#poi sono tornata alla casa in montagna e fine
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machiavelli · 14 days ago
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just had 9 splendid hours of sleep. I am winning
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allecram-me · 3 years ago
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Just some Joseph looking for a manger
Alla fine il problema è che mi rendo conto pure io che il problema è meno mio di quello che sembra. Cassandra che combatte contro i mulini a vento, e poi muore male.
Un po’ come rispondere alle improvvise sollecitazioni di mia madre che non mangio da quasi due giorni e che stanotte non mi sono mai messa a letto, eppure sono tornata a lavorare e, come sempre, ho tutto dolorosamente sotto controllo. Ma soprattutto come lei che dice di volermi aiutare e, scontratasi con il mio inaspettato non per me, grazie, passa per di qui portando solo scompiglio, un vero e proprio vortice in cui non ho la disponibilità di cadere. Come i vestiti di mio padre nella casa di montagna, e cento altre urgenze da usare come ombrelli per la sua personalissima pioggia interiore. Ha il mio rispetto, ma fa troppo caldo ed io non vedo l’ora di riuscirmi a bagnare. Quindi, la camera d’eco che riesce a procurarsi mi lascia semplicemente assordata, ma io non vibro e se ne potrebbe accorgere facilmente. Il fatto: abbiamo frequenze assurdamente incompatibili, il nostro concerto è un violino scordato che duetta col martello pneumatico degli operai del palazzo di fronte.
Se ne va dopo che ho offerto a lei ed al suo eco una tazzina di caffè troppo amaro per i loro gusti, non prima di aver cercato di spazzarmi il pavimento in un gesto che apprezzerei tantissimo, se solo riuscisse ad armonizzarlo in qualche modo. Lo apprezzo comunque, ma quando se ne va via mi accorgo che purtroppo mi ha lasciata in un caos peggiore di prima ed in compagnia della mia peggiore inquietudine, quella dispotica voce straniera che, dormiente, non aspettava altro che accordarsi con la sua per riemergere. Lo so che ha bisogno di me almeno quanto io ho bisogno di lei, ma, se non pianto a terra io i piedi, è sicuro che ci troveremo subito a cadere. Il peggio: lo sa anche lei.
And then sweeping up the jokers that he left behind you find he did not leave you very much, not even laughter. Like any dealer he was watching for the card that is so high and wild he'll never need to deal another.
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intotheclash · 4 years ago
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"Ecco Bomba!” Annunciò Sergetto, indicando una figura massiccia che proveniva ciondolando dal corso. Non aveva un bell'aspetto, almeno da lontano. Sembrava stanco, o triste, o incazzato, o tutte e tre le cose insieme. Camminava curvo, con lo sguardo a terra e le mani insaccate per bene nelle tasche dei pantaloni. Non era uno spettacolo che trasmettesse proprio allegria. “Che ti succede, Bomba? hai una faccia!” Chiesi. “Mi girano i coglioni!” “Allora non è un gran danno. Con quelle palline piccole che ti ritrovi, nemmeno dovresti farci caso.” Lo punzecchiò Tonino. Bomba non lo degnò di una risposta, neanche di uno sguardo. La situazione doveva essere grave. Si sedette pesantemente sugli scalini e si prese il viso tra le mani, sprofondando in pensieri che sembravano belli pesanti. Era il momento di farci sentire. Di dimostrargli che il branco era con lui e che non l'avrebbe lasciato solo. Di qualsiasi cosa si trattasse. “Cosa c’è che non va, amico?” Chiesi di nuovo. “Niente va!” rispose rabbioso, “Ieri sera sono tornato a casa mezzo morto dalla fatica. Mezzo morto, ma felice. Sapevo che stavo facendo la cosa giusta. Che stavamo facendo la cosa giusta. Ero fiero di me stesso come non lo sono mai stato e volevo che anche mia madre lo sapesse. Volevo che, in qualche modo, anche lei fosse fiera di me. Di me e di voi, amici miei. Sono entrato in casa e lei era lì, è sempre lì, tutto il santo giorno!” “Lì dove?” Domandò il Tasso per tutti noi. Bomba si voltò a guardarlo, come se fosse la domanda più stupida del mondo, poi realizzò che noi non potevamo sapere, così ce lo spiegò: “Davanti all'altarino di mia sorella, quella che è morta. Ci passa quasi tutta la giornata, sembra sia l'unica cosa che le interessi. E ci parla pure! Parla più con lei che con me. Anzi, con me, evita proprio di parlare, quasi fossi io il morto!” Iniziò a singhiozzare, il pianto stava prendendo il sopravvento, ma non aveva ancora finito di parlare. C'era altra merda da far venire a galla. “l'ho salutata, ho provato a dirle qualcosa, ma, non appena ho aperto bocca, lei mi ha fissato con aria di rimprovero e mi ha fatto segno di tacere. É tornata a parlare con la mia sorellina, le sorrideva anche. In quel momento, incazzato com'ero, sono stato quasi contento che fosse morta. Poi però mi è subito dispiaciuto e mi è venuto da piangere.” “Lo dico sempre che tua madre è una stronza!” disse soddisfatto il Tasso. “Piantala, coglione!” Lo rimproverai cattivo. “No, no, lascialo stare, Pietro, forse ha ragione lui. Poi non ho finito.” Tirò fuori dalla tasca uno di quei fazzoletti di stoffa che, ora, non esistono più, perché estinti a causa di quelli di carta, si asciugò, alla meglio, le lacrime, si soffiò rumorosamente il naso e proseguì:“ Visto che non mi cagava, me ne sono andato in cucina e mi sono preparato un bel panino. mi era venuta una fame della Madonna.” “Cazzo, Bomba, quando ti hanno fabbricato, si sono dimenticati di farti il fondo!” Lo rimproverò Sergetto. “Ma come avevi fame? A casa del Maremmano, se non scappavano, ti mangiavi anche i suoi genitori!” rincarò la dose il Tasso. “Avevo fame e basta! Non mi va di discutere, ora! Avevo appena dato il primo morso che entra in cucina quella testa di cazzo di mio padre. Ogni volta che ti vedo, stai con qualcosa in bocca! Guardati come sei diventato, sei grasso come un maiale. E sei pure sporco e sudato come un maiale, si può sapere dove sei stato? Mi ha detto, con aria schifata. Io non ci volli far caso, nonostante tutto, ero ancora troppo contento per come era andata la giornata. Avevo ancora voglia di raccontare e lo feci, ora so che non è stata una buona idea. Lui si versò un bicchiere di vino e ascoltò tutto, senza fiatare…” “Un bicchiere di vino? Un altro?” Commentò Schizzo. Lo fulminai con gli occhi, avevo proprio voglia di dargli una bella strigliata, sapevamo tutti come stavano le cose, non dovevamo, per questo, sbattergliele in faccia. Era da stronzi. Fui stoppato da Bomba stesso, che mi aveva capito al volo. “Lascia stare, Pietro, Schizzo ha ragione. Sono stanco di far finta di niente e non ho più voglia di difenderlo. Non si merita niente! Ha ascoltato per intero e, quando ebbi finito di parlare, mi ha guardato con compassione e disprezzo. Si è acceso un sigaro e mi ha detto: siamo sicuri che sei figlio mio?” “Ma che bastardo!” mi scappò detto. Me ne pentii subito, in fondo, era sempre suo padre. Bomba non se la prese affatto, mi sorrise, mi cinse le spalle con uno dei suoi enormi braccioni e confermò: “Proprio così: un vero bastardo! Ha anche aggiunto che avrei fatto meglio a starmene zitto, perché solo un idiota come me poteva essere felice di lavorare senza essere pagato. Come me e come voi. Ha concluso dicendo che sarebbe andato a cercare il padre del Maremmano e gliene avrebbe dette quattro a quello sfruttatore di ragazzini.” Aveva ripreso a piangere. Ormai aveva rotto gli argini e, tra le lacrime, arrivava a valle anche una montagna di rabbia repressa. “E tu cosa hai detto?” Chiese Sergetto. “Mi sono incazzato come un lupo! Ero triste, ero deluso, ero impaurito, piangevo anche, ma soprattutto ero incazzato nero! Gli ho urlato che non aveva alcun motivo per trattarmi così e che ci sarei tornato pure oggi. Che nessuno me lo avrebbe potuto impedire. Al che lui mi si è fatto sotto e mi ha mollato una sberla in faccia, dicendomi che io potevo fare solo quello che decideva lui. E lui aveva deciso che non sarei più tornato dal Maremmano, altrimenti sarebbero stati cazzi miei. E anche vostri, visto che mi ci avevate trascinato voi.” “E tu cosa gli hai risposto?” “Niente, non me ne ha dato il tempo. Fatta la sua predica se ne è andato, convinto di aver sistemato le cose.” “Quindi non puoi venire?” “Certo che vengo! E’ questa la mia risposta! Che se ne vada affanculo, lui e i suoi ordini!” Concluse, alzandosi in piedi, determinato come non l'avevamo mai visto prima. Lo abbracciammo tutti, complimentandoci con lui e ripetendogli che era un grande. Stavamo trasformando il senso di impotenza e la rabbia in festa, come solo i ragazzini sanno fare. Fu proprio abbracciati, che ci trovarono il Maremmano e suo fratello quando arrivarono inattesi. “Possiamo unirci anche noi?” Disse Antonio, sovrastando il nostro vociare scomposto. Ci bloccammo all'istante, la nostra attenzione, ora, era tutta per i nuovi arrivati. Non ricordo se fossimo più stupiti, o più felici di vederli. “Cosa stavate festeggiando?” “Non stavamo festeggiando, stavamo consolando Bomba.” Rispose Schizzo. “Consolando? Per cosa?” “Perché suo padre è un pezzo di merda.” Schizzo si guardò in giro con fare distratto, si guardò a lungo le mani, poi aggiunse: “ Anche se, pure il mio, non scherza!” Antonio rimase perplesso, logico, non poteva capire. Mica lo sapeva come stavano le cose, così esortai Bomba a raccontare tutto anche a loro; dovevano sapere, c'entravano anche loro. In principio fece resistenza, non voleva starci, si vergognava, aveva paura che si arrabbiassero, o, peggio ancora, che si offendessero. Insistemmo e, alla fine, cedette, si decise a spifferare tutto. Alla fine del riepilogo, Antonio abbozzò un lieve sorriso, anche se, a me, sembrò triste e amareggiato; e aveva tutte le ragioni per esserlo. Abbracciò Bomba, probabilmente facendo attenzione a non stritolarlo, e disse: “Su, caccia via quelle lacrime, amico mio, non dare troppo peso a questa faccenda. Forse tuo padre era stanco, o già arrabbiato per motivi suoi e non ha capito. Io sarei stato fiero di te! Io sono fiero di tutti voi. E sono convinto che il mio fratellino non avrebbe potuto trovare amici migliori.” “Grazie, Antonio, io solo questo volevo. nient'altro. Non c'era neanche bisogno che dicesse qualcosa, figurarsi se mi aspettassi un complimento, o una parola buona..da mio padre. Mi sarei accontentato di una faccia soddisfatta. Una faccia che mi avesse fatto capire che… insomma, che ero stato bravo. Tutto qui. Sono sicuro che i loro padri, quella faccia, l'hanno fatta.” Concluse, indicandoci con il mento. Ci fu un momento di imbarazzo, chi per un motivo, chi per un altro, non avevamo tanta voglia di rispondere; ma ci aveva chiamati direttamente in causa, non potevamo sottrarci. “In effetti, mio padre, mi ha abbracciato e mi ha detto che ero stato in gamba.” Disse sottovoce Tonino, non voleva ferire ulteriormente Bomba, il confronto tra i loro genitori era improponibile. “Il mio, per la prima volta da quando mi ricordo, ha detto che era orgoglioso di me. E di voi. mi dispiace, Bomba.” Sussurrai, quasi a scusarmi del privilegio. “Non devi dispiacerti, Pietro, tuo padre è uno in gamba. Anche tu devi essere orgoglioso di lui.” Rispose, ma si vedeva bene che era ancora triste. “Io con il mio non ci parlo mai. non ho detto niente, tanto sarebbe stato come parlare al vento.” Confessò Sergetto. E lo fece col tono di chi dice qualcosa di scontato, qualcosa che, in fin dei conti, non lo riguarda più di tanto. Il tono del Tasso, invece, viaggiava a metà tra l'esagerato ed il divertito, quando disse: “Adesso ti tiro su io il morale, Bomba! Ieri sera, anch'io, come tutti voi, ero felice e non vedevo l'ora di tornare a casa per raccontarlo a qualcuno. Raccontare di quanto ero stato bravo. Sono entrato di corsa in cucina, ma mia madre non c'era, c'era solo mio padre, stravaccato sulla poltrona, davanti al televisore. Beh, meglio di niente, ho pensato e gli ho detto: papà, lo sai dove sono stato oggi? E lui, senza neanche guardarmi: no! E non lo voglio sapere! Ora togliti dai coglioni, che devo guardare il telefilm! Che dici, Bomba? Si fa a cambio? Mio padre in cambio del tuo, ci stai?” La spontanea e travolgente risata di Bomba fu la più bella delle risposte. Era rimasto solo Schizzo. Era naturale che rivolgessimo la nostra attenzione verso di lui. Schizzo ci guardò ad uno ad uno, poi chiese a bruciapelo: “ E allora? Che cazzo volete da me, adesso?” Inutile dire che ridemmo di nuovo. Tutti, anche il Maremmano e Antonio, che doveva aver iniziato a capire come era fatto quello strano essere. “Su, dicci di tuo padre. Che ti ha detto?” Lo incalzò Tonino. Schizzo fece un salto improvviso e andò a nascondersi dietro l'albero più vicino. Si guardò furtivamente intorno poi chiese a bassa voce: “Dove sta mio padre? Dove l'avete visto? Non posso farmi vedere insieme a voi. Dice che non ci state tanto con la testa e che, se continuo a frequentarvi, va a finire che divento scemo pure io!” “Allora vieni qua, idiota, che il danno già è stato fatto!” Gli gridò contro il Tasso. “E sembra pure irreparabile!” Aggiunse Tonino. Antonio se la rideva come fosse uno di noi e dava certe manate sulla pietra della fontana che sembrava volesse ucciderla. D'un tratto si fece serio, ci chiamò a raccolta, aspettò che rientrassimo nei ranghi e ci parlò. “Ho delle cose da dirvi, ragazzi. Il nostro vecchio è rimasto molto impressionato dal vostro gesto. Avete fatto centro. Era davvero commosso e ha deciso di togliere, a Pietro, la punizione. Avete saldato il debito. Non solo, visto che avete lavorato sodo, ha anche deciso che meritate di essere pagati. La paga di un giorno  di lavoro nei campi.” Mise una mano nella tasca posteriore dei pantaloni, tirò fuori il portafoglio e ne estrasse un mazzetto di banconote da mille. “Ecco, lui dice che duemila a testa dovrebbero andare bene. altrimenti non vi resta che rivolgervi ai sindacati.” Cazzo, duemila lire? Ciascuno? erano una fortuna! Nessuno di noi aveva mai posseduto quella cifra tutta insieme. A Natale, forse, sommando le mance. Mance che, regolarmente, ci passavano sotto gli occhi e messe via subito dopo dai nostri genitori, per quando ci sarebbero serviti, dicevano. Pure se, a noi, sicuro, sarebbero serviti immediatamente. Restammo a bocca spalancata ed occhi sgranati per un bel po’, offrendo un inaspettato, forse anche gradito, ricovero a tutti gli insetti di passaggio in quel momento. Il primo a riaversi dalla sorpresa fu il Tasso, che si avvicinò ancor di più ad Antonio e disse:“ Fammi capire bene, gigante, tuo padre ti ha dato quei soldi per noi?” “Esattamente, mio giovane amico.” “Duemila lire a testa per quella stronzata di lavoro?” “Questo è ciò che ha stabilito il grande capo bianco. Se vi sembra poco prendetevela con lui, non con me. Io non c'entro, ho solo fatto una commissione.” “Prendermela con te? Ma tu: ti sei mai guardato allo specchio?  Cazzo, sarò stupido, ma non fino a questo punto! Non ti direi niente neanche se uccidessi mio padre. Anzi, pur di non farti arrabbiare, ti farei anche i nomi di tutti i miei parenti. Anche i loro indirizzi ti darei! Volevo soltanto dire che, se il tuo vecchio paga così bene, abbandono subito la scuola e vengo a lavorare da voi. Tanto più che la scuola mi fa cagare.” E sembrava che stesse valutando sul serio la possibilità. Antonio si inginocchiò, gli lisciò la testa quadrata e gli disse calmo: “Forse è meglio che continui la scuola, giovanotto, per lavorare c'è sempre tempo. Devi studiare e mettici impegno, così, da grande, non ti farai fregare da quelli che hanno studiato. Ora avvicinatevi tutti, ho da darvi quello che vi spetta. Su, non fatevi pregare!” Certo che non ci facemmo pregare, in mezzo secondo eravamo appiccicati ad Antonio, pronti a ricevere la nostra, inaspettata parte. ci strinse la mano, uno per uno, e ci diede le duemila lire pattuite. L'ultimo era Bomba, quando toccò a lui, il gigante lo fissò, si alzò in piedi, rimise in tasca i soldi e:“A te niente.” Disse. Bomba fece una faccia che… che erano cento facce insieme, con la sorpresa che dominava su tutte le altre. Anche noi eravamo stupiti non poco, come? A Bomba niente? Antonio ci lasciò in sospeso per qualche istante, godendosi le nostre facce smarrite, poi prese il nostro amico per mano e gli parlò. “Andiamo, anche tu, chiaramente, come gli altri, ti sei meritato la tua parte, ma voglio dartela davanti a tuo padre, che sappia anche lui quanto sei stato in gamba.” Fece per muoversi, ma si bloccò subito dopo. si guardò in giro con aria smarrita e domandò: “ Dove lo troviamo tuo padre? Dov'è che lavora?” “Lavorare? Il padre di Bomba? Cazzo, Antonio, questa si che fa ridere di battuta!”  lo prese in giro il Tasso. “Piantala, coglione!” Ruggì Bomba, recuperando, vai a capire da dove, un pizzico di amore filiale. “Visto che ti piace fare lo stronzo, perché non ci dici dove lavora il tuo di padre?” Il Tasso non rispose subito, si grattò la testa, poi il mento, poi le orecchie, con tutte due le mani, voleva farci credere che ci stesse pensando su, ma, a noi, sembrò soltanto che avesse la rogna. Il Tasso che pensava, chi mai ci avrebbe creduto! “Un po’ qui e un po’ là.” rispose, “Ma la maggior parte del tempo la passa con tuo padre. Diciamo pure che sono colleghi!” “E dove li posso trovare?” Insistette Antonio. “Al loro cantiere preferito. Al Bar di Piazza. Tressette e vino bianco, si fanno certe sudate!” “Bene, allora andiamo dal tuo genitore, giovanotto. Sistemiamo questa faccenda.” Disse ancora il gigante, avviandosi e tenendo sempre Bomba per mano, che sembrava un filo imbarazzato. “Possiamo venire anche noi?” Chiese Schizzo con una vocetta supplicante. “Grazie dell'aiuto, ma non è necessario. Possiamo farcela anche da soli.” “Eccome se è necessario!” si intromise di nuovo il Tasso, “Casomai tu, per spiegargli bene le cose, fossi costretto a suonargliele, io voglio esserci!” “Ma io non devo picchiare nessuno. Voglio soltanto far capire al papà di questo ometto che figlio in gamba che ha.” “Si, ma ammettiamo che proprio sia duro, che proprio non voglia capire e tu debba aiutarti con qualche sganassone, io devo esserci, non ci sono santi! Devo perché, almeno, potrei indicarti  anche mio padre, vorrei che spiegassi la stessa cosa anche a lui. E con lo stesso metodo!” “Bene, mi arrendo, non posso farcela contro di voi.  Ma avete la mia parola che non ci saranno violenze. Non servono. Tra persone civili, bastano le parole.” E ci fece segno di seguirlo. Certo, facile per uno come lui, pensai, chi era quel matto che avrebbe voluto farci a pugni? Meglio parlarci, perdio! Molto meglio! Come previsto, li trovammo al bar, a giocare a carte. C'erano sia il padre di Bomba, che quello del Tasso, più altri due anziani che conoscevamo solo di vista. Purtroppo Antonio aveva ragione: niente violenza. niente cazzottoni, o tavoli sfasciati in testa, come nei film di Bud Spencer. Bastò la sua ingombrante presenza a far si che si cagassero sotto; tutti e quattro. Non potevo certo dar loro torto. Il gigante si presentò, strinse loro le mani e, credo, esagerò un po’, vista la faccia sofferente che fecero. Ci venne da ridere, ma ce ne guardammo bene dal farlo. Una volta ottenuta l'attenzione, si piazzò di fronte a quel fifone tremolante del padre di Bomba, elogiò a lungo il nostro amico e lo ringraziò pubblicamente, il messaggio era chiaro: chi lo toccava avrebbe dovuto, necessariamente, fare i conti anche con lui. Alla fine, a scanso di equivoci, pretese di pagarlo. Lì, di fronte a tutti. Non ci furono obiezioni. Salutò cordialmente, offrì un giro di bevute ai presenti e uscì con molta calma dal locale. Noi dietro, come fedeli cagnolini, scodinzolando festosi e al sicuro. “Certo, Bomba, che tuo padre ha fatto una gran bella figura di merda!” Sibilò, felice, il Tasso. “Perché il tuo, invece, che figura ha fatto?” “Di merda! Anche il mio! Ma, a me, fa più ridere quella che ha fatto tuo padre!"
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paoloxl · 6 years ago
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(via Verso il 23M a Roma. La discarica globale – anarres-info)
Il cambiamento climatico e le conseguenze devastanti che ne derivano sono oggi saperi condivisi. Un tempo se ne occupavano solo gli esperti e gli attivisti ambientali, oggi investono in modo diretto le vite di tutti. Le conseguenze del cambiamento climatico e della mancata tutela del territorio fanno morti e feriti a ogni temporale, ad ogni mareggiata, ad ogni incendio. Cementificazione, deforestazione, inquinamento dell’aria e dell’acqua producono devastazioni su scala globale. Le chiamano “catastrofi naturali”, ma la loro origine è umana, sin troppo umana, ma non colpiscono tutti allo stesso modo. Un capitalismo cieco e sordo ci conduce diritto sino alla catastrofe. Chi governa e chi lucra sulle vite altrui ha uno sguardo ancorato al presente, con una progettualità che si limita ad una proiezione elettorale o ad un’indagine stagionale di marketing. Le questioni ambientali sono affrontate con interesse solo se possono essere fonte di business. La Green Economy è un lusso messo a disposizione di chi può e vuole pagare per alimenti più sani, acqua pulita, oasi privilegiate. Il prezzo del cambiamento climatico e dell’abbandono dei territori viene pagato soprattutto dai più poveri. I profughi climatici, quelli che fuggono da intere aree del pianeta, dove l’avanzare della desertificazione chiude ogni possibilità di sopravvivenza, sono in costante aumento. Non importa quanti muri verranno eretti, quanti militari armati saranno messi a guardia dei confini, quante vite verranno inghiottite dai deserti, dai mari, dalle montagne. Ci sarà sempre qualcuno che si metterà in viaggio. Quando la casa brucia si tenta il tutto per tutto. Oggi sta bruciando la casa di tutti, sta entrando in ebollizione il pianeta. Un pianeta dove miliardi di esseri umani vivono nelle discariche, sulle discariche, con le discariche. La montagna di rifiuti è l’emblema del nostro tempo, il monumento ad un’idea di progresso che ha ingoiato milioni di vite. Nel 2015 a Parigi tutti i “capi di governo” si fecero un selfie alla conferenza sul clima: serviva una spruzzata di verde sui loro curricola pubblici, ma poi, dopo tante chiacchiere, tutto restò come prima: la COP 21 fu un fallimento. L’emergere di istanze sovraniste e populiste a livello planetario ha innescato, anche su questo terreno, una chiusura identitaria, che rende impensabili persino misure palliative. Il presidente degli Stati Uniti, il paese che maggiormente ha contribuito e far franare la COP 21, ha costruito la propria immagine sul rigetto della dimensione universalista tipica della governance mondiale, facendosi paladino degli americani “rovinati dalla globalizzazione”, la gente della Rust Belt che sogna la vecchia Detroit come i melanesiani sognavano i loro Cargo della salvezza pieni di divinità. Poco importa che lo stesso Trump sia un Paperone come tanti, una via di mezzo tra Donald Duck e Silvio Berlusconi. Quello che importa è l’immaginario che rappresenta. Un immaginario che relega le questioni climatiche tra i passatempi dei ricchi sinistri, indifferenti alle sorti dei bianchi impoveriti e spaventati degli Stati Uniti. Una storia, che nella sua diversa declinazione peninsulare, conosciamo sin troppo bene. La persistenza del mito del progresso e della velocità, come motore dello sviluppo, del benessere e del saldo ancoraggio al treno del primo mondo, ci narra di una classe politica ed imprenditoriale che prova a vendere l’impossibile. L’impossibile ancoraggio tra i luoghi di produzione della ricchezza e la sua distribuzione territoriale. Impossibile perché i tempi delle fabbriche pesanti, che ridisegnavano intorno a se il territorio sono tramontati e non torneranno. Va da se che non è certo il caso di rimpiangerli. I miti del Novecento sono tuttavia la leva su cui spinge una media borghesia che teme per il proprio futuro come classe e prova ad ancorarsi all’illusione del progresso che consegna doni e sicurezza all’imprenditoria operosa e ai suoi intellettuali, professionisti, professori, giornalisti. Il loro partito di riferimento è il PD, il cui nuovo segretario ha inaugurato il proprio mandato a Torino, in nome del Tav e del progresso. Nel nostro paese dove la precarietà del lavoro e della vita danno fiato al vento populista, il mito del progresso si àncora di volta in volta al treno che buca le Alpi, alla pipeline che porta il gas, alle trivelle che sognano il petrolio, agli inceneritori, sino alle fabbriche di morte come l’acciaieria di Taranto. Le grandi opere inutili e devastanti sono il feticcio usato per promettere lavoro, prosperità, futuro. In passato il progresso veicolava il sogno folle che produrre di più, far girare le merci, fosse il motore del benessere. Oggi il mito del progresso è usato per arginare la paura, di chi, per effetto del capitalismo “leggero”, mobile, agile del nuovo secolo, rischia di essere relegato ai margini, di finire in una discarica sociale, la cui unica eloquenza è quella di muri, manganelli e polizia. Molti sono già sul margine del foglio: precari a vita, partite IVA, i laureati nati in periferia senza prospettive ma pieni di risentimento per le promesse mancate, per la mobilità sociale che non c’è, sono il cuore dell’elettorato leghista e pentastellato.
La trama è sottile e mostra l’ordito che la sottende. In questi anni si sono moltiplicati i movimenti di lotta contro un’idea di progresso che sta mettendo a repentaglio la vita degli umani, degli altri animali, delle piante. Un’idea di progresso contro cui si battono i movimenti contro il cambiamento climatico e contro le grandi opere, gli stessi che in mesi di incontri da Venaus a Roma a Napoli, hanno costruito un appuntamento nazionale a Roma, in cui confluiranno i movimenti, i gruppi e i singoli che lottano per difendere i territori dove vivono e l’intero pianeta, da una catastrofe che governi e padroni non provano neppure a rallentare. Sono movimenti che partono da questioni locali ma hanno respiro globale, perché sono consapevoli che la posta in gioco è molto alta. Il clima è solo uno dei tasselli di uno sguardo ambientalista che attraversa il pianeta. Non basteranno certo le sonde spedite su Marte ad alimentare l’illusione che vi sia una nuova frontiera da raggiungere e valicare, un nuovo orizzonte per la colonizzazione degli umani. Il cambiamento climatico prodotto dall’utilizzo indiscriminato di risorse deperibili e non rinnovabili, la folle corsa al profitto non ha un orizzonte, ma resta incardinata nell’eternità di un presente, che non ha neppure la esasperata nobiltà del cupio dissolvi, della grande abbuffata che precede la fine. Non c’è fine e non c’è limite. La logica quantitativa, del qui ed ora, è l’unico perno su cui tutto gira. Negli ultimi decenni lo sguardo ambientalista è divenuto uno cardini più robusti su cui si articola una critica radicale al capitalismo, la cui natura distruttiva porta alla catastrofe. I movimenti ambientalisti per la loro stessa natura riescono a coniugare radicalità degli obiettivi e radicamento sociale. In questi anni hanno contribuito potentemente a creare comunità di lotta, che hanno riteritorializzato il conflitto sociale, con uno sguardo ampio, intersezionale, estraneo a logiche localiste, separate dalla critica più complessiva alle relazioni sociali nelle quali simo tutti forzati a vivere. Le lotte contro il Tav, il Tap, il Muos, le trivelle, sono anche lotte contro la logica feroce del capitalismo, dello sfruttamento delle risorse e degli esseri umani. Uomini e donne che hanno assaporato il piacere dell’azione diretta, della politica come luogo di confronto e scelta fuori da ambiti gerarchici, radicata tra le persone. Un’aria di libertà. Di solidarietà con gli immigrati, con gli oppressi, con le fabbriche in lotta, con gli sfrattati, gli antifascisti. Su questa ricchezza di lotte, relazioni, spazi di libertà e autogestione il Movimento 5Stelle ha fatto un grosso bottino elettorale, assumendosi l’impegno della messa in sicurezza del territorio, dell’impiego di risorse per trasporti di prossimità, energia rinnovabile, scuole, sanità. Si sono schierati contro gli inceneritori, per il blocco del Tap, del Tav, per la chiusura dell’Ilva… Un lungo elenco di promesse non mantenute. Il ministro dei trasporti, il pentastellato Toninelli, ha chiuso i porti a profughi e migranti ma non ha bloccato né la linea ad alta velocità tra Torino e Lyon, né quella tra Genova e Tortona. Con il movimento No Tav Toninelli e soci stanno giocando al gatto con il topo: non hanno bloccato l’opera, baloccandosi sulle parole per prendere tempo ed arrivare alla prossima tornata elettorale senza perdere ulteriori consensi, contando sul fatto che settori del movimento No Tav, a Torino come in valle, hanno un rapporto molto stretto con l’amministrazione a 5Stelle del capoluogo subalpino, la cui ambiguità sul Tav è seconda solo alla violenza con cui fanno guerra ai poveri, agli anarchici, agli immigrati.
Stato e capitale, ciascuno nel proprio ambito, mirano al controllo globale, pervasivo, totalizzante delle nostre vite, messe al lavoro anche nel tempo dell’ozio e della libertà dalla schiavitù salariata. Stato e capitale sfruttano le risorse del pianeta e mercificano persino l’aria che respiriamo e l’acqua che beviamo. In questi anni gli anarchici sono sempre stati in prima fila nei movimenti di lotta, tra assemblee, presidi e barricate, nella consapevolezza che la partita che si sta giocando contro il mito del progresso, il cambiamento climatico e sull’opposizione alle lobby del cemento e del tondino, è cruciale in uno scontro sociale senza esclusione di colpi. Solo l’azione diretta, il rifiuto della delega e l’autogestione dei territori possono inceppare una macchina che macina le vite di tanti ed il futuro di tutti. Il 23 marzo al corteo che si svolgerà a Roma ci sarà uno spezzone anarchico. Partecipiamo numerosi!
Maria Matteo (quest’articolo è uscito sull’ultimo numero del settimanale anarchico Umanità Nova)
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s-memorando · 3 years ago
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Cosa rimane di un libro dopo che è stato letto, a parte la polvere che si accumula una volta riposto in una libreria? Dipende, dipende dal libro.
Ci sono libri che restano per un po’ per la bella storia che è stata raccontata, se è un saggio per le cose che abbiamo approfondito, restano per la curiosità che hanno suscitato oppure non resta niente… perché sono passati attraverso di noi come meteore, ci hanno dato momenti, sì piacevoli, ma subito dimenticati.
Sono una che si può definire una lettrice forte e tutto non posso ricordare, a volte mi capita di pensare che forse quel libro, quel romanzo l’ho letto, ma non ricordo niente o poco del contenuto… 
Quando poi si tratta di un giallo, spero sempre che la soluzione arrivi in fondo, ma proprio in fondo perché altrimenti la delusione mi prende e vorrei lasciare la lettura.
Per il caso Bramard è stato diverso, giallo, soluzione finale, non del tutto scontata, anche se avevo subdorato qualcosa… ma quello che mi è rimasto di questo libro è stata la lingua.
Una lingua espressa con una  scrittura per niente ridondante, una scrittura stringata, con dialoghi che devi rileggerli due volte per seguirli, dialoghi reali, con sottintesi, dialoghi di persone che si conoscono e che quindi non hanno bisogno di tante parole. Una scrittura concentrata, senza una parola superflua che porta diritta al punto. 
Poi all’improvviso all’interno di questa scrittura così essenziale, spuntano alcune righe di vera poesia. 
La poesia è quella forma di scrittura in cui non è necessario dire, ma far sentire.Si sente all’improvviso “l’odore di pacificata rovina”, si vede “una bellezza che richiede pazienza per essere compresa”, si ascoltano “gli addii carichi di cose taciute”.
Ci troviamo all’improvviso davanti a qualcuno che “ha i polsi che gli escono dalle maniche del giubbotto come snodi di una vecchia lampada da tecnigrafo” ed entriamo in una stanza di ospedale a “tre letti, tutti occupati da gente che non sarebbe tornata a casa”, che delicatezza in questa sola frase.
A me di questo libro è rimasta la poesia e il sottile pensiero che “sotto occhi lentissimi” fa chiedere “come può esser così leggero il male?”
Il male in una trama gialla, è dentro la storia, non ci sarebbe storia senza delitto, senza il male che scava la mente, che ha lo stesso effetto della goccia che scava la pietra.
E questa trama ha il male dentro, un male che si porta dietro come un peso dentro uno zaino da montagna. 
Ma alla fine si arriva alla vetta, non senza essersi sbucciato, o ferito, toccato nel corpo e nella mente, barcamenato tra dolori e sentimenti, che lasciano il lettore pronto per un nuovo capitolo. Perché deve esserci un nuovo capitolo a questa storia di morte e di rinascita, anzi di resurrezione. 
Per leggere il “Caso Bramard”, se vi ho incuriosito, cliccate qui.
(Avviso: Se volete comperare il libro potete farlo direttamente dal link Amazon consigliato, in questo caso io avrò una piccola percentuale sulla vendita. Il prezzo per voi non varierà)
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iwasjustanemokid · 4 years ago
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Date Disasters #2
Non solo i ragazzi possono lasciarsi trasportare dagli impulsi. Spesso l’uomo dimentica di essere fatto di carne, ossa e sangue. Proprio il sanguigno desiderio di piacere ha portato Bea, una giovane studentessa di fotografia, ad essere presa di mira da Elder. Nei corridoi dell’università si salutano appena, fin quando Bea non fa timidamente un complimento ad Elder per i suoi lavori. Li ammira, ne rimane affascinata. Non nota l’imbarazzo del suo compagno di studi più grande. In quel preciso istante, lui spalanca gli occhi come mai prima. Rimane inebriato dai capelli mossi di Bea, dal suo collo sottile, dalla sua vita stretta; eppure non si parlano più per mesi. Elder però inizia a pensare continuamente a lei. La sua compagna non riesce a soddisfarlo, lo annoia. Lui ha una ragazza, con cui convive da anni. La sua compagna non riesce a dirgli di no, lo adora, farebbe di tutto per lei: è questo che non gli piace; è un uomo dominante, ma che gusto c’è nel tenere per il collo qualcuno che non cerca di liberarsi. Così lui spera ogni giorno in un’occasione per ritornare a parlarci. Non riesce a socializzare con gli altri compagni di università, né con i professori. La sua diventa un’ossessione. Finalmente gli studenti organizzano una cena. Si siedono allo stesso tavolo. Sono uno di fronte all’altro. Bea così coglie l’intenzione di Elder. Per un attimo, rimangono entrambi a guardarsi, circondati da un silenzioso e gelido buio. Le voci dei compagni che parlano di fotografia svaniscono, i passi del cameriere che sta portando le pietanze ai tavoli sembrano essere quelli di un fantasma, la posata che cade dalle mani di uno dei ragazzi rimane sospesa a mezz’aria. Sanno cosa sta per accadere, ma il tempo all’improvviso riprende a scorrere. L’accademia in cui studiano vuole che alla fine dell’anno gli studenti espongano i propri lavori. Il caso vuole che i due siano di fianco, a presentare i propri scatti. Una volta finita la mostra, i due si siedono ad un tavolo con altri studenti. Bevono, si parlano, ridono, scherzano, arrossiscono ancora ed ancora. Elder chiede a Bea di fare un giro. Si ritrovano così faccia a faccia, dove è possibile godere di quel buio per più istanti. Con aria di scherzo lui afferma che Bea è libera di baciarlo. I due si baciano e dal tavolo del bar finiscono alla sua camera d’albergo. In quel momento, Elder si ricorda del suo compagno e manda via Bea. Non chiude occhio, l’ha lasciata col desiderio negli occhi. Il giorno dopo si incontrano, si allontanano dal centro. Vogliono parlarsi, ma si baciano, si abbracciano, si desiderano l’un l’altro. La seconda sera però succede lo stesso. Bea non è una ragazza innocente. Si accende in lei un perverso desiderio di vendetta. Non riesce ad accettare che Elder abbia una compagna. Non vuole più vederlo, prova disgusto nel parlargli; eppure lui si fa avanti di nuovo. La rivede una sera in gonna, con l’addome scoperto, ridere come un diavolo che lo provoca. Lui la vuole per lei. Il quarto giorno vanno a letto insieme. Elder sarebbe dovuto tornare dalla sua compagna la sera. Rimane ad aspettarla fino alle due del mattino. Si rivedono, non dormono - perché dovrebbero? -. Vorrebbero rimanere sul letto per giorni, a fantasticare del futuro. Elder ha più di quaranta anni, lei ne ha solo venti. Eppure sul letto sono solo due anime innamorate. Non si vedono per una settimana. Elder ignora il fatto che Bea sia ancora adirata nei suoi confronti. Il tradimento e l’abbandono causano sofferenza. Bea non avrebbe lasciato attraversare quelle sensazioni dentro di lei senza restituirle indietro. I corsi sono finiti, i due non si dovrebbero incontrare di nuovo. Elder la invita a casa sua, mentre la sua compagna è fuori per lavoro. Lei deve partecipare ad una mostra lì vicino in quei giorni. Lui la accompagna. Ritornano insieme a casa. Si rivedono dopo una settimana ancora in una città di mare. Fanno il bagno, corrono sulla sabbia, ridono. Bea però sente la presenza di un terzo, anche se non c’è. Lui spesso si allontana, risponde al telefono, mente, finge di essere in un altro luogo. Rassicura la sua compagna di star bene, di essere da solo a casa e poi torna da lei. La bacia, le dice che la ama, che avrebbe fatto di tutto per stare solo con lei. Bea non lo sopporta quando fa così. Lui parte per una vacanza in montagna, dicendo che subito dopo avrebbe voluto passare l’estate con lei: è la goccia che fa traboccare il vaso. Bea prepara la sua vendetta. Si dice che il seduttore perfetto è colui che sa incarnare i desideri degli altri, come uno specchio magico. Forse è da rivelare: Bea è in grado di essere un’ottima attrice. Ha creato il personaggio perfetto per Elder: si è finta per metà spagnola, gli ha fatto credere di avere il disturbo della personalità Borderline, di essere interessata al suo lavoro. Come biasimarla. Il Karma muove le sue pedine. Bea lo tradisce: incontra un altro. Ci sta bene, lo usa solo per questo scopo. Lui torna dalla vacanza, la vuole vedere. Lei va da lui nel posto di mare in cui avrebbe voluto incontrarla: stanno insieme, ma ci sono altri amici con Elder. Ci sono persino i suoi genitori. Bea quasi si dimentica della sua vendetta, di restituire la sofferenza al mittente; il fato ne sarebbe rimasto annoiato. Tutti i preparativi per la vendetta sono pronti: il personaggio di Bea inizia a mostrare le prime fratture. Quando squilla il telefono di Bea, lei lo prende con furia. Elder potrebbe scoprirla. Dovevano scontrarsi. All’amore corrisponde l’odio. Gli amici dicono ad Elder di allontanare Bea, di svegliarsi, di smetterla di vivere in una favola. Lui però la ama davvero. Elder rivela a Bea il pensiero degli amici, le chiede di ridimensionare il rapporto. Lei si sente bruciare dentro come un fuoco infernale. Gli dice che il giorno dopo sarebbe tornata a casa. La sera a cena la madre di Elder si accorge dei due, ma è tardi. Il legame è già spezzato. Così Bea diventa la ragazza più tossica per Elder: gli risponde male davanti a tutti, diventa petulante, ripete sempre le stesse cose, inizia a rinfacciargli tutto. Il giorno dopo parte, lui la accompagna. Bea a questo punto è pronta a dimenticarlo: ma lui fa l’unica cosa che non avrebbe dovuto fare. Le dice di amarla. Lei gli rivela il suo personaggio, gli fa capire che è solo il sesso l’unica cosa che l’ha motivata ad essere tra le sue braccia. Lui piange, lei è arrabbiata. Torna a casa. Inizia a tramutare il disgusto che prova per lui in parole. Glie le canta di santa ragione. Lui ascolta, legge i messaggi, la chiama, pensa di poterla tranquillizzare. Se fosse sparito forse la vendetta di Bea non si sarebbe compiuta. Così alle due di notte Bea parla con la sua compagna. Lei gli risponde pacatamente. Lui la accusa di avergli rovinato la vita. Il disgusto più grande è provocato dalla compagna di Elder. Non vuole che la cosa si sappia perché avrebbe potuto rovinare la sua carriera, la sua immagine. Così le urla di Elder vengono intrappolate in un cellulare e risuonano in un bicchiere di grappa dal color miele, come le ultime parole di chi sta per morire affogato. 
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pleaseanotherbook · 5 years ago
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Il 2019 di Please Another Book
Sono gli ultimi giorni dell’anno e io sono tornata a Torino dopo aver trascorso i giorni di Natale a casa, dai miei, sulle mie adorate colline. Mai come quest’anno mi è dispiaciuto andare via, un po’ per una mancanza che sento sempre sospesa in una vita a metà tra il passato e il futuro e un po’ perché penso di non essermeli goduta abbastanza. Un altro anno si sta chiudendo, un’intera decade sta finendo ed è giunto il momento della resa dei conti. Il 2019 è stata una pugnalata sotto più punti di vista, ho sofferto molto, ho riso tanto, ma ho arrancato. Però non posso che affermare di essere sopravvissuta come neanche speravo più di fare, non immaginavo neanche di essere la persona che sono oggi ma credo di essere cresciuta molto, di aver raggiunto qualche traguardo e di essermi lasciata alle spalle diverse delusioni. Mi affaccio al nuovo anno con la consapevolezza che ce la metterò tutta e che ci saranno tante novità che sicuramente mi rivoluzioneranno la vita.
 Il 22 dicembre, anzi come sempre il 29, Please Another Book ha compiuto 8 anni. È uno di quei momenti che non credevo di vivere, mai come quest’anno ho temuto di non farcela. Ho pubblicato pochissimo quest’anno, tantissime recensioni, ma non credo che in alcun modo avrei potuto fare diversamente. Ci sto provando, ma sono stanca. Arrivo la sera e diventa difficile aprire di nuovo il pc per scrivere un post. La book community si è spostata è finita in altri luoghi, su Youtube ma soprattutto su Instagram che devo dire non fa proprio per me. Ma stiamo andando avanti, c’è ancora spazio per la mia comunicazione e se mi accorgerò che non c’è più tirerò i remi in barca e si vedrà dove ci condurrà la corrente. Intanto tanti auguri a me, tanti auguri a noi!
 Il 2019 è iniziato con le mie amiche circondate dalla neve e dagli abbracci e sapete quanto io rifugga il gelo, ma sapete la montagna ha un certo fascino che le riconosco anche io. Tra festeggiamenti di compleanni e Natale in ritardo, a gennaio, sono stata anche un paio di giorni a Roma per lavoro e devo riconoscere che la capitale ha sempre un certo fascino, anche se non mi avrà mai.
Anche il 2019 è stato l’anno dei viaggi e a marzo sono tornata, da turista, in quel di Praga, questa volta con le mie amiche, con cui ho condiviso salite interminabili e il “dove diamine è la funivia”, tanto cibo, mostre, musei, e pochissimo assenzio, giuro.
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Marzo è stato il mese in cui più abbiamo vissuto intensamente perché abbiamo salutato due di noi partite per il Giappone, e abbiamo cercato di condensare gli abbracci in ricordi da portare sempre con noi.  Ad aprile ho ritrovato una delle mie famiglie “adottive” del cuore e la mia adoratissima Lorena compagna di avvenute e di mostre. Perché devo dire che quest’anno ne ho viste davvero tante. Una delle prime, Giorgio de Chirico. Ritorno al futuro alla Galleria di arte moderna di Torino.  
A maggio ho compiuto trent’anni e ancora non me ne capacito. Mi sembrava un numero così lontano nel tempo quando ero una ragazzina, ero sicura ad un certo punto della mia vita che avrei avuto vent’anni per sempre, e invece questi ultimi anni sono letteralmente volati, il tempo mi si è consumato tra le mani con la velocità della luce e mi sono trovata a dover salutare la post-adolescenza prima di quanto credessi. Forse da una certa prospettiva significa perdere la spensieratezza dei vent'anni dall'altra acquisire la consapevolezza che puoi fare tutto quello che vuoi.
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A maggio però ho anche “scoperto” Giancarlo Commare (e sorvoliamo su questo scorcio di perdita della dignità).
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Soprattutto sono stata al Salone del Libro anche quest’anno con le fedelissime compagne di avventura  le Belle de La Bella e il Cavaliere e Lorena di Petrichor. Qui ho avuto modo di abbracciare per la prima volta Stefania Auci e un po’ di commozione c’è stata, lo ammetto. 
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Al Salone ho anche comprato troppi libri, tanti autografati! Sono naturalmente tornata a Venezia a trovare la mia adorata Martina di Liber Arcanus e ci siamo regalate la mostra Canaletto e Venezia all’interno di Palazzo Ducale (io amo, adoro, venero il Canaletto). 
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E per non farmi mancare niente nel mese del mio compleanno ho anche sentito le Soundscape 2.0 dal vivo per la prima volta.
A giugno abbiamo organizzato il sesto raduno dei Trentatré Anonimi sempre in quel di Ferrara ed è stato il solito delirio di risate e chiacchiere e lettura. L’estate è volata con le mie amiche, tra viaggi, avventure e cibo, cibo, cibo. Sono anche stata a Courmayeur con i miei zii.
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Ma a settembre finalmente sono riuscita a partire per le mie tanto sospirate ferie. Ferie che si sono aperte con il mio primo viaggio all’estero completamente da sola a Barcellona. A quel da sola ho ricevuto i commenti più svariati, molte alzate di sopracciglio e molti io non lo farei mai. Beh ecco probabilmente se le circostanze fossero state diverse anche io sarei partita con qualcuno ma alla fin fine trovare i propri tempi, distruggere gli schemi, cambiare le prospettive serve sempre. Ed è così che in una giornata che più piovosa non si può mi sono avventurata per le strade di Barcellona a respirare le costruzioni di Gaudì e non solo. Che la Sagrada Familia è un sogno e il cielo nero solo una prospettiva. Ho anche scoperto che il mio senso dell'orientamento funziona abbastanza bene e mi sono persa solo per raggiungere l'appartamento in cui dormo. Persa nel senso che ci ho messo un po' di più a trovare la strada.
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E poi sono finalmente approdata a Palermo dalla mia adorata Lorena ed è stata una settimana incredibile, in cui ho mangiato e mangiato e mangiato ancora e visitato un sacco di posti meravigliosi (la Cappella Palatina, Monreale, le strade, la gente, il cibo l’ho detto?).
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E poi insieme a lei e ad un altro amico abbiamo fatto la follia di andare ad Atene per un weekend. E voi non avete la più pallida idea di quanto io mi sia innamorata di questa città. Credo di soffrire ancora la sindrome di Stendhal. Voglio tornarci per innamorarmi ancora.
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Dopo Atene sono tornata a Venezia per un’altra mostra, da Tiziano a Rubens ma soprattutto per incontrare Jay Kristoff grazie alla Mondadori, a Martina e a un gruppo di altri entusiasti blogger. Passeggiare e conversare con lui è stata un’esperienza molto bella e allo stesso tempo un po’ alienante.
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Ad ottobre sono stata a Milano a vedere una mostra veramente molto bella “Preraffelliti Amore e Desiderio” a Palazzo Reale, che forse è stata una delle più belle che ho visto quest’anno.
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Ho anche partecipato ad un incontro organizzato da Il circolo dei lettori con Sandra Newman l’autrice de “I cieli” un libro che mi è piaciuto moltissimo e che mi ha molto colpito e di cui non vedo l’ora di leggere altro. Ovviamente ancora mi mangio le mani perché non sono riuscita a vedere Isabel Allende di passaggio proprio qui a Torino.
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Ho anche approfittato del regalo che Giulia Valentina ha fatto ai suoi followers per andare a vedere la World Press Photo Exhibition e devo dire che è stata una vera pugnalata. È una delle più grandi mostre di fotogiornalismo del mondo ed è organizzata dalla Fondazione World Press Photo. È veramente incredibile ci sono foto che espongono problemi di natura ambientale, sportiva, sociale, politica, culturale. A volte non ci rendiamo conto di quante situazioni esistono al di fuori dei confini della nostra realtà che urgono di attenzione. È stata l'occasione ancora una volta per fare qualcosa da sola e per me stessa, in un momento in cui esplorare solo con le mie gambe.
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A novembre ho fatto un salto a Novara in cui non ero mai stata e sono andata alla Libreria in via Carlo Alberto qui a Torino per ascoltare Alice Basso che ha presentato Barbara Fiorio e il suo C'era una svolta. Che la Basso fosse una donna spumeggiante eravamo sicuri, che la Fiorio sia di una ironia pungente, una narratrice incantevole e di una simpatia unica una vera e propria scoperta.
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A dicembre ho visto le ultime due mostre a cui sono stata insieme a due mie amiche sempre a Milano:
Canova e Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna in Galleria d’Italia in cui non sono mai stata e in cui vi consiglio di andare perché sono di una bellezza unica e Il libro promosso che invece era all’interno di Casa Manzoni, dove non ero mai stata a che aveva una guida molto preparata.
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Si è stato un anno ricco che si è concluso con un mare di belle notizie e non ho la più pallida idea di cosa aspettarmi dal futuro, non so davvero cosa ne verrà fuori. Ho solo la speranza di essere ancora serena, di poter ancora attraversare il mondo con i miei amici, con la mia famiglia, con la voglia ancora di non arrendermi ma di essere ancora piena di energie e di idee. Spero di leggere ancora tanto, di vivere ancora immensamente e di viaggiare ancora a lungo. Vi auguro un buon anno nuovo e di trovarvi ancora qui, a vivere altri 365 giorni, anzi 366 che il 2020 è bisestile e nasconde disgrazie.
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diariodiunaparoliera · 8 years ago
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Domani sono due anni da quando se ne è andato, da quando è incominciato tutto. Ho la nausea di questi giorni, vorrei stare nel letto a rigirarmi perdendo la concezione del tempo che passa e di chi sono ma me lo impediscono.
Ma partiamo con calma, ho altre mille cose da dire.
Alla fine ho scritto a Fabio.
“Scusa se mi faccio viva così dopo mesi, ma ultimamente ho fatto un po' di mente locale, diciamo, e mi sono resa conto che ti devo un minimo di spiegazione, o almeno delle scuse decenti. Odio avere conti in sospeso”
Mi ha invogliato a parlare, nonostante ci stessimo parlando tramite messaggio.
“Dimmi tutto, Gloria.” 
“È difficile. È parte di una storia molto più complessa che ti riassumo perché sono stanca anch'io di spiegarla. Sai quando sono andata in montagna? Ecco, c'era il mio ex. Abbiamo bevuto troppo e ci siamo lasciati troppo andare, e sì ti ho mancato di rispetto e davvero mi dispiace un sacco, tanto che mi sono sentita malissimo ed era per questo che nei giorni seguenti non riuscivo a parlarti come prima. A parte questo, il genio ha fatto la furbata di farmi una finta micidiale, facendo retromarcia quando ero nel pieno della sbronza e quindi anche della disperazione. Ho avuto tantissimo da ridire con lui e ho perso completamente di vista te, anche perché non mi sembrava giusto continuare a coltivare un rapporto che avevo buttato da parte così facilmente per fare l'ennesima puttanata (anche se ti giuro che pur essndo ciocca gli avevo detto di parlare seriamente perché io stavo andando avanti e dovevo sapere con certezza se farlo o meno). E non sei stato né il primo né l'ultimo, era un anno e mezzo che facevo in quel modo e ho continuato a farlo. Ma alla fine la cosa che mi fa più sentire male è che a parte tutta questa spiegazione che non ti ho mai dato perché sono scappata come una codarda, non ti ho mai ringraziato per quel poco che avevamo avuto. Le parole che mi hai scritto mi hanno aiutato tanto, mi hanno fatto stare bene, e sono stata anche bene con te ma non avevo la testa giusta per notarlo, ringraziarti, fare qualcosa a mia volta. Mi dispiace un sacco, e mi dispiace anche per queste scuse un po' patetiche ma sono proprio parte (insopportabile) di me.”
“Grazie per queste parole inaspettate, non pensavo di risentirti dopo tutto questo tempo...in effetti non ci siamo più sentiti. Mi trovi in difficoltà perché capendo tutte queste cose conosco ora un nuovo lato di te...se ti va ci vediamo per un caffè.”
Era il mio obbiettivo dall’inizio, vederlo per un caffé. Spiegargli le cose con calma, magari fargli anche un po’ pena. Volevo un abbraccio mentre gli dicevo che mi ero fatta schifo da sola, che non si meritava di essere trattato così.
Mi ha detto che mi avrebbe riscritto per metterci d’accordo, ma sono passate quasi due settimane e ancora non l’ho sentito.
Non importa, non inseguo più nessuno. Quello che dovevo dirgli gliel’ho detto, tutto il resto era in più.
Marco non lo vedo da più di un mese. Mi ha messo un like su facebook dopo un sacco di tempo che non lo faceva e mi ha cercato la scorsa settimana chiedendomi se mi andava di vederci: gli ho risposto come aveva fatto lui quest’estate quando ero io a chiederglielo, ‘meglio di no’. Deve avergli dato molto fastidio perché il giorno dopo, dal nulla, mi ha scritto agitato.
“Comunque ti ricordo che mi hai cercato te.”
Così, con quel comunque che ricollegava a un discorso mai avvenuto, all’enessima delle litigate che abbiamo fatto in silenzio, senza sentirci né vederci.
Quel messaggio un po’ mi ha rincuorato, mi ha fatto rendere conto che almeno non sono l’unica pensa e ripensa alle cose.
“Non ti scaldare, se vuoi te lo spiego perché è meglio di no. Basta chiedere.” 
“Perché?” 
“Perché sinceramente in questo periodo sei l'ultima persona che vorrei vedere. Lo sai benissimo che mi fai ‘del male indirettamente’, quindi abbi un po' di pazienza porca troia, altrimenti addio e a mai più.”
“Ok.”
“Che cazzo mi rispondi ok?”
“Eh cosa ti devo dire ahahahahah”
L’avrei preso a schiaffi volentieri in quel momento, mi prudevano le mani e avevo i nervi a mille. La cosa che mi dava più fastidio è che come ogni volta ci ritrovavamo a discutere al cellulare, come dei ragazzini.
                         “Che non te ne fotte un cazzo, tanto è così. Mi sono rotta le palle di te e tutta sta storia.”
                         “Non è vero che non me ne frega niente.”
Ho riso istericamente quando ho letto il messaggio. Mi è venuta la tentazione di tirare il cellulare contro il muro, come se fosse la sua testa. 
Ho sentito la stanchezza di tutto quel rincorrersi in due anni invadermi tutt’ad un colpo. Non volevo davvero più saperne niente, non volevo più aggiungere parole.
“Non dirmi quello che voglio sentirmi dire. Smettila, sul serio.”                         Mi ha risposto solo l’indomani, mentre ero in classe. Ho letto il messaggio e sono andata fuori di testa, tanto che Amber ha dovuto parlarmi per farmi calmare perché avevo di nuovo dato in escandescenza e di nuovo volevo spaccare qualcosa.
“Ma io dico quello che è vero.”      
“Non rispondergli.” Mi ha detto Amber, togliendomi il cellulare dalle mani. “Visualizza e basta, non merita una risposta.”
“Questa non posso lasciargliela passare.”
“Si renderà conto da solo della puttanata che ha detto.”
Quando sono tornata a casa non riuscivo a smettere di pensarci. A furia di rimuginare ho trovato le parole giuste da dire, e il coraggio per farlo.
“No che non lo fai. Non lo hai fatto mai perché tu vivi nelle bugie, menti di continuo. Tu la verità non sai manco cosa sia, scappi sempre da lei. Non hai il coraggio di sentirla, dirla, affrontarla. E ti ricordo che io lo so benissimo, quindi non venire a dirmi ‘ste cose perché mi fai solo incazzare di più.”    
Pensavo che il discorso fosse finito lì, ma mi ha risposto: “Io non capisco perché tu dica questo, però va beh.”
Perché? Perché è l’unica cosa che ho imparato in questi due anni, perché sono stanca di te e del tempo che ho buttato via per starti dietro. Perché ho cinque pagine piene di tue bugie che mi porto sempre dietro, così nel caso t’incontrassi anche per sbaglio posso buttartele addosso, dirti che se vuoi una motivazione al mio rifiuto categorico di vederti ne hai così tante, leggi e basta, leggi e renditi conto del male che m’hai fatto, delle ferite che mi hai inflitto e che faccio vedere solo quando sono troppo ubriaca e inizio a piangere mentre vomito perché mi rendo conto che mi sono ridotta così solo per te.
Ho preso un respiro e gli ho risposto:
“È quello che ho visto di te in questi due anni. Non hai mai mantenuto una promessa, non sei stato mai coerente. Se ci tieni a me dimostramelo, cazzo. Io preferisco mille volte che tu mi dica che non ci tieni, che mi usi e basta. Evito tutte ‘ste litigate, ‘ste parole, i casini. Me ne faccio una ragione.”
In realtà una ragione me la sono già fatta, per forza di cose. Mi sono stufata, finalmente, e sono rinsavita. Lo provoco solo perché una parte di me pensa compulsivamente alla vendetta da infliggergli, pensa che alla fine se ne pentirà, si mangerà le mani, ha già iniziato a farlo.
Non voglio più dirgli che mi manca, mentirei. Non voglio più dirgli che ho bisogno di vederlo, che si cambia così tanto in tre mesi, che forse averlo sottomano mi ha fatto davvero vedere chiaramente chi è, e non è affatto lui. 
Sono stanca dei drammi, dei pensieri sempre rivolti al passato, a guardare un lui che non si sa manco se c’è stato o meno.
Basta, non voglio più saperne niente.
Marie ha lavorato un sacco in questi giorni e non siamo riuscite a vederci. Mi manca da morire.
La sento strana, l’altro giorno è esplosa dopo aver litigato con sua madre e si è messa a farneticare di volerla fare finita, che non ce la faceva più.
Io ero in giro con Amber e A, non sapevo come reagire. Ho cercato di calmarla, poi le ho parlato con calma. E io come farei senza di lei? Ci sentiamo poco perché negli orari in cui io sono libera lei lavora, la sera finisce tardi e io sto già dormendo, ma quei pochi messaggi che ci scambiamo durante il giorno mi servono, mi fanno sorridere, sono la nostra piccola abitudine. Voglio dirle tutti i cazzi che mi passato per la testa, mandarle gli screen delle conversazioni con Marco, Fabio, voglio dirle di quel tipo che m’ha scritto l’altro giorno per due ore e poi è sparito. È parte integrante di me, sempre e per sempre.
Amber e A ultimamente sono più vicine, e io sono una pasqua quando esco con loro. Mi fanno ridere, mi distraggono. 
Sabato ho avuto una piccola crisi esistenziale, loro mi hanno trascinato fuori casa, il pomeriggio, senza farmi troppe domande. Ne sono stata felice.
Oggi ho aperto facebook e ho trovato la foto che avevo scattato a Marie e Rachele a casa della prima, un anno fa. 
Ho voglia di un abbraccio che non arriverà mai.
Ho voglia di un futuro che non ho il coraggio di affrontare ma devo.
Tremo, 
lui non è qui 
e va bene così.
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givemeanorigami · 6 years ago
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Twenty-five years and my life is still trying to get up that great big hill of hope for a destination.
Riesco finalmente a fermarmi qualche minuto e a pensare che ho compiuto un quarto di secolo. E' un'età che non sento mia, che mi sembra così grande, così definitiva come se dovessi per forza aver realizzato qualcosa, raggiunto dei traguardi, quando invece non ho fatto granché nella mia vita se non collezionare una lunga serie di fallimenti. Non riesco a pronunciarla, la mia età, senza un nodo allo stomaco, uno brutto, allora cerco di sviare: 21+4, il quarto anniversario dei ventuno. Qualcuno lo trova uno scherzo, qualcuno sa che dietro a questo mio modo di contare c'è tutta la mia difficoltà a crescere, a sentirmi un'adulta, ad accettare che i miei fallimenti e che non posso confrontare il mio percorso di vita con quello degli altri, perché ognuno ha i suoi tempi.
Non voglio mai festeggiare, a maggior ragione quest'anno e c'ero quasi riuscita: partendo per la montagna il giorno del mio compleanno stava passando in sordina, poi qualcuno ha urlato "buon compleanno!" a tavola, qualcun'altro si è ricordato che il mio compleanno cadeva in quel periodo mentre portavamo gli sci in paese - "era la scorsa settimana?" "no, oggi" "cazzo, auguri! Stasera andiamo a festeggiare!" - e mi sono ritrovata trascinata in un vortice che si è concluso all'alba del giorno dopo rientrando in una camera d'albergo ubriaca e sorridente. Una parte di me ha pensato che avere la mia età non è la fine, non è un punto d'arrivo dove si contano i punti accumulati fino a quel momento, è solo una tappa. Un'altra parte di me, ora, pensa solo che era ottimismo da alcol, ma questa è un'altra storia.
Ho iniziato il mio quarto anniversario dei ventuno con mio padre, lontana da casa e con persone che conoscevo poco o niente. L'ho iniziato andando a dormire sempre troppo tardi e alzandomi sempre troppo presto, portando le mie gambe al limite della loro resistenza spingendole giù dalle piste finché ne avevo voglia, ridendo e parlando di cose più o meno serie, ballando, prendendomi della pigra per non voler camminare un metro di più con gli scii in spalla, sentendomi coinvolta in un gruppo di cinque persone che si conoscono e tra cui io ero la nuova, l'estranea, ma non mi ci hanno fatto mai sentire. L'ho iniziato con il sapore di speranza di aver trovato nuovi amici, nuove persone con fare le cose senza il bisogno di riuscire a incastrare i miei impegni con quelli delle amiche più lontane. Certo, so che è solo una speranza, che ora che sono tornata a casa le cose non saranno proprio così, ma ieri ci siamo visti in tre su cinque, io col mal di pancia pensando di essere di troppo, di essere lì solo per il loro tabacco che poco importava se l'avessimo deciso ben prima di andare al cinema tutti insieme quella domenica una volta tornati a casa ("credo andrò a vederlo da sola" "vieni con noi! A me farebbe piacere!" - "Bionda, ci rivediamo prima o poi?" "M. la rivediamo domani!"), ma poi li ho visti arrivare: lei sorridente, lui ancora a sfottermi perché non sono andata alla spa. Lui che mi definisce "un'amica" in un discorso, lei che mi dice "magari ci vediamo in settimana" e io la sento ancora quella speranza di tempi migliori, di una zona che forse forse non può essere così terribile. So che alla fine queste speranze verranno deluse, perché io non so comportarmi, perché gli altri si dimenticano facilmente di me, ma per ora mi piace questa speranza di tempi migliori. Ah, sciare porta consiglio e tempi migliori: ho chiuso il capitolo Cantante. Lui è sparito, io ho sciato via la voglia di corrergli dietro.
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allecram-me · 8 years ago
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Prospettiva di oggi, #59
Sono tornata a casa e sono in tilt completo, come al mio solito. Sono inservibile e sconvolta. Upset. Non volevo partire per il mare con le amiche. Non volevo il mare e non mi sentivo tranquilla con le amiche: lo faccio sempre, prima di lanciarmi in qualcosa. È stato lieve e bellissimo, poi.
Ora, il mio inverno ultracontinentale è alle porte, ed io so che molto probabilmente sarà il viaggio della mia vita, nel bene e nel male. Ho paura, mi sento incapace. Incapace a far cosa, poi? Le valige? Organizzarmi? Comprare delle scarpe da montagna? Chi lo sa. Per adesso, m'infilo un vestitino qualsiasi e mi catapulto in strada. È l'unico modo che conosco per non affondare: costringermi nella vasca degli squali. Tanto alla fine vinco sempre io, presto o tardi.
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sounds-right · 6 years ago
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Samuele Sartini - A dicembre fa ballare i club più "up"​ d'Italia: Pineta, Des Alpes, Armani Privè 
Il dj producer marchigiano Samuele Sartini a dicembre 2018 fa ballare molti dei club più "up" del Bel Paese. Il 7 dicembre è in console all'opening party del Des Alpes di Madonna di Campiglio (TN), uno dei principali locali di montagna in Italia e non solo. L'8 dicembre invece è al Sesto di Desenzano (BS), mentre il 17, dopo un altro set al Pineta di Milano Marittima ed al Sali e Tabacchi di Reggio Emilia (dove è di casa), fa tappa a Milano, all'Armani Privé, per far ballare il Xmas Party di Luxottica. Il 21 dicembre Sartini divide poi la console del KYI di Modena con Bob Sinclar mentre la sera di Natale, come lo scorso anno è al mixer dello Yuppies di Foggia. E a Capodanno? Sartini torna ancora a far scatenare il Pineta di Milano Marittima, per chiudere un 2018 semplicemente eccellente.
www.samuelesartini.com facebook.com/djsamuelesartini www.instagram.com/djsamuelesartini/
Samuele Sartini è un top dj house italiano molto attivo nei top club di tutto il mondo. Marchigiano, è nato a Chiaravalle (AN) e risiede a Monte San Vito. Nell'estate 2017 ha fatto ballare party legati al GP di Formula 1 nel Barhein, il Jimmy'z di Montecarlo e in Italia è guest in costanza al Pineta di Milano Marittima e al Just Cavalli di Milano, due dei locali di riferimento per chi cerca l'esclusività. In console ho stile preciso e una tecnica esemplare, ma più che di 'numeri' e gesti che sanno stupire, ogni suo suoi dj è pieno di musica e di melodia, ovvero si mette sempre al servizio di ha voglia di ballare. Samuele Sartini è anche un produttore conosciuto in tutto il mondo.
Ha remixato tracce di superstar come Calvin Harris, Roger Sanchez, Paul Van Dyk ed Armin Van Buuren ed ha all'attivo diverse hit all'attivo diverse hit recenti ("When The Sun Goes Down", interpretata da Jay Sebag, è stata trasmessa da emittenti come RTL 102,5 TV, Radio 105, Radio Deejay ed m2o, proprio come "Gimme the Funk", che è piaciuta anche a stelle del mixer come Todd Terry, Bob Sinclar, Oliver Heldens, Sander Van Doorn o Robbie Rivera). E non è tutto: troppi non sanno che Avicii deve un po' del suo successo proprio a Samuele Sartini. Per la versione cantata del suo primo successo (Tim Berg - "Seek Bromance"), Avicii prese la voce da "Love U Seek", un brano pubblicato da Samuele Sartini nel 2011 su Do It Yourself. Questa canzone è tornata con Rework curato dal dj marchigiano nel gennaio 2018, una nuova versione che mette ancor più in in risalto la bella voce di Amanda Wilson.
Ecco come racconta la sua vita e i suoi inizi: "Vivo nelle Marche, dove sono nato. Adoro la mia terra, anche se spesso nel fine settimana devo fare centinaia e centinaia di chilometri per raggiungere i locali in cui lavoro. Ho due figli, Maria Camilla e Filippo Maria. Sono loro i miei veri unici successi… Ho iniziato mixando vinili e ricordo perfettamente le intere giornate che passavo in mansarda per imparare questa arte. Le prime feste, fino alla grande opportunità nel 2004 quando divenni Dj resident del Miu Miu di Marotta. In quel locale ho avuto la fortuna di affiancare tanti nomi importanti della scena house. Ho davvero cercato di carpire il meglio da ognuno di loro".
MEDIA INFO (PHOTO HI RES, BIO ETC) http://www.lorenzotiezzi.it/lorenzotiezzi.it/samuele_sartini.html
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djs-party-edm-italia · 6 years ago
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Samuele Sartini - A dicembre fa scatenare i club più "up"​ d'Italia: Pineta, Des Alpes, Armani Privè (...)
Il dj producer marchigiano Samuele Sartini a dicembre 2018 fa ballare molti dei club più "up" del Bel Paese. Il 7 dicembre è in console all'opening party del Des Alpes di Madonna di Campiglio (TN), uno dei principali locali di montagna in Italia e non solo. L'8 dicembre invece è al Sesto di Desenzano (BS), mentre il 17, dopo un altro set al Pineta di Milano Marittima ed al Sali e Tabacchi di Reggio Emilia (dove è di casa), fa tappa a Milano, all'Armani Privé, per far ballare il Xmas Party di Luxottica. Il 21 dicembre Sartini divide poi la console del KYI di Modena con Bob Sinclar mentre la sera di Natale, come lo scorso anno è al mixer dello Yuppies di Foggia. E a Capodanno? Sartini torna ancora a far scatenare il Pineta di Milano Marittima, per chiudere un 2018 semplicemente eccellente.
www.samuelesartini.com facebook.com/djsamuelesartini www.instagram.com/djsamuelesartini/
Samuele Sartini è un top dj house italiano molto attivo nei top club di tutto il mondo. Marchigiano, è nato a Chiaravalle (AN) e risiede a Monte San Vito. Nell'estate 2017 ha fatto ballare party legati al GP di Formula 1 nel Barhein, il Jimmy'z di Montecarlo e in Italia è guest in costanza al Pineta di Milano Marittima e al Just Cavalli di Milano, due dei locali di riferimento per chi cerca l'esclusività. In console ho stile preciso e una tecnica esemplare, ma più che di 'numeri' e gesti che sanno stupire, ogni suo suoi dj è pieno di musica e di melodia, ovvero si mette sempre al servizio di ha voglia di ballare. Samuele Sartini è anche un produttore conosciuto in tutto il mondo.
Ha remixato tracce di superstar come Calvin Harris, Roger Sanchez, Paul Van Dyk ed Armin Van Buuren ed ha all'attivo diverse hit all'attivo diverse hit recenti ("When The Sun Goes Down", interpretata da Jay Sebag, è stata trasmessa da emittenti come RTL 102,5 TV, Radio 105, Radio Deejay ed m2o, proprio come "Gimme the Funk", che è piaciuta anche a stelle del mixer come Todd Terry, Bob Sinclar, Oliver Heldens, Sander Van Doorn o Robbie Rivera). E non è tutto: troppi non sanno che Avicii deve un po' del suo successo proprio a Samuele Sartini. Per la versione cantata del suo primo successo (Tim Berg - "Seek Bromance"), Avicii prese la voce da "Love U Seek", un brano pubblicato da Samuele Sartini nel 2011 su Do It Yourself. Questa canzone è tornata con Rework curato dal dj marchigiano nel gennaio 2018, una nuova versione che mette ancor più in in risalto la bella voce di Amanda Wilson.
Ecco come racconta la sua vita e i suoi inizi: "Vivo nelle Marche, dove sono nato. Adoro la mia terra, anche se spesso nel fine settimana devo fare centinaia e centinaia di chilometri per raggiungere i locali in cui lavoro. Ho due figli, Maria Camilla e Filippo Maria. Sono loro i miei veri unici successi… Ho iniziato mixando vinili e ricordo perfettamente le intere giornate che passavo in mansarda per imparare questa arte. Le prime feste, fino alla grande opportunità nel 2004 quando divenni Dj resident del Miu Miu di Marotta. In quel locale ho avuto la fortuna di affiancare tanti nomi importanti della scena house. Ho davvero cercato di carpire il meglio da ognuno di loro".
MEDIA INFO (PHOTO HI RES, BIO ETC) http://www.lorenzotiezzi.it/lorenzotiezzi.it/samuele_sartini.html
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anndaveria-blog · 8 years ago
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Baciare la pioggia o essere baciati dalla pioggia?
Siamo al venti di settembre, piove a dirotto.
La mia prima settimana a Napoli si è conclusa con qualche sorriso in più, dato e ricevuto, che hanno scaldato il cuore. L’inizio in radio che mi terrorizzava, ora mi porta in un mondo parallelo, sono io, ma sono anche un’altra persona.
In radio con Elisa e i due tecnici, scherzo, rido, torno per due ore ad essere una semplice ragazza di diciotto anni.
E’ quando esco da lì che il mondo torna a piombarmi addosso con tutto il suo peso.
Oggi è sabato, niente lavoro, niente da fare. Volevo andare a mare, ma la pioggia non smette di cadere fitta e imperterrita. Per cui non mi resta altro da fare che stare qui, in questa stanza ad ascoltare musica.
Oggi ho i Savage Garden che mi fanno compagnia, Truly, Madly Deeply, mi dice che vorrebbe stare con me, su una montagna, su una spiaggia, su un letto di rose.
Il mio amico fotografo, oggi è a lavoro, ha i matrimoni da fare, oggi è lavoro con lui, ed io sono qui che l’immagino, esattamente come il giorno che li ho conosciuti.
La ferita non si rimargina. Forse il caro amico gli dirà cosa è successo, forse come il video di questa canzone, alla fine lui correrà qui, non ci credo tanto, ho smesso di credere alle favole, quando pensavo di viverne io stessa una. Quella favola si è rivelata un incubo, quello dove ti svegli di soprassalto, il letto sfatto, il sudore che ti appiccica la maglietta alla pelle, i brividi di freddo e paura che scorrono ovunque, come le lacrime. Pensavo che il primo amore dovesse farti battere il cuore, non farti aver paura, pensavo che fosse solo passione, invece, era solo dolore, buio e oscurità. Quando poi è arrivato non l’ho riconosciuto, spaventata e intimorita l’ho lasciato scappare via.
La pioggia torrenziale sta cessando, le nuvole hanno aperto uno squarcio, un piccolo spicchio azzurro si fa strada, sta tornando il sole. In questa città il sole è vitale e salutare.
Mi cambio, ho appuntamento con il mio amico alle nove di sera, che verrà a raccontarmi i retroscena della giornata, ma ora sono solo le cinque del pomeriggio. Ho voglia di uscire, di andare a farmi un giro, devo riprendere contatto con la città, un piede avanti all’altro e andiamo, stare in casa non mi è di conforto.
Mentre cammino, con i Savage, che intanto parlano di andare sulla luna e tornare, faccio l’analisi delle nuove regole da rispettare.
Basta compagnie del quartiere, basta vedere l’ex, basta fare tardi tutte le sere, ti è concesso il venerdì e il sabato, estensione fino alle quattro se vai in discoteca altrimenti alle due, devi essere a casa.
Nessun problema, odio andare in discoteca, non è il mio genere di musica, con l’ex e i suoi compari ho chiuso. Non passo, se posso evitarlo, neanche da casa sua, me la evito come se ci fossero i malati di peste quella strada.
Mentre cammino mi sento più viva ad ogni passo. Voglio andare nel mio punto preferito, voglio andarmene sugli scogli, da dove posso vedere il mare, da dove posso guardare la città, guardare la gente e starmene da sola.
Ho recuperato un motorino, un vecchio Si della piaggio, che ha senza dubbio visto tempi migliori, ma l’ho pagato poco e questo mi consola.
Le pozzanghere, l’odore di asfalto bagnato, il sole che scalda sempre di più ed io che mi lascio andare a questa sensazione di libertà come se fosse la mia ancora di salvezza. Decido di passare per il centro storico, di vedere il portone di casa di chi oggi è a lavoro. Quel portone in legno scuro che quella sera si chiuse sulla mia faccia attonita, sui miei occhi pieni di lacrime, ricacciati indietro con una fatica esagerata, rivedere quel portone per immaginare di rivederlo.
Mia zia nella sua infinita saggezza mi ha detto di metterci una pietra su, di coltivarmi l’amicizia con il fotografo, che è un ragazzo d’oro e che mi vuole bene. Si so che me ne vuole, mi ha proposto di collaborare con lui, pochi soldi, ma almeno nei giorni in cui non ho scuola posso imparare un altro mestiere, imparare a fare fotografie con macchine più imponenti della mia scatoletta. Dare tempo al tempo, con calma, non correre. Io non sto correndo, voglio solo ciò che non posso avere.
Ma per quanto io possa provare affetto per l’amico fotografo, Rosario, non potrò mai amarlo come amo il suo migliore amico, no, non posso, quel poco che resta del mio cuore, se l’è preso, rubato il suo amico. Soffro? Si, ma sono tornata per non perdere ancora e non intendo farlo.
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