#demistificazione
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Come potremo definire Carmelo Bene? Un regista con i piedi fermamente appoggiati sulle nuvole? Se non si ammira Jarry (o piuttosto la sua rabelesiana spietatezza), se non si ama Laforgue (o almeno la sua poetica demistificazione delle leggende letterarie, Amleto, Salomè, Andromeda etc…), se non si pensa che il teatro debba essere anche una dichiarazione di follia, inutile andare a vedere il suo spettacolo al Teatro delle Muse. Stavolta ha messo inscena, appunto, Salomè. Si tratta, ovviamente, della Salomè di Oscar Wilde. Anzi “di e da Oscar Wilde”. In realtà, Carmelo Bene ha tirato le sontuose coperte della tragedia dalla sua parte e ci ha dato piuttosto un Erode Antipa ��con Salomè schiava d’amore”. Ma non importa. Contaminazione, chiarificazione, massacro di un testo celebre? Un po’ di tutto questo. Comunque Salomè è uno spettacolo che non lascia indifferenti. Ci ha persino svegliati. Nel breve giro di due ore siamo passati dall’ammirazione al sospetto, dalla sorpresa più eccitante al fondo del dubbio. […] Diciamo subito che l’inizio è inquietante, pieno di promesse. Immaginate il festino di Erode. Nella tragedia si intuisce che avvenga nell’attigua sala dei banchetti. Qui invece diventa una sorta di cocktail-party o di partouze, giovani invitati in frac coloro geranio o amarillo, alcune donnette scalze (le cortigiane), due soldati confidenziali e conniventi, che suonano anche la chitarra, tutti attorno a un mobile che può essere un bar o un altare alla Huysmans, tutti intenti a mescersi bibite in perfetta immobilità, a scambiarsi sorrisi soffusi di alta idiozia. Un grave silenzio pesa sulla scena, c’è l’ineffabile stanchezza dell’orgia portata alle sue conseguenza più letterarie. Erode si aggira da amabile padrone di casa, una coroncina di rose attorno al capo (i cocktail-party sono una forma di messa mondana, l’unico simposio che ci resta?) […] Questo preludio non sarebbe spiaciuto a Oscar Wilde e credo piacerà a J.R. Wilcock, se il poeta di Luoghi comuni va ancora a teatro. Come Oscar Wilde, Carmelo Bene potrebbe dre: “io resisto a tutto, ma non alle tentazioni”. E infatti non resiste a lungo. Non resiste alla tentazione di spingere questo giuoco un po’ affascinante, un po’ disperato oltre lo spirito della tragedia. Ecco Salomè bambina caratteriale (mi sembra ottima Rosabianca Scerrino) che strepita e si aggira sul palcoscenico come una gatta rauca, sessuale, petulante e irresistibile. Benissimo. Poi le cose prendono una piega meno rigorosa, col ritorno del profeta Johanaan. Costui è Franco Citti, l’attore pasoliniano. Parla in romanesco, no vuole ascoltare la lunga profferta amorosa di Salomè, dice battute comiche, urla, scompare, non lo vedremo più. E ci lascia nel dubbio che il regista abbia voluto dire: Questi sono i vostri profeti, teneteveli. Vanno e vengono dalla periferia. E queste sono le vostre Salomè, minorenni cocciute e libidinose. A tanto vi ha condotto il vostro squisito estetismo, anzi era qui che volevate arrivare: all’innocenza sporca. […] Insomma, una Salomè pestata, che vive in una dimensione diversa da quella immaginata dall’autore, come se il testo fosse andato perso da secoli, e gli attori se lo fossero tramandato oralmente, corrompendolo fino a perderne il significato. Quanto al pubblico…be’, al pubblico desideroso di istruirsi divertendosi, a questo nostro pubblico che ama tenersi al sodo e detesta la follia, una Salomè così conciata può fare l’effetto di uno scherzo insolente. Ma non è uno scherzo. Per intenderci meglio: detesto chi fa i baffi alla Gioconda, ma non ho niente da dire a chi la prende a pugnalate.
Ennio Flaiano
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L'ideologia gender è pericolosa
ITA: “L’ideologia gender è pericolosa” affronta una ricostruzione di ciò che ruota attorno al concetto di gender. Laura Schettini propone una demistificazione di tutti quei falsi miti che affliggono questa nozione, superando l’idea di pericolosità che alcune persone tendono ad attribuirle.
ENG: "Gender ideology is dangerous" deals with a reconstruction of what revolves around the concept of gender. Laura Schettini proposes a demystification of all those false myths that affect this notion, overcoming the idea of dangerousness that some people tend to attribute to it.
🖊️: Sara Marsico
L’articolo completo su Vita-mine vaganti
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Oggi sarebbe stato il tuo 84esimo compleanno.
Ma sono già 22 anni che ci hai lasciato. Pochi giorni prima di compierne 62.
Qui, invece, dovevi averne 6 o 7. Forse anche meno.
(Io non sono abituato a puntare denaro su scommesse e lotterie, ma qui potrebbero esserci dei numeri da giocare su tutte le ruote; sempre ricordando che le possibilità di perdere sono infinitamente maggiori di quelle di portarsi un cospicuo gruzzoletto a casa. E questo l'ho scritto soprattutto perché ci hai insegnato a demistificare, a piangere ridendo e a ironizzare su tutto, ma prima di tutto su noi stessi.)
#stefano vergara#mio padre#padre#autouronia#ironia#demistificazione#numeri#lotto#memoria#aitan#aitanblog#gaetano vergara
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Ci sono periodi come questo in cui mi sembra, dopo tanto tempo, di provare interesse per qualcuno e quasi mi sembra di sentirmi più viva, più umana. Poi rifletto: Rossè, ma ti rendi conto che stai solamente idealizzando tutto e che stai praticamente trasponendo i vuoti che senti nell'idea che ti sei fatta di quel qualcuno che potrebbe benissimo essere l'opposto della bella immagine che gli hai cucito addosso così da sembrarti interessante ai tuoi occhi?
Torno alla realtà. Non mi serve qualcuno per fare finta di colmare i miei vuoti, vanno colmati da sè.
#guida pratica alla demistificazione dell'amore#demistificare#love as projection#amore come proiezione#demistificare l'amore#umanità che se ne va#pensieri
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Massimo Polidoro, complottismo e minestroni evitabili
Massimo Polidoro, complottismo e minestroni evitabili
Un breve inciso per evitare equivoci.Apprezzo Massimo Polidoro per l’impegno profuso nella demistificazione delle bufale. Operazione più che mai necessaria in questi ultimi anni in cui la confusione su molti presunti misteri regna sovrana. Tante, troppe sono le disinformazioni circolanti in Rete per restare impassibili di fronte a tale scempio.L’immaginario popolare e non ha moltiplicato e…
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Poi una volta Foucault ha detto che non capiva i libri di Derrida, che era un terrorista oscurantista. E insomma, ognuno è il Derrida di qualcun altro. Tipo le cose che scrivo, scrivo difficile per il lettore medio di giornali, così pare. Fotte il cazzo, alla grande maggioranza delle persone non c’è nulla da dire. S. mi ha ghostato perché abbiamo litigato sul ddl Zan, che detta così pare ridicolo, se non fosse che c’è della grazia nei pretesti più futili, una demistificazione della realtà, dieci anni di guerra perché Elena è scappata con Paride, morire per Danzica... e dunque sono due le differenze fra l’anno scorso e questo, che l’anno scorso avevo lei con cui parlare e nessuno con cui scopare, quest’anno il contrario. Comunque va peggio. E insomma, come te lo dico, amica mia, che non parliamo la stessa lingua se non parliamo la stessa lingua?
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Che cosa ha portato alla luce quel 13 febbraio Ci voleva così tanto per capire da che parte stavano realmente queste quinte colonne che ci hanno rintronato pontificando di “democrazia normale”, di “competenza” o di “ritorno alla responsabilità”, mentre allestivano le trappole in cui far cadere i timidi tentativi di frenare l’eterno dominio degli amici degli amici; mentre scavavano la fossa in cui precipitare e seppellire l’intollerabile critica – ovviamente criminalizzata come “populistica” – del privilegio spudorato e cinico? I Massimo Giannini e le Concita De Gregorio, così indignati per “i troppi errori” del premier alla guida del governo giallorosa. E se gli chiedi quali sono in concreto questi errori ribaditi apoditticamente, farfugliano di mancato rispetto di timing previsti per le conferenze stampa serali o altre risibile quisquilie provocatoriamente strumentali. Si capisce perché Lilli Gruber ci propina sistematicamente la presenza buonistica del Gandhi all’amatriciana Walter Veltroni, quello che ha disarmato unilateralmente ogni forma di resistenza alla tracotanza del berlusconismo (edulcorandone l’artefice nella contorta perifrasi “leader del principale schieramento avversario”) in una sorta di francescanesimo dolciastro: offrire l’altra guancia agli sganassoni dell’avversario. Quella Destra che ne ha approfittato subito per massacrare la nostra Costituzione democratica di matrice antifascista e dilagare nel Paese. Era tanto difficile smascherare i reali intenti di penne al lavoro nelle testate reazionarie; le imbarazzate acrobazie di un Alessandro Sallusti per accreditarsi come commentatore distaccato, mentre vellica le pulsioni revansciste del proprio audience forcaiolo? Ormai dovremmo aver capito che tutti questi personaggi non chiedono altro che la propria cooptazione, magari solo uno strapuntino, nel sistema di potere bipartisan che è venuto consolidandosi alla fine della stagione welfariana; e sorgeva l’alba dei più biechi regolamenti di conti da parte di chi “non aveva imparato niente, non aveva dimenticato niente”. Un sistema che non tollera il benché minimo uso critico della ragione, in quanto sovversivo. Sicché sembrerebbe palese il motivo per cui, accompagnato da cori gregoriani che ne tessono le lodi celesti, il silente Mario Draghi è stato tratto dall’urna umbra in cui era conservato; in attesa del momento in cui ascendere alla carica di presidente della Repubblica. Per riportare indietro di quattro decenni le lancette della storia a favore di ben precisi interessi. Come risulta dal bestiario imbarazzante del governo dei “migliori”, arricchito dalla seconda ondata di sottosegretari misurati sul metro Cencelli. Come si evince dai consigliori che accompagnano il mellifluo banchiere, in perenne grisaglia scura, da cerimonia nunziale. In primis il Brambilla che ha sciacquato i panni nel Potomac. L’iperliberista Franco Giavazzi, propugnatore della messa in salamoia dell’intervento pubblico in economia per favorire il più sfrenato privatismo. Quell’interesse privato, fisiologicamente orientato alla speculazione, oggi in stato di totale fibrillazione per l’arrivo di una montagna di euro da Bruxelles. Infine, nel breve periodo in cui durerà l’effetto demistificazione (attraverso la finestra aperta il 13 febbraio scorso sui reali intenti del golpe bianco), potremmo liberarci finalmente dell’equivoco Beppe Grillo; il pifferaio che ha giocato a fare il capopopolo virando l’indignazione a gag e allestendo un carro di Tespi chiamato Movimento. Mentre nessuno pareva accorgersi della sua intrinseca natura di borghese piccolo, piccolo; affascinato dalla frequentazione dei potenti. Magari le telefonate con Draghi. L’estasi da parvenu che gli ha fatto scambiare Roberto Cingolani per lo zar dell’ambiente. Il tipo che pretendeva di “tirare il pacco” chiamato ministero della Transizione ecologica riempiendolo di renziani e confindustriali. di Pierfranco Pellizzetti
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È innegabile che la morte - e il problema a cui è legata, cioè come gestire allo stesso tempo l'assenza improvvisa di una persona e la presenza dei suoi lasciti, dalla salma agli averi rimasti senza padrone - col passare del tempo abbia richiesto delle risposte e provocato delle azioni, il cui significato ha trasceso il loro fine vero e proprio, facendo sì che i nostri antenati passassero dalla sfera dell'animalesco a quella dell'umano. In generale, il fatto di non lasciare le spoglie mortali dei propri simili in balia dei naturali processi di decomposizione è considerato una peculiarità dell'essere umano, nonostante un simile comportamento si possa osservare anche in altri animali evoluti. [...] La cesura della morte è il punto di partenza dell'eredità e della memoria, sul pianto funebre si fonda ogni cultura che cerchi di colmare il vuoto abissale e il silenzio improvviso con canti, preghiere e storie, attraverso i quali ciò che è assente viene riportato in vita. Come una forma cava, l'esperienza della perdita fa apparire i contorni di ciò che piangiamo, e non di rado, alla luce idealizzante del lutto, questo si trasforma in oggetto del desiderio [...] Fa parte dei numerosi paradossi intrinseci al dilemma tra morte e vita la circostanza che, quando un defunto è considerato irrimediabilmente perduto, il lutto per la sua perdita si raddoppi e si dimezzi allo stesso tempo, mentre le sorti incerte di una persona scomparsa o dispersa rendono i suoi familiari prigionieri di un incubo confuso tra speranza angosciosa e impossibilità del lutto, uno stato che impedisce sia di elaborare sia di proseguire la propria vita. Vivere significa fare esperienza della perdita. Probabilmente l'interrogativo su che cosa avverrà è antico quanto l'umanità stessa, essendo quella di sottrarsi alla prevedibilità, e così di lasciare avvolti nel mistero anche il momento e le circostanze della morte, una delle caratteristiche allo stesso tempo più imprescindibili e più inquietanti del futuro. [...] Ma l'arte dell'oblio è qualcosa di impossibile, perché tutti i segni, anche quando rimandano a qualcosa di assente, rendono le cose presenti. Le enciclopedie affermano di conoscere i nomi di quasi tutti coloro che furono colpiti dalla damnatio memoriae sotto l'Impero Romano. [...] In fondo ogni oggetto è di per sé già un rifiuto, ogni edificio già rovina e ogni creazione nient'altro che distruzione, così come lo è il lavoro di tutte quelle discipline e istituzioni che si fregiano di conservare il patrimonio dell'umanità. La stessa archeologia, per quanto pretenda di penetrare in modo avveduto e giudizioso nelle sedimentazioni delle epoche passate, è una forma di devastazione - gli archivi, i musei e le biblioteche, i giardini zoologici e le riserve naturali non sono altro che cimiteri amministrati, e i beni in essi conservati non di rado sono stati strappati al ciclo vitale del presente per poter essere messi da parte, anzi dimenticati, proprio come gli eventi e le figure eroiche i cui monumenti popolano i paesaggi urbani. [...] Non sentiamo il peso di ciò che non conosciamo, si potrebbe pensare. Tuttavia è sorprendente che non pochi pensatori europei dell'età moderna vedessero nel declino delle culture una misura ragionevole e perfino benefica. Come se la memoria culturale fosse un organismo dell'universo, le cui funzioni vitali possono essere mantenute solo attraverso un vivace metabolismo in cui l'assimilazione del cibo è preceduta dal processo di digestione ed espulsione. Grazie a questa tanto ottusa quanto dispotica visione del mondo fu possibile interpretare l'occupazione e lo sfruttamento senza scrupoli di territori stranieri, la sottomissione, la schiavizzazione e lo sterminio di popoli non europei, nonché la cancellazione delle loro culture vilipese, come parti di un processo naturale, e usare a giustificazione dei crimini commessi la formula erronea della teoria dell'evoluzione, secondo cui sopravvive solo il più forte. Viene da sé che si può piangere solo ciò che manca, che si è perduto - qualcosa di cui sia giunto fino a noi un relitto, una notizia, a volte poco più di una voce, una traccia parzialmente cancellata, la risonanza di un'eco. [...] Dell'opera del tragediografo Agatone ci sono pervenuti solo due motti arguti, citati da Aristotele: "L'arte ama il caso, il caso ama l'arte" e "Neppure gli dei possono cambiare il passato". Quel che è negato agli dei sembra essere l'oggetto del desiderio dei tiranni di tutti i tempi: la loro creatività distruttiva non si accontenta di iscriversi nel presente. Chi vuole controllare il futuro deve abolire il passato. [...] Com'è noto, la terra è di per sé un cumulo di macerie di un futura già trascorso, e l'umanità una comunità eterogenea e litigiosa di eredi di un passato numinoso che dev'essere continuamente fatto proprio e rimodellato, respinto e distrutto, ignorato e rimosso, tanto che, diversamente da quanto si crede, non è il futuro ma il passato a rappresentare un autentico spazio di possibilità. Proprio per questo, la sua reinterpretazione rientra tra le prime azioni ufficiali di ogni nuovo sistema di potere. [...] L'architetto Albert Speer andò ancora oltre con la sua teoria speculativa sul "valore delle rovine", quando decenni dopo la fine del nazionalsocialismo affermò che i progetti per il Reich millenario, inteso non solo in senso metaforico, oltre a prevedere l'uso di materiale particolarmente duraturi, aveva persino tenuto conto delle future rovine di ogni edificio, in modo da poter concorrere con la grandezza di quelle romane pur versando in uno stato di decadenza. A ragione, invece, Auschwitz fu definita distruzione senza rovine. [...] "Cosa custodiscono le fonti storiche? Non i destini delle violette calpestate durante la conquista di Liegi, non la sofferenza delle mucche coinvolte nell'incendio di Lovanio, non le formazioni di nuvole davanti a Belgrado", scrive Theodor Lessing nel suo libro Geschichte als Sinngebung des Sinnolsen (La Storia come conferimento di un senso all'insensato), redatto durante la Prima Guerra Mondiale, nel quale mette a nudo ogni concezione della Storia che procede con raziocinio svelando la sua intenzione di dar forma a posteriori a qualcosa che forma non ha - come se la storia fosse una raccolta di storie e indizi e conclusioni, ascese e declini, splendore e decadenza, che obbediscono soprattutto a regole narrative. [...] Sapendo scrivere e leggere ci si può scegliere i propri antenati, contrapponendo alla tradizionale trasmissione biologica una seconda linea ereditaria di tipo intellettuale. _____________________ Non c'è cosa che fomenti la paura in maniera così costante come il potere già conquistato sul nemico, di fronte al quale, benché vittoriosi, ci si sente ancora inferiori. Perché come sempre la verità era innegabile: la natura non era sconfitta, le forze primitive erano ancora indomite. _____________________ In fin dei conti la demistificazione del mondo è una balla colossale. Il pensiero magico di un bambino è più potente di ogni statistica, di ogni fatto empirico. La canzoncina di una conta tutt'a un tratto si fa realtà, e una crepa su una strada lastricata incute un terrore indescrivibile, chi la calpesta è irrimediabilmente perduto. Contro il mito non si può che perdere. Certo, i miracoli non sono da escludere, ma su di loro non si può contare. Causa ed effetto si confondono facilmente. Cos'è il desiderio, cosa la volontà, e cos'è solo una funzione fisiologica? Prendere o lasciare? Diventare un contenitore. Rinunciare alle congetture, riconoscere l'esistenza di qualcosa più grande. Come la pietà. Come l'umiltà. Un'umiliazione assoluta. [...] Nulla era più terrificante del vuoto. E lo scopo di ogni singolo mostro era solo quello di riempire quel vuoto, coprire la macchia cieca della paura per renderla doppiamente visibile. [...] Era il borgo, il mio borgo! L'abitato da cui mi ero incamminata ore prima. Come se avessi sempre saputo la soluzione dell'enigma. Tante deviazioni per nulla. Non ero neanche in grado di perdermi davvero. _____________________ L'adorazione era sempre l'inizio della fine. Poi rimanevano solo la fossilizzazione o il sacrificio. _____________________ Nondimeno, il conservare senza eccezione tutto ciò che arrivava [sulla Luna scomparendo dalla Terra] caratterizzò solo un breve periodo, certamente splendido, ma ormai perduto nella notte dei tempi. [...] A quell'epoca fece seguito un periodo di transizione, in cui la gravosa responsabilità di selezionare e custodire ricadde su una schiera di eletti, tra i quali si annoveravano alcuni dei più illustri esperti di mnemotecnica, che non avevano potuto sottrarsi alla chiamata nella nostra sfera, finché non li sostituirono altrettanto eccelsi studiosi dell'arte dell'oblio, giacché nella cerchia dei responsabili era maturata l'idea che questi fossero più portati degli altri ad arginare la marea dei beni in arrivo.
Judith Schalansky, Inventario di alcune cose perdute
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sintomatologia della vita vera: le letture arrancano e sto lentamente abituando il mio corpo. c'era una malata, in metro, ticchettava su candy crush saga e manteneva il corpo a disegni di goccioloni, annacquato. venti giorni fa mentre mi sparavano fisiologica nelle vene guardavo la flebo e pensavo, quanto è carina, stabile, mia, è la mia piccola malattia portatile, mi dona tanto, voglio scenderci il sabato. eccolo, il formicolio della dipendenza.
leggo on the road, molto male, una pagina al giorno, e faccio annotazioni pretenziosamente antropologiche sui margini. che libro di merda. l'ultimo che sono riuscita a finire è stato lezioni spirituali per giovani samurai. credo di aver capito, della destra apprezzo disperatamente la pars destruens. come anche della sinistra, in fondo. forse la dicotomia non è tra progresso e conservazione, ma tra demistificazione e fede. almeno c'è questo - lo spirito va avanti. il corpo è dannatamente [kerouac infame e traduttori americanofili degli anni cinquanta ancora di più] felice.
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“Essere l’ oggetto del desiderio significa essere definite nella forma passiva. Esistere nella forma passiva significa morire nella forma passiva- cioé essere uccise. Questa è la morale della favola della donna perfetta.”
“Il rapporto tra Eugenie e la madre è un’ estrema e certamente melodrammatica rappresentazione pornografata dell’ antipatia tra madri e figlie che indica come anche le donne serbino elementi di un precedente rapporto erotico con la madre, che è stato meglio esplorato e documentato negli uomini. In realtà la Filosofia nel boudoir precorre in molto aspetti il saggio di Freud sulla femminilità e dovrebbe essere visto nello stesso contesto europeo di competizione e rivalità tra donne,che svaluta le donne nei drammi della vita sessuale.”
“Negare gli incantesimi dell’ utero significa ridurre un bel po’ della magia fraudolenta della donna idealizzata, rivelarci come noi siamo, semplici creature in carne e ossa, le cui aspettative deviano dalla necessità biologica in maniera sufficiente da costringerci ad abbandonare, forse con rimpianto forse con sollievo,l’ ingannevole sacerdozio di una sacra funzione riproduttiva. Questa demistificazione si estende all’ iconografia biologica delle donne. (...) L’ invenzione sadiana di Juliette è una negazione enfatica di questa ipnotica retorica. Perché di retorica si tratta, composta di stratificazione millenarie, di congetture e fantasie sulla natura del mondo. La verità è che l’ utero è un organo come qualsiasi altro organo, più utile dell’ appendice, meno utlie del colon, ma non ti serve a molto se non desideri utilizzarlo nella sua unica funzione: il parto. Nel migliore dei casi funziona male e causa malattie, sofferenze, inconvenienti. L’asserzione di questo fatto elementare attraverso una donna fittizia implica un intero processo di demistificazione e di negazione che va molto oltre la demistificazione e la secolarizzazione delle donne.”
“Per fottere sua madre ha bisogno del fallo più grosso del mondo; e ciò non è ancora sufficiente a soddisfarla. Lei non ne morirà. Non “sborrerà” perché, quando la lezione di anatomia,la lezione di misantropia, la lezione di politica, di rabbia, di terrore, è finita, noi dobbiamo spedirla di nuovo dal marito, dal padre a cui appartiene. Di nuovo a casa, a casa, più in fretta che puoi!”
La donna sadiana (Angela Carter)
“Nell'universo invertito degli specchi, così com'ero, un damerino, un dandy alla Baudelaire, elegante e azzimato, sembrava a prima vista che fossi ritornata ad essere quello che ero stato. Ma la mascherata in cui mi trovavo non riguardava solo l'aspetto esteriore. Sotto la maschera della maschilità io ne indossavo un'altra, quella della femminilità, una maschera che ormai non sarei più riuscita a posare, per quanto ci provassi, nonostante fossi in realtà un ragazzo,travestito da ragazza ed ora ritravestita da ragazzo, come Rosalind nell'Arden Elisabettiano.”
La passione della nuova Eva (Angela Carter)
“Entrammo. Non mi aspettavo le creature che ci attendevano nel voluttuoso salotto dove ci fece passare Leopoldo e nel quale ci chiudemmo: erano quattro ragazze dai quindici ai sedici anni, tutte e quattro incinte al nono mese…«Che diavolo vuoi fare di questa selvaggina?», chiesi al duca.”
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Intervista a Stefano Taccone
Il poeta che andiamo ad intervistare è Stefano Taccone, nato a Napoli nel 1981. Dottore di ricerca in Metodi e metodologie della ricerca archeologica e storico-artistica, è attualmente docente di storia dell’arte alle superiori. Dal 2013 al 2015 ha insegnato storia dell’arte contemporanea presso la RUFA – Rome University of Fine Arts. Ha pubblicato le monografie Hans Haacke. Il contesto politico come materiale (2010); La contestazione dell’arte (2013); La radicalità dell’avanguardia (2017); La cooperazione dell’arte (2020); le raccolte di racconti Sogniloqui (2018) e Morfologie (2019); il romanzo Sertuccio (2020); le raccolte di poesia Alienità (2019) e Terrestri d’adozione (2021). Ha curato il volume Contro l’infelicità. L’Internazionale Situazionista e la sua attualità (2014). Collabora stabilmente con le riviste «Frequenze Poetiche», «Segno» e «OperaViva Magazine». Ha pubblicato su «ACTA Non Verba», «Boîte», «sdefinizioni», «Diwali», «Poliscritture», «Roots§Routes», «Titolo», «Tracce», «undo.net», «TK-21», «Walktable», «Titolo», «Sudcomune». * * * Vorrei incominciare con una domanda del tipo: cosa cerchi nella poesia? Quali sono gli argomenti alla base? Nella poesia forse cerco un modo alternativo a tutti gli altri di dire le cose e di ascoltare ciò che viene detto. I modi di comunicare non saranno mai abbastanza rispetto al misterioso magma della somma delle idee di tutto il mondo; idee come concetti lineari – o presunti tali – e idee che nascono da fraintendimenti di altre idee; idee assertive e idee stupidamente contro-assertive che però, magari ricontestualizzate loro malgrado, diventano intelligenti, significative, o solo meno stupide. Entrando più nello specifico godo della poesia come spazio di libertà del discorso ancora concesso – forse almeno quanto mi rammarico dello spazio di non libertà del discorso che invece incatena quello istituzionalmente dell’extra-poesia. Naturalmente anche questa è una libertà che, come tutte le altre, va conquistata e rinegoziata costantemente. Mi piace ricombinare i piani del significato e del significante, con un irresistibile gusto dell’ambiguità, che però potrebbe più freddamente dirsi polisemicità. Credo che questo lavorio concili il piano dell’interrogazione sul linguaggio e il piano dell’urgenza dei contenuti. Importante per me è il ritmo dato dalla rima, o almeno dalla consonanza e dalla assonanza, ma non dimenticando che anche la dissonanza è qualcosa di diversamente ritmico. Il mio uso della rima o di espedienti affini è serio non più di quanto sia ironico e persino a tratti canzonatorio. Così come una ibridazione tra questi due piani, messi reciprocamente a valore – come due colori complementari sulla tela di un pittore impressionista -, è connessa al mio prelievo continuo di parole e locuzioni più “alla moda”. Veicolate dai social, ultimo grido della propaganda politica del momento – politica ma non necessariamente partitica, anzi negli ultimi tempi direi politico-bellicistica -, contagiose più dell’ultima variante del Covid che verrà, ovvero quella che deve ancora venire, il carattere spesso abbietto di esse si rovescia – spero – in un piccolo barlume di luce ed aria, in virtù della loro demistificazione. Una mia curiosità: sei principalmente uno storico dell’arte che ha scritto anche alcuni volumi di racconti. Come ci sei arrivato alla poesia? Ho una formazione storico-artistica e continuo a scrivere di storia dell’arte in varie forme, ad insegnarla alle superiori e ad occuparmene in tante altre modalità possibili, con una costante problematicità sui suoi confini soggettivi ed oggettivi. La sottolineatura della non certezza dei confini fornisce già una prima chiave per comprendere il mio bisogno di e la mia tendenza a volgermi anche ad altri linguaggi, nonché a trasformare il mio ruolo – non più commentatore, ma produttore. Si tenga conto, inoltre, che ben presto il mio oggetto di ricerca storico-artistica principale è divenuto l’arte delle avanguardie – e dintorni ‒ intese come superamento della divisione della specificità dei linguaggi e infine dell’arte stessa. Alla poesia in realtà – come del resto alla narrativa – ci sono arrivato prima ancora che alla storia dell’arte, perché già verso i 6-7 anni ho cominciato a scrivere le prime poesie e i primi racconti, che però erano appunto non più che conformi ad una tale età. Successivamente, durante l’adolescenza e la prima giovinezza, ho continuato a scrivere poesie e racconti ad ondate saltuarie, senza però mai pubblicare e neanche avendo l’idea di come si facesse, e non facendo leggere nulla a nessuno o quasi. Del resto all’epoca l’online era nella sua fase archeologica. Poi verso i 22-23 anni ho cominciato a scrivere i primi testi critici sulle arti visive e per lungo tempo, fino alla soglia dei 40 anni, ho riversato la mia vocazione creativa prettamente in quell’ambito. Solo successivamente sono riuscito a liberare finalmente la narrativa e la poesia dalla cappa di ombra in cui la tenevo relegata. Credo sia dipeso da un processo di mia trasformazione interiore causato in parte dalla mia volontà e in parte da contingenze esterne. A volte penso che la narrativa e la poesia, se le cose fossero andate diversamente, potevano venire in me alla luce prima, ma anche ancora più tardi, oppure mai, e comunque in ogni caso la mia produzione avrebbe preso forme sempre parzialmente diverse a seconda del momento storico dell’anima coincidente con la loro emissione. L’ostacolo principale era dato da me stesso, dal mio grado di (in)sopportabilità di pensarmi come produttore di narrativa o di poesia. Trovare le strade formali opportune naturalmente non è una questione da poco, ma veniva insieme immediatamente dopo come problema e immediatamente prima come non problema, in quanto appunto – come ho spiegato sopra – slancio che premeva e nasceva da una esigenza profondissima ed antichissima del mio essere. C’è qualcuno che devi ringraziare? Fin troppe persone. Questa è forse la domanda più complessa e spinosa di tutte. Innanzi tutto i miei genitori, sia quando mi sono stati complici sia quando mi hanno sabotato. Una menzione meritano poi senz’altro i miei professori, Angelo Trimarco e Stefania Zuliani, per tutto quello che mi hanno insegnato intorno all’arte e alla critica d’arte. In particolare non sarò mai troppo grato per avermi portato ad intendere lo studio del fatto artistico in stretta relazione e confronto con le altre discipline, oltre che naturalmente con un occhio alla molteplicità dei linguaggi artistici. Più specificamente in ambito letterario non posso tralasciare gli incoraggiamenti ‒ e talvolta anche gli insegnamenti ‒ che a vario titolo e in vari frangenti mi hanno fornito in questi primi anni – in rigoroso ordine alfabetico – Marco Amore, Rocío Bolaños, Cristiana Buccarelli, Letizia Leone, Alfonsina Caterino, Marco De Gemmis, Nadia Lisanti, Lia Manzi, Domenico Mennillo, Ivano Mugnaini, Marisa Papa Ruggiero, Rosaria Ragni Licinio, nonché un certo Giorgio Moio. Qualche parola voglio spenderla per due artisti visivi, nonché amici fraterni, come Enzo Calibè e Salvatore Manzi, con i quali intrattengo da quasi vent’anni un inossidabile rapporto di affinità e scambio a trecentosessanta gradi su arti, politiche, pensieri e spiritualità. Voglio inoltre ricordare le due case editrici che più di tutte le altre si sono intrecciate con la mia scrittura, ovvero Iod Edizioni di Francesco e Pasquale Testa e Ombre Corte di Gianfranco Morosato. Infine, ultimo ma più importante di tutti, vorrei ringraziare un signore comunemente chiamato Dio, che per me è quello di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Mosè e di Gesù. Mi scuso con tante altre persone che a causa dello spazio esiguo e delle motivazioni più proprie di questa intervista tralascio di menzionare esplicitamente. Confido nel fatto che ciascuna di essi sappia bene del posto che occupa nel mio cuore. Nel tuo ultimo volume di poesia, Terrestri d’adozione (Edizioni Progetto Cultura, 2021), nel testo che porta il titolo del volume, situato a p. 55, i primi versi recitano così: «dicono che la vita / ebbe origine / extraterrestre / sarà per questo / che la stessa fuliggine / tempesta / uomini e bestie / alberi arbusti e fiori / veniamo tutti da fuori…». L’origine sarà pure extraterrestre, ma mi sembra con una pessima eredità, specialmente in questi ultimi anni. Cosa ne pensi? L’origine extraterrestre vuole avanzare una possibile spiegazione al dolore che accomuna le vite di ogni essere vivente dall’essere umano fino al più piccolo organismo, dolore-bisogno che è tanto causa di ciò che chiamiamo imperfezione quanto molla ad agire per ovviare a ciò che ci manca. Perché ci manca sempre qualcosa, e se così non fosse avremmo ben altra concezione del fare, sia nell’accezione del pràttein che in quella del poiêin. Meglio ancora forse non ne avremmo alcuna. Non avremmo bisogno di procacciarci del cibo e neanche di produrre e fruire di poesia – che poi il produrre e il fruire di talvolta in una certa misura si compenetrano. Un essere perfetto è sempre sazio ed in forze ed è sempre in uno stato di poesia piena, non conosce stati impoetici. Una pessima eredità? Bisogna capire rispetto a chi o a che cosa? Rispetto al pianeta di cui saremmo ospiti? Quando parliamo di salvare la Terra adoperiamo quanto meno una espressione impropria. In realtà stiamo parlando nella migliore delle ipotesi di preservare condizioni di vita accettabili dell’uomo sulla Terra; nella peggiore stiamo parlando di preservare i nostri modi di vita produttivisti, operazione che implica di contro tutt’altro che una preservazione, visto che la logica intrinseca ad essi è fondata su una espansione illimitata della produzione e del consumo. È evidente che tutto ciò somiglia ad una corda che corre il serio rischio di spezzarsi, e non solo perché viviamo in una biosfera dalle risorse limitate – noi non creiamo nulla, trasformiamo solo, per quanto le nostre trasformazioni possano essere relativamente straordinarie -, ma perché le nostre risorse stesse – cognitive, emotive etc. – sono limitate. L’intelligenza artificiale è un paradosso perché nel momento in cui promette di liberarci da tanta fatica proclama anche la nostra inutilità di fare, eppure – come dicevo sopra – il non fare è per noi assimilabile al non essere, per quanto con questo verbo non intendo affatto il pragmatismo aziendalistico che è piuttosto una sorta di punizione del fare ed al fare. Se l’uomo scomparisse dalla faccia della Terra, tutti gli altri esseri viventi troverebbero un nuovo, sia pure sempre e comunque instabile, equilibrio, ed anzi il sospetto è che toglierebbe loro un sacco di rogne – per usare un eufemismo - che attualmente noi umani arrechiamo alle loro possibilità normali di vita. Per quanto riguarda il mondo inorganico, quello che immagino autenticamente terrestre, autoctono, praticamente non cambierebbe nulla. Allo stato delle nostre conoscenze attuali mi pare difficile sostenere che un masso o una chiazza di petrolio possano provare nostalgia non solo per una eventuale scomparsa dell’uomo, ma anche per la scomparsa di se stessi. La Terra continuerebbe ad esistere come prima della “invasione extraterrestre” dei viventi e del resto se anche per ipotesi l’uomo dovesse letteralmente provocare una distruzione del pianeta, tale avvenimento equivarrebbe, per il nostro sentire immediato, ad un qualcosa di proporzioni cosmiche, eppure - come ben affermava Mao Tse Tung in tempi di minaccia nucleare - non avrebbe praticamente alcuna ripercussione sulla “quotidianità” dell’universo, e al massimo qualche riverbero si registrerebbe nel sistema solare. Dunque neanche questa è la strada giusta per approcciare la cattiva eredità. Circoscriverei dunque enormemente, rispetto all’ampiezza delle sfere aperte sopra, la cattiva eredità. Credo che essa sia rintracciabile nella dinamica per cui l’uomo occidentale ha, peraltro in tempi relativamente recentissimi, di fatto costretto tutti gli altri uomini entro i suoi modelli di vita, e poco importa che proprio la culla di quei modi, l’Europa, sia oggi ampiamente superata sul suo stesso piano da altri popoli. Gli allievi – per quanto inizialmente allievi riluttanti – possono ampiamente superare i maestri. Subito dopo non possiamo però dimenticare la scomparsa e la marginalizzazione della biodiversità che questi modi di vita, diciamo a partire dalla rivoluzione industriale in poi, hanno crescentemente prodotto. Quante specie animali si sono estinte o sono in via di estinzione, e lo stesso si può dire delle specie vegetali? Inoltre se tutto ciò ha una ripercussione sull’uomo stesso, fino a che punto ci sentiamo di dire che non esiste alcun diritto degli animali e dei vegetali di esistere a prescindere dal beneficio che apportano all’uomo? Come definisci l’umanità di oggi? Relativamente ancora molto varia, malgrado la globalizzazione e a prescindere dalle sue crisi, ché probabilmente la crisi non è altro che uno stato permanente della globalizzazione, ad essa intrinseco, escluso magari soltanto il suo breve periodo “eroico”. La dividerei, cosciente di semplificare, almeno in tre fasce, intendendo bene però che non esiste una divisione netta e molti soggetti possono essere più o meno trasversali ad esse. La prima è composta dagli “opulenti”, nella quale – sia chiaro – mi metto anche io; da quelli che – almeno per ora – godono ancora di condizioni materiali di vita accettabili, per quanto abbiano mille motivi di frustrazione e non siano certo immuni dallo sfruttamento e dalla sopraffazione. Vi sono poi i “desiderosi di opulenza” quelli che – come si suol dire – vorrebbero vivere come noi, ovvero avere il riscaldamento, l’elettricità e l’acqua corrente, mangiare tutti i giorni e magari anche diventare sfacciatamente consumisti con l’ultimo smartphone in tasca, ma – almeno temporaneamente – sono impossibilitati a raggiungere questo status. Se da una parte non è dato a chi vive nell’opulenza di biasimare tali desiderosi - spesso già incamminati verso il proprio desiderio -, il mio sospetto è anche che, d’altra parte, data la distruzione delle loro società tradizionali, non sia rimasto loro da desiderare nient’altro, che ne siano coscienti o meno. Infine ci sono appunto coloro che, per quanto non certo “selvaggi incontaminati”, sono ancora in buona parte legati ai modi di vita non occidentali. Se l’opposizione alla deforestazione – tanto per formulare un esempio lampante – divide “opulenti” ed “opulenti” e una parte di essi sostiene che è facile essere contro la deforestazione quando si vive in una metropoli e si lavora nel terziario avanzato, mentre è uno schiaffo agli altri “desiderosi” di svilupparsi, la deforestazione può essere anche uno schiaffo, forse ancora più forte, ai “tradizionali”. La loro aspirazione a preservare i loro modelli di vita è forse meno rispettabile di quella di coloro che aspirano agli standard “occidentali”? Ribadisco che queste tre fasce non esistono praticamente mai allo stato puro, pur essendo per me efficaci astrazioni per illustrare per grandi linee quello che credo sia il volto proteiforme dell’umanità del 2022. Parimenti non esistono o quasi paesi la cui totalità degli abitanti sia decisamente incasellabile in una e una sola di esse. C’è speranza di una ripresa e come? Confesso che se mi metto ad immaginare un futuro relativamente prossimo tendo vederlo in maniera radicalmente diversa a distanza di pochi giorni se non di poche ore, magari a seconda delle suggestioni che più prevalgono in quel momento in me. In realtà credo di aver capito che non necessariamente solo talvolta sono più vicino a quello che verrà mentre altre volte sono totalmente fuori strada. Il panorama del futuro potrebbe essere, in altre parole, pieno di contrasti e contraddizioni, o almeno di situazioni apparentemente tali. Le inondazioni sempre più frequenti, le desertificazioni sempre più avanzate, le pandemie sempre più pervasive potranno infatti tranquillamente – e persino “naturalmente” – convivere con una gestione ipertecnologica di esse, laddove gestione non significa affatto di per sé risoluzione o anche solo attenuazione del danno. Anzi l’ipertecnologia potrebbe essere foriera di ulteriori danni futuri. È un po’ il discorso che fa Ivan Illich sulla iatrogenesi, solo che dal campo medico-sanitario va generalizzato agli altri campi, per quanto ogni questione oggi più che mai sia impensabile senza un quid di afferente al medico-sanitario. D’altra parte tale generalizzazione è perfettamente coerente col discorso illichinano, dato che esso trova meno la genesi in un campo specifico che in una intuizione generale che poi viene ricondotta ai differenti campi, portandolo a formulare così un discorso simile anche per la scuola, per il lavoro… In realtà – mi accorgo ‒ il futuro che sto disegnando non è neanche troppo diverso dal tempo che già viviamo, solo sto prevedendo una radicalizzazione delle contraddizioni. Ma non è forse questo il limite – o se vogliamo la peculiarità – di tanti film e romanzi fantascientifici – spesso e volentieri ad alto tasso di distopia ‒, i quali – come si constata a distanza di decenni – finiscono per descrivere molto più il loro tempo e illuminarlo di una luce inedita di quanto facciano circa il tempo futuro? Va da sé che tale prospettiva – e tale attualità – tenda a piacermi poco, tuttavia per immaginare una “ripresa” è necessario immaginare delle soggettività che si facciano protagoniste di essa. Il primo presupposto è l’insoddisfazione, ma se questa è condizione necessaria di certo non è sufficiente. Un tempo non lontano si parlava di “droga di Stato”. Oggi vedo più droga che Stato, e mi spiego: lo spazio dello Stato – che dovrebbe rappresentare molto in teoria il bene pubblico, ma in un’ottica non solo anarchica, ma anche marxiana non è certo così – è in quest’ultimo ventennio costantemente eroso dai grandi colossi del cosiddetto “capitalismo della sorveglianza” (Shoshana Zuboff). Noi non nativi digitali tendiamo di fatto ormai a percepire un certo motore di ricerca e certi social alla stessa stregua dell’aria, come gratuità che è sempre esistita, avulsa da rapporti di potere e da questioni di business. Se questo avviene tra i non nativi, figuriamoci tra i nativi… Non dico, naturalmente, che questi siano peggiori dei loro genitori e nonni, tuttavia sommano all’assuefazione dei più anziani non solo una assuefazione ancora più profonda, ma anche difficoltà più marcate a mantenere l’attenzione, a scrivere in maniera “tradizionalmente corretta”, a comprendere testi complessi. D’altra parte il loro mondo è fatto di linguaggi altri di cui noi over 30 non possediamo i codici di accesso. Linguaggi certo più legati all’immagine istantanea e alla espressione brevissima, ai limiti della correttezza grammaticale. Da tale humus può nascere un nuovo mondo più giusto, egualitario, democratico? Se ai miei occhi appare improbabile perché il “loro mondo” è in realtà un mondo la cui proprietà e gestione sono saldamente in mano ad una oligarchia, peraltro tanto più insidiosa quanto invisibile – come l’aria appunto –, che se da una parte conosce i nostri pensieri e i nostri affetti e proprio nell’esplicarsi di essi consolida il suo (bio)potere, è anche vero che i miei occhi sono irrimediabilmente lontani dal poter godere di quei codici di accesso di cui sopra, e pertanto potrebbe esistere una zona vastissima sulla quale io non leggo altro che “Errore 404 Not Found”, ma indossando gli occhiali appositi potrei scorgere tutt’altro. Parliamo ancora del tuo Terrestri d’adozione. Dice Gino Rago in La sfida al labirinto che introduce il volume, «Stefano Taccone supera d’un balzo gli steccati poetici del ʼ900. Nei versi che si succedono con una inconsueta omogeneità stilistica non vi sono né echi né tracce di futurismo, di crepuscolarismo, di esperienze vociane o rondiste». Insomma, non ci sono i canoni del ʼ900. Read the full article
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Massimo Polidoro, complottismo e pasticci evitabili
Un breve inciso per evitare equivoci.
Apprezzo Massimo Polidoro per l’impegno profuso nella demistificazione delle bufale. Operazione più che mai necessaria in questi ultimi anni in cui la confusione su molti presunti misteri regna sovrana. Tante, troppe sono le disinformazioni circolanti in Rete per restare impassibili di fronte a tale scempio.
L’immaginario popolare e non ha moltiplicato e riprodotto frottole (per usare un termine gentile) come non si era mai visto e sentito. Inutile dire che Internet con tutti i suoi potenti mezzi ha permesso e permette la diffusione senza limiti aggiungendo confusione a confusione, sia nelle faccende futili sia in quelle dieminente importanza: dal cospirazionismo (complotti di tutti i generi a volte molto gravi per l’effetto di alterazione della realtà) alla pretesa delle pseudo scienze di prospettare verità più alte e, passatemi il termine, antisistemiche (perché la scienza è tutta e solamente al servizio del potere, ovviamente, come se non esistessero “poteri” antagonisti tra loro).
In proposito anche una disamina minimarichiederebbe parecchio spazio, ma per maggiore chiarezza faccio un breve accenno.
Consiglierei intanto la lettura di questo articolo per farsi un’idea della questione:
https://www.micromega.net/pandemia-postmoderna/
Cito un estratto: «A partire da un certo periodo il richiamo all’esame di realtà è liquidato come residuo di positivismo. Da qui la sfiducia nei saperi costituiti, nelle scienze esatte, in tutto ciò che è il cosiddetto “pensiero competente”. Le conoscenze esatte vengono degradate a miti condivisi e i miti rivalutati come forme universali di conoscenza. Astronomia e astrologia, per esempio, divengono due “tradizioni”, due tribù culturali con eguale dignità, benché l’astrologia sia sicuramente più interessante, perché pre-moderna e democratica, non chiusa alla pratica per le persone non scientificamente competenti. Quindi, l’immunologo e l’idraulico che si informa su facebook si equivalgono, ma del primo è bene dubitare di più, con la sua pretesa antidemocratica di oggettività.».
Cosa accade seguendo la logica del “tutti hanno ragione”? Non è più possibile dimostrare una “verità” per quanto relativa possa essere.
E’ vero che non esistono verità assolute ed eterne, ma questo non significa che non ne esistano. Il fatto che si sia scoperto il cosiddetto entanglement quantistico non ci impedisce di misurare esattamente la velocità di un mobilese conosciamo lo spazio percorso e il tempo impiegato a percorrerlo. Esiste una fisica che va oltre il conosciuto? Esistono veramente le superstringhe e undici dimensioni come propone una parte della fisica (si veda a tal proposito Edward Witten)?
Non penso che questi interrogativi possano rientrare nelle competenze di ignoranti come me e come tanti altri: cioè la maggior parte della popolazione. Cosa significa che non posso parlare di niente? No, ma non ho la pretesa di esprimere opinioni a riguardo.
E perché mai chi non studia immunologia, virologia o altre scienze dovrebbe avere la pretesa di giudicare ciò che è vero e ciò che è falso in questi campi?
Tutt’al più potremmo esprimere opinioni sull’uso politico delle informazioni, ma questa è tutt’altra cosa. E comunque tengo a sottolineare che resterebbero nel limbo delle opinioni a meno che non si abbiano competenze sufficienti per discuterne in modo serio.
Allora la verità esiste o no?
Risposta: dipende. Esiste, ma può essere migliorata. In un dato momento può esserci una verità che è migliore di altre (che non significa più utile, come vorrebbero i pragmatisti). Quella è la verità. Pur non essendo né eterna né assoluta.
Ma non è certo il singolo individuo a stabilire quale sia la migliore. Quella è solo presunzione e arroganza. L’evoluzione e la storia daranno le risposte.
Questa confusione sulle verità crea a sua volta una confusione estremamente grave (come mette in rilievo Luigi Corvaglia nell’articolo citato):l’antagonismo in questo senso crea il dogmatismo e trasforma la critica in totalitarismo.
Peggio. Confonde il vero antagonista in un opinionista qualunque e la critica finisce per essere posta tutta sullo stesso piano come se fosse stato realizzato il tanto decantato sincretismo antagonista molto caro ad Hakim Bey (si veda per es. Millenium) tanto per fare un nome.
Dove tutto è confusione non esiste più critica ponderata o complotismo e diventa facile in tal modo reprimere il dissenso. E' sufficiente etichettarlo come impostura. La notte dove tutte le vacche sono nere.
Passo alla questione centrale.
Dopo aver visto su Youtube due specifici video del noto Massimo Polidoro non sono riuscito a resistere alla loro critica.
I due video sonorispettivamente:
https://www.youtube.com/watch?v=CwErwnTMbl0
https://www.youtube.com/watch?v=LZ5fUhCzwXA
Sono due interventi estremamente delicati (nel senso che sarebbe stato meglio non cimentarsi, da parte sua, ad affrontarli) che implicano (non è un termine scelto a caso) non solo scenari politici complessi, ma anche visioni e ideologie economiche e politiche divise da enormi spartiacque che scivolano in terreni paludosi in cui si rischia non solo di uscirne con difficoltà, ma addirittura di restarne impantanati e non uscirne affatto.
Cercherò di essere il più breve e conciso possibile pur sapendo che ciò è quasi impossibile.
Inizio dal primo, ma non per qualche ragione particolare.
Il dottor Cottarelli è un “rappresentante” di una concezione economica e politica molto specifica di cui si conosce bene l’appartenenza. A questo riguardo mi chiedo: «perché intervistare proprio un personaggio di questo tipo?».
Credo che solo per la ragione che il FMI ha determinato (nel senso pieno del termine. Avrei potuto usare la parola imposto) scelte politiche ed economiche discutibili e dubbie, gli effetti credo non siano affrontabili in questa sede, sarebbe stato meglio non tirarlo in ballo.
Forse si potrebbe chiedere alla popolazione greca cosa ne pensa del FMI o ad altri paesi, per esempio l’Argentina.
Sarebbe possibile fare un elenco interminabile di citazioni, ma siccome questo elenco prenderebbe in considerazione dati alternativi al mainstream, mentre intendo abbordare il discorso da un lato diverso, mi limito a segnalare due scritti abbastanza superficiali. Il primo è un articolo abbastanza banale, l’altro è tratto da una piccola tesi:
https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-06-05/ammette-sono-stati-commessi-183544.shtml?refresh_ce=1
https://tesi.luiss.it/3250/1/mutone-tesi-2009.pdf[pag. 44]
Personalmente credo poco aitardivipentimenti.Assomigliano tuttiun po’ alle lacrime di coccodrillo della professoressa Fornero. Ma tant’è.
Per quanto riguarda l’attendibilità delle misure economiche degli ideologi della scienza economica borghese sarebbe richiesto uno spazio di cui qui non posso disporre. Per questo motivo affermo aprioristicamente che ogni terapia e medicina economica messa in atto da chi cerca di tenere in vita questo sistema guarda caso produce sempre effetti che tengono in vita sempre gli stessi (speriamo non siano immortali) e sacrifica i sacrificabili.
Ecco...forse se si fosse cercato di intervistare un luminare dell’economia (categoria a cui non appartiene Cottarelli) un pochino più attendibile e meno schierato, forse, l’intervento sarebbe stato più interessante.
Mi perdo ancora a esaminare superficialmente una risposta del tutto arbitraria e banale del dott. Cottarelli, che dice più o meno così: «negli anni ‘80 non avevo l’artrite e non mi faceva male la spalla destra.».
Allora...non intendo essere maleducato verso il dottor Cottarelli, ma potrei esserlo.
Intanto il linguaggio è demagogico. Sarebbe stato meglio dire non avevo la spalla dolorante, ma è chiaro che dovesse usare un linguaggio idiomatico (dunque popolare). L’intervento demagogico del Cottarelli prosegue poi in modo ancora peggiore.
Qualche giorno fa, ma non per finzione (o funzione) letteraria, avevo tra le mani una fotografia che mi ritraeva all’età di 27 anni (ora ne ho 67purtroppo) seduto su di uno scoglio abbracciato ad una carinissima ragazza dagli occhi azzurri. Potrei dire che la mia nostalgia per il passato non riguarda il fatto che allora non avevo “male” alla spalla (di cui soffro in questo periodo, purtroppo), ma per ben altri motivi, com’è facile immaginare.
Ma se l’appunto fosse tutto qui sarebbe solo una banale battuta come quella del dottor Cottarelli, che può suscitare ilarità solo se fatta dal dottor Cottarelli. In realtà se l’avessi fatta io sarebbe stata ritenuta semplicemente un’idiozia (a ragion veduta).
La questione è che il dottor Cottarelli da buon economista avrebbe dovuto almeno fare cenno ad alcuni dati economici e sociali.
Faccio solo un’osservazione: è vero che gli stipendi negli anni ‘70, e mi limito all’Italia, erano in proporzione più bassi di quelli odierni (anche a prescindere dal fatto che è avvenuto un declino generalizzato dal 2008), ma negli anni ‘70 le famiglie non avevano 2/3 macchine di proprietà, cellulari del costo di 1,000€, computer e televisioni ad ogni stanza. Beni voluttuari che letteralmente “mangiano” una parte non indifferente del salario.
Non prendiamo poi in considerazione altri parametri o criteri per definire la “soddisfazione di vita”. Tema molto complesso.
Ora, non sono certo io a disapprovare la concezione progressista della storia, ma la valutazione del benessere è sicuramente molto più articolata e composita (esistono fiumi di analisi in proposito) da ciò che se ne può trarre dalle banali affermazioni del dottor Cottarelli, che a me personalmente paiono chiacchiere da bar.
Un’altra cosa mi ha sorpreso dell’almanaccare del dottor Cottarelli: le affermazioni sull’”età dell’oro”. Mi spiace non avere lo spazio per considerare come meriterebbe questo tema. Qualche argomentazione in più potete leggerla qui:
https://umanitapolitica.blogspot.com/2012/05/redenzione-e-utopia.html
Intanto non si può e non si deve confondere il mito in questione con la semplice e ordinaria idea di qualche elemento culturale di tipo nostalgico. Mi piacerebbe, tra le altre cose, consigliare al dottor Cottarelli l’ascolto di questo podcast:
https://www.raiplaysound.it/audio/2022/02/Fahrenheit-del-08022022-a2fad58a-c98f-4996-954d-030704106cd6.html
E non da ultimo questo testo (ma ne esistono innumerevoli):
https://www.ibs.it/redenzione-utopia-figure-della-cultura-libro-michael-lowy/e/9788833906492
Michael Löwy in questo testo mette in rilievo l’importanza che il mito messianico ha avuto nel corso del xx secolo.
Si potrebbe specificare: in una forma d’interpretazione atea figure quali Gustav Landauer, Ernst Bloch, Giörgy Lukács, Erich Fromm e molti altri è da ritenere abbiano influenzato la critica anticapitalistica perpetuando una tradizione di salvazione, o, si potrebbe definire, di conseguimento di una condizione di libertà, di cui è ben difficile datarne gli albori e l’origine.
Detto in parole poverissime.
Che è, però, ben altra cosa di quella che intende far passare il “nostro” Cottarelli.
E’ assurdo e insulso rigirare la frittata scambiando un concetto per un altro.
Il mito dell’età dell’oro è un discorso serio e le battute che si vorrebbero umoristiche sono semplicemente vacue e capziose.
Non so quanto possa esserci di vero nelle teorie che vedono un filo rosso nella tradizione salvifica giudaico/cristiana che portano sino al socialismo e a Marx (mi pare condivise anche dal filosofo Umberto Galimberti), ma con qualche artificio speculativo quasi tutta la filosofia politica e sociale (e forse non solo) occidentale potrebbe esservi ricondotta.
Soltanto per fare un inciso: il mito dell’età dell’oro ha origini che si perdono agli albori dell’umanità. Ridurre un argomento tanto rilevante culturalmente a un’affermazione vaga e insignificante è, come minimo, ambiguo. La nostalgia per il “tempo perduto che non ritornerà più” ha anche un connotato antropologico oltre che culturale, Credo che se si vuole trattare in modo serio tale nozione non la si possa utilizzare in un discordo sull’economia, tanto meno da un personaggio non “addetto ai lavori”.
La stessa cartografia Tolemaica nasce in Egitto e giunge sino al medioevo trasmettendo la “cognizione del mondo” che era propria di quel paradigma che porta con se il bisogno imprescindibile di redenzione. la nostra cultura, forse addirittura tutto il pensiero utopico, potrebbe essere ricondotto al bisogno di redenzione.
Credo sia importante rilevare che la cartografia, potente portato culturale in secoli di storia, non era una scienza sino al ‘400. Le mappe avevano un valore religioso e cosmologico in cui i luoghi venivano rappresentati secondo la fantasia e le teorie che più soddisfacevano un “universo simbolico” dominato (e controllato) dall’ideologia cristiana. Il paradiso terrestre era parte costitutiva della cosmografia e nell’immaginario, una sorta di luogo beato e felice collocato oltre le terre conosciute, solitamente su un’isola più o meno presente in tantissime culture e tradizioni.
Ribadisco: se vogliamo parlare di “nostalgia” e di “età dell’oro” lo si dovrebbe fare in modo ponderato e corretto.
Qualche mia considerazione in proposito si trova qui:
https://umanitapolitica.blogspot.com/2012/05/redenzione-e-utopia.html
Per concludere: non riesco a cogliere cosa ci sia di scientifico nella “chiacchierata” del dottor Cottarelli e per quale ragione dovrebbe essere considerato un intervento di debuncking in qualsiasi senso lo si voglia intendere. Debuncking di cosa? Perché non sa cosa sia Bilderberg?
Di certo non è un covo di rivoluzionari o di complottisti, ma basta dare un’occhiata ai membri che ne fanno o ne hanno fatto parte per capire che di certo non si può dire facciano gli interessi della working class.
Sempre “guarda caso” è stata fondata da un noto “proletario” che all’appello risponde al nome di Rockefeller che per pura coincidenza (?) è lo stesso nome che ha fondato la Commissione Trilaterale. Di cui il dottor Cottarelli, ovviamente (e perché dovrebbe), anche di questo non sa nulla. Ma che ci stava a fare nell’intervista se non risponde nemmeno a una domanda?
Di certo il Gruppo Bilderberg e la Commissione Trilaterale non sono state fondate dai “discepoli” del notissimo satanistaimagari massone e cospirazionista giudaico) Karl Marx al contrario il problema era la paura della diffusione del comunismo.
E a proposito di satanismo e amenità varie sarebbe interessante demistificarel’affermata bufala dei testi satanici contenuti in una certa discografia.
Un testo da cui trarre ispirazione è senz’altro questo:
https://www.libreriauniversitaria.it/taboo-tunes-musica-fuorilegge-blecha/libro/9788879663885
Vengo alla seconda questione.
Mi limiterò a qualche interrogativo a rischio di sembrare del tutto retorico. Non credo debba giustificarne i motivi.
Inizio con unoa caso:
Come ha creato la Cina l’idea che il virus non fosse letale? Non c’era nessun virus?
La Cina aveva isolato Wuhan e si sapeva già da subito. Tutti sanno che il medico che aveva scoperto il virus è morto per il contagio, ma riescono a convincere che il virus non è mortale?
Strano.
La mattina prima di entrare in ufficio ascoltavo Radio3 Mondo. Parlo del gennaio 2020 già la prima metà del mese.
Si diceva che il problema non era sapere se sarebbe arrivato il virus, ma solo quando sarebbe scoppiata la pandemia anche negli stati uniti. Analisti americani di alto rango sostenevano che la Cina aveva adottato misure medievali, salvo poi applicare e replicare successivamente le stesse misure, oltretutto in ritardo. Forse per pure ragioni economiche utilitaristiche? Certo, che importanza può avere la salute di milioni di presone a confronto della salute economica americana, e di conseguenza del resto del mondo.
Tanto che già Trump, mi riferisco sempre al mese di gennaio, aveva chiesto al congresso 2/3 miliardi di dollari per affrontare l'emergenza. Briciole, dicevano i Democratici, che sostenevano ne sarebbero serviti almeno 7/8. Briciole, ovviamente, anche queste di fronte alla tragedia a cui si stava andando incontro.
Ho chiesto a Raiplay Sound la possibilità di ottenere i podcast a cui mi riferisco.
La risposta è stata questa:
Purtroppo il contenuto da te segnalato al momento non è totalmente disponibile su RaiPlay Sound.
Le stagioni precedenti non sono più disponibili perchè sono scaduti i diritti di riproduzione
La disponibilità dei contenuti su RaiPlay Sound è legata ai diritti di sfruttamento web detenuti da Rai, che incidono sull’offerta editoriale.
Per i contenuti in diritti, data la ricchezza della produzione Rai non è possibile avere a disposizione tutti i contenuti contemporaneamente ed immediatamente.
Nel tempo la nostra offerta verrà senz'altro ampliata sulla base dei contenuti per i quali la Rai detiene i diritti di sfruttamento web.
Ti ringraziamo per la preziosa segnalazione di cui terremo conto nell'elaborare il nuovo piano editoriale.
Unico motivo che mi impedisce di dimostrare quanto sto affermando.
Proseguo.
Impreparazione di fronte a casi eclatanti già avvenuti come l’aviaria e la sars?
Impreparazione o inefficienza e inerzia che derivano da burocrazia e politiche indifferenti verso la sorte delle “masse”? Mah.
Mascherine e aiuti non tradotti in realtà, cioè non recapitati ai destinatari, dimostrerebbero un complotto e in qualche modo avrebbero lo scopo di confermare che il virus non esiste? O sono semplicemente strategie per esaltare l’immagine dei paesi implicati?
Distinguerei tra propaganda e complottismo.
L’amministrazione Bush aveva convinto il mondo che Saddam Hussein possedesse armi di distruzione di massa che non sono mai state trovate. Propaganda o complotto?
Sì perché o è vera una interpretazione o è vera l’altra. Altrimenti applichiamo due pesi e due misure.
Come si legano le bufale sulla falsità dei decessi da covid ad un complotto russo e cinese? Dove sono le prove?
Nel processo penale vige la regola che l’onere della prova grava sull’accusa. Non credo sia sufficiente un qualche proclama pur se arriva da un rapporto dell'Unione Europea.
In realtà, comunque, il capitalismo non ha bisogno di complotti in generale e nel particolare per la riduzione della popolazione mondiale perché è già per sé stesso il complotto che consiste nella conservazione del sistema di riproduzione del profitto e di conseguenza della propria esistenza a scapito di altri.
La propaganda anti cinese in questi anni recentissimi accusava la Cina, fautrice del 5G, di essere il paese criminale che minacciava la salute mondiale attraverso l’installazione delle antenne necessarie.
Mai sentita una voce del mainstream smentire la stravaganza che il sistema 5G sia in qualche modo particolarmente dannoso alla salute. E perché non il 4G?
Il problema, tra l’altro, è stato considerato anche sotto un altro aspetto, per esempio:
https://www.corrierecomunicazioni.it/digital-economy/5g-e-aerei-interferenze-reali-o-di-lobby-il-dossier-sul-tavolo-sullasstel/
Mettere in difficoltà le “democrazie” occidentali contro una propaganda decennale anticomunista che continua a ritenere la Cina un paese comunista (sarebbe quasi divertente se non fosse un’idea perversa) a me personalmente non pare un complotto, ma propaganda strategica. Non molto lontana dalla propaganda di guerra. Utilizzata, tra l’altro, in modo puntuale nell’intervento NATO contro la ex Yugoslavia. Non parliamo poi dei democraticissimi paesi che hanno usato i proiettili all’uranio impoverito sempre in quell’occasione.
Mi preme soltanto sottolineare che i cinesi erano visti come gli untori portatori del virus e che per strada la gente cercava di evitarli.
Isolare la Cina comunista per indurre il suo governo a crollare è una strategia che dura decenni e ci si meraviglia se ora questa difende la propria integrità territoriale?
Sono decenni che si cerca di screditare qualsiasi cosa abbia qualche parvenza di comunismo e di certo i tormentoni non sono ancora finiti nonostante tutto.
A proposito degli approfondimenti leggo, p. es., qui
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52020JC0008&from=EN
soggetti esterni e alcuni paesi terzi, in particolare Russia e Cina, hanno avviato nell'UE, nel suo vicinato e nel resto del mondo operazioni di influenza mirate e campagne di disinformazione incentrate sulla Covid-19, con l'intento di boicottare il dibattito democratico, esacerbare la polarizzazione sociale e migliorare la propria immagine nel contesto della pandemia.
Unico riferimento alla Cina, mi pare.
E ci sono, ovviamente, anche punti di vista diversi da considerare che andrebbero democraticamente tenuti in considerazione.
Mi permetto, contrariamente a quanto dichiarato più sopra, di suggerire un articolo di diverso stampo politico:
https://contropiano.org/news/politica-news/2020/05/14/la-nato-entra-in-guerra-contro-le-fake-news-0127930
Disinformazione e complotto sono due cose diverse!
Proseguo:
https://www.repubblica.it/dossier/esteri/parlamento-europeo/2020/06/23/news/fake_news_ue_infodemia-259951041/
Ai primi di marzo il regime cinese è in allarme, il mondo lo incolpa per non avere tempestivamente lanciato l'allarme Covid. Partono le contromisure. Pechino clona da Mosca una nuova forma di disinformazione, cambia i suoi obiettivi: se in passato la propaganda della Repubblica popolare era volta a far guadagnare consenso interno alla sua classe dirigente, ora guarda all'esterno, cerca di creare caos e mistificare.
Nutro forti dubbi che in Cina si siano resi conto di questo fatto soltanto in marzo quando in gennaio già si accusava il paese in questione per aver nascosto il fenomeno del contagio. Che la Cina possa essere ritenuta un paese dove vige un regime dittatoriale è un conto che siano stupidi è un altro.
Che la disinformazione si possa ritenere esecrabile non solo sotto l’aspetto giuridico, ma anche sotto l’aspetto morale ed etico è un giudizio sensato, ma come la stragrande maggioranza dei fatti che riguardano le politiche geostrategiche il giudizio passa in un altro piano.
Ribadisco a rischio di sembrare noioso: disinformazione (di cui la CIA credo sia la migliore rappresentante) e complotto sono due fatti diversiii esostituire l’una con l’altro questo sì è fuorviante
Purtroppo, non trovo altro termine, è in atto uno scontro che, invece,non è fuorviante chiamare guerra fredda.
Per portare un esempio:
https://www.youtube.com/watch?v=q9hEMAVHcIE
Stati Uniti, Cina, Russia. Chi e come prevarrà fra trent’anni? - Festival di Limes
Ci si dimentica, intenzionalmente o meno, delle guerre a bassa intensità degli Stati Uniti in sud-america. Per esportare una cosiddetta “democrazia” sono decenni che queste geopolitiche mietono vittime.
L’aiuto strategico alle opposizioni in sudamerica, per esempio, nel tentativo di abbattere il potere di Maduro per sostituirlo con un partner affidabile fa parte di tutta la politica estera americana.
E i tentativi di condizionamento americano sulle politiche europee? Cosa accadrebbe all’Europa se un’improvvisa virata politica allontanasse i governi dalla subalternità all’egemonia economica e politica americana?
Cosa accadrebbe in Italia se arrivasse al potere un governo che si dichiarasse comunista? Sarebbe possibile?
https://www.limesonline.com/rubrica/la-basi-usa-in-italia
Non è questa un’egemonia fondata sulla paura?
Ci si indigna della disinformazione cinese, ma la subalternità ad un altro paese è tollerabile e del tutto accettata.
I negazionisti sono fomentati da occulti manovratori cinesi o forse dalle destre che tentano strategicamente di indebolire i governi?
Ci sarebbero anche una serie di altre questioni che richiederebbero un approfondimento.
Per esempio:
https://www.iltempo.it/esteri/2021/05/08/news/cina-terza-guerra-mondiale-armi-biologiche-coronavirus-virus-covid-usa-documento-rivelazione-27158792/
Il discorso relativo alla Russia dello “zar” Putin potrebbe seguire la stessa logica di fondo e potrebbe apparire soltanto polemico, e dunque lo tralascio.
Faccio solo un breve rilievo.
Le strategie geopolitiche sono forse l’esempio più evidente del razionalismo con cui vengono affrontate le questioni statali, ancor più di quanto lo sia il metodo con cui vengono trattati i problemi interni agli stessi dove i conflitti dell’arena politica sono confusi, pasticciati e il più delle volte soltanto demagogici.
Rimando alla lettura di questa mia breve recensione de Il Grande Gioco di Peter Hopkirk che si trova in questo sito
https://navigarenellavita.wordpress.com/2015/11/27/il-grande-gioco-di-peter-hopkirk/
Se si segue la logica di evoluzione della geopolitica russa non si trovano molte differenze strategiche tra la Russia zarista quella sovietica e quella attuale, pur essendo cambiato profondamente il contesto. Ciò che va colto è il senso delle scelte nello scacchiere internazionale. D’altronde ancora oggi, come trent’anni fa quando scoppiò il disastro dell’ex Yougoslavia e ancora prima, gli interessi per i Balcani (si veda la questione balcanica) e per la Serbia da parte della Russia odierna restano più o meno inalterati.
Le strategie geopolitiche hanno tutte lo stesso scopo: difendere gli spazi egemonici, possibilmente espandere l’influenza, impadronirsi di risorsee proteggere quelle che si hanno e l’unità nazionale. Non è tutto qui, ma in poche parole questi elementi muovono le geopolitiche di tutti i paesi. Figuriamoci quelle delle principali potenze mondiali: Stati Uniti, Cina e Russia. Uno dei paesi più arruffoni da questo punto di vista è senz’altro l’Italia.
In sostanza in geopolitica non esistono buoni e cattivi. Esistono strategie, utilitarismi e “vinca il più forte”. Qui è possibile realmente comprendere l’idea di ciò che è e come si realizza il “rapporto tra forze” che fonda la legge e l’ordine.
Il fatto che ognuno a seconda delle ideologie e delle proprie preferenze personali propenda per la vittoria dell’uno o dell’altro è ancora una questione diversa.
Non esistono americani buoni e russi cattivi. Esiste lo scontro geopolitico e ognuno fa i propri interessi e danni. Ciò che accade in Ucraina nel moneto in cui scrivo può essere un caso esplicativo. Significativo è osservare che gli interessi di Russia e Cina coincido forse più di quanto fossero con l’esistenza dell’Unione sovietica nonostante le enormi divergenze politiche tra i due paesi a dimostrazione del fatto che nello scacchiere internazionale contano di più gli interessi generali di quanto possano contare le affinità politiche interne.
Èinutile dire che ogni argomento affrontato qui richiederebbe un lavoro monografico a sé dal momento che, diversamente, il numero di off-topic supererebbe un normale gradodi tollerabilità.
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Scritti italiani sulla Troma ce ne sono pochi - i motivi sono tanti, diversi e alcuni perfino legittimi. Tra i pochi a essersi spesi per vergare qualcosa ci sono i tipi della Treccani, che nella loro enciclopedica foga hanno dedicato una voce intera alla creatura di Kaufman & Herz. Il contenuto non può che essere critico (a detta della firma anonima), nonostante si riveli una panoramica abbastanza ramificata delle influenze, i collegamenti e i risultati dei titoli Troma. Diderot era meglio.
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. oggi festeggiamo il Ferragosto d'aspirazione Cristiana, come una pantagruelica grigliata da asporto, all'ora mi torna alla mente succoso un nodo scorsoio dal ventre giù finché la patta va, lasciamoci andare all'orde del mare al madrigale che non da respiro, sotto attacco ammaro al mosto raro baro di tannini e bricolage, la desertificazione di Maria nel corpo e nella mente, fendente all'osso Sacro, pare ben educato l'avanzato stato di demistificazione del costato, lato latrato della famiglia multimediale bombardato, è l'horror che pia l'aringa fedel al cielo sbombro espando l'emozione come faro fuori porto, birra e falò delle vanità oh palombaro, mio palombaro piombato come un tonno pinna gialla alla mattanza del meriggio, sole presuntuoso parcheggio allo scoperto, fiore del nervo come lucertola mi perdo la coda, gli incolonnamenti a fati spenti, all'unanimità umana deriva alla distanza siderurgica dell'Ilva al ribasso, sempre più distanti, sempre più scocciati e impacchettatoli alla male e peggio ma non ci scoreggio anzi ermetico mi presto alla manfrina, diabetica insulina dell'arpeggio all'omertà del dolore, il sonno 24 ore, un fuoribordo truccato per l'occasione, forse non sogno son desktop, dacci oggi il nostro egocentrismo quotidiano, lontano scansa quella mano, disinfettami l'oracolo, forse sei appestato, l'atto vaccino sempre cavo mi fu quest'enorme mancanza di confronto, colo a picco ma non mi smonto, repertami subacqueo l'ultimo ululato, forse ti ho amato o solo sognato... K.K. (presso Italy) https://www.instagram.com/p/CSmFageo7Xi/?utm_medium=tumblr
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È cominciata così la conversazione di stasera con mia madre.
Non è finita qui, perché lo sa bene che con me l'argomento politica è completamente bandito (spiegherò dopo il perché).
Va bene, si cambia argomento: mio fratello è andato da una nutrizionista. 《Bene, com'è andata?》 le chiedo. Esce fuori che ha detto che è inutile mangiare 30gr di proteine per pasto perché non vengono assimilate. E poi:
Ogni volta che me ne vado di casa, mi chiedo sempre perché me ne voglio andare. È strano: quando ci sei, ti lasci talmente cullare che dimentichi le tue (vecchie) ragioni. Quando me lo dimentico mi ripeto sempre che è per "l'indipendenza". Eppure quando torno, sembra che non stia poi così male a barattare la mia indipendenza.
Poi ti si presentano occasioni come queste e tutto ti è più chiaro, anzi, oserei dire, limpido.
La ragione principale è la delusione di non essere figlia di persone che posso stimare. Neppure, la delusione di essere figlia di persone non aperte al confronto e al dialogo, che lottano per la ragione, quasi si vincesse un premio. Per colpa loro, spesso mi rendo conto di avere lo stesso vizio e quando mi viene fatto notare, sento l'esigenza di scusarmi e spiegare il perché di questa mia pessima abitudine.
Non penso di essere stata una bambina che durante l'infanzia ha miticizzato i suoi genitori, o forse, è talmente naturale che non posso non averlo fatto. E forse è proprio questa demistificazione che mi porta ad essere delusa da loro, oggi.
Potrei interpellare persone su persone per portare acqua al mio mulino (una è @firewalker per la questione proteine, ma, guarda, per me puoi anche far finta di non aver letto nulla), ma sarebbe la solita diatriba professionista vs professionista e quindi, per le persone "comuni", a chi dare ragione? Perché?
Poi io non sono nessuno, so di non sapere, quindi mi sto zitta e con lei ho chiuso anche questa discussione, dandole la ragione che implicitamente voleva.
Ho parlato del fatto che per me la conoscenza è propulsore di vita, mi piace un sacco conoscere... e come posso trovare la mia ninfa vitale in un ambiente così profondamente intriso di ignoranza? Ma non voglio nemmeno ergermi a detentrice del sapere (cosa che non sono), vorrei soltanto che i miei genitori avessero quel minimo di maturità in più che permettesse loro di essere stimolati dal dubbio instillato dal confronto con gli altri. Ho imparato a farlo, anzi, forse spesso lo faccio talmente tanto da finire per non avere una mia idea personale che sia solida.
Ed è per questa ragione che non posso condividere la mia quotidianità con persone del genere. Semplicemente perché letteralmente mi uccidono, da dentro.
Ho il disperato bisogno di avere gente intorno a me che sappiano. Non mi interessa fare la figura dell'ignorante, io voglio essere ignorante e voglio convivere la mia quotidianità con chi mi arricchisce, perché è il sapere che mi accende e mi muove.
Dopo tutte queste belle parole, mi rimane solo una domanda (di cui purtroppo conosco già la risposta): per favore, posso non laurearmi mai? E ovviamente non pagare più le tasse universitarie? Grz 1000.
#ecco perché mi innamoro dei miei professori#a partire dal liceo#è un problema serio questo#ed ecco perchè l'anima gemella è pura utopia raga#dove lo trovo uno che mi accende?#vabbè mi farò almeno degli amici che hanno l'accendino#o un fiammifero#conoscenza#sapere universitario#sapere#referendum#malata di sapere#genitorialità#genitori#madre#padre#ignoranza#dialogo#discussione#delusione#che delusione#fidanzato ideale = prof universitario#che sogno#scusate gli errori di battitura#camminavo
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Il volume di Tanio Romano fa giustizia dei luoghi comuni più beceri (e falsi) del “revisionismo” antirisorgimentale. Un pamphlet polemico che parla al grande pubblico È uscito nel dicembre del 2019 il libro di Tanio Romano La grande bugia borbonica (Lecce 2019), che si propone intenzionalmente la demistificazione dei contenuti di quella corrente magmatica composta […]
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