#comicità poetica
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Il Bar Sotto il Mare: una serata magica al Teatro Menotti di Milano. Un viaggio nell'immaginazione con le storie di Stefano Benni
Dal 12 al 31 dicembre 2024, il Teatro Menotti di Milano si trasforma in un luogo magico con la prima milanese de Il Bar Sotto il Mare, adattamento teatrale dell'omonimo romanzo di Stefano Benni.
Dal 12 al 31 dicembre 2024, il Teatro Menotti di Milano si trasforma in un luogo magico con la prima milanese de Il Bar Sotto il Mare, adattamento teatrale dell’omonimo romanzo di Stefano Benni. Diretto da Emilio Russo, lo spettacolo promette di trasportare il pubblico in un universo senza tempo, dove le storie si intrecciano e i personaggi diventano indimenticabili. Un cast straordinario e…
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My Lady Jane: Quando la Storia si Trasforma in Magia e Risate
Lady Jane Grey: La Regina dei Nove Giorni... o dei Nove Episodi?
Lady Jane Grey è conosciuta nei libri di storia come la "Regina dei Nove Giorni". Una figura tragica che fu usata come pedina politica e che trovò una fine prematura. Tuttavia, la serie televisiva My Lady Jane prende questa narrativa e la stravolge completamente.
La serie offre a Jane un destino radicalmente diverso. In questa versione della storia. La protagonista, infatti, non è una vittima passiva degli eventi, ma una giovane donna intelligente e determinata. In questo mondo fantastico è in grado di cambiare il suo destino con l'aiuto di una buona dose di magia.
Tudorland: Benvenuti nel Regno di Maghi e Metamorfosi
L'ambientazione della serie rimane l'Inghilterra Tudor, ma è arricchita da elementi fantastici che rendono il mondo di My Lady Jane unico nel suo genere.
Tanto per dirne uno: il regno è popolato da persone che possono trasformarsi in animali (what?!). Inoltre, le già intricate dinamiche politiche sono complicate ulteriormente da questi elementi soprannaturali.
Questi cambiamenti non solo aggiungono un tocco di magia alla narrazione, ma permettono anche ai personaggi di esplorare le loro identità in modi nuovi e inaspettati.
Risate Reali: Quando la Storia si Prende una Pausa
Uno degli aspetti più affascinanti di My Lady Jane è la sua capacità di trattare temi seri con un tocco di leggerezza e ironia. La serie non si prende mai troppo sul serio. Questo approccio rende la visione estremamente piacevole.
I dialoghi sono frizzanti e pieni di battute argute, e le situazioni assurde in cui si trovano i personaggi sono gestite con una comicità brillante. Questo stile distintivo è uno dei motivi principali per cui My Lady Jane si distingue tra i numerosi adattamenti storici.
Non ha niente a che vedere con le serie televisive Starz come The White Princess, The White Queen o Becoming Elizabeth.
La protagonista non è più la storia. Al centro brilla la fantasia e la libertà di cambiare il destino storico di un personaggio drammatico come quello di Jane Grey.
Un Cast da Fiaba: Principesse e Principi (e Animali) Incantati
Il successo di My Lady Jane non sarebbe stato possibile senza un cast eccezionale. La giovane attrice protagonista porta sullo schermo una Jane Grey piena di vita e spirito. Gli altri membri del cast offrono interpretazioni altrettanto memorabili.
Ogni personaggio, dai principali ai secondari, è caratterizzato da una profondità e complessità che rendono la storia ancora più coinvolgente.
L'eroina : Jane è una ragazza che vuole ampliare le proprie conoscenze. È intelligente e curiosa. Nonostante la costrizione al matrimonio da parte di sua madre, Jane non perde lo spirito. Per l'intera serie la ragazza dimostra di essere però anche leale. Essa è pronta a rischiare la sua vita per gli amici e per le sue convinzioni.
Il bello e dannato : Guildford viene introdotto come un ragazza senza un vero scopo. In un bar recita versi "poetici" e beve come se non ci fosse un domani. Tuttavia il suo personaggio diventa uno dei più particolari e complessi. Il suo passato continua a tormentarlo e il pubblico finirà per tifare per lui.
Il re malato: Edward non è solo un bambino malaticcio. In questa versione, in cui il monarca inglese è un ragazzo di colore interessato agli uomini (altro che licenza poetica), Edward prende in mano il suo destino.
Dal Libro allo Schermo: Una Magia Diversa, ma Sempre Incantata
Pur rimanendo fedele allo spirito dei libri, la serie televisiva My Lady Jane introduce diverse modifiche rispetto ai romanzi. Alcune sottotrame sono state semplificate o eliminate. Inoltre, nuovi personaggi sono stati aggiunti per arricchire la narrazione.
Questi cambiamenti non fanno che migliorare l'adattamento, rendendolo più adatto al formato televisivo e mantenendo l'attenzione del pubblico. Inoltre, l'elemento visivo della trasformazione degli esseri umani in animali è reso con effetti speciali che aggiungono un ulteriore livello di fascino alla serie.
Conclusione
My Lady Jane è un esempio brillante di come un adattamento televisivo possa prendere una storia conosciuta e trasformarla in qualcosa di completamente nuovo e affascinante. Con la sua combinazione di storia, ironia e magia, la serie offre un'esperienza di visione unica che riesce a intrattenere e sorprendere ad ogni episodio. Se siete alla ricerca di una serie che sappia mescolare abilmente passato e fantasia, My Lady Jane è sicuramente una scelta imperdibile.
Ho trovato questa serie brillante, ma ancora di più la capacità dei creatori di spingere l'hyper per uno show anche relativamente semplice. La storia non è un racconto epico e complesso. Tuttavia cattura il pubblico con colpi di scena e un focus intelligente su certe tematiche rilevanti.
Ovviamente tanto fa anche la chimica tra i due protagonisti, cosa che non fa male ad una storia semplice e senza troppi personaggi.
Ho visto le nove puntate tutte d'un fiato in soli tre giorni. La storia è organizzata bene affinché il pubblico sia spinto a guardare lo show in poco tempo.
Se amate le serie come me, non perdetevi gli altri articoli.
Stay Tuned, la vostra EasyTears.
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Salone internazionale dell’Umorismo 2023 a Bordighera
Dal 22 al 25 giugno torna a Bordighera il Salone dell’Umorismo, che prevede il 22 giugno l’inaugurazione alla presenza delle autorità, dal 22 al 24 le giornate del Salone e il 25 sera la premiazione. Il poster di questa edizione è una tavola di Quino dedicata al mare inteso come un mezzo di comunicazione dove la sottile ironia del naufrago che non ha più posto per inviare il suo messaggio in bottiglia sottolinea solitudine e perplessità. Proseguendo l’iniziativa del 2022 con Peynet, la sezione Omaggio ad un Autore sarà dedicata Joaquín Salvador Lavado Tejón, in arte Quino, creatore della celebre Mafalda e la mostra permetterà di ammirare varie fasi dell’opera del grande maestro. Quest’anno torna la tradizione dei premi al miglior disegno a tema, Palma d’Oro, Dattero d’Oro e Dattero d’Argento. A diverse personalità andranno la Rama di Palma d’Oro e altri premi nella tradizione del Salone sul mare. inteso nella sua accezione più ampia: fonte di ispirazione poetica, di viaggi, di scoperte geografiche, di globalizzazioni, di drammi, di svago. Al concorso si sono iscritti ca. 400 disegnatori da 71 paesi, i disegni ricevuti quasi 800 e, di questi, 180 saranno esposti in mostra e tra questi 3 verranno premiati con la Palma d’Oro e il Dattero e 10 riceveranno la Menzione d’Onore, con opere di grande qualità dove l’aspetto ambientale risulta essere preminente attenzione della maggior parte degli umoristi di tutti i paesi. Le opere sono state scelte da personalità del mondo dell’umorismo internazionale di elevato standing, parte di una tradizione consolidata del Salone. Sul Lungomare Argentina ci sarà Massimo Marchiori, alias Stari Ribar, artista che ha come obiettivo quello di “pescare” la plastica dai mari e di ripulire le spiagge dove, grazie ad un’attenta e accurata scelta, all’accostamento di diversi pezzi, texture e tonalità di colori, comunica tutta la sua creatività, trasformando il suo saper fare in amore per il mare e la natura. Massimo in un laboratorio pubblico, intitolato Tappo dopo Tappo, Stari mostrerà come trasformare con fantasia e senso dell’umorismo materiali di recupero in opere d’arte. La Serata di premiazione si svolgerà nello storico Cinema Olimpia di stile Liberty, recentemente rinnovato, con l’assegnazione della Palma d’Oro, del Dattero d’Oro e del Dattero d’Argento agli umoristi per il concorso disegno a tema fisso MARE; Rama di Palma d’Oro alla carriera a Francesco Salvi, grande interprete della comicità della scuola milanese, che attraversa non solo stili diversi ma anche mezzi espressivi differenti, dal cinema alla musica, al teatro, alla letteratura e, per quest’ultima, è stato premiato a Bordighera con la Palma d’Oro per Storia della Cultura Mondiale. Read the full article
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Il Sol dell’Avvenire di Nanni Moretti – la recensione
Il Sol dell’Avvenire di Nanni Moretti – la recensione. Il Sol dell'Avvenire, film diretto da Nanni Moretti, vede protagonisti Giovanni (Nanni Moretti), un regista sempre meno in sintonia con il mondo attorno a lui. Sta girando un film ambientato nel 1956, la storia del segretario della sezione del PCI del quartiere romano del Quarticciolo che deve capire come reagire all'invio dei carri armati sovietici a Budapest. La produttrice del film è sua moglie Paola (Marherita Buy), che però sta pensando di lasciarlo, anche se Giovanni non lo sa. Giovanni sta anche scrivendo un film tratto da "Il nuotatore" di John Cheever, e allo stesso tempo immagina di girare un film che racconti la storia quarantennale di una coppia, con tante canzoni italiane a fare da sottofondo. Il pensiero.. Bentornato Nanni Moretti! Dopo l’allontanamento da quella sua poetica che da sempre lo ha contraddistinto, e dopo il tentativo acrobatico verso l’ignoto, che l’ha portato ad imbattersi in un progetto che non gli ha reso giustizia, sto parlando del film “Tre piani”, giudicato negativamente dalla critica, Nanni Moretti ritorna in forma smagliante, in modo brillante e stupefacente. Il Sol dell’Avvenire è un film bellissimo. È un ritorno alla satira intelligente e colta, un ritorno al racconto del comunismo, quello italiano, e all’ironia senza inganni. È un ritorno a “Palombella rossa” e alla “Sacher Torte”, che diviene surrogato del gelato. È Apologia, lontana e vicina, del cinema, che oggigiorno, rischia di annichilirsi per la mera venalità, dimenticando il fine ultimo, ovvero l’intrattenimento e la nostalgica bellezza della sala degli anni 50/60. Una storia, a tratti, autoreferenziale, ricondotta ad assiomi inscalfibili come le parole di Calvino, l’ideologia di Karl Marx e la celeberrima passerella felliniana di 8 1/2. Si, Nanni Moretti è tornato, e lo fa con un’opera bellissima che si defila tra le intercapedini della comicità e della malinconia. Nel cast troviamo anche Silvio Orlando, Barbora Bobulova, Mathieu Amalric, Jerzy Stuhr, Valentina Romani e Blu Yoshimi. Il Sol dell’Avvenire, in sala dal 20 aprile... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Poesia e comicità
Poesia e comicità hanno (almeno) due aspetti in comune: le pause e il non detto. La pausa in poesia può essere realizzata con vari strumenti testuali e visivi, oltre che con la più scontata punteggiatura; il comico (quello autentico, non necessariamente volgare, che non usa tante parole per stupire e strappare una risata artificiosa) utilizza le pause per dare il tempo a chi ascolta di realizzare…
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Oggi sul Manifesto una bella recensione dell’antologia poetica di Roger McGough, La resa dei conti.
Medusa ha pubblicato tre libri di McGough, gli unici finora in Italia, che rendono disponibile una scelta molto ampia della sua poesia. Nel 2003 il libro per bambini La magica pallina da tennis, nel 2004 Eclissi quotidiane e ora La resa dei conti, che completa il quadro poetico del decano dei poeti inglesi.
McGough ha saputo tradurre la sua vena pop e autoironica anche in un programma sulla poesia alla BBC che conduce da decenni. Grande performer e virtuoso del ritmo e della comicità della parola, McGough ha tenuto anche reading in varie città italiane.
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Questo uomo no, #112 - In che senso?
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Prendiamo, tanto per cominciare, tre definizioni dal sito di Treccani:
Umorismo: la facoltà, la capacità e il fatto stesso di percepire, esprimere e rappresentare gli aspetti più curiosi, incongruenti e comunque divertenti della realtà che possono suscitare il riso e il sorriso.
Ironìa: 1. In origine, finzione (e insieme anche interrogazione); 2. Nell’uso com., la dissimulazione del proprio pensiero (e la corrispondente figura retorica).
Satira: composizione poetica che rivela e colpisce con lo scherno o con il ridicolo concezioni, passioni, modi di vita e atteggiamenti comuni a tutta l’umanità, o caratteristici di una categoria di persone o anche di un solo individuo, che contrastano o discordano dalla morale comune (e sono perciò considerati vizi o difetti) o dall’ideale etico dello scrittore.
Come si vede chiaramente anche da questa piccola indagine, umorismo ironia e satira non hanno un immediato legame con nessun potere censorio; è invece la storia delle differenti situazioni politiche ad aver reso, in alcune circostanze, umorismo ironia e satira qualcosa di ostacolato da un potere politico. Queste sono state - e probabilmente ancora saranno - le uniche occasioni nella quali il rapporto con la lingua e con la libertà d’espressione sarà rigidamente regolato da un’autorità politica con intenti censori; il resto sono chiacchiere inutili, perché se un gruppo organizzato, un’associazione o semplicemente parte dell’opinione pubblica esprime dissenso per una espressione del pensiero, non lo sta censurando - perché la censura la attua chi ha il potere, non chi esprime la propria opinione. Se non ti va di sostenere un dibattito pubblico con altre soggettività su un argomento che non ti va di affrontare, il tuo problema è l’ignoranza e la gestione dei diritti altrui e della loro espressione, e non la censura.
La definizione sensata di politically correct l’ho già data in questo articolo, e non annoierò ripetendola. Invece esaminerò nel dettaglio alcune frasi recentemente espresse da Carlo Verdone, chiarendo che non è affatto interessante cosa lui pensi, bensì il suo esempio - il suo essere uomo famoso, settantenne, campione di una diffusa opinione riguardo una versione completamente fraintesa del cosiddetto politically correct. Le sue frasi sono raccolte qui, ma sono state riprese in molti altri luoghi, è facile ritrovarle e verificarle.
“a forza di seguire questo politicamente corretto uno se sente sempre incatenato in qualche modo“: già questa frase basta a far capire che non si è capito niente del “politicamente corretto”. Se ti senti incatenato perché non puoi offendere un gruppo di persone che non nomini o non descrivi correttamente quando fai umorismo o ironia o satira, il problema è che ti stai inventando che quel gruppo ti ha messo le catene. Come ha già spiegato per esempio Lenny Bruce tanti anni fa - e non posso ammettere che Carlo Verdone non conosca il lavoro di Lenny Bruce - il problema sei tu che non sai adoperare tutte le risorse del linguaggio, sei tu che non sai fare umorismo o ironia o satira, perché tanti e tante fanno umorismo o ironia o satira sugli stupri, sui femminicidi, sulle disabilità, e nessuno e nessuna si offende, anzi ridono di gusto, perché al contrario altri loro “colleghi”, lo sanno fare.
“se continuiamo così...noi avremo dei grossi problemi di sceneggiatura“: “noi” chi? Da quando Verdone - o altri, ovviamente - è stato autorizzato a parlare a nome di tutti gli sceneggiatori, di tutte le sceneggiatrici? E, di nuovo: il problema è che tutta la tua esperienza, tutte le tue capacità non ti bastano più per non offendere qualcuno o qualcuna attraverso le parole o le immagini? Forse basterebbe ascoltare questo qualcuno, questa qualcuna, e imparare - anche dopo tanta esperienza, anche se hai già tante capacità - a esprimerti come richiesto da soggettività che non avevano parola, che non avevano spazio. Non è poi tanto difficile: molti e molte lo stanno già facendo, anche se non sono famosi uomini di spettacolo come te.
“faremo meno ridere, avremo meno battute“: ancora, “noi” chi? Forse non ti va di ammettere che tu non riesci più a far ridere, perché gli strumenti della lingua e dell’espressione che hai usato finora non vanno più bene. Ed è normale: il mondo cambia, la società è sempre più complessa, umorismo, ironia, satira cambiano. Altrimenti diventano linguaggi vuoti, sintomi di inadeguatezza, volgarità gratuite o semplicemente linguaggi che non significano più niente. E non è certo colpa di chi cerca di non farsi insultare o di non subire forme di violenza.
“tanti miei colleghi cominciano ad averne le palle piene de ‘sto politicamente corretto“: ecco, “le palle piene” è proprio la metafora che spiega bene l’impotenza di un uomo che scopre di non saper più fare il proprio lavoro (in questo caso, far ridere) con i mezzi che ha usato finora. Quindi, invece di studiare, comprendere, ascoltare, fa sapere che ne ha “le palle piene”, il simbolo della sua forza, del suo potere. Grazie, davvero illuminante.
“sta diventando un po’ una patologia“: uh, ma pensa, io credevo che le patologie sociali fossero quelle che causavano vittime, sopravvissute, reati, problemi psicologici. Invece sono quelle che costringono famosi settantenni a darsi una regolata. “Mo’ me lo segno”, disse una volta un altro comico.
All’inizio della sua chiacchiera Verdone ha tenuto a precisare che le parole seguenti sarebbero state solo la sua opinione. Quello di cui sembra non rendersi conto è che l’opinione di un famosissimo attore e regista con quasi 50 anni di carriera e presenza in tv e cinema, celebrato da sempre come uno dei migliori esponenti della comicità e della satira di costume nazionali, non è esattamente un’opinione: è la parola di un uomo con un immenso seguito e un enorme potere di condizionare quel seguito.
Tanto per chiarire quale sarebbe la cosa di cui parlare, invece di sventolare censure che non esistono, ecco un esempio - l’autore, come prima, non è importante - della stessa ignoranza espressa da un altro uomo provvisto di potere per agire sulla cultura su un personaggio di finzione:
“James Bond sarà Donna e nera. Anna Bolena l'hanno fatta mulatta (era bionda con gli occhi azzurri). Le sinistre stanno demolendo ogni presupposto culturale della nostra civiltà“.
Chiacchiere che si fermano alla superficie populista e destrorsa dei fenomeni, perché nella realtà il personaggio cinematografico di James Bond era lontano e diverso da quello letterario già ai tempi di Sean Connery; ma figuriamoci se qualcuno nel 2020 si va a rileggere Ian Fleming per fare una sensata critica a un mondo - reale, letterario e simbolico - completamente diverso. Quello che scoccia non è mica, tanto per fare un esempio, una delle più antiche mistificazioni simboliche a uso di un pubblico da conquistare: Gesù Cristo è ritratto ovunque bianco biondo e con gli occhi azzurri pur essendo un palestinese di venti secoli fa - forse questo è stato un “presupposto culturale della nostra civiltà”. No, no, il problema è James Bond nero e donna, cioè un’altro modo sbagliato di intendere il politicamente corretto. Complimenti.
Eccoci quindi costretti ad assistere all’ennesima versione dei soliti problemi causati da uomini vecchi (non anagraficamente, ma di pensiero) e potenti: - perché un uomo famoso di 70 anni che non si è mai occupato di certi argomenti pretende di sapere delle cose e sulla base di quello che pensa di sapere spara giudizi a vanvera? Perché è un rappresentante, da quasi mezzo secolo, di una cultura maschile (non biologicamente, ma socialmente) che non si aggiorna né s’interessa con partecipazione ai problemi di genere. Che sono nuovi, non sono quelli del femminismo di cui tutti in Italia sembrano sapere qualche cosa perché “c’erano”; e se non ti aggiorni perché pensi di saperne abbastanza e di aver fatto abbastanza, quello è il momento in cui diventi un ignorante. - Perché nessuno e nessuna delle persone che ha intorno lo prende in privato e gli dice “ma che stai a dì”? Perché un uomo famoso di 70 anni è molto difficile che abbia intorno delle persone preparate o quantomeno interessate all’argomento che sono in grado di parargli a quattrocchi e farlo sentire l’ignorante che è; essendo un “pezzo grosso” del suo ambiente, è molto più facile che intorno abbia solo gente che sta ben attenta a non contraddirlo mai. - Perché nessuno o nessuna dei giornalisti o giornaliste presenti, quando un personaggio famoso con un grande seguito dice quelle stupidaggini, glielo fa notare? No, su, davvero, ancora vi fate questa domanda?
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SCRITTORI DI GAG (2011)
Nel continente della letteratura italiana del Novecento si trova una specie d'isolotto o iceberg (spesso osservato con troppa sufficienza dall'alto, o con troppa complicità dal basso) che oscilla tra due penisole in apparenza lontanissime. Che rapporto può mai esserci tra Pirandello e il fumetto, tra la cultura rondesca o post-crociana e lo sketch da rivista? Altrove, si sa, il grande livellatore delle tradizioni poetiche moderne, il crogiuolo che le ha amalgamate consegnandole alla serialità industriale, è stato il surrealismo: che l'Italia, però, non ha conosciuto se non per lampi. Ma da noi è spuntata una delle sue radici, la metafisica dei fratelli De Chirico, che confina anche con una delle sue possibili vie di superamento: il razionalismo “sintetico” di Massimo Bontempelli (1878-1960). Questi esperimenti hanno poi nutrito le pagine più bizzarre, a volte minori e a volte soltanto meno canonizzabili, di autori come Achille Campanile (1899-1977) e Cesare Zavattini (1902-1989). Ed ecco affiorare l'iceberg: che nei suoi viaggi più arditi colma la distanza tra il cabaret e Ionesco, tra i matti padani e Georges Perec, sfiorando l'assurdo nichilista per tornare subito a volgarizzarlo in qualche freddura stralunata.
La geografia di questa terra poetica si basa su una comicità oltranzista che tocca la satira e si sublima in umorismo. E' nota la classificazione di Pirandello. Da una parte sta l'acido satirico, con la sua «avversione della realtà»; dall'altra parte il comico, che è «avvertimento del contrario», cioè di qualcosa che non funziona come dovrebbe. L'umorismo, del contrario, è invece il «sentimento»: al riso provocato da una vecchia imbistrata come un clown si aggiunge l'amara coscienza del fatto che quel trucco vuole pateticamente mimare una gioventù irrecuperabile. Solo che sul nostro isolotto la parola umorismo va intesa in un'accezione più angusta di quella pirandelliana. Lo spazio che nello scrittore siciliano consente un gioco ampio e tragico di riflessione - quello spazio in cui il lettore può far continuamente la spola tra le maschere meschine che si trova davanti e la realtà «che avremmo voluto» - qui è ridotto al minimo. L'Ideale tradito dalla Realtà non supera il buon senso, mentre di contro la Realtà si fa così esteriorizzata e burattinesca che il risultato tende irresistibilmente a fissarsi nel gag. Ma talvolta il gag rivela un tic sociale: e allora lo trafigge con un candore, con una distrazione vera o apparente che possono diventare più micidiali di un'accusa aperta e di un affresco analitico. In alcuni autori, la rapidità da vignetta si contamina poi con la forma swiftiana del finto trattato. Se il gag astrae dal reale per difetto di razionalità, il monstrum della divagazione sistematica astrae invece per un suo eccesso, sprofondando in una follia pseudoragionativa. Sono tendenze già contenute in nuce nella grande tradizione decadente e qui estremizzate, private del “volto umano”. Benjamin Crémieux osservò che lo Zeno di Svevo è parente di Charlot; e lo sono anche molte marionette pirandelliane, portate “dove capita” dagli incidenti della vita. Ma il paragone ci dice qualcosa di più se trasferito sui tipi degli altri scrittori citati sopra, i veri indigeni dell'iceberg.
Uno dei luoghi in cui meglio si rende visibile il passaggio di testimone tra pirandellismo e fumismo metafisico è negli anni Venti un palcoscenico: quello del Teatro degli Indipendenti di Anton Giulio Bragaglia, che accanto a “L'uomo dal fiore in bocca” propone pezzi di Campanile e di Alberto Savinio, di Bontempelli e di altri autori di «900». E' lì che prende corpo la vera neoavanguardia italiana, cioè quella liquidazione insieme ludica e sinistra delle avanguardie storiche che negli anni Sessanta diverrà solo propaganda di epigoni. In Bontempelli, infatti, sono già in agguato l'Oulipo, Manganelli e Calvino: nel '21, la sua “Vita operosa” schematizza un primo dopoguerra ormai massificato e neocapitalista. Ed ecco come il côté estetico di questa svolta epocale è sardonicamente descritto nella precedente “Vita intensa” (1920): «Sotto specie di romanzo d'avventure, questo è anche, e soprattutto, un esempio di "romanzo storico d'ambiente letterario". Esempi del genere non ce ne sono nell'antichità, e nemmeno nelle letterature moderne fino all'epoca decadente in Francia e dannunziana in Italia. Per contro in quell'epoca tutti i romanzi furono d'ambiente letterario, e tutti i personaggi - anche se era detto che fossero ingegneri, contadini, aviatori, esploratori, agenti di cambio, tranvieri, fabbricanti d'oggetti d'osso, o altro - erano in realtà tutti letterati. Per un fatale compenso i loro autori furono spesso quasi analfabeti». La “Vita operosa” insiste in modi ancora più definitivi sulla sopravvenuta inutilità degli strumenti culturali belle époque. Qui i pescecani sembrano filosofi e i filosofi pescecani, gli ex avvocati con barba alla Palmerston assumono una liscia «faccia quadrata» e diventano pubblicitari, le brave mamme avviano candidamente le figlie a cocaina e prostituzione: fungibilità, automatismo, equivalenza di pianto e riso, collage postmoderno di ogni eredità culturale sono tratti già presupposti ed esauriti in un'accelerazione pop così spinta da rovesciarsi in stasi.
L'umorismo sintetico di questi libri sta a metà tra il Pirandello più slogato e il miglior Campanile. E a sua volta Campanile andrebbe collocato tra Bontempelli, l'avanspettacolo e la comic strip alla Jacovitti o alla Disney. Come l'autore delle due “Vite”, anche quello delle “Tragedie in due battute” sceneggia spesso la riduzione all'assurdo di generi e teorie letterarie, e lo fa con la mise en abîme di uno sguardo studiatamente “idiota”. Si vedano ad esempio le pagine su «come si scrive un romanzo» di “In campagna è un'altra cosa” (1931). Oppure, in “Agosto moglie mia non ti conosco” (1930), si leggano i passi sulle scaramucce letterarie tra «Strapaese» e «Stracittà». Qui la trama ci porta in Africa, dove, secondo gli schemi del proto-terzomondismo d'accatto, un «negretto» attende la liberazione da una signora che in Italia colleziona le «stagnole dei cioccolatini» (e si pensa subito a Dickens: ma a un Dickens filtrato da Jerome, da Wodehouse). Alla fine, il portalettere del lago Ciàd annuncia al beneficato la buona notizia del riscatto - che somiglia già alla vittoria in un gioco a premi - sventolando un foglio e gridando «Allegro, sor Mbumba, è arrivato!». Ed ecco come Campanile spiega l'incongruo gergo da postino della Val d'Elsa: «aveva fatto naufragio sulle coste dell'Africa un bastimento carico di romanzi e novelle italiane appartenenti al genere della nostra letteratura paesana (...) il postino negro lesse avidamente quelle opere, per avere un'idea della tanto decantata civiltà dei bianchi; e si modellò sui postini, o procaccia, in esse descritti, credendo che realmente esistano; mentre tutti sanno che tali potenti concezioni sono parto della feconda immaginazione dei nostri cultori di letteratura paesana».
Spesso, come nella pièce “Delitto a Villa Roung”, a essere parodiato è invece il genere del romanzo giallo. E a questo proposito, va notato che il Campanile più radicale si trova proprio in certe fulminazioni teatrali scorciate fino all'aforisma (così accade, del resto, anche in Zavattini: e il gag, in certo senso, è appunto un aforisma visivo). Si prendano battute come queste, in cui culmina il dialogo tra ministro e scienziato nell'atto unico “Un terribile esperimento”: «- lei è per la ghigliottina, la sedia elettrica, la forca, o la camera a gas? - Ohibò! Niente di tutto questo. Io avrei ideato un nuovo tipo di congegno: una ghigliottina su sedia elettrica munita di capestro, nell'interno d'una camera a gas!». In generale, le blande assurdità campaniliane nascono dal meccanismo per cui si porta alle estreme conseguenze la ratio di un progetto umano o di un luogo comune “prendendoli in parola”: e questo prendere in parola è l'equivalente letterario delle danze di Chaplin sullo schermo, dell'uso improprio ma coreograficamente impeccabile che Charlot fa degli oggetti in cui inciampa. Il meccanismo ha un effetto umoristicamente straniante soprattutto quando tocca le occupazioni “serie” o gli svaghi già consumistici dei nuovi piccolo-borghesi. Tipica, a questo proposito, la trovata dell'appalto impossibile. Ad esempio, in “Se la luna mi porta fortuna” (1928), una «Agenzia Preoccupazioni e Affini» affida ai suoi dipendenti le ansie dei clienti: «allora un'aria preoccupata si diffonde sul volto dell'impiegato; egli sospira spesso e non manca, tratto tratto, di riportarsi alla mente le ragioni della preoccupazione, mormorando tra sé una acconcia frase come: “Accidenti, che pasticcio!” (...) mentre il cliente, sollevato da ogni peso, non ci pensa nemmeno». Qui i caratteri umani sono ridotti a un esilarante guardaroba a noleggio. C'è chi domanda all'Agenzia uno stock di filosofi pessimisti tedeschi che però a volte si esauriscono, specie se erano diventati tali a causa di un doloroso callo e poi se lo sono tagliato. C'è chi, nostalgico dei vecchi tempi, vorrebbe che qualcuno la sera passasse sotto le sue finestre strillando titoli della «Tribuna» dove s'annunciano la caduta di Crispi, la morte di Leone XIII o l'invenzione del telegrafo. E se questo nostalgico, in sala d'attesa, incontra un tizio che sogna da sempre di far risuonare la sua voce «in mezzo al popolo», capisce subito che sono fatti l'uno per l'altro. Perfetta “banca del tempo”, completata da un terzo uomo che li avvicina raggiante: «“Io venivo qui per l'appunto a cercare un imbecille. Ne trovo due. Andiamo!”». Ovviamente, l'unico cliente che viene cacciato a calci dall'Agenzia è quello che, anziché un consolatore, chiede «qualche centinaia di migliaia di lire». Insieme al mito filantropico e a quello del welfare, Campanile satireggia poi il mito americano dell'uomo che “si fa da sé”. Ecco cosa racconta un emigrante di ritorno dagli Usa: «Come in Italia i maggiori uomini politici provengono dall'insegnamento, come in Francia i migliori diplomatici provengono dalla letteratura romantica, come in Russia le più nobili granduchesse provengono dal mezzo servizio, come in Inghilterra le migliori stoffe provengono dall'Italia, così in America i più grandi finanzieri provengono dal ceto dei lustrascarpe. E' fra essi che viene reclutato il fior fiore dell'industria e della finanza. Potete quindi immaginare come sia difficile ottenere un posto di lustrascarpe».
Molto spesso, però, la satira di Campanile sfocia nel puro nonsenso: come nella descrizione allucinata e iperrealistica, già in stile nouveau roman, delle più banali azioni quotidiane (vedi, ancora in “Se la luna”, la distribuzione delle carte da poker). Il risultato più frequente è allora l'«umorismo inutile» di cui parlò Pietro Pancrazi. Comunque, traducendo i sintomi epocali in sagome geometriche e leggere, l'opera campaniliana restituisce un quadro elementare ma perciò tanto più impressionante della transizione dall'Italia post-risorgimentale all'Italia televisiva. Emblematico il protagonista del “Diario di Gino Cornabò” (1942), che unisce il velleitarismo del professore-burocrate del Regno all'ansia di successo dei futuri concorrenti di quiz: da un lato fa di tutto per ottenere croci, cavalierati, commende; dall'altro, avido del quarto d'ora di celebrità, si finge coi cronisti il vincitore del palio di Siena, o si eclissa per poter comparire nella rubrica «Chi l'ha visto?».
Ai suoi esordi, un fratellastro di questo Campanile sembrava Zavattini. Ma era un fratellastro meno olimpico. La sua prosa sgangherata insegue le cose che evoca via via come un cane la sua propria ombra: con voracità affannosa, senza tirare il fiato. Il fascino della scrittura zavattiniana sta nella capacità di produrre equivalenze verbali di quei movimenti spuri e informi con cui la psiche passa da un ricordo a un dettaglio oniricamente ingigantito, da un calcolo insensato alla registrazione di un fastidio fisiologico. «Quanti sogni ho corretto come bozze»: ecco una frase che potrebbe far da epigrafe alla sua opera omnia. E tuttavia, all'inizio l'affinità con Campanile balzava agli occhi. Il vincitore della gara di matematica che in “Parliamo tanto di me” (1931) sconfigge l'avversario gridando «più uno!» (e che riaffiora nella fantasia del “Viaggio a Senzastagione”, dove campaniliani sono pure gli uomini a noleggio) basta a dare un'idea della comune vena demenziale. Ma già “I poveri sono matti” (1937) punta su una malinconia straniante e sinistra che indaga senza freddure i piccoli abissi della vita pubblica o privata. Lo scrittore sa fiutare l'aria: e il clima esistenzialista-kafkiano colora genericamente le sue pagine al modo in cui le colorerà in seguito un malinteso “neorealismo”. Così, mentre a fine anni Trenta dirige con Campanile il periodico «Settebello», Zavattini gli è ormai distante. E più avanti, in “Totò il buono”, proprio l'apparente somiglianza della superficie fantastica lascia trasparire lo iato apertosi tra il campaniliano (romano?) «umorismo inutile» e lo zavattiniano (emiliano?) «apostolico fine». Dagli anni Quaranta in poi, nell'opera di questo sofista del naivismo, la concitazione pedagogica che finge di poter trasformare le parole in corpi o in cibo si espande a macchia d'olio. E una simile evoluzione, o involuzione, disegna un destino tipicamente italiano: la nostra tragicommedia letteraria sta anche nel fatto che il gran praticone detto Za (coi suoi discorsi volontaristici su cinegiornali liberi, diari popolari e «non teatro») è stato il nostro Brecht; e la sua insistenza sulla moviola o sulla «meraviglia» sono i corrispondenti domestici della teoria del teatro epico. Date queste premesse, non si faticherà a capire come gli spunti graffianti divengano sempre più labili, effimeri, semisommersi. E tuttavia, ogni tanto meritano di essere strappati al flusso logorroico della sua opera matura alcuni brevi gioielli. Ad esempio, nello zibaldone di “Straparole” (1967), va salvato da un soggettino dozzinalmente pittoresco il «sogno dell'uomo al balcone», fulmineo apologo sull'attitudine funerea degli italiani (compreso l'autore) a trasformare qualunque tema in Retorica: «Un uomo sogna un balcone: vuol proprio un balcone, un bel balcone, nella sua casetta, tutto per sé. Si affaccia al balcone, guarda la natura intorno, respira la bella aria, sente il bisogno di esclamare: “Come è bella la natura”; ma compiacendosi del balcone, sul cui parapetto poggia con le mani, ripete la esclamazione e quasi senza accorgersene a poco a poco la ripete con un timbro dittatoriale e inizia un discorso sulla natura retoricamente: “Italiani! Come è bella la natura!” e sembra di udire l'eco stentorea di un'altra voce conosciuta da tutti gli Italiani: “Italiani questi alberi, questo verde...” Uno scroscio di applausi copre le sue parole, insieme a grida scandite: “Al-be-ri al-be-ri”».
Ma le prove migliori di Za restano quelle giovanili o comunque non pedagogiche. E l'umorismo più tempestivo riguarda soprattutto i nuovi mass media, di cui, con sveltezza davvero chapliniana, sa divinare in presa diretta gli ultimi esiti. A riprova, si vedano i brani tratti dalle finte “Cronache da Hollywood” (uscite a inizio anni Trenta su «Cinema illustrazione»), dove l'autore immagina di sbarcare in California e di venire trattato non da uomo ma da comparsa: entra in un hotel, e subito sconvolge il set di un film intitolato “Donne sole”, che a causa della sua intrusione nella pellicola deve essere ribattezzato “Signore quasi sole”; torna in stazione, e la trova monopolizzata dagli operatori del film “L'emigrante arriva”, che lo inquadrano mentre riparte affibbiandogli la didascalia «doloroso distacco». Ma il pezzo più corrosivo è la pièce del '58 “Come nasce un soggetto cinematografico”, dove si mette in scena la lotta di uno sceneggiatore con regista, produttore e compagna di vita. Quando l'affannato protagonista fa virare il plot amoroso del suo ultimo parto verso uno «sciopero», ecco che i committenti gli abbaiano subito sopra le spalle: «Ci sono migliaia di altre parole che cominciano con esse: specchio, scimmia, salnitro, sughero, stuoino, sigaro...». Finché lui deve arrendersi al compromesso: «Alt. Stazione. Mi ispira». E si ributta sui tasti con furia canina.
A traghettare dalla prima alla seconda metà del Novecento questo isolotto letterario sospeso tra comicità, satira e nonsense, ha contribuito insieme a Zavattini un altro padano a lui perfettamente complementare, Augusto Frassineti (1911-1985). Questo notevole traduttore di Rabelais, traumatizzato dalla Roma statolatrica e consolatosi al focolare del «Caffè» (la rivista umoristica di Giambattista Vicari), è ancora ricordato per il trattato del '52 “Misteri dei ministeri”. L'opera, che forse deve qualcosa al “Gino Bianchi” di Jahier, è un minuzioso delirio, un regesto di variazioni metafisico-grottesche sul tema della Burocrazia. Frassineti è bravissimo nel descrivere certe invarianti antropologiche italiane attraverso i tic retorici che si accumulano l'uno sull'altro come croste, senza neppure scalfirsi e quindi senza scalfire la realtà che c'è sotto: si veda ad esempio la missiva post-fascista in cui un cittadino, passando dalla richiesta di sveltimento della propria pratica a un lirico peana alla Nazione, parla delle «bonifiche superbe realizzate dall'Infausto Regime». Ed ecco uno scorcio dell'immutabile «spirito delle leggi» italiano: «Non vi è piccolo impiegato, ormai, che non siasi accorto delle virtù fluidiche e folgorative di certi oggetti (...) il crollo di un ponte o di una diga, l'allagamento di una regione, il prodursi o il diffondersi di un'epidemia (...) possono essere determinati, e assai volte già lo furono, dalla controversa destinazione di una cartella di dermoide o di tela incerata». Nell'onnicomprensivo cosmo ministeriale, le innumerevoli pratiche smarrite dànno vigore di legge al «silenzio dell'amministrazione». Come si vede, siamo a mezza strada tra Kafka e Fantozzi. Di qui si prolunga una tradizione padana che propone altre minimali ma rocambolesche «avventure» (nel senso che la parola ha in Bontempelli, in Campanile, in Calvino) e che approda infine ai virtuosi cataloghi sulla paranoia stesi da Ermanno Cavazzoni. Cataloghi che sembrano la cavillosa dimostrazione “pratica” di una battuta frassinetiana amatissima da Flaiano e già implicita nella lezione di Pirandello: «C’è una forma di follia che consiste nella perdita di tutto fuorché della ragione».
Matteo Marchesini
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1974 Canzonisima, una grande kermesse canora con il Gotha degli autori italiani di un decennio, sigla finale un brano che entra nella nostra cultura con un duo che diventa icona della comicità surreale e poetica. Meraviglioso, ineguagliati. COCHI E RENATO - E LA VITA, LA VITA C'è, c'è chi soffre soltanto d'amore chi continua a giocare al dottore c'è chi un giorno invece ha sofferto e allora ha detto "io parto ma dove vado se parto sempre ammesso che parto". Ciao! A chi sbaglia a fare le strissie (Ciao!) a chi invece avvelena le bissie uno tira soltanto di destro l'altro invece ci ha avuto un sinistro e c'è sempre li quello che parte ma dove arriva se parte. E, la vita la vita e la vita l'è bella, l'è bella basta avere l'ombrella, l'ombrella ti ripara la testa, sembra un giorno di festa. E, la vita la vita e la vita l'è strana, l'è strana basta una persona, persona che si monta la testa, è finita la festa. C'è c'è chi un giorno ha fatto furore e non ha ancora cambiato colore c'è chi mangia troppa minestra chi è costretto a saltar la finestra e, c'è sempre lì quello che parte ma dove arriva se parte. Ciao! A chi sente soltanto la radio e poi sbaglia ad andare allo stadio c'è chi in fondo al suo cuore ha una pena c'è chi invece ci ha un altro problema e c'è sempre lì quello che parte ma dove arriva se parte. E, la vita la vita e la vita l'è bella, l'è bella basta avere un'ombrella, l'ombrella ti ripara la testa, sembra un giorno di festa. . . . E, la vita la vita e la vita l'è strana, l'è strana basta una persona, persona che si monta la testa, è finita la festa. . . . . #canzoneitaliana #musicaitaliana #canzone #musica #music #canzoniitaliane #canzoni #cantanteitaliano #cantante #singer #cantautore #sanremo #italianmusic #song #love #cantautori #cantautoriitaliani #italiansinger #italia #amore #cantautorato #musicista #cantautoratoitaliano #italy #italiansong #musicadautore #indieitaliano #cantautoreitaliano #marcocardelli (presso Ascoli, Marche, Italy) https://www.instagram.com/p/CIflTpUhMfB/?igshid=6eyzcg5j8wwa
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Il Cinema Di Woody Allen In 10 Scene Indimenticabili
Pessimismo cosmico miscelato con grande e pungente ironia disegnano il cinema di Woody Allen, qui riassunto in 10 scene cult. Per chi ama il cinema - e chi scrive lo ama tantissimo -, è impossibile non voler bene a Woody Allen.
Perché Woody Allen, nome d'arte di Allan Stewart Königsberg, è un il comico geniale che ha consegnato al nostro immaginario collettivo alcune delle sequenze e delle battute più divertenti e più citate di sempre. Inoltre rappresenta anche il cantore di una New York, che non è mai apparsa tanto suggestiva e poetica come nei suoi film.
Woody Allen è anche, e soprattutto, l'autore che, attraverso i suoi personaggi complessi e irrisolti, ha saputo raccontare meglio di chiunque altro, sia la moderna nevrosi della società contemporanea, sia le piccole, grandi contraddizioni della vita di ciascuno di noi, del nostro rapporto con noi stessi e con gli altri.
Uno dei film che preferisco, di più in assoluto, di questo regista è Io e Annie, un lungometraggio che mi porto nel cuore e che consiglio a tutti di guardare e riguardare. Proprio grazie anche al suo incipit. Il film, infatti, si apre con il seguente monologo. https://youtu.be/fU4vSdZi3rQ È un esempio perfetto della poetica di Woody Allen: un pessimismo cosmico declinato però secondo una pungente ironia. Ironia volta a riflettere (e a far riflettere) sulla necessità di servirsi dell'umorismo come del miglior antidoto ai mali del mondo e alle difficoltà della nostra esperienza quotidiana. E quindi, ecco a voi le 10 scene indimenticabili del suo cinema. 1 - Prendi i soldi e scappa, la rapina in banca Una strepitosa serie di sequenze e di sketch esilaranti. Nella cornice di un finto documentario, dedicato a Virgil Starkell, un "criminale da strapazzo" impersonato dallo stesso Allen. Tantissimi i momenti da antologia, ma fra le scene da ricordare c'è senz'altro la "rapina muta" messa in atto da Virgil, compromessa però da un piccolo inconveniente... https://youtu.be/BR-se3acxUg 2 - Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso (ma non avete mai osato chieder), l'eiaculazione Una pellicola in sette episodi per giocare con i cliché sul sesso, ma anche con gli elementi di base delle teorie freudiane. La parte finale, l'episodio Cosa succede durante l'eiaculazione? è un piccolo capolavoro a sé. Nell'arco di pochi minuti, Woody mette in scena le varie fasi dell'atto sessuale dal punto di vista degli spermatozoi, costretti loro malgrado ad avventurarsi in un'impresa rischiosissima da cui potrebbero non fare mai più ritorno... https://youtu.be/GWiechib78g 3 - Amore e guerra, amare è soffrire Amore e guerra segna l'apice della produzione demenziale alleniana, nonché il punto d'arrivo di un itinerario cinematografico che, da lì in poi, prenderà una direzione ben diversa. In assoluto la migliore delle parodie alleniane basata sui modelli della grande letteratura russa. Difficile scegliere un'unica sequenza in un film ricchissimo di invenzioni gustosissime. Ma questo dialogo a colpi di sillogismi filosofici fra Sonja (Diane Keaton) e Natasha (Jessica Harper) rimane una delle vette della comicità alleniana. https://youtu.be/9ssboQ1wLs4 4 - Il dittatore dello stato libero di Bananas, Rivista Orgasmo Anche questa è da annoverarsi tra le scene più famose e divertenti della sua filmografia iniziale, oscillante tra il demenziale, l'impegno politico e il dissacrante. https://youtu.be/JDda1Pj3XdU 5 - Io & Annie, la fila al cinema Non saprei neppure da dove iniziare per esprimere la genialità, la tenerezza, il romanticismo, l'ironia... in una parola, la meraviglia di un'opera come Io e Annie. Film rivoluzionario nell'approccio narrativo, nel linguaggio e nella commistione di registri, fra autobiografismo e parentesi surreali, Io e Annie non è solo una delle più belle love story mai viste sul grande schermo, ma una di quelle pellicole che si lasciano rivedere, anche per la centesima volta, con la stessa dose di entusiasmo, divertimento e nostalgia. https://youtu.be/k1IZN7r5PK4 6 - Manhattan, cose per cui vale la pena vivere Manhattan, realizzato nel 1979, rimane l'altra opera leggendaria nella produzione di Woody. Il capolavoro sulla precarietà dei rapporti sentimentali in epoca moderna, ma anche un atto d'amore commosso e appassionato alla città di New York (fin dal mitico incipit, accompagnato dalla musica della Rapsodia in blu di George Gershwin). Film da vedere e rivedere. https://youtu.be/uXH2w3dWnrs 7 - La Rosa purpurea del Cairo, il cinema incontra la realtà Uno dei soggetti più originali e sorprendenti del cinema di Woody Allen. Quello al cuore de La rosa purpurea del Cairo, commedia romantica a tinte fantastiche del 1985, basata sull'emblematica compenetrazione fra arte e vita, fra la monotonia della realtà quotidiana e il potere immaginifico del cinema. Il corto circuito fra la realtà e la finzione narrativa è riprodotto in questa sequenza in maniera a dir poco strepitosa... https://youtu.be/JIIw5dP1H-I 8 - Crimini e misfatti, delitto e castigo Uno dei vertici assoluti del cinema alleniano. Una riflessione altissima sul senso morale dell'individuo, sul Bene e sul Male, sulla fede e sul peccato, sul delitto e sul castigo. Una riflessione filosofica veicolata attraverso una perfetta fusione fra dramma e commedia, in un film pervaso da un'ironia amarissima e da un lucido disincanto nei confronti delle sorti della società. https://youtu.be/c7moR6X_U3o 9 - Misterioso omicidio a Manhattan, il ricatto telefonico È possibile rendere un murder mystery apparentemente semplice un piccolo capolavoro di comicità, malinconia e romanticismo? Ebbene, Misterioso omicidio a Manhattan è proprio questo. Pertanto ci troviamo di fronte ad un film che si sviluppa come un giallo, ma in seguito, non rinuncia agli spunti di ironia tipici del cinema di Woody Allen e in più regala agli spettatori il brivido di rivedere insieme, fianco a fianco, Woody e la sua ex partner e musa Diane Keaton. https://youtu.be/tBxUE2L0kCs 10 - Harry a pezzi, scene di un matrimonio Tra ironia, geniali inserti surreali (la visita all'Inferno o la Morte che bussa alla porta, trovando però l'inquilino sbagliato ne sono un esempio). In mezzo a suggestioni bergmaniane (la citazione de Il posto delle fragole) e inevitabili echi autobiografici (la dolorosa separazione da Mia Farrow e il conseguente clamore mediatico), Harry a pezzi, diretto e interpretato da Woody Allen nel 1997, rappresenta, soprattutto, un ideale compendio dello stile e della poetica alleniana del decennio: l'instabilità dei rapporti sentimentali, le nevrosi quotidiane e le piccole tentazioni erotiche. https://youtu.be/AdGuk_LVWZ0 In poche parole, scene bellissime e strepitose con battutte eccezionali. E sono solo un piccolo bignami delle migliori della sua filmografia. Comunque ce ne sono a migliaia e qui sotto 3 potete leggerne alcuni famosi esempi: Quand’ero piccolo i miei genitori hanno cambiato casa una decina di volte. Ma io sono sempre riuscito a trovarli. Il sesso è come il bridge: se non hai un buon partner, devi avere una buona mano. Dio è morto, Marx è morto … e anch’io oggi non mi sento molto bene! LEGGI ANCHE... 17 Cose Che Non Avete Mai Sentito Su David Lynch In conclusione, mi raccomando guardate questi film, se potete! Ciao da Tommaso! Salva Read the full article
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Che meraviglia!
Questa è la sintesi che meglio riassume il weekend del 17, 18, 19 novembre trascorso al workshop residenziale.
Passione, divertimento sorriso, sensazioni, condivisione, coinvolgimento, accoglienza, risate, umanità, abbracci, balli, comicità, improvvisazione, poetica dei sensi, corpi in movimento, danze nel bosco.
Sono queste alcune parole che hanno caraterizzato questi giorni sublimati dalla…
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Le tendenze della prosa italiana tra le due guerre:
Il ritorno all’ordine della Ronda, un approdare ad una nuova prosa del frammento, ma svuotata dalla tensione lirica dei vociani.
Letteratura legata ai riviste di orientamento fascista, “Il Selvaggio” di N. Maccari e l’ideologia di Strapaese (contrapposizione di ideali paesani e nazionali ai moderni industriali), “L’Universale, “Il Bargello”.
L’arte applicata di Bontempelli destinata ad un pubblico di massa. Utilizzando la comicità, il paradosso, la scomposizione e l’imprevedibilità, Bontempelli si dirige verso un realismo magico che tende a trovare in un impianto reale una prospettiva magica, mitica.
La spinta all’europeismo e al romanzo di Solaria, utopica repubblica delle lettere. Bonsanti, Tecchi, Manzini, psicologismo analitico e aurea poetica rondista.
Lo sviluppo di un nuovo realismo antropologico - esistenziale: Moravia - Alvaro - Bernari - Silone - Bilenchi: proporre un’immagine critica della realtà, una ricerca di concretezza e allo stesso tempo di universalità, lontani dai metodi naturalistici, ma allo stesso tempo da una forte deformazione espressionistica. Bilenchi, Il capofabbrica (1930), riprende il modello tozziano unito alla letteratura europea della memoria e dell’infanzia, realtà meravigliosa, ma allo stesso tempo carica di un non sense che ricorda Kafka: c’è un’insuperabile sofferenza circolare e ripetitiva.
La linea metafisico - surrealista di Landolfi, Savinio, Buzzati, Delfini. Savinio, legato alla pittura metafisica di De Chirico e Carrà, rifiuta la serietà dei valori assoluti, scegliendo la leggerezza del suo dilettantismo. L’origine greca lo porta ad esprimere un mondo mediterraneo e solare, legato alla suggestione dell’ infanzia, ma lontano dalla serietà del culto classico: è un continuo aprirsi al sogno, al gioco, alla libera associazione, segni fantastici e irregolari nella descrizione della realtà. L’unione di avanguardia e classico. Il mondo mitico si mostra come un serbatoio di archetipi e figura da far scontrare con il mondo normale: forme che sembrano enigmatiche, ma non contengono segreti. Appaiono la figura dell’ermafrodito, la rinuncia ad una divisione maschile - femminile, e la figura della morte nel Signor Munster. Il surrealismo di Landolfi invece tende alle tonalità più cupe del romanticismo nero, le suggestioni di Poe, Hoffman, Kafka, sogno, follia e animalità, immagini violente e accecanti, cariche di impulsi erotici (Il mar delle Blatte e altri racconti, 1939). Letteratura come morte, sempre insidiata dalla menzogna, dall’artificio, come la vita, anche quando il poeta cerca di trovare una lingua assoluta. Delfini crea immagini aggressive, deformate dal comico e dal fantastico, un mondo popolato di balordi che inseguono desideri improbabili e ridicoli. I ricordi, il passato e il presente, le figure si sovrappongono uno sull’altro da risultare inseparabili. Buzzati, ne Il deserto dei Tartari, crea un’attesa del nulla partendo da un linguaggio medio, comunicativo.
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Anche quest’anno torna la grande stagione di TeatrOltre: rassegna di teatro, danza e musica organizzata da Amat. Tanti sono gli spettacoli degni di nota; tra i vari segnaliamo:
1.) IN GIRUM IMUS NOCTE ET CONSUMIMUR IGNI di Roberto Castello (Danza). Roberto Castello, danzatore e coreografo, nel 1984 è tra i fondatori di Sosta Palmizi. Nel 1993 fonda Aldes ed è più volte vincitore del famoso premio UBU. Tra le sue collaborazioni ricordiamo quella con il mitico Studio Azzurro. Per TeatrOltre presenta “una scabro bianco e nero e una musica ipnotica sono l'ambiente nel quale si inanellano le micro narrazioni di questo peripatetico spettacolo notturno a cavallo fra cinema, danza e teatro. Illuminato dalla fredda luce di un video proiettore che scandisce spazi, tempi e geometrie, il nero profondo dei costumi rende diafani i personaggi e li proietta in un passato senza tempo abitato da un'umanità allo sbando che avanza e si dibatte con una gestualità brusca, emotiva e scomposta, oltre lo sfinimento; mentre il ritmo martellante trasporta poco a poco in una dimensione ipnotica e ad un'empatia quasi fisica con la fatica degli interpreti. “In girum imus nocte et consumimur igni” , “Andiamo in giro la notte e siamo consumati dal fuoco”, enigmatico palindromo latino dalle origini incerte che già fu scelto come titolo da Guy Debord per un famoso film del 1978, va così oltre la sua possibile interpretazione di metafora del vivere come infinito consumarsi nei desideri, per diventare un'esperienza catartica della sua, anche comica, grottesca fatica.” PESARO_TEATRO SPERIMENTALE 9 febbraio 2017 10€
2.) AMORE di Spiro Scimone (Compagnia Scimone Sframeli) (Teatro). Spettacolo vincitore del Premio UBU 2016 per Miglior novità italiana o progetto drammaturgico e Miglior allestimento scenico (Nomination anche nella categoria Miglior spettacolo). “Con Amore la Compagnia Scimone Sframeli prosegue il proprio percorso drammaturgico ai bordi dell'umanità, all'interno di non luoghi, dove i personaggi non hanno nome e sono “tutti vecchietti"”. PESARO_TEATRO SPERIMENTALE 7 marzo 2017 10€
3.) THE NOTWIST in concerto (Musica). Celeberrimo gruppo musicale di Monaco di musica elettronica ed elettro-pop. Non richiede certo presentazioni. Ricordiamo tra gli altri il mitico album “Neon Golden” del 2002. Molti di voi ricorderanno il celebre brano “Consequence”, comparso anche nella colonna sonora del film di Aldo, Giovanni e Giacomo “Tu la conosci Claudia” (2004). PESARO_TEATRO ROSSINI 7 aprile 2017 20€
4.) SOCRATE IL SOPRAVVISSUTO / COME LE FOGLIE di Anagoor (Teatro). “In un tempo, il nostro, che porta con sé vorticosi mutamenti, la questione educativa sembra diventata un tema marginale e insieme una montagna inaffrontabile, sempre aggirata per mezzo di riforme scolastiche dannatamente parziali che mortificano insegnanti e ragazzi e il processo stesso della conoscenza. Stiamo accumulando un ritardo colpevole. Serve che si levi un pensiero alto ed articolato attorno all'educare oggi, alla cura delle coscienze in formazione. Un pensiero che rilevi la stretta connessione tra processo della conoscenza e ricerca della giustizia, tra strumenti del conoscere (che è riconoscere e saper distinguere la verità dall'opinione) e pratica politica. Un pensiero che smetta di separare la filosofia dalla vita, che ricucia lo strappo tra anima e corpo e inviti all'eterna e mai perfetta ricerca della verità unico baluardo contro l'assenza di senso della storia e dell'esistenza.”. Compagnia teatrale, che ricordiamo per il meraviglioso spettacolo “La Tempesta” (2009) e per “Lingua Imperii” (2012), vincitrice di numerosi premi tra cui Premio Scenario, Premio Off, Premio Hystrio, Premio ANCT, è famosa per il suo linguaggio innovativo e contemporaneo, in grado di portare sul palco la fusione di diversi media creando così suggestivi spazi visivi. PESARO_TEATRO ROSSINI 29 aprile 2017 10€
5.) ANIMALI DA BAR di Carrozzeria Orfeo (Teatro). Forse vi ricordate di loro per lo spettacolo “Thanks for vaselina” andato in scena il 15 aprile 2016 presso il Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno durante l’evento APP. Comicità black e dissacrante. Sembra quasi di vedere un film di Tarantino in teatro. “S'affacciano la crudeltà squallida e poetica dei fratelli Coen, e l'elegia bassa del primo David Mamet, nel nuovo lavoro di Carrozzeria Orfeo, Animali da bar. Nel parlare cui s'abbandonano i fissati e gli emarginati che ruotano attorno al bancone di un locale, cogli il vocio visionario (a livelli assai più sgraziati) degli irlandesi al pub di Conor McPherson. […] Presenze tutte intense, con bei toni corali da blues della drammaturgia.” Rodolfo Di Giammarco, "la Repubblica"”. URBINO_TEATRO SANZIO 9 maggio 2017 10€
6.) ESTASI di Enzo Cosimi (Danza). Il coreografo e regista Enzo Cosimi non ha bisogno di presentazioni: figura di riferimento per la danza contemporanea italiana, tra i suoi lavori ricordiamo “Calore” e la Cerimonia di apertura dei giochi olimpici invernali di Torino 2006 con Roberto Bolle. “Dopo Fear party, sulla paura collettiva, Estasi indaga il tema del Desiderio. Il lavoro riflette il rapporto tra il desiderio e i suoi aspetti più profondi generati oggi nella società contemporanea. Desiderio, erotismo, estasi mistica, amore, toccano le radici più profonde della vita sino alla freddezza fatale della morte. Un viaggio dentro l'antico tema di eros e thanatos, esplorato con occhio disincantato, carico di humor, che si apre a paesaggi grotteschi e violentemente pop.”. FANO_TEATRO DELLA FORTUNA 28 maggio 2017 10€
Insomma, un festival degno di nota.
Voto: *****
QUANDO e DOVE: dal 09 febbraio al 09 giugno 2017. Varie location
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Savona, al Teatro Chiabrera lo spettacolo di danza “Graces”
Savona, al Teatro Chiabrera lo spettacolo di danza “Graces”. Graces è un progetto di performance ispirato alla scultura e al concetto di bellezza e natura che Antonio Canova realizzò tra il 1812 e il 1817. L’ispirazione è mitologica. Le 3 figlie di Zeus - Aglaia, Eufrosine e Talia - erano creature divine che diffondevano splendore, gioia e prosperità. In scena tre corpi maschili, tre danzatori (Siro Guglielmi, Matteo Marchesi, Andrea Rampazzo) dentro ad un’opera scultorea che simboleggia la bellezza in un viaggio di abilità e tecnica che li porta in un luogo e in un tempo sospesi tra l’umano e l’astratto. Qui il maschile e il femminile si incontrano, lontano da stereotipi e ruoli, liberi, danzando il ritmo stesso della natura. In scena anche l’autrice Silvia Gribaudi che ama definirsi “autrice del corpo” perché la sua poetica trasforma in modo costruttivo le imperfezioni elevandole a forma d’arte con una comicità diretta, crudele ed empatica in cui non ci sono confini tra danza, teatro e performing arts. Negli ultimi 10 anni Silvia Gribaudi si è interrogata sugli stereotipi di genere, sull’identità del femminile e sul concetto di virtuosismo nella danza e nel vivere quotidiano, andando oltre la forma apparente, cercando la leggerezza, l’ironia e lo humour nelle trasformazioni fisiche, nell’invecchiamento e nell’ammorbidirsi dei corpi in dialogo col tempo. Graces si è realizzato grazie allo sguardo registico e visivo di Matteo Maffesanti (regista, formatore e videomaker) che ha seguito con Silvia Gribaudi tutto il processo artistico che si è sviluppato con tappe di lavoro che comprendevano laboratori con cittadini sui materiali coreografici. Il Direttore del Teatro Chiabrera, Rajeev Badhan: “Graces, rappresentato ormai in tutto il mondo, porta l'ironia nella danza, scardinandone molti pregiudizi”. Coreografia: Silvia Gribaudi. Drammaturgia: Silvia Gribaudi and Matteo Maffesanti. Danzatori: Silvia Gribaudi, Siro Guglielmi, Matteo Marchesi e Andrea Rampazzo. Design luci: Antonio Rinaldi. Assistente tecnico: Theo Longuemare. Direttore tecnico: Leonardo Benetollo. Costumi: Elena Rossi. Produzione: Zebra. Co-produzione: Santarcangelo dei Teatri. Con il sostegno di MIBAC. Per informazioni e prenotazioni: tel. 019. 820409, email: [email protected] I biglietti possono essere acquistati online sul sito www.teatrochiabrera.it ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Annunciati i premi Scenari pagani. A Familie Flöz, Daniele Sepe e Sotterraneo Teatro i riconoscimenti per la ventiduesima edizione della rassegna organizzata da Casa Babylon.
COMUNICATO STAMPA
Annunciati i premi Scenari pagani. A Familie Flöz, Daniele Sepe e Sotterraneo Teatro i riconoscimenti per la ventiduesima edizione della rassegna organizzata da Casa Babylon.
Assegnati a Familie Flöz, Daniele Sepe e alla compagnia Sotterraneo Teatro i premi Scenari pagani 2019. I riconoscimenti, che si legano all'omonima rassegna organizzata da Casa Babylon con la direzione artistica di Nicolantonio Napoli, come da consuetudine vengono resi noti prima dell'avvio della nuova edizione, fissato per venerdì 25 gennaio. Per l'edizione 2019 tre nuovi nomi del teatro vanno ad aggiungersi a Paolo Rossi, Armando Punzo e la Compagnia della Fortezza, César Brie, Elena Bucci, Moni Ovadia, Enzo Gragnaniello, Dabid Larible e molti altri protagonisti del panorama culturale italiano ed europeo.
Come da consuetudine di Casa Babylon, il premio va ad una compagnia giovane che si è distinta per la qualità del suo lavoro. Una sezione che, per citare qualche nome, ha visto premiata una giovanissima Emma Dante, i Maniaci d'Amore, il premio Ubu Licia Lanera con la compagnia Fibre Parallele.
Questa sezione particolare del premio va a “Sotterraneo”, giovane collettivo teatrale fiorentino che ha appena vinto l'Ubu, l'oscar del teatro, nella categoria miglior spettacolo dell'anno. Anticonvenzionali eppure capaci di parlare in maniera diretta all'immaginario collettivo, fanno, come loro stessi sottolineano, della scena un luogo di cittadinanza e gesti quotidiani di cultura per allenare la coscienza critica del pubblico. Non a caso alla rassegna di teatro e musica di Casa Babylon porteranno venerdì 1 febbraio 2019“Overload”, opera divertente e irriverente nella quale in maniera intelligente fanno ridere, ma anche riflettere, su come nell'era digitale la nostra attenzione sia frantumata in maniera assurda tra post e tweet.
Familie Flöz è la compagnia tedesca che ha girato 34 nazioni del mondo con i suoi spettacoli, incentrati sul mimo e sulla maschera, che a Pagani porta in scena il suo successo Teatro Delusio sabato 9 marzo 2019. A loro va il premio Scenari pagani per la capacità che hanno avuto nell'arco di 24 anni di raccontare in maniera poetica l'animo umano, senza utilizzare parole e con un utilizzo non convenzionale del corpo che affascina e trasporta. Da qui, hanno dato vita ad un teatro universale che ha viaggiato attraverso tutti i continenti accarezzando anime, suscitando emozioni e facendo riflettere sulla condizione umana persone appartenenti alle più disparate culture.
A Daniele Sepe va il premio Scenari pagani per il suo esser musica allo stato puro, senza limitazioni, senza circoscrizioni entro le categorie dei generi, col suo stile che viene definito word music ma che nei fatti è l'obbedire, nella scrittura musicale, ad un genio compositivo che fa di ogni cosa musica ed armonia senza mai dimenticare di intessere il tutto alle sue radici partenopee ed alla critica sociale. L'appuntamento col sassofonista, che sarà accompagnato dalla voce di Flo (Inclusa a novembre nei 24 finalisti di Sanremo Giovani 2019), è per venerdì 22 marzo 2019 con “Canzoniere Napoletano”.
Nel corso della prima serata, ci sarà un'assegnazione speciale, con un attestato di merito a Gianfranco Oliva, anima e custode del Centro Sociale di via De' Gasperi dove la rassegna ha dimora. Un uomo che presidia il territorio e difende un luogo di aggregazione sociale dallo sfacelo del tempo, senza contributi o retribuzioni, la cui opera per Casa Babylon è meritoria .
Non resta dunque che attendere che si levi il sipario su Scenari pagani 22, sguardi oltre i confini. Gli spettacoli sono in programma alle 21.00. Alle 20.30 come da apprezzata consuetudine ci sarà l'AperiSpettacolo “Tarallucci e Vino” organizzato in collaborazione con Ritratti di Territorio, che propone di volta un volta un percorso enogastronomico alla scoperta delle eccellenze del gusto campano.
La rassegna
La prima di Scenari pagani ci sarà Venerdì 25 gennaio 2019 con Enzo Mirone in “Operina Elettro-Meccanica”, un insolito e affascinante poemetto messo in scena con un’installazione composta da piccole sculture mobili che, azionate, fanno da tessuto ritmico a macchine sonore autocostruite e sulle quali vengono proiettati frammenti di video. Il racconto di una vita interiore, catturata in un flusso ininterrotto di suoni/rumori.
Venerdì 1 febbraio 2019 Sotterraneo Teatro in “Overload” premio Best Of Be Festival Tour 2016 tour in Spagna e Regno Unito. Overload è la rappresentazione, ludica e agghiacciante, di come nell’era digitale, la nostra soglia di attenzione si sta inesorabilmente abbassando e frammentando tra tweets, podcast o screen shots, con effetti di deficit cognitivo assurdi e surreali.
Sabato 16 febbraio 2019 ifratellicaproni in “Attento si scivola”, uno spettacolo scritto, interpretato e diretto da Alessandro Larocca e Andrea Ruberti, consolidata coppia comica di clown per venticinque anni componenti della compagnia Quelli di Grock. Uno spettacolo di puro divertimento e di improvvisazione in piena sintonia con la vocazione a allargare la platea degli spettatori e permettere ad un pubblico variegato per età e interessi di conoscere da vicino i percorsi dei linguaggi ‘irragionevoli’ del comico e del circo contemporaneo perché “Essere irragionevoli è un diritto umano.
Venerdì 23 febbraio 2019 Amor Vacui in “Intimità”. Menzione speciale al Premio Scenario 2017 e vincitore del bando di residenza maturazione del Teatro Stabile del Veneto, Intimità è un discorso, un’analisi intorno alla nostra tendenza a ripetere nelle relazioni gli stessi schemi di comportamento.
Sabato 9 marzo 2018 Scenari pagani si sposta al Teatro Sant'Alfonso per “Teatro Delusio” della compagnia Familie Flöz. Definita da The Guardian «una magistrale commedia, espressiva, struggente e allo stesso tempo piena di gioia» Teatro Delusio è teatro nel teatro. La vivezza delle maschere, le fulminee trasformazioni ed una poesia tipicamente Flöz trascinano il pubblico in un mondo a sé stante, un mondo carico di misteriosa comicità. Con l’aiuto di costumi raffinati e di suoni e luci ben concepiti, gli attori mettono in scena 29 personaggi e danno vita ad un teatro completo .
Sabato 16 marzo 2019 Virus Teatrali in “ Io so e ho le prove”. Un'affermazione di eco pasoliniana, che ci riporta al libro di Vincenzo Imperatore, dal quale è tratta. caso letterario con svariate decine di migliaia di copie all’attivo, racconta la ‘conversione di un ex-manager bancario’ che, dopo un quarto di secolo al servizio della più importante banca italiana, ne esce denunciandone tutte le nefandezze.
Venerdì 22 marzo 2019 ci si sposta per la seconda volta al Teatro Sant'Alfonso per l'appuntamento musicale di Scenari pagani con Daniele Sepe e il suo “Canzoniere Napoletano”, . Accompagnato dalla voce di Flo, Sepe porterà in scena il suo soun nel quale la napoletanità che si fonde con il jazz, il funk, le melodie mediterranee, il rock, il rap, in una contaminazione continua dove la vivacità e la forza dei suoni si accompagna ad una sentita critica sociale che non disdegna anche il gioco dell’ironia.
Sabato 30 marzo 20199 la gran chiusura con Teatro delle Marche in “456”, scritto e diretto da Mattia Torre. 456, scritto da Mattia Torre, sceneggiatore e regista, autore di serie cult come Boris, di programmi tv come Parla con me di Serena Dandini e Dov'è Mario? di Corrado Guzzanti. "La linea verticale" serie tv con Valerio Mastandrea andata in onda su rai3 nel 2018, è la storia comica e violenta di una famiglia che, isolata e chiusa, vive in mezzo a una valle oltre la quale sente l’ignoto. Dallo spettacolo è stato tratto l’omonimo sequel televisivo, prodotto da Inteatro e andato in onda su La7 all’interno del programma “The show must go off” di Serena Dandini e il libro “4 5 6 - Morte alla famiglia”, edito da Dalai.
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Thomas Bernhard lo puoi rifiutare, lo puoi odiare… ma quando entri nel suo abisso è una folgorazione. Un invito alla lettura come fucilazione
Il mio incontro, il mio primo incontro con Thomas Bernhard avviene in un pomeriggio d’autunno. Rifugiatomi, come sempre, nella libreria di fiducia per isolarmi dal mondo che non ne vuole sapere di piacermi e ispirato da quel titolo “camminare” (quasi una folgorazione per me che amo e spesso mi rifugio, nel camminare) e da quella copertina blu nella splendida edizione della piccola biblioteca Adelphi, edizione tesa come sempre ad ammaliare e attirare i lettori come me, non posso fare a meno di portarmela via. Non conoscevo nulla di Thomas Bernhard e non pensavo che sarebbe bastato questo piccolo libricino, 125 pagine, per gettarmi nell’abisso di uno scrittore che ti sfida, senza invitarti ma quasi allontanandoti, ad inoltrarti nelle tenebre, nelle sue tenebre. Puoi rifiutare, lasciar perdere, andare oltre. Far spallucce, scuotere la testa e sfogliare pagine accomodanti. Puoi invece rimanere ammaliato e alla fine eleggerlo, come supremo ideale letterario, irraggiungibile meta e nume tutelare.
Ci sono sprofondato con tutte le scarpe e i miei sensi, in quell’abisso. E “camminare” è stato solo il primo passo. Un abisso scavato con uno stile sublime, sublime al limite dell’irritante e dell’irrispettoso. Uno stile tessuto attorno alla ripetizione, alla variazione, ad un elaborazione che tende ad inoltrarsi verso gli estremi più profondi. Uno stile che attraverso l’ossessione, la precisione, la comicità amara mira all’annientamento delle maschere grottesche dell’esistenza svelandone tutta la loro tragica farsa. “Mi chiedo come siano possibili tanta inermità e tanta infelicità e tanta miseria, dice Oehler. Come la natura possa generare tanta infelicità e tanta materia d’orrore. Come la natura possa produrre tanta spietatezza nei confronti delle sue creature più inermi e più commiserabili. Questa sconfinata capacità di soffrire, dice Oehler. Questa sconfinata ricchezza d’immaginazione nel produrre e nel sopportare l’infelicità”. Il narratore, un io non meglio precisato, che si palesa unicamente nell’incipit del racconto, riferisce ciò che un secondo personaggio, Oehler, racconta di quanto accaduto ad un terzo personaggio, Karrer, e, soprattutto, di quanto i due si sono detti durante le loro passeggiate. Quanto di più spietato, rassegnato, cinico si sono detti.
Eppure, “camminare”, è solo un fugace assaggio della maestria di Bernhard. La cui produzione si è elevata a magnificenza quando quel “io” ha coinciso proprio con se stesso. Cinque libri autobiografici, scritti tra il 1975 e il 1982 (L’origine, La cantina, Il respiro, Il freddo, Un bambino tutti editi da Adelphi). Cinque libri autobiografici in cui la narrazione cruda e immediata ma assieme poetica e commovente della sua vita, o meglio, della prima parte della sua vita, è quasi un invito a far carta straccia dei milioni di pagine delle migliaia di libri ricolmi di banalità usciti negli ultimi decenni. Cinque libri autobiografici che si possono leggere anche come semplici (magnifici) romanzi, perché l’intento di Bernhard e non è stato quello di raccontare di sé, ma di un’anima e la sua vita.
La sua vita e la vita stessa, in tutta la sua insopportabile violenza, cattiveria, futilità, inutilità e idiozia. Gli anni fanciullini trascorsi tra tragicomiche corse in bicicletta, le frustrate con la cinghia di una madre che non l’ha mai davvero apprezzato, i consigli di suo nonno, figura centrale di tutti e cinque i capitoli. Figura centrale e fondamentale. Gli anni trascorsi tra educatori nazisti prima (la narrazione si sviluppa negli anni del secondo conflitto mondiali) e dall’abito talare poi.
“Entrando a scuola tremavo, uscendo da scuola piangevo. Andavo a scuola come si va al patibolo, la mia decapitazione era sempre soltanto rinviata, e questa era per me una tortura”. Quindi la guerra, il ginnasio abbandonato per diventare commesso. Nel quartiere più malfamato della sua odiata Salisburgo. E quindi della sua malattia polmonare (che mai più l’abbandonerà) e il suo ricovero nel sanatorio di Grafenhof, «Qui, in questo trapassatoio, io mi ero imposto di non abbandonarmi alla disperazione, semplicemente dovevo lasciare che la natura umana, la quale si palesava qui, come probabilmente in nessun altro luogo, con assoluta brutalità, facesse il suo corso». Si può cogliere un sentimento così in antitesi come l’amore, in un profluvio di pessimismo caustico e disprezzo senza redenzione verso il mondo, i medici, gli intellettuali, i maestri cui unica via di fuga è il suicidio? Sì, perché Bernhard è sfuggito al suicidio, ricorrente in ognuno dei cinque titoli, proprio per l’amore. L’amore per i libri, la musica e le uniche due persone di cui si abbia conoscenza. Il nonno e Hedwig Stavianicek, conosciuta proprio durante i due anni di ricovero, 36 anni più grande di lui e che sarà l’amicizia che l’accompagnerà per il resto della sua vita. La prosa follemente musicale e geometrica in bilico sulle tenebre di Bernhard è presente e percorre le pagine di tutta la sua bibliografia. Opere teatrali e romanzi (“Il soccombente” e “Estinzione” su tutti). Ma non si può prescindere, per addentrarsi in quelle pagine, dal leggere tutta d’un fiato la sua storia. Bernhard lo si può rifiutare, financo odiare. Ma bastano pochi passi, poche pagine, poche ripetizioni: se scatta la scintilla, non riuscirai mai più a liberartene.
Cosimo Mongelli
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