#come potevo dirle che lo volevo io
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idettaglihere · 10 months ago
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ho trovato dai cinesi un profumo che desideravo da tantissimo, a 3.50€ una minisize ovviamente tarocca e c'era l'ultimo pezzo; lo faccio sentire a mia zia chiedendole se le piacesse e lei "buonissimo, dai dammelo che lo compro"
ok zia 🥺🥺🥺🥺🥺
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lamargi · 7 days ago
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Fu qualche giorno dopo, sistemando la sua camera. C’era un odore….inconfondibile. Non sono così vecchia da non capire o riconoscerla, la marijuana!
“E così fumi?” gli dissi più tardi, prendendolo di sorpresa. Provò a negare, ma gli dissi ridendo che era inutile. Mi pregò di non dire nulla, e gli risposi sorridendogli che avrei tenuto il segreto….solo a condizione che avesse fatto fare un tiro pure a me!
Quella sera ci sistemammo di nuovo sul divano, e ci passammo più volte lo spinello. Eravamo tutti e due rilassati, allegri, e una piacevole sensazione di calore mi percorreva il corpo.
“Aspetta qui, torno subito!”, gli dissi, “ma non te lo fumare tutto da solo!”
Quando zia scoprì che fumavo, mi sentii morire. Già mi sentivo sempre più strano, a vivere con lei. Ora, aveva scoperto il mio segreto. La cosa che mi disse subito dopo però se possibile mi scosse ancora di più. Non potevo crederci che zia mi avesse chiesto di farle fare un tiro! Ma se era lei a chiederlo….
Mi cambiai e tornai da lui. Il vestito era aderente e mi piaceva come mi modellava il corpo. Mi appoggiai mollemente sul divano sollevando le gambe. Gli dissi di farmi fare un tiro. Mi guardava. “Ti piacciono queste di calze, tesoro?” Non mi preoccupavo che il vestito già corto in quella posizione risalisse, rivelandogli anche il bordo delle calze.
Era deliziosamente affascinato, il mio nipotino, e mi fece i complimenti anche per le scarpe con il tacco che indossavo.
Fu a quel punto che, come la sera prima, improvvisamente mi chinai su di lui. Schiacciai le mie labbra sulle sue. Gli presi le guance fra due dita, costringendolo a schiudere le sue. Poi soffiai il fumo nella sua bocca, mentre con la punta della lingua gli leccavo il labbro superiore.
“Sai, ai miei tempi si faceva così….” Gli sussurrai.
Mentre ci scambiavamo lo spinello, zia aveva un’aria rilassata, quasi sognante. Accidenti non avrei pensato che una signora di quella età potesse fumare….e che se lo godesse così tanto…Ero emozionato, e turbato, anche io da quella situazione, eppure mi sentivo bene anche io…e non volevo che finisse. Per questo rimasi dispiaciuto quando zia si alzò e andò nell’altra parte della casa. Avevo forse fatto qualcosa di sbagliato?
Quando tornò, mi lasciò a bocca aperta. Aveva messo su un vestito nero aderente, e incredibilmente corto! Si sdraiò sul divano e mi chiese di nuovo di fare un tiro….Aveva delle calze velatissime, e il vestito lasciava vedere il bordo delle calze. Quelle gambe mi stavano facendo impazzire. Il mio lui si imbizzarrì dentro i pantaloni. Non sapevo che dirle. Balbettai, come la sera prima, che quelle calze erano bellissime e che le stavano bene anche le scarpe con il tacco. Mi sentivo un idiota, ma il peggio doveva venire: all’improvviso, mi afferrò il viso fra le mani, schiacciò le sue labbra sulle mie e mi soffiò dentro il fumo….forse sognai, ma mi parve che con la lingua mi leccasse addirittura le labbra….
Mi alzai e lo lasciai solo, chiedendomi se un ragazzo di quella età, così pieno di energie, si sarebbe masturbato quella notte…..
Rimasi lì come un cretino, mentre la guardavo andare a dormire. Non capivo cosa fosse successo. Come ubriaco andai a letto anche io. La testa mi girava per lo spinello…..ma quella notte mi masturbai nel letto tre volte…..e pensavo a zia Margherita!
(2/continua)
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7ostinthedream · 6 months ago
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Ieri Redacted mi ha dato il bacio del buongiorno alle 6 e io mi sono riaddormentata fino alle 7.
Ho sognato di star guardando le storie instagram di Nicoletta, che aveva messo una foto della sua pancia per far vedere che era incinta, con tanto di scritta "in dolce attesa... di nuovo". Nella storia dopo specificava che il bambino non era suo e mi scriveva per dirmi che lo avrebbe dato a noi, dato che non potevamo aver figli. Io sconvolta andavo da Redacted e gli dicevo "ma sei stato tu a dirle così?" e lui "si ne avevo parlato con suo marito... mi avevi detto che avendo il pcos sarebbe stato difficile rimanere incinta!" "difficile ma non impossibile, prima volevo provarci! e poi perché non ne hai parlato prima con me?" e insomma litigavamo un po' perché io mi sentivo (ovviamente) ferita e in ansia per sto czzo di bambino che ora non potevo rifiutarmi di adottare. Ero abbastanza disperata, tanto che dopo dovevo andare da mia mamma e non avevo idea di come spiegarle la situazione. Poi per fortuna mi sono svegliata. * Sta notte invece non ricordo come o perché però incrociavo la mia ex bff, ridevamo delle stesse cagate di 20 anni fa e poi lei voleva farmi fare un cosplay di Hazbin Hotel?? Bah
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poesiaincompresa · 1 year ago
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6/10/2019...❤🦋
Ti stai avvicinando di nuovo eh ottobre? Quanti ricordi mi ha lasciato questo mese. Ricordo quel giorno come se lo sentissi indelebile sulla mia pelle, l'emozione di passare un po' di tempo insieme a lei al di fuori della scuola, tranquillizzarla per quello che le stava succedendo in quel periodo, la nostra prima uscita, volevo che fosse tutto perfetto sapete? Volevo che per la prima volta tra me e lei si sentisse sul serio quel rapporto normale da migliori amiche come per dire "oggi non me ne frega di nessuno, perché l'unica cosa che voglio è stare insieme a lei e farla stare bene" ci dovevo riuscire perché vederla stare male ogni volta mi distrugge, non capivo cosa mi tenesse agitata forse la bugia che avevo dovuto raccontare a mia nonna, non avrei potuto dirle "Vedi che con mio padre sto andando a prendere Roberta, perché vogliamo uscire..." mi avrebbe fatta uscire da casa dentro una cassa funebre, e allora ho preferito mentirle come sempre. (A quel tempo non avevo ancora la patente quindi mi sono dovuta accontentare del fatto che mio padre volesse aiutarmi) sostanzialmente ha solo peggiorato le cose ancora di più, se non fosse stato per lui non l'avrei vista ma avrei preferito non farle sapere che nella mia famiglia non si salva nessuno e sono tutti una merda. Avrei voluto che fossimo solo io e lei...perché lei è l'unica che riesce a capire tutto questo.😓💔
Appena la vidi il mio cuore si è illuminato, iniziammo a ridere come due cretine perché noi siamo fatte così senza un motivo apparente ci guardiamo e ridiamo perché ci va, perché quando siamo insieme non c'è cosa più bella di queste nostre risate solo il pensiero di averle fatto passare una serata diversa e averla ascoltata fino allo sfinimento mi ha fatta stare bene, era la prima volta che vedevo con quanta tranquillità e pace si stesse confidando, vedevo in quei suoi occhi un mare di cose, per la prima volta la vidi sicura di affidarmi il suo cuore tra le mani. Lo apprezzai tantissimo. ❤ Con cura cercai di accarezzarlo e nel frattempo che lei parlava confidandomi i suoi punti deboli io stavo lì ferma, ad ascoltarla persa in quella voglia di non farla più tornare a casa e portarla via per sempre, vedevo il tempo scorrere ma non mi importava di nulla...non l'avrei mai interrotta perché i suoi problemi sono i miei e bisognava trovare una soluzione insieme, in quel momento era lei l'unica mia priorità, mi sarei addormentata su quella panchina tenendola stretta e farla svegliare dolcemente alle prime luci dell'alba e riaccompagnarla a casa avendole regalato un'alba, la più bella che potesse mai nascere. Questo avrei voluto fare.💫🌅 Si...ti avrei voluto regalare l'alba del giorno dopo non una stupida collana con la croce.
E subito dopo quell'abbraccio che mi fece tremare, mi ha smosso qualcosa che non sono mai riuscita a spiegare, mi ha terrorizzata in maniera positiva, in quelle braccia sentivo finalmente di aver trovato la mia casa, il mio posto sicuro, la mia tranquillità, era tutto quello che volevo non potevo spiegare a parole tutta la felicità che provavo in quel momento.
Niente e nessuno poteva rovinare ciò che di bello stavo sentendo dentro, nemmeno mia nonna con le sue sberle e i lividi che mi ha lasciato. Per lei ne è valsa la pena, mi farei picchiare altre 100, 200, 300 volte solo per avere un'altra serata come quella lì insieme a lei. Pagherei qualsiasi prezzo. Sono rientrata con il cuore pieno di felicità e quell'abbraccio che mi porterò dentro per tutta la vita. Un abbraccio che ti rompe le costole ma ti aggiusta il cuore.
Cazzo se mi manchi...😭
Spero tu possa ritornare qui per darmi la possibilità di stringerti più forte stavolta giuro che non ti lascio andare via, io resto con te, non vado da nessuna parte...nel frattempo mi accontenterò di accarezzare scricciolo e tutte le volte che avrai bisogno di essere stretta forte sappi che lo sto già facendo da una vita intera. ❤🐿
@occhicastanitristi-blog @cuoregelidoo-blog @delusa-da-tutti
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lastanzadeipensieri · 2 years ago
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Posti nuovi, vecchie sensazioni.
Ho sempre avuto bisogno di un posto per i miei pensieri.
Un posto libero da giudizio, senza la paura del giudizio altrui.
Anni fa scrivevo qui, sotto un altro nome che non esiste più; poi qualcuno a cui voglio molto bene mi ha detto che rendere pubblica la mia vita privata fosse da stupidi, da bambini.
E così mi sono vergognata così tanto di quello che avevo scritto che ho eliminato tutto.
Non scrivevo affinché fosse destinato alla lettura di altri. Mi serviva per esprimermi, per buttare fuori delle cose che non potevo e non volevo dire a nessun altro.
Tipo che amavo un altra persona a discapito di quella con cui intrattenevo una relazione.
Ho fatto molti errori, uno di questi è stato cancellare quel blog.
Ci sono tante cose che vorrei rileggere della me adolescente.
È vero che certi aspetti di quella persona non esistono più; tanti altri non hanno mai smesso di accompagnarmi.
Il bisogno di scrivere è sempre tornato da me, perché ho bisogno di dire le cose che sento a qualcuno. Alcune di queste cose non riesco neanche a dirle alla mia psicoterapeuta, la persona che mi giudica meno dell’universo e che pago per far sì che le mie turbe siano ascoltate.
Riesco a scriverle qui. Forse perché so che nessuno le leggerà mai.Un posto sicuro.
Vorrei rivivere attraverso la lettura, le stesse emozioni di quando ero pazza di P.
Di quando ho capito di averlo ferito.
Di quando ho conosciuto F.
Di quando mi sentivo estremamente bene nel mio corpo ma solo se lo vedevo riflesso negli occhi di altri che mi desideravano.
E ora?
Ho un po’ di anni in più, esperienze di vita in più ma a volte mi manca essere quella persona e provo a immaginare cosa sarebbe successo se non avessi mai fatto le scelte che ho fatto.
Mi fermo quasi all’istante. Non posso saperlo.
Ho ricominciato a scrivere nelle note del telefono, ma volevo un posto che “simbolicamente” contenesse uno storico delle mie emozioni.
Emozioni che sono in turbinio per quello che sto provando per E.
Mi piace passare tempo con lui, e sentirmi in una situazione un po’ imbarazzante in cui percepisco che abbiamo un sacco di cose in comune; percepisco che lui abbia un interesse per me (o forse è quello che voglio credere) e mi piace da matti.
Mi fa sentire desiderata.
Sto tremando mentre scrivo questo. È quello che mi succede quando sento quel mix di farfalle nello stomaco, ansia e agitazione, fermento e piacere che mi pervade quando mi piace qualcuno.
E. mi piace. Non lo conosco molto bene ma quello che vedo di lui mi piace.
Mi piace la forma del suo corpo, mi piace il suo profilo, e le sue spalle. Mi piace da matti il suo culo. Dio che chiappe.
Mi piace sentirmi desiderata da lui e attirare la sua attenzione.
E fin qui nessun problema, giusto?
In realtà questo film io L’ho già visto.
In realtà io sono in una relazione stabile con F. e forse non dovrebbe piacermi così tanto E.
O forse è lecito che accada ma sento che essere desiderata da F. non mi appaga più come prima, perché?
Perché nei meandri della mia testa è più appagante l’idea fugace di un amore nuovo invece che la sensazione di stabilità e sicurezza che mi da F.?
L’ho già visto questo film perché è la stessa cosa che è successa con V.
Ho ferito V. Perché volevo a tutti i costi P. e poi ho ferito anche P. dopo che lui mi desiderava.
È andato tutto così male.
Non mi sono mai scusata nè con V. nè con P. e mi sento uno schifo per quello che ho fatto.
Tuttavia non sono sicura che le mie scuse sarebbero servite a qualcosa.
Adesso sento qualche analogia con questa situazione e non voglio ferire F. Non credo che sarei disposta a barattare la mia relazione con lui per qualche momento di piacere con E.
Ma mi piacerebbe da matti.
C’è così tanto da buttare fuori.
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yomersapiens · 3 years ago
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Occhio non vede, comunque un po' duole.
- Puoi smetterla di fissarmi? - Veramente sono perso a rimirare il vuoto della mia esistenza. Le dico mentre ritorno in me stesso. Mi dimentico sempre cosa comporta l'andare a scrivere in luoghi pubblici. Poi devo giustificare i miei momenti di assenza dal pianeta, quando mi perdo in chissà quale pensiero che mi porta lontano migliaia di chilometri. È che a casa non riesco a scrivere bene, c'è troppo silenzio. Ho bisogno di percepire un minimo la presenza di altri umani altrimenti come diavolo li aggiungo alle mie storie.
È tornato il freddo. Forse non se ne era mai andato davvero. Però sto facendo il duro io. Col cavolo che torno a mettere la giacca invernale. Eh no bella mia, hai avuto il tuo momento quest'anno, ora basta, ora lasci il posto a qualche tua sorella più leggera e chi se ne importa se ciò mi porterà ad avere mal di pancia e mal di testa e le ossa che che gracchiano ad ogni passo.
Quando arriva il primo sole primaverile Vienna diventa splendida. Vorrei invitare tutti qua a goderne. Ma poi ognuno arriverebbe da una parte diversa del mondo e questo rovinerebbe la sorpresa. Perché Vienna diventa splendida in primavera proprio per quanto fa cagare durante l'inverno. Se non ti becchi i lati negativi di Vienna, come potrai assaporare quelli positivi? Verreste qua a dire "Bellina eh, ma da noi il sole è più splendente e le temperature più morbide e le serate più piacevoli, i colori più accesi, le piante più rigogliose". Ecco sapete che c'è, fate finta di niente. Non ho detto nulla. Statevene dove siete e via così, torniamo ad ignorarci e lasciatemi solo nel godere di questo pallido momento di gioia. Perché tanto Vienna, è come un genitore di quelli che vuole crescere un figlio perfetto e bravissimo a scuola: non appena vede che sei felice di quello che sta accadendo corre subito a ricordarti quanto la vita è fatta di dolore e impegno e serietà e lavoro. Per questo poi torna il freddo. Perché ho un botto di cose da fare e mica mi metto a farle se c'è il sole. Se c'è il sole io vado al bar e mi metto a bere birra e guardare punti nel vuoto che poi guardacaso coincidono con scollature di ragazze che probabilmente nascevano quando io mi diplomavo.
Avevo fame. Quel languorino prima di cena che non può trasformarsi in qualcosa di troppo impegnativo, deve restare un boccone, un intervento minuto per alleviare il senso di solitudine nello stomaco. Così sono andato al supermercato perché fanculo a tutto, sono disoccupato ma un premio me lo merito. Scorrevo i bancali di prodotti attraenti, soffermandomi sulle novità. Poi sulle golosità. Poi sulle offerte perché resto pur sempre disoccupato. Potevo permettermi tutto, ogni cosa avessi voluto. Volevo viziarmi. Ecco questa barretta cioccolata e burro di arachidi proveniente da chissà quale nazione fa proprio al caso mio. Stavo per comprarla ma poi si è svegliata la voce interiore, quella che è come una madre, anzi, forse è proprio la voce di mia madre, per dirmi di non farlo. "Guarda la tua pancia, ce la stavi facendo a farla andare via e invece guardala, ancora lì, sempre presente". Ho provato a spiegarle che ci sono ragazze a cui piace, lo giuro. "Certo, continua a ripetertelo, sappiamo tutti e due la verità". Così ho comprato una mela e ho mangiata la mela per strada, al freddo. Devo ricordarmi di chiamare mia madre più spesso e dirle quanto sono felice che viviamo in città diverse.
Ero in ospedale per la prima iniezione della nuova terapia. Nella stanza eravamo in quattro, io ero il più giovane di almeno quarant'anni. Fa ridere se ci penso. Devo fare le stesse iniezioni degli ottuagenari. L'infermiera ad un certo punto urla "Ohi junge Mann!" ma io non mi giro, perché non mi sento il più giovane della sala. Deve ripeterlo un paio di volte per attirare la mia attenzione. La guardo e le dico di essere lusingato ma che comunque i miei 38 anni li ho tutti. Lei mi dice di fare meno il modesto e per una volta di accettare un complimento. Come fa a sapere che i complimenti mi mettono in difficoltà? Che anche lei sia una voce nella mia testa creata per sostituire l'assenza di mia madre? Entro nella sala operatoria vestito come se dovessero aprirmi il torace e infilarmi dentro un reattore nucleare ma in realtà si tratta di una cosa molto veloce. Mi fanno stendere, il dottore prende un divaricatore, lo infila sotto le palpebre dell'occhio designato, poi prende una pinza, blocca i movimenti del bulbo, prende la siringa e mi dice "Sentirà un piccolo pop quando l'ago entra" e l'ho sentito tutto. Nonostante l'anestesia. Ho sentito molto più di un piccolo pop. Ho sentito l'urto di una batteria di cristallo lanciata dalla cima di una torre. Sono uscito dal mio corpo e ho visto l'ago infilarsi e scavare. È stata la scena del Cane Andaluso di Bunuel, su di me, senza controfigura o effetti speciali. Mi sono alzato poco dopo, completamente frastornato e sono tornato nella stanza con i miei compagni di avventura. La vittima successiva era una gran figa di almeno 82 anni. Mi ha detto che per lei non era la prima volta, che fa paura ma poi ti ci abitui. Ho aspettato uscisse per vedere come stava. Io stavo di merda ma io ero il junge Mann, io dovevo essere stoico. Ci siamo tolti il camice e la cuffia e le cuffie per le scarpe e ci siamo seduti in silenzio nella sala d'attesa, entrambe con un occhio rosso e gonfio e dolorante. "Prende anche lei la Ubahn?" mi risponde di sì, con una voce di carta velina. "Perfetto, anche io, ci andiamo insieme" e il suo braccio caldo infilato sotto al mio mi ha fatto bene, Vienna non era fredda, mia madre non era distante, io non ero giovane, avevo la sua età. Forse ero suo marito o forse ero solo un amante, devo ancora decidere.
Dopo due settimane l'occhio si è ripreso e ora sta meglio di prima. Mi sono scordato del dolore. Che poi, non è sempre così, che ci si scorda facilmente del dolore? Non è un sistema di difesa del nostro corpo (o cervello) il cancellare il ricordo del dolore? Per riuscire ad andare avanti senza vivere nella paura costante di un ritorno. A me non riesce tantissimo. Mi alleno molto nel ricordare tutto ma di questo dolore specifico mi sono voluto dimenticare. Forse perché dovrò affrontarlo una volta ogni tre mesi ma poco importa. Il mio occhio sta bene e posso stare all'aperto quando c'è il sole senza occhiali! Tanto il dolore torna sempre, in qualche forma diversa, nuova, sorprendente. Ma i minimi momenti di gioia vanno assaporati. Tipo la primavera a Vienna. O una pluriottantenne che orgasma e invoca il nome del defunto marito e gli chiede scusa per aver ceduto alle lusinghe di uno junge Mann.
Questo non è vero, lo sappiamo, ma l'ho dovuto dire alla ragazza che mi ha beccato a fissarle le tette. "Giuro mica le stavo guardando e poi senti, sono pure fidanzato, ecco, è lei, ci siamo conosciuti in ospedale e ci amiamo molto".
Aspetto il ritorno della primavera per mettere alla prova la resistenza del mio occhio potenziato e tra tre mesi ribecco quella gran figa di ottanta e passa anni e sta volta non la accompagno solo alla Ubahn eh no, la porto pure al cimitero a visitare la lapide del defunto marito, perché comunque voglio essere carino, gentile e rispettoso prima di buttarglielo un casino.
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intotheclash · 3 years ago
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"Ecco Bomba!” Annunciò Sergetto, indicando una figura massiccia che proveniva ciondolando dal corso. Non aveva un bell'aspetto, almeno da lontano. Sembrava stanco, o triste, o incazzato, o tutte e tre le cose insieme. Camminava curvo, con lo sguardo a terra e le mani insaccate per bene nelle tasche dei pantaloni. Non era uno spettacolo che trasmettesse proprio allegria. “Che ti succede, Bomba? hai una faccia!” Chiesi. “Mi girano i coglioni!” “Allora non è un gran danno. Con quelle palline piccole che ti ritrovi, nemmeno dovresti farci caso.” Lo punzecchiò Tonino. Bomba non lo degnò di una risposta, neanche di uno sguardo. La situazione doveva essere grave. Si sedette pesantemente sugli scalini e si prese il viso tra le mani, sprofondando in pensieri che sembravano belli pesanti. Era il momento di farci sentire. Di dimostrargli che il branco era con lui e che non l'avrebbe lasciato solo. Di qualsiasi cosa si trattasse. “Cosa c’è che non va, amico?” Chiesi di nuovo. “Niente va!” rispose rabbioso, “Ieri sera sono tornato a casa mezzo morto dalla fatica. Mezzo morto, ma felice. Sapevo che stavo facendo la cosa giusta. Che stavamo facendo la cosa giusta. Ero fiero di me stesso come non lo sono mai stato e volevo che anche mia madre lo sapesse. Volevo che, in qualche modo, anche lei fosse fiera di me. Di me e di voi, amici miei. Sono entrato in casa e lei era lì, è sempre lì, tutto il santo giorno!” “Lì dove?” Domandò il Tasso per tutti noi. Bomba si voltò a guardarlo, come se fosse la domanda più stupida del mondo, poi realizzò che noi non potevamo sapere, così ce lo spiegò: “Davanti all'altarino di mia sorella, quella che è morta. Ci passa quasi tutta la giornata, sembra sia l'unica cosa che le interessi. E ci parla pure! Parla più con lei che con me. Anzi, con me, evita proprio di parlare, quasi fossi io il morto!” Iniziò a singhiozzare, il pianto stava prendendo il sopravvento, ma non aveva ancora finito di parlare. C'era altra merda da far venire a galla. “l'ho salutata, ho provato a dirle qualcosa, ma, non appena ho aperto bocca, lei mi ha fissato con aria di rimprovero e mi ha fatto segno di tacere. É tornata a parlare con la mia sorellina, le sorrideva anche. In quel momento, incazzato com'ero, sono stato quasi contento che fosse morta. Poi però mi è subito dispiaciuto e mi è venuto da piangere.” “Lo dico sempre che tua madre è una stronza!” disse soddisfatto il Tasso. “Piantala, coglione!” Lo rimproverai cattivo. “No, no, lascialo stare, Pietro, forse ha ragione lui. Poi non ho finito.” Tirò fuori dalla tasca uno di quei fazzoletti di stoffa che, ora, non esistono più, perché estinti a causa di quelli di carta, si asciugò, alla meglio, le lacrime, si soffiò rumorosamente il naso e proseguì:“ Visto che non mi cagava, me ne sono andato in cucina e mi sono preparato un bel panino. mi era venuta una fame della Madonna.” “Cazzo, Bomba, quando ti hanno fabbricato, si sono dimenticati di farti il fondo!” Lo rimproverò Sergetto. “Ma come avevi fame? A casa del Maremmano, se non scappavano, ti mangiavi anche i suoi genitori!” rincarò la dose il Tasso. “Avevo fame e basta! Non mi va di discutere, ora! Avevo appena dato il primo morso che entra in cucina quella testa di cazzo di mio padre. Ogni volta che ti vedo, stai con qualcosa in bocca! Guardati come sei diventato, sei grasso come un maiale. E sei pure sporco e sudato come un maiale, si può sapere dove sei stato? Mi ha detto, con aria schifata. Io non ci volli far caso, nonostante tutto, ero ancora troppo contento per come era andata la giornata. Avevo ancora voglia di raccontare e lo feci, ora so che non è stata una buona idea. Lui si versò un bicchiere di vino e ascoltò tutto, senza fiatare…” “Un bicchiere di vino? Un altro?” Commentò Schizzo. Lo fulminai con gli occhi, avevo proprio voglia di dargli una bella strigliata, sapevamo tutti come stavano le cose, non dovevamo, per questo, sbattergliele in faccia. Era da stronzi. Fui stoppato da Bomba stesso, che mi aveva capito al volo. “Lascia stare, Pietro, Schizzo ha ragione. Sono stanco di far finta di niente e non ho più voglia di difenderlo. Non si merita niente! Ha ascoltato per intero e, quando ebbi finito di parlare, mi ha guardato con compassione e disprezzo. Si è acceso un sigaro e mi ha detto: siamo sicuri che sei figlio mio?” “Ma che bastardo!” mi scappò detto. Me ne pentii subito, in fondo, era sempre suo padre. Bomba non se la prese affatto, mi sorrise, mi cinse le spalle con uno dei suoi enormi braccioni e confermò: “Proprio così: un vero bastardo! Ha anche aggiunto che avrei fatto meglio a starmene zitto, perché solo un idiota come me poteva essere felice di lavorare senza essere pagato. Come me e come voi. Ha concluso dicendo che sarebbe andato a cercare il padre del Maremmano e gliene avrebbe dette quattro a quello sfruttatore di ragazzini.” Aveva ripreso a piangere. Ormai aveva rotto gli argini e, tra le lacrime, arrivava a valle anche una montagna di rabbia repressa. “E tu cosa hai detto?” Chiese Sergetto. “Mi sono incazzato come un lupo! Ero triste, ero deluso, ero impaurito, piangevo anche, ma soprattutto ero incazzato nero! Gli ho urlato che non aveva alcun motivo per trattarmi così e che ci sarei tornato pure oggi. Che nessuno me lo avrebbe potuto impedire. Al che lui mi si è fatto sotto e mi ha mollato una sberla in faccia, dicendomi che io potevo fare solo quello che decideva lui. E lui aveva deciso che non sarei più tornato dal Maremmano, altrimenti sarebbero stati cazzi miei. E anche vostri, visto che mi ci avevate trascinato voi.” “E tu cosa gli hai risposto?” “Niente, non me ne ha dato il tempo. Fatta la sua predica se ne è andato, convinto di aver sistemato le cose.” “Quindi non puoi venire?” “Certo che vengo! E’ questa la mia risposta! Che se ne vada affanculo, lui e i suoi ordini!” Concluse, alzandosi in piedi, determinato come non l'avevamo mai visto prima. Lo abbracciammo tutti, complimentandoci con lui e ripetendogli che era un grande. Stavamo trasformando il senso di impotenza e la rabbia in festa, come solo i ragazzini sanno fare. Fu proprio abbracciati, che ci trovarono il Maremmano e suo fratello quando arrivarono inattesi. “Possiamo unirci anche noi?” Disse Antonio, sovrastando il nostro vociare scomposto. Ci bloccammo all'istante, la nostra attenzione, ora, era tutta per i nuovi arrivati. Non ricordo se fossimo più stupiti, o più felici di vederli. “Cosa stavate festeggiando?” “Non stavamo festeggiando, stavamo consolando Bomba.” Rispose Schizzo. “Consolando? Per cosa?” “Perché suo padre è un pezzo di merda.” Schizzo si guardò in giro con fare distratto, si guardò a lungo le mani, poi aggiunse: “ Anche se, pure il mio, non scherza!” Antonio rimase perplesso, logico, non poteva capire. Mica lo sapeva come stavano le cose, così esortai Bomba a raccontare tutto anche a loro; dovevano sapere, c'entravano anche loro. In principio fece resistenza, non voleva starci, si vergognava, aveva paura che si arrabbiassero, o, peggio ancora, che si offendessero. Insistemmo e, alla fine, cedette, si decise a spifferare tutto. Alla fine del riepilogo, Antonio abbozzò un lieve sorriso, anche se, a me, sembrò triste e amareggiato; e aveva tutte le ragioni per esserlo. Abbracciò Bomba, probabilmente facendo attenzione a non stritolarlo, e disse: “Su, caccia via quelle lacrime, amico mio, non dare troppo peso a questa faccenda. Forse tuo padre era stanco, o già arrabbiato per motivi suoi e non ha capito. Io sarei stato fiero di te! Io sono fiero di tutti voi. E sono convinto che il mio fratellino non avrebbe potuto trovare amici migliori.” “Grazie, Antonio, io solo questo volevo. nient'altro. Non c'era neanche bisogno che dicesse qualcosa, figurarsi se mi aspettassi un complimento, o una parola buona..da mio padre. Mi sarei accontentato di una faccia soddisfatta. Una faccia che mi avesse fatto capire che… insomma, che ero stato bravo. Tutto qui. Sono sicuro che i loro padri, quella faccia, l'hanno fatta.” Concluse, indicandoci con il mento. Ci fu un momento di imbarazzo, chi per un motivo, chi per un altro, non avevamo tanta voglia di rispondere; ma ci aveva chiamati direttamente in causa, non potevamo sottrarci. “In effetti, mio padre, mi ha abbracciato e mi ha detto che ero stato in gamba.” Disse sottovoce Tonino, non voleva ferire ulteriormente Bomba, il confronto tra i loro genitori era improponibile. “Il mio, per la prima volta da quando mi ricordo, ha detto che era orgoglioso di me. E di voi. mi dispiace, Bomba.” Sussurrai, quasi a scusarmi del privilegio. “Non devi dispiacerti, Pietro, tuo padre è uno in gamba. Anche tu devi essere orgoglioso di lui.” Rispose, ma si vedeva bene che era ancora triste. “Io con il mio non ci parlo mai. non ho detto niente, tanto sarebbe stato come parlare al vento.” Confessò Sergetto. E lo fece col tono di chi dice qualcosa di scontato, qualcosa che, in fin dei conti, non lo riguarda più di tanto. Il tono del Tasso, invece, viaggiava a metà tra l'esagerato ed il divertito, quando disse: “Adesso ti tiro su io il morale, Bomba! Ieri sera, anch'io, come tutti voi, ero felice e non vedevo l'ora di tornare a casa per raccontarlo a qualcuno. Raccontare di quanto ero stato bravo. Sono entrato di corsa in cucina, ma mia madre non c'era, c'era solo mio padre, stravaccato sulla poltrona, davanti al televisore. Beh, meglio di niente, ho pensato e gli ho detto: papà, lo sai dove sono stato oggi? E lui, senza neanche guardarmi: no! E non lo voglio sapere! Ora togliti dai coglioni, che devo guardare il telefilm! Che dici, Bomba? Si fa a cambio? Mio padre in cambio del tuo, ci stai?” La spontanea e travolgente risata di Bomba fu la più bella delle risposte. Era rimasto solo Schizzo. Era naturale che rivolgessimo la nostra attenzione verso di lui. Schizzo ci guardò ad uno ad uno, poi chiese a bruciapelo: “ E allora? Che cazzo volete da me, adesso?” Inutile dire che ridemmo di nuovo. Tutti, anche il Maremmano e Antonio, che doveva aver iniziato a capire come era fatto quello strano essere. “Su, dicci di tuo padre. Che ti ha detto?” Lo incalzò Tonino. Schizzo fece un salto improvviso e andò a nascondersi dietro l'albero più vicino. Si guardò furtivamente intorno poi chiese a bassa voce: “Dove sta mio padre? Dove l'avete visto? Non posso farmi vedere insieme a voi. Dice che non ci state tanto con la testa e che, se continuo a frequentarvi, va a finire che divento scemo pure io!” “Allora vieni qua, idiota, che il danno già è stato fatto!” Gli gridò contro il Tasso. “E sembra pure irreparabile!” Aggiunse Tonino. Antonio se la rideva come fosse uno di noi e dava certe manate sulla pietra della fontana che sembrava volesse ucciderla. D'un tratto si fece serio, ci chiamò a raccolta, aspettò che rientrassimo nei ranghi e ci parlò. “Ho delle cose da dirvi, ragazzi. Il nostro vecchio è rimasto molto impressionato dal vostro gesto. Avete fatto centro. Era davvero commosso e ha deciso di togliere, a Pietro, la punizione. Avete saldato il debito. Non solo, visto che avete lavorato sodo, ha anche deciso che meritate di essere pagati. La paga di un giorno  di lavoro nei campi.” Mise una mano nella tasca posteriore dei pantaloni, tirò fuori il portafoglio e ne estrasse un mazzetto di banconote da mille. “Ecco, lui dice che duemila a testa dovrebbero andare bene. altrimenti non vi resta che rivolgervi ai sindacati.” Cazzo, duemila lire? Ciascuno? erano una fortuna! Nessuno di noi aveva mai posseduto quella cifra tutta insieme. A Natale, forse, sommando le mance. Mance che, regolarmente, ci passavano sotto gli occhi e messe via subito dopo dai nostri genitori, per quando ci sarebbero serviti, dicevano. Pure se, a noi, sicuro, sarebbero serviti immediatamente. Restammo a bocca spalancata ed occhi sgranati per un bel po’, offrendo un inaspettato, forse anche gradito, ricovero a tutti gli insetti di passaggio in quel momento. Il primo a riaversi dalla sorpresa fu il Tasso, che si avvicinò ancor di più ad Antonio e disse:“ Fammi capire bene, gigante, tuo padre ti ha dato quei soldi per noi?” “Esattamente, mio giovane amico.” “Duemila lire a testa per quella stronzata di lavoro?” “Questo è ciò che ha stabilito il grande capo bianco. Se vi sembra poco prendetevela con lui, non con me. Io non c'entro, ho solo fatto una commissione.” “Prendermela con te? Ma tu: ti sei mai guardato allo specchio?  Cazzo, sarò stupido, ma non fino a questo punto! Non ti direi niente neanche se uccidessi mio padre. Anzi, pur di non farti arrabbiare, ti farei anche i nomi di tutti i miei parenti. Anche i loro indirizzi ti darei! Volevo soltanto dire che, se il tuo vecchio paga così bene, abbandono subito la scuola e vengo a lavorare da voi. Tanto più che la scuola mi fa cagare.” E sembrava che stesse valutando sul serio la possibilità. Antonio si inginocchiò, gli lisciò la testa quadrata e gli disse calmo: “Forse è meglio che continui la scuola, giovanotto, per lavorare c'è sempre tempo. Devi studiare e mettici impegno, così, da grande, non ti farai fregare da quelli che hanno studiato. Ora avvicinatevi tutti, ho da darvi quello che vi spetta. Su, non fatevi pregare!” Certo che non ci facemmo pregare, in mezzo secondo eravamo appiccicati ad Antonio, pronti a ricevere la nostra, inaspettata parte. ci strinse la mano, uno per uno, e ci diede le duemila lire pattuite. L'ultimo era Bomba, quando toccò a lui, il gigante lo fissò, si alzò in piedi, rimise in tasca i soldi e:“A te niente.” Disse. Bomba fece una faccia che… che erano cento facce insieme, con la sorpresa che dominava su tutte le altre. Anche noi eravamo stupiti non poco, come? A Bomba niente? Antonio ci lasciò in sospeso per qualche istante, godendosi le nostre facce smarrite, poi prese il nostro amico per mano e gli parlò. “Andiamo, anche tu, chiaramente, come gli altri, ti sei meritato la tua parte, ma voglio dartela davanti a tuo padre, che sappia anche lui quanto sei stato in gamba.” Fece per muoversi, ma si bloccò subito dopo. si guardò in giro con aria smarrita e domandò: “ Dove lo troviamo tuo padre? Dov'è che lavora?” “Lavorare? Il padre di Bomba? Cazzo, Antonio, questa si che fa ridere di battuta!”  lo prese in giro il Tasso. “Piantala, coglione!” Ruggì Bomba, recuperando, vai a capire da dove, un pizzico di amore filiale. “Visto che ti piace fare lo stronzo, perché non ci dici dove lavora il tuo di padre?” Il Tasso non rispose subito, si grattò la testa, poi il mento, poi le orecchie, con tutte due le mani, voleva farci credere che ci stesse pensando su, ma, a noi, sembrò soltanto che avesse la rogna. Il Tasso che pensava, chi mai ci avrebbe creduto! “Un po’ qui e un po’ là.” rispose, “Ma la maggior parte del tempo la passa con tuo padre. Diciamo pure che sono colleghi!” “E dove li posso trovare?” Insistette Antonio. “Al loro cantiere preferito. Al Bar di Piazza. Tressette e vino bianco, si fanno certe sudate!” “Bene, allora andiamo dal tuo genitore, giovanotto. Sistemiamo questa faccenda.” Disse ancora il gigante, avviandosi e tenendo sempre Bomba per mano, che sembrava un filo imbarazzato. “Possiamo venire anche noi?” Chiese Schizzo con una vocetta supplicante. “Grazie dell'aiuto, ma non è necessario. Possiamo farcela anche da soli.” “Eccome se è necessario!” si intromise di nuovo il Tasso, “Casomai tu, per spiegargli bene le cose, fossi costretto a suonargliele, io voglio esserci!” “Ma io non devo picchiare nessuno. Voglio soltanto far capire al papà di questo ometto che figlio in gamba che ha.” “Si, ma ammettiamo che proprio sia duro, che proprio non voglia capire e tu debba aiutarti con qualche sganassone, io devo esserci, non ci sono santi! Devo perché, almeno, potrei indicarti  anche mio padre, vorrei che spiegassi la stessa cosa anche a lui. E con lo stesso metodo!” “Bene, mi arrendo, non posso farcela contro di voi.  Ma avete la mia parola che non ci saranno violenze. Non servono. Tra persone civili, bastano le parole.” E ci fece segno di seguirlo. Certo, facile per uno come lui, pensai, chi era quel matto che avrebbe voluto farci a pugni? Meglio parlarci, perdio! Molto meglio! Come previsto, li trovammo al bar, a giocare a carte. C'erano sia il padre di Bomba, che quello del Tasso, più altri due anziani che conoscevamo solo di vista. Purtroppo Antonio aveva ragione: niente violenza. niente cazzottoni, o tavoli sfasciati in testa, come nei film di Bud Spencer. Bastò la sua ingombrante presenza a far si che si cagassero sotto; tutti e quattro. Non potevo certo dar loro torto. Il gigante si presentò, strinse loro le mani e, credo, esagerò un po’, vista la faccia sofferente che fecero. Ci venne da ridere, ma ce ne guardammo bene dal farlo. Una volta ottenuta l'attenzione, si piazzò di fronte a quel fifone tremolante del padre di Bomba, elogiò a lungo il nostro amico e lo ringraziò pubblicamente, il messaggio era chiaro: chi lo toccava avrebbe dovuto, necessariamente, fare i conti anche con lui. Alla fine, a scanso di equivoci, pretese di pagarlo. Lì, di fronte a tutti. Non ci furono obiezioni. Salutò cordialmente, offrì un giro di bevute ai presenti e uscì con molta calma dal locale. Noi dietro, come fedeli cagnolini, scodinzolando festosi e al sicuro. “Certo, Bomba, che tuo padre ha fatto una gran bella figura di merda!” Sibilò, felice, il Tasso. “Perché il tuo, invece, che figura ha fatto?” “Di merda! Anche il mio! Ma, a me, fa più ridere quella che ha fatto tuo padre!"
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benzedrina · 4 years ago
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Martedì. Stanco. Mi sono svegliato tardissimo perché tutte le sveglie si sono perse nel cellulare che, contentissimo di farlo, si è scaricato di notte. Ho dormito con la finestra chiusa. Mi sono svegliato con il naso tappato più del solito e il cervello in confusione. Ho fatto colazione al volo, non c'era bisogno. In questi giorni faccio colazioni veloci. Un caffè. Due biscotti. Ho perso l'abitudine di fare una lunga colazione. F mi chiama, dice che è per strada, che è riuscita a scappare da casa sua in cui le hanno imposto una quarantena inutile per un contatto con un probabile positivo. Peccato che lei usi questo contatto come scusa per poter venire da me. Lunga storia fatta di padri fascisti e mamme insoddisfatte che riversano l'odio su una figlia innocente e di figli innocenti che vorrebbero solo vivere la loro vita. Scappa da me. Doccia veloce. Sale. Scopiamo con Bjork in sottofondo (Telegram/Post ndr). Alle 2 va via. Mi faccio un'altra doccia.
Pranzo con carne e spinaci e mela caramellata (sto provando diversi modi per usare le mele in contesti salati). L mi manda un messaggio, L'ho fatto, Cosa?, L'ho lasciato. Sta male. Sta malissimo. Era 2 anni che doveva farlo. Scendo e vado in libreria. È una piccola e lunga libreria. Una Mondadori qualunque. Le commesse hanno confidenza con me. Una di loro sa cosa potrebbe piacermi e me lo propone. Solitamente sono fumetti. Ogni volta che vado mi prepara una piccola chicca che o compro per me o regalo a qualcuno. Oggi non ero in vena di fumetti. È da qualche settimana che non sono in vena di fumetti. È un periodo in cui non sto disegnando. In compenso sto fotografando un sacco. Cerco un piccolo libro della Taschen su Lindberg. Hanno solo quello gigante. Prendo Ritratti di McCurry e Il mestiere di vivere di Pavese. Il secondo è un regalo. Per L. Le ho pure preso dei dolcetti che le piacciono. Chiedo di ordinarmi un libro. Araki by Araki sempre della Taschen. Ora vai a vedere perché la mia testa si sia fissata in questo periodo per Araki. Una ragazza che passa di lì si ferma. Mi fissa. Conosci Araki?, Certo, Grazie, Perché?, Nessuno dei miei amici lo conosce e tu sei la prima persona che lo nomina. La commessa inizia a farmi il pacchettino. Non so bene quando io abbia detto che Pavese era un regalo. Ero preso da questa ragazza con i capelli ricci e gli occhi vispi che mi fissava con sguardo incredulo, come se avessi formulato chissà quale formula magica. Che ti prendi di Araki allora?, Araki by Araki, Ah, no perché io ho Tokyo Lucky Hole, se vuoi te lo presto. Non ricordo bene il continuo. Forse ci siamo scambiati il contatto di Instagram. Ero preso da questo magnetismo che m'ha fatto suo. Sono bastati due occhi vispi e molta spigliatezza. Esco dalla libreria che manco volevo il pacchettino regalo perché dovevo scrivere una dedica.
Vado a casa di L. Lei è in doccia. La sorella mi scrocca da fumare. Dice che ha pianto tutto il pomeriggio per la rottura di L. L'ho abbracciata. L esce dalla doccia e mi viene ad abbracciare in accappatoio. Non mi da molti abbracci. Apprezza il regalo e il dolce. L guarda che ti conviene leggerlo tra un po', questo libro è molto tosto, è il suo diario, Ah bene. Le scrivo la dedica mentre lei si asciuga e si cambia di fronte a me. Di preciso non so quando abbia iniziato ad avere questa confidenza e mancanza di pudore con lei. Ci spogliamo e ci vestiamo nell'indifferenza generale dell'altro. L mi chiede se può passare dopo a casa. Certo, casa è sempre aperta per te. Mentre vado via propongo alla sorella di fare qualche foto in giro e usare lei come soggetto. Ovviamente accetta. Vado dai miei. Scrocco una cena e gioco a CTR con mio fratello. Era in videochiamata con altri suoi amici. Per loro sono un Dio nerd da quando feci vedere il livello raggiunto a un gioco. Ci passiamo più di 10 anni di differenza. In strada incrocio la cugina di L. Ehi che le facciamo di regalo?, Ah cazzo, Non so gi che le hai fatto l'hanno scorso?, Il vibratore, Ah è vero, e quest'anno che idea avevi? Ah boh, vabbè vieni a casa in sti giorni e decidiamo e porta l'erba, Ok. Potevo rispondere con "un libro" o "un altro vibratore" o potevo dirle che l'aveva fatto poche ore prima il regalo.
Torno a casa e L mi aspetta nel portone. Ha freddo e ha fame. 2 sofficini vanno bene? perché io ho già cenato, Va bene tutto. Mangia veloce e si butta sul letto. È legata sentimentalmente a un mio pigiama. Se non c'è quello, si incazza. È capitato che lo avessi addosso. Forse è stato quello il primo momento in cui mi sono spogliato davanti a lei. Le sistemo le coperte e mi metto sul letto con lei. In tutto questo l'unico discorso tra me e lei è stato nel portone. Perdo tempo. Lei è con gli occhi sbarrati che fissa il muro. Mi giro e l'abbraccio. Scoppia a piangere. Un pianto violento. Un pianto come lo scoppio di una granata. Mi stringe le mani. Si asciuga sulle mie maniche. Mi da calci. Crolla in modo selvaggio. Era un aspetto che mi mancava di lei. Finisce di piangere e mi parla. Dei motivi. Delle cose che sente. Delle cose che sentiva. Delle amicizie. Di questo nuovo ragazzo che le ha fatto provare cose che non sentiva dentro da tanto. Erano cose che avevo già sentito. L non parla molto di sé. Quando viene in questa casa e mi si mette accanto nel letto finisce per raccontarmi ogni singolo dettaglio della sua vita. Erano cose che avevo già sentito ma non con quel tono. Lo sai che sei bellissima così?, Così come?, Libera di quel peso che ti portavi dentro. Poi mi chiede di leggerle qualcosa. Non perché abbia una bella voce. Ho una voce quasi nasale e in un discorso articolato mi mangio qualche parola. Me lo chiede perché la mia voce la rilassa. Che mi leggi?, Dai ti va bene Bolaño? sono racconti tratti dalla raccolta Puttane Assassine, Non lo conosco. Una volta le ho letto Pavese, la luna e i falò. Un'altra volta qualche pagina de I Guermantes di Proust che avevo sottolineato. Penso che a qualunque età la lettura di qualcosa a letto provochi ricordi d'infanzia molto cari. Per chi ha avuto la fortuna di avere due genitori appassionati. I miei si scazzavano. Dopo qualche rigo appoggia la testa sul petto e crolla. Per onore personale ho finito tutto il racconto leggendolo ad alta voce (18 pagine). Dopo 1 ora si è svegliata, si è rimessa i suoi vestiti ed è andata via.
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tma-traduzioni · 4 years ago
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MAG077 - Caso #9941509 - “La madre gentile”
[Episodio precedente]
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GERTRUDE
Caso 9941509 - Lucy Cooper. Incidente avvenuto a Draycott, nel Somerset, nell’agosto del 1994. Nome dato dalla vittima Rose Cooper. Dichiarazione rilasciata il 15 settembre 1994. Registrata su nastro il 4 novembre 1996. Registra Gertrude Robinson.
GERTRUDE (DICHIARAZIONE)
C’è una sconosciuta che afferma di essere mia madre. Non so chi sia. Tutti gli altri dicono che lei è mia madre, e mi lanciano sguardi preoccupati quando dico loro che quella è un’impostora. Non so che fare. Io e mia madre abbiamo sempre avuto le nostre differenze. Per essere onesta, è stato solo negli ultimi cinque anni o giù di lì che abbiamo iniziato veramente a parlarci di nuovo. È sempre stata una donna con un carattere forte, non il tipo che smorza le sue opinioni, e nel corso della mia infanzia è peggiorata. Niente di quello che facevo era abbastanza buono, e ogni briciolo di orgoglio che avrei potuto avere per me stessa o per i miei successi era sempre minato da una qualche piccola critica tagliente.
Anche in quelle rare occasioni in cui riuscivo a fare qualcosa abbastanza bene da guadagnarmi davvero un suo elogio, era sempre seguito dal dubbio. Mi ricordo che quando avevo quindici anni mi classificai prima in una gara di atletica tra più scuole. Avevo guadagnato un vantaggio di due secondi nello scatto dei cento metri, e tutto quello quello che è riuscita a dire è stato, “Assicurati che essere la podista migliore non ti distragga dai tuoi esami”.
La situazione non è mai precipitata fino a che non mi sono fidanzata con Laurence, tuttavia. Ci eravamo frequentati per dei periodi durante l’università, e mi sono ritrovata ad abbastanza cene di famiglia imbarazzanti da sapere che lui non piaceva a mia madre, ma la sua disapprovazione non era niente di nuovo, quindi la ignorai. Quando mi fece la proposta di matrimonio dopo la nostra laurea, diedi per scontato che lo avrebbe tollerato come aveva fatto con ogni mia altra decisione.
Mi sbagliavo. Quando glielo dissi, lei si arrabbiò. Non la fredda rabbia carica di disapprovazione a cui mi ero abituata, ma un’ira profonda con tanto di urla. Mi accusò di stare buttando via la mia vita, mi disse che me ne sarei pentita, e che Laurence era della feccia buona a nulla che mi avrebbe trascinata a fondo e mi avrebbe impedito di realizzare qualsiasi cosa. Le risposi a tono, e quella litigata che abbiamo avuto quella notte fu l’ultima volta in cui la vidi per quasi dieci anni. Provai a convincermi che le nostre differenze fossero solo queste: eravamo semplicemente due persone molto diverse. Ma a volte mi preoccupavo che il motivo per cui non riuscivamo ad andare d’accordo fosse che eravamo fin troppo simili.
Per esempio, eravamo entrambe fin troppo testarde per il nostro bene. Forse è per quello che sono rimasta con Laurence nonostante due tradimenti, come se l’accettare che avevo fatto un errore sarebbe stato dargliela vinta. Alla fine lo lasciai solo quando venne mandato in carcere per frode, dopo otto anni di matrimonio. Anche allora, non volevo parlarle. Non volevo dirle che aveva ragione. Non fu fino a quando mio padre ebbe il suo incidente che infine decisi di provare a fare ammenda.
Mio padre era un uomo gentile. Ad oggi non posso davvero dire qualcosa sui suoi pensieri o opinioni su una cosa qualsiasi, in quanto venivano immancabilmente spazzati via da mia madre. Era una presenza benigna, inconcludente, sempre nell’ombra. Per tutto quello, gli volevo bene; così quando cadde da una scaletta e finì in sedia a rotelle, presi la decisione di provare a riallacciarmi ai miei genitori.
Non fu facile. Oltre all’ingrigirsi dei suoi capelli, mia madre non era cambiata, e la riconciliazione in cui avevo sperato non avvenne mai. Passavo le mie visite a mordermi la lingua, o a fare litigate crudeli quando non ci riuscivo. Ma potevo sempre vedere sul volto di mio padre quanto gli facesse piacere vedermi, quanto fosse felice di avere nuovamente la nostra piccola famiglia riunita, quindi perseverai. Penso che se ne accorgesse anche lei, a essere onesta, e ogni volta che lui entrava nella stanza spingendosi dolorosamente sulla sedia a rotelle, lei faceva del suo meglio per non darmi contro. Dopo un po’ giungemmo a una fragile pace.
C’erano anche dei problemi pratici. Loro erano andati in pensione nel piccolo villaggio di Draycott nella campagna del Somerset, e dato che vivevo a Londra e non avevo una macchina, ci volevano due treni e un lungo viaggio in autobus ogni volta che volevo vederli. Ma facevo lo sforzo.
Addirittura architettai un pretesto per andare più spesso -ho fatto del lavoro indipendente per la British Library quest’estate, registrando e mettendo assieme storie orali su vari argomenti, e si da il caso che durante il suo periodo da accademica, mia madre sia stata una sorta di autorità sul folklore inglese e gallese. Infatti, uno dei motivi che ha sempre dato per trasferirsi là dopo la pensione era la quantità di miti e leggende che si annidavano in quella zona.
Quindi proposi di fare alcune registrazioni di lei che le raccontava e ne discuteva per il progetto. Accettò, anche se non prima di avermi detto quanto inutile il tutto sembrasse, e negli ultimi mesi li vidi diverse volte. Mio padre era felice, le registrazioni che ottenni erano sorprendentemente utilizzabili, e tutto sembrava migliorare.
Due settimane fa andai a visitarli, e qualcun altro aprì la porta. Qualcuno che non riconobbi. Indossava gli abiti di mia madre, ma non le sarebbero dovuti stare. Mia madre è alta, secca come un palo e porta sempre i capelli tagliati corti, ma la donna che rispose al mio bussare era più bassa, più rotonda sui fianchi e portava i suoi riccioli bianchi quasi all’altezza delle spalle. Di sicuro non l’avevo mai vista prima.
Chiesi se i miei genitori erano in casa, e lei rise. Era un suono leggero e gioioso che era così diverso da qualsiasi cosa che mi sarei aspettata di sentire in quella casa che dovetti fare un passo indietro per raccogliere i miei pensieri. Mio padre sbucò da dietro un angolo sulla sua sedia a rotelle e mi urlò un saluto come se tutto fosse stato perfettamente normale. Si affiancò alla donna paffutella che se ne stava in piedi sulla soglia e mi guardò, sorridendo. L’immagine mi diede il voltastomaco. Non sono neanche sicura del perché, a questo punto non avevo motivo di pensare che questa donna fosse altro se non un’amica dei miei genitori, ma qualcosa non andava.
Chiesi dove fosse mia madre, ed entrambi si fecero molto zitti. Ripetei la domanda con più forza, e mio padre guardò in alto verso questa strana donna con confusione. Lei sorrise tristemente e avanzò verso di me, aprendo le sue braccia come per abbracciarmi, ma le urlai di allontanarsi, pretendendo di vedere mia madre. Il volto di mio padre si fece scuro, e mi disse che il mio scherzo non era divertente. Con molta più forza di quanto non avessi mai sentito da lui mi disse che per quanto fossi arrabbiata, questo non era il modo corretto per affrontare la cosa. Guardai di nuovo questa donna, che se ne stava lì con le braccia aperte, e mi sorrise.
“Vieni, dai un abbraccio a tua madre”, disse.
L’una o due ore che seguirono sono un po’ confuse. Ho ricordi vaghi di essere stata portata intontitamente nel soggiorno, fatta sedere sul divano e aver ricevuto una tazza di tè. Provai a berlo mentre mi continuavano a parlare, ma era freddo come il ghiaccio, quindi devo essere rimasta seduta lì per molto tempo. Annuii una o due volte, credo. Mio padre aveva chiaramente pensato che stessi avendo un qualche tipo di crollo nervoso, e stava semplicemente parlando di qualsiasi cosa gli passasse per la testa nella speranza di farmi calmare. La donna che non era mia madre semplicemente parlava con allegria, come se non ci fosse stato niente di strano.
Aveva una voce gentile, e le sue parole erano calorose e amichevoli. Non era per nulla come mia madre, e stavo iniziando a spaventarmi molto e velocemente. Aveva fatto qualcosa alla mia vera madre, e aveva in qualche modo convinto mio padre di essere lei? Sembrava essere un pensiero ridicolo. Mio padre sarà anche stato disabile, ma la sua mente era ancora affilata, e non aveva mai mostrato sintomi di quella demenza senile che avrebbe fatto passare una sconosciuta per sua moglie. Era suo prigioniero? Forse, ma non sembrava comportarsi come se ci fosse stato qualcosa di sbagliato, e se quello fosse stato il caso allora perché sforzarsi di convincermi di una bugia così evidente?
Mi scusai, e andai velocemente verso il giardino sul retro. Nessuno di loro fece una mossa per fermarmi. Vidi un telefono vicino al portico sul retro e lo presi, con l’intenzione di chiamare la polizia, quando qualcosa catturò la mia attenzione. Era una serie di fotografie sulla parete, che mostravano la nostra famiglia in tempi più felici. Era lì dalla prima volta che ero stata nella casa, e probabilmente da molto più a lungo. Avevo passato molto tempo a osservarla alla mia prima visita là, persa nella gradevole nostalgia, ricordandomi giornate in spiaggia o la gita che facemmo a Hanover quando avevo otto anni.
Ma ora, in ognuna di quelle si trovava quella nuova donna dove ci sarebbe dovuta essere mia madre. Sembrava più giovane in quelle foto, proprio come mio padre, e attraverso le dozzine di foto sulla parete potevo vedere la sequenza temporale di questa donna che invecchiava accanto a lui. Non c’era modo che queste foto potessero essere state montate, e potevo vedere una piccola piega sull’angolo in basso della foto di Hanover. Mi ricordo che mi ero seduta per sbaglio sulle foto durante il viaggio verso casa, piegando l’angolo. Mi ero beccata una bella sgridata per quello, e di sicuro non da quell’amabile truffatrice che al momento stava mettendo su la teiera in cucina.
Non aveva alcun senso. Non ha tutt’ora alcun senso. Dopo cena insistetti per tirare fuori gli album delle foto, sparando qualche scusa senza senso sul recuperare vecchi ricordi. Mio padre e la donna che non era mia madre concordarono abbastanza prontamente, e così ecco fuori gli album e iniziai a sfogliarli. Devo aver guardato oltre cinquecento foto quella sera, e nessuna era fuori posto o mancava di immortalare questa sconosciuta dove sarebbe dovuta esserci mia madre.
Mentre il mio girare le pagine si faceva più e più disperato, notai uno sguardo sul volto di questa nuova madre. Era divertito, quasi a presa in giro, e divenni certa che lei sapeva. Chiunque fosse questa donna che chiamava se stessa Rose Cooper, sapeva che questa era una bugia tanto quanto me, e la mia confusione e paura la divertivano.
Nonostante tutto quello, però, ero completamente incapace di spiegarne anche solo una parte. Ogni prova fotografica che riuscii a trovare supportava l’affermazione di questa donna di essere mia madre. I ricordi di mio padre erano d’accordo, così come quelli dei due vicini con cui riuscii a parlare il giorno dopo - Tom Harrison e Joanne Fisher. Entrambi mi dissero che conoscevano George e Rose Cooper da quando si erano trasferiti, e quando gli chiesi di descrivere Rose, mi dissero che era di statura media con un gentile viso rotondo e capelli bianchi lunghi e ricci.
Feci anche una camminata fino alla chiesa di St. Peter, dove sapevo che mia madre a volte si recava, per chiedere al vicario, un uomo gentile di nome Neil Angus. Mi disse le stesse cose degli altri, anche se mi chiese della salute di mia madre. A quanto pare era caduta fuori dalla chiesa la settimana precedente, e il vicario era uscito per aiutare dopo che l’aveva sentita urlare. Impallidì un poco quando disse questo. Lo interrogai, e mi disse che, anche se lei sembrava stare bene quando l’aveva raggiunta, l’urlo era diverso da qualsiasi altra cosa che lui aveva mai udito.
Chiesi alla donna che non è mia madre della sua ‘caduta’ vicino alla chiesa. Lei mi guardò dritto negli occhi, sorrise, e disse che non era stato nulla. Che aveva fatto solo un “giro un po’ strano”.
Questo è tutto, onestamente. Me ne andai immediatamente e non sono più tornata. Non ho mai creduto nel soprannaturale prima d’ora, ma mi sembra chiaro che qualcosa ha attaccato mia madre vicino alla chiesa di St. Peter, l’ha uccisa e in qualche modo l’ha sostituita completamente. L’unica prova che sono riuscita a trovare sono le registrazioni che ho fatto prima di allora. I nastri contengono ancora la sua vera voce. Ne ho diversi, così potete averne uno voi per qualsiasi verifica vogliate fare. Tornerò da mio padre e gli farò sentire gli altri. Forse gli rinfrescherà la memoria, o forse lui tenterà di farmi rinchiudere. In ogni caso, devo provare.
Pensavo di odiare mia madre; davvero. Ma ora non posso smettere di ascoltare quelle cassette, ora so che sono l’unico modo in cui potrò sentire di nuovo la sua voce. Tutte tranne per il nastro su cui abbiamo registrato i vecchi miti sulle fate, sui mutaforma. Non sono ancora pronta per ascoltare quello.
GERTRUDE
Commenti finali: sfortunatamente per i tentativi della signora Cooper di convincere suo padre, sembra che George Cooper sia morto per intossicazione da monossido di carbonio dovuta a una fuga di gas due giorni dopo che questa dichiarazione è stata registrata, prima della sua visita seguente. Nessun altro corpo è stato trovato, e non c’è stata traccia di qualcuno che si identificasse come Rose Cooper da allora.
Sulla base delle dinamiche e delle conseguenze, sospetto che questa sia la creatura a cui Adelard Dekker si riferisce come “NonLoro” nella dichiarazione 9910607. Se il modello comportamentale è conforme con quello che ha teorizzato, allora ulteriori approfondimenti su questo caso sono inutili: la cosa ha finito con la famiglia Cooper, e non li visiterà di nuovo. Sembra fermarsi di rado nello stesso posto o con le stesse persone per molto tempo, anche se è difficile indovinare le sue motivazioni. Personalmente sospetto che sia un aspetto de L’Estraneo, anche se per ora è solo una congettura.
Quello che mi confonde di più è perché una o due persone riescono sempre ad accorgersene. La quantità di puro potere che deve riuscire a richiamare per poter alterare così tanto della realtà, quasi come per riflesso, è sconcertante. Quindi perché tralascia sempre qualche testimone?
Per lo meno è rassicurante sapere che i nastri magnetici sembrino evitare di essere sovrascritti, quindi se dovessi essere sostituita, potete essere certi che questa è la mia vera voce. Sulla base della dichiarazione di Dekker, sembrerebbe che anche le Polaroid sono relativamente affidabili. Oltre a quello, trovo confortante che questa creatura sembri accontentarsi di viaggiare liberamente seminando terrore a caso. Non oso pensare ai danni che potrebbe infliggere se avesse uno scopo.
Ho distrutto i nastri che la signora Cooper ci ha fornito come precauzione - non ho intenzione di attirare l’attenzione di quella cosa.
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ARCHIVISTA
Ho trovato questo nastro mentre rovistavo tra le scatole che Basira mi ha fornito. Era etichettato “Mutaforma / Impostore”, e vista la sfuriata di Melanie la scorsa settimana, l’ho ritenuto un punto prudente da cui iniziare ad ascoltare. È, uh…
I nastri che sono spariti dopo l’attacco di Prentiss contenevano tutti la voce di Sasha. Non avevo fatto il collegamento fino a che non ho sentito tutto questo. Non so che cosa questo… So esattamente che cosa questo voglia dire. Ma non so che cosa fare al riguardo. Non posso dirlo agli altri. Anche se riuscissi a convincerli, verrebbero a sapere dei nastri di Gertrude. Questo non posso rischiarlo. Devo occuparmene personalmente. E questo vuol dire ottenere più informazioni su questa cosa. Come funziona. Come u…
Devo sapere come fermarla. Inizierò rintracciando la dichiarazione di questo "Adelard Dekker”. Io… credo che le dichiarazioni dagli anni novanta siano leggermente più organizzate ora. Se è qui, se Sasha… scoprirò come uccidere quella cosa.
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[Traduzione di: Victoria]
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october24th · 4 years ago
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Resoconto Giorno 82
Stanotte il mio umore non era dei migliori. Imma dormiva e non potevo dirle “parliamo un po’?” come ogni volta che ci sentiamo giù di morale. Solo noi sappiamo che dietro quella domanda si nasconde il desiderio di sfogarsi e di un abbraccio. Prima di “andare a dormire” ho detto a Robb “sto un po’ giù, non so perché e non mi va di parlarne, volevo solo dirlo a qualcuno” e lui mi ha detto “mhhh se non sai perché va bene, anche se in fondo lo sai perché, forse non sai come dirlo o hai paura. Ora ti mando una canzone dai, ho capito” e mi ha inviato California King Bed di Rihanna. All’improvviso ha chiesto se fossi preoccupata per una cosa e... ha fatto centro, mi sono sentita un pochino scoperta, molto vulnerabile e ho dovuto tenere a bada i lacrimoni. A Vitto non ho detto di stare giù, ma lo ha intuito e mi ha chiesto “Vogliamo fare una videochiamata muta?” E in effetti siamo stati in silenzio per quindici minuti, parlavamo con i gesti e con le espressioni facciali. Mi sono addormentata verso le tre e mezza, zero incubi, ma mi sono svegliata in continuazione.
È lunedì, piove ed io sono meteoropatica.
In mattinata il solito. A pranzo zero sgarri. Io e Vitto stiamo completando Suburra, dopo pranzo abbiamo guardato la quarta puntata della seconda stagione. Dopo mi sono addormentata, poi verso le cinque mi sono allenata. Cerco di fare almeno mezz’ora di allenamento, altrimenti non sono soddisfatta. Dopo il workout ho fatto bagno e shampoo e per godermi ulteriore pace mi sono messa sul divano con le cuffiette e il diario a scrivere/scarabocchiare un pochino. È venuto papà verso sera. Mamma stava per iniziare una discussione con lui, come sempre. Ho guardato papà, lui ha guardato me e ci siamo capiti. Ho riso per il nervosismo e gli ho mandato un bacio al volo come a dire “non ti preoccupare, ci sto io”. Quando è andato via abbiamo cenato. Mamma ha parlato male di lui e voleva la ragione. Ho finito la cena in silenzio e poi mi sono rimessa le cuffiette. Zero sgarri.
Ieri sera Robb quando ha capito il motivo del mio malumore mi ha chiesto di parlarne: “se ti va di parlarne, se no ne parliamo domani con più calma. Devi dormire bene, e non voglio infierire sulla tua mente e sui tuoi pensieri” Così ne stiamo parlando e sinceramente è un po’ bruttino farlo da un telefono, ma pazienza. Io e Vitto abbiamo visto un’altra puntata di Suburra, la stiamo divorando questa stagione. Io adoro sempre di più Spadino, mentre a lui piace Samurai. Ho detto tutto.
È mal tempo. Ho mal di testa. Piove e tuona. Ho bevuto un po’ di latte nella mia tazza preferita. Comunque in questi giorni mi sto piacendo alquanto... che tipo mi guardo allo specchio e penso “aw carina” eee sono super contenta di questa cosa.
Ceraunofobia: fobia specifica di tuoni e fulmini, comune nell'essere umano.
16 Novembre
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clubdellascrittura · 4 years ago
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Mi chiamo Giada. Ho 19 anni e vivo a Roma, in una città più in periferia, che si chiama Ostia. Rispetto alla grande metropoli quale è Roma, Ostia è piccola ma non troppo. Può contenere più o meno centomila abitanti. Non è contaminata dallo smog e dalla folla della capitale, ed è un posto perfetto per rilassarsi al mare, dato che lo dispone.
Onestamente parlando, non intendo spostarmi, perché c'è tutto quello di cui ho bisogno, anche se in miniatura.
Vivo in una villa la quale via è piuttosto in. La villa dove vivo è composta da due piani: Il primo piano lo possiedono i miei nonni, mentre facendo le scale si può accedere al secondo, il mio. La storia narra che dopo mille e mille vicissitudini i miei genitori siano riusciti a comprare la casa a patto che i miei nonni fossero venuti ad abitare con noi. Così nel 2010 l'abbiamo comprata. Il liceo che frequentavo è piuttosto vicino, sta a due secondi da casa, perciò io e mia sorella Alice potevamo permetterci di svegliarci alle 7.30, per poter stare lì alle 8.10.
Mi reputo una ragazza "carina" perché credo ci siano ragazze più belle di me, ma non mi lamento a dire il vero. Sono giunta a questa conclusione da poco.
Quando ero piccola non piacevo neanche al ragazzo a cui piacevano tutte le femmine. Non che fossi brutta, ma non attiravo i ragazzi. Ero la "carina" ma non ero bella. Ero okay, ero normale.
Col tempo ho imparato ad apprezzarmi. Il fatto che io sia bassa non l'ho mai visto come un limite. Attenzione, ho difficoltà a trovare dei pantaloni che mi stiano come voglio, dato che risultano troppo lunghi, ma non la vedo come una forte insicurezza.
Non sono né magra né grassa. Mi piace mangiare e il fatto che mia madre sia siciliana la dice lunga. Il cibo è sacro, il cibo unisce. Poi se condiviso...
La quarantena mi ha fatto lievitare. Non mi sentivo neanche carina, in più tutta la mia famiglia diceva che era l'ora di mettersi a dieta, perciò ho intrapreso questo percorso che devo dire sta dando frutti.
È mostruoso il mondo di instagram. Ci fa apparire tutti perfetti, e a volte questo mi fa svilire. Vedevo tutti magri, tutti che stavano bene, mentre io mi sentivo di merda. Mi facevo schifo.
In ogni caso, mia zia mi ha ereditato un seno prosperoso, con cui ho dovuto fare i conti dalla quarta elementare. Ricordo un momento della mia vita in cui portare il reggiseno o il top era qualcosa di brutto e avere un seno più grande del normale mi faceva sentire a disagio. Un mio compagno scherzando disse :"ma che hai il reggiseno?" come se al tempo fosse qualcosa di anormale.
Devo dire la verità, a volte non è semplice. Certi tipi di magliette ci stanno oggettivamente male. Ragazzi, ci ho messo una vita per cercare il costume perfetto che non mi strizzasse il petto o che non mi facesse avere il seno di fuori. È stato un trauma.
Comunque, la parte che preferisco del mio aspetto sono i miei occhi. Risposta scontata lo so, ma è la verità. I miei occhi sono marroni e grandi. Nel senso che è grande proprio iride del mio occhio, non so per quale legge della fisica. Quando mi piace qualcuno, lo guardo intensamente. In un modo tutto mio.
Quant è bello avere la fortuna di vedere? Ho il terrore di svegliarmi e non vederci più. Ho la paura che mi venga qualcosa all'occhio e non vederci più. Anche perché per i medici sono stata a lungo tempo miope. Per una ragazzina di 6 anni era un problema. Significava sentirsi diversi. Per anni rientravo nella categoria di quelli con gli occhiali, che al tempo erano pochi. Mentre ora c'è una pandemia.
Ho detto che loro dichiaravano che io ero affetta da una miopia, finché a 12 anni sono andata a fare una visita di controllo e un oculista ha detto:"A che ti servono gli occhiali? Toglili". Ve lo giuro, per una ragazzina abituata ad avere gli occhiali, non averli creava imbarazzo, anche se era inutile averlo, era una cosa bella.
Attualmente, anche se la mia vista sta peggiorando perché sforzo più un occhio, ci vedo bene. Non ho avuto bisogno di lenti o robe simili dal giorno in cui mi sono stati tolti ed è molto comodo.
Ho le ciglia lunghe, perciò è una gioia mettersi il mascara eheeeheheh. Non ho mai utilizzato un piegaciglia e non ho intenzione di farlo. Ho la strana impressione che faccia male.
Il naso non si sa da chi io l'abbia preso. A tratti mi piace, a tratti no. Ma odio la gobbetta degli occhiali che si è creata.
Le mie labbra non sono estremamente carnose. Sono una via di mezzo, ma quanto mi diverterte mordermi le pellicine? Quasi quanto amo mordermi le pellicine delle mie mani fino a che non esce il sangue. ( aaaa che scena macabraaa bleah)
Ho degli zigomi pazzeschi, che giuro non mi sono rifatta. Molte persone me li invidiano, a casissimo. C'è sempre qualcuno a cui voglio bene che adora darmi fastidio e tastarmeli o mordermeli. (more, guarda che mi vendico)
Ai miei capelli ci tengo tanto. Da piccola mia madre mi ha fatto il caschetto e la frangetta, ma crescendo non mi sono più azzardata a fare una pazzia del genere. Il massimo a cui ho aspirato è stato il taglio fino alla spalla, se non toccano la spalla c'è da impanicarsi. In ogni caso, sono mora. Le more rapiscono, insomma si sa, ops. Quando andavo alle elementari erano spaghetti, poi man mano hanno assunto una forma non forma. Non li ho mai tinti, se non lo shatush del 2013. Nei miei sogni, vorrei farli lilla, ma mi frena il fatto che sono belli naturali e se inizio a rovinarli poi è la fine. Hanno subito poche piastre loro. Sono vitali, non si sono mai bruciati. Sono forti, tanti e grassi. Quando li ho lunghi fino alle costole mi diverte fare le trecce per farli venire mossi.
Se c'è una cosa che detesto sono le mie sopracciglia. Mi crescono a vista d'occhio e sono una schiappa a rifarmele. Non stanno mai al posto loro e si spettinano tutte le volte che potrei fare una foto decente.
Ho i braccioni come quelli di mia madre, i polsi che se tocchi ti stronco perché mi fa schifo sentire che le mie vene pulsano, e le mie dita delle mani un po' cicciotte, piene di calli nella mano sinistra (si sono mancina, all'epoca di mio padre mi avrebbero legato la mano alla schiena e fatto scrivere con la destra perché i mancini erano indemoniati). Mi fanno schifo le unghie troppo lunghe, con gel, e finte. Mi piace mettere lo smalto purché sia sobrio o scuro.
Con le mie gambe ci ho perso un po' le speranze, sono quelle che sono e non mi importa. Stranamente sono una delle poche persone che non hanno avuto problemi di rotula, o slogature di caviglie, o rotture di piedi.
Non c'è cosa più brutta dei piedi luridi comuni in ognuno di noi. Tempo fa su Instagram girava una pagina che ti diceva che tipo di piedi avevi, non l'ho mai capito. Sta di fatto che odio i piedi nudi.
Caratterialmente non sono una ragazza semplice. Un tempo avrei detto che il mio peggior difetto è il fatto di avere una gelosia morbosa verso le altre persone. Ora la cosa è andata un po' sfumando.
Il mio peggior difetto è la paura dell'abbadono. Per certi versi sono una bambina che ha un continuo bisogno di rassicurazioni, promesse, attenzioni. Mi sono convinta col tempo di non riuscire a star sola, di aver sempre necessità dell'approvazione, del riconoscimento, dell'aiuto delle altre persone. Non sono mai stata sola. Mi è sempre piaciuto qualcuno, e ho sempre cercato di fidanzarmi per il semplice fatto che i ragazzi che mi sceglievo avrebbero potuto essere delle possibili ancore di salvezza, punti fissi.
Ho l'autostima che cade a picco. Superato il problema fisico, c'è quello del sentirmi piccola rispetto a tutto quello che mi circonda. Per anni ho avuto problemi a chiedere nelle gelaterie, nelle cartolerie, tabaccherie. Ho odiato mia madre che puntualmente mi diceva:" che è successo, ti hanno mangiato?". Il mio problema non era la timidezza, ma la paura del giudizio, l'ansia di chiedere.
La paura del giudizio è qualcosa che ho sempre portato con me. In mente ho un episodio fisso di mia madre che mi dice che la mia amica del cuore è una gatta morta. E io mortificata che sto zitta, non dico niente, per il presentimento di far peggio, di peggiorare la situazione.
Era un continuo sentirmi in ansia tutte le volte che dovevo chiedere ai miei di uscire o di portare a casa qualche mia amica. E l'ansia e un sentimento che non mi lascia mai, mi sradica, mi logora fino alle ossa, e mi fa sentire un microbo. E più l'ansia diventata distruttiva più io mi chiudevo a tal punto che nelle interrogazioni non rispondevo alle domande che mi si ponevano e questo veniva interpretato come qualcuno che non assimilava le nozioni, aveva grandissime lacune. Ho ritenuto un successo un 7 in geografia alle medie, ma ricordo le emozioni, lo stato d'animo, il senso di impotenza. Io i professori li vedevo come mostri, come grosse, insormontabili montagne da superare, ho vissuto e vivo la vita come se tutto fosse una catastrofe da dover lasciare alle spalle, da dovermi per forza togliere, altrimenti non sopravvivevo.
Quindi a scuola ho avuto grandi problemi di esposizione. Mia madre andava dicendo che io mi emozionavo alle interrogazioni, il che era vero. Ho sentito ripetermi per anni:" non hai studiato" o "le cose le sai, devi dirle, perché non le dici?", e nel mentre a casa mi facevo un culo quanto una casa. Ma io che ne potevo sapere del perché non dicevo le cose? Che ne sapevo io di quello che mi succedeva? Ora lo so. So che la paura del giudizio era così grande da farmi passare per una persona passiva. In mente io pensavo a tremila cose e perdevo il focus della domanda. Tutt'ora quando devo esprimere una mia opinione è un continuo:" oddio, lo dico o non lo dico?" "e se mi reputa stupida per aver detto questa cosa?"
Le parole erano tutte scritte nei miei diari, quaderni, taccuini riciclati dalla scuola. Non ero in grado neanche di dire a mia madre che da grande io volevo diventare una scrittrice. E allora finivo per scrivere nei quaderni di scuola, di nascosto. Finivo per fare altro ogni volta che sentivo qualcuno salire le scale per avvicinarsi in camera mia. Facevo finta di sfogliare un libro che stava sempre pronto nella mia scrivania.
I libri mi hanno sempre accompagnata. C'è stato un periodo breve della mia vita in cui leggevo a bassa voce, successivamente però mi sono resa conto che leggere ad alta voce era più bello, rendeva quello che leggevo più comprensibile. L'ho sempre pensata così, ma forse non è proprio vero.
Inoltre, mi piaceva dare vita ai personaggi come facevo con le bambole.
Al liceo ho iniziato a fare teatro spagnolo a scuola, e leggere non diventava più leggere ma interpretare. Quando ero bambina divertiva mettere la sedia vicino al termosifone d'inverno e mettermi a leggere un bel libro.
Nonostante questo però leggere ad alta voce ha i suoi contro: non puoi portarti i libro ovunque tu vada; in metro non puoi leggere ad alta voce a meno che come me, non chiudi il cappotto fin sopra alla bocca e leggere; se non hai una camera tutta tua disturbi tutti i componenti della tua famiglia e a chiunque tu possa raccontarlo ti prenderà sempre per un alieno.
La mia vera svolta non l'ho ancora avuta, ma ci sono quasi. Io non sento di avere né 16 né 19 anni. Sento di averne 17, perché mi trovo ancora in un momento di passaggio, dove ancora non mi sento ancora "adulta" o "responsabile. Eppure il fondo credo di averlo veramente toccato. E l'ho toccato quando quasi due anni fa non facevo altro che piangere perché mia madre non accettava mi fossi innamorata di una ragazza. Tutto quello che ora so è perché è frutto di un'attenta e dettagliata autoanalisi fatta con l'aiuto di una psicologa. Ebbene si, mia madre mi ha portata dalla psicologa perché mi reputava una persona che avesse bisogno di chiarezza. Ora la mia psicologa è la seconda persona di cui mi fido di più, a cui posso raccontare veramente tutto, perché c'è il segreto professionale.
La prima persona è la ragazza di cui mi sono innamorata quasi due anni fa. Che odia essere considerata una ragazza. Non che essere definita "ragazzo" sia meglio, ma sicuramente più accettabile. Quindi ne parlerò al maschile, perché non so come si definisce qualcuno che non lo è propriamente. La persona per cui ho perso la testa si chiama Fra. Nel gennaio 2019 non cercavo l'amore perché già ce l'avevo. Eppure Fra mi è piombato come pioggia fitta, e come un tornado ha distrutto tutto quello che avevo creato con il mio ragazzo e stravolto la vita. Come Derek di Grey's Anatomy direbbe, Fra mi ha salvata. È stata una boccata d'aria. Per mesi ho messo in dubbio quello che provavo per lui, per poi considerare il fatto che me lo potevo concedere, potevo mettere per prima l'amore che provavo e poi tutte le etichette del cazzo che questo mondo osa mettere. Perché ragazzi, è osare. Fare supposizioni di ogni genere su una persona, sul suo orientamento sessuale è come calpestare una Margherita nel prato, come svilire, privare di valore una persona. È qualcosa di orribile, ma quante volte viene fatto.
Amo troppo la vita per accettare di essere etichettata.
È stato durissimo avere la maggior parte della mia grande famiglia che appena si parlava di amore non mi calcolava o evitava di parlare con me di lui. Quelli che mi supportavano erano una minima parte, ma quanto valevano di fronte a tutti gli altri?
Mio zio mi ha amato ancora di più, dopo avergli detto che volevo fare la scrittrice mi ha amato e l'ha fatto ancora di più quando gli ho raccontato di questo fatto. Mia zia, sua moglie ha fatto lo stesso. Le mie due cugine del cuore hanno affrontato con me la questione. Invece Alice, mia sorella gemella l'ha sempre saputo. Mi fa ridere il fatto che quando le dicevo che parlavo con Fra mi diceva "ma non è che ti piace?"
Comunque Fra l'ho conosciuto a teatro e metterci insieme è stato un parto, vedersi lo è ancora ma credo di aver capito cosa significa amare veramente qualcuno.
Quando mi fa stare bene sento di volare e quando litighiamo piango come se non ci fosse un domani.
Giuro, non ho solo difetti. Mi piace fare battute per far ridere la gente. Sono ironica la maggior parte delle volte e all'inizio mi state tutti un po' sul cavolo se vi vedo per la prima volta, ma poi mi sciolgo e divento simpatica, giuro. Su di me potete contare il 110%. Potete fidarvi, i vostri segreti non li dico a nessuno (okay forse a Fra si) e se mi chiedete un consiglio o un favore sono pronta.
Mi piace fare le cose in grande, ma ci sono cose, piccole cose che preferisco tenere per me. Prima del sesso c'è la mente. Se mi mandi un audio di oltre un minuto fai prima a chiamarmi e se un gruppo scrive troppo lo silenzio o ciaone, esco.
Sono empatica, mi emozionano tutto ciò che rimane indietro nel tempo.
Alle serie TV preferisco i libri. Ai film preferisco i libri. Anche se ci sono certi capolavori che mi lasciano incollata allo schermo della TV.
Mi piace annotare i miei film preferiti,quelli che Fra deve per forza vedere, le citazioni delle mie migliori amiche, ciò che non piace a Lavinia (una di loro), tenere quanti libri leggo, aggiornare le app in cui c'è da tenere in conto robe.
Mi stanco subito di tutti, tranne che di Fra. No dai, se siete persone con dei buoni contenuti passate. Mi piace così tanto mettere alla prova le persone che amo.
Di un dettaglio va scritto. Odio le cose superficiali, tutti abbiamo una storia da dover raccontare. Odio chi alle cose palesi non agisce, se due persone si amano meritano di stare insieme, per quale ragione dovete complicare tutto? Io ho lasciato il ragazzo con cui stavo per mettermi due giorni dopo con Fra. Si, sono una merda ma meritate di mettervi al primo posto. Di mettere le vostre emozioni prima di quelle degli altri. Almeno una volta fatelo.
Ah, ho la fossetta alla guancia destra. Io e Alice ce l'abbiamo speculare. Lei ce l'ha a sinistra. L'abbiamo prese da mamma e papà che ce l'hanno a entrambe le guance. È una caratteristica bellissima.
-unbagagliodiemozioni
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stupid-exaggerate · 5 years ago
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Okay, ci siamo, proverò con calma a raccontare come sono andate le cose, anche per fare un po' di chiarezza dentro la mia testa, dato che sinceramente qui è tutto un casino immenso.
Durante le feste, fra Natale e l'epifania, capita il mio compleanno. Per la mia famiglia non dovrebbe essere una novità, credo, mi hanno fatta nascere loro.
Io non ho mai chiesto niente per quel giorno, anche perché mia sorella è più piccola, ed è a lei che vanno tutti i regali; è lei che deve credere a babbo natale, alla befana e alla magia di questo periodo.
Quest'anno, dato il periodo un po' difficile che sto vivendo -a livello mentale intendo-, ho fatto il madornale errore di aspettarmi qualcosa anche io, ma non un regalo. Io desideravo semplicemente una sorpresa: magari essere svegliata il 30 dicembre con una torta e un tanti auguri, oppure una piccola cena organizzata per me.
E come capita ogni volta che si spera, quando poi si rimane delusi, la tristezza è difficile da nascondere; per Natale non ho ricevuto nulla, ma non mi sono lamentata. Sapevo che doveva andare così.
Per il mio compleanno non ho ricevuto niente, assolutamente niente, neanche un briciolo di quella sorpresa che tanto desideravo.
Ma di nuovo, ho tenuto tutto dentro, perché in qualche modo ero convinta che una sorpresa per me ci fosse. In qualche modo ero convinta che la mia mamma conoscesse ancora sua figlia, e sapesse trovare il modo di farla sorridere.
Arriva l'epifania, ovvero ieri. Qui a casa mia "passa la befana" durante la notte per mia sorella, quindi anche qua non mancano i regali.
Mi sveglio, e vedo un mucchio di regali accanto all'albero di natale, e mia sorella che inizia ad aprirli.
Vuoi mica che ci sia qualcosa anche per me?
Ad un certo punto mia mamma si avvicina con un pacco regalo e me lo posa di fianco, guardandomi; di colpo in me si riaccende la speranza. E se avesse davvero pensato a qualcosa per me? Allora davvero mi conosce?
Con calma scarto il pacchetto, cercando di immaginare che cosa possa avermi preso, e quando lo apro beh... non so che faccia potreste fare voi se trovaste uno spazzolino da denti.
Si, mia madre mi aveva regalato uno spazzolino da denti.
Io, ancora attonita mentre guardo il pacchetto, provo a chiedere spiegazioni, e la spiegazione è stata "eh è una cosa che possiamo usare tutti quanti!"
A quel punto, la mia speranza si era nascosta da qualche parte a fustigarsi per aver anche solo provato a pensare che una madre potesse conoscere sua figlia.
Una figlia non tanto complicata eh, innamorata della scrittura, della lettura, degli animali, della fotografia e dell'arte. Una figlia che un tempo scriveva poesie, disegnava, ed è uscita con 90 dal suo liceo.
Per questa cosa, successivamente, abbiamo litigato. Io ho espresso gli stessi argomenti che vedete scritti qua sopra, e lei ha ribattuto dicendo che non aveva tempo di pensare ad un mio regalo, e che siccome sono intelligente sarei dovuta andare io da lei a dirle cosa volevo.
Ma come si dice a qualcuno che vuoi una sorpresa? Una sorpresa dovrebbe venire dal cuore, o sbaglio?
Ad un certo punto la litigata è sfociata in frecciatine, e ha toccato un punto che mi ha fatto completamente esplodere; dalla bocca di mia madre è uscita esattamente questa frase: "se vuoi morire fallo, non c'è problema"
Non c'è problema.
Non c'è problema.
Ancora adesso nella testa mi rimbalzano quelle tre parole come fossero punte di spillo.
Ho scritto questa cosa al mio ragazzo, nonostante fossimo in pausa, e lui per tutta risposta ha chiamato mia madre e insieme hanno chiamato il 118 per farmi portare via.
Il mio ragazzo invece che parlare con me, ha parlato unicamente con mia madre, come se io fossi matta, e mi hanno privata della libertà di decidere.
Io piangevo, piangevo tanto e graffiavo la mia pelle con le unghie fino a farla sanguinare, stavo avendo un attacco di panico enorme, perché tutte le volte che mia mamma ha parlato di 118 era per minacciarmi.
Durante il viaggio in ambulanza le persone all'interno mi prendevano in giro, mi guardavano e ridevano per come piangevo: "guarda questa, a 20 anni ridotta così... io almeno a 20 anni mi drogavo!" E ridevano, mentre io non riuscivo davvero a smettere di trattenere le lacrime.
Ero da sola. Sola con me stessa. E non potevo fare altro che piangere.
Arrivata in ospedale mi hanno abbandonata da sola su una sedia, poi mi hanno spostato in un'altra stanza dove mi hanno attaccato una flebo di tranquillante. Mi hanno fatto domande, ma le risposte che davo non contavano. Passavano ad un'altra domanda senza che la mia risposta fosse in qualche modo importante.
Alla fine mi hanno lasciato in un'altra stanza, da sola, con quella flebo attaccata alla mano; ad ogni goccia sentivo che la mia vita perdeva di peso, di consistenza. Ogni goccia che vedevo scorrere giù era un pezzo della mia esistenza che crollava a causa dei miei errori.
Stavo tanto male, ed ero da sola.
Ho lasciato il mio ragazzo. Gli ho detto che se non cancellava il numero di mia madre fra noi era finita, e lui si è rifiutato, per cui basta così.
Ora sono sorvegliata a vista, sto male, mi sento sola, e le persone che sono intorno a me sembrano le guardie di un carcere. Io non ho più un amico, non ho più qualcuno disposto a parlare con me come se fossi sana di mente, mi credono tutti matta, prossima al suicidio.
E nulla, questo è ciò che è capitato. Mi spiace per aver scritto così tanto, ma volevo raccontare per filo e per segno tutto quanto, anche per me stessa. Io non mi sento matta. Non sono pazza. Ho solo sperato in qualcosa che alla fine mi ha portato al peggio.
Non succederà mai più.
Scusatemi ancora per il testo così lungo.
-Giulia
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chez-mimich · 5 years ago
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DIALOGHI DAL TERZO MILLENNIO.
Sotto casa.
Sig.ra Segesta: “Sig. Grella?”
Mariulin: “Sì?”
Sig.ra Segesta: “Buongiorno, sono Marianna Segesta, piacere di conoscerla...”
Mariulin: “Piacere mio, dica pure...”
Sig.ra Segesta: “Sono qui per il COVID-19...”
Mariulin: “Prego!?”
Sig.ra Segesta: “Sì, il COVID-19, il virus...”
Mariulin: “Il virus?”
Sig.ra Segesta: “Sì certo, il virus...”
Mariulin: “Ma io non sono un medico...”
Sig.ra Segesta: “Ah nemmeno io...”
Mariulin: “E quindi?”
Sig.ra Segesta: “Sono qui per il dialogo.”
Mariulin: “Il dialogo?”
Sig.ra Segesta: “Beh certo, lo dovrà pur fare un dialogo su tutto questo can can che è capitato no?!”
Mariulin: “Beh veramente non ci avevo pensato...”
Sig.ra Segesta: “Sig. Grella, non può deludermi così! Sono venuta apposta da Codogno per dirle qualcosa sul COVID-19”
Mariulin: “Ah ecco, e lo ha portato con sé?”
Sig.ra Segesta: “Mah, non lo so, però le posso raccontare tutte le cretinate che ho sentito dire e tutte le boiate che hanno scritto su Facebook...”
Mariulin: “Per questo ci potevo arrivare da solo...”
Sig.ra Segesta: “È vero Sig. Grella... Allora mi faccia una domanda sul paziente doppio zero...”
Mariulin: “Va bene: cosa ne pensa del paziente zero?”
Sig.ra Segesta: “Che aveva un gemello, perciò non lo trovano, devono cercare doppio zero!! Ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah....”
Mariulin: “Signora Segesta, si moderi, apprezzo il suo umorismo, ma non credo sia il mio genere...”
Sig.ra Segesta: “Naaaaaa Sig. Grella, la prego, mi faccia un’altra domanda, mi chieda cosa ne penso dei cinesi, dei pipistrelli, del mercato di Hu-Han, della globalizzazione, della protezione civile, del governo, di Salvini, la prego, le dirò le più colossali stupidaggini!”
Mariulun: “Signora, credo sia stato già detto tutto...”
Sig.ra Segesta: “Anche che è inutile prendere il COVID-19 tanto sta per uscire il 20?”
Mariulin: “Già detto e già letto...”
Sig.ra Segesta: “Ho un’idea, può chiedermi se dandola via si trasmette il virus!”
Mariulin: “Non si trasmette.”
Sig.ra Segesta: “Come fa a saperlo.”
Mariulin: “Sono intelligente.”
Sig.ra Segesta: “Che uomo! Io comunque la dò via lo stesso... Se fosse interessato...”
Mariulin: “Senza virus?”
Sig.ra Segesta: “Sì, anche senza...”
Mariulin: “Non sono interessato”
Sig.ra Segesta: “Lo sa che lei è un bell’impertinente?”
Mariulin: “Me l’hanno detto...”
Sig.ra Segesta: “Nemmeno una domandina-ina-ina?”
Mariulin: “La prego, non insista...”
Sig.ra Segesta: “....Due domandine sull’OMS?”
Mariulin: “No.”
Sig.ra Segesta: “Mi chieda che mascherina preferisco...La prego...Se ho in casa l’amuchina, se ho la congiuntivite, se ho limonato di recente...Qualcosa la prego!”
Mariulin: “No.”
Sig.ra Segesta: “Mi faccia dire almeno che non è il momento delle polemiche! La prego!”
Mariulin: “Va bene lo dica.”
Sig.ra Segesta: “Volevo lanciare un appello a tutti gli italiani: non è il momento delle polemiche”
Mariulin: “Bene grazie.”
Sig.ra Segesta: “Grazie a Lei Sig. Grella, volevo dirle che Lei è un uomo affascinante, Le sarò sempre grata per questa opportunità che mi ha dato, volevo anche rivolgere un saluto a tutti i miei amici e...”
Mariulin: “Sì, va bene basta.”
Sig.ra Segesta: “Certo, certo, mi scusi Sig. Grella, lei è stato gentilissimo, spero di rivederla presto, alla prossima epidemia...”
Mariulin: “Sì, speriamo...”
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yesisilviogarofaloposts · 5 years ago
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viaggio a corfu
giovani belli e attraenti alticci pazzi e pieni di aspettative l’alcool ci faceva sentire che avremo rivoltato l’isola cose folli sarebbero successe sbornie ragazze mazzate risate una due settimane da scorrribbandare come scunizzi in vacanza pronti a piombare su ogni pollastra che ci sarebbe capitata. in mente tutti quanti in due settimane la sfida una grande scopata io piccolo timido e indifeso non sapevo di essere il prescelto insieme a un altro dello compagnia gli altri affogati nelle sbronze piu colosali l’alcool sarebbe stato la loro amante peccato per loro loro sottofondo io il protagonista giornate di pura follia . arriviamo in una pensione una villa a due piani piena di camere vista spettacolare panorama mozzafiato tutto era iniziato ci riposiamo ci svegliamo io nudo con il cingillo al vento mi affaccio a quello spettacolo di mare e omaggio l’isola con un buongiorno mondo il mio amico apre gli occhi mi vede e ride che cazzo fai nudo alla finestra volevo una ragazza al risveglio no le tue natiche che svolazzano al mio cospetto mi hai traumatizzato ci vuole una sbornia corro vado a comprare quello che mi capita sotto tiro dal supermarket piu vicino torno ci riuniamo iniziamo abere brindisi cordiali  ci sfidiamo a poker chi perde beve si fa orario di pranzo una bidonata di pasta tampona la nostra fame galoppante  iniziano i gavettoni colpisco uno direttamente in faccia gli esplode l’acqua su tutta la sua faccia lui mi guarda incazzato te la faro pagare cazzo la sera si avvicina non aspettavamo di meglio le discoteche pullulano di ragazze e musica shiuma alcool e follia noi non attendavamo di meglio ancora un’altro giro di birre vado a comprarle torno arrivo qualcosa mi puzza di strano quello che si era incazzato aveva cagato in una bacinella e l’aveva nascosta nella stanza mi incazzo per poco finiamo a mazzate li volevo rovesciare la sua merda addosso unìaltro gavettone in piena faccia con i suoi ricordini che gli incipriano la faccia per poco parte il colpo mi bloccano la rissa è sedata ci facciamo una grande risata per poco volava merda su tutta la villa ,che avrebbe detto il padrone se avrebbe visto le pareti da bianche ad opere d’arte sul marroncino imbrattate come se un artista avesse voluto schizzare colori a cazzo di cane per dare un tocco di entusiasmo a questa vacanza che iniziava gia con questi buoni propositi. be ultimo giro ingollamo tutta la birra assetati come se fosse acqua nel deserto siamo pronti ci avviamo la prima serata riscaldamento quello piu sciolto e famelico il sottoscritto scherzo approccio e ciao gioia e cia bella baci baci vuoi ballare sempre rispettoso ma molto intraprendente l’alcool mi dava il giusto tono 4 serate passate tra discoteche sbornie e approcci falliti con le ragazze un po di strategia la discoteca che frequentavamo non era il posto giusto le ragazze se la tiravano noi ci avvicinamo loro si allontanavano noi non le cagavamo loro si allontanavano noi parlavamo tra di noi loro ci guardavano losco io ballavo e non me fregava niente mi divertivo aspettavo il momento buono ma cavolo sembrava che ogni maschio la dentro veniva infettato dalla peste bubbonica mentre le ragazze erano in quarantena la schiuma copriva le manate in culo e sulle tette per fortuna non capivano da dove arrivano le mani e gli schiaffi andavano su chi non c’entrava niente noi a morire dalle risate uno si è preso uno scuppolone in faccia che era segnato a vita un tatoo alla mike tyson a cinque dita e poi il caso ha fatto scoccare la scintilla. noi eravamo in preda alla figa io stavo tranquillo studiavo cercavo di rendermi conto qual era il posto giusto per rimorchiare un posto con musica bassa e possibilita di conversazione.avevamo adrenalina in corpo troppi soldi spesi volevamo iniziare a rubare una borsa qualcosa dal supermarket per risparmiare io feci la cazzata che mi permise di conoscere una sventola dalle mille e una notte o da mille notti solamente .stavamo nella solita discoteca ci eravamo organizzati per il colpaccio una borsetta io me ne stavo buono al bar a bere il mio vodka redbull azzo vedo due tipi con una ragazza la borsetta piccola sul bacone se lo faccio sono un coglione tac tutti e tre si girano scatta l’improvvisazione la prendo scompaio nella folla mi dileguo esco il mio amico mi segue il bodiguard li fa un cenno lui non capisce si prende un manrovescio un’altro mi segue io me ne accorgo sparisce la borsetta dalle mie mani lui mi prende ritorna siamofotografati non possiamo piu entrare sai che c’è le fighe sono d’oro voi c’avete le mani pesanti eun bene che abbia fatto sta cazzata ci leviamo da questo posto andiamo all’ old tree musica bassa poca gente si balla vedo quella seduta su uno sgabello io dico al mio amico invitiamole aballare per amor di di dio cicchetto siamo pronti balliamo fenomanale milanese piu grande non vi dico l’armamentario ci scambiamo il numero è fidanzata io le dico be se cerchi compagnia chiamami lei non ci contare  il lido è piccolo io ci incontreremo baci addio. il giorno dopo la vedo saluto mi fermo li non insisto il secondo giorno la fermo ci scherzo  a lei piace la stuzzico lei provocante asseconda attimi di rimorchio scappa e fuggi va avanti per un’altro e poi lei si fa sentire usciamo ho voglia di farmi un giro affitto una moto era la mia prima volta andavo una bomba la carico sul sellino nel viaggio le dico sai e la prima volta che porto un cinquantino lei scanta ma si tranquillizza ero lucido tranquillo e sicuro la porto su una spiaggia tranquilla bella come lei sabbia dorata come la sua pelle occhi verde acqua come il mare blu cristallino col fondale abissale lei nuota io distante le parlo poco le lascio spazio lei mi confida sei diverso mi lasci liberta non mi stai attaccato io be non siamo niente mi sto godendo la giornata e la compagnia schivo passiamo molto tempo in silenzio quel silenzio era mille parole era come se ci stessimo parlando con il corpo lei era sempre piu  a un passo dall’avvicinarsi io non facevo niente lasciavo che lei si decidesse . la giornata fini lei era stata bene mi disse non posso piu vederti sono fidanzata è sbagliato be allora dissi arriverderci sono stato bene anche io buona vacanza nessun cenno della minima importanza lei cresceva io non le davo soddisfazione io ero il cacciatore senza fare il minimo sforzo dissimulare un po tutto qui . la sera stessa conoscemmo delle toscane io avevo in mente lei una ninfomane di queste aveva in mente me mi prese andiamo a casa la portai controvoglia lei si denuda fa uno streep tees io guarda non se è la cosa giusta lei fanculo mi sbatte sul muro lo facciamo selvaggiamente senza pudore con rancore con sfogo con pulsazioni a ritmo veloce lento uno sbattimento non cedeva mai lei continuava non si fermava io non mi fermavo siamo andati avanti per un po avevo fatto un incontro di pugilato graffi schiaffi sangue sulla schiena cazzo una iena guarda si è fatto tardi lei sdraiata secondo giro io me la tiro guarda gia mi hai ridotto cosi che al secondo chiamiamo il pronto soccorso lei vabbe ce per un bel po io dai la serata e giovane andiamo dagli altri e poi facciamo direttamente in ospedale che se mi spezzo qualcosa almeno siamo gia sul posto mi faccio il gesso e sono piu protetto che con te del preservativo non mi fido . torniamo lei mi stava cercando la sventola dell’old tree io esco ci becchiamo tutto si ferma e lei mi dice senti ho ripensato a quello che ti ho detto mi sono sbagliata te lo volevo dire mi piaci piu del mio ragazzo io l’ho lasciato oggi vorrei che noi due passiamo le prossime giornate insieme se ti va io me la gioco l’ultima carta faccio una faccia sardonica  sospiro aspetto un momento e poi le dico guarda ormai è troppo tardi lei si blocca ghiacciata io mi godo quella faccia aspetto sorrido teneramente guarda che scherzo e poi la bacio stiamo li sulla spiaggia baciarci per mezzo ora lei andiamo a casa io si e no perche era complicato dirle guarda mi sono allenato gia un bel po con un’altra vabbe faccio andiamo ero contento non aspettavo di meglio ma ero un po stanco ma cavolo mai tirarsi indietro arriviamo.......lei bella ma passiva praticamente una bambola potevo farle cio che volevo passivo le sto dentro non facciamo sesso era diverso c’era passione lei geme io la guardo negli occhi lei nei miei le affero tutte due le mani e vado avanti lei inizia venire trema dalle gambe non ci fermiamo lei si gira un capolavoro ..... ho dormito con lei quella notte fra le sue braccia la mattina svegli abbiamo fatto colazione con le amiche poi siamo tornati in camera abbiamo giocato coccole cuscinate baci ci siamo guardati non si parlava molto ma i nostri corpi si attraevano era magnetismo .noi non parlavamo molto ma erano i nostri occhi a parlarsi le noste mani quando si afferravano le nostre labbra quando si bagnavano dei nostri baci lei veniva rimorchiata da altri ragazzi ma le piacevo io io ero presente mentre era rimorchiata non facevo niente lei tornava mi baciava mi abbracciava mi sorrideva era felice le davo liberta io mi fidavo e lei pure giocavamo ma i nostri corpi ogni sera erano insieme una cosa sola uno dentro l’altro occhi che ti entravano dentro parole non servivano io mi ricordo il suo sorriso quando tornava dall’essere rimorchiata mi baciava mi guardava intensamente provabilmente se non ce ne fossimo andati da quell’isola quel sogno non sarbbe mai finito
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waterofgodness · 5 years ago
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Respirare.
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è strano come ci si ritrova persi in altri occhi, che il tuo sguardo è solo per una persona.   
Finché non li vedi, non te ne accorgi realmente da solo, sopratutto se non vuoi ammetterlo.   
 I miei sensi di colpa, i miei contrasti personali, il senso di inadeguatezza, la paura di sbagliare, paura di essere scoperta.. ci combattevo tutti i giorni, mi convincevo che non provassi nulla, che le volessi solo un bene immaginabile ed invece mi resi conto che il desiderio di averla mia cresceva sempre di più.  
Volevo solo esserci.
  Non riuscivo più ad immaginarla affianco ad un'altra senza essere straziata dai pensieri, non riuscivo più ad immaginarla consolata da altre braccia, altri sguardi, altre mani, altri respiri o dalla sua solitudine.
Mentre ci scrivevamo decisi che non potevo più nascondermi, avrei perso tutto.
Dicendole tutto ero certa che sarebbe andata via, che non avrei più incrociato il suo sguardo, che per l'ennesima volta l'avrei dato la certezza che un'altra persona si era comportata come tutte le altre.
Mi sarei fatta male, forse non l'avrei mai accettato realmente, non ero veramente pronta a perdere anche quel poco che avevo, quel poco che il mio cuore gioiva.
Non volevo perdere la fretta che mi mettevo per poterla vedere, il mio panico per sembrare almeno decente ai suoi occhi, le frasi preparate per non sembrare una stupida, ridere insieme, le sue e le mie coccole, il suo sguardo su di me dove mi mancava il respiro, i suoi sonni dolcissimi dove si comporta esattamente come una bambina.
Non volevo privarmi dei dettagli che forse solo io notavo, come si perdeva nel vuoto o nei suoi pensieri, come semplicemente si fumava una sigaretta, come delicatamente si beve una birra ed ammetto che ogni sorso mi immaginavo un suo bacio.
Guardarla nell'imbarazzo di un momento, quando nota me e cerca di rassicurarmi se vede che ho qualcosa che non va. Guardarla mentre disegna, mentre canticchia e sentire la sua voce così bella.. come lei.
Non volevo rinunciare a delle visioni, figuriamoci a dei suoni, tutti i suoi suoni.
Arrivai da lei e stranamente ero tranquilla, non capivo se in quel momento io avessi bisogno di lei o lei di me. Ero confusa, ma stabile.
Non sono riuscita a spiegarmi al meglio, al punto di incazzarmi con me stessa.
Ammetto che quel bacio così sperato, sognato, desiderato non è nemmeno spiegabile a parole.
Nulla di tutto ciò in realtà è possibile spiegarlo a parole.
Un sogno irrealizzabile che si realizza.
Ho paura di esagerare ora, non riesco a non a fare a meno di darle tutto ciò che ora  sono in grado di darle, nonostante non sia molto.
Ho le corazze  con me insieme alle paranoie.
So che per lei è ancora più difficile, vedo come più o meno come sta e non so che fare, non riesco a nascondere l'affetto che ho per lei, come la smania di baciarla, averla e passarci il tempo insieme, non vorrei stare nemmeno un secondo senza lei.
So che sopratutto ora dovrei lasciarla con se stessa, si dovrebbe riprendere, ma non le sto dando il tempo. Sto peccando di egoismo forse.
Sto sempre a pensare a noi due nude nel letto, ai suoi baci. Si, vorrei avere un'intera giornata a fare l'amore con lei finche non crolliamo esauste nel letto, finire la voglia di aversi e far spazio alla voglia di appartenersi, guardarsi.
Far spazio alla voglia di respirarsi.
Questo è chiedere tanto, ma so che questo mio lato spesso viene interpretato male, come se cercassi solo sesso e sicurezze.
Non è sesso, è il mio modo per amare anche se si vedono tutte le mie insicurezze.
E' il mio modo per dirle "Hey, sono qui con tutta me stessa, questi sentimenti non sarò mai in grado di mostrarteli se non cosi, sfiorandoti la pelle, cedendo a degli impulsi, perché anche il mio cuore va ad impulsi".
E' il mio modo di dirle che sono pessima a far capire i miei sentimenti, ma per me fare l'amore non è fare sesso, perché con lei non ho mai fato solo sesso, dalla prima volta.
Quando il suo corpo è tra le mie mani, sono davvero felice. Quando riesco a darle piacere, quando si fa piccola su di me, quando è notevolmente più forte di me, quando riesce a non farmi sentire sbagliata..
E' sbagliato, ma in quel preciso momento sono esattamente io.
Senza luci, senza vestiti, sola con lei, sole con dei respiri, tremante sotto di lei, titubante nell'osare qualsiasi pensiero perché  fare l'amore infondo mi fa paura perché la dolcezza unita alla voglia è una sensazione strana per me.
Allo stesso tempo mi sento fottutamente libera in quel contesto, è la prima volta che mi sto facendo vedere per ciò che sono ed è bellissimo.
Per la prima volta qualcuno mi guarda e mi tocca con la stessa dolcezza, come se avesse paura di rompermi, come se avessi un cuore, un'anima.
E' bello, è nuovo.
Credo che non riuscirò mai a ricambiare ciò che lei fa per me.
Posso solo proteggerla da un casino come me.
Proteggerla da un demone che ho domato.
Vorrei che stesse bene, vorrei che vivesse pienamente, vorrei vederla sempre sorridere.
Vorrei esserle più di aiuto, vorrei essere un sostegno, vorrei realizzare i suoi sogni , le speranze, i suoi miracoli. Non voglio essere un dubbio o un peso, non voglio che si sente in qualche tipo di obbligo con me, dovrei darmi un freno forse?
Ha paura di farmi male, me lo dimostra sempre.
Anche se me ne facesse, guarirei..
Se non si sbaglia non si può trovare il modo giusto per fare le cose o per comportarsi in maniera giusta con le persone.
Sono disposta a farmi male se a lei serve, sono disposta ad imparare a come farla stare bene.
Io ho il terrore di farle male con i miei pensieri, i miei comportamenti, con la mia euforia, con le mie paure, con il mio tutto.
Sapevo che se mi sarei lasciata andare le mie paure più profonde sarebbero uscite, eccole. 
Sicuramente è cosi anche per lei.
Vorrei farla respirare.
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kon-igi · 6 years ago
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LONG WAY HOME - Capitolo Tre - Coraggio… fatti appendere!
Capitolo Uno - Il cavaliere Impallidito Capitolo Due -  Per un pugno di mosche
E così siamo arrivati alla fine di questa storia.
Con la bocca piena di sangue, una corda di canapa sporca che mi sta lacerando il collo e la luce che sfuma sopra i miei cristalli di parole strozzate.
Ma naturalmente non sono poi così troppo ansioso di descrivervi lo schiocco dell’osso del mio collo o, peggio, di una corda troppo corta che mi lascia soffocare e a pisciarmi nei pantaloni, perciò credo vi meritiate una spiegazione più dettagliata di questa sul perché io stia per tirare le cuoia. E pure male.
Basta tornare indietro di poche ore e…
Un peso sul ventre e i fianchi stretti in una morsa profonda. Buio. Sbatto gli occhi ma non c’è alcuna differenza. Buio, ancora. Mi rendo conto che sto trattenendo il respiro e allora lo esalo lentamente, quasi col timore che l’oscurità non voglia rendermelo.
E poi il peso su di me si muove e sento un altro respiro vicino alla mia faccia, capelli lunghi che mi scendono sulle spalle e mi solleticano la fronte, a fare in modo che due aliti diventino un anelito, protetti come da un giano bifronte che osserva se stesso.
Guarda – dice una voce che conosco così bene da sentirmi l’anima sanguinare e poi non è più buio perché fuori dai suoi capelli che mi proteggono il viso c’è una luce fioca… ma io non voglio vedere, desidero che rimanga ferma, che appoggi ancora la punta del suo naso al mio.
Guarda – ripete, se mai possibile ancora più dolcemente. Io stacco lo sguardo da quegli occhi, gli unici che mi abbiano mai salvato e nel buio vedo una porta che si apre su un bosco pieno di neve appena caduta, rischiarato da luce lunare, e oltre essa un uomo in compagnia di un lupo nero che mi osserva, in attesa del permesso per entrare.
NOI SIAMO KA-TET. NOI SIAMO UNO (DA/PER/IN) MOLTI.
Le parole sono nella mia testa e per quanto io le abbia comprese, pur sussurrate in una lingua arcaica e irripetibile, l’uomo non ha mai aperto bocca. Mi indica la stella appuntata sul petto, mi accorgo che non è una stella, ma sembra una spilla a forma di farfall…
Guardami – e il peso sul ventre si alleggerisce, i capelli smettono di proteggermi il volto e la donna da cui devo tornare mi lascia ancora.
No, NO! Ti prego! – mi sento il petto venir strappato via – Sto tornando! STO TORNANDO!
Giuda ballerino, che sceneggiata! – mi urla nell’orecchio una voce gracchiante che mi fa pulsare la testa come un Taiko in un Atsuta Matsuri di tedeschi ubriachi.
Apro brevemente prima un occhio, poi l’altro e li richiudo subito, sperando che il gatto che mi ha cagato in bocca smetta di usare il mio cervello come un tiragraffi. Sono sdraiato su un letto non troppo comodo ma l’ultima delle mie intenzioni è alzarmi o lamentarmi.
– Se stai fermo, Giuda Ballerino, finisco di prenderti le misure e poi ti lascio in pace! –
A giudicare dal bozzo che sento pesare in mezzo alla fronte, qualche monaco tibetano c’è andato giù pesante nel cercare di aprirmi il Terzo Occhio e quindi, tenendo serrati il primo e il secondo, cerco di fare conversazione col mio nuovo e colorito amico sarto.
Lo sapevi che l’esclamazione ‘Giuda Ballerino’ – gli faccio – si riferisce a quel fenomeno neurologico che accade alle persone impiccate a cui la frattura da strappamento di atlante ed epistrofeo causa una lesione del midollo spinale del tratto cervicale con conseguente spasmo tetanico intermittente dei quattro arti, simile a un ballo frenetico?
Aaarrr!!! – rumore di catarro rimestato dal fondo di due bronchi marci e poi – Eeeerrr… mmm… sì, lo so bene anche se mica uso quei paroloni grossi per dirlo.
Ah – mi stupisco – e come fa un sarto a sapere queste cose?
– Eerrr… perché… mmm… sono mica un sarto.
Apro gli occhi di scatto, preso da quel dubbio che il bozzo in mezzo alla fronte aveva tardato a far saltare fuori. Davanti a me c’è la brutta copia di Abraham Lincoln in versione fumeria d’oppio incendiata che mi guarda dal suo completo nero con tanto di cilindro e garofano finto penzolante dal bavero della giacca.
– Piacere, mmm… Simon Catskill. Proprietario dell’unica agenzia di pompe funebri di Old Knee-wounded One-eyed Back-crooked Under-whizzer Goldseeker’s Dusty Damned French Gulch e per cercare di rendere un servizio a basso costo per la comunità, pure l’unico boia. Errr… posso finire di misurare il girovita che forse ho una bara di pino poco usata a un ottimo prezzo?
Mi guardo cautamente intorno. Mozzicone di candela su uno sgabello, pitale arrugginito, branda durissima e sbarre alle finestre.
Ok… ero in un mare di merda fino al collo e i motoscafi attorno stavano facendo le onde.
Il tempo passa lentamente e non riesco a fare distinzione tra i cachinni delle campane che mi rimbombano in testa e i rintocchi di quella in bronzo della patetica chiesetta in legno poco lontana, chissà come scampata alle razzie dei Confederati mentre cercavano metallo per i loro cannoni.
Le mosche ronzano nel pitale mezzo pieno di succo di reni per poi cercare di posarsi sugli angoli della mia bocca piagata e arida. Se non si decidono a darmi l’ultimo pasto del condannato, a quel ramo sventolerò come una banderuola, altro che spezzare il collo.
Quando un rumore metallico mi dice che qualcuno sta provando ad aprire la poco oliata serratura della cella – strano, credevo che avrebbero gettato via le chiavi a furor di popolo – mi metto dolorosamente a sedere sul bordo della branda in legno e osservo il mio nuovo visitatore, scortato dalla vice-sceriffa che mi punta addosso il tremante Winchester.
Buonsgiorno, monsieur pistolero – mi saluta quest’omino paffuto e azzimato, come mille ne avrò già visti occhieggiarmi dal fondo di una latrina – mi fa piascere informarla che notre sieriffa Madame Bechdelia si sta riprendendo dal colpo vigliaccamente inferrto ma non potrà presensiare al suo proscesso. Bien! Madame Alison? Metta i sceppi a questo pistolero fuorilegge e lo conduca davanti alla giuria di suoi pari. A proposito… io sono Monsieur Beauchamp e je suis il sindaco di questa…
Fumante montagna di merda sparata dal culo di una vacca diarroica – lo interrompo, prima che inizi tessere le lodi di questo ulcerato sfintere d’amerdica. E già che il linciaggio m’ha disinibito la corteccia frontale, volevo dirle che mi sto trattenendo dal varare mezzo chilo di dirigibile marrone senza elica e timone, cosicché ne possa far dono più tardi alla folla come messaggio di commiato quando penzolerò dalla forca.
Di solito non sono così scurrile ma la mancanza di acqua e di cibo mi avevano fatto rivalutare la storia per cui un uomo a stomaco pieno ragiona più lentamente e che fame e sete aguzzino il cervello. Puttanate! Mi cadesse un occhio sotto una macina da grano se non desideravo affogarmi la faccia in un barile di Golden Grain Belt!
Il processo fu un grande trionfo della più illuminata delle giurisprudenze e infatti fui condannato all’unanimità per alzata di sputo cioè contandomi addosso il 50% più una delle rabbiose scatarrate della folla, con mio grande disappunto la stessa che poc’anzi era stata definita ‘di miei pari’. Forse sì, se si fosse andato a cercare tra i miei antenati del Pleistocene ma non avevo né il tempo né la voglia di stare a disquisire sulla bontà del suffragio universale, quindi tacqui e ringraziai di avere mezza candela di cera pressata in ogni orecchio così da non dover sentire i loro blandi e scontati insulti
Una bella impiccagione è uno spettacolo che difficilmente il popolo si perde e intorno all’albero – nemmeno la decenza di costruire un patibolo in legno come si deve – si era già riunita una selezione del meglio che questo buco di culo polveroso era riuscito a evacuare: oltre al sindaco mangiarane, potevo vedere quel mastrolindo del fabbro che per l’occasione si era portato dietro l’incudine e cantava Dixie’s Land battendo il tempo con la mazza, il proprietario dell’emporio col grembiule sporco di sangue – non so se per l’estrazione di un dente o per una barba mal fatta – il prete spaventapasseri, che temevo s’alzasse in volo tanto forte mulinava la mano nel fare il segno della croce e tutta una pletora di disadattati dei quali intuivo il mestiere dai vari attrezzi che si erano portati dietro per il mio granguignolesco linciaggio, nella remota evenienza fossi stato proclamato innocente.
Kitty, senti – faccio al boia che mi sta aspettando sotto all’albero con un cappuccio bianco in testa – credo tu abbia indossato quello sbagliato… oggi non è il venerdì della caccia al negro. – disappunto da parte sua e sventolio di cappuccio nero notte per un cambio veloce – E poi ti volevo chiedere due cose, se non ti spiace. Sono state impiccate molte persone a quest’albero? Eeerrr – fa lui, rimestandosi liquidamente il fondo del polmone – Ayeh, di sicuro! Ma nessun uomo timorato di dio… solo iniqui esseri egoisti e uomini malvagi e tiranni che minacciano da ogni parte il cammino dell’uomo tim…
– Sì, ok… può bastare così. Intanto grazie di aver occupato tutte le sedie dalla parte della ragione e poi un’altra cosa, forse più complicata: avete notato se gli uomini impiccati… ehm… ecco, se agli uomini impiccati venisse il pisello barzotto mentre penzolavano?
Naturalmente questa seconda domanda non piace al degno rappresentante del puritanesimo di frontiera ma il rossore sul volto e le narici dilatate valgono più di mille risposte. Incasso questa informazione con sollievo, sorridendo all’idea che il beccamorto credesse che volessi solo scandalizzarlo, e mentre mi immobilizzano le braccia sui fianchi con tre o quattro giri di fune intorno al tronco, di fronte alla botte vuota di melassa che avrebbe messo la mia testa all’altezza del cappio, smuovo la terra sotto l’albero con la punta dello stivale, finché non trovo quello che sto cercando.
Mastrolindo e Sweeney Todd si fanno avanti per prendermi di peso da sotto le braccia – Dio dei dannati! L’ascella ustionata, bifolchi! – e mettermi in piedi sulla botte barcollante, mentre il boia col cappuccio nero d’ordinanza mi stringe bruscamente la corda intorno al collo. Il prete comincia la sua tiritera ma io lo sento a malapena.
In piedi, a un passo dalle verdi praterie piene di pace, sto osservando la collina che sovrasta la città, dove in distanza posso vedere un cow boy vestito di nero che porta alla bocca un’armonica e comincia a suonare la vecchia ballata di commiato che ogni uomo che abbia mai indossato uno Stetson e cavalcato verso il tramonto conosce con struggimento
Let me tell you buddy, There’s a faster gun Comin’ over yonder, When tomorrow comes. Let me tell you buddy, And it won’t be long Till you find yourself singing Your last cowboy song. Yippee-ki-yi-yay When the roundup ends, Yippee-ki-yi-yay And the camp fire dims, Yippee-ki-yi-yay He shouts and he sings, When a cowboy trades His spurs for wings.
When they wrap my body In the thin linen sheet, And they take my six irons Pull the boots from my feet, Unsaddle my pony She’ll be itching to roam, I’ll be half way to heaven Under horse power of my own. Yippee-ki-yi-yay When the roundup ends, Yippee-ki-yi-yay And the camp fire dims, Yippee-ki-yi-yay He shouts and he sings, When a cowboy trades His spurs for wings. Yippee-ki-yi-yay I’m glory bound, No more jingle jangle I lay my guns down.
E poi il cavaliere scompare e io rimango lì, con la bocca piena di sangue, una corda di canapa sporca che mi sta lacerando il collo e la luce che sfuma sopra i miei cristalli di parole strozzate
…e che Dio abbia pietà della tua anima! – urla il prete, così forte da superare i miei tappi di cera.
Oh… dipende di quale dio stiamo parlando – e dopo aver sputato il mio sangue in un punto ben preciso del terreno, recito l’incantesimo che un vecchio Palero messicano di nome Pantera mi aveva insegnato molte vite fa.
TE LLAMO CON SANGRE PARA QUE TOMES LA SANGRE. ¡DESPIERTA!
Il mio sputo sanguinolento sembra evaporare nell’aria del mattino con uno scricchiolio funesto della terra battuta. Quel qualcosa che avevo sperato di trovare comincia ad agitarsi e a tendersi come un vecchio otre di cuoio bitorzoluto gonfio di liquore marcio: la radice di Mandragora, generata dallo sperma di un impiccato spillato negli ultimi attimi di agonia, aveva aspettato paziente di essere chiamata e ora esigeva il suo pasto. La cera con cui mi ero sigillato le orecchie a malapena scherma il Grido Maledetto che dissolve la ragione e l’Homunculus nato da essa rivolge allora le sue urla dissennanti alla folla frenetica, sradicando le sue appendici verminose e barcollando strusciante verso di essa.
Da dove vengo io per complimentarsi scherzosamente con una persona particolarmente intelligente si è solito dirle ‘Ti cola il cervello dalle orecchie’ ma dubito che quello che stava accadendo ai padiglioni auricolari degli abitanti di Old Knee-wounded One-eyed Back-crooked Under-whizzer Goldseeker’s Dusty Damned French Gulch avesse qualcosa a che fare con le funzioni corticali superiori.
Al primo sibilo lacerante dell’Homunculus nella loro direzione, la gente comincia a sua volta a urlare rabbiosamente, artigliando occhi, mordendo nasi e menando fendenti a casaccio con quanto aveva sotto mano. Una donna strattona verso l’alto la barba del marito e strappa con uno schiocco il pomo d’adamo dell’uomo, sputandoglielo subito dopo nella bocca spalancata, un contadino delirante le trafigge da dietro il cranio con una forca da fieno, presentando al mondo un doppio spiedino di occhi che paiono due marshmallow poco cotti con sciroppo di ribes sopra; colpi di zappa che scoperchiano crani, balli frenetici nella cavità addominale del prete con festoni di visceri roteati come fruste e rumore di ossa spezzate come bastoncini di zucchero nelle bocche di ninos golosi durante il Día de los Muertos. L’Homunculus urla ancora più forte, sovrastando il rombo dei pochi shotgun a pallettoni che stanno aprendo tra la folla corridoi di nebbia sanguinolenta, quando, improvvisamente, vedo l’enorme fabbro venire verso di me brandendo la mazza, con occhi folli e ricoperto di sangue come la trasfigurazione di un Thor che avesse appena fatto un’orgia con mille valchirie mestruate.
– Ti pianto la mazza nel culo e ti spoltiglio sull’incudine, prole del demonio! –
Questo non era previsto – penso preoccupato, piantando più saldamente i piedi sul barile di melassa che però ora mi pare meno stabile di prima. – Ho le mani serrate sui fianchi e di certo mi ci vuole tempo per venirne fuori! Idem per questo cappio insaponato male che già mi sta mezzo soffocando! Cazzo! CAZZO!!
L’energumeno solleva la mazza e vibra un affondo tanto forte da meritarsi il peluche più grosso di tutto il luna park ma un attimo prima dell’impatto irrigidisco il collo, salto via dalla botte con un balzo indietro e mi tolgo dalla traiettoria, lasciando il barile a sbriciolarsi sotto la furia metallica del maglio.
CRAAACK!!!
Con gli occhi fuori dalla testa e ben poca aria rimasta, mi do una spinta coi reni e ritorno a gambe tese verso di lui. Mastro Lindo ha ancora la testa chinata per seguire con lo sguardo la traiettoria del colpo fatale e l’ultima immagine che vedono i suoi occhi, prima che glieli spenga per sempre, sono due speroni lucidi e seghettati che invece di punzecchiare il placido fianco di un pony, affettano uova sode e procedono a scavare due solchi sulle tempie fino a scalpare via le orecchie che si aprono come due tende molli a mostrare il bianco dell’osso.
L’urlo che esce da quel volto martoriato è, se possibile, ancora più dilaniante di quello dell’Homunculus ma consapevole dei pochi istanti prima che la mancanza di ossigeno mi spappoli il cervello, aggancio il suo collo con entrambe le gambe come se volessi un lavoretto di bocca e con una dolorosa contorsione riesco a ruotargli attorno e salirgli a cavalluccio sulle spalle.
E qua comincia il più importante e difficile rodeo della mia vita.
Al fabbro sembra che abbiano appena infilato nel tubo di scarico una supposta al peperoncino cosparsa di granella di alluminio e vetro perché salta e scalcia come un giovane baio appena castrato ma io serro le gambe e cerco di resistere ai pugni che mena alla cieca verso la mia faccia. Fermo, coglione! – gli urlo nel timpano ma poi mi accorgo che l’orecchio flappeggia sulla mia coscia come un aquilone bagnato contro il fianco di un mattatoio e quindi mi sembra inutile cercare di farmi sentire.
Mando una veloce preghiera a Crom, l’unico dio che mi abbia mai ascoltato, e con un colpo secco pianto entrambi gli speroni nella trippa del tizio, agganciando con uno schiocco liquido entrambe le costole fluttuanti dell’omaccione, pronto così a farsi condurre come un grasso ronzino recalcitrante.
– E ora andiamo dove dico io, sperando che la corda sia abbastanza lunga per arrivare al tr…
SBAM!
Sì, era abbastanza lunga e le stelle da sceriffo che vedo davanti agli occhi e il mio braccio sinistro penzolante mi dicono che ho portato il bestione dove volevo, a fare quello che volevo… cioè a scatafasciarmi la spalla sinistra contro il tronco dell’albero.
Mentre Mastro Lindo rantola dissanguato per la lacerazione dell’aorta addominale e le sue ginocchia si piegano sempre di più, portandomi via il respiro, il braccio lussato mi permette di avere più spazio di manovra per tirare fuori quello sano dal triplo giro di corda e riuscire a… ecco! Libero! Un attimo prima sono lì ad allentare il nodo scorsoio e a sfilarmelo dal collo e un attimo dopo il metallurgico leviatano rende l’anima al demiurgo, crollando finalmente a terra. E io con lui, giusto in tempo, respirando come un mantice sfiatato.
La faccia schiantata nella polvere, la cera mista a sudore che mi cola sulle guance, dolore lancinante alla spalla e alla gola, al punto che lascio la saliva colare insieme al sangue dagli angoli della bocca piuttosto che deglutire… alzo lentamente la testa e vedo che l’homunculus sta finendo di saziarsi col sangue del sindaco Beauchamp, impalato sulla stanga di un carro ma con un’espressione di gioioso furore estatico congelata in faccia, nonostante il bowie arrugginito conficcato in mezzo ai testicoli.
E poi l’orribile creatura si blocca, sembra afflosciarsi e lentamente riprende aspetto e dimensioni della radice che l’aveva generata, scomparendo di nuovo nel terreno.
Non mi piace la carneficina che si stende davanti ai miei occhi e davvero l’avrei evitata, se solo mi avessero lasciato in pace. Ma sento che la storia non è ancora finita.
Mi volto di scatto, carico a testa bassa e
SBAM!
– AAAAHHHHH! MALEDIZIONE ETERNA! QUESTA VOLTA HA FATTO PIÙ MALE DEL SOLITO!
L’albero spoglio trema ancora per il colpo che ci ho dato contro per rimettermi la spalla a posto e con le lacrime agli occhi mi riprometto di cominciare ad avere più cura del mio corpo… magari non oggi ma da domani quasi sicuramente.
Monto in sella al mio fedele e amichevole Re Nero, che nitrisce un gioioso vaffanculo di ben ritrovato e senza avere la minima possibilità di strimpellare il mio banjo in maniera funzionale, mi avvio per la strada polverosa, cantando senza accompagnamento la vecchia canzone con cui ogni cow boy vorrebbe essere salutato prima dell’ultima cavalcata
Yippee-ki-yi-yay When the roundup ends, Yippee-ki-yi-yay And the camp fire dims, Yippee-ki-yi-yay He shouts and he sings, When a cowboy trades His spurs for wings.
Yippee-ki-yi-yay When the roundup ends, Yippee-ki-y…
CLICK-CLACK!
Già… – dico a voce alta, fermando il cavallo – Il rumore di leva scarrellata alle mie spalle mi dice che ancora una volta sono dalla parte sbagliata di un Winchester ‘Yellow Boy’ Modello 1866… – mi volto mooolto lentamente – Vero, Bechdelia?
La sceriffa mi tiene sotto il tiro del suo fucile, mentre il suo sguardo furioso da Tisifone è reso solo un filo meno che agghiacciante da una vistosa benda sulla fronte, che nasconde a fatica un bernoccolo di dimensioni aristoteliche.
Sai – continuo, tenendo d’occhio la canna del fucile ben salda in direzione delle mie palle – dovresti ringraziarmi per averti messo fuori uso per tutto il tempo dell’impiccagione. Il catering era davvero penoso e il pianista è andato in overdose da laudano dopo aver suonato la seconda canzone.
Bechdelia abbassa il fucile con quello che sembra… un sorriso? e lancia nella mia direzione una cosa che nella fretta di svicolare via dovevo aver lasciato indietro.
– Ammiro il coraggio con cui giri con quella dannata borsa blu e sarebbe stato davvero un peccato lasciarla agli sceriffi federali che da domani saranno impegnati a stampare e ad appendere il tuo bel musino barbuto in ogni buco di culo di villaggio sperduto. E poi qualcuno dovrà pur starti attaccato alle chiappe per dirti se davvero li vali tutti i soldi della taglia.
– Ma… e la tua città? I tuoi compaesani? Non senti di venire meno al debito che hai nei loro confronti? Cioè, verso i pochi rimasti?
– Verso chi, quei maschilisti porci sciovinisti al soldo del patriarcato? Che i dingo banchettino pure coi loro putridi resti! Io sono una donna libera e la libertà è mia e me la gestisco io!
Senza aggiungere altro, affianca il suo cavallo al mio e mi fa cenno di andare avanti – Prima le signorine.  
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