#cultura del Midwest
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Duluth, Minnesota: La Magia di una Capanna nel Bosco Innevato. Recensione di Alessandria today
Un rifugio tra pini e neve per scoprire il fascino invernale della città americana
Un rifugio tra pini e neve per scoprire il fascino invernale della città americana Situata nello stato del Minnesota, lungo le rive del Lago Superiore, Duluth è una destinazione da sogno per chi ama la tranquillità della natura innevata. La fotografia di una capanna di legno circondata da pini ricoperti di neve cattura perfettamente l’atmosfera di questa città: un luogo dove rifugiarsi e…
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The Bikeriders: bulli, pupe e quell'America dal respiro cinematografico
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Gli Stati Uniti del mito e della libertà nell'epopea immaginifica di Jeff Nichols, tra utopie e violente gentrificazioni sociali.
The Bikeriders di Jeff Nichols ha la capacità di raccontare il duplice volto degli Stati Uniti d'America, accavallando un passaggio generazionale che riflette solidamente il respiro cinematografico voluto dal regista. Nel farlo, Nichols predilige soprattutto le immagini. Sembra una banalità, eppure The Bikeriders è un'opera estremamente cinematica (nel senso stretto del termine), che parte da un contesto di per sé iconico rispetto all'immaginario umano e geografico che abbiamo rispetto agli USA. L'ispirazione, che odora di Marlboro, birra calda e libertà, arriva dall'omonimo fotolibro di Danny Lyon che nel 1968, attraverso diversi scatti (che influiscono sulla messa in scena di Nichols), raccontava l'ascesa dei Vandals MC, un club motociclistico facente parte degli Outlaws MC. Una contro-cultura su due ruote nata sulla Route 66 e rafforzata poi da Marlon Brando, che nel 1954 sarà l'emblema dei motociclisti grazie al suo Johnny Strabler de Il Selvaggio.
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Austin Butler è Benny in The Bikeriders
Ho aperto con una digressione riassuntiva ma in qualche modo propedeutica, che aiuta (o aiuterebbe) a capire (ed apprezzare) meglio lo spirito del film. La valenza, come detto, è doppia: l'epopea poetica e dolente di un gruppo di bikeriders (esaltata da una galvanizzazione che parte proprio dalle immagini), e poi l'aspetto sociale e politico (su cui il regista si sofferma nella seconda parte, quella meno istintiva e più quadrata) che le loro gesta hanno generato, scaturendo a loro volta l'archetipo che struttura la fascinazione per un certo tipo di suggestioni, iniziate con la Beat Generation di Jack Kerouac e culminate con Easy Rider di Dennis Hopper. Un film manifesto che segnerà - come vediamo alla fine di The Bikeriders - l'inizio della fine dei gruppi motociclistici americani.
The Bikeriders: sulle ali della libertà
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Jodie Comer e Austin Butler sul set del film
Per certi versi, The Bikeriders, scritto dallo stesso Jeff Nichols, è una sorta di film-reportage, che gioca di montaggio e di incroci, facendo brillare il senso del racconto che segue le parole (importantissime nell'economia del film) di Kathy, interpretata da Jodie Comer. È lei che ricuce la storia dei Vandals, grazie alle interviste che rilascia a Danny Lyon (Mike Faist), reporter in erba deciso a seguire le gesta dei motociclisti lungo tutto il Midwest alla fine degli Anni Sessanta. Kathy (ci) racconta di suo marito Benny (Austin Butler, che recita più con gli occhi che con la voce), giacca di pelle e sigaretta sempre accesa, in sella alla sua motocicletta. Simbolo di coraggio e libertà. Gli stessi ideali che confluiscono nel leader dei Vandals, Johnny (Tom Hardy, vero protagonista insieme alla Comer), un outsider ancorato ad una nobiltà d'animo che lo renderà inadatto alla brutalità delle nuove generazioni, segnate dal Vietnam e dall'individualità.
La gentrificazione del mito americano
The Bikeriders funziona soprattutto nella costruzione dei personaggi, uniti ad archetipi precisi, ed inseriti in un contesto immaginifico di grande spessore (su cui lavora bene l'estetica fotografica di Adam Stone). C'è l'America figlia della frontiera, che mal sopporta le regole e diventa famiglia disfunzionale nel concetto più limpido di "branco". Avallando un'amicizia maschia sorretta da significativi e rivelatori silenzi. Nel film di Jeff Nichols, dunque, troviamo le stesse inflessioni di un'opera western, per una rivoluzione che parte da un non-luogo che esiste solo nei film del passato (e quindi, esiste solo nella nostra memoria di spettatori o lettori).
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Tom Hardy e Austin Butler, migliori amici nel film di Jeff Nichols
In questo caso, è chiaro quanto lo scavalcamento generazionale (violento) sia fondamentale nella storia, applicandosi al mutamento che, da perdigiorno bonari, invisi alle regole e allo status quo, trasformerà i Vandals in una gang di criminali. Una sorta di infezione, di idealizzazione, e di gentrificazione umana, sviluppatasi parallelamente alla Guerra del Vietnam e all'affermarsi del Capitalismo moderno. Sarà proprio questo il centro sommesso che Nichols finirà per rimodulare, affievolendo metaforicamente il rombo delle motociclette che riempie il sound design del film (un colpo di classe). Di conseguenza ampliando lo spettro sociologico e politico, per una disillusione che creperà l'essenza stessa della libertà e della felicità (che risuona nella Costituzione Americana).
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Austin Butler e Jodie Comer, protagonisti di The Bikeriders
Se oggi gli States, vittima di una crisi narrativa, sono sull'orlo dell'implosione avendo perso la peculiare capacità di rigenerare la propria mitologia (di cui fanno parte le Harley-Davidson), The Bikeriders (ri)spolvera proprio quel mitico immaginario, rendendoci parte attiva di una conflittualità riconducibile all'amore e all'amicizia (tra il sangue e il sudore, tra l'ardore e l'ossessione). Un'ambivalenza che predomina nella scrittura, ritrovandovi il feeling giusto legata a quella mitologia di cui oggi sentiamo una terribile mancanza.
Conclusioni
In conclusione la mitologia americana su due ruote nell'epopea di Jeff Nichols, che per The Bikeriders sceglie un cinema immaginifico, è strettamente funzionale alla storia raccontata. Potrebbe risultare inespresso (almeno a tratti), eppure la pellicola, sorretta dal cast (Tom Hardy, Jodie Comer, Austin Butler, e poi il sempre eccezionale Michael Shannon) diventa uno spaccato ben definito, che illumina intelligentemente un accavallamento generazionale: da una parte l'America delle illusioni, dall'altra quella della violenza e dell'individualità.
👍🏻
La storia, innanzitutto.
La scelta fotografica del regista.
Le tre interpretazioni, e la presenza di Michael Shannon.
Una mitologia americana ben definita.
👎🏻
Potrebbe risultare a tratti inespresso.
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Il nuovo Superman arriverà nel 2025: James Gunn annuncia "Legacy"
James Gunn dirigerà un nuovo film di Superman, da lui scritto, intitolato Superman: Legacy. Uscirà l’11 luglio del 2025. Il regista lo ha annunciato insieme al socio della DC Studios Peter Safran. Nella pellicola il supereroe farà i conti con la sua doppia cultura: figlio aristocratico di Krypton poi cresciuto in una cittadina del Midwest americano nei panni di Clark Kent. “Superman: Legacy” sarà…
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biotipo vos vivís en middle argentina no?
Vivo en El Litoral, específicamente entre Chaco y Corrientes, que es una región cultural y geográfica bastante peculiar. Creo que tenemos ciertas cositas que nos distinguen bastante del resto del país tanto en cultura como en clima como en historia. Incluso Corrientes (que tiene una herencia guaranítica muy arraigada desde la época de las misiones jesuíticas y es una provincia muy antigua) y Chaco (una provincia mucho más nueva, cuyo trato con los pueblos orginarios fue una repentina y muy violenta colonización de la cual quedan muchas cicatrices) tienen dos historias radicalmente diferentes, pese a compartir muchas cosas culturales, ambientales, históricas y económicas. (las capitales de ambas provincias, como dije una vez, funcionan básicamente como una ciudad grande)
El equivalente de Middle Argentina sería en mi opinión, si lo vemos como la parte rural que se le viene a la cabeza cuando uno piensa estereotípicamente "Argentina", el interior de Buenos Aires, Santa Fe, Córdoba, etc. básicamente todos esos pueblitos y ciudades en la Llanura Pampeana. Hay muchos paralelos con el "Midwest" de los EEUU si uno lo piensa.
(O sea, por ejemplo, para hacerlo más entretenido; si tuviera que hacer un jueguito como Omori o una serie como Stranger Things, en Argentina, cuyos settings son básicamente "random generic town in Middle America", los ambientaría en un pueblo genérico en algún lugar de Buenos Aires. O tal vez el Conurbano.)
También podemos hablar un poco de la "Pampeanización" de la Argentina, y sobre como todas las áreas rurales de la Argentina se están empezando a homogeneizar a medida que avanza el mismo modelo de producción pampeano (de soja sobre todo) intensivo en todo el territorio, incluso en lugares donde nunca había existido y no tendría ni que exisitir, como el Gran Chaco en general.
Igual no pienses que estas cosas tienen fronteras fijas o cajas bien definidas. Incluso las tonadas dentro de una provincia varían.
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Los vigilantes blancos juegan un papel paramilitar vital en el funcionamiento de cualquier estado colonialista. Su violencia fue la fuerza motriz de la expansión de los EE.UU. hacia el oeste, y al mismo tiempo la cultura paramilitar que desarrollaron se convirtió en la base de el ejército oficial, como documentaron John Grenier y Roxanne Dunbar-Ortiz. Los vigilantes del KKK fueron la vanguardia de la reacción terrorista contra la Reconstrucción, reforzando el capitalismo racial. Vigilantes como James Earl Ray pueden asesinar a rebeldes problemáticos, permitiendo a las ramas oficiales de las fuerzas del orden mantener sus manos limpias. Los vigilantes blancos patrullan una frontera diseñada para matar, y han asesinado y herido a numerosas personas que participaron en el levantamiento por George Floyd.
Pero, a su vez, más recientemente, ha aparecido un otro tipo de vigilante blanco. Este viene de la izquierda, y dice ser crítico de la policía y las estructuras de supremacía blanca con las que, en realidad, trabaja mano a mano.
Conozcan a Kristina Beverlin. Ella era una participante del CHOP (Zona autonoma de Capitol Hill) en Seattle que frecuentemente usaba sus medios sociales (@krisbeverlin en Twitter y @mindfulexplorer en Instagram) para compartir posts de #BLM (Black Lives Matter) y críticas a la policía.
El 12 de junio, sin embargo, Kristina compartió fotos de un hombre negro que dice haber visto iniciar un incendio en el East Precinct (una comisaria). “Necesito que todo el mundo en Seattle comparta la foto de este hombre”, escribio. El 14 de julio, Isaiah Thomas Willoughby fue arrestado por cargos federales de provocacion de incendio, que conllevan un mínimo de 5 años de prisión y un máximo de 20 años. Fue identificado gracias a la fotografía de Beverlin.
Esta no es la primera vez que Beverlin trabaja como soplóna voluntaria al amparo de sus actividades “periodísticas”. El 4 de junio, tweeteó un video de un manifestante de Seattle diciendo que fue “el primero en romper las ventanas de Nike”. ”No tenía miedo de ser arrestado. Nunca intentó huir”. Otros múltiples tweets suyos reciclan teorías de conspiración acerca de la policía tratando de iniciar disturbios, con grandes saltos especulativos o rumores de la multitud como su única evidencia. Ella frecuentemente exalta la virtud de las protestas “100% pacíficas” y afirma, también basada en rumores, que el SPD (Departamento de policia de Seattle) quería que los manifestantes quemaran el East Precinct.
El matrimonio entre el pacifismo y el pensamiento conspirativo es un componente clave del vigilante blanco de izquierda. Criados con las películas de Mel Gibson y Joss Whedon, creen que la revolución es simplemente la revelación de alguna nefasta conspiración de poder, que una vez que la gente tenga la verdad, el poder caerá. El papel de las teorías conspirativas en el pensamiento político tiene orígenes antisemitas y anti-negros, y el movimiento de la Verdad del 11-S ya nos ha mostrado que el pensamiento conspirativo ayuda a la extrema derecha y debilita los movimientos de liberación.
Pero en las maniobras baratas de un soplón como Beverlin, también podemos ver cómo las teorías de conspiración sirven de coartada para los blancos. Aunque los gobiernos tienen sus secretos morbosos, NINGUNO DE LOS ASPECTOS CLAVE DE LA SUPREMACIA Y EL CAPITALISMO BLANCO HA SIDO OCULTADO. La brutalidad entrelazada del capitalismo y el colonialismo, con los regímenes raciales que trajeron a la vida, siempre han estado a la vista. La “verdad” que supuestamente debería derrumbar este sistema nunca ha estado a más de un vecindario de distancia, incluso de los blancos más protegidos. Si hay blancos que no se unieron a la lucha contra la policía antes de que los asesinatos de la policía fueran regularmente capturados en video, es porque eligieron no escuchar a la gente de color.
Aquellos cuya ética hipócrita los obliga a salir a las calles sólo una vez que el #Black Lives Matter se convierte en el hashtag de mayor tendencia, necesitan desesperadamente otra conspiración para preservar su privilegio blanco, incluso mientras toman una postura de simpatia hacia la causa negra.
OBVIAMENTE, la gente que es asesinada sistemáticamente por la policía necesita poder defenderse. Obviamente sus expresiones de rabia son legítimas e inteligentes, y obviamente otras personas deben luchar a su lado, exponiéndose también a lesiones corporales y al riesgo de ser encarcelados. A menos que. A menos que…
A menos que eso sea lo que la policía quiere que hagamos, entonces les demostraremos nuestra rabia siendo completamente pacíficos, no destruyendo nada, no interrumpiendo nada.
Esta lógica infantil es tan egoísta, que es asombrosa. Pero algunas personas harán cualquier cosa para preservar su poder y privilegio.
La imagen de perfil de Kristina Beverlin muestra una persona, presumiblemente ella, que lleva una máscara de Batman, la cual, francamente, no podría describirla mejor, ya que Batman valida el imaginario blanco del vigilante ultrapunitivo que sostiene un orden social desigual, un policia bueno que es necesario para que los politicamente correctos hablen de derechos y de un debido proceso, de la misma manera que cada Juez debe estar acompañado por su KKK y los asesinatos extrajudiciales para mantener el sistema en funcionamiento.
Sus justificaciones para su buchoneria también son reveladoras. En el hilo inicial sobre el incendio de la comisaría, ella usa repetidamente el lenguaje de la ley y el orden para deslegitimar a este hombre negro que supuestamente encendió el fósforo. Describe el comportamiento de una persona de la calle con todas las patologías que puede reunir.
“Está actuando como un borracho. Como si fuera un enfermo mental […] Un guardia dijo que ayer tuvo que sacarlo de una propiedad dañada”. “se tambalea[…] murmura para sí mismo […] habla solo”.
Ahora que lo ha lanzado inequívocamente como un elemento antisocial, un homo sacer, se mete en otra imagen sistemáticamente utilizada en la deslegitimación, la vigilancia y el asesinato de personas consideradas psico-emocionalmente anormales, otro grupo -junto y superpuesto a los negros- que es objeto de una violencia policial desproporcionada. Lo acusa de fingir.
“Pero nadie que esté borracho o esquizofrénico navega en multitudes como esa. O se mezcla con ella de esa manera”.
La experta periodista ha hablado. No sólo TODOS los borrachos son incapaces de caminar en línea recta, sino que TODAS las personas con algún diagnóstico de salud mental son incapaces de navegar alrededor de los obstáculos o mezclarse con una multitud (aunque muchos de hecho tienen la práctica especial de hacer exactamente eso para evitar la violencia de los normis).
Aparte de la repugnante combinación de racismo, capacitismo, ignorancia y buchoneria, Beverlin nos presenta una jugada clave del libro de jugadas de las teorías conspirativas: usar argumentos basados en un sentido común defectuoso, apelando por lo tanto a los prejuicios de alguien bajo la apariencia de la razón. Lo que la convierte en una soplona muy efectiva, representante de un amplio fenómeno, que es la combinación de los prejuicios a los que apela.
Posteriormente, en la defensa de su buchoneo después de la detención de Willoughby, Beverlin recurre a otros argumentos. Destaca sus duras críticas al Departamento de Policia de Seattle. Ella es una aliada útil, parece decir, y su continua presencia en el movimiento bien vale el sacrificio de la vida de un hombre negro. Las vidas de los negros pueden importar, pero su comodidad, su estatus y su autoimagen importan más. Cuando se le pregunta cuántos policías han sido arrestados o despedidos como resultado de su periodismo ciudadano, ella se niega a responder, pero podemos asumir que el número es un gran cero.
Midwest People’ s History
Hilo de Twiter:
Ya que la policía y los políticos insisten en que esta ola de levantamientos es trabajo único de los “agitadores externos” para justificar las medidas violentas, es el momento de revisar la larga y racista historia de este término y su papel en fracturar la solidaridad en nombre de la contrainsurgencia.
Desesperada por preservar su teoría que vincula a Willoughby con la policía, ahora que es de conocimiento público que no es realmente un policía, ella afirma que hay videos de él escupiendo ideas pro-policía en el pasado. Independientemente de la veracidad de la afirmación, y la absoluta hipocresía dado el hecho de que ella ha ayudado en un juicio, sigue siendo una justificación fácil para enviar a un hombre negro a la cárcel. En cambio, la declaración jurada federal afirma que Willoughby estaba motivado por la ira por la forma en que fue tratado en un arresto anterior. En otras palabras, él supuestamente tuvo posiciones pro-policía en el pasado, pero ahora estaba respondiendo a un incidente de brutalidad que experimentó a manos de la policía, y esta maldita soplona destruye su vida porque eligió creer en los rumores de que en realidad era la policía la que quería que la comisaría se quemara.
Oh, y además-y esto es importante-porque “Estoy segura de que ni siquiera una sola persona pensara que ”yo había iniciado el fuego”, según uno de sus tweets, explicando por qué comenzó a fotografiar al hombre.
Los métodos necesarios para defendernos de los vigilantes de la derecha son claros, y los movimientos están haciendo lo que está en sus manos para aumentar estas capacidades. ¿Pero cómo nos defendemos de vigilantes de izquierda como Kristina?
Tenemos que dejar de creer en las teorías conspirativas como un caballo de Troya para la derecha y su complicidad con el Estado. Debido a que las teorías de conspiración se basan en la incapacidad de distinguir entre la razon defectuosa y la real, necesitamos mantenernos en estándares más altos. La auto-educación colectiva necesita ser priorizada en los espacios de nuestros movimientos. Esto puede ser difícil, sin embargo, cuando los movimientos se hinchan de la noche a la mañana, creciendo exponencialmente, con personas que provienen de una sociedad que mayoritariamente recompensa la ignorancia egoísta (para ser claros, me refiero principalmente a la gente privilegiada aquí, ya que nada atrofia la inteligencia tanto como la complacencia).
Its going down (Twiter)
Recuerda la lección de Minneapolis. Las teorías conspirativas llevan a los medios y al Estado a intentar dividir los movimientos y preparar el terreno para la represión. De esa manera, cuando el martillo cae, la gente ya está dividida y señalando con el dedo. No caigas por segunda vez.
Necesitamos encontrar estrategias didácticas de multitudes, una especie de pedagogía de la multitud. En el pasado, se han compartido técnicas sobre cómo crear una revuelta más social, cuidando unos de otros y creando sinergia entre los lanzadores de rocas y los cantantes, por ejemplo, pero es más difícil comunicar en una multitud cosas que se desarrollarán mucho después de que el disturbio haya terminado, como las teorías conspirativas y los arrestos.
A menudo, las historias son la forma más efectiva de difundir una idea. Los soplones blancos como Kristina Beverlin necesitan convertirse en ejemplos, historias de cómo el pacifismo y las teorías conspirativas se combinan para convertir a supuestos aliados en los mejores amigos de los policías y agentes de la supremacía blanca. Ella ha destruido la vida de un hombre negro para defender su propia comodidad.
¿Qué pasa después?
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Memoria Presente: An Artistic Journey at @explorenmma Honored to be part of this exhibition / Honrado al ser parte de esta importante exposición. Opening reception Friday, March 24, 2017. 6pm – 8pm Exhibition continues through August 13, 2017 in the Main Gallery There is no better way to celebrate our 30th anniversary year than to present an exhibition of exceptional artists currently working in Chicago and vicinity. Since opening its doors in 1987, the Museum has showcased 220 exhibitions that exemplify a broad spectrum of artistic expressions from both sides of the Mexico-U.S. border. The contemporary artists now creating artwork across our Midwest city continue to accurately reflect the vibrance and diversity found within the Chicago-Mexican community. Their poetic and political expressions carry on an extensive history of contemplative work and civic dialog in North America. The Museum’s philosophy of a Mexican culture “sin fronteras” (without borders) promotes art as a bridge between communities, while art education expands minds and breaks down barriers, even as it preserves cultural heritage. No hay mejor forma de celebrar nuestro 30 aniversario que presentando una exhibición de artistas excepcionales que actualmente se encuentran trabajando en el área de Chicago y sus alrededores. Desde que el museo abrió sus puertas al público en 1987, ha presentado 220 exhibiciones que ejemplifican una gran variedad de expresiones artísticas de los dos lados de la frontera México-Estados Unidos. Los artistas contemporáneos que hoy en día se encuentran creando arte en ésta ciudad del medio oeste, continúan reflejando acertadamente el vigor, la energía y la diversidad que se encuentran dentro de la comunidad Chicago-mexicana. Sus expresiones poéticas y políticas poseen una historia vasta de obras de carácter contemplativo y diálogo cívico en América del Norte. La filosofía del museo de una cultura mexicana “sin fronteras” promueve el arte como un puente entre comunidades, mientras tanto la educación artística expande mentes y rompe barreras aun así conservando el patrimonio cultural. #NationalMuseumOfMexicanArt #LatinoArt #NMMA30 #latino #human
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DESAYUNOS DE JUGUETE, CON CHISPAS DE COLORES. (TOAST WITH SOME SHIT AND PRETTY BAD COFFEE)
Por Yair López
Era tan hermosa, que cuando le conté a Angelo sobre ella, no escatimé en mamar y decir que su boca era deliciosa. Es weird, le dije. Su primer complaint, fue acerca de mi chicle azul, lo detestaba, entonces escupí por la ventana de su Mitsubishi blanco. Ella, era como un gato que estaba a punto de quebrarse con el agua, cuando la abracé, la sentí ronroneando y como se apretujaba quebrándose entre mis labios. Era muy tarde para ir a Chinatown, seguro nada estaría abierto, y ambos, con el sentido de orientación hecha pedazos, fuimos hacia nuestro distrito favorito. A pesar de que anteriormente había estado en la ciudad de los vientos, esta ocasión tenía pinta de ser un periodo largo. Me sentía como un lobo desesperado. De camino, nos besamos de manera apasionada en cada semáforo y stop sign, yo puse mi mano sobre sus piernas y la hice recorrer, buscando tener un contacto más blando.
Ella buscó un lugar para parkear el auto, pero no tuvo suerte, hasta después de varios intentos encontró lugar afuera de unos apartamentos; la noche fue oscura y color plata. Ahí nos seguimos besando, no nos importó que todo estuviera cerrado, a ella por ejemplo, tampoco le importó que mis dedos se internaran en su selva roja, que chapotearan como gemelos aprendiendo a nadar, lamí su cuello, el auto se empañó. You are a ginger, a redhead (balbuceé), qué hacemos, pensé sin decir nada. El jazz sonaba en el estéreo. Do you like Art Ensemble of Chicago? Pregunté emocionado, ella no respondió.
Do you think that you will fuck me tonight... just because we met thru tinder? she said…
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Eso es como una patada en los huevos, lo mismo que cuando te preguntan cuáles son tus intenciones, ¿las verdaderas?. Busqué en maps un hotel que estuviera cerca de casa, ella quería fumar marihuana (siempre lo hacía), a mí no me interesaba en realidad, manejó un poco, encontré un lugar cerca de O’hare. La descubrí poniendo cocoa powder al puto café. !Nunca había probado uno tan malo como el que ella amorosamente me hacía todas las mañanas, ni el puto Nescafé, me cae!. A veces fingía tener episodios de gastritis para no beber el café, ella me ofrecía lo que tenía a mano. Hablaba como cualquier chica del Midwest, pero con una voz empalagosa y linda.
Stop! me dijo cuando le pregunté si me invitaría a pasar la noche a su casa.
Okay chingona, sorry about that, le dije.
No quería que la presionara con esas cosas de ir a su casa, dijo que ella me invitaría en el momento que fuera necesario, que de seguir mamando, nunca iba a invitarme. Las casualidades aparecían desde la primera vez que hablamos después de haber hecho match. Una cosa es saber Inglés y otra muy diferente ligar en inglés. Aunque, había escuchado del método rápido, un güei de mi barrio que les decía a las güeras: “you, me, fuck, fuck” sonaba padre e inspirador, bastante directo para mi gusto. ¡Dicen que tenía suerte con su grito de guerra!
Angelo creció en California, pero es uno más de mi barrio, aunque nunca hangeamos antes en México, es más ni siquiera nos vimos allá, nos hicimos buenos amigos en Ohio. Hablaba Inglés perfectamente y conocía los modismos y la cultura… Me dio un par de tips, funcionaron.
Ella tenía la misma edad que yo, había nacido el mismo día con dos horas de diferencia, amaba los gatos y no me acuerdo qué más… Encontrar algo en la parte trasera de su auto era todo un reto, el coche iba con los asientos traseros desplegados hacia el frente. Amaba las cookies y además el Dr.Pepper (en nuestra primera cita compartimos uno que ella venía tomando). I´m weird too, pensé, cuando bebía de su refresco. ¿Qué pero chingón? Me dijo con su voz anglosajona y con una pronunciación muy bien lograda del español, What´s going on ginger (así le decía yo, por pelirroja)…
Yo no sabía por donde estábamos y con el síndrome del mojado, en cada patrulla veía el terror (después te relajas y sabes que no pasa nada). Manejaba por lugares que yo no conocía.
Llegamos al hotel, la chica en el mostrador era mexicana y a pesar de eso se negaba a hablar español, yo ya estaba acostumbrado a esas alturas a la gente del Midwest. El pasillo era bastante cinematográfico, llegamos a la habitación y ella abrió la ventana.
Give me one second I need to smoke.
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Se atragantó a bocanadas, la hierba olía delicioso y a pesar de ello no me apeteció. Tenía unas botas vaqueras, me acordé de mi ex novia, ella perdió la virginidad en esa ciudad mientras pasaban un comercial de un vaquero (me contó su experiencia como un capítulo de cine mudo). La chingona tenía pechos redondos y grandes. Era muy cute y la pasábamos bien. Nos quedamos dormidos por un par de horas, era 5 de Mayo! Fuck, dije en un estado de agotamiento y cansancio, tenía que trabajar desde temprano y el 5 de Mayo es el menos indicado para llegar agotado a trabajar.
Me dejó en la puerta lateral de la casa, yo vivía en el sótano de la casa de mi patrón con Angelo y algunos otros trabajadores que eventualmente pernoctaban. Nunca viví con más de tres personas... había congregaciones de 10 a 15 personas, pagaban muy poco de renta, pero siempre vivían sin aspiraciones, sin privacidad, muchos de ellos incluso sin una cama. Una noche el flow, se llevó a una chica a casa, cuando abrió los ojos, Miguel la estaba masturbando, dijo en voz muy baja: “aguanta flow le voy a dar mambo”, él era un chico sin control, le gustaba lamer las copas que las chicas dejaban en el restaurante, incluso decían que hacía lo mismo en las tasas de los baños. Una cobija en el piso y una almohada de sueños (en muchas ocasiones difusos por el crack o la cocaína), era el inventario de mis paisanos.
Abrí los ojos en la madrugada, quería mear, vi sus ojos penetrantes, me asusté al darme cuenta de que ella no estaba dormida. Me puse a pensar bullshit. Las güeras son de cuidado, te lo pueden cortar incluso mientras duermes. Tomé un Uber con dirección a “Hermosa”, eran como 30 minutos sin tráfico, cerca de Humboldt Park. Ella se asomó por la venta, después de que le llame en dos ocasiones. Mi celular estaba agónico. Aventó las llaves por la venta y fui straight. Go! Go! Go!
Un departamento de una habitación con una sala amplia, un closet y cocina. Toda la casa se iluminaba con velas, ¿Qué podía esperar? Pétalos y rosas en la cama… No sé cuánto tiempo tenía sin trabajar, parecía que toda su vida se encontraba estática, su casa y el auto eran un completo desorden.
I need to charge my phone.
Go ahead plug your phone whatever you want.
Lo conecté y no cargaba, intenté en cinco diferentes sitios alrededor de toda la casa y lo mismo. Ella tenía una risa nerviosa, después me confesó que hacía cuatro meses que no tenía energía eléctrica, usaba un power bank para cargar su celular que a su vez lo cargaba en un Starbucks. El refri no tenía nada, obvio ni siquiera energía. Con la respiración precipitada, hizo pucheros y lloró desconsolada. Me contó su tragedia. Debía algo así como $700.00 bucks. Me representaba quizá tres días de trabajo aplicándome o hasta una semana; amenacé con pagar el bill, nomás lo pensé. Manejaba tres días a la semana dos horas, una en el trayecto de llevarme al trabajo y regresar a casa, la otra cuando me recogía.
I can take an Uber if you can´t pick me up…
It´s okay I´ll pick you up.
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Mi trabajo era enfermizo, algunos días trabaja 15 horas, sin overtime por supuesto. Muchas noches estaba más que cansado para pensar en sexo, ella se encabronaba, pero nunca dijo nada. Creo que nunca pudo perdonarme el haber terminado encima de sus tetas.
Eran las seis de la mañana, revisé el mail con la vista aún borrosa y tallándome los ojos, no tenía las gafas puestas. El animal salió debajo de la cama y cuando se dio cuenta que lo miraba desapareció de la habitación. Salí de la cama, sin ponerme ropa, las pijamas me parecen una mamada, prefiero dormir sin ropa. Había una extensión de 40 pies que hacía un recorrido desde el basement hasta la sala, entraba por la puerta trasera. La cafetera con una mini estridencia, echaba vapor, ella estaba en la cocina. I am making breakfast. Sonreí, el pan era orgánico, tenía un aspecto similar al carbón (sabía a quemado), tenía pipas y cosas saludables, había untado jelly sobre una de las caras, acomodando gummy bears, almendras con chocolate y m&ms.
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NCR adquiere Midwest POS Solutions Inc / Es Noticia
NCR Corporation (NYSE: NCR), anunció hoy que ha adquirido Midwest POS Solutions Inc., una compañía de tecnología con sede en Indiana y Kentucky que ha estado presente en la industria de restaurantes durante más de 75 años. Ahora, Midwest POS se ha convertido en uno de los primeros distribuidores de NCR Aloha, la solución número uno de punto de venta (POS) utilizada por más de 75,000 restaurantes en todo el mundo. La adquisición amplía la presencia regional de NCR a 1,000 restaurantes adicionales respaldados por Midwest POS en todo Indiana y Kentucky. Midwest POS es conocido por un servicio de calidad al cliente, dijo Michael D. Hayford, presidente y CEO de NCR Corporation. Los clientes de Midwest POS mantendrán su equipo local y ahora con NCR, dicha infraestructura recibirá más soporte ampliando sus ofertas. NCR mantendrá tres oficinas locales con el equipo de administración y el personal de Midwest POS. "Nos complace unirnos a NCR, dijo Murray Bartholome, presidente de Midwest POS. En el mercado competitivo de hoy, contar con el soporte directo de NCR nos permite brindar más soluciones a nuestros clientes existentes y aumentar nuestra base instalada. El compromiso de NCR es primero el cliente y el nuestro también. Con estas acciones compartidas, estamos seguros de que lo único que cambia es nuestro nombre y logotipo. Nuestro personal, cultura y misión para proporcionar soluciones y servicios de la más alta calidad seguirán siendo los mismos". La red de oficinas locales y distribuidores autorizados de NCR proporciona ventas y servicios locales a pequeñas y medianas empresas de restaurantes en América del Norte. Obtener más información sobre sus soluciones en www.ncr.com/restaurants Acerca de NCR Corporación NCR Corporation (NYSE: NCR) es una empresa líder que habilita, mejora y aporta un valor inesperado a cada interacción entre los consumidores y las empresas. Líder mundial en puntos de venta minoristas y hostelería, es la compañía número 1 en software multivendedor de cajeros automáticos en todo el mundo, liderando las capacidades digitales para permitir la transformación empresarial, creando software y hardware envueltos en servicios que ejecuta toda la industria financiera, comercio minorista, hospitalidad y viajes; la industria de las tecnologías de Información y telecomunicaciones tanto en pequeñas empresas como en grandes compañías. Con sede en Atlanta, Georgia. NCR tiene más de 30,000 empleados y hace opera en 180 países.
Nota de prensa NCR adquiere Midwest POS Solutions Inc en comunicae.com.mx
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“Siamo tutti figli di Sherwood Anderson”. Compie 100 anni “Winesburg, Ohio”, il libro più influente della letteratura americana moderna. A lui si sono ispirati Faulkner, Hemingway, Dos Passos (e pure Pavese)
Nell’autunno del 1915, quando viveva in una pensione bohemienne nella Chicago nord, Sherwood Anderson prese a lavorare ad una raccolta di racconti che descrivevano le vite strangolate degli abitanti di Winesburg, un centro di sua invenzione e collocato nella Ohio degli anni Novanta dell’Ottocento. Trasse materia dalla sua propria esperienza, quando cresceva nel borgo agricolo di Clyde, sempre in Ohio, dove viveva a stretto contatto con una banda di sperduti e nevrotici alla deriva nelle pianure del Midwest, quando tutti i membri del gruppo tentavano – fallendo – di inquadrarsi nelle strade di quel centro, contornato d’olmi, ciascuno alla ricerca di un significato, di un rapporto umano, di un amore.
Questi personaggi “grotteschi”, come Anderson li chiamava, avevano lasciato che il dubbio e la paura prevalessero sui loro istinti migliori. Erano, così credeva lo scrittore, delle casualità all’interno di una cultura chiusissima, e condannati da questa a viverne fuori, da soli, avulsi. “Winesburg” divenne presto una parola d’ordine, una metafora per la vuotaggine di una vita rurale sempre intesa a sbadigliare.
Oggi il libro, “Winesburg, Ohio” è la base nelle lezioni di inglese a fine liceo, è un classico riconosciuto, il numero 24 dell’elenco stilato da Modern Library in una lista di 100 autori nordamericani. Ma il percorso di quel libro, pubblicato un secolo fa l’8 maggio del 1919, prima di giungere all’accoglimento da parte del pubblico, fu tutt’altro che semplice.
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Prima che l’editore di “Winesburg, Ohio” leggesse il manoscritto di Anderson nell’agosto del 1918, questo era già stato respinto da entrambe le sponde dell’Atlantico. Persino la compagnia londinese John Lane che aveva pubblicato i lavori precedenti di Anderson (due racconti e un libro in versi, quando nessun editore a New York nemmeno li toccava) rifiutò il nuovo testo come “troppo cupo”. Ma Huebsch, che aveva già introdotto in USA James Joyce e D.H. Lawrence, fu d’accordo per la pubblicazione.
Nei primi due anni il libro vendette 5000 modeste copie, come gli scettici avevano previsto. All’opposto, il take on sui piccoli centri di Sinclair Lewis, “Main Street”, pubblicato un anno dopo Anderson, vendette oltre 390000 copie nello stesso periodo di due anni.
Il libro di Anderson riuscì poco meglio coi critici. Benché alcuni, tra i quali il sovrano delle patrie lettere, H.L. Mencken, ricoprissero Anderson di elogi – “qui davvero abbiamo un lavoro che si staglia sul consueto corso dell’invenzione narrativa allo stesso modo delle Alpi sopra la piana del Piemonte” – molti recensori furono barbarici. Il giornalista Heywood Broun riteneva “monotono” il libro, mentre altri lamentarono che le descrizioni di Anderson mancassero di profondità e che i suoi personaggi fossero a una dimensione, “marionette con un loro nome”.
Ma gli attacchi più veementi colpirono la presunta preoccupazione di Anderson per il sesso. E infatti molte delle sue storie contraddicendo le regole prevalenti in campo letterario, esploravano apertamente gli effetti distruttivi del desiderio soffocato, della repressione sessuale, della perversione. Anderson divenne celebre per essere “un Cechov fallico” i cui libri, secondo un recensore anonimo di The New York Evening Post, “nessun uomo desidererebbe finissero nella mani di sua figlia o di sua sorella”.
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Forse Anderson non fu mai disprezzato tanto quanto nel suo paese natale, Clyde. La principale libreria del posto bruciò a migliaia le copie dei suoi libri e per molti anni qualsiasi frequentatore della biblioteca civica che li richiedesse riceveva il cipiglio dell’impiegato che cercava la chiave per il ripostiglio chiuso dove era tenuta, insieme ad altri “libri pessimi”, la sola copia sopravvissuta alle fiamme.
Scrivendo le sue memorie a un ventennio da questi avvenimenti, Anderson ricordava che, dopo l’uscita del libro, “per settimane e mesi la mia cassetta delle lettere fu intasata da lettere che mi davano del lurido, uno scopritore di fogne”. Le critiche, diceva, “mi fecero ammalare”.
Un secolo dopo è difficile capire il perché di tanto chiasso. Nessun lettore moderno arrossisce per come Anderson tratta il sesso, trattamento casto per gli standard attuali. “Winesburg, Ohio” deve la sua durevolezza non ai valori scioccanti ma al modo col quale cattura alla perfezione una società sul ciglio di un mutamento colossale. Decenni dopo la pubblicazione del libro, Waldo Frank, il quale aveva stampato sulla sua rivista The Seven Arts alcuni racconti poi finiti in “Winesburg, Ohio”, sottolineava che Anderson si era messo a descrivere “un mondo degli USA di mezzo che già allora era una generazione finita”
Infatti “Winesburg, Ohio” – con le sue strade sporche, cavalli e luci a gas, coi suoi contadini, negozianti e artigiani – rappresentava una cultura rurale che presto doveva essere spazzato via da un fermento socio-tecnologico senza precedenti. Quando il soprintendente al censimento degli USA dichiarò che la frontiera americana avrebbe chiuso nel 1890, due terzi degli Americani ancora abitavano in piccoli villaggi rurali non molto diversi da Winesburg. Ma entro gli anni Venti, per la prima volta nella storia della nazione, la maggioranza degli Americani erano residenti di aree urbane.
Un insieme di fattori contribuì a questa svolta demografica, e tra questi il boom industriale nordamericano durante la Prima guerra mondiale che portò milioni di lavoratori in città alla ricerca del lavoro, poi un gran numero di immigrati dall’Europa dell’est e del sud, infine la Grande Migrazione di quasi mezzo milione di afroamericani dal sud degli USA (includendo la percentuale sconcertante del 10,4% data dalla risultante della popolazione nera di Alabama e Mississippi) verso le città del Midwest, dell’Ovest e lungo tutta la costa atlantica.
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Allo stesso tempo, la vita quotidiana si accelerava. Nel 1900 il cavallo restava il principale mezzo di locomozione e meno di 14000 automobili – viste dalla maggioranza come giocattoli per ricchi – spuntarono sulle strade nazionali piene di fossi. Entro gli anni Venti ve ne erano nove milioni. I passeggeri sui treni più che duplicarono il numero delle loro corse e triplicarono il numero di miglia percorse nella decade che precede il censimento del 1920, e questo aiutò a trasformare l’industria stradale nella più grande per fatturato e numero d’impiegati. Macchine a conduzione elettrica sviluppate nel 1898 scorrevano adesso in centinaia di centri e di città quasi fossero gli araldi dell’età dei pendolari. Il rumore e la sporcizia della vita urbana, insieme ai pregiudizi degli abitanti ricchi che fuggivano dai sobborghi sempre più misti quanto a diversità etniche, furono il corollario dei “sobborghi di auto”, dove i viali tranquilli e alberati imitavano l’estetica del piccolo villaggio del tempo andato.
Prima di farsi scrittore a tempo pieno, Anderson era stato catturato dalla nuova “fame di moneta” che lo fece diventare proprietario di un’industria di colori a Elyria in Ohio. Ma nel 1913, dopo un crollo nervoso, lasciò moglie e figli e si trasferì a Chicago. Lì fu inghiottito dall’ambiente culturale che il critico Carl Van Doren chiamò “la rivota che viene dal villaggio”, il quale era composto da nuovi inurbati che, al pari di Anderson, si allenavano letterariamente negli scenari rurali che si erano lasciati alle spalle. Il maggiore esponente del movimento era Edgar Lee Masters con la sua “Antologia di Spoon River” pubblica nel 1915: una raccolta di versi esposti tramite le voci di gente seppellita nel cimitero di un villaggio, in un Illinois fittizio. Il libro, con le sue visioni fosche della vita di paese, divenne un improbabile best seller e ispirò Anderson quando prese a scrivere quel che sarebbe diventato “Winesburg, Ohio”.
La rivolta del villaggio giunse presto al capolinea, come anche la carriera di Anderson. Continuò a pubblicare ed ebbe qualche anno di fama negli anni Venti, anche se i suoi libri, eccetto Riso nero, non vendettero bene. Fu presto subissato dai nuovi scrittori: Ernest Hemingway, William Faulkner, Thomas Wolfe, John Dos Passos, Erskine Caldwell, William Saroyan, John Steinbeck – tutti trassero la loro vena da “Winesburg, Ohio” coi suoi ritmi semplici ed espositivi, con la sua costante preoccupazione per la situazione critica della gente comune.
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Hemingway e Faulkner, in particolare, cercarono Anderson per consigli e supporto, e Anderson li diede agendo da mentore per entrambi e aiutandoli a far pubblicare i primi libri. Come le loro fortune si libravano in alto e la sua calava, tentarono di distanziarsi da Anderson con romanzi che deridevano crudelmente la sua personalità e la sua prosa: “Zanzare” di Faulkner e “Torrenti di primavera” di Hemingway.
Anderson morì nel marzo del ’41 per infezione intestinale dopo aver ingoiato uno stuzzicadenti mentre era a un cocktail newyorkese. Ma la sua influenza letteraria rimase vivissima – e Faulkner lo ammise in seguito. Nel dicembre del 1950, ricevendo il Nobel, disse a al municipio di Stoccolma che lui e tutta la sua generazione nordamericana erano “figli di Sherwood Anderson”.
Bruce Falconer
[traduzione italiana di Andrea Bianchi]
*Il testo è stato pubblicato originariamente sul “New York Times” l’8 maggio 2019 come “Sherwood Anderson’s Revolutionary Small Town”. Appena è il caso di ricordare i legami di Cesare Pavese – e quindi della cultura letteraria italiana – con Sherwood Anderson, testimoniati, tra l’altro, nel saggio “Middle West e Piemonte”. “Winseburg, Ohio” è in catalogo Einaudi, nella traduzione di Giuseppe Trevisani, 2011.
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Diego Ricol Freyre recomienda:Diego Ricol Freyre recomienda: El 3º Festival Internacional de Armónica tendrá de invitado a Lee Oskar
El evento será este sábado 10 de noviembre, desde las 20, en Plataforma Lavarden de Mendoza y Sarmiento (Rosario). Las entradas se consiguen en la boletería del teatro, de lunes a viernes de 10 a 13 y 16 a 20, mientras que los sábados se podrán adquirir de 10 a 13.
Tras el éxito de sus anteriores ediciones, y con el auspicio del Ministerio de Innovación y Cultura de la Provincia de Santa Fe, el reconocido músico de la ciudad, Martín Chemes, trae otra entrega del evento anual con destacados representantes, a nivel nacional e internacional.
El espectáculo central será Lee Oskar que con más de 50 años de trayectoria es uno de los iconos en la historia de este instrumento. Es también luthier y fundador de la marca de armónicas que lleva su nombre, creando desde hace 35 años diseños exclusivos que son utilizados por los mejores armonicistas del mundo. Lee, acompañado por reconocidos músicos rosarinos, brindará un show con lo mejor de su repertorio.
Oskar estará acompañado por Tato Mamet en batería, Pipo Piantino en saxo, Tutu Rufus en bajo, Chelo Vizzarri en piano y Leo Moyano en guitarra. Además se presentará en vivo Martín Chemes y su nuevo proyecto internacional “Canciones que nos unen”, un dúo junto al prestigioso músico chileno Jano Letelier en guitarra y voz, con el que realizan un recorrido por el cancionero popular argentino y chileno. El mismo es una intervención cultural, musical y educativa, que busca rescatar la identidad común entre los pueblos. Este 2018 fue presentado con gran éxito en Chile, con una extensa gira visitando ocho ciudades del país trasandino y ofreciendo destacadas actuaciones.
Pero antes de los dos shows principales, y a modo de introducción, habrá de un bloque con otros tres excelentes armonicistas. Martin Guzmán (San Juan) y Huguis López (Tucumán) acompañados por el reconocido guitarrista Federico Verteramo (Buenos Aires) para vivir un gran momento de blues y rock, con los clásicos de siempre. Por último cerrará este bloque Mirian Asuad (Corrientes) que permitirá al público disfrutar de algunas entrañables melodías de nuestro folclore argentino. Para el cierre habrá un sorteo con importantes premios que se realizará con el número de entrada. Podrán participar todos aquellos que tengan su ticket en mano y estén presentes al momento del juego.
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Martín Chemes es, desde 2010, endorsee y artista destacado de la marca internacional de armónicas Lee Oskar, líder en el mercado mundial, siendo una de más vendidas. Fue seleccionado para ser una de las caras de la firma, representándola en shows y clínicas internacionales. También es endorsee y artista destacado de los lujosos amplificadores valvulares para armónica LHC Vintage Amps, de los micrófonos profesionales para Acsemic y de los pedales de efectos Sonus Harp Series. Cuenta además con el auspicio y soporte técnico del reconocido luthier de armónicas, Martin Guzmán (MG Custom Harp).
Chemes fundó y formó parte de diferentes bandas rosarinas y participó en cada edición del Festival de Blues de Rosario en su ciudad y en muchos otros a lo largo de su país. Tuvo numerosas apariciones en programas de radio y televisión, donde tocó en vivo. Además grabó como invitado especial muchos hits en diversos álbumes de artistas locales.
En agosto de 2015 participó con su proyecto personal en el Festival Internacional de Armónica de Chile: Armónicas de Fuego. Auspiciado por el Ministerio de Innovación y Cultura de la Provincia de Santa Fe, representó a su país dando numerosos shows y workshops de armónica, en Santiago de Chile, junto a los mejores representantes de este instrumento en Sudamérica.
En noviembre de 2016, Martín Chemes organizó y fue productor del 1º Festival Internacional de Armónica de Rosario que tuvo el auspicio del Ministerio de Innovación y Cultura de la Provincia de Santa Fe y de Lee Oskar Harmonicas, auspicios que aún conserva en el presente y a futuro ya que Chemes ha anunciado que el mismo se seguirá realizando todos los años. En esa primera edición compartió escenario con uno de los más prestigiosos representantes de su instrumento a nivel mundial, precisamente el maestro Lee Oskar, brindando una clínica de armónica y show a sala llena en la Lavardén.
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El de finales de 2016 fue el punto inicial de una gira en la que acompañó a Lee Oskar por el país, recorriendo las ciudades de Rosario, Córdoba y Buenos Aires, dando juntos destacadas clínicas, workshops y shows. En el marco de la misma, Martín Chemes fue nombrado por el mismísimo Lee Oskar como embajador en Argentina de la marca. Al año siguiente realizó una gira con diversas presentaciones en vivo por Estados Unidos, recorriendo las ciudades de Chicago y Seattle. En Chicago fue además parte del staff de profesores del Midwest Harmonica Workshop dando clases del instrumento durante cuatro días trabajando en las aulas junto a otros prestigiosos docentes como Joe Filisko, Adam Gussow, Dennis Grueling, James Conway, Dov Hammer, James Craven, Clement Bashir y Lamont Harris, compartiendo también con ellos el escenario durante los shows del workshop.
En Seattle, Chemes tuvo además la suerte de compartir nuevamente un show junto a su maestro Lee Oskar y pasar junto a él varios días en las oficinas de la empresa, ideando nuevos emprendimientos junto a la marca. A fines de ese exitoso 2017 fue parte del staff de músicos de Playing for Change (un proyecto musical multimedia y también una fundación con origen en Los Ángeles, que nuclea a músicos de todas partes del mundo) durante su gira por la Argentina, participando en un multitudinario concierto en el Direct TV Arena en Buenos Aires y otro en Diamante, Entre Ríos. En esta localidad se encuentra la Playing for Change School, escuela en la que se dictan clases de música gratis para los niños de la zona. Allí Chemes participa como docente estable de la escuela, entregando armónicas donadas por Lee Oskar a los alumnos y dictando talleres en representación de la marca. En el marco de este proyecto, participó de un exitoso videoclip de Playing for Change titulado “El amanecer” junto a colegas de la talla de Raly Barrionuevo, Verónica Condomí, Jorge Fandermole y Pipi Piazzolla entre otros.
Este completo artista argentino también mostrará el sábado 10, el nuevo proyecto internacional, “Canciones que nos unen”, un dúo junto al reconocido músico chileno Jano Letelier en guitarra y voz, con el que presentan un recorrido por el cancionero popular argentino y chileno. El mismo es un proyecto cultural, musical y educativo, que busca rescatar la identidad común entre los pueblos. Con él ha realizado una gira en el mes de mayo 2018 con un recorrido por ocho ciudades de Chile con más de 20 presentaciones, shows en vivo, talleres educativos en escuelas rurales, colegios y universidades, seminarios de armónica, entrevistas en diarios, televisión y radios. También habrá una próxima gira por Argentina, recorriendo cinco provincias y compartiendo escenario nuevamente junto a Lee Oskar en este 3º Festival Internacional de Armónica de Rosario. Además, se encuentra preparando con este proyecto giras por Brasil, México y Estados Unidos, y enfocándose en la grabación de un nuevo álbum, que será lanzado muy pronto. El disco está auspiciado por el Ministerio de Innovación y Cultura de la Provincia de Santa Fe y cuenta con el apoyo y la producción, por supuesto, de Lee Oskar.
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LE 10 (NUOVE) BAND PIU’ BELLE TRA L’EMO E IL POST-PUNK
di Viviana Bonura
C’è un genere che ha sempre incontrato l’astio e lo scetticismo generale del pubblico, sia tra i giovani sia tra i più grandi: L’emo. Vuoi perché negli anni 2000 con la venuta di Avril Lavigne, i Tokio Hotel, ma anche di novità completamente esterne alla musica, si è trasformato in un fenomeno di tendenza che ha travolto soprattutto l’estetica ed è dilagato in tantissime altre derivazioni che hanno fatto particolare presa sugli adolescenti della nuova generazione. Tuttavia in pochissimo tempo questa moda si è spenta, lasciando pochissimi esemplari di ragazzini dai capelli colorati, trucco pesante e polsini borchiati, mentre tra gli altri si è consolidata l’idea che fosse uno “stile” simbolo della perdita dei valori, dell’inneggio alla sofferenza e al cattivo gusto.
L’emo ha sempre avuto una vita difficile principalmente perché c’è un’incomprensione di fondo su ciò che la parola rappresenta. Anche tra i ragazzini, italiani e non, che nel 2000 hanno abbracciato questa nuova moda, pochi, se non nessuno, hanno mai compreso o conosciuto quale fosse stata la musica ad ispirare l’emo in primo luogo. Qualcosa di totalmente diverso dai Sleeping With Sirens o gli Asking Alexandria, band che fanno parte di una terza ondata emo che ormai si è allontanata molto dalle sonorità iniziali.
Quindi, tracciamo brevemente quelli che sono stati i suoi esordi: emo viene dalla parola “emotional” ed è un sottogenere di matrice punk-rock che ha avuto inizio verso la fine degli anni ottanta come variante sperimentale e non violenta dell'hardcore punk con gruppi come i Rites Of Spring. Successivamente ha prolificato fino agli anni novanta con i Sunny Day Real Estate, The Promise Ring, Texas is the Reason o i Mineral.
In realtà l’emo è un bellissimo genere musicale e non è morto come molti pensano. Semplicemente perdendo popolarità nel tempo, le sonorità sono state rivisitate ed è ritornato ad appartenere alla cultura underground che si contrappone ai gruppi mainstream degli inizi anni 2000. In questo articolo si vuole far conoscere l’emo per la prima volta o fare innamorare di nuovo (anche se si sa, se conosci il buon emo ti innamori per sempre), abbattendo tutti gli stereotipi che ingiustamente gli appartengono. Ecco una piccola introduzione alle 10 nuove (e per nuove si intende degli ultimi vent’anni) band più belle tra l’emo e il post-punk.
01. Brand New (2001 - 2017)
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I Brand New sono una vera e propria istituzione del genere, nonostante abbiano pubblicato solo sette album nel corso di diciassette anni. Capitanati da Jesse Lacey, vengono da Long Island, NY e dal 2001 tengono accesa la torcia dell’emo, occasionalmente facendosi influenzare dal post-hardcore o dal rock alternativo. Se sin dall’inizio con Deja Entendu del 2003 si sono guadagnati posti in numerose liste dei migliori album emo del decennio, è con The Devil and God are Raging Inside Me che i Brand New si cementano nella storia, accrescendo esponenzialmente il loro seguito che gli rimarrà fedelissimo anche durante gli otto anni di silenzio dopo Daisy, il quarto album. Nel 2017 pubblicano Science Fiction, il loro LP conclusivo. Durante tutta la carriera, al contrario di molte band coeve, i Brand New hanno dimostrato una consistente qualità e dedizione al genere, maturando album dopo album ed esplorando tematiche che vanno dall’adolescenza fino all’esistenzialismo, la morte, la depressione e la politica. Nonostante si siano sciolti non c’è occasione dove se si parla dell’emo, si parla anche dell’importantissimo contributo che tutt’ora continuano a dare.
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02. Citizen (2009 - in attività)
![Tumblr media](https://64.media.tumblr.com/a9763ab36c2d9c65ef106fc04b593059/f20127e9ebc4db86-f3/s540x810/34699dd5fc37621f7c67e2ceb9d9ceb298b50644.jpg)
I Citizen sono una band del Michigan capitanata dal cantante e chitarrista Mat Kerekes. Nel 2011 vengono notati dalla Run For Covers, un’etichetta che si rivelerà tra le più affidabili per l’emo e il post-hardcore e pubblicano il debutto Young States e uno spilt EP coi colleghi Turnover. Anche se il loro contributo al genere non è notevole come quello dei Brand New, si meritano una menzione in particolare per il loro memorabile Youth del 2013 (leggi la recensione qui), l’album meglio riuscito della loro discografia. Tra le band della nuova generazione i Citizen sono tra i più apprezzati e il loro frontman è tra i più espressivi e versatili. Con Everybody is Going to Heaven e As You Please esplorano territori confinanti e rispettivamente atmosfere spiccatamente cupe ed alternative rock, allontanandosi dalle inflessioni vocali screamo.
03. Pinegrove (2010 - in attività)
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Nella scuderia della Run For Covers ci sono anche i Pinegrove dal New Jersey - una delle ultime band arrivate - messi sotto contratto nel 2016 con il loro ottimo album di debutto Cardinal. In quell’occasione è stato pubblicato anche Everything so Far, una raccolta di canzoni inserite in EP e mixtape degli anni precedenti. Il frontman Evan Stephens Hall, autore di tutte le canzoni, e i suoi compagni di band si conoscono dai tempi della scuola e dal 2010 suonano insieme. Il loro sound è un mix di grandi chitarroni emo e freschezza indie rock in cui rimane solenne l’amore per il songwriting ed il midwest. Rendono benissimo anche in acustico, differenziandosi dalle altre band aggiungendo alle performance banjo e mandolino che accentuano le influenze folk. Nel 2017 scelgono una residenza immersa nel verde per registrare il nuovo album, al momento rinviato a data da precisare a causa di problemi personali del frontman.
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04. The Hotelier (2009 - in attività)
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Gli Hotelier sono una band di Worcester, Massachusetts. Iniziano la loro carriera nel 2011 orientandosi sul post-punk con il debut It Never Goes Out, ma si fanno conoscere dagli appassionati dell’emo revival con il sophomore del 2014 Home, Like No Place is There, tutt’ora accreditato come uno degli album preferiti del decennio in corso degli amanti del genere. Nel 2017 pubblicano Godness che riesce ad attirare anche una modesta attenzione da parte della critica. Gli Hotelier non sono famosi per aver spinto il genere su nuovi territori, ma sicuramente sono una di quelle band che ne hanno consolidato la validità negli ultimi anni e lo hanno reso comprensibile al giovane pubblico.
05. Crooks UK (2012 - in attività?)
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Dei Crooks UK, band di Cheltenham, Inghilterra non si sa molto ma una cosa è certa. Con Are We All The Same Distance Apart del 2015, il loro primo debut sotto etichetta, hanno offerto ai pochi che vi hanno avuto accesso del post-hardcore dalle influenze emo già di notevole livello, sopratutto sotto il punto di vista dei testi. Su Spotify hanno un centinaio di followers e ancora oggi rimangono prettamente sconosciuti. Loro sono la vera e propria scoperta inaspettata di questa lista e speriamo che nei prossimi anni riescano a farsi conoscere meglio al di fuori della loro terra.
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06. Modern Baseball (2011 - 2017?)
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Da Filadelfia, Pennsylvania arrivano i Modern Baseball, un altro fiore all’occhiello della Run For Covers. Tra l’emo ed il pop-punk, ciò che salta all’occhio è la sincerità dei testi che parlano dell’avere coscienza di se stessi e dei propri problemi, tendendo ad evidenziare l’importanza di non nascondere i propri disordini mentali. In You’re Gonna Miss It All del 2014 entrano sempre più nella sfera personale esteriorizzando rabbia e frustrazione, mentre in Holy Ghosts del 2016 affinano sia la produzione che la scrittura venendo a patti con le loro difficoltà individuali e dimostrando notevole maturazione. Attualmente la band ha dichiarato di essere in pausa a tempo indeterminato per poter mettere al primo posto la cura del loro benessere mentale e proteggere la loro amicizia.
07. American Football (1997 - 2000 / 2014 - in attività)
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Con gli American Football, band di Urbana, Illinois capitanata da Mike Kinsella (ex batterista dei Cap’n Jazz, mica uno qualunque), si entra di nuovo nell’olimpo dell’emo. La loro importanza è riconosciuta sia dai giovanissimi sia dai veterani che nei primi anni 2000 erano ancora ragazzini. Con un solo album, il self-titled del 1999, la band ha chiuso un decennio e ne ha aperto un altro, asfaltando la strada a tutto l’emo che verrà dopo. I fortunati che sono cresciuti a pane e American Football hanno potuto assistere alla storia di quest’album (persino la copertina è diventata iconica), dalla sua nascita fino al suo status di culto. Il loro capolavoro, registrato in soli quattro giorni senza molte aspettative, si basa sull’interazione di due chitarre e mescola tempi jazz, trombe, lunghe strumentali ed influenze più disparate che vanno dai Cure ai Joan Of Arc, mentre i testi erano stati scritti da Kinsella anni prima senza aver previsto in alcun modo di utilizzarli a tale scopo. Dopo il self-titled gli American Football spariscono e come avevano previsto si sciolgono, non facendo altro che incrementare la fama del loro debutto. Si riuniscono quattordici anni dopo per American Football (LP2) e finalmente iniziano una tournèe.
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08. Basement (2009 - 2012 / 2014 - in attività)
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I Basement sono una band inglese formatasi ad Ipswich nel 2009. Partono ispirandosi al post-punk e al noise rock ed inevitabilmente finiscono nell’emo già col debut I Wish I Could Stay Here che affonda le radici in sonorità degli anni 90 come quelle dei Nirvana o i Sunny Day Real Estate. Prima di pubblicare il secondo album Colourmeinkindness del 2012, tutt’ora il più maturo e completo, decidono di annunciare lo scioglimento. Nel 2014, tuttavia, ritornano a lavorare ad un terzo album, pubblicato nel 2016 col nome di Promise Everything, in cui i Basement suonano meno emo e più alternative rock. Un anno dopo concludono il contratto con la Run For Covers ed annunciano di aver firmato con la famosa Fueled by Ramen, casa di artisti come Paramore o Twenty One Pilots. Nonostante il futuro dei Basement con la nuova etichetta si prospetti sempre più rock, si meritano un posto in questa lista per il loro contributo sopratutto con i primi due album che hanno raccolto numerosi consensi nel mondo dell’emo.
09. Remo Drive (2013 - in attività)
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I Remo Drive sono un duo di fratelli di Bloomington, Minnesota e nel loro debut Greatest Hits del 2017 che si presenta come un sommario dei loro quattro anni di attività, miscelano una buona dose di emo revival, math rock e post-punk, ispirandosi tra i tanti agli American Football o ai The Promise Ring. Il punto di forza dei Remo Drive è la versatilità e il non identificarsi in un genere preciso, qualsiasi cosa facciano, mantengono una consistente energia e passione che è alla base della loro formula. Dopo essere passati da essere un trio ad un duo hanno firmato un contratto con la Epitaph Records e pubblicato l’EP Pop Music.
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10. Touchè Amore (2007 - in attività)
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I Touchè Amore probabilmente sono una band che si rivolge ad un pubblico più ristretto e meno giovane. Vengono da Los Angeles, California ed il loro sound mescola post-hardcore e screamo in modo piuttosto anticonvenzionale, emotivo ed intenso. Il loro secondo album Parting the Sea Between Brightness and Me viene considerato dal frontman Jeremy Bolm come “liricamente centrato sul deterioramento delle relazioni e sul trovare riparo nella lontananza da casa durante i tour” e viene molto apprezzato dalla critica che aggiungendolo nelle top list di fine anno da visibilità alla band che da quel momento in poi ha la possibilità di andare in tour con artisti del calibro dei Rise Against e Architects, facendosi conoscere dai fan del punk e del metalcore. E’ col quarto album, Stage Four che ha il duplice significato di riferirsi sia al quarto lavoro sia al cancro al quarto stadio della madre di Bolm che i Touchè Amore costruiscono al meglio la loro tensione musicale unica, sovrastata dalle grida eccezionalmente armoniche ed appassionate del cantante che risuonano mature e ricche di introspezione intellettuale. Tale effusione collettiva, tipica della tradizionale rabbia hardcore, è emotiva al punto di aprire infinite vie musicali e stilistiche che sfociano in un sound inappuntabile, rinfrescante per il genere, e sinceramente reale.
PER ASCOLTARE LE BAND CITATE E MOLTE ALTRE CHE A MALINCUORE SONO STATE ESCLUSE, ECCO QUI UNA PLAYLIST CURATA DALLO STAFF DI GAZEMOIL.
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Buy or Die! Il rock’n’roll non disponibile dei Residents
Uno strano destino sembra collegare, almeno qui in Italia, la ricostruzione delle vicende della lotta armata degli anni settanta e ottanta a quella della cultura underground: in entrambi i casi, troppo spesso, ad occuparsene sono coloro che meno ne hanno avuto esperienza e, soprattutto, conoscenza reale. Così può capitare che la prima sia trattata, anche e soprattutto, in ambienti apparentemente alternativi con gli stessi strumenti e gli stessi parametri, la condanna tout court e il ripudio, che hanno caratterizzato il perbenismo borghese e “democratico” fin dai suoi primi vagiti. Mentre la seconda può essere ridotta, soprattutto da chi si vanta inopinatamente di averla frequentata, a una sorta di giovanilistica nostalgia della cannabis, oppure di qualche altra più perniciosa sostanza, consumata indossando pantaloni a zampa d’elefante in qualche piazzetta dei centri storici del Midwest italiano. Indicativamente tra i navigli e la via Emilia, .
Qualche responsabilità, nei confronti di questa provinciale e riduttiva lettura di un fenomeno culturale complesso, certamente l’ha avuta fin dagli inizi la propaganda fatta nei confronti dell’Underground, da un punto di vista puramente consumistico e commerciale, l’industria culturale o, meglio ancora, l’industria discografica. Come non ricordare, infatti, il lancio in gran spolvero che la CBS italiana fece, proprio nel 1970 della musica classificata come “underground”. Appiccicando tale etichetta a una serie di dischi che, pur rivestendo una certa importanza nello sviluppo della musica rock successiva e del suo pubblico, di “sotterraneo” avevano ben poco: “Cheap Thrills” dei Big Brother and the Holding Company (alias Janis Joplin con il suo primo gruppo), il primo lp dei Santana (non ancora solo Carlos Santana), “The Family That Plays Together” dei californiani Spirit oppure la clamorosa bufala dei Masked Marauders (gruppuscolo secondario di cui si favoleggiava però, tra i componenti, di una non dichiarata presenza del menestrello di Duluth) e, forse, l’unico disco apertamente underground del gruppo: “The Belle of Avenue A”, quarto long playing dei Fugs. E questo solo per citare alcuni della dozzina di dischi pubblicati tutti insieme all’epoca (anche se appartenenti ad annate diverse e precedenti quella della pubblicazione italiana). Grazie a un concorso collegato a tale iniziativa riuscii nello stesso anno a pubblicare la mia prima recensione discografica su una rivista, tutt’altro che underground, come Ciao 2001 (riguardava proprio gli Spirit mentre io avevo all’epoca 17 anni), ma questa è un’altra e ancora men che secondaria storia.
A proiettare i musicofili e aspiranti poeti armati della mia generazione nell’Underground musicale ci pensò in realtà un libro di un autore tedesco, Rolf-Ulrich Kaiser. Il titolo italiano era banalissimo, come sempre nell’italietta di ieri, di oggi e dell’altro ieri: Guida alla musica Pop. In tedesco il titolo non era molto diverso, Das Buch der neuen Pop-Musik, ma introduceva significativamente, era il 1971, un elemento di significativa differenza: non il libro della musica pop, ma della “nuova” musica pop.
Dopo aver tratteggiato una sintetica storia della rock music dai primi vagiti negli anni ’50 ai Beach Boys passando per i Beatles, il testo di Kaiser scoperchiava realmente il vaso di Pandora di tutti quei gruppi e musicisti che, di qua e di là dell’Atlantico, stavano sotterraneamente minando l’establishment culturale e musicale, ma anche politico dell’epoca. Frank Zappa e le sue benemerite Mothers of Invention, i Fugs con la loro capacità di unire l’esperienza musicale alla poesia dei Beat e alla lotta politica radicale,1 la voce straziata e straziante di Tim Buckley negli album Lorca e Starsailor oppure, ancora i tedeschi e devastanti Floho de Cologne, l’anarchico e spensierato (ma solo apparentemente) David Peel del Lower East Side newyorkese (la sua Have A Marjuana? non fu comunque mai trasmessa da nessuna radio italiana e, tanto meno, The Pope Smokes Dope) e i sognanti e mentalmente dispersi Incredible String Band. Solo per citarne alcuni.
Di quelle autentiche giovani talpe già si favoleggiava precedentemente in Italia, grazie anche ai pochi “eroici” negozianti che avevano iniziato ad importarne i dischi direttamente dall’America o dal resto del mondo, ma Kaiser inquadrava il fenomeno in un contesto di radicalità in cui lotta politica (non obbligatoriamente dichiarata e ossequiata) e cambiamento culturale andavano a braccetto. Era ancora di là da venire la canzone degli Hawkwind dedicata alla Baader Meinhof e alcuni musicisti dell’Underground giapponesi dovevano ancora o stavano per fare il salto nella lotta armata internazionale aderendo all’Armata Rossa Giapponese che avrebbe agito a fianco dei Palestinesi in alcune occasioni,2 ma finalmente si infrangeva la vulgata commerciale della musica giovanile e contemporaneamente di destrutturava l’immagine di un movimento hippy esclusivamente pacifista e dedito al flower power. 3 Portavoce di tale opposizione culturale e politica si sarebbe poi fatta in Italia, e non senza contraddizioni interne, la rivista Re Nudo, soprattutto a partire dal 1972, poiché l’ancora recente ’68 non aveva contribuito, almeno qui in Italia, a sdoganare del tutto tale inevitabile incontro tra lotta politica e nuova proposta musicale.
Ma non occorre qui dilungarsi in un discorso ancora più ampio e complesso, basti piuttosto qui segnalare che la sempre meritoria Goodfellas ha pubblicato, nel corso degli ultimi mesi, un autentico capolavoro dedicato ai veri principi dell’anonimato e dell’Underground culturale e musicale americano: i Residents. Perché attribuire ai Residents un tale titolo? Perché sono stati gli unici musicisti a conservare nel corso degli oltre quarantacinque anni di attività un anonimato totale, rifiutando di rivelare i loro nomi, di farsi fotografare o vedere senza le maschere monoculari spesso indossate durante i concerti e senza mai concedere interviste; se non attraverso le dichiarazioni di un loro portavoce, Hardy Fox, che stava al gruppo, visto che ha recentemente lasciato la Cryptic Corporation, come i vari portavoce del Mullah Omar stavano ai Talebani.
D’altra parte il collettivo musicale, non mi sentirei di definirlo diversamente visto che di solito suonano in quattro ma spesso sono aumentati da altri musicisti, cantanti e ballerini (soprattutto durante le esibizioni dal vivo), si è sempre e soltanto espresso attraverso i suoni e le proprie canzoni oppure attraverso i testi pubblicati sulle o all’interno delle copertine e, soprattutto, la grafica, meravigliosamente provocatoria ed inquietante, delle stesse.
Proprio per questo la scelta operata dall’autore di presentare la raccolta integrale, o quasi, delle opere grafiche realizzate tra il 1972 e il 2015 per la Ralph Records, la casa discografica che da sempre distribuisce e produce le opere dei Residents e di alcuni altri convitti del loro apparente manicomio sonoro, finisce col costituire anche il modo migliore per narrare la storia e le vicende di un gruppo disperso che storia non ha. Intendendo quest’ultima come storia ufficiale, quella che piace tanto ai cultori del rock e ai giornalisti delle riviste e dei siti musicali specializzati.
Assenza che se da un lato costringe i maniaci dell’ingegneria della ricostruzione biografica ad affidarsi a fonti che affidabili non sono, dall’altra ha preservato il gruppo dal diventare un mero prodotto di consumo. Destino che nel tempo ha accomunato tutti gli altri, ancor da vivi oppure da morti, eroi dell’Underground di cui prima si parlava.
In realtà negli ultimi anni è comparsa un’antologia, dal titolo Before They Were The Residents, They were the Delta nudes, che in maniera molto ambigua, è curata dal misterioso N.Senada, oscuro compositore bavarese autore di “Theory of Obscurity” e “Theory of Phonetic Organization”, il cui nome potrebbe significare “in sè nulla” (en se nada), scomparso nel 1986 e molto probabilmente frutto di un’invenzione degli stessi Residents, traccia un fittizio collegamento tra disordinati suoni registrati alla fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta dal suddetto complesso, Delta Nudes (i cui membri in copertina fanno generosa esposizione dei propri genitali), e i successivi Residents. Quel Delta sta forse a indicare che alcuni membri del gruppo sono, probabilmente, originari della Louisiana, ma ogni altra informazione sembra perdersi in un labirinto simile a quello dei canali del delta del Mississippi.
D’altra parte quel Buy or Die! Che compare nell’immagine di copertina riassume il principio ispiratore dell’aggressione dei Residents alla cultura e alla morale degli ultimi cinquant’anni: una critica spietata e feroce dell’assunto principe della società dei consumi. Vivi per consumare oppure muori, anche solo socialmente, se non sei in grado di acquistare ogni nuovo prodotto, sia esso materiale o immateriale.
Le vite si consumano infatti, sembrano suggerire i Residents, attraverso il desiderio di sussumere in se stesse le merci siano esse auto, telefonini, sesso a buon mercato praticato da altri sugli schermi, “nuove idee” politiche nate morte e ammuffite già al loro primo apparire, etiche buoniste che nascondono i baratri della miseria reale e delle contraddizioni che si muovono nel sottobosco delle lotte di classe mai apertamente dichiarate. Idee falsamente laiche che si ispirano alla peggiore carità cristiana, un’etica immorale che si traveste di moralismo, una riscoperta delle società altre in chiave new age e perbenistica e idoli ristilizzati che salgono sui palchi già vecchi e consunti e che nascondono il ghigno del loro teschio consumato sotto uno strato di cerone, gossip e sex appeal degno di uno zombie.
Tutto questo i Residents non ce lo trasmettono soltanto attraverso i suoni ma anche, e forse soprattutto, attraverso le immagini delle loro copertine: inquietanti, spesso sgradevoli, oscene e provocatorie. Cover che risultano esse spesso armi più pericolose di quelle vere che talvolta possono essere impugnate da mani incerte e tremanti. La mano dei grafici che hanno costruito nel tempo l’unica immagina reale dei Residents sembra invece non tremare mai. Il colpo, che sia sparato da voci distorte, chitarre elettriche o tastiere elettroniche, arriva sempre a segno.
Sia che si tratti di dare a Hitler il volto di un noto presentatore televisivo americano e di trasformare il vero Hitler in una figurina degna di un fumetto casalingo sullo stile di Blondie e Dagoberto o litigioso come Andy Capp o di sottolineare il folle sogghigno di chi si accinge ad accoltellare una indifesa papera di gomma oppure, ancora, di mettere in bella vista corpi nudi e deformi, le copertine prodotte dal collettivo di grafici che di volta in volta si è definito come Porno/graphics, Pore No Graphics, Poor Know Graphix, Poor No Graphics e con infinite altre declinazioni del tema ha sempre mantenuto alto, oppure se si vuole molo basso nel senso della morale perbenista, lo spirito iconoclasta che lo ha animato.
Tutto ha inizio a San Francisco, in un edificio in Sycamore Street dove agli inizi degli anni settanta avrà sede la Ralph Records e, a partire dal 1976, anche la Cryptic Corporation porrà la propria sede. Come afferma l’autore:
Il laboratori Ralph va ben oltre la mera e semplice pubblicazione di vinili. Infatti, pubblicare un disco, è un espediente pe poter creare azioni mediatiche, teatrali artistiche, legate e ispirate ad un prodotto discografico. Nei primi dieci anni di vita l’etichetta oltre i dischi dei Residents pubblica anche vari musicisti americani e inglesi (Snakefinger, Art Bears, Yello, Tuxedomoon, MX-80 Sound, Chrome, Renaldo and The Loaf), ma solo con The Residents la Ralph Records sfrutterà al meglio tutte le risorse e le idee creative di Sycamore Street.4
L’edificio comprendeva infatti, oltre agli uffici dell’etichetta e uno studio di registrazione, un’enorme sala insonorizzata per realizzare film e video, una camera oscura e lo studio grafico in cui verranno prodotti molti dei lavori grafici di cui si è già parlato. Oltre ai video e, in anni più recenti, alla grafica digitalizzata che sempre più spesso accompagna la musica degli invisibili avanguardisti della provocazione.
Ispirati dalle avanguardie novecentesche, dal Dadaismo al Situazionismo, i nostri eroi sotterranei produrranno dischi dai titoli espliciti e allo stesso tempo detournanti: Commercial Album (40 brani in 40 minuti), Not Available, Third Reich Rock’n’Roll, Eskimo (con una fasulla e allo stesso tempo apparentemente veritiera descrizione di strumenti, tradizioni e proverbi eschimesi) e molti altri ancora che il lettore, nello sfogliare le 400 pagine del libro, avrà modo di scoprire, se non conosce, oppure di riscoprire.
Il primo disco nel 1974, Meet The Residents, rivelava, fin dalla copertina l’intento terroristico del quartetto con un devastante e infantile sfregio alla copertina del primo album dei Beatles pubblicato negli Stati Uniti dalla Capitol Records: Meet The Beatles. Motivo per cui la potente major americana fece causa ai Residents e alla Ralph Records, costringendoli a modificare la copertina (altrettanto irriverente con i quattro di Liverpool trasformati in scampi e “stelle” marine). Lo stesso sarebbe accaduto qualche anno più tardi in Germania, dove il solito bigottismo tedesco, che già tanto aveva fatto infuriare il Moro di Treviri, condannò la copertina di Third Reich Rock’n’Roll, facendolo ritirare dal pur ristretto mercato. La risposta dei porno/grafici? La stessa copertina con i volti di Hitler e le svastiche coperte dalla scritta censored.
Copertine e dischi, grafica e suoni ci chiariscono comunque subito lo spirito autentico e le caratteristiche irrinunciabili dell’Underground inteso come arma di distruzione della cultura e delle coscienze massificate: l’invisibilità di chi opera, il perturbante del contenuto, il terrorismo nei confronti di ciò che è dato per scontato e del famigerato comune buon senso . Per riassumere in breve: Signori, ecco a voi The Residents!
Il primo quarantacinque giri a nome loro fu pubblicato dalla Ralph nel 1972 e si intitolava Santa Dog. Proseguirono poi straziando Satisfaction e saccheggiando in nome del caos e del detournement l’American Songbook di Elvis, James Brown, Hank Williams e Duke Ellimgton. Si arresero soltanto davanti a Sun Ra che si era già straziato da solo, insieme al jazz di quegli anni. Hanno sempre colpito al cuore, non si sono mai pentiti, non hanno mai deposto le armi, non si sono mai scissi sulla linea di condotta, non hanno mai litigato sulla proprietà del logo e non hanno mai rivelato l’identità di alcun complice. Scusate se è poco
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