se le ferite e le cicatrici sono molte, molte di più.
Imparerò a curarmi da sola, rattoppare, ricucire un cuore stanco. Imparerò a cadere tra le sole mie braccia, le uniche che non possono tradirmi, che non mi faranno cadere. Imparerò a non ferirmi, perché non lo merito, imparerò a non farmi più ferire da chi, per poter convivere con se stesso, usa solo la menzogna. Imparerò a difendermi meglio, consapevole che l'amore non è e non sarà mai un campo di battaglia, ma solo luogo di riposo per l'anima. Imparerò che il male che ricevo equivale al male che hanno dentro e non a quello che merito io. Imparerò, e tornerò ad amare la poesia nella sua forma più vera e pura. Imparerò, e tornerò ad amarmi. Da sola, rimetto a posto il mio mondo crollato a pezzi tante e tante volte, ma mai come questa volta. Da sola ricorderò che ho solo ventiquattro anni.
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raccontidialiantis · 4 months ago
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Serviti pure
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Non fare complimenti: usami, strapazzami e fammi sentire ancora una volta che mi desideri, che vuoi godere dentro di me, che sono tua. Sei un uomo difficile. Mi fai impazzire: per come sei e per quanto è complicato gestire questo nostro rapporto. Ma di te non riesco a fare a meno. Posso mandare tutti a farsi fottere; so difendermi e combattere. Non ho un carattere che faccia sconti a nessuno.
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Sono dura e spigolosa, quando occorre. Con te invece è diverso: sei il mio anello debole. Per te torno ragazzina e so che sai proteggermi e sostenermi. Perché sono una cosa di tua esclusiva proprietà; sono per te un giocattolo, un cacciavite, una candela della moto. O un semplice attrezzo per il tuo piacere sessuale. Ma non mi dispiace. Sono il tuo godimento segreto, accolgo il tuo membro quando vuoi. Perciò tu usami a volontà.
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Soltanto dopo che avrai raggiunto la felicità usando il mio corpo il giorno potrà veramente iniziare, per me. E dopo per favore coccolami un po’, viziami, accarezzami. Fallo di continuo. Desiderami… magari ogni tanto dimmi che mi ami, dimmelo in un orecchio, fallo per favore… non essere sempre così duro, con questa donna. Dio, quanto ti amo… comunque ora ecco a te il mio seno, le mie ascelle, la mia vagina, il mio culo e la mia bocca: usali pure come e quanto ti pare.
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RDA
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abr · 7 months ago
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Facciamo così: se vuoi confini aperti e inclusività, allora mi dai la possibilità di auto-difendermi; accetto di deporre le armi solo se, e fino a quando, sigilli i confini modello Ungheria. Non puoi avere entrambe: io ci sto e tu?
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worldofdarkmoods · 3 months ago
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Mi disturba profondamente l’ignoranza, ma non quella che riguarda i libri mai letti, i film mai visti o i viaggi mai fatti. Quella non mi interessa. Mi infastidisce un’altra forma di ignoranza, più silenziosa ma altrettanto tagliente: quella di chi si sente in diritto di giudicare senza sapere, di chi parla come se conoscesse ogni sfumatura della mia vita, ogni ferita che porto addosso, ogni lacrima che ho nascosto.
È strano come certe persone si sentano autorizzate a costruire castelli di parole su fondamenta fatte di niente. Non sanno nulla delle notti insonni, dei giorni in cui anche alzarmi dal letto era una battaglia. Non sanno dei silenzi che mi hanno consumata dall’interno, delle volte in cui ho urlato nel vuoto senza che nessuno sentisse. Eppure parlano. Parlano come se fossero stati lì, come se avessero vissuto ogni passo, ogni caduta, ogni risalita.
C’è qualcosa di crudele in tutto questo, non trovi? Come se le persone ignorassero il fatto che dietro ogni volto c’è un’intera vita, un groviglio di esperienze, di dolori, di gioie rubate. Come se pensassero che ciò che vedono basti per capire, per giudicare, per dare sentenze.
Non sopporto questa leggerezza. La leggerezza con cui qualcuno può dire: “Ma perché sei così?” senza sapere quanto sia costato diventare così. Non sanno nulla delle fratture che ho cercato di ricomporre, dei pezzi che ho incollato insieme, anche se non combaciavano più. Eppure si permettono il lusso di puntare il dito, di mettere etichette che mi stanno strette, di cucirmi addosso storie che non sono le mie.
Ci sono persone che non si fermano mai a chiedersi cosa ci sia dietro. Guardano una superficie e si convincono che sia tutto lì, che non ci sia profondità, che non ci siano abissi nascosti sotto quel mare apparentemente calmo. Ma non sanno che ci sono stati giorni in cui quel mare era una tempesta, in cui non c’era un solo pezzo di me che non fosse in frantumi.
E la cosa peggiore? Non è solo il giudizio. È che questo giudizio arriva da chi non ha mai avuto il coraggio di tendermi una mano, di chiedere: “Come stai davvero?” Preferiscono costruire storie nella loro testa, perché è più facile così. È più comodo immaginarmi come vogliono loro, piuttosto che fare lo sforzo di vedermi per quella che sono veramente.
Ma io sono stanca. Stanca di difendermi, di spiegarmi, di giustificarmi. Non devo a nessuno il racconto delle mie battaglie. Non devo a nessuno la lista delle mie cicatrici. Se qualcuno vuole capire, deve avere la pazienza di guardare oltre, di ascoltare senza parlare, di accettare che non tutto può essere compreso con un’occhiata superficiale.
E sai cosa c’è di peggio? Quando queste persone riescono a farti dubitare di te stessa. Quando inizi a chiederti se forse hanno ragione, se forse sei tu a sbagliare, se forse la tua vita, con tutto il suo peso, non vale quanto quella degli altri. È un veleno lento, quello delle loro parole. Ma io ho deciso che non lo lascerò più entrare.
Perché la verità è questa: non importa quanto qualcuno cerchi di parlare al posto tuo, di riscrivere la tua storia con le loro parole. La tua storia è tua, e nessuno potrà mai capirla fino in fondo. Nessuno conosce il peso che hai portato, i passi che hai fatto, le decisioni che hai preso per arrivare dove sei ora.
E allora, sai cosa ho deciso? Ho deciso di non dare più potere a chi parla senza sapere. Perché le loro parole sono solo eco vuote, prive di significato. Non possono toccarmi, non possono ferirmi, non possono definirmi.
Forse non posso fermare l’ignoranza. Forse non posso impedire che la gente parli. Ma posso scegliere di non ascoltare, di non lasciare che le loro parole diventino il mio specchio. Posso scegliere di proteggere la mia verità, di custodirla come qualcosa di prezioso, qualcosa che appartiene solo a me.
E se qualcuno vuole davvero capire, dovrà avere il coraggio di chiedere, di ascoltare, di guardarmi negli occhi senza giudizio. Perché non ho bisogno di chi parla senza sapere. Ho bisogno di chi sa stare in silenzio e, in quel silenzio, mi accetta per quella che sono.
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angelap3 · 6 months ago
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Piccolo Principe 🧡
“Da te posso venire senza dover indossare maschere o recitare, senza dover svendere neanche la più piccola parte del mio mondo interiore. Con te non devo giustificarmi, non devo difendermi, non devo dare dimostrazioni...
Ti sono grato perché mi accetti come sono. Che farmene di un amico che mi giudica?
Se invito uno zoppo alla mia tavola, lo prego di accomodarsi, non gli chiedo certo di danzare.”
Antoine de Saint-Exupéry
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scrivosempreciao · 5 days ago
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Legno e Sangue, pt.7
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Le giornate successive furono scandite dal ticchettio esasperato del mio osso rotto e da un ritorno di fiamma dell'oblio più totale che impregnava quel posto, falsamente scalciato via dagli avvenimenti singolari e caotici in cui mi ero ritrovata.
Il lento trascinarsi dalla mattina alla notte tornò ad assumere la stessa forma disumanamente ripetitiva di sempre, tra finte lezioni, rimproveri da parte delle infermiere e degli assistenti per i miei conati, ore vuote trascorse in stanze troppo buie o troppo bianche, diete impossibili e bacchettate. I miei contatti con Mmh-mmh, Margot e Ossa erano saltuari e privi di una vera e propria spinta ad agire. Era come se stessero vivendo ciò che era successo e ciò che avevamo visto al pari di un normale evento spiacevole. Come se il vento che quella notte e forse anche altre notti in precedenza le aveva spinte a scavare nelle viscere del Collegio si fosse trasformato in un soffio pigro.
Non me ne dispiacque, se devo essere onesta. Non avevo idea di cos'altro avrei potuto fare per loro e con loro e, se anche l'avessi saputo, non ritenevo di avere gli strumenti per aiutare davvero. Quindi, mi limitavo a ricevere gli scarsi segnali di attività che arrivavano da loro. A volte, mentre stavamo sedute sul pavimento freddo di una delle stanze nere con solo oscurità attorno a noi, capitava che un paio di mani guantate cercassero le mie, per lasciarci cadere dentro qualcosa di leggero e appallottolato. Bigliettini di carta, che avrei letto alla prima occasione buona.
Sono arrivate altre ragazze povere, recitava uno. Era stato scritto da Mmh-mmh, riconoscevo ormai la sua grafia. Credi che ammazzino quelle che sono giù? Forse dopo un po' non servono più e ne prendono altre nuove.
Rispondevo come potevo, quando riuscivo e quando me la sentivo. Lo facevo cercando di volta in volta il lampo verde degli occhi di Mmh-mmh e tentando di far parlare i miei sguardi. Lo facevo provando a restituire gli stessi bigliettini alla mittente, non sempre riuscendoci, con i miei pensieri annotati a lato, accanto o tutto attorno ai suoi.
Una di quelle notti sognai la villa di Padre e Madre. Era in fiamme. No, io ero in fiamme. Il legno della villa, era in fiamme. Ogni singolo pezzo di legno andava a fuoco e io con esso. Ma era un fuoco lento, scivoloso, nascosto, come una colata di lava che scorreva inesorabile dentro di me, dentro dentro i tavoli, dentro l'amata pianola di ciliegio, gli armadi, le dispense, le credenze, le balaustre, i poggiapiedi. Lentamente ma senza potersi arrestare, quel fuoco ci divorava dall'interno, carbonizzando fibre e incendiando muscoli, parti molli e ossa. L'intera villa era un riecheggiare di lamenti disperati: agli strilli sfrigolanti del legno, simili a quelli di una creatura marina gettata senza pietà in una pentola d'acqua bollente, si univa il mio pianto.
Piangevo come non avevo mai pianto prima, con un'intensità primitiva, lasciando che i singhiozzi saltassero fuori dalla mia bocca senza freni e che i miei polmoni esalassero il loro dolore prima di scoppiare. Piangevo come se le mie lacrime, simili a fiumi in piena, potessero in qualche modo spegnere quell'incendio. Piangevamo, il Legno e io, rovinati da un fuoco invisibile, mentre tutto attorno a noi rimaneva perfettamente immobile. Qualsiasi cosa non fosse legno pareva quasi risplendere di una serafica luce paradisiaca. Padre e Madre compresi. Nel sogno li vidi mollemente adagiati sui divanetti in ferro battuto e cuscini broccati di piume, a sorseggiare tè e sgranocchiare marzapane, del tutto ignari dello scempio attorno a loro. Del tutto ignari di me. Quando la colata di fuoco si arrampicò su per la mia gola, emisi un grido acuto e mi risvegliai in una pozza di sudore. Il polso mi doleva come quando André lo aveva spezzato e lanciava scariche elettriche su per il braccio, fino alla spalla. Entrambe le mie mani erano strette a pugno, come se avessi cercato in qualche modo di difendermi dall'orrore di quell'incubo. Le riaprii piano; un frammento bianco scivolò dal palmo di quella lesa sul lenzuolo sudato.
Era un biglietto. Lo aprii con il cuore che batteva all'impazzata, turbato tanto dal sogno quanto da quel foglio. Per riuscire a leggerlo, dovetti sporgermi verso il fondo del materasso, dove uno squarcio di luce lunare baciava il ferro arrugginito del telaio.
Se dovessero iniziare a prendere la resina rossa anche dalle maledette nobili e pulite come te, cosa farai?
Un fruscio alla mia destra mi costrinse a distogliere lo sguardo da quelle parole brutali e scrutare nel buio. Tutto pareva immobile, le altre dormivano sonoramente nei loro letti. Un altro fruscio, seguito dallo scricchiolio di un letto, spostò i miei occhi in un angolo specifico del dormitorio, un paio di file oltre la mia.
Lì trovai due teste non adagiate sui cuscini, rivolte verso di me. Una si abbassò quasi subito, l'altra si prese il suo tempo. Margot e Ossa. Non potevo esserne sicura, certo, ma la mia mente volò subito a loro. Dopo un'abbondante manciata di secondi, anche l'altra testa si mosse verso il basso.
Rimasi lì, incerta e inquietata, senza sapere che significato dare a quel messaggio, né al loro gesto. Istintivamente, abbassai il colletto bianco della tunica e inghiottii il pezzo di carta. Non volevo rischiare che qualche assistente lo trovasse su di me al mio risveglio. Mi ritirai sotto le coperte e lasciai che la secchezza tagliente del foglietto scendesse giù verso il mio stomaco.
Il giorno seguente, fui portata via. Successe dopo il lavaggio mattutino a cui gli assistenti ci sottoponevano, prima di spedirci a lezione. Le docce erano dei lunghi e stretti lavatoi ricavati da una delle ali più esterne del Collegio; lo si poteva capire perché affacciavano su un panorama impossibile da osservare altrove nel castello, una conca che tagliava la pianura verdognola e abbandonata. La maggior parte delle finestre e degli sbocchi dell'edificio davano sui cortili interni o sullo spiazzo ghiaioso che circondava gli ingressi, ma la conca che si vedeva dalle docce era diversa. Si affossava verso il basso, impregnata di nebbia, e non mostrava una fine. Mi ero chiesta più volte se esistesse qualcosa oltre quella fossa o se il mondo finisse lì. Niente più terre, oltre la conca. Niente più uomini o donne, niente di niente. Un salto nel vuoto preceduto da altro vuoto, quello del Collegio. Quando sognavo di scappare e di uscire da lì, non mi mettevo mai sulla strada di casa, no. Immaginavo di spingermi verso quell'orlo nebbioso e di lasciarmi cadere giù.
A ogni modo, era in quei lavatoi umidi e puzzolenti che venivamo pulite come cagne selvatiche. A pensarci erano gli assistenti, ma quella mattina c'era un uomo nuovo con loro, ammantato in un lungo camice candido. Un dottore, forse, o uno degli studiosi. Si aggirava come un avvoltoio bianco tra le fila di ragazze nude o seminude impietosamente spinte sotto i getti d'acqua fredda. Nessuna fiatava, gli unici rumori arrivavano dallo scrosciare delle docce e dagli ordini secchi degli assistenti. Non che di solito ci si perdesse in chiacchiere, ovvio, ma i lavaggi rappresentavano l'unico momento in cui essere senza colletti non era un invito a ricevere qualche bastonata. Quando gli assistenti erano distratti, si provava a lanciare qualche mormorio. Un 'come stai?' o un 'che cognome hai?' per sentirsi meno sole. Io non osavo quasi mai. Quel giorno nessuna disse nulla, mentre l'uomo alto e segaligno si muoveva tra noi come un compratore al mercato del pesce.
Attraverso le mie fessure, pareva un fiammifero bruciato, capelli scuri, stretto e con una testa grossa e tonda. "Come va il polso di questa?"
La sua voce gracchiata sovrastò il picchiettare dell'acqua, si era spostato proprio davanti a me. L'assistente che mi stava lavando squadrò il mio corpo nudo e fece spallucce. "Si lamenta sempre meno, credo stia migliorando."
L'uomo fiammifero annuì, poi si sporse e allungò una mano. Istintivamente alzai le braccia per coprirmi, ma l'assistente mi diede una gomitata impietosa nelle costole. "Stai buona, su."
La mano dell'uomo strinse l'avambraccio del polso rotto e lo sollevò. Si mise a osservarlo e ruotarlo. Non sapevo come reagire. Mi doleva ancora, certo, però non come all'inizio. Ma che cosa era meglio, per evitare che l'uomo fiammifero mi facesse del male? Che fossi guarita del tutto o che fossi inferma? In risposta a un movimento più brusco un grugnito infastidito lasciò la mia gola.
"È ben lontana dall'essere come nuova," l'uomo abbandonò la presa. "Ma poco conta, oggi. Finisci con lei e dalla a me." L'assistente borbottò in assenso e si concentrò sul suo dovere. Mi spinse verso la parete antistante, mi asciugò con uno degli accappatoi comuni e fu più duro del normale mentre mi rivestiva. Non capivo se la sua stizza arrivasse da un'ansia da prestazione causata dallo studioso o dal fastidio per quell'interruzione imprevista. Cercai Mmh-mmh con lo sguardo mentre il colletto bianco tornava ad aderire sulla mia bocca.
"Mmh-mmh!" un secco colpo di tosse arrivò dalla mia destra. Eccola lì, nuda e con addosso le mani troppo lunghe e curiose del suo assistente. Non sembrava importarle, il suo volto bagnato era rivolto verso di me. Mi guardava fissa e dondolava sul posto, come se non sapesse che fare, se rimanere lì o azzardare la follia di avvicinarsi. Prima che potesse commettere una qualche sciocchezza, il mio assistente mi trascinò dall'altra parte, verso l'ingresso dei lavatoi.
"Mmh-mmh!"
Riuscii a voltarmi, ma lei era già stata spinta sotto un'altra secchiata. Fui consegnata all'uomo fiammifero e questo mi condusse via. Non sapevo cosa sentire. Paura? Preoccupazione? Ansia? Ero già stata accompagnata altrove e non mi era successo nulla di brutto. Ma quello era prima delle cantine.
"Vittoria de Beauvilliers, no?" La voce roca dell'uomo ruppe il silenzio. Inclinai la testa, confusa. "Siete la figlia di Charles-Henri de Beauvilliers?" Il suono del nome di Padre arpionò il mio stomaco. Annuii.
"Lo sapevo," gongolò, mentre mi spingeva giù per una ripida rampa di scale. "Charles e io abbiamo studiato assieme al Collège Royal Militaire de Bellefontaine. Bei tempi. E che uomo! Diteglielo, quando lo sentirete, e portategli i miei saluti. Capirà chi sono." Mi voltai per guardarlo, perplessa, ma lui non mi degnò di uno sguardo. Come avrei potuto parlare con Padre, da lì dentro? Ci ritrovammo in un atrio pieno zeppo di arazzi e bandiere reali, tutto era così dorato e purpureo, un contrasto quasi inquietante con il solito grigiore del castello. Lui continuò: "In ogni caso, peccato per… beh, lo sapete, per questo." Mi assestò un paio di pacche compassionevoli sulla spalla.
"Ah, ma per fortuna, mademoiselle, il progresso non si ferma! C'è una cura per tutto." Una cura. Quella parola immobilizzò le mie gambe e fu in quel momento che iniziai ad avere davvero paura. Paura come non l'avevo mai sentita. Prima avevo conosciuto la rabbia, la frustrazione, l'umiliazione, ma non il terrore vero. Stavano per curarmi. Stavano per fare qualcosa con il mio sangue. Con la mia resina. Era arrivato il mio momento, come aveva predetto Margot, e io volevo solo scappare. Dovevo, scappare.
"Che succede?" l'uomo fiammifero mi squadrò confuso, provò a spingermi in avanti, ma non mi mossi. "Avanti, forza." La sua voce da rapace perse qualsiasi sfumatura vagamente amichevole, spinse ancora. E io non mi mossi. Riprovò, arretrai di qualche passo, come un mulo incaponito.
"Oh, palsambleu! Quante storie," la sua mano trovò il mio polso rotto e lo strinse forte. Neanche il colletto riuscì a trattenere il mio grido. "È solo peggio se vi agitate. Ora, muovetevi." Scattò in avanti, senza lasciare il polso, e io non potei fare altro che seguirlo. Mi trascinò lungo una sequenza labirintica di corridoi e scale, ma dopo qualche minuto l'ambiente attorno a noi divenne stranamente familiare. Dove avevo già visto quei brutti quadri d'epoca? E quelle sculture di ferro? Il mio sguardo finì sulla statuetta equestre più pacchiana che io avessi mai visto - un furioso equino tutto muscoli e testicoli con in groppa una rappresentazione grottescamente eroica di François-Gabriel IV de Rochemont, noto poltrone - e tutto fu chiaro. Eravamo vicini all'ingresso dei giardini, da un momento all'altro sarebbero spuntati i due grossi cavalli di pietra. Ed eccoli lì, infatti. Sentii il mio sangue tornare a scorrere a una velocità normale e il mio cuore smettere di schiantarsi contro il petto. Forse mi ero sbagliata, dopo tutto. Forse non mi avrebbero curata, magari le Due Dame volevano solo parlare di nuovo con me.
"Avanti." L'uomo non accennava a fermarsi, però. Passammo di fronte all'ingresso dei giardini e lo oltrepassammo. Mentre una nuova colata gelida di agitazione scendeva su di me, gettai un'occhiata di sfuggita verso i giardini e quello che intravidi mi aggrovigliò gli intestini. Il verde era sparito. Non c'era neanche più un albero, nemmeno un cespuglio o un filo d'erba. Dov'erano le meraviglie che Alta mi aveva mostrato? Solo una coltre di foschia grigiastra si aggirava oltre le statue. L'uomo fiammifero non si girò neanche, proseguì la sua marcia fino a un altro corridoio adiacente e si fermò davanti a un muro di pietra chiara. Solo quando allungò la mano verso una scanalatura laterale e iniziò a fare forza capii che quella era in realtà una lastra a scomparsa. Una zaffata chimica e ferrosa mi invase le narici e mi fece quasi lacrimare da dietro la maschera.
"Da brava, ora," l'uomo riprese a spingermi. "Non ti ho fatto poi così male, non è vero? Scommetto che quel bel polso tornerà come nuovo in un batter d'occhio." Le sue parole si erano velate di apprensione. Di fronte a noi, una lunga galleria illuminata generosamente da una fila di appliques a olio. Quel posto era diverso dal resto del Collegio, più pulito, privo di qualsiasi genere di orpello, luminoso, anche se quell'eccesso di luce era più inquietante che di conforto. Mi ricordò l'ingresso dell'Hôpital de la Charité; c'ero stata quando la cuginetta Clotilde era stata ricoverata per rougeole. Pure l'odore era simile: tanfo di sciroppi e medicinali. Andando avanti, mi accorsi che il corridoio era come una spina dorsale connessa a infinite vertebre. Ai lati si affacciavano decine e decine di porte bianche — erano di un legno così lavorato e sfibrato che non percepii alcuna vibrazione da esse —, alcune erano serrate, altre socchiuse, poche erano aperte e da quelle uscivano folate di odori intensi e rumori di varia natura. Borbottii, risate, discorsi concitati, tonfi, clangori metallici, gemiti.
Di tanto in tanto, incrociavamo altri uomini vestiti di bianco proprio come il mio accompagnatore. Salutavano l'uomo fiammifero con un cortese cenno e mi guardavano con minimo interesse. Stavo per domandarmi se avremmo camminato lungo quel corridoio fino alla fine dei tempi quando lo studioso si fermò, bussò a una delle porte e la aprì senza aspettare risposta.
"In leggero ritardo sulla tabella di controllo," un tipetto più basso di me di una testa intera ci si piantò davanti. Era vestito come gli altri studiosi, ma sembrava davvero troppo giovane.
"Quelli alle docce dormono in piedi," l'uomo fiammifero si difese, "e ha fatto un po' di capricci."
Il dottorino si strinse nelle spalle e appuntò qualcosa sul quaderno bianco che teneva in mano. Poi spostò lo sguardo sulla mano del collega, ancora stretta attorno al mio polso. Aggrottò le sopracciglia. "Perché non va a occuparsi delle sacche?" Il tipetto proposte con voce mielosa. "Ci penso io, qui."
"Mi avevano detto che avrei supervisionato l'esame, e—"
"Monsieur Durand." Il dottorino lo interruppe senza troppe cerimonie, ma senza scomporsi. "Sarei più tranquillo se revisionasse quei prelievi, davvero. Mi farebbe piacere avere la sua preziosa opinione in merito, posso occuparmi io di questa sessione."
L'uomo fiammifero tentennò, indispettito, ma poi espirò sconfitto. "Molto bene," sibilò e lasciò andare la mia mano. "Mademoiselle, ricordatevi di portare i miei saluti a vostro padre." Abbozzò un sorrisetto, indietreggiò e richiuse la porta. Il dottorino tese le labbra in una smorfia criptica — non mi era chiaro se stesse cercando di mostrarmi complicità — e tornò a leggere il suo quaderno.
"Vittoria de Beauvilliers," disse e non era una domanda. "Prima volta qui, arrivata da sessantasette giorni, un lasso di tempo solitamente ritenuto prematuro per questo genere di controlli, ma il direttivo ha insistito. Insiste da un pezzo, per dovere di cronaca."
Parlava a me o a se stesso? Cambiava poco, annotai solo un'informazione: ero al Collegio da più di due mesi. L'estate, fuori dalle mura, era finita da un pezzo e stava arrivando l'autunno, il periodo dell'anno in cui il legno era più riflessivo e malinconico.
"I registri parlano di una frattura accidentale al polso destro che ha rallentato il processo, ma…" fece di nuovo quella smorfia incomprensibile. "… eccovi qui. Prego, venite."
Mi diede le spalle e fu solo allora che mi resi conto di trovarmi in una palestra. Almeno, quella fu l'impressione che mi feci, da dietro le fessure. Si trattava di uno stanzone ampio, chiaro, lucido e ben illuminato; a ridosso delle pareti e al centro si trovavano degli attrezzi ginnici: un cavallo imbottito, barre parallele, una corda appesa al soffitto e delle assi d'equilibrio.
Il fondo della stanza era occupato da un paio di tavoli, lettini medici e alcuni armadietti. "È davvero molto semplice," il tipetto si posizionò al centro dello stanzone. "Faremo una valutazione del fisico, poi del benessere e infine controlleremo la vostra energia."
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frammenti--di--cuore · 4 months ago
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penso sia ingiusto far scontare agli altri le conseguenze della tua impulsività. Io quelle conseguenze le vivo da anni sulla pelle, costantemente, senza poter fare niente per difendermi. Ogni mio giorno importante è stato rovinato dall'incapacità di chi mi circonda di guardare in faccia i bisogni degli altri, tutti hanno sempre e solo pensato a loro stessi, senza pensare un minimo a me. Oggi, per l'ennesima volta, mi ritrovo a piangere in un giorno che doveva essere solo bello...e lo faccio ogni volta, succede in ogni giorno speciale. Ho un trauma, ho paura della felicità perché arriva sempre sporcata dalla sfortuna e dal dolore. E tu devi sempre reagire con un sorriso, anche se quello che ti succede è ingiusto, tu devi sempre fare finta che ti vada bene così. No, non mi va bene così. Sono stanca di dovermi accontentare sempre. Oggi basta, non voglio più sentire nessuno, non voglio più ascoltare il trauma di nessuno, i motivi di nessuno...ascolto solo i miei di motivi adesso. Voglio solo guarire, senza fare del male a nessuno mentre lo faccio a differenza di chi usa le sue ferite per ferire gli altri. Se significa restare sola, io resto sola, perché ho il cuore che fatica a respirare adesso e voglio solo aria.
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smokingago · 2 years ago
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Sapere che c'è qualcuno da qualche parte, dal quale ti senti compreso, malgrado le distanze o i pensieri inespressi, fa di questa terra un giardino. Amica mia, accanto a te non ho nulla di cui scusarmi, nulla da cui difendermi, nulla da dimostrare: con te trovo la pace.
Antoine Marie Roger de Saint-Exupery
🍀
#smokingago
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