#dei miei stivali
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Bella e romantica storia di due innamorati dell'inquinamento che non ci pensano due volte a dare un pessimo esempio di come siamo convinti che un lago sia ad esclusiva disposizione degli esseri umani. Con i giornali che ovviamente non vedono l'ora di esaltare un gesto così egoista pur di raccattare qualche click in più. L'amministrazione locale scrive "Siamo pronti ad accoglierli e soprattutto siamo pronti a cercare nuove soluzioni più ecologiche e rispettose dell’ambiente per tutti gli altri innamorati che vorranno scambiarsi le promesse d’amore sul Lago di Garda", ma nulla potrà contro le emulazioni di tanti vandali innamorati (vi siete dimenticati dei lucchetti di Moccia?). Già se ne trovano parecchie di bottiglie, la situazione non potrà che peggiorare.
E giusto per mettere le cose in prospettiva, ecco un elenco degli effetti negativi sull'ambiente che può avere l'abbandonare un messaggio in una bottiglia in un lago (o anche al mare):
Inquinamento fisico: se non viene recuperata, la bottiglia può rimanere nell'ambiente per centinaia o addirittura migliaia di anni, in particolare se è fatta di plastica. Anche le bottiglie di vetro possono essere problematiche, poiché possono rompersi e creare frammenti taglienti che rappresentano un pericolo per gli animali e le persone.
Danno alla fauna selvatica: gli animali possono rimanere intrappolati o ingerire pezzi della bottiglia, cosa che può portare a lesioni o alla morte. In particolare, gli uccelli marini e le tartarughe spesso ingeriscono pezzi di plastica, scambiandoli per cibo.
Inquinamento chimico: se la bottiglia è fatta di plastica, nel tempo può degradarsi e rilasciare sostanze chimiche nell'ambiente. Questi composti chimici possono essere tossici per la fauna selvatica e possono anche entrare nella catena alimentare, con potenziali effetti anche sulla salute umana.
Impatto estetico: l'inquinamento da rifiuti può avere un impatto negativo sull'aspetto dell'ambiente naturale e può ridurre il godimento delle persone di questi luoghi (tipo me che quando ne trovo una e vi maledico).
Inquinamento dovuto al messaggio: il messaggio stesso, a meno che non sia fatto di un materiale biodegradabile, può contribuire all'inquinamento. L'inchiostro utilizzato per scrivere il messaggio può anch'esso rilasciare sostanze chimiche nell'ambiente quando si degrada.
Per questi motivi, sarebbe importante non lasciare rifiuti di alcun tipo nell'ambiente naturale, inclusi messaggi in bottiglia. Ci sono molti altri modi per esprimere i propri pensieri e sentimenti che non danneggino l'ambiente.
Però oh, vuoi mettere il romanticismo?
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Il comunismo cosmico di Franco Piperno - Jacobin Italia
Il comunismo cosmico di Franco Piperno - Jacobin Italia https://search.app/77gv63Re1jyNniS48
Il comunismo cosmico di Franco Piperno
Giuliano Santoro
15 Gennaio 2025
Dalla terribile bellezza del lungo Sessantotto al municipalismo, sempre osservando e raccontando le stelle: addio a Franco Piperno
Nella mia infanzia, al nome di Franco Piperno associavo una specie di brigante- licantropo. Mio padre mi portava ad Arcavacata, nel campus dell’Università della Calabria, a vedere «i lupi di Piperno». Cominciavamo a girare attorno alla rete al di là della quale vivevano i lupi. Mio padre certe volte prendeva un bastone e lo batteva sulla recinzione, perché venissero fuori e li potessimo vedere. Una volta uscirono fuori dagli arbusti all’improvviso, come accade nei film di paura quando la colonna sonora accompagna la tensione fino a farla esplodere. Grosso spavento e poi grosse risate. Chissà se quel Piperno, che Andrea Pazienza disegnava coi peli lunghi che uscivano dalle orecchie (appunto, un licantropo), ci guardava dal suo nascondiglio, con cappello a falde larghe, mantello e stivali.
Ma perché, poi, se ne stava rintanato? Quale sceriffo gli dava la caccia e quale reato gli veniva imputato? Mio padre non me lo spiegava e io non glielo chiedevo. Uno si immaginava questo signore che si era dato alla macchia, ma che allevava a distanza addirittura dei lupi. Venne fuori un altro indizio sulla licantropia del Pip. Proprio lui, «quello dei lupi» era anche solito uscire di notte e guardare le stelle.
Siccome la vita è fatta di cerchi che si chiudono e di anni che ritornano, a vent’anni dal mio primo incontro coi lupi finalmente chiesi a Pip quale fosse la loro storia. «Me li regalò un mio amico del dipartimento di ecologia dell’Università della Calabria che si occupava di lupi e di falchi – ha raccontato Pip – Li allevai amorevolmente, li allattai, li seguii, li filmai. Quei cuccioli mostravano un rapporto con la vita e con la violenza senza nessuna sbavatura e ridondanza. Era una dimostrazione di essenzialità. Sembravano chirurghi, quando azzannavano i conigli vivi». Ma perché li tenevi rinchiusi, Pip? «Volevo loro molto bene. Ne ero affascinato, ma ero costretto a tenerli in quel recinto. Altrimenti avrebbero azzannato le pecore dei contadini e quindi sarebbero stati uccisi. La natura aveva fornito loro un’autonomia totale, ma erano finiti per benevolenza umana in un recinto». In tutto ciò, Pip riconosceva la metafora della sua generazione: «Mi parlavano di quanto accadeva a molti dei miei compagni ed amici e un po’ anche a me stesso. Penso in particolare a mia moglie Fiora, che era stata condannata a dieci anni di galera per associazione sovversiva». Come finì? «Per otto mesi non mi staccai da quei lupi. Poi ricevetti anche io un mandato di cattura e non mi parve il caso di scappare con due lupi, era troppo complicato. Allora il rettore dell’università li accolse in quel grande recinto del campus di Arcavacata».
La storia dei lupi, della loro autonomia e della loro selvaggia potenza costrette dentro una prigione dimostra che Franco Piperno, scomparso a Cosenza il 13 gennaio 2025 a 82 anni, conosceva bene l’arte della retorica e della seduzione linguistica, usava gli aggettivi e gli avverbi da consumato spadaccino della discussione. Come un lupo coltivava l’agguato. Come quando ci spiegava che nel Sessantotto si era smesso di investire sul futuro e si era scelto di giocare tutto sul presente. Era stato il movimento statunitense, diceva Piperno, che «aveva indicato la possibilità di sostituire alla lotta per la presa del potere la sperimentazione collettiva di una diversa vita civile, basata sulla produzione autonoma di relazioni comunitarie, capaci di far posto al corpo, cioè alla sensualità e al piacere». Precisava: «Questo è un punto decisivo perché è come praticare l’esodo, dove esodo non significa più, come gli antichi ebrei, andare via dall’Egitto per raggiungere la terra promessa; piuttosto lasciare emergere un diverso Egitto dal suo stato di latenza».
Piperno dalla Calabria si era spostato, da studente, a Pisa e poi a Roma. Cacciato dal Pci per «frazionismo», era stato tra i fondatori di Potere operaio, con Toni Negri, Oreste Scalzone, Sergio Bologna, Mario Dalmaviva e tanti altri. Era una delle organizzazioni che si formarono nel contesto del lungo Sessantotto italiano ma anche la prima ad autosciogliersi, nel 1973. «Toni dice che eravamo una specie di strana massoneria – mi raccontò una volta, col consueto sarcasmo – Era difficile entrare ma una volta che eri dentro tolleravamo qualsiasi follia». Si differenziava da alcuni suoi compagni di strada che si sono formati alla formidabile scuola della «nefasta utopia» dell’operaismo politico, come la chiamava sarcasticamente Franco Berardi Bifo in un saggio di qualche anno fa. Non cercava nessuna centralità lì dove è più alto lo sviluppo capitalistico. Ma manteneva una caratteristica dello stile operaista, che lo preserva da qualsiasi forma di teorizzazione prescrittiva e lagnosa. La si riconosceva quando affermava che il comunismo, inteso come abolizione della riduzione della forza-lavoro a merce, non bisogna costruirlo magari armati di buone intenzioni e libretti rossi. Esso è già in atto. La potenza della cooperazione sociale è già, qui ed ora, più forte della solitudine del capitalismo. Bisognerebbe prenderne atto, dunque, e per questo vivere meglio. «La festa sessantottina è ritrovare l’interezza dell’essere – scriveva ancora Pip – dove nulla eccede o esclude, per essere completamente sé stessi, occorre fondarsi con gli altri nel tutto; come quando nel carnevale si è donne uomini animali, tutti insieme ebbri fino al punto che l’orgia appare sulla soglia, come assolutamente possibile».
Negli anni del ritorno in Calabria, dopo l’esilio in Canada e Francia a seguito della persecuzione giudiziaria che dal 7 aprile del 1979 in poi colpì lui e tanti suoi compagni e compagne, si occupò di Sud, del rapporto tra sviluppo e ricchezza sociale, della critica del tempo lineare del capitale. Prese la cattedra di fisica della materia e promosse, a Cosenza, la nascita dell’emittente comunitaria Radio Ciroma e lanciò in tempi non sospetti, ben prima dell’epoca di Porto Alegre e della democrazia partecipativa su base locale, la suggestione del municipalismo: «Potere alle città, potenza ai cittadini». Un piccolo aneddoto per dire della capacità di stare nelle cose del mondo. Erano i primi anni Novanta quando, ospite di una tribuna elettorale per esporre il programma della lista civica comunale che aveva messo insieme ai suoi, impiegò il tempo che gli era concesso per tessere l’elogio del locale collettivo di studenti medi che si dedicava alla crescita comune e al mutuo appoggio invece che per chiedere esplicitamente voti. Il dettaglio sta nel fatto che quegli adolescenti (mea culpa: quando si è così giovani si ha il diritto di essere estremisti) impegnavano parte del loro tempo anche a criticarlo duramente, imputandogli una qualche deviazione da chissà quale ortodossia rivoluzionaria. Chapeau, Franco.
Divenne, sempre a Cosenza, per due volte assessore «al planetario» e al traffico. Ruolo che interpretò invogliando gli agenti della polizia locale ad applicare con rigore il codice della strada per dissuadere i suoi concittadini dall’uso dell’automobile anche per i piccoli tratti. E uno dei suoi vecchi compagni infilò una battuta fulminante: «Finalmente Franco è davvero a capo di una banda armata». La sua nomina ad amministratore la si deve a Giacomo Mancini, segretario socialista prima di Craxi e ministro che concluse nella sua Cosenza la sua carriera politica. E che in nome del garantismo aveva difeso Piperno e tutti gli autonomi imputati. C’è una scena che rivela cosa rappresentasse Mancini all’epoca della grande repressione. Il 9 marzo del 1985 la polizia aveva ucciso a Trieste il militante dell’autonomia Pietro Pedro Greco, sparandogli addosso con la scusa che aveva scambiato un ombrello per un fucile. I funerali di Pedro si tennero nel suo paese d’origine, un villaggetto della provincia di Reggio Calabria. Bisogna immaginare che clima ci fosse: pochissimi compagni, affranti e braccati, con le bandiere rosse nel paesaggio lugubre della temperie degli anni Ottanta. A un certo punto davanti alla chiesa si fermò un’automobile e ne scese il leader socialista. Era l’unico personaggio politico a partecipare alle esequie e chiedere giustizia per quella morte.
Le analisi di Piperno di questa fase mettevano insieme l’osservazione filosofica e antropologica delle forme di vita meridiane con la strabiliante capacità affabulatoria di quando raccontava il cielo. Chiunque abbia avuto la fortuna di fare un’uscita notturna nei boschi con lui per assistere allo Spettacolo cosmico che metteva in scena spiegando le stelle, non può dimenticare il modo in cui teneva insieme nozioni astronomiche, narrazioni mitologiche, considerazioni esistenziali, divagazioni politiche. Era un modo di mettere in pratica la convinzione che le diverse materie erano fatte per essere mescolate, messe a confronto, intrecciate e che non esisteva la neutralità del metodo scientifico. Questo doveva essere il senso dell’università, sosteneva Piperno: un luogo in cui tutti i saperi si incontrano, oltre la gabbia delle discipline.
Quando, nel 1978, le Brigate rosse rapirono Aldo Moro, Piperno era già tornato in Calabria, a insegnare Fisica della materia all’università. Capì che la morte del presidente della Democrazia cristiana sarebbe stata un disastro per tutti i soggetti in campo e si adoperò per salvargli la vita, approfittando anche del fatto che nel frattempo alcune sue vecchie conoscenze del Potere operaio romano avevano scelto di entrare nelle Brigate rosse. Gli rimase appiccicata una formula, quella che invitava a coniugare la «geometrica potenza» di via Fani con la «terribile bellezza» degli scontri di piazza del 12 marzo del 1977 a Roma. Era un modo per dire che ogni forma di scontro, anche la più radicale, non avrebbe dovuto prescindere dalla dimensione di massa. Ma la formula, che lui stesso avrebbe definito dannunziana, passò per l’esaltazione del terrorismo. Sempre alla Commissione parlamentare d’indagine sul terrorismo, Piperno disse senza mezzi termini ciò che pensava di quella vicenda e dei motivi che lo spinsero a immischiarsi nell’affaire: «Le Br erano davvero convinte che si potesse interrogare Moro e scoprire i legami con gli Stati uniti – affermò – C’era un livello di analfabetismo politico nel gruppo dirigente delle Br che faceva paura e che peraltro secondo me traduceva la situazione ingarbugliata del paese».
Accanto a saggi pensosi e a scritti densi (molti dei quali raccolti negli ultimi tempi dalla rivista online Machina), Piperno era abilissimo nel motto di spirito, nella risposta ironica lapidaria e dalla logica stringente, maneggiava paradossi che ti mettevano con le spalle al muro. A un interlocutore che in un programma televisivo gli rinfacciava di aver esaltato l’uso della violenza, replicò trasecolato ricordando con una metafora iperbolica il contesto della «piccola guerra civile italiana» degli anni Settanta: «Mi chiede se la violenza è giusta? È come se mi chiedesse se cacare è bello. Cacare non è giusto, è inevitabile». In un’altra occasione, venne accusato di aver favorito coi suoi amici sessantottardi la pratica del libero amore, contro la famiglia tradizionale: «Noi non costringevamo nessuno – replicò Pip, sinceramente sgomento – Se uno voleva essere libero poteva farlo, ma non era obbligato. Con noi a volte c’erano anche preti e suore, nessuno li costringeva al libero amore».
Una vita talmente piena, colma di tentativi, errori, sconfitte avventurose ed esperienze irripetibili, viene riassunta dalle cronache con formule giudiziarie e immaginette pigre e precostituite. Delle quali Piperno era consapevole. Anzi, ci giocava. Una decina di anni fa mi trovai con Franco a Torino, per un dibattito al quale avremmo dovuto partecipare. A un certo punto entrammo in una piccola rosticceria di fronte a Palazzo Nuovo per mangiare un boccone. Venne fuori che anche la signora che ci serviva al bancone era di origini calabresi. Allora attaccammo discorso. Lei era evidentemente sedotta dal suo eloquio elegante. (C’era un vezzo, non solo di Franco devo dire, che portava a mescolare il linguaggio di tutti i giorni a parole d’altri tempi: gendarme per dire poliziotto, malfattore per dire bandito, querulo per dire piagnone e così via). «Ma sa che non si sente molto che lei è di giù? Che mestiere fa?», gli disse la locandiera. Lui rispose con gli occhi di ghiaccio che ridevano, l’inconfondibile erre arrotata e i peli che gli uscivano dalle orecchie ben pettinati: «Dev’esserhe che sono stato in prhigione».
* Giuliano Santoro, giornalista, lavora al manifesto.
# Franco Piperno
# fondatore e dirigente di Potere operaio 1968
#università della Calabria / professore di fisica
# esilio in Francia e Canada
Brillante e raffinato intellettuale, rivoluzionario alla luce del sole ( citazione da "Il Manifesto), mai contraddittorio. Uomo profondamente legato alla sua terra di origine : la Calabria.
13 /1/2025 C' è luna piena e Venere e le stelle.. Buon viaggio. 🌹💫💫💫
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Un uomo dice: - Tu chiudi il becco! Le donne non sanno niente della guerra. La donna dice: - Non sanno niente? Coglione! Abbiamo tutto il lavoro, tutte le preoccupazioni: i bambini da sfamare, i feriti da curare. Voi, una volta finita la guerra siete tutti degli eroi. Morti: eroi. Sopravvissuti: eroi. Mutilati: eroi. E' per questo che avete inventato la guerra, voi uomini. E' la vostra guerra. L'avete voluta voi, fatela allora, eroi dei miei stivali! Ágota Kristóf - Trilogia della città di K
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IL PONTE SUL PASSO DEL TEMPO
Questa mattina mi sono riempito per sbaglio lo zoccolo sanitario di un flacone intero di lattulosio, che - per chi non lo sapesse - è una roba sciropposissima e appiccicosissima che si usa per contrastare l'encefalopatia epatica ma spiegarvene bene i meccanismi risulterebbe noioso e non pertinente a quanto sto per raccontare.
Il fatto è che nell'attimo in cui il mio piede ha sciaguattato fastidiosamente nello zoccolo ho avuto una reminescenza di un qualcosa che probabilmente da lì a qualche anno sarebbe stato spazzato via nella perdita continua delle cellule cerebrali che avviene quotidianamente e invece sono rimasto lì, quasi fulminato, a fare ciccheciac col piede come un bambino in stivali e impermeabile in una pozzanghera dopo il primo acquazzone autunnale.
Il fatto è che mi sono sentito come un emerito professore di storia di una prestigiosissima univesità che scopre in modo inconfutabile che lo stesso identico oggetto - non simile... proprio lo stesso - è stato tenuto in mano da un uomo di Cromagnon, da un faraone e da un cavaliere del basso medioevo.
L'oggetto era un paio di banalissime birkenstock.
Solo che quelle birkenstock erano un qualcosa fuori dal tempo perché collegavano tre mondi, anzi, tre ere geologiche lunghe millenni.
Nel primo flash ho 18 anni e sto lavando la macchina di mio padre nel polveroso cortile del condominio dove sono nato e da dove, l'anno dopo, saremmo andati via per traslocare in un appartamento finalmente di proprietà.
La canna dell'acqua mi sfugge di mano e mi si incastra tra il piede e la suola della birkenstock destra, allagandola completamente e inscurendo il cuoio.
Fine di un'era che chiameremo onirica.
Nella nuova casa, quella dove i miei genitori abitano ancora, sto realmente per poco tempo a causa di università e militare, ma nella mia memoria emotiva il tempo si dilata in decenni, perché stringo indissolubili e potenti legami con gli amici che mi resistono ancora accanto.
Sono a malapena cinque anni, finché non decido di raggiungere la ragazza che ancora adesso mi resiste accanto (nessuno dei due sapeva che aveva una bambina nella pancia ma vabbe'... così nessuno ha potuto dire che si era trattato di un trasferimento coatto riparatore).
Mio padre mi regala la sua macchina, per il viaggio e per cominciare la mia nuova vita, così decido di lavarla per arrivare in gran stile.
La canna dell'acqua mi sfugge di mano e mi si incastra tra il piede e la suola della birkenstock sinistra, allagandola completamente e inscurendo il cuoio.
Fine di un'era che chiameremo frenetica.
In un altro luogo, lontano mille anni luce nello spazio e nel tempo, una bambina piccola coi capelli rossi dice 'Papà... laviamo la macchina che è sporca!' e quindi usciamo insieme nel cortile illuminato da un sole primaverile. Insaponiamo la macchina e, ridendo, la sciacquiamo schizzandoci con la canna dell'acqua.
A un certo punto lei guarda le ciabatte che porto ai piedi, vecchie e annerite, che oramai uso solo per curare il giardino... e me le bagna col getto della canna dell'acqua urlando 'Sono brutte! Buttale!'
E io, a distanza di 27 anni, ricordo ancora il sacco nero della spazzatura, appeso alla ringhiera della scala, e le birkenstock che hanno viaggiato attraverso le ere di tre vite intere scomparirci dentro.
Allora non avevo capito ma nel momento in cui è entrata l'infermiera con sguardo interrogativo, fissando la pozza di lattulosio a terra, mi sono reso conto che continuavo a non capire.
Ma che alla fine andava bene così.
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In questo lungo week end sono venuti i miei genitori a trovarmi. Ho fatto più cose in questi 3 giorni con loro che in tutti i mesi passati. Abbiamo visitato la città semplicemente girando senza una meta precisa. La mia mente non è stata diciamo tranquilla perché andando in giro e notando che il mondo gira attorno a me, sono io che sono ferma mi ha dato modo di pensare. Mi chiedevo se la gente sorridente che vedevo camminare se effettivamente quella risata era vera oppure se dentro di loro soffrivano. C'erano in giro tante coppie e le ho invidiate, chissà come sarebbe se fosse tutto piu facile. Oggi sono tornata alla vita di tutti i giorni, mi sento un mostro più delle altre volte, che è tutto dire. Mi sono detta che non va assolutamente bene e che domani devo sistemarmi al meglio per sentirmi discretamente. Sempre in questi giorni andando in giro sono passata davanti a molte vetrine dei negozi dove erano esposti molto abiti classici da capodanno e mi sono chiesta se mai ne indosserò uno e mi sono immaginata con lui con un abito nero pieno di luccichio con delle maniche lunghe e con la gonna fino al ginocchio, calze velate nere e un paio di stivali. Poco dopo sono tornata alla realtà e ho evitato che la mia immaginazione andasse oltre altrimenti altro che tristezza, più di quella che avevo già. E mi fermo qua. Andare a fare una passeggiata non sempre si può rivelare una scelta giusta per la propria anima.
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MARIUS de ROMANUS APPRECIATION WEEK DAY 5
Author's Note: Today I want to post in my native language, Italian. I hope you will forgive me, but these days I am very tired and felt overwhelmed. Writing in my native language helps me to recharge. I have been wanting to write something in Italian for the chronicles fandom for a long time.The English version is below - Thanks!
Un caro amico -
In quella notte appesantita da nuvole scure, sulla città di Firenze, non splendeva la luna, e le stelle erano un lontano riflesso avvolto nel tepore di quelle nubi scure. L'aria era opprimente e a poco serviva sperare nella brezza notturna, tutto era fermo, come prosciugato dell'esistenza. Marius, con passo deciso, si stava avvicinando alla bottega di quello che ormai era diventato per lui, un grande amico. Le suole dei suoi stivali rimbombarono nei vicoletti di pietra, Marius non se ne curò, amava fare le cose come se fosse ancora umano. Quell'epoca in cui si era risvegliato era piena di una bellezza carnale ed umana, di un mondo che metteva al centro l'uomo e il suo intelletto, la bellezza del vivere e l'opulenza dei sogni. Marius era innamorato, della vita, di tutta la bellezza intorno a lui, degli uomini di intelletto che si confrontavano per strada, degli artisti che studiavano il divenire delle cose, la bellezza dell'essere, dei filosofi che parlavano di meraviglie mai immaginate, di scrittori, poetie uomini di scienza, che donavano con il loro intelletto luce ad un mondo buio. I passi sicuri di Marius lo portarono di fronte al portone verde, scorticciato, che aveva imparato a conoscere e amare profondamente. Con delicatezza appoggiò la mano sul legno, prima di darvi tre colpetti secchi sopra. Quello era da tempo, il loro segnale, per riconoscersi. Un attimo dopo il portone si aprì cigolando, e due occhi castani vibranti e accoglienti fissarono Marius. Botticelli si scostò dalla porta con un sorriso delicato sul volto, lasciando a Marius spazio per entrare nel suo studio. Marius avanzò nella grande stanza, che profumava di olio e mistura di colori, di legno e vernici per rifinitura, un odore che risuonò in lui con amore e meraviglia.
Era chiaro, nella confusione tutto intorno, il lavoro e l'impegno dell'artista e dei suoi allievi. Ogni cosa sembrava lasciata al caso, offerta al tempo della notte, come richiamo alla musa della creatività, Clio, che avrebbe toccato con speranza e piacere, gli strumenti così cari agli artisti che li avevano lasciati lì. Pennelli e tavolozze, stracci sporchi, e barattoli, contenitori in vetro e pestelli, fogli e pergamene, pennini e gessetti. Ogni cosa in disordine, ogni cosa in ordine nel cuore dell'artista che l'aveva usato.
Botticelli sembrò accorgersi del disordine solo in quel momento, e grattandosi la testa, con un rossore sul volto, si lasciò sfuggire una risata nervosa. "Mi spiace, Marius, amico mio, i miei allievi hanno preso dal maestro, e il Dio nei cieli, sa, quanto sono pessimo in queste cose dell'ordine e della chiarezza di pensiero!" Sbottò il maestro allargando le braccia in un gesto di resa. Marius, lo guardò inarcando le sopracciglia, per poi ridere divertito:
" Hai la chiarezza nel cuore Maestro, poiché ogni colore che poni sui tuoi lavori, ogni cosa che nasce dalle tue mani, porge il tuo cuore al mondo. È un grande coraggio quello che hai, Maestro, e pochi uomini possono vantare la tua chiarezza di cuore. Molti possono imparare la chiarezza e la linea dritta del pensiero razionale, ma il pensiero del cuore, molti pochi fortunati come te, lo conoscono."
"Ah tu mi lusinghi, amico mio, mi lusinghi come non merito! Ma apprezzo il tuo buon cuore e la tua sincerità di parola, e questo lo sai." rispose Botticelli, sedendosi vicino al fuoco su uno sgabello di legno. Il Maestro fisso' la danza delle fiamme e sembrò pensieroso, quasi cupo, qualcosa che Marius non aveva mai conosciuto sul suo volto, da quando si erano conosciuti.
" C'è qualcosa che ti turba Maestro? Vuoi parlarmene affinché io possa provare ad alleviare i tuoi pensieri e la tua anima?" Chiese, Marius, d'improvviso preoccupato per quello stato d'animo, dell'amico. Botticelli portò i suoi occhi castani su Marius e con una mano lo invitò a sedersi davanti a lui, vicino al fuoco.
Marius scostò il suo lungo mantello di velluto rosso, e si sedette, aspettando con rispettoso silenzio le parole di Botticelli.
" Vedi mio caro amico, ho un amico che mi è prezioso. Si chiama Leonardo, ed è un artista d'animo immenso, un genio in ogni cosa. Pensa che in lui ho trovato quell'amico con cui condividere la mia passione immensa per la cucina! Riesci a crederci Marius? " Botticelli sembrò esitare poi, perché aveva provato a condividere quella sua passione con Marius, ma Marius sembrava sterile di fronte alle meraviglie del cibo. Marius annuì e sorrise, un invito a continuare, a dimostrare come era felice di quella scoperta, che aveva reso gioioso il suo amico.
Botticelli sorrise di rimando e continuò:" Vedi, Leonardo è un uomo focoso, passionale, carnale e dedito all'arte come alla vita. Tu sai Marius, come l'uomo facilmente si innamora, Leonardo non solo ama, da tutto se stesso, e soltanto una persona è riuscita a portarlo a essere suo e soltanto suo nel cuore e nell'anima."
Botticelli sembrò combattuto, triste ma con occhi sognanti proseguì:
" Questa persona è un suo allievo, tanto lo ama e tanto lui lo ama di rimando. Ma è... " Botticelli sembrò esitare ma poi prosegui:
"È un piccolo demonio! Tanto che Leonardo lo chiama Salai! È un ladro e bugiardo, un irrispettoso e mordace piccolo uomo! Una lingua di serpe e un sorriso da fauno! Capelli e occhi di Ganimede stesso! E Leonardo sa tutto questo... Ma lo ama comunque. E quello che è ancora più incomprensibile, Salai... ama Leonardo, questo è innegabile, lo adora, sono un anima e un cuore. È vero Leonardo può essere duro, a volte persino troppo, è vanitoso e orgoglioso, pretende molto perché da molto. Le sfide d'intelletto e d'amore fra loro sono come i discorsi degli innamorati che sanno come parlare al cuore dell'altro, ma a volte scelgono volutamente la via sbagliata. Sono preoccupato per Leonardo, questo amore che abbraccia il cuore e la mente di entrambi, questa immensa devozione, questa intensa passione fra loro, è bellissima ma anche difficile."
E Botticelli riportò il suo sguardo su Marius, dopo aver fissato le fiamme nel camino per tutto questo tempo, e quello che vide lo stupì e lo preoccupò allo stesso tempo. Marius stava sorridendo, un sorriso dolce e sognante, che lo rendeva bello in una maniera disarmante. Marius si riscosse, notando lo sguardo sorpreso di Botticelli. Da primo sembrò insicuro e timido, come se fosse stato sorpreso a prendere dei biscotti in cucina, poi Marius si ricompose:
" Non badare a me Maestro, non mi preoccuperei, però, per il tuo amico. Penso sia meraviglioso quello che la vita gli ha donato. Qualcuno che lo ama come mi racconti. Mi fa sognare che anche io possa trovarlo. Un amore che veda oltre me, oltre le mie mancanze e i miei difetti, un amore che sappia amarmi nonostante tutto ciò che sono. Un amore che possa insegnarmi e lasciarsi insegnare, anche in sfida, anche in rabbia, anche nel dolore, ma sempre con amore e dedizione, con passione e intensità. Cosa può desiderare il cuore di un uomo più di potersi mostrare a qualcuno per com' è? Più di poter raccontare la sua anima ad una creatura che sa guardarlo solo con amore? Anche nelle sue ombre, anche nel mostro che gli abita dentro. E amare quel mostro come ama l'uomo. No Maestro, il tuo amico, forse, conoscerà la soffrenza e dovrà imparare a convivere con essa, ma si sarà specchiato nel cuore di qualcuno che lo ama in tutto e per l'uomo che è, nella sua complessità e totalità. Con i suoi sbagli e i suoi difetti, la sua grandezza e il suo buon cuore." Botticelli rimase interdetto, poi sorrise:" È bello parlare conte Marius, amico mio, tu sai fare gioire il mio cuore anche quanto è pesante. Forse quello che dici è vero, io non ho aspirazioni sull'amore o sulla vita, solo sull'arte. E forse questo mi impedisce di capire questo nostro strano mondo. Ti ringrazio, però, adesso posso capire perché Leonardo ama così Salai, e perché Salai ama lui con l'immensa passione del suo cuore. Siamo strani non è vero? Complicati ma semplici allo stesso tempo."
Botticelli si alzò seguito da Marius:" Vieni, amico mio, voglio mostrarti ciò a cui sto lavorando. E ti prego non avere solo lodi per me questa volta! La tua opinione mi è cara, ma adesso che posso chiamarti amico, spero tu sappia che apprezzerò ogni cosa tu dica." E Marius seguì Botticelli verso un altra grande stanza.
La storia di Leonardo e Salai, continuò a risuonare nell'anima di Marius, fino al giorno in cui, il destino, o il tempo che scorre, o chissà quale sarcastica divinità, gli donò il suo Salai, quel suo angelo dai capelli castano rossi e gli occhi di fuoco. Colui che lo avrebbe amato come mai nessun altro e che lui avrebbe amato come mai nessun altro. Colui che adesso camminava di nuovo al suo fianco, colui che adesso, lo lasciava specchiarsi nel suo cuore e vedere solo un uomo. Un uomo che è amato, un uomo innamorato.
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A dear friend-
On that night weighed down by dark clouds, over the city of Florence, no moon shone, and the stars were a distant reflection shrouded in the warmth of those dark clouds. The air was oppressive, and there was little use hoping for a night breeze; everything was still, as if drained of existence. Marius, with determined step, was approaching the workshop of what had now become for him, a great friend. The soles of his boots rumbled in the stone alleys, Marius did not care; he loved to do things as if he were still human. That era in which he had awakened was full of a carnal and human beauty, of a world that put man and his intellect at the center, the beauty of living and the opulence of dreams. Marius was in love, with life, with all the beauty around him, with men of intellect who confronted each other in the streets, with artists who studied the becoming of things, the beauty of being, with philosophers who spoke of wonders never imagined, with writers, poetsand men of science, who gave light with their intellect to a dark world. Marius's confident steps brought him in front of the green, flayed doorway he had come to know and love deeply. Gently he placed his hand on the wood, before giving it three dry taps on it. That had long been, their signal, to recognize each other.
A moment later the door creaked open, and two vibrant and welcoming brown eyes stared at Marius. Botticelli flinched from the door with a gentle smile on his face, giving Marius room to enter his studio. Marius advanced into the large room, which smelled of oil and color mixture, wood and finishing varnish, a smell that resonated in him with love and wonder.
It was clear, in the confusion all around, the work and commitment of the artist and his students. Everything seemed left to chance, offered to the time of night, as a call to the muse of creativity, Clio, who would touch with hope and pleasure, the tools so dear to the artists who had left them there. Brushes and palettes, dirty rags, and jars, glass containers and pestles, sheets and parchments, nibs and chalks. Everything in disarray, everything in order in the heart of the artist who had used it.
Botticelli seemed to notice the disorder only then, and scratching his head, with a blush on his face, he let out a nervous laugh. "I'm sorry, Marius, my friend, my students take after the master, and the God in heaven, you know, how bad I am at these things of order and clarity of thought!" Blurted out the master, spreading his arms wide in a gesture of surrender. Marius, looked at him arching his eyebrows, then laughed in amusement:
"You have clarity in your heart Master, for every color you place on your work, every thing that comes from your hands, gives your heart to the world. It is a great courage you have, Master, and few men can boast of your clarity of heart. Many may learn the clarity and straight line of rational thought, but the thought of the heart, many a lucky few like you, know."
"Ah you flatter me, my friend, you flatter me as I do not deserve! But I appreciate your good heart and sincerity of speech, and this you know." replied Botticelli, sitting down by the fire on a wooden stool. The Master stared at the dance of the flames and looked thoughtful, almost somber, something Marius had not known on his face since they had met.
" Is something troubling you Master? Would you like to tell me about it so that I can try to ease your thoughts and your soul?" He asked, Marius, suddenly concerned about that state of mind, of his friend. Botticelli brought his brown eyes to Marius and with one hand invited him to sit before him, near the fire.
Marius shrugged off his long red velvet cloak, and sat down, waiting respectfully for Botticelli's words.
"You see my dear friend, I have a friend who is precious to me. His name is Leonardo, and he is an artist of immense soul, a genius in everything. Just think that in him I have found that friend with whom I can share my immense passion for cooking! Can you believe it Marius? " Botticelli seemed to hesitate then, because he had tried to share that passion of his with Marius, but Marius seemed barren before the wonders of food. Marius nodded and smiled, an invitation to continue, to show how happy he was with that discovery, which had made his friend joyful.
Botticelli smiled back and continued," You see, Leonardo is a fiery, passionate, carnal man who is as dedicated to art as he is to life. You know Marius, as man easily falls in love, Leonardo not only loves, he gives all of himself, and only one person was able to bring him to be his and only his in heart and soul." Botticelli looked conflicted, sad but with dreamy eyes continued:
" This person is his student, so much he loves him and so much he loves him back. But he is… " Botticelli seemed to hesitate but then continued:
"He is a little devil! So much so that Leonardo calls him Salai! He is a thief and liar, a disrespectful and biting little man! A serpent's tongue and a faun's smile! Hair and eyes of Ganymede himself! And Leonardo knows all this… But he loves him anyway. And what is even more incomprehensible, Salai..he loves Leonardo, this is undeniable, he adores him, they are one soul and one heart. It is true Leonardo can be hard, sometimes even too hard, he is vain and proud, he demands a lot because he gives a lot. The challenges of intellect and love between them are like the speeches of lovers who know how to speak to each other's hearts, but sometimes they deliberately choose the wrong way. I am worried about Leonardo, this love that embraces both their hearts and minds, this immense devotion, this intense passion between them, is beautiful but also difficult."
And Botticelli brought his gaze back to Marius, after staring at the flames in the fireplace all this time, and what he saw amazed and worried him at the same time. Marius was smiling, a sweet, dreamy smile that made him beautiful in a disarming way. Marius roused himself, noticing Botticelli's surprised look. At first he looked unsure and shy, as if he had been caught taking cookies in the kitchen, then Marius composed himself:
" Don't mind me Master, I wouldn't worry, though, about your friend. I think it's wonderful what life has given him. Someone who loves him as you tell me. It makes me dream that I can find him too. A love that sees beyond me, beyond my shortcomings and flaws, a love that can love me despite all that I am. A love that can teach me and be taught, even in defiance, even in anger, even in pain, but always with love and dedication, with passion and intensity. What more can a man's heart desire than to be able to show himself to someone as he is? More than being able to tell his soul to a creature who can only look at him with love? Even in his shadows, even in the monster that dwells within him. And love that monster as he loves man. No Master, your friend, perhaps, will know suffering and have to learn to live with it, but he will have mirrored himself in the heart of someone who loves him in all and for the man he is, in his complexity and totality. With his mistakes and his flaws, his greatness and his good heart."
Botticelli was interjected, then smiled:" It is good to talk Count Marius, my friend, you know how to make my heart rejoice even how heavy it is. Perhaps what you say is true, I have no aspirations about love or life, only about art. And maybe that prevents me from understanding this strange world of ours. I thank you though, now I can understand why Leonardo loves Salai so much, and why Salai loves him with the immense passion of his heart. We are strange aren't we? Complicated but simple at the same time."
Botticelli stood up followed by Marius:" Come, my friend, I want to show you what I am working on. And please don't have only praise for me this time! Your opinion is dear to me, but now that I can call you friend, I hope you know that I will appreciate everything you say." And Marius followed Botticelli to another large room...
The story of Leonardo and Salai, continued to resonate in Marius' soul, until the day when, fate, or the passing of time, or who knows what sarcastic deity, gave him his Salai, that angel of his with red brown hair and eyes of fire. The one who would love him like never anyone else and whom he would love like never anyone else. The one who now walked by his side again, the one who now, let him mirror himself in his heart and see only a man. A man who is loved, a man in love.
#Marius de Romanus#Marius de Romanus appreciation week#Marius de Romanus appreciation week DAY 5#Marius and Botticelli#Friendship#de Romanus coven events
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Sono un eroe (parte 1)
“Martinelli” “Martinelli” strilla il prof di lettere, il mio sguardo va alla lavagna, poi lo abbasso alle mie mani ossute e sudate che tengono una penna, vedo tutto sfocato, sento che sto per vomitare, non riesco a muovermi ne a reagire. Sta succedendo di nuovo. Il mio battito è accelerato, il caldo è insopportabile ed ecco che diventa tutto nero.
Finalmente riapro gli occhi.
Davanti a me una corda alla quale sono strette due mani enormi e piene di calli, sul mio busto c’è avvinghiata una donna. Alzo lo sguardo e vedo il cielo. “Oh cazzo sono sospeso su un palazzo in fiamme. Ok, niente panico questo corpo saprà cosa fare, devo solo usare la sua memoria muscolare”.
Guardò in basso e vedo due grossi stivali da pompiere. “Andiamo sono nel corpo di un eroe, basta perdere tempo devo scendere”.
Sento gli incitamenti dei miei compagni da terra, allento un po’ la presa e con dei lunghi salti iniziò a calarmi giù. La ragazza strilla e si stringe più forte a me. Corro verso i miei compagni e cerco di mettere giù la donna ma lei non vuole lasciarmi “andiamo sei al sicuro ora, puoi lasciarmi fatti controllare dai paramedici”. Diavolo la mia voce e incredibilmente profonda e mascolina.
Finalmente mi lascia tremante e mi guarda senza dire una parola.
Mi guardo intorno e vedo tutti i miei colleghi, vedo sopra tutte le loro teste, allora è questo che si prova ad essere alti!
“C’è ancora un uomo intrappolato al quinto piano” strilla la radio.
Qualcosa scatta in me e iniziò a correre verso il palazzo in fiamme, salgo sul camion e percorro tutta la scala e salto sul tetto, ignoro tutti gli avvertimenti dei miei compagni di squadra, aggancio la corda alla vita e mi lancio verso il basso, sta volta a velocità molto più elevata dell’altra volta. Sento le urla dell’uomo e capisco dov’è. “Stai indietro” urlo con la mia nuova voce potente.
Mi lancio nuovamente nel vuoto e i miei piedi atterrano su una finestra mandola in frantumi. Ok sono dentro. Seguo le urla dell’uomo in mezzo al fumo, batte dietro una porta del corridoio, cerco di aprirla ma chiusa. “Allontanati dalla porta” intimo.
Poi do un calcio alla porta che va in frantumi. L’uomo sta a terra gli metto le mani sotto le ascelle per aiutarlo ad alzarsi e sono meravigliato da quanto sia stato semplice, ora siamo faccia a faccia lo guardò negli occhi lo tranquillizzo e gli dico che era deve correre dietro di me.
“Vvv va bbbene, però potresti mettermi giù ora?” Mi dice con voce tremante. Abbasso lo sguardo e vedo i suoi piedi penzolare nel vuoto, accidenti lo sto tenendo sospeso da terra e quasi non ne sento il peso, questo corpo è fantastico! Lo metto a terra e la sua testa ora arriva a stento al mio petto. “Ok dobbiamo correre ora”. Arriviamo alla finestra e mi aggancio di nuovo alla corda spingendomi fuori dalla finestra.
“Ok, ora vieni verso di me e stringiti al mio collo” dico con voce più calma possibile. Ma lui ribatte spaventato:
“No, non posso farlo, non posso”
Merda non c’è davvero tempo per questo, salto di nuovo dentro da lui e mi abbasso per prenderlo lui strilla e mi colpisce coi pugni sul petto, sono irritato dal suo comportamento ma allo stesso tempo divertito ho davanti a me un uomo adulto che sembra un bambino: piange e mi colpisce incapace di provocarmi alcun dolore. Lo ignoro, stringi un braccio attorno alla sua vita e mi lancio giù dalla finestra, in pochi salti sono a terra. Vado verso la squadra tenendolo come un bimbo.
“Ehi va tutto bene adesso fifone”
“Ehi”
Merda è svenuto. Lo adagio sulla barella mentre la ragazza di prima corre da lui. I ragazzi mi danno pacche ed elogiano la mia performance, mi sento da Dio, non posso credere a quello che ho appena fatto. Mi appoggio al camion e mi rilasso bevendo un po’ d’acqua. Poi vedo l’uomo di prima venire verso di me, vorrà ringraziarmi immagino.
L’ometto arriva da e inizia urlare diventando subito paonazzo:
“ potevi uccidermi, quello che hai fatto è stato stupido e pericoloso farò causa ai vigili del fuoco per questo”
“Ci farai causa per averti salvato la vita?” Controbatto confuso.
“Hai ignorato le mie richieste e contro la mia volontà hai usato la forza per mettermi in pericolo” continua lui.
Sento la rabbia montarmi dentro per le parole di questo ingrato, stacco le mie spalle dal camion e mi avvicino a lui guardando in basso verso i suoi occhi. Non strilla più ora. Ma ahimè sento una mano sull’addome spingermi via. “Andiamo ragazzo, non fare stupidagini” dice il capitano. Che poi va a parlare con l’uomo mentre io cammino via nervoso e mi accendo una sigaretta.
“Posso fare un tiro” dice una voce femminile, alle mie spalle ancora seduta sulla barella la ragazza che avevo appena salvato. La guardò e sorridendo dico:
“Non pensi di averne respirato abbastanza di fumo oggi?”
“Una boccata in più non farà male” dice lei. Così le metto la sigaretta in bocca e le faccio fare un tiro.
Buttando fuori l’aria mi dice:
“Sai mi spiace per il mio ragazzo, lui è fatto così vuole sempre farsi odiare da tutti, grazie per averci salvati. Appena finisce la sua sceneggiata provo a parlargli”
“È stato un piacere, e non ti preoccupare, lo capisco era sotto shock ha bisogno di sfogare la paura” dico mettendole la sigaretta in bocca. “Meglio che torni dalla squadra, ciao bella”.
E ancora una volta vengo fermato dal capitano che inizia blaterare di come sto tizio sia un avvocato, amico di tanti politici. E che debba scusarmi con lui. A nulla sono valsi i miei rifiuti.
“Tieni prendi il camion e accompagnali a casa, la gente adora salirci sarà più propenso a chiudere un occhio se è felice” dice il capitano.
Continua…
#body swap#scambiocorpo#scambio#musclegrowth#muscle theft#firefighter#firefighters#pompieri#pompiere#vigiledelfuoco#racconti
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Concetto Spaziale - 2018 (Assemblage mixed media, collezione privata) • Ciao sono Concetto, Il Robot Spaziale. Sangue partenopeo e animo interplanetare. Nonostante sia in grado di volare con la fantasia resto ben piantato alla terra mia. I miei stivali profumano di buono e di casa… nulla a che vedere con quelli della Nasa. Tutti mi dicono che sono un pò in “chiàtt”… ma ciò nonostante sono sempre medaglia d’oro in tutto quel che faccio. Da buon napoletano ho ganci a destra e manca e manco farlo apposta ho buon’amici pure in posta! Mi piace l’arte e davanti ad un bel quadro mi emoziono da drizzar l’antenna. Cerco una famiglia buona come amme... per condividere con loro affetto ed affettati! La mia citazione preferita: “Vedi Napoli e poi la Luna” Segni particolari: Saturazione vulcanica. Data di nascita: Aprile 2018 Le origini di Concetto: Il corpo con cui è realizzato Concetto Spaziale è una latta di idropittura dell’azienda di vernici Linvea, che ha contribuito nella realizzazione della mostra personale di Massimo Sirelli, Teneri Bulloni, al Museo Marca di Catanzaro nell’estate 2018. Le braccia arrivano da una porta di un ufficio postale dismesso. La testa è una grossa insalatiera di acciaio. Gli occhi provengono da un vecchio luna park dismesso a Cinecittà World. Il naso era un vecchio tappa/stappa bottiglie che come i piedi erano parti di due vecchie Moka provenienti dalla cucina della Mamma di Massimo, la Sig.ra Rosa che ha ceduto tanti oggetti di casa per dar vita a molti dei Robot che Massimo ha prodotto in questi anni. E tu hai qualcosa che vorresti donare per far nascere nuovi Robot? • #massimosirelli #adottaunrobot #linvea #linveavernici #sirelli #sirelliart #sirelliartist #sirellirobot #sirellipop #popart #pop #contemporaryart #art #sculptures #robot #robotsculptures #recycledrobot #upcycling #massimosirelliartist #massimosirelliart #love #napoli #lunapark #calabria #museomarca (presso Napoli) https://www.instagram.com/p/CpW6IQAtQ7u/?igshid=NGJjMDIxMWI=
#massimosirelli#adottaunrobot#linvea#linveavernici#sirelli#sirelliart#sirelliartist#sirellirobot#sirellipop#popart#pop#contemporaryart#art#sculptures#robot#robotsculptures#recycledrobot#upcycling#massimosirelliartist#massimosirelliart#love#napoli#lunapark#calabria#museomarca
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Quello che vorrei scrivere alla mia manager patrona delle Partite Iva e del lavoro a nero:
"Senti, testa di cazzo.
Il tuo considerarti una self made woman nonostante il portamonete di mammà ti abbia pagato la Scuola da Copywriter dei miei stivali e la casa di papà ti abbia nutrito e vestito fino ai 33 anni per darti il tempo di finire la triennale, così come il fatto che racconti di aver creato e gestito il forum fandom di una Nota Band Anni 90 a 15 anni nonostante di questo sito non esista traccia neanche negli archivi più infrattati del Dark Web, così come il fatto che predichi il work life balance mentre mi invii mail alle 2:39 del mattino, così come il fatto che ritieni di offrire ai giovani talenti grandi opportunità sfruttando la creatività di persone disperate in cambio di una paga a nero, così come il fatto di premurarti che io non vada in burnout solo dopo avermi trasformato in socialmediamanager editor videomaker contentstrategist communitymanager projectmanager insomma una One Man Band agli ordini della tua agenzia di comunicazione del cazzo senza offrirmi uno straccio di formazione
ecco tutto questo non ti legittima a trattarmi come una deficiente e pezza da piedi, perché se ti sei potuta permette il mutuo della casa è anche merito mio."
Ciò che scrivo alla mia manager patrona delle Partite Iva e del lavoro a nero:
"Sì, farò più attenzione".
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È strano e singolare che ogni volta che io stia male e resti a letto a dormire, lui mi viene in sogno a coccolarmi ed io stia subito meglio.
Ho un brutto sfogo dovuto a molteplici punture di zanzara, su tutto il corpo. Mi facevano soffrire terribilmente, quindi mi sono rimessa a letto.
Mi sono ritrovata a tavola ad una festa, tu avevi lasciato crescere i capelli lunghi, la barba e il pizzetto. Indossavi un completo traslucido gessato e una camicia nera aperta sul petto. Eravamo seduti vicino a te, io non potevo fare altro che guardarti, attonita e affascinata, conversare animatamente di arte e affari.
Gli occhi azzurri scintillanti, quel fisico sinuoso, ma forte, i capelli lunghi sulle spalle, quell'accavallare nervoso di gambe infinite...
A tavola c'era anche M. con noi, e tu stavi parlando con lei. Ad un certo punto decidiamo di andare a vedere i miei cavalli, voi due prendete l'auto di lei e io di volata prendo la mia e vi seguo.
Gli abiti da sera vengono spazzati via da jeans, maglietta e stivali. Siete scesi e state a bordo filo guardando una mia giumenta col puledro.
Tu mi sei di spalle, accarezzando fili d'erba, perso a guardare la scena.
Mi avvicino e un'altro battito di ciglia ci porta nella sala da pranzo del mio vecchio agriturismo. Siamo uno davanti all'altro, vicinissimi.
Il respiro si fa corto, l'aria tra noi è elettrica, ti guardo le punte dei capelli sfiorare quelle spalle a cui mi aggrapperei per sempre...
Tu mi sorridi mentre inclini la testa di lato, ti poggio le mani sui fianchi e le faccio scivolare dietro sulla vita, scendendo con le dita poco sopra al gluteo... Ti sento tremare e mi avvolgi tutta col tuo corpo, mentre ci iniziamo a baciare lentamente, approfonditamente, gustando ogni minimo millimetro di labbra, di sapore...
Mi sveglio così bene, con questa sensazione di calore e profondo amore nel cuore, che non sento più nessun dolore.
Sei la malattia e la cura, il bacio sulla bocca che non ha più fine...
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•~☆×*'Oneshot/Headcanons'*×☆~•
1. 🚫Argomenti che evito🚫[forse per ora]
NSFW,limoni,oscenità,pedofilia,incesto,abusi sessuali[forse aggiungerò altro in futuro].
2. Questo è rigorosamente un libro x ReaderNon ho mai fatto un Y/n maschio ma posso provarci ^^
Sentiti libero di fare la tua richiesta con tutte le informazioni che desideri.
Puoi richiedere altri personaggi nella richiesta,il limite è di 3 :,)
[forse per ora]
E il formato dipende da te♡ (oneshot,Headcanon)
3. Potrei mettere uno o più dei miei Oc per i oneshot ☆4.
Tutti i Headcanon e oneshot non si atterranno alla storia principale così da evitare spoiler
5. Non so quando aggiornerò potrebbe essere casuale
inoltre nessun odio pls :,>
Faccio questo per divertimento e per scrivere qualche idea,ora vi lascio alla mia lista qui sotto ;)
💃💃💃💃•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~
1. Lupin III
2.Undertale(e Au)
3. Mha/Bnha
4. Super Mario
5. One Piece
6. Il Castello errante di Howl
7. Dragon Ball
8. TMNT (il film del 2014)
9. Demon Slayer
10. Yandere Simulator
11. Dragon quest builders 2
12. Il gatto con i stivali 2 l'ultimo desiderio
13. Miraculous
14. Tloz Botw(The legend of zelda breath of the wild)
15. Creepypasta(forse)
16. Kuroko no basket
17. Venerdì 13(credo che farò specialmente Jason)
18. The Promised Neverland (ho visto solo la stagione 1 per ora)
19. Lookism
20. Doraemon
21. Encanto
22. Turning Red
23. Sing 1/2
24. Troppo cattivi
25. Deltarune
26. Pokemon Spada
27. Fnaf security breach
28. Bendy and the ink machine o dark revival
29. Se desiderate anche con i miei Oc(farò un libro apposito)
•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~
Per ora è tutto aggiungerò altri se mi verranno in mente nel catalogo.
Ho fatto del mio meglio per darvi una lista abbastanza grande tra qui scegliere :,)
•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~
angust,fluff,romantico,yandere,altro.
Eh niente il mio inglese non è buono per niente quindi scusatemi se risulta non buono :'D
#headcannons#oneshot#undertale#deltarune#bendy and the dark revival#bendy and the ink machine#my hero academia#pokemon#turning red#encanto#doraemon#lookism#the promised neverland#friday the 13th#kuroko no basket#creepypasta x reader#tloz#botw#miraculous ladybug#dragon ball#dragon quest builders#yandere#yandere simulator#demon slayer#tmnt 2014#one piece#il castello errante di howl#super mario#lupin iii#undertale au
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"luciano spalletti che ieri ha fatto i complimenti alla spagna" vecchio gufo dei miei stivali
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Aprii gli occhi. Un forte bruciore si dispandeva nel mio petto come lo zucchero che si scioglie. Afferrai con ambedue le mani il lenzuolo da sotto di me. Tirai con forza, innarcai la schiena con la testa sul morbido cuscino e tentai di inalare più aria possibile.
Nulla. I miei polmoni si rifiutavano di pompare l'aria. Due lacrime calde si fecero strada dai miei occhi e finirono da qualche parte sul mio viso o sui capelli sparsi su tutto il cuscino.
Tentai di alzarmi, ma la mancanza di ossigeno impediva al mio corpo di reagire.
Due colpi alla porta, poi altri tre, quattro. Qualcuno chiamò il mio nome. Qualcuno maledì la mia abitudine di chiudermi a chiavi.
Poi due mani. Due mani che tentavano di svegliarmi. Due colpi sul mio viso. Non sentivo nulla. I occhi chiusi, le labbra semiaperte e qualcosa che si posava sul mio viso.
Respira
Sentii questa parola e forse fu l'ossigeno che mi veniva inserito nel corpo quasi a forza, forse fu il tocco di qualcuno o forse ero troppo debole, ma il sonno prevalse ed io, sotto i suoni assordanti di una ambulanza, finii per addormentarmi.
Mi svegliai in una stanza enorme. Bianca. Bianca come la paura, come il terrore. Ho sempre associato il bianco a ogni male. Non il nero come il 99% del umanità. Quando mi chiedono Di cosa hai paura, Char? Io rispondo con le solite cose normali. Solitudine. Infelicità. Malattie. Cose simili. La verità è che la mia paura più grande è il bianco. Immaginatevi di essere in un posto. Un posto dove non ci sono alberi che seguono l'intero percorso delle vie, macchine che creino il caos e nessun odore di gas, case colorate e di diverse misure che quando le guardi le associ ai lego con i quali giocavi da piccolo e se mancavano i pezzi dello stesso colore per finire la costruzione di quel che avevi iniziato prendevi quelli del colore giallo o verde e continuavi la tua infantile opera, immaginatevi un posto dove non ci siano persone, vecchie che si lamentano di come sono diventati i giovani, madri che rimproveranno i loro bambini per qualche cattiveria e quest'ultimi a loro volta che scoppiano in lacrime accompagnati da gridolini isterici, i visini rossi e con una smorfia che quasi ti chiedi se non gli faccia male a tenere quella espressione per i seguenti 10 minuti di sano pianto.
Ecco, voi immaginatevi di essere in centro a un posto vuoto, bianco. Nessuna via. Nessun angolo. Cerchio o qualsiasi altra cosa.
Solo voi. E quale più grande paura del vuoto assoluto, il nulla assoluto se non il nulla stesso?
Il buio, il nero. Mi ha sempre dato più tranquillità. Nel buio non vedi nulla. Non sai se magari dopo 10 passi inciampi in un giocattolo di qualche bambino lasciato li per noia e indifferenza o se sbatti in una macchina parcheggiata sul ciglio di una strada.
Il buio lo associo alla speranza. La speranza che esso conservi un qualcosa.
Il bianco. Il bianco ti permette di vedere tutto. Ogni macchia. Ogni punto. E non c'è cosa più brutta di non sperare. Non aver bisogno di sperare perché vedi. Lo vedi chiaramente che sei circondato dal nulla.
E ti senti come in una scatola. Intrappolato in una realtà non tua. Non vera. Non necessaria.
È questa la mia più grande paura.
Perché al buio ti puoi ribellare, al nulla no.
Capisci?
Ed eccomi qui. Sento una specie di maschera che mi copre naso e bocca. La tocco e provo a toglierla. La guardo e riconosco la mascherina respiratoria.
Tento di alzarmi capendo di essere in una stanza di ospedale e subito al mio fino trovo mia madre in una poltrona di un bianco accecante.
Sta dormendo. Ha gli occhi chiusi. I capelli biondi e fini che ho sempre amato le coprono mezza faccia. Porta un maglione di un marrone caldo, accogliente. Ha due buchi che le lasciano scoperte le spalle e tre fiocchetti sulle maniche, al livello del polso. Sono piccoli e posizionati in fila indiana. I jeans di un blu scuro le fasciano le gambe magre. Porta dei stivali marroni con delle cinture sottili, molto alla moda. Sulle mani ha i bracciali Tiffany che mio padre le regala spesso e cinque anelli di un'eleganza sorprendente. Le unghie, laccate. Bianco. Ha sempre usato il bianco. Capiamoci, non bianco come la cancellina che usiamo a scuola per correggere ogni sbaglio che facciamo e ci ritroviamo a fine ora con il quaderno simile a un muro verniciato, il bianco che usa lei è un bianco leggero, sembra sfumato nel rosa chiaro, ma è bianco. Noto il suo viso come sempre accuratamente truccato. È tutto nella norma. Un filo di eyliner, una passata di mascara, fondotinta quasi inesistente e giusto un po di rossetto color carne. La vedo aprire gli occhi blu e terribilmente belli, nonostante le poche rughe la scambiano spesso per mia sorella maggiore, quest'ultimi accompagnati da un sorriso che sfoggia con non chalance. A volte mi chiedo come tanta bellezza ed eleganza abbia potuto procreare un catorcio come me. Che di bellezza capisco ben poco e volgarità è il mio secondo nome.
'Hey, Cris.' mi chiama sempre con il mio secondo nome e ogni volta che lo dice mi sento piccola e dolce.
'Buingiorno, mamma.'
'Chiamo un dottore e lo avviso che sei sveglia.' si alza, mi da un leggero bacio sulla guancia destra e come al solito un caldo accogliente mi circonda.
Giro la testa alla mia sinistra e noto l'enorme finestra. Fuori piove e il vetro è leggermente bagnato dalle gocce di pioggia che colpiscono piano. Una distesa verde circonda l'ospedale e mi chiedo quanto tempo ci mettono i giardinieri a sistemare quel enorme prato.
Mia madre fa il suo ingresso nella mia stanza e mi avvisa che dopo un veloce controllo potremo tornare a casa, ed io mi ritrovo per la millesima volta nella mia vita felice di poter tornare nella mia buia stanza.
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Gaza: il cibo come trappola per i massacri
Sembra incredibile che possano accadere cose sconvolgenti, come per esempio usare l’esca del cibo per stanare le persone e ucciderle: persino l’inferno di Gaza sembra uno scenario più “umano” rispetto a questo eppure sta accadendo nel silenzio del potere occidentale ( si quello delle regole dei miei stivali) che fornisce le armi dello sterminio: dopo aver affamato la popolazione della Striscia …
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Ieri complice gli sconti del black friday sono andata a fare shopping. Ho comprato delle cose leggermente diverse da quello che acquisto solitamente: 2 paia di jeans stretti solitamente li compro larghi cosi da non far vedere nulla poi due maglioncini aperti sul davanti e degli stivali con un pochino pochino di tacco e solitamente porto solo scarpe da ginnastica, sono le mie prime scarpe un po' più femminili. Mentre ero nei camerini intenta a provare questi capi mi sono chiesta se ti potessero piacere, se ti potessi piacere vestita in quel modo. Ho visto anche un abitino nero con dei fiorellini azzurri molto bello, la tentazione di acquistarlo era alta ma ho preferito non sprecare soldi intanto non l'avrei mai usato. Ora si avvicina il Natale e mi sarebbe piaciuto indossare questo abitino, magari a cena a casa di qualche tuo amico. Ad essere sincera odio il Natale e sono una persona che ama parecchio stare sola ma si, mi piacerebbe uscire con te e conoscere i tuoi amici. I miei pensieri vanno per conto loro, ed è sempre più difficile poi tornare alla vita vera quando sai benissimo che non avverrà mai niente del genere in questo pezzo di vita.
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