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Belle per sempre di Katherine Boo: Uno sguardo toccante sulle vite degli abitanti dei bassifondi di Mumbai. Recensione di Alessandria today
Un racconto di sopravvivenza e speranza in uno dei luoghi più difficili del mondo
Un racconto di sopravvivenza e speranza in uno dei luoghi più difficili del mondo Recensione Belle per sempre è un libro che esplora le vite degli abitanti di Annawadi, uno slum nei pressi dell’aeroporto di Mumbai, raccontato con profonda empatia e realismo da Katherine Boo. Attraverso uno stile narrativo avvincente, Boo descrive l’aspirazione, la disperazione, e la resilienza delle persone che…
#Annawadi#autori premiati#Belle per sempre#biografia Katherine Boo#condizioni di vita difficili#condizioni di vita estreme#corruzione in India#critica sociale#denuncia delle ingiustizie#denuncia sociale#disuguaglianze economiche#Disuguaglianze sociali#emarginazione sociale#indagine giornalistica#Ingiustizia sociale#Katherine Boo#libro commovente#libro su disuguaglianze#libro su Mumbai#lotta alla disuguaglianza#lotta contro la povertà#Lotta per la Sopravvivenza#Mumbai libro#narrativa di denuncia.#narrativa investigativa#narrativa realistica#National Book Award#povertà in India#Premio Pulitzer#racconto di vita reale
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“I GOT YOU”, il nuovo singolo degli Yuts and Culture
Dal 1° novembre 2024 sarà in rotazione radiofonica "I GOT YOU", il nuovo singolo degli Yuts and Culture sulle piattaforme digitali di streaming dal 25 ottobre per Irma Records.
"I got you" è un brano che denuncia una società che ignora la sua crisi spirituale e si muove in modo cieco verso un futuro sempre più disconnesso e disarmonico. L'essere umano nella sua morbosa ricerca del piacere e della ricchezza materiale crea le basi per uno squilibrio spirituale.
La frase "E così come ciechi camminiamo tra ciechi urtandoci uno con l'altro" evoca l'immagine di una società in cui le persone, incapaci di vedere oltre le proprie ossessioni e desideri, si muovono in modo distratto e inconscio.
"I Forti vivranno incomprensibilmente per i deboli" suggerisce una dinamica di potere in cui chi ha forza o risorse vive per sfruttare o dominare i più vulnerabili. Questo riflette una società che, incapace di riconoscere il proprio percorso errato, continua a perpetuare disuguaglianze e ingiustizie.
Hanno collaborato alla realizzazione del singolo: Fabio Luigi Conti Discographica (Cover e Artworks), Paolo Montinaro - Yeahjasi Spazio Recording Brindisi (Registrazione e Mix), Giovanni Versari (Master), Sara Giannone (Cori), Emanuele Coluccia (Sax solo e Sezione fiati), Antonio Macchia (Solo tromba e sezione fiati).
Commentano gli artisti a proposito del brano: "Questo brano riveste un'importanza particolare per noi, poiché si tratta di una celebrazione della nostra ispirazione artistica. Ci siamo ispirati a Marvin Gaye, in particolare all'album 'I Want You' del 1976, che rappresenta un pilastro della musica soul e R&B. La vocalità e le sonorità di questo lavoro richiamano in modo vivido il suo inconfondibile stile, caratterizzato da melodie avvolgenti e testi profondi. Per noi, questa canzone non è solo un omaggio a Gaye, ma simboleggia anche un equilibrio tra le sonorità del passato e quelle moderne. Attraverso questa composizione, desideriamo esprimere la nostra visione artistica: un dialogo continuo tra tradizione e avanguardia, in cui le radici musicali vengono reinterpretate e rinnovate per risuonare con le esperienze attuali."
Il visual video di "I Got You" nasce dall'idea di Davis Albert Valle che, ispirato dal sound groovy del brano, in particolare dalle percussioni, immagina delle pitture tribali rupestri, che ha poi creato e animato utilizzando la tecnica dello stop motion. Con questa tecnica, consente di dare vita alle pennellate, formando immagini e forme che sembrano danzare a ritmo di musica. L'effetto è quello di far vibrare visivamente ciò che solitamente appare immobile su una tela, come se le vibrazioni sonore potessero alterare e animare il dipinto stesso.
Guarda il video su YouTube: https://youtu.be/ocDwthILEUo
Biografia
Yuts and Culture è una band di origine pugliese che combina le radici profonde della black music con uno spirito innovativo. Inizialmente formatasi come una band di Reggae Roots, ha arricchito il proprio stile con influenze Funk, Soul ed R'n'B. Il loro album di debutto, "Naked Truth", rappresenta questa evoluzione, fondendo ritmi in levare con groove funk e soul, mantenendo una forte connessione con la tradizione musicale degli anni '70 pur abbracciando la modernità. La loro musica autentica e spirituale mira a creare un profondo senso di empatia con l'ascoltatore. La band è composta da: Diego Martino alla batteria, Pierpaolo Polo al basso Elettrico, Alberto Zacà alla chitarra, Daniele Arnone alle tastiere, Kalad Marra alle tastiere, Angelo de Grisantis alle percussioni, Vincenzo Baldassarre alla voce, Carlo Gioia al sax, Lorenzo Lorenzoni al trombone, Carmen Melcarne e Liana Enrica ai cori.
"I got you" è il nuovo singolo degli Yuts and Culture disponibile sulle piattaforme digitali di streaming dal 25 ottobre 2024 e in rotazione radiofonica dal 1° novembre.
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“I GOT YOU”, il nuovo singolo degli Yuts and Culture
Dal 1° novembre 2024 sarà in rotazione radiofonica "I GOT YOU", il nuovo singolo degli Yuts and Culture sulle piattaforme digitali di streaming dal 25 ottobre per Irma Records.
"I got you" è un brano che denuncia una società che ignora la sua crisi spirituale e si muove in modo cieco verso un futuro sempre più disconnesso e disarmonico. L'essere umano nella sua morbosa ricerca del piacere e della ricchezza materiale crea le basi per uno squilibrio spirituale.
La frase "E così come ciechi camminiamo tra ciechi urtandoci uno con l'altro" evoca l'immagine di una società in cui le persone, incapaci di vedere oltre le proprie ossessioni e desideri, si muovono in modo distratto e inconscio.
"I Forti vivranno incomprensibilmente per i deboli" suggerisce una dinamica di potere in cui chi ha forza o risorse vive per sfruttare o dominare i più vulnerabili. Questo riflette una società che, incapace di riconoscere il proprio percorso errato, continua a perpetuare disuguaglianze e ingiustizie.
Hanno collaborato alla realizzazione del singolo: Fabio Luigi Conti Discographica (Cover e Artworks), Paolo Montinaro - Yeahjasi Spazio Recording Brindisi (Registrazione e Mix), Giovanni Versari (Master), Sara Giannone (Cori), Emanuele Coluccia (Sax solo e Sezione fiati), Antonio Macchia (Solo tromba e sezione fiati).
Commentano gli artisti a proposito del brano: "Questo brano riveste un'importanza particolare per noi, poiché si tratta di una celebrazione della nostra ispirazione artistica. Ci siamo ispirati a Marvin Gaye, in particolare all'album 'I Want You' del 1976, che rappresenta un pilastro della musica soul e R&B. La vocalità e le sonorità di questo lavoro richiamano in modo vivido il suo inconfondibile stile, caratterizzato da melodie avvolgenti e testi profondi. Per noi, questa canzone non è solo un omaggio a Gaye, ma simboleggia anche un equilibrio tra le sonorità del passato e quelle moderne. Attraverso questa composizione, desideriamo esprimere la nostra visione artistica: un dialogo continuo tra tradizione e avanguardia, in cui le radici musicali vengono reinterpretate e rinnovate per risuonare con le esperienze attuali."
Il visual video di "I Got You" nasce dall'idea di Davis Albert Valle che, ispirato dal sound groovy del brano, in particolare dalle percussioni, immagina delle pitture tribali rupestri, che ha poi creato e animato utilizzando la tecnica dello stop motion. Con questa tecnica, consente di dare vita alle pennellate, formando immagini e forme che sembrano danzare a ritmo di musica. L'effetto è quello di far vibrare visivamente ciò che solitamente appare immobile su una tela, come se le vibrazioni sonore potessero alterare e animare il dipinto stesso.
Guarda il video su YouTube: https://youtu.be/ocDwthILEUo
Biografia
Yuts and Culture è una band di origine pugliese che combina le radici profonde della black music con uno spirito innovativo. Inizialmente formatasi come una band di Reggae Roots, ha arricchito il proprio stile con influenze Funk, Soul ed R'n'B. Il loro album di debutto, "Naked Truth", rappresenta questa evoluzione, fondendo ritmi in levare con groove funk e soul, mantenendo una forte connessione con la tradizione musicale degli anni '70 pur abbracciando la modernità. La loro musica autentica e spirituale mira a creare un profondo senso di empatia con l'ascoltatore. La band è composta da: Diego Martino alla batteria, Pierpaolo Polo al basso Elettrico, Alberto Zacà alla chitarra, Daniele Arnone alle tastiere, Kalad Marra alle tastiere, Angelo de Grisantis alle percussioni, Vincenzo Baldassarre alla voce, Carlo Gioia al sax, Lorenzo Lorenzoni al trombone, Carmen Melcarne e Liana Enrica ai cori.
"I got you" è il nuovo singolo degli Yuts and Culture disponibile sulle piattaforme digitali di streaming dal 25 ottobre 2024 e in rotazione radiofonica dal 1° novembre.
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“I GOT YOU”, il nuovo singolo degli Yuts and Culture
Dal 1° novembre 2024 sarà in rotazione radiofonica "I GOT YOU", il nuovo singolo degli Yuts and Culture sulle piattaforme digitali di streaming dal 25 ottobre per Irma Records.
"I got you" è un brano che denuncia una società che ignora la sua crisi spirituale e si muove in modo cieco verso un futuro sempre più disconnesso e disarmonico. L'essere umano nella sua morbosa ricerca del piacere e della ricchezza materiale crea le basi per uno squilibrio spirituale.
La frase "E così come ciechi camminiamo tra ciechi urtandoci uno con l'altro" evoca l'immagine di una società in cui le persone, incapaci di vedere oltre le proprie ossessioni e desideri, si muovono in modo distratto e inconscio.
"I Forti vivranno incomprensibilmente per i deboli" suggerisce una dinamica di potere in cui chi ha forza o risorse vive per sfruttare o dominare i più vulnerabili. Questo riflette una società che, incapace di riconoscere il proprio percorso errato, continua a perpetuare disuguaglianze e ingiustizie.
Hanno collaborato alla realizzazione del singolo: Fabio Luigi Conti Discographica (Cover e Artworks), Paolo Montinaro - Yeahjasi Spazio Recording Brindisi (Registrazione e Mix), Giovanni Versari (Master), Sara Giannone (Cori), Emanuele Coluccia (Sax solo e Sezione fiati), Antonio Macchia (Solo tromba e sezione fiati).
Commentano gli artisti a proposito del brano: "Questo brano riveste un'importanza particolare per noi, poiché si tratta di una celebrazione della nostra ispirazione artistica. Ci siamo ispirati a Marvin Gaye, in particolare all'album 'I Want You' del 1976, che rappresenta un pilastro della musica soul e R&B. La vocalità e le sonorità di questo lavoro richiamano in modo vivido il suo inconfondibile stile, caratterizzato da melodie avvolgenti e testi profondi. Per noi, questa canzone non è solo un omaggio a Gaye, ma simboleggia anche un equilibrio tra le sonorità del passato e quelle moderne. Attraverso questa composizione, desideriamo esprimere la nostra visione artistica: un dialogo continuo tra tradizione e avanguardia, in cui le radici musicali vengono reinterpretate e rinnovate per risuonare con le esperienze attuali."
Il visual video di "I Got You" nasce dall'idea di Davis Albert Valle che, ispirato dal sound groovy del brano, in particolare dalle percussioni, immagina delle pitture tribali rupestri, che ha poi creato e animato utilizzando la tecnica dello stop motion. Con questa tecnica, consente di dare vita alle pennellate, formando immagini e forme che sembrano danzare a ritmo di musica. L'effetto è quello di far vibrare visivamente ciò che solitamente appare immobile su una tela, come se le vibrazioni sonore potessero alterare e animare il dipinto stesso.
Guarda il video su YouTube: https://youtu.be/ocDwthILEUo
Biografia
Yuts and Culture è una band di origine pugliese che combina le radici profonde della black music con uno spirito innovativo. Inizialmente formatasi come una band di Reggae Roots, ha arricchito il proprio stile con influenze Funk, Soul ed R'n'B. Il loro album di debutto, "Naked Truth", rappresenta questa evoluzione, fondendo ritmi in levare con groove funk e soul, mantenendo una forte connessione con la tradizione musicale degli anni '70 pur abbracciando la modernità. La loro musica autentica e spirituale mira a creare un profondo senso di empatia con l'ascoltatore. La band è composta da: Diego Martino alla batteria, Pierpaolo Polo al basso Elettrico, Alberto Zacà alla chitarra, Daniele Arnone alle tastiere, Kalad Marra alle tastiere, Angelo de Grisantis alle percussioni, Vincenzo Baldassarre alla voce, Carlo Gioia al sax, Lorenzo Lorenzoni al trombone, Carmen Melcarne e Liana Enrica ai cori.
"I got you" è il nuovo singolo degli Yuts and Culture disponibile sulle piattaforme digitali di streaming dal 25 ottobre 2024 e in rotazione radiofonica dal 1° novembre.
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Oggi ricordiamo la tragedia del Vajont
Il disastro del Vajont ha segnato profondamente la storia italiana. Questo evento ha visto una protagonista eccezionale, Tina Merlin, una giornalista il cui impegno e coraggio non sono stati sufficienti a prevenire la catastrofe. Nata a Trichiana nel 1926, Tina era figlia di Cesare Merlin e Rosa Dal Magro. Cresciuta in una famiglia segnata da lutti e resistenza, la sua vita è stata costellata di attivismo e passione per la verità. Sin da giovane, Tina si distinse per il suo impegno nella Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale, partecipando come staffetta dal 1944. Dopo il conflitto, nel 1949, sposò il partigiano Aldo Sirena, con cui ebbe un figlio. La sua carriera giornalistica iniziò con racconti pubblicati sulla Pagina della donna de l’Unità e, dal 1951 al 1982, servì come corrispondente per il medesimo quotidiano in diverse città italiane. La sua opera letteraria, pur significativa, è spesso superata dall’importanza del suo lavoro investigativo riguardo alla diga del Vajont. Tina Merlin divenne una voce inascoltata, denunciando i pericoli della costruzione della diga e dando voce agli abitanti di Erto e Casso. Le sue denunce, però, non furono accolte con favore; nel 1959, il conte Vittorio Cini, presidente della SADE, fece denunciare Tina per “diffusione di notizie false e tendenziose”. Nonostante ciò, fu processata e assolta nel 1960, un riconoscimento della verità del suo operato. La notte del 9 ottobre 1963, il disastro del Vajont si verificò, causando una delle più gravi tragedie ambientali della storia italiana. Tina, desiderosa di raccontare e analizzare quanto accaduto, tentò di pubblicare il libro “Sulla Pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont”, che fu finalmente pubblicato solo nel 1983. Nonostante le ingiustizie subite e l’ostracismo delle istituzioni, Tina Merlin non si arrese mai. La sua storia è un monito e un invito alla riflessione sull’importanza di dare voce a chi denuncia e cerca la verità. La sua morte, avvenuta il 22 dicembre 1991, non ha messo fine al suo legato: la sua lotta per la verità e la giustizia continua a ispirare le generazioni future. Oggi, mentre ricordiamo il disastro del Vajont, rendiamo omaggio a Tina Merlin, una donna che ha saputo opporsi all’ingiustizia con coraggio e determinazione, diventando un simbolo di integrità e resistenza. La sua storia è una parte fondamentale della memoria collettiva italiana e un richiamo a vigilare sempre sulla sicurezza e il rispetto dell’ambiente. Read the full article
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Bourbon in un giro di blues di GiovanniCoppola
Il Pub Charlie Brown Bourbon in un giro di blues di Giovanni Coppola edito da Algra Editore è un romanzo che cattura il lettore fin dalle prime pagine. L’ iniziale atmosfera accogliente prepara il lettore alla dura realtà delle pagine seguenti che si intrecciano con le chiacchiere al Charlie Brown, il pub di Felix, l’isola felice dei quattro protagonisti del romanzo. A fare da sfondo ai sogni, alle speranze e alle delusioni dei personaggi c’è Catania, la città di Giovanni Coppola, che ci restituisce storie di mafia e di connivenze che la avvelenano e che racconta un clima di corruzione e immobilismo. In Bourbon in un giro di blues di Giovanni Coppola si parla anche di anni di piombo, di malavita, di droga e di corruzione, temi che aprono ferite in ognuno di noi e che si alternano alle disillusioni dei protagonisti di questo romanzo, ricco di spunti e riflessioni. Ringraziamo Giovanni Coppola per le sue interessantissime risposte che ci hanno dato la possibilità di capire la necessità che ha spinto l’autore a trattare determinati temi. Bourbon in un giro di blues di Giovanni Coppola Salve Giovanni, lei è nuovo ai lettori di Cinquecolonne Magazine, ci racconta brevemente cosa le piace e cosa fa nella vita? Innanzitutto, un caro saluto ai lettori di Cinquecolonne Magazine e un grazie particolare a voi. Le rispondo: sono attratto dalla semplicità, dalla convivialità e dai libri. Mi piacciono anche le tradizioni, autentici forzieri di valori e saperi. Nella vita oltre che scrivere svolgo l'attività di imprenditore e non so decidermi quale considerare professione e quale hobby. Il suo romanzo è decisamente contro il politicamente corretto. Come le è nata l’idea? C’è stata una notizia, un evento che le ha fatto scattare la scintilla? Il mio è un romanzo “contro” non solo il politicamente corretto, ma anche contro la biopolitica e contro l'ipocrisia di certe narrazioni egemoniche. Mi risulta insopportabile sia il tentativo insistente di rimuovere la natura e sia l’opprimente coltre biologica che si vuol mettere sopra le nostre vite. Natura significa mondo originario, differenze originarie, pensiero originario. La nostra civiltà nasce da tutto questo. Così come non tollero l'ipocrisia che ha ammantato un certo periodo storico denominato “anni di piombo”, che ha come parentesi di apertura l'omicidio dell'agente di polizia Annarumma e quella di chiusura l'omicidio del militante di destra Paolo Di Nella; all'interno di esse sono state scritte orribili bugie e commesse terribili ingiustizie. Nessun evento, ma una presa di coscienza ha determinato la mia denuncia. C’è un protagonista a cui si sente particolarmente vicino, che le assomiglia? Io vivo, diluito, nei miei personaggi, ognuno di loro ha una parte di me. Quindi ritengo che, anche minimamente, tutti mi somigliano. Gli scrittori sono dei demiurghi, dei creatori di mondi a loro somiglianza. Tecnicamente non può esistere nessun distacco asettico tra lo scrittore e i suoi personaggi. È come se Dio voltasse le spalle alle sue creature, pensiero che cozzerebbe contro il dogma che accomuna tutte le religioni. Impossibile...impossibile. Lei ambienta Bourbon in un giro di blues a Catania, la sua città. E’ difficile raccontare la parte brutta della propria città. C’è più speranza o più rabbia nella penna di chi scrive quando si affrontano certi nodi? Catania è la città delle contraddizioni, ha delle caratteristiche che la rendono bella e che solo lei possiede, ma è anche la città delle grandi periferie, che la rendono brutta e appesantita. Le grandi periferie sono quelle che determinano il futuro sociale, politico ed economico di una città. Le periferie catanesi sono luoghi anonimi, di un brutto che abbrutisce, che non hanno narrazione e che rappresentano per chi ci vive quadri di riferimento che contengono una piramide capovolta di valori. Lo scrittore ha il dovere di evidenziare i limiti e le storture della città che ama. Io amo troppo Catania e per questo attraverso la scrittura denuncio i suoi limiti e le sue brutture. Alcuni pensano che gli scrittori abbiano temi particolari, quasi delle ossessioni su cui scriveranno per tutta la vita. Lei ne ha? É vero che gli scrittori hanno dei temi particolari che si evolvono in ossessioni. Penso a James Ellroy, tormentato dall'omicidio della madre o a Celine con il suo disgusto per il genere umano. I loro romanzi sono caratterizzati fortemente da queste ossessioni. I miei romanzi esprimono un realismo critico che fa emergere diverse denunce, non solo un tema o un tormento. Denuncia contro il politicamente corretto, contro l'abbandono e l'abbrutimento delle periferie, contro la fascinazione delle organizzazioni criminali, contro l'abbandono in senso lato. Però se devo considerare un comune denominatore dei miei due romanzi, credo che sia quello dell’amore scorbutico. Read the full article
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Rossella Seno - Il nuovo concept album “La Figlia di Dio”
Dal 13 gennaio su tutte le piattaforme digitali l’atteso lavoro della cantattrice veneziana
La cantattrice veneziana Rossella Seno presenta il suo nuovo lavoro musicale “La Figlia di Dio” online su tutte le piattaforme digitali da venerdì 13 gennaio, un concept album ad alto profilo culturale e sociale, insito nello stile e nell’attività dell’artista, da sempre attiva riguardo importanti tematiche sociali ed ambientali. Un’opera discografica laica ed allo stesso tempo religiosa, contenente 12 brani, che puntano il dito sulle ingiustizie e le sopraffazioni, lasciando cadere tabù e inibizioni. Ogni canzone porta con sé l’opportunità di una lettura che va oltre l'apparenza, che viene “silenziata” offrendo così all'ascoltatore la possibilità di una ricerca più profonda, libera dagli inganni, senza giudizio alcuno, per cercare di capire “l’altra realtà”. Un album concepito in toto dalla stessa artista, sia per la scelta dei brani che degli autori, con la preziosa collaborazione di Massimo Germini, anch’egli autore, arrangiatore e produttore dell’album.
Rossella Seno racconta le tante storie che le stanno a cuore, realizzando un album fuori dagli schemi, come quelli imposti dal mainstream e dalle logiche del mercato, soprattutto nella scrittura dei testi che riportano allo stile del periodo d’oro delle canzoni d’autore (e di denuncia) in stile De Andrè, artista tra l’altro citato ed inserito nel progetto con un suo brano. Prodotto dalla casa discografica “Azzurra Music” in collaborazione con l’Associazione Culturale “Disobedience”, l’album vede come ospiti speciali Allan Taylor e Alessio Boni, attore scelto non a caso, per il suo impegno in prima persona in diverse cause sociali ed umanitarie. L’opera ha il Patrocinio della Comunità San Benedetto al Porto (Ge) fondata dal presbitero, educatore e attivista Don Andrea Gallo che citava spesso: “Il potere e i poteri sono contro Dio, perché temono coloro che pensano. Sono sempre stato attratto dal desiderio di riscatto della condizione umana emarginata. È il fulcro del Cristianesimo. Non c’è fanatismo e non c’è rassegnazione. È messaggio evangelico, è Buona Novella”.
La tracklist dell’album è composta da:
Nessuno è stato portato in cielo - voce Alessio Boni (Michele Caccamo)
Requiem (Marco Aime – Massimo Germini)
Candide (Pino Pavone – Massimo Germini)
Cantami (Sing me) feat. Allan Taylor (Allan Taylor- trad.Federico Sirianni)
Zohra (Matteo Passante – Massimo Germini)
La colomba (The dove) (Allan Taylor- trad. Federico Sirianni)
Don Gallo e i suoi millesimi (Michele Caccamo – Massimo Germini)
Prima che il gallo canti (Pino Pavone – Massimo Germini)
Sono solo un suono (Michele Caccamo – Massimo Germini)
Un tempo immondo feat. Massimo Germini (Michele Caccamo – Massimo Germini)
Si chiamava Gesù (Fabrizio De Andrè - Fabrizio De André/Gian Piero Reverberi)
La figlia di Dio (Federico Sirianni)
Tra questi titoli approfondiamo in breve il significato dei seguenti brani:
Candide - Brano tratto dal libro di Marilù Oliva, “Biancaneve nel 900”, una tragedia vecchia di decenni cominciata nel Sonderbau, il bordello del campo di concentramento di Buchenwald.
Zohra - Aveva otto anni, non giocava con le bambole, né andava a scuola ma faceva la domestica presso una coppia di Rawalpindi (Pakistan). Fu torturata e uccisa per aver (accidentalmente?) liberato due pappagallini dalla gabbia.
Solo solo un suono - Il diritto alla morte, eutanasia o suicidio assistito. Dedicata a DJ Fabo, tetraplegico dopo un incidente, che scelse di morire con il suicidio assistito in una clinica Svizzera. La carriera artistica di Rossella Seno si caratterizza per la scelta ben precisa di essere una “cantattrice”, che propone temi sociali molto forti; il suo debutto avviene al Piccolo Ambra Jovinelli con “La rossa di Venezia”, di Giò Alajmo, spettacolo di teatro-canzone, one woman show, con la regia di Claudio Insegno. Il suo percorso la vede protagonista con altri artisti nel settore musicale e, per due anni consecutivi, partecipa all' “Animal Live Aid” di Roma, primo concerto in favore dei diritti degli animali. È protagonista attiva del “Calendario Solidale 2017” ed è testimonial della Onlus "Ti amo da morire", contro il femminicidio. Per quattro anni è stata in scena con lo spettacolo “Cara Milly – parole d’amore e di guerra già cantate da Carla Mignone”, un viaggio lungo un secolo nel quale si affrontano tematiche purtroppo attuali, quale l'odio che genera le guerre, l'abbandono, il maschilismo. Nel 2017 è in scena con “Puri come una bestemmia” - spettacolo di canzone - teatro, con Lino e Yuki Rufo ed ancora in “L’Amore Nero”, sempre con Lino Rufo dove si affronta ancora una volta il tema del femminicidio. Nell'aprile 2020, in pieno lockdown, esce "Pura come una bestemmia", un'opera musicale di impegno sociale, destinata a scuotere anime e coscienze, scritta a più mani da autori di grande spessore e accolta straordinariamente dalla critica. In perenne movimento tra teatro e musica, la Seno debutta nel 2021 al Teatro Arciliuto di Roma con lo spettacolo “Io sono eterna”, dove la consueta formula della canzone/teatro sociale – civile diventa ormai il suo stile ampiamente riconosciuto.
Isabel Zolli Promotion Agency
Sede Operativa: via Simone De Saint Bon 47 – Roma
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Moni Ovadia (ebreo italiano): “Le principali istituzioni ebraiche del nostro paese perseguono con miope accanimento la trasformazione dell’ebraismo italiano organizzato in legazioni diplomatiche del governo di Bibi Netanyahu. I dirigenti delle nostre comunità probabilmente ricevono ordini precisi e li eseguono con zelo. Il primo “comandamento” da seguire è: il governo e l’esercito di Israele hanno sempre ragione. Il secondo è: gli israeliani sono sempre vittime anche se muoiono i palestinesi. Terzo, chi difende i diritti autentici del popolo palestinese è un agente di Hamas. Quarto, chi denuncia ingiustizie, sadismi, stillicidi perversi contro i civili palestinesi è un antisemita e cosi via.” Saleh Zagloul
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Nadia Urbinati
"Tassare le ricchezze puo' essere l'inizio dell'uscita dal nuovo feudalesimo"
"Ci abbiamo mai fatto caso che il discorso sulla crisi ha in questi anni marciato su due binari paralleli? Crisi della democrazia e crisi del capitalismo. Sulla prima si è accumulato materiale che potrebbe riempire alcuni scaffali. Sulla seconda, la produzione è meno abbondante ma non se si include la trattistica sulla disuguaglianza. Recentemente Carlo Trigilia ha curato un volume per il Mulino, Capitalismi e democrazie che offre un’analisi comparativa di come le democrazie elettorali hanno risposto alla crisi economica; il bilancio non è necessariamente negativo: i percorsi dei paesi europei mostrano come la “macchina complessa” della democrazia possa rispondere alla sfida “durissima” che viene dalle relazioni tra lo stato e il mercato. Proviamo a fare un esperimento mentale: che cosa succede se invece di tener distinti i due termini – capitalismo e democrazia, mercato e stato—li trattiamo come parti di un sistema integrato? E’ questo che Albena Azmanova si propone di fare nel suo ambizioso e, dice Claus Offe, potenzialmente sovversivo, Capitalism on Edge: How Fighting Precarity Can Achieve Radical Change Without Crisis of Utopia (Columbia University Press, 2020). L’autrice, docente nell’università di Kent, con una biografia di attivista e dissidente negli anni della caduta del regime comunista in Bulgaria, ha studiato a New School e ad Harvard e ha una formazione francofortese. Il quadro teorico e concettuale nel quale situa la sua ricerca socio-politica è quello del realismo critico, che potremmo sintetizzare con le parole di Paul Valery: “Il modo migliore per far sì che i sogni diventino realtà è svegliarsi”. Realismo critico significa in questo caso evitare di guardare il capitalismo da un punto di vista morale o desiderativo. Per questo, parlare di crisi ha poco senso, perchè presume che vi sia una condizione stabile o di buona salute (ma buona per chi?) alla quale riportare il capitalismo. Secondo Azmanova non di crisi si dovrebbe parlare ma di cicli di mutamento delle condizioni di generazione del profitto. Il capitalismo che molti dipingono in agonia o propongono di rendere “buono” sta benissimo come motore di prosperità selettiva. Ed è l’attenzione al problema “sistemico” che consente di vedere i segni delle trasformazioni epocali: nel nostro tempo, il populismo xenofobo o le rivolte dei disperati segnalano una “pena crescente” di molte persone che la retorica del benessere generalizzato e della crescita aveva per qualche decennio alleviato. Conservatori e progressisti trattano il capitalismo come un fenomeno morale che può essere piegato alle ragioni della giustizia che stanno prima e sopra di esso. Secondo Azmanova questa lettura non aiuta a capire il nostro tempo e neppure la logica di sistema. I discorsi sulla crisi derivano da una teoria della giustizia che si propone di lenire le grandi sofferenze con i mezzi che il capitalismo offre, muovendo cioè le leve o della liberalizzazione o dell’intervento statale. E’ possibile uscire da questo circolo chiuso?
Secondo Azmanova è possibile se si resta marxianamente all’interno del processo immanente del capitalismo, che non è istigato da menti o volontà perverse o esterne ad esso. Si tratta di una pratica di pensiero radicale. Primo passo: trattare le nostre società come ordini istituzionali che combinano la democrazia come sistema politico al capitalismo come sistema sociale. La democrazia capitalistica comprende due ordini, economico e politico, che si sostengono a vicenda perchè azionati dalla stessa logica, come diceva Schumpeter: generazione competitiva del profitto e generazione competitiva della classe politica. Alcuni anni fa, Francesco Galgano tracciò la storia del principio di maggioranza a partire dalla Compagnia delle Indie, della quale John Locke era un azionista. L’evoluzione delle democrazie come del capitale azionario è da allora andato da soluzioni di eguaglianza orizzontale a soluzioni miste di oligarchia e democrazia. O l’elettore è un uguale in senso aritmetico (una testa/un voto) o invece la sua ugualianza è proporzionale all’interesse o al potere da rappresentare (peso del voto secondo le quote di capitale). Democrazia e capitalismo hanno seguito un andamento dall’uguaglianza all’oligarchia, pur restando l’eguaglianza degli individui il principio che giustifica la competizione.
Azmanova propone una lettura simile: la democrazia elettorale attuale, dice, è generatrice di oligarchia proprio per le pratiche competitive che la muovono. E offre valvole di sfogo, lasciando aperti spazi di contestazione della disuguaglianza, come con Occupy Wall Street o gli Indignados. Secondo Azmanova queste sono reazioni innocue anche perchè traducono le afflizioni e le condizioni di assoluta precarietà in una denuncia fuori tiro, sbagliata -- la disuguaglianza -- senza mai andare alla radice dell’ordine che la genera. Quindi il capitalismo continua a prosperare a dispetto della insoddisfazione pubblica che genera.
Del resto, nonostante le dichiarazioni di crisi del capitalismo c’è generale consenso sulle strategie di intervento (alternanza di deregolamentazione e liberalizzazione e di ciclici di intervento pubblico in momenti di instabilità). Fino ad ora, tutti i governi democratici, di destra o di sinistra, hanno perseguito l’obiettivo di salvare il capitale finanziario e il “big business” implementando programmi di austerità con il risultato di generare più povertà e più precarietà. E le rivolte, a tratti anche violente, come quella dei gilets jaunes francesi o le reazione populiste, non cambiano questa situazione: sono allenamenti alla resistenza al peggio, cioè resilienza. Incanalare la frustrazione contro i poveri non nostri e contro i super-ricchi del mondo: xenofobia e invidia sociale. Due strade che non portano a nulla se non a restare dove si è.
Ha scritto Harry Frankfurt in Inequality (2015) che siamo fuori tiro quando lamentiamo la disuguaglianza. Dovremmo in effetti preoccuparci della povertà: il povero soffre perchè non ha abbastanza di che vivere. Dargli di che vivere è l’obiettivo materiale, anche a costo di togliere a chi ha più. L’obbligo morale sarebbe quindi non quello di conquistare più eguaglianza ma di eliminare la povertà. L’oscena accumulazione della ricchiezza è offensiva non rispetto all’uguaglianza (di che cosa? In relazione a che cosa? Tra chi?) ma alla poverà, al fatto empirico ed evidente della miseria che non consente sofismi. Eppure tutti parlano della disuguaglianza, dai presidenti delle banche e degli organismi economici internazionali ai riformatori liberal.
Perchè la disuguaglianza, che è una caratteristica delle società di mercato da sempre, all’improvviso è tanto discussa da tutti? Perchè siamo disturbati più da chi è ricco che da chi è povero? Se insistessimo sulla povertà saremmo meno inconcludenti e daremmo più spazio ai discorsi materiali; se cessassimo di parlare di crisi del capitalismo vedremmo meglio che questo sistema è basato sulla produzione di povertà, di ingiustizie e di dominio. Nella Favola delle api (1723) di Bernard de Mandeville, si legge che la ricchezza nasce dalla povertà, la prosperità dal lavoro salariato; il benessere delle nazioni è misurato dalla massa dei poveri laboriosi che faticano senza aspirare ad investire in bellezza e cultura, merci di lusso non a buon mercato. La religione della sopportazione e il mito della condizione umana sempre uguale a se stessa sono servite per secoli a lenire il senso disperante di non aver altro che la propria miseria. Nel nostro tempo che sembra aver eternizzato il capitalismo, quale risposta si può dare a Mandeville per il quale la storia è storia di sfruttamento e di ricchezza che si ripete sempre uguale perchè l’antropologia non cambia? Si può in effetti rispondere che questa storia non si ripete mai sempre uguale perchè gli esseri umani, dopo tutto, non sanno rinunciare, diceva Jean-Jacques Rousseau, a perfezionarsi e, così facendo, scompaginano la loro stessa antropologia e il corso delle cose, creano senza premeditazione crepe nel sistema. Non c’è nessuna regia della storia, sono gli umani a non poter essere addomesticati. Per tanto, pur senza un disegno che determina il corso delle cose, vale il detto che il diavolo si annida nei dettagli. E la libertà è il dettaglio sovversivo. Qualche scintilla qui è là, manifestazioni di scontento sempre meno sporadiche valgono a mettere in circolo l’idea che si può interrompere la legge ferrea della povertà e della perversa ideologia della precarietà come condizione che meritiamo. Il movimento del 68 fu un assaggio della possibilità sempre aperta di scompaginare l’ordine della gerarchia. Oggi l’insoddisfazione per la massiccia ed espansa precarietà può aprire una nuova possibilità. Segni ne sono anche le reazioni xenofobe e protezionistiche, risposte alla precarietà e alla povertà inadeguate e capaci di mettere la democrazia a rischio. Tassare le ricchezze è invece il punto da cui partire, scrive Azmanova, non per invidia di chi ha molto o per rendere tutti ugualmente ricchi, ma perchè esse sono disfunzionali in quanto rappresentanto un feudalesimo di ritorno e un’oligarchia autoprotetta, condizioni che stridono con le premesse competitive del sistema capitalismo e della democrazia."
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Joker begins
(un po’ di spoiler qua e là)
Todd Philips ha descritto il suo Joker come «un film vero travestito da film sui fumetti». Come quasi sempre succede di fronte a formule del genere, è vero esattamente il contrario: il nuovo film DC è un film sui fumetti travestito da film “vero”, dove questo aggettivo manifesta tutta la sua inconsistenza.
Cosa significa infatti “vero” nel caso di un film del genere? Realistico? Ma cosa c’è di realistico in un film come quello di Philips, che impone allo spettatore un’ultraviolenza volutamente paradossale, descrivendo un personaggio che più del Joker sembra Paperino? Anche questo fraintendimento riguardo la “verità” e la “serietà” dei fumetti era già stato oggetto di una profonda analisi, ma da parte dei fumetti stessi. La cosiddetta Dark Age, segnata dai capolavori di Alan Moore, Frank Miller e Grant Morrison, è finita da almeno dieci anni, eppure il cinema continua a rimanere tragicamente indietro, pensando che per fare un film serio e profondo basti fare un film cupo, cinico, privo di speranza.
Allontanare Joker dalla propria origine fumettistica significa darlo in pasto alle critiche. Non si capisce nulla di questo film se non lo si considera per ciò che è: un film sui fumetti, un ottimo film sui fumetti. Il presunto realismo di Joker è un effetto retorico di cui la regia ha volutamente abusato, contro il quale giustamente si scagliano le critiche che non colgono il punto: non si sta parlando di una docufiction, non abbiamo a che fare con un film di denuncia. Si tratta di un’opera che delinea l’ennesimo ritratto di una creatura dell’immaginario novecentesco, e lo fa usando la tavolozza che a questo immaginario pertiene: la caricatura, che nasconde la complessità dei temi nelle crepe di un racconto pensato per essere letto da chiunque, per offrire risposte semplici a chi vuole risposte semplici.
Qual è la risposta più semplice che si può trarre dal film? Che il male è un prodotto sociale. Joker racconta la storia di un disagiato, di un povero figlio di un dio minore abbandonato dalla società e tradito dagli affetti. La spirale discendente di Arthur Fleck è presentata come un teorema in cui gli episodi di sconcertante violenza e prevaricazione fanno da semplici premesse, fino a raggiungere l’inevitabile conclusione: se la società non concede nessuna alternativa, allora l’unica alternativa è quella di fare una strage. L’interpretazione più semplice di Joker è anche quella apparentemente più raffinata: fare del film di Todd Philips una colorita genealogia dello stragismo, che cercherebbe di mettere in luce i motivi profondi dietro l’epidemia di sparatorie degli ultimi anni negli Stati Uniti. Se il punto è questo, l’unica scena degna di nota è quella in cui ad Arthur viene tagliato il supporto psichiatrico. Due ore di film servono a dirci che i tagli all’assistenza sanitaria producono disagio, esclusione sociale e pericoli di radicalizzazione? Sembra un bottino piuttosto gramo.
Per questo il confronto con il Joker di Christopher Nolan lascia decisamente il tempo che trova. Ipnotizzati dalle analogie e dalle differenze tra le performance attoriali, i critici non si avvedono del fatto che un confronto tra Joker e The Dark Knight falsa completamente la posizione del primo, riducendolo al secondo. Nel secondo capitolo della trilogia di Nolan il Joker gioca una parte nel confronto tra due teorie opposte circa la società e la morale. Lo scontro tra Batman e il personaggio di Heath Ledger descrive il confronto tra due posizioni assolute: da un lato la teoria dell’individuo fondamentalmente buono, per quanto spesso incattivito o reso disperato da un crescente peso sociale; dall’altro l’idea della società come maschera necessaria per nascondere la mostruosità dell’essere umano, per tenerne a bada la sostanziale malvagità. Il personaggio di Joker sparisce all’interno di questa contrapposizione, esso è la sua tesi: come in diversi fumetti, il suo obiettivo fondamentale non è sconfiggere Batman, ma provare la propria tesi facendosi ammazzare da Batman, dimostrando così che addirittura il più rigido tutore dell’ordine è incapace di mantenerlo fino in fondo.
Il Joker di Nolan rispetta una contrapposizione idealtipica tra i due personaggi, contrapposizione che si manifesta anche nella loro costruzione: se l’origine di Batman è nota a tutti - ed è infatti l’oggetto di un intero film, il primo della trilogia - l’origine di Joker non è solo ignota, ma del tutto irrilevante. Non importa comprendere “la nascita” di Joker, perché Joker non ha origine, è una forza primigenia, un elemento di disturbo strutturale all’interno della società, che la legittima proprio in quanto le si oppone. La società come noi la conosciamo, con le sue strutture fatte di burocrazia, polizia, monopolio della violenza, potere esecutivo, ha senso solo in quanto è possibile postulare la figura del nemico della società: Joker è precisamente questo, è l’immagine estremizzata del criminale, del pirata, del terrorista. La figura del Joker anarchico all’interno del film di Nolan, dunque, è una conseguenza diretta di questa sua interpretazione del ruolo del nemico di Batman: nel secondo capitolo della trilogia del Cavaliere Oscuro Joker è un individuo isolato, asociale perché antisociale, così estremo nel proprio antagonismo a qualsiasi forma di convivenza da risultare inaccettabile anche per le figure di cui egli stesso è un’immagine potenziata (i mafiosi e i criminali di Gotham).
Tutto ciò non ha niente a che vedere con il Joker di Todd Philips, che non è affatto un “film a tesi”. Se si appiattisce il Joker di Phoenix su quello di Ledger, l’effetto è per l’appunto la “risposta facile” di chi si stanca di osservare: da anarcoterrorista sconfitto, Joker si trasforma in stragista pentastellato sostanzialmente giustificato dalla propria storia disgraziata. Il confronto con The Dark Knight trasforma il film di Philips in un film apologetico, proprio perché non riesce a vederne la reale struttura. Questa struttura emerge solo se il confronto viene effettuato con la sua vera controparte, ovvero con la storia delle origini offerta da Batman begins. Con i suoi toni fumettistici e difficili da digerire anche per chi ha apprezzato il sequel, Batman begins offre una genesi del Cavaliere Oscuro perfettamente commisurata alla futura comparsa di Joker: anche qui infatti Batman è il frutto di un’individualità eccezionale, che non incarna il rifiuto della società ma piuttosto l’idea di un bene che resta al di là e al di sopra di qualsiasi discorso sociale. La contraddizione del conflitto Batman-Joker è la contraddizione dello scontro tra due asociali, scontro che però non può che giocarsi sul terreno sociale.
Rispetto a Joker, tuttavia, Batman ha una propria origine ben precisa: egli diventa paladino di una giustizia irriducibile alla società proprio perché da quella società è stato tradito. Dietro l’origine di Batman si cela la fiducia un po’ conservatrice nei confronti dell’ideale dell’eroe, nella capacità quasi superumana dell’uomo di resistere a qualsiasi forza centrifuga e rimanere una creatura civile. La complessità del mito di Batman è che questa capacità superumana viene pagata con l’esclusione dalla società: nella formula fortunatissima del secondo capitolo della trilogia, Batman è l’eroe di cui Gotham ha bisogno, ma non è l’eroe che Gotham merita. La figura di Batman vive nello spazio creato da una tensione: la tensione tra i principi della convivenza sociale e l’impossibilità della loro piena attuazione.
Arriviamo allora finalmente al Joker di Philips. Una storia delle origini, dicevamo, in cui però il discorso appare molto più complesso rispetto alla “risposta facile” già menzionata. Innanzitutto, quella risposta richiederebbe la trasformazione di una persona sostanzialmente sana e ben integrata nella società in uno psicopatico assassino, come ad esempio Joker cerca di fare con il commissario Gordon nell’esperimento di The Killing Joke. La tesi di Joker, perfettamente affine a quella alla base della trilogia di Nolan, è che la differenza tra un membro sano della società e lo stesso Joker sia solo “a bad day”.
Ma nel Joker di Philips, nonostante la citazione esplicita del fumetto, non è affatto così: Arthur Fleck è già profondamente disturbato, è già stato ricoverato, vive già in un mondo di fantasie. La sua trasformazione in Joker non è il prodotto della violenza della società, ma al contrario, del modo in cui la società risponde ai suoi gesti di disperazione: Fleck non uccide per “punire le ingiustizie”, ma in un disperato tentativo di autodifesa. Arthur commette i propri crimini da vittima degli eventi, ma se ne riappropria simbolicamente solo quando vede - con sorpresa - il modo in cui quei gesti vengono interpretati dagli altri. La sua evoluzione in Joker non è una risposta alla società, ma un frutto della società, che si ostina a interpretare politicamente dei gesti che non hanno niente di politico. Il messaggio disturbante del film di Philips è che Joker, in questo contesto, è una figura non di opposizione, ma di riconciliazione: egli è l’eroe di cui Gotham ha bisogno e l’eroe che Gotham merita, ma solo perché le aspettative dei cittadini si sono appiattite sul piano più becero possibile, ovvero trovare qualcuno che “gliela faccia vedere a quelli lì”. La contraddizione latente, ovviamente, è quella più amara: sono quelle stesse persone che hanno brutalizzato Arthur, che hanno risposto con cinismo e violenza alla sua gentilezza, ad accogliere festanti la “giustizia” di Joker. Questa è la genialità del film di Philips: mostrare un Joker non archetipico, che è vittima della società non nella propria disfatta, ma proprio nel momento della rivalsa.
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Ischia Film Festival, sguardo sul cinema sociale in “Location Negata”
Violazione dei diritti umani, parità di genere, emarginazione, sono solo alcuni dei temi a forte valenza sociale della sezione “Location negata” della 20esima edizione dell’Ischia Film Festival, che si terrà nel Castello Aragonese dal 25 giugno al 2 luglio 2022.
Il Festival, dedicato al cinema che promuove l’unicità dei territori e le identità culturali, non rinuncia ad aprire una finestra su opere accomunate da uno spirito di denuncia di ingiustizie e diseguaglianze disseminate in ogni angolo del pianeta. Sono 12 le opere selezionate in concorso (6 lungometraggi e 6 cortometraggi) molte delle quali presentate in anteprima.
«I film che accendono i riflettori sulle contraddizioni del nostro mondo, dimostrano il potenziale del cinema di sensibilizzare le coscienze degli spettatori. Se la maggior parte delle opere selezionate all’Ischia Film Festival racconta la bellezza di paesaggi e territori, attraverso la sezione “Location negata” non intendiamo sottrarci al dibattito su tematiche scomode ma necessarie per smuovere l’opinione pubblica internazionale», ha spiegato Michelangelo Messina, direttore artistico del Festival.
A noi rimane il mondo (anteprima campana), di Armin Ferrari, racconta le ramificazioni del lavoro creativo di Wu Ming, il collettivo italiano di narratori militanti e d’avanguardia, e le esperienze emerse dal loro impegno attivo nel plasmare una diversa narrazione degli ultimi vent’anni di contro cultura e lotta politica in Italia.
La storia travagliata del Congo, attraverso la vita quotidiana di gente semplice e contadini, è al centro di
Amuka (anteprima campana), di Antonio Spanò.
Footsteps on the wind (anteprima campana), di Maya Sanbar, Faga Melo, Gustavo Leal, è un cortometraggio di animazione basato sulla canzone di Sting “Inshallah”. Il film racconta, attraverso il punto di vista di un gruppo di bambini, la dura realtà dei rifugiati di tutto il mondo.
È un lavoro di stampo antropologico, su una comunità indigena argentina che prova a resistere all’ennesimo tentativo di distruzione della loro cultura, Husek (anteprima italiana), di Daniela Seggiaro.
I’ll stand by you (anteprima campana) di Virginija Vareikyte e Maximilien Dejoie è una storia al femminile che affronta il delicato tema del suicidio. Due donne, una psicologa e un agente di polizia, si impegnano nel portare avanti un progetto nella loro città natale: ridurre il numero record di suicidi.
Di condizione della donna in Cina, e del tema dell’utero in affitto, si occupa il cortometraggio Lili alone (anteprima campana), di Zou Jing. L’amore di un padre che per la figlia neonata è disposto ad affrontare qualsiasi ostacolo, nel corto iraniano Middle eastern stories: Father (anteprima campana) di Reza Daghagh.
Protagonisti di Nosema (anteprima italiana), di Etna Ozbek, sono alcuni membri di una comunità cattolica di un piccolo villaggio rurale turco che, dagli anni ’90, sono stati privati della propria terra e delle proprie radici. A causa delle incursioni militari, queste persone hanno perso ogni cosa e le loro case sono state più volte bruciate e depredate.
Once were humans (anteprima campana), di Goran Vojnović, è un film di confine girato tra Slovenia e Italia. Bellissimi i paesaggi, in contrasto con il dramma dei migranti, rifugiati nel camion erroneamente rubato dal protagonista per risolvere i suoi problemi finanziari.
Singing in the wilderness (anteprima italiana), di Dongnan Chen, propone il tema dell’identità culturale, attraverso le vicende di una minoranza etnica cinese che trova nelle attività di un coro religioso la possibilità di restare attaccata alle proprie tradizioni a rischio di estinzione.
Terra Dei Padri (anteprima campana), di Francesco Di Gioia, racconta la deportazione di numerosi civili nei primi anni di occupazione italiana in Libia. Un viaggio via mare e via terra scandito dai versi in rima alternata del poeta Fadil Hasin Ash-Shalmani. Il tema dei diritti LGBT è declinato in modo sofferto e poetico nel cortometraggio libanese Warsha (anteprima campana), di Dania Bdeir.
Location Negata
A noi rimane il mondo (Italia, 2022) di Armin Ferrari
Amuka (Belgio, 2021) di Antonio Spanò
Footsteps on the wind (Brasile, Regno Unito, Stati Uniti 2022) di Maya Sanbar, Faga Melo, Gustavo Leal
Husek (Argentina, 2021) di Daniela Seggiaro
I’ll stand by you (Lituania, 2021) di Virginija Vareikyte e Maximilien Dejoie Lili alone (China, 2021) di Zou Jing Middle eastern stories: Father (Iran, 2021) di Reza Daghagh Nosema (Turchia, 2021) di Etna Ozbek Once were humans (Slovenia, 2021) di Goran Vojnović Singing in the wilderness (Cina, 2021) di Dongnan Chen Terra Dei Padri (Italia, 2021) di Francesco Di Gioia Warsha (Libano e Francia, 2022) di Dania Bdeir
source https://www.ilmonito.it/ischia-film-festival-sguardo-sul-cinema-sociale-in-location-negata/
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Tu non disprezzi, o Dio, un cuore contrito...
Isaia, nella prima lettura, denuncia la falsa autenticità di comportamenti superficiali di preghiera e di astinenze in cui l'esteriorità e la superficialità non esprimono un vero desiderio di Dio e nascondono ingiustizie sociali. Occorre sensibilità nei confronti dei poveri e degli indigenti per essere esauditi dal Padre: "Allora la tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli ti dirà: Eccomi, se toglierai di mezzo a te l'oppressione, il puntare il dito e il parlare empio". (Isaia 58, 9). In questa prospettiva si canta il ritornello del salmo 50: "Tu non disprezzi, o Dio, un cuore contrito". Dio è sempre vicino al penitente umile, coraggioso e leale, che invoca: "Signore, sciogli le mie catene inique" (Isaia 58, 6). La Quaresima invita al coraggio della verità degli atti e delle scelte. Il testo di Matteo asserisce indirettamente la presenza del Messia; pertanto i discepoli non possono essere imprigionati dal digiuno giudaico; Cristo infatti ha inaugurato la "nuova giustizia". La comunità ecclesiale capisce il vero significato del digiuno e delle pratiche ascetiche, con un riferimento cristologico e un orientamento di solidarietà. Tale è la prospettiva di una santità evangelica, che si alimenta della Parola di Dio. Il legame con Cristo Salvatore è il punto di partenza per un impegno morale autenticamente evangelico, ispirato dallo Spirito di verità, che nutre anche il comportamento sociale e suscita tanti gesti eroici, per esempio: Teresa di Calcutta, Massimiliano Kolbe, fino ai tanti altri odierni martiri e testimoni che non hanno esitato a scegliere sempre i valori essenziali.
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Begum Rokeya
https://www.unadonnalgiorno.it/begum-rokeya/
Si definiscono musulmani e tuttavia vanno contro lo stesso principio base dell’Islam che riconosce uguale diritto all’istruzione. Se gli uomini non vengono deviati una volta istruiti, perché allora le donne dovrebbero?
Begum Rokeya scrittrice, attivista e educatrice, viene considerata la prima femminista del Bangladesh.
Attraverso i suoi lavori, discorsi, iniziative, denunciava le ingiustizie, sensibilizzava le donne allo studio e a ribellarsi alla propria condizione
Il suo vero nome era Rokeya Sakhawat Hossain. Nacque a Rangpur, in Bangladesh, il 9 dicembre 1880, suo padre era uno zamindar (ricco proprietario terriero) e un intellettuale multilingue che ebbe quattro mogli e vari figli e figlie.
A 18 anni, sposò un vedovo trentottenne che si era laureato in Inghilterra ed era membro della Royal Agricultural Society of England. L’uomo, con idee liberali, l’aveva incoraggiata a studiare l’inglese e a scrivere.La sua prima opera letteraria è datata 1902, saggio scritto in bengalese intitolato Pipasa (Sete) con il nome di Mrs R S Hossain. Successivamente ha pubblicato Matichur (1905) e
Il sogno di Sultana
del 1908, considerato il suo libro più importante e una pietra miliare per la letteratura femminista. Romanzo utopico e satirico di grande denuncia sociale ambientato a Ladyland, una terra di donne, nella quale gli uomini avevano perso potere a causa della loro arroganza e incapacità. Un mondo al contrario che dona alle donne autorevolezza e possibilità di espressione e comando. Begum Rokeya, nel corso degli anni, ha collaborato con numerose riviste.Dopo la morte del marito, avvenuta nel 1909, ha fondato a Calcutta una scuola superiore femminile che ha diretto fino alla sua morte. Andava di casa in casa per convincere i genitori a mandare le loro figlie a scuola.Nel 1916 ha fondato l’Associazione delle donne islamiche, organizzazione che combatteva per l’istruzione e l’occupazione delle donne, promuovendo riforme sociali basate sugli insegnamenti originali dell’Islam che, riteneva fossero andati perduti nel tempo.
Nella sua carriera ha pubblicato racconti, poesie, saggi, romanzi e scritti satirici, con un personale stile letterario caratterizzato da creatività, logica e tanta ironia. Nelle sue opere denunciava i privilegi di cui godevano gli uomini a discapito delle donne ostacolate e discriminate da leggi ingiuste e maschiliste. Incitava le giovani a studiare, perché solo l’istruzione avrebbe potuto dare loro maggiori opportunità di riscatto.
Begum Rokeya ha lottato strenuamente per i suoi ideali, nonostante le tante difficoltà e ostacoli che le si posero davanti nel suo cammino.
Nel 1926, ha presieduto la Women’s Education Conference a Calcutta, il primo importante sforzo per riunire le donne a sostegno del diritto all’istruzione.
Ha anche attaccato fortemente il velo islamico, che considerava indumento di oppressione e segregazione femminile, tematica ripresa anche in
The secluded ones
, identificandolo come l’esempio più chiaro di come l’uomo intenda recludere i diritti delle donne, causando la loro morte identitaria.
La maggior parte delle sue opere, utopiche e femministe, sono state scritte in bengalese affinché potesse trasmettere al meglio il suo sentimento di denuncia e arrivare direttamente nel cuore di tutte le sue connazionali. Scelse, invece, di scrivere Sultana’s Dream in inglese, come se questa “terra di donne” si trovasse necessariamente al di fuori della sua cultura, in Occidente.
Ha partecipato a dibattiti e conferenze riguardanti i progressi delle donne fino alla sua morte, avvenuta a Calcutta il 9 dicembre 1932, subito dopo aver presieduto alla Indian Women’s Conference.
Il Bangladesh ha istituito a Rangpur la prima università pubblica denominata in suo onore, la Begum Rokeya University. Le sono stati intitolati anche parchi, edifici pubblici, statue, strade e centri culturali.
Ogni anno, il 9 dicembre, in Bangladesh si celebra il Rokeya Day, che commemora la sua vita e gesta. In quel giorno, viene conferito il Begum Rokeya Padak, un premio alle donne che hanno dato un contributo eccezionale nella lotta per il riconoscimento dei propri diritti.
La sua figura e attivismo sono ancora oggi di grande ispirazione per tutte le donne bengalesi, in patria e all’estero, che sono costrette a lottare per occupare un posto da protagoniste nella società.
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SILVIA BACCI
per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno
Giornalista. Ha iniziato giovane in Rai dove ha lavorato per programmi di approfondimento e inchiesta come La storia siamo noi, Virus e Presa diretta. Realizza numerosi documentari autoprodotti e oggi lavora su Raitre, a Tg Piemonte.
Cos'è per lei una buona notizia?
Una buona notizia è una storia, o una testimonianza, positiva. Partendo dalla mia esperienza professionale che è incentrata principalmente sul reportage di inchiesta, una buona notizia è raccontare la verità e far rientrare nel minutaggio della storia anche un risvolto positivo: se stai parlando di mafia c’è sicuramente anche la notizia dell’imprenditore che ha detto no. Se stai parlando di camorra, ci sono i ragazzi che, pur vivendo immersi nella sua cultura la rifiutano a favore della pace sociale. Oppure se parli di ambiente in una Sardegna che fa di tutto per importare metano, ti focalizzi anche sulle storie di chi riesce a prodursi energia elettrica da solo. Noi siamo giornalisti e narratori e dobbiamo guardare il mondo con occhi puri, cogliendo il negativo, ma anche il positivo.
Qual è per lei il ruolo dell'informazione nel benessere della società?
Per me la denuncia delle ingiustizie è importante perché solo così si accresce la consapevolezza delle persone. Io sono una giornalista di inchiesta e quindi, per me, raccontare i fatti e denunciare senza accondiscendenza, con rigore e precisione nell’informare, è fondamentale.
Qual è il suo contributo per una buona informazione?
Io credo che un valore fondamentale sia l’ascolto delle persone. Credo in una società senza filtri e falsi moralismi ed è per questo che quando si raccolgono le notizie non bisogna mai fermarsi a verità date da altri o imposte dalle regole del sistema. Io sono a favore delle regole, ma alle volte vanno anche messe in discussione.
Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?
Penso di si. Oggi ci sono molti canali, uno fra tutti internet che funziona grazie a degli algoritmi. È importantissimo sapere diversificare le fonti da cui ci si informa, per creare una pluralità di voci, saper differenziare fra un canale attendibile e uno non attendibile.
Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?
È un po’ uno stile di vita, per me la cosa giusta da fare. Io sono una positiva, cerco di andare oltre all’ostacolo. Ha avuto una vita con molte difficoltà e vedere la positività è stata una strategia vincente. Ma in un bicchiere, ricordiamoci, ci sono tutte e due le dimensioni: quella mezza piena e quella mezza vuota.
Leggi le altre testimonianze per la campagna Parità di Informazione Positiva #mezzopieno
✔ Buone notizie cambiano il mondo. Firma la petizione per avere più informazione positiva in giornali e telegiornali https://www.change.org/p/per-avere-un-informazione-positiva-e-veritiera-in-giornali-e-telegiornali
#Mezzopieno#Buone notizie#Giornalismo costruttivo#Parità di informazione positiva#Interviste#Giornalismo
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Presidente=lL 9 MAGGIO 1978 vennero assassinati ALDO MORO e PEPPINO IMPASTATO, guarda caso un uomo di Stato che aveva cercato vie, sia pur timidamente autonomiste, alla egemonia Atlantica e un altro che si era opposto al potere mafioso. ATLANTISMO E MAFIA, DUE "REGALI" DEI NOSTRI COLONIZZATORI Se l’omicidio di Impastato, di evidente mafia, venne occultato nella congiura del silenzio, quello di Moro venne travisato come opera di una guerriglia politica. Ma la scelta della vittima da rapire, tra tante altre non invise ai nostri colonizzatori e il modo come venne ammazzato, fanno ben supporre che qualcuno, nella migliore delle ipotesi, ha finito per fare la “pappa ai coglioni” a favore di poteri innominabili. Tra l’altro il solo osservare che Moro venne ammazzato, con una mattanza di 12 spari, da parte di una organizzazione che si dichiarava comunista e propensa a lottare contro ingiustizie, sopraffazioni e sfruttamento, ma finisce per assassinare un prigioniero nelle loro mani, dicasi un inerme prigioniero, che aveva “collaborato” raccontandogli di tutto e di più (guarda caso occultato), denuncia che c’è qualcosa che stona. Allargando il panorama interpretativo, possiamo dire che il nostro paese ha subito uno scempio voluto da forze e poteri che avevano interesse ad esercitare su di esso una totale egemonia: gli Stati Uniti d’America quali nostri “colonizzatori” dal 1945 e le lobby di Alta Finanza quali grande capitalismo monopolista e bancario teso a fagocitare tutto il sistema economico e sociale italiano. Risultato: oggi abbiamo perduto ogni minimo residuo di sovranità nazionale, tanto che non solo sarebbe impossibile ripetere una iniziativa economica indipendente come quella di Mattei, o un minimo di politica autonomista come Moro, ma neppure un gesto di orgoglio come quello di Craxi per Sigonella. E il paese, assurdo in passato, viene anche portato in guerre… pardon missioni di pace, per il mondo. E per la egemonia bancaria, basta vedere come hanno adeguato tutto il tessuto economico agli interessi del mondo bancario il quale, per drenare denaro dallo Stato, attraverso l’usura e la truffa del debito pubblico, ha finito per annientare il Lavoro, la Sanità https://www.instagram.com/p/BxPzf6NgvTG/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=m086p5ai2z69
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