#da tempo immemore
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La mia domanda per stasera è:
Ma la trasmissione affari tuoi, finirà prima o poi?
#chiedo per un amico#i miei genitori criogenati a vedere sta cosa#da tempo immemore#ve la buco sta tv
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If you'll study I'll study too so please study I'm so behind my exams I swear
I mean. Thats the intention. I just havent sat down to study in a while and now i cant focus T_T
Ps ive spent the last half an hour making time tables and a map, does it count??
#someone put my out of my misery#devo dare quest'esame da tempo immemore ormai anche il libro si è rotto T_T
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" Di fronte a noi abitava la Lola, una delle prime persone transgender della città, con grave scandalo dei benpensanti del circondario. Una volta la incontrammo dal macellaio e mia madre la salutò dicendole: «Ciao Antonio», scatenando l’incredulità della nostra beata innocenza. Lei, comprendendo la situazione dal mio sguardo confuso, le rispose: «Lucia, per favore, davanti ai tuoi figli chiamami Lola». Le cose cambiano e oggi Lola si fa chiamare Frate Antonio, veste un saio e si è ritirato a vita spirituale da decenni, una storia che farebbe la gioia di gente come il generale Vannacci e Simone Pillon, per cui per favore non andate a raccontargliela, grazie. Al campetto di via Compagnoni oggi non ci sono più i ragazzini, le strade dove giocavamo gliele hanno rubate ormai da tempo immemore. Nelle case sopravvissute alle recenti demolizioni restano gli anziani e i nuovi inquilini di antichi assegnatari poi diventati proprietari e infine locatori. Ogni volta che passo da via della Canalina in macchina guardo da lontano il mio balcone, immagino mia madre che mi chiama e sento che se sono diventato quello che sono è perché ho potuto vivere in quel luogo e in quel contesto, perché quel luogo e quel contesto insegnavano, anche senza l’uso di strumenti complessi, il materialismo storico, la politica, la società, la socialità, la solidarietà, la povertà, la dignità. In breve: la coscienza di classe. In quel luogo diventavi antifascista prima ancora di imparare a leggere e a scrivere. "
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Brano tratto da:
Storie di antifascismo senza retorica, a cura di Arturo Bertoldi e Max Collini, prefazione di Francesco Filippi, People editore, Busto Arsizio (VA), 2024¹, pp. 57-58.
#Storie di antifascismo senza retorica#letture#leggere#libri#Offlaga Disco Pax#narrativa#Arturo Bertoldi#Max Collini#Francesco Filippi#memoria#ricordi#partigiane#partigiani#Resistenza#Liberazione#Storia d'Italia del XX secolo#libertà#futuro#dignità#25 aprile#lotta partigiana#pace#passato#Emilia Romagna#Reggio Emilia#case popolari#raccolta di racconti#coscienza di classe#generale Vannacci#Simone Pillon
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
ARTE STORIA DELLO STILE
Roberto Longhi, piemontese di Alba, classe 1890, è stato uno dei più pregevoli critici d'arte italiani.
Per alcuni, il maggiore.
Non faccio classifiche.
Ricordo solamente il suo concetto del fare artistico:
«[...] l'arte non è imitazione della realtà, ma interpretazione individuale di essa [...] Mentre il poeta trasfigura per via di linguaggio l'essenza psicologica della realtà, il pittore ne trasfigura l'essenza visiva: il sentire per l'artista figurativo non è altro che il vedere e il suo stile, cioè l'arte sua, si costruisce tutto quanto sugli elementi lirici della sua visione.»
Così affermava nella sua "Breve ma veridica storia della pittura italiana", effetto di un compendio proposto da Longhi, tra il 1913 e il 1914, per i maturandi dei licei romani "Tasso" e "Visconti".
Era un giovane laureato.
Ma tenne quell'impostazione per tutta la vita: l'arte nasce dall'arte.
Ed è dunque storia dello stile, o meglio degli stili.
Difficile tenere quel modello concettuale entro solidi margini nella creatività caotica dell'arte contemporanea.
A maggior ragione per chi come me sostiene che l'atto lirico non sia individuale e originale libertà ma il riflesso di una cultura che fa traccia nel tempo facendo del corpo dell'artista il suo strumento espressivo.
Eppure, quando osservo i cosiddetti "illustratori", tra XIX e XX secolo (tra i quali è annoverato Toulouse-Lautrec) che per me sono artisti senza alcuna limitazione, mi sento additato dalle parole di Longhi come in un invalicabile atto d'accusa.
René Gruau, al secolo Renato Zavagli Ricciardelli delle Caminate, riminese dalla nascita avvenuta nel 1909, è tra quelli che più di altri mi mettono in crisi.
Ma che, paradossalmente, concorre a salvare la mia tesi.
Infatti, mentre la sorprendente sintesi stilistica dell'artista italiano attraversa il '900 in un raffinato allungarsi e diffondersi di figure dalla strepitosa e diafana eleganza, corroborando la sentenza longhiana sulla traccia lirica come epicentro dell'arte, quelle apparizioni affascinanti altro non sono che l'espressione dell'estetica del secolo, punto di convergenza delle necessarie concatenazioni causali capaci di rendere riconoscibile il gusto per modelli rappresentativi inequivocabili: rammentano la stampa quotidiana e periodica, la pubblicità, il cinema, la moda di quegli anni ruggenti e tragici, disseminati di straripante follia ed estro creativo.
L'arte emerge dalla vita concreta delle società e dalla grafia delle loro visioni culturali.
Nondimeno, sono un tuffo nel passato recente, con una proiezione nel presente e nel futuro: la linea di Longhi mai spezzata nel suo farsi storico.
Dal fondo, emerge l'essere umano, illuso della libertà e immemore del destino di finitezza assegnata ai confini invalicabili di tempo e di spazio.
Che costui disegna nel colore di un'agognata dimenticanza.
- Le immagini sono un'antologia di espressioni figurative di René Gruau sparse lungo tutto il XX secolo.
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Non so più chi sei, dov’è il “te” di una volta. Mi manchi. Mi sembra di scrivere a qualcuno che è morto da tempo immemore, e io, ancora, invece di portare un mazzo di fiori e andar via per sempre, ti chiedo “Resuscita”.
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scuro
oggi il cielo è scuro come il sangue che sgorga dalle mie braccia, come il buio più totale, come le giornate nere e i pensieri negativi che vagano tranquillamente nella mia mente da tempo immemore. il cielo è scuro come quando senti la mancanza di una persona o di un luogo ed è come se non avessi più niente per cui valga la pena vivere, scuro come la solitudine nei momenti in cui l’unica cosa che vorresti è un abbraccio, sentire il calore di un altro corpo mescolarsi a quello del tuo e infuocarsi insieme, appiccare un incendio a partire da due cuori uniti. come quando non sai dove andare perché sei consapevole di non poter guarire nello stesso posto in cui ti sei ammalato e circondato dalle stesse persone, sai di doverti spostare ma non hai idea di quale sia il posto in cui avresti una possibilità di guarire, non sei neanche certo che quel posto si trovi in questo mondo e in questo tempo. come quando ogni cosa è insapore e ti trasforma in apatia al suo stato più puro. come quando il tuo mondo si ferma e non hai idea di come farlo ricominciare a girare e finisci per arrenderti alla staticità, alla monotonia, a una routine che rende ogni giornata uguale alla precedente e alla successiva e finisci per perdere la concezione e la percezione del tempo. come quando arrivi al limite e non fai in tempo a rigirarti e tornare all’inizio del tragitto che già hai superato quel limite senza accorgertene. come quando è estate ma dentro di te è sempre inverno con qualche lieve sfumatura d’autunno. come un amore tormentato e la rosa nera che lo rappresenta; come un amore non corrisposto; come un amore che si esaurisce unilateralmente.
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PARAGONE
(pa-ra-gó-ne)
SIGNIFICATO Comparazione; similitudine; somiglianza; varietà di diaspro usato per il saggio dell’oro
ETIMOLOGIA derivato di paragonare, dal greco parakonào sfregare contro, composto di parà presso e akonào affilare.
Si tratta di una parola semplice e vasta, che si ha qualche difficoltà a dominare con una sola occhiata. Accorre in aiuto un’etimologia sorprendente.
Il paragone è in origine una varietà di diaspro nero, una pietra che da tempo immemore viene usata per saggiare la purezza dell’oro - la celebre “pietra di paragone”. Tale saggio viene compiuto grattando su questa pietra il metallo che si vuole saggiare e uno o più campioni d’oro di purezza conosciuta. Anticamente si valutava a occhio il colore del residuo lasciato sul paragone, forti dell’uniformità del suo colore nero: se il metallo lasciava un residuo di colore uguale a uno dei campioni, corrispondeva a quella purezza. Oggi si impiega un metodo più raffinato, che implica l’uso dell’acido nitrico, variamente diluito: l’oro, metallo nobile, non viene intaccato dagli acidi; così il campione, se perfettamente puro, resterà intonso, e se ha una caratura più bassa subirà una certa corrosione; nel caso in cui il metallo da saggiare sia un falso o una lega meno pura di quanto si dichiara, riuscirà più consumato del campione di riferimento.
È facile comprendere come un’immagine del genere, tanto suggestiva, abbia invitato i significati figurati di comparazione (fare un paragone fra due vini), di similitudine (per farti capire una situazione ti faccio un paragone), e di somiglianza (non c’è paragone, i ravioli della mamma sono i migliori). Ed è meraviglioso che significati tanto cardinali, tanto fondamentali per il pensiero, traggano origine dal nome di un sasso dal profondo colore nero, che correva il Mediterraneo nelle sacche dei mercanti
Testo originale pubblicato su: https://unaparolaalgiorno.it/significato/paragone
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Di nostro aggiungeremo che, nel linguaggio comune, dal "paragone" possono nascere numerose fallacie logiche, la più frequente delle quali è quella di mettere a confronto le mele con le pere per trarre similitudini/differenze, oppure quella di valutare il presente con il passato e viceversa, che in certe forme si delinea come "riscrittura della storia"...statt accuort.
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volevo comunque dire che ero fan di Jeremy Allen White molto tempo prima che uscisse the bear perché da tempo immemore guardavo shameless e tv show time può solo che confermare
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Ti seguo da tempo immemore con tutti i blog che ho/che hai creato 🍂
un bacino a tutti quelli che mi seguono dai miei vecchi blog lov u
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Ci si accanisce sempre con chi viene già discriminato da tempo immemore...
Che grettezza.
Ma non provate minimamente vergogna a comportarvi in questo modo?
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Alessandra Borsani con Più Solbiate
Mi presento: sono Alessandra Borsani, ma tutti mi conoscono come l'Ale (rigorosamente con l'articolo ;-)).
Impegnata nel mondo del sociale e del volontariato da tempo immemore, da sempre curiosa e interessata al mondo delle relazioni in tutte le sue sfaccettature, amo sperimentarmi in attività nuove e che mi aprano sempre nuove prospettive.
Adottati da Solbiate dal 2003, io e mio marito Antonio abbiamo realizzato il desiderio di far crescere i nostri figli in un paese dalle dimensioni umane e che gli permettesse di istaurare relazioni durature e significative. Partendo dalla convinzione che il centro educativo privilegiato sia la famiglia, sono altrettanto convinta che la rete sociale sia oltremodo determinante come rete di supporto.
Ho una Laurea Magistrale in Psicologia Clinica e di Comunità con una tesi che sviluppa la tematica delle parole che curano nelle relazioni di aiuto. Cosa faccio nella vita? Il lavoro che amo e che ho scelto. Mi occupo di educazione e formazione e ho maturato esperienza in diversi ambienti educativi, dalla scuola, alle comunità residenziali mamme-bambini, ai servizi per la famiglia e adolescenti che vivono situazioni di fragilità.
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Non chiedo più tempo ( Il tempo non si chiede ) da quando l'ho perduto. E poi il tempo tutt'al più si dedica, o si arrende all' amore. Ignaro, immemore, spesso maldestro, manca appuntamenti, agende, lunari. È frettoloso il tempo, quando deve portare un abbraccio, un bacio, mille carezze; perde il conto di sè e del mondo, un pò sbadato, mai distratto. Chi non ne ha non conosce l'Amore, chi non ne ha non comprende il piano di sentimenti del mio cuore. Perché il tempo dell' Amore é senza tempo.
Carla Casolari, Note di viaggio
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Dilaniati
Quando smetterai di raccontarti frottole, Obito? Sei davvero persuaso che la tua attuale meta sia il rapporto che devi a Nagato?
Vorresti torcergli il collo, però già ti stai chiedendo come farai senza di lui, vero?
Stavolta percorri con calma il corridoio che tocca le stanze dei sottoposti. Che succede, speri d’imbatterti in lui? Già ti stai arrovellando il cervello per mascherarlo da incontro casuale, nevvero?
Sei riuscito a convincere Nagato ad attenderti fino a tarda notte, hai mentito fingendo impegni straordinari per giustificare l’ora.
Guarda in faccia la realtà, Obito. Siete caduti l’uno nelle braccia dell’altro per soffocare la vostra agonia, Itachi ha perso la verginità con te solo perché non gli è stata concessa alternativa, non può amare chi avrebbe voluto. Un mero accontentarsi. Uno sfogo, punto e basta.
Lo hai avuto perché si è lasciato prendere, Obito.
Sii sincero con te stesso, per una volta. Sei la seconda e disperata scelta di Itachi. La sua ultima spiaggia, nulla di più.
Non puoi più vivere senza questa mortificazione quotidiana, ti occorre il veleno con cui Itachi ti nutre ogni giorno.
Su, dillo che ti disprezzi per esserti fatto trascinare così in basso da un moccioso. Sei già abbastanza smidollato da non riuscire a negargli niente, almeno cerca di portare rispetto a te stesso.
È solo sesso, dall’inizio. Il bisogno di precisarlo è superfluo, le azioni di entrambi durante gli amplessi sono parecchio eloquenti.
Rapporti furiosi portati a termine come fosse ginnastica, assolutamente privi di baci e carezze, non hanno bisogno di spiegazioni. Azioni che, di solito, sono il lasciapassare delle tante temute emozioni. Le porte attraverso cui due amanti si legano. Se la diga dei sentimenti crollasse, tutto finirebbe inghiottito dallo sfacelo senza più controllo.
Il sesso li aiuta a gestire la loro miseria, a non perdere la ragione; Obito non ha il coraggio di rovinare tutto, ne ha troppo bisogno. Così lascia Itachi libero di erigere quelle inespugnabili mura a suo piacimento.
Nei tempi lontani, quando era ancora un giovane colmo di fiducia e amore, Obito avrebbe trovato abominevole penetrare un ragazzo stando in piedi sul letto e tenendolo da una gamba come un salame. Senza dubbio, non ora. È Itachi che lo vuole, egli rifiuta di legarsi.
Così Obito ha sinceramente goduto degli schiocchi sempre più intensi delle loro pelli, gli è piaciuto osservare Itachi ondeggiare sotto i suoi implacabili colpi di bacino, il copioso sudore che gli è sceso dalla fronte gli ha trasmesso un perverso e nuovo piacere.
La caviglia sinistra di Itachi stretta nella morsa della sua mano, l’altra gamba penzoloni a casaccio sul materasso. Obito lo ha alzato il necessario per portarselo davanti al cazzo, non gli è interessato altro.
Tenendo Itachi rigorosamente di spalle, Obito ha ignorato i lividi che affioravano sotto la sua mano, ha solo fatto attenzione che Itachi non si spezzasse il collo. A dire la verità, quella parte del corpo di Itachi, così elegante e candida, lo fa impazzire da sempre. Metterlo praticamente a testa in giù gli ha consentito di ammirarla senza che i lunghi capelli la celassero.
Ottenuta l’eiaculazione dentro il corpo di Itachi, Obito lo ha lasciato cadere sul letto, non si è chiesto se lui fosse venuto o no. Poi si è sdraiato per riprendersi dalla fatica.
Obito a fissare apatico il soffitto, Itachi la parete alla loro destra.
Nessuno spiccica mai una parola, non serve. Il loro sordido segreto non ha bisogno di approfondire chissà quale reciproca conoscenza. Sarebbe inutile vomitarsi addosso il rispettivo dolore all’infinito, discorrere di futili banalità meno che mai. Non sono più dell’umore adatto per entrambe le cose ormai da tempo immemore.
Obito ha paura di spezzare la fugace e ingenua armonia che si crea durante questi incontri, non ha dubbi che rivestirsi e tornare alle consuete attività senza una parola sia la soluzione migliore.
Scacciato il recente ricordo alla stregua di un insetto fastidioso, Obito è costretto ad arrestare i passi solitari nel corridoio del covo, anche il lieve rimbombare mette a dura prova la sua testa che scoppia. Deve vederci chiaro e rinfondersi fiducia prima di passare davanti a quella porta. Se Itachi lo vedesse vacillare sarebbe ancora lui la parte dominante.
Come sempre, del resto.
Obito si infila le dita sotto la maschera, preme il cranio come per impedirgli di pulsare alle venefiche ambiguità. Il dualismo si fa strada prepotente a dispetto del suo resistergli, mette davanti a Obito due immagini contrastanti e sovrapposte. Ancora quel disturbo dietro gli occhi di Rin e sotto le lacrime di Kakashi.
Itachi ha attraversato esperienze simili alle sue se non, addirittura, peggiori. Conosce la solitudine e la perdita delle poche persone davvero care, è stato lui a strapparsi tutto. Con le proprie mani.
Itachi, come lui, è finito per abbandonare qualunque tipo di interesse che esuli dai progetti da shinobi. Hanno riempito entrambi l’indicibile voragine di vuoto con piani da perseguire fino in fondo. Programmati, come macchine.
Per questo a Itachi non frega niente della sua salute, per lui la morte sarà la tranquillità che non ha mai avuto. È arduo, per Obito, trovarsi davanti un ventunenne con una tale ambizione così ardente, che neanche prova a considerare una scappatoia. Appena un ragazzo e le speranze già incenerite.
Se solo Itachi accettasse il suo aiuto, Obito farebbe di tutto per portarlo lontano e fargli cambiare vita.
Sebbene lui e Itachi siano irrimediabilmente diversi, l’ignominia li accomuna. Perché non possono arrivare a una reciproca comprensione? Ad accettarsi senza scannarsi?
Maledetta maschera che non consente di detergere le lacrime. Nessun problema, si seccheranno tra pochi minuti.
Obito scuote la testa, realizza l’autentico rammollito in cui si sta trasformando. Ma per amore può essere anche lecito diventarlo.
Amore?
Forse Obito sta confondendo afflizione, rancore e cinismo con qualcosa che ha sempre desiderato ma gli è stato precluso. Si interroga spesso su cosa prova durante le notti trascorse con Itachi, quando è dentro di lui. Ma non può che trattarsi di illazioni immotivate, ovvio.
Obito riprende il cammino, quello che desidera comunicare a Itachi è un'informazione importante e meramente tecnica. Dovrà parlarne anche a Nagato.
Gli anni trascorsi con Madara hanno formato Obito come buon chirurgo, non solo per quanto riguarda i trapianti di occhi. Non ha mai fatto sfoggio dell’ampia conoscenza sull’anatomia umana perché non se ne è mai presentato il bisogno.
Itachi non riesce più a dissimulare il deterioramento fisico che lo divora, lo sanno tutti, se lo fanno andare bene e il malcontento si è ormai sopito tra gli scarsi affiliati superstiti. Tuttavia, nessuno è mai venuto a sapere del Kotaro e della sua capacità di annullare, anche se solo momentaneamente, i sintomi di Itachi.
“Il tuo pudore è sempre più scarso, Obito.”
Anche così scarne, le parole di Itachi lo inchiodano sempre. Ora Obito è lì, ritto in mezzo al corridoio scavato nella pietra buio e puzzolente di umido, incapace di muoversi e parlare. Tutti i concetti che gli hanno invaso la testa fino a pochi secondi prima, svaniti.
L’obiettivo della spedizione notturna era proprio incappare in Itachi, ma ora, la sua improvvisa e inaspettata presenza, congela Obito in quello spoglio limbo sospeso nel tempo.
Itachi lascia perdere la porta della sua stanza, che stava per varcare, per fissare Obito. Attende una risposta, un gesto, o anche di assicurarsi dell'imbarazzo del suo superiore.
A Itachi piace provocare, riesce a farlo senza muovere un dito o cambiare espressione. Privo di scrupoli. Obito è disgustato dalla sua incapacità di impedirglielo.
Per fortuna la maschera e il collo alto nascondono il deglutire a secco. Obito si avvicina, fare la commedia con Itachi è sempre stato inutile: “Mi serve un campione del Kotaro, potrei provare a migliorarlo. Siamo rimasti in pochi, non possiamo permetterci di perdere prematuramente uno dei nostri migliori membri”. Già, un’idea coerente.
“Ossia io?” altra punzecchiata magistrale, l’assenza di strafottenza impedisce a Obito di reagire. Un suo eventuale protestare lo metterebbe nella posizione di donnicciola isterica, dominato totalmente dalle emozioni. Perciò, come al solito, a Obito non resta che ingollare il rospo “Devi smetterla di scambiarmi per Rin, Kakashi e tutti i tuoi sensi di colpa. Anche il mio sharingan rientra nello scenario, o sbaglio? Non ho la soluzione per alleggerirti i fardelli, il tuo maldestro tentativo di salvarmi non ti condurrà alla redenzione. Sei solo un pupazzo senza spina dorsale, Obito. A muoverti sono ormai solo sagome sottili e morte che non appartengono più al presente. Non hai mai avuto il coraggio di allungare il collo oltre il tuo naso per vedere cosa è cambiato intorno a te.”
Itachi lo scruta con gli occhi rossi e la faccia mezza tappata dal mantello, le ciocche di capelli nere e lucide come le ali dei suoi corvi.
Rosso anche nel foro della maschera di Obito.
La conversazione sta prendendo una brutta piega, il sentore di uscirne perdente serra Obito in una indomabile trappola. Afferra Itachi da un polso prima che possa svignarsela sciorinando un rapido commiato. Usa l’altra mano per spalancare la porta. Trascina Itachi all’interno, richiude e lo sbatacchia contro il muro. Itachi non batte ciglio, non cambia espressione neanche al tonfo sordo del suo cranio sulla parete.
Obito trattiene Itachi con la parte bassa del corpo e un avambraccio sul petto. Si disfa della maschera, fissa il sottoposto vicinissimo senza aspettarsi niente.
E niente ha.
Itachi resta impassibile con le braccia flosce lungo i fianchi, le mani nascoste sotto le maniche, sembra non averle.
Sbalordimento e rabbia agitano Obito, non si capacita ancora di quanto possa spingersi a fondo Itachi nello sviscerargli il pensiero. Eppure, il suo sharingan è spento, Obito non nota altro che la spessa cataratta grigia sempre più estesa che gli vela le pupille. Schiuma di rabbia di fronte all'indolenza con cui Itachi affronta ogni avvenimento, per Obito è uno sforzo immane fare finta di niente, rischia di crollare da un momento all’altro regalando a Itachi la vittoria.
“Non usare trucchetti mentali con me, ragazzino. Come sei giunto a queste illazioni?” Obito ormai è alterato, fuori controllo, ma la stizza che Itachi gli fomenta è davvero troppa per essere ignorata “I miei piani sono più che nobili, dettati dall’amore profondo. Cosa vuoi saperne tu freddo e privo di sentimenti come sei? Comunque, non sono affari che ti riguardano. Il tuo modo subdolo di abusare dello Tsukuyomi per carpire gli altrui pensieri mi disgusta sempre di più, ormai sei talmente vile da non riuscire più a porre una semplice domanda diretta? Ti vergogni, vero? Sei perfettamente consapevole del tuo atteggiamento spregevole. Stai attento, Itachi. Sarò anche compromesso fisicamente e con metà del potenziale oculare, ma non sono nato ieri.”
“Non sono così mostruoso, Obito. Non serve” sono talmente vicini che a Itachi basta un basso sussurro “Per capire uno come te è sufficiente riflettere.”
Niente inflessioni nella voce suadente, nessuna espressione, zero movimenti. Un campione nell’arte di far innervosire il prossimo. Obito si lascia scappare lieve ringhio, impossibile impedire all’occhio sano di assottigliarsi.
Determinato a far rimangiare a Itachi tutte le sue stronzate filosofiche del cazzo, Obito si appoggia sul braccio con cui gli schiaccia il petto aumentando al massimo la pressione.
Sotto gli automi in cui si sono trasformati per anestetizzare dolore e amarezza, sono sepolti ancora due uomini, dannazione. Itachi non può aver rimosso tutto in un batter d'occhio, l’affettuosità dimostrata per Sasuke e Shisui non è stata generata da un mucchio di circuiti e bulloni.
Obito gli strappa quel maledetto mantello senza tante cerimonie, una divisa a cui nessuno dei due appartiene davvero. Scivola lungo il corpo di Itachi per adagiarsi sul pavimento. Obito si stupisce di scoprirlo più magro ogni volta, anche a distanza di pochi giorni. Le clavicole, che ha sempre trovato irresistibili, adesso fanno impressione.
La divisa grigioazzurra gli pende addosso come un sacco moscio, Obito gli slaccia la cintura e gli sfila la maglietta per verificare quanto resta del suo corpo. Malgrado Itachi abbia perso massa muscolare, è ancora atletico.
Obito si sbarazza dei guanti, il tatto gli serve, lo vuole anche sulla mano martoriata. Accarezza i capelli di Itachi, le dita scivolano giù, assaporando tutta la lunghezza della coda. Il suo sguardo continua a monopolizzare Obito, ci affoga dentro senza rimedio. Bellissimo e sleale.
Il mantello di Obito affianca quello di Itachi sul pavimento. Piega le ginocchia, scende, con le mani segue le forme dei fianchi stretti di Itachi. Arrivato alla cintura, ci si aggrappa; poi prosegue verso il pavimento per sfilargli i pantaloni. Obito adora vedere il cazzo di Itachi così, mentre emerge dai peli pubici neri come il carbone gonfio e vellutato.
Le mani di Obito si colmano delle natiche di Itachi piccole e sode, le stringe mentre si appropinqua per baciargli la punta del sesso. Obito lo sfiora appena, quando si ritira sente Itachi esalare un sospiro tremante. I baci diventano tanti, piccoli, ritmici, Obito dà e toglie in modo strategico, ogni volta capta un sussulto nel bacino di Itachi.
Fa entrare Itachi nella sua bocca, berrebbe all’infinito le goccioline saporite del suo piacere. Itachi gli preme le dita tra i capelli, gli fa male, pare stritolargli il cranio. Gli spinge il cazzo in gola e poi lo lascia lì, Obito deve tirarsi indietro per non soffocare.
Le gambe slanciate di Itachi tremano, Obito ci si struscia rimettendosi in piedi. Guarda Itachi sudato e ansimante, riceve in cambio nient’altro che imperturbabilità. Nella foga di sfilarsi la maglietta, Obito ci s’intriga. Si cala i pantaloni in preda all’istinto irragionevole, getta le scarpe in direzioni diverse.
Itachi sempre l’immagine dell’autocontrollo.
Tiene Obito in pugno, anche stavolta ribalta il comando a suo favole.
Obito realizza che Itachi non guarda il suo corpo, forse gli fa ribrezzo. Gli tiene gli occhi ben piantati in faccia.
Obito abbranca una delle gambe affusolate di Itachi, lo costringe a posarla sul suo fianco, spinge col bacino, si fa strada tra i glutei del subalterno. Obito preme sull’entrata di Itachi, quando riesce a passare lo sorprende a contrarre la mascella. Ma il respiro di Itachi non cambia, nessun gemito, niente pelle sudata.
Obito trema persino sulle guance. È il momento di obbligare Itachi a gridare, di fargli comprendere che esiste ancora, nonostante tutto.
Di fargliela pagare per saper sempre rigirare tutti come un calzino.
Obito ghermisce entrambe le cosce di Itachi e lo solleva di peso più su della sua testa, restare al suo stesso livello di sguardo lo mette in soggezione. Con un colpo di bacino Obito lo infilza fino in fondo, i glutei di Itachi gli ricadono sul ventre mentre affonda nella sua carne bianca e bollente. Itachi non oppone resistenza alla penetrazione. Obito tuffa la faccia alla base del suo collo, ne aspira avido il profumo. Gli preme la fronte sul petto.
Obito non riesce a strappare gemiti al giovane.
Itachi inarca la schiena per strofinarsi sul corpo del superiore, Obito distingue il nervo teso del suo pene a contrasto con gli addominali. Itachi si autostimola muovendosi piano, usa Obito da manichino.
Le gambe slanciate di Itachi, avvolte alla vita di Obito, all’improvviso strizzano da togliere il fiato. Il giovane aumenta la forza, il superiore sente scricchiolare il proprio costato. L’orgasmo caldo e appiccicoso di Itachi, dal ventre di Obito, cola fino alle gambe.
Obito si è sentito tacciare di egoismo infinite volte. E Itachi cos’è? Ha fatto i cavoli suoi senza avvertirlo.
Raggiunto il piacere senza curarsi di quello di Obito, Itachi lascia andare un sospiro e si accascia sul corpo del superiore. Resta lì, con le braccia posate sulle spalle di Obito, fissa il vuoto oltre la testa del superiore senza più uno scopo.
Costretto a stringere la presa sulle cosce di Itachi per continuare a sostenerne il peso, Obito manda un’mprecazione strozzata senza staccare la fronte dalla spalla del subalterno. Si inarca per trafiggere ancora il giovane, Itachi gli rimbalza indolente tra le braccia. Silenzio, Obito si immobilizza trattenendo il fiato, poi l’orgasmo prorompe dentro Itachi e Obito si libera con un informe verso gutturale.
Obito abbassa Itachi per consentirgli di posare i piedi a terra, poi fa risalire le mani fino a stringergli la vita. Ansima con la fronte ancora appoggiata alla spalla di Itachi.
Sempre indifferente e con le mani lungo i fianchi, il giovane gli concede il favore di attendere che si calmi.
Obito solleva la faccia, guarda Itachi consumato di piacere e fatica; temporeggia asciugandosi il sudore, ma il suo sguardo indugia sulla bocca di Itachi. Non si sono mai baciati, l’occasione propizia non si è mai presentata. Un’intimità non adatta a due anime crude e logorate dall’oscenità come le loro. Ma la curiosità istiga Obito imperiosa, le labbra di Itachi hanno un aspetto vellutato. Obito non si è mai abbeverato del loro sapore, nutrito del respiro di Itachi. È un’impellenza fisica, non sentimentale.
Si accosta di nuovo al corpo di Itachi per pressarlo tra la parete e il suo petto, aspira con le labbra schiuse come se questo servisse ad attirare la bocca di Itachi verso la sua.
Obito si arresta al voltarsi della testa di Itachi, la frustrazione lo congela. Non riesce a smettere di fissare il giovane in una muta e umiliante preghiera.
Itachi esala un breve sospiro infastidito, poi si divincola dalla presa di Obito mettendo fine alla patetica postura. Recupera indolente i suoi vestiti per metterli su una sedia.
In silenzio, Itachi sparisce nel bagno.
Lo scroscio dell’acqua desta Obito dall’immobilità, crolla sulla parere sbattendoci pesantemente la fronte.
Davvero non arrivi a capire perché lo ha fatto, Obito? Continua pure a farti ingannare dall'amena bellezza di Itachi, intanto dimentichi che sotto si cela un mostro doppiogiochista macchiato di orrore e dilaniato dal dolore.
Perché continui a stupirti? Eppure siete simili, sai benissimo che la depressione rende insensibili e fa perdere interesse nei confronti del mondo circostante. Rientrano in questo anche le persone, Obito.
A Itachi non restano altro che i suoi scopi.
E tu, Obito, sei solo un sovrappiù. Fai parte di quelle attrattive a cui Itachi è diventato ermetico da un pezzo.
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
IL DESIDERIO DI ULISSE
Perchè Ulisse all'Inferno? L'esegesi letteraria e la filosofia s'interrogano da tempo immemore sulla scelta di Dante, che colloca l'eroe omerico tra i consiglieri fraudolenti dell'VIII Bolgia. Ulisse, colui che nel racconto dell'ultimo "folle volo", pronuncia un inno all'uomo dal valore e consistenza monumentali. Eppure, l'implacabile "cupiditas sciendi" condanna l'uomo indifferente alla contemplazione di un traguardo atteso. Il desiderio perenne, che è "privazione", sorge e si rinnova, senza trovare completezza. Fame insaziabile. Non è anabasi, ascesa. È corsa frenetica che avanza solo in un moto orizzontale. Fino all'estremo mondo, "infin che ’l mar fu sovra noi richiuso".
"O frati", dissi "che per cento milia perigli siete giunti a l'occidente, a questa tanto picciola vigilia d'i nostri sensi ch'e' del rimanente non vogliate negar l'esperďenza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza".
- Frammento dal Canto XXVI - Inferno - Dante Alighieri
- William Turner (1775-1851) "Nave di schiavi", 1840, Boston, Museum of Fine Arts
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ringrazio Lorenzo per avermi ricordato perché sono single da tempo immemore
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Abbiamo tutti bisogno di scorrere come l’acqua. L’acqua che ristagna diventa putrescente, immobile, sempre uguale a se stessa, silente, incapace di accadere. L’acqua ferma diviene presto torbida, stagnante e non consente lo specchiarsi. È un rituale quello che ci chiede la vita, una connessione con ciò che di antico e profondo da immemore tempo viene costantemente celebrato. Il lasciare andare per lasciare accadere, il fare spazio per consentire, il cessare di trattenere per fluire. Chi fiorisce vive, si direziona, come un bambino imparando dal suo stesso respiro, fidandosi, avanzando adagio. Chi ripete, chi non fluisce, interrompe, spegne, diventando un eterno replicante.
tizianacerra.com
[Foto junior reis, unsplash]
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