#club degli editori
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garadinervi · 2 months ago
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Italo Calvino, (1993), Prima che tu dica «Pronto», Club degli Editori, Milano, 1994 [Laboratorio Calvino, Sapienza Università di Roma, Roma. Semi d'inchiostro, Fabriano (AN)]
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abatelunare · 7 months ago
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In sé crede e nel vero chi dispera? (Giuseppe Ungaretti, Vita d'un uomo. Tutte le poesie, Milano, Club degli Editori, 1969).
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agrpress-blog · 1 year ago
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 La produttrice cinematografica, attrice e conduttrice televisiva Patrizia Pellegrino racconta la sua vita in un libro che prende il titolo di Ho scelto di sorridere (Frascati & Serradifalco editori, 2023) - prefazione di Simona Izzo, postfazione di Miriana Trevisan - nel quale la Pellegrino si racconta attraverso il sorriso, fra amori, maternità, carriera e pensieri legati al suo trascorso artistico e personale. Un libro in cui P. Pellegrino usa per difendersi l’arma del sorriso, un’arma forte e terapeutica utilizzata con l’intento di suscitare buon umore e allegria in chi la incontra, il tutto nonostante i momenti belli e brutti della vita. Un libro che la stessa Simona Izzo, nella prefazione, ha definito come «terapeutico, perché lei ha un metodo per tenere a bada la tristezza, e tra le righe di questo lungo racconto di vita».  Nella sua biografia la Pellegrino, infatti, incoraggia al sorriso nonostante le divergenze della vita. Una vita che scorre tra successi professionali legati alla sua carriera, amori passionali e ricordi di una maternità difficile, che la porterà anche ad adottare un bambino, il piccolo Gregory, proveniente dalla Russia. Dalle parole del principe Alberto di Monaco che le chiese di sorridere sempre perché in lei rivedeva il sorriso della madre, Grace Kelly, ai ricordi d’infanzia legati alla scoperta dell’affascinante mondo del cinema, le sue radici campane e il suo concetto di amicizia, un legame unico che, spesso, nel mondo dello spettacolo rischia di mischiarsi con invidie e falsità e che per questo la Pellegrino definisce nel suo libro come un «vero legame con una persona speciale, che si basa sull’essere orgogliosi l’uno dei successi dell’altra».  Fra le pagine del suo libro si percepisce anche l’amore che la Pellegrino nutre per il suo paese: l’Italia, che a detta sua«è il Paese più bello del mondo, non possiamo permettere che soffra, e i soldi vanno incanalati nel teatro, nel cinema, nella cultura, nell’istruzione, nella bellezza e nel turismo. Palermo è la mia seconda città, la amo proprio perché lì ritrovo l’ambiente napoletano, ricevo tanto amore e attenzioni». Ed è proprio parlando di Palermo che la Pellegrino volge un ricordo anche agli eroi dell’antimafia, tra i quali, Falcone e Borsellino che, «hanno dato la loro vita per rendere questa nazione un posto migliore. Nessuno li ha mai costretti a fare nulla. Tutto ciò che hanno fatto è stato fatto col cuore». Patrizia Pellegrino esordisce nel mondo del cinema con Luca De Filippo, che la sceglie come protagonista della fiction Petrosinella. Svolge anche una carriera di cantante, lanciata da Corrado con la sigla Beng! del programma televisivo Gran Canal. Come conduttrice, ha successivamente presentato Chewing gum show insieme a Maurizio Micheli, Night and Day, Chi tiriamo in ballo, Il piacere dell’estate e Sereno Variabile. Dalla fine degli anni Ottanta si dedica al teatro, dove ha la possibilità di recitare in ruoli più impegnati. Attualmente svolge l’attività di attrice teatrale e produttrice cinematografica. Nel corso della sua carriera ha più volte collaborato con Gigi Proietti (con il quale ha interpretato il personaggio della signora dell’onorevole nel programma Club 92 trasmesso su RaiDue), Enrico Montesano (nella serie tv Pazza famiglia) e Gino Bramieri. Dal settembre 2010 conduce Botteghe e mestierisul canale satellitare Leonardo (Sky). Con l’ex marito Pietro Antisari Vittori ha avuto quattro figli: Tommaso, Arianna, Riccardo (deceduto a dieci giorni dalla nascita) e Gregory, adottato in Russia e la cui vicenda è documentata nel libro autobiografico Per avere Gregory (Mursia editore, 1997). Ho scelto di sorridere, di Patrizia Pellegrino, pubblicato da Frascati & Serradifalco editori (Roma) - prefazione: Simona Izzo; postfazione: Miriana Trevisan; pp. 144 -, è disponibile in libreria e online da novembre 2023.
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personal-reporter · 1 year ago
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Presepe Vivente 2023 a Venegono
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Con il Natale 2023 dal 24 dicembre torna uno degli eventi più caratteristici del Natale nel Varesotto, cioè  il presepe vivente di Venegono Inferiore, una tradizione molto cara agli abitanti del paese, che dal Natale 1972 hanno un’occasione preziosa per celebrare la Natività. Una rappresentazione che richiama migliaia di visitatori, molto apprezzata da adulti e bambini. In questi anni il Presepio vivente di Venegono Inferiore è cresciuto sino a raggiungere un’importanza a livello nazionale, testimoniata da numerosi e autorevoli riconoscimenti. Tra questi la citazione del Touring Club e quella nel volume della Fabbri Editori del 1998 facente parte della collana I grandi manuali. Rosalba Silvestri nei cenni storici del suo Modellare il Presepe dice che è “… non solamente come rappresentazione sacra, ma soprattutto come difesa dei valori storici, ambientali e culturali di una realtà umana viva nel passato e nel presente”. L’idea del presepe vivente a Venegono la ebbe nel 1969 il parroco Carlo Lucini, ma la prima testimonianza di una ricostruzione vivente della Natività è nel 1951 quando, nel giorno dell’Epifania, si tenne un corteo per Venegono che vide protagonisti i Re Magi a cavallo. Oggi si assiste a una rappresentazione ogni anno più bella, più sofisticata, ma sempre intensa, coinvolgente e molto partecipata sia dai presepisti che dal pubblico, poiché il presepe vivente vede la scelta e lo sviluppo di un canovaccio, ideata da un gruppo di sceneggiatori con discorsi nuovi, ambientazioni accattivanti, personaggi complementari con relativi animali (reali) da accudire e preventivamente addestrare, scenografie che riportano in un mondo antico, in un contesto reso in modo tale da conservare inalterata la purezza dell’Avvento e la sua magia. Essenziali sono le musiche dell’accompagnamento, mentre il lavoro scenografico parte da una struttura lignea ricoperta da una tela imbevuta nel cemento, per riuscire a ricreare le murature dell’epoca antica. La rifinizione è affidata ai pittori, che disegnano e colorano i luoghi che vedono il pieno coinvolgimento del pubblico, accomodato in tribune in ferro posizionate e concepite secondo canoni di sicurezza precisi, tra giochi di luce, effetti idrici e decorazioni studiate e sempre in armonia con la rappresentazione sacra. L’aneddotica che gravita spesso è collegata alla scelta della Sacra Famiglia, poiché è difficile trovare un nucleo famigliare volontario in quanto l’impegno conta ore di recitazione e cinetica per avvicinarsi quanto possibile alla perfezione. Anche i bimbi che ricoprono il ruolo di Gesù Bambino sono sottoposti al sacrificio di patire un po’ di freddo nel giorno della rappresentazione, ma si dice che nessuno di loro si sia mai ammalato. In parallelo al Presepio vivente c’è il Presepe statico, una vera opera tra l’artigianato e l’ingegneria, un’istituzione del piccolo borgo del varesotto, visitabile negli stessi giorni e orari delle rappresentazioni viventi. Dal 2022 il presepe è  tornato alla modalità tradizionale, con la struttura coperta, il pubblico seduto sui gradoni e gli attori operanti sulla scena, e si collabora inoltre con i padri comboniani di Venegono Superiore per fare in modo che i due presepi, entrambi di storica tradizione anche se portata avanti con diverse modalità, possano dialogare tra loro. Oltre agli spalti è stata ripristinata anche la copertura e le pareti del capannone che lo scorso anno erano state eliminate per dare vita ad una versione itinerante del presepe, per consentire una fruizione immersiva della storia. Read the full article
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fashionbooksmilano · 2 years ago
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Il presepe Napoletano
La collezione Accardi
Carmine Romano
Grimaldi Editori, Napoli 2018, 140 pagine, oltre 100 ill.colori, 25 x 34,6, Legatura editoriale in tuttatela con sovracoperta, ISBN  978-8898199785
euro 70,00
email if you want to buy [email protected]
Vittorio Accardi fu il primo, in una famiglia colta ed educata all'arte, a dedicarsi al collezionismo presepiale. Lo fece con tale rispetto e amore, che la sua collezione può essere inserita tra le ultime degne di nota create nella seconda metà del '900. Ci riuscì entrando da neofita in quella cerchia di connoisseurs che hanno contribuito nel XX secolo, alla ripresa dell'interesse per questa speciale forma d'arte e alla sua evoluzione. Erano suoi amici i fratelli Catello, Raffaello Causa, Tommaso Leonetti, Gennaro Borrelli, Antonio Perrone, Alfonso Laino. Nomi importanti per gli appassionati di presepe, che evocano un mondo lontano, fatto di conoscenza e profonda competenza. Dai ricordi del figlio Luigi, emergono i dettagli di quel periodo: Gli anni 1950 sono quelli della mia infanzia e i miei ricordi dei rapporti con mio padre in quell'epoca sono indissolubilmente legati al mondo dei pastori, degli antiquari, dei collezionisti e degli artisti. Alle sue passioni artistiche e collezionistiche erano tipicamente dedicate le domeniche e lui mi portava con sé nei suoi giri per negozi, botteghe, studi di pittori o scultori molti dei quali erano a loro volta collezionisti. Si commentavano opere in fieri o già compiute, acquisti fatti da loro stessi o da terzi, vendite di pezzi importanti, preparazioni di mostre. Certamente c'erano anche contrattazioni e acquisti, ma nella mia memoria, dopo vari decenni, questi hanno lasciato il posto alla sensazione di club, che è l'unica rimasta in me [...]. In questo ambiente, il collezionista Vittorio si forma e si educa, cercando di capire e carpire le nozioni non scritte, bensì tramandate da chi nei pastori c'era nato. Inizia ad appuntare in un album dedicato alla sua raccolta, suggerimenti, impressioni, spunti per migliorare il presepe. E poi registra meticolosamente per ogni singolo pezzo scambi, doni e acquisti, con riferimenti puntuali alle date e al prezzo. Racconta di collezioni smembrate e ci introduce in un mondo, oramai scomparso, fatto di noti appassionati, venditori, antiquari, artisti e saponari, e di pezzi da inseguire per completare questa o quella scena.
05/05/23
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frabsmagazines · 2 years ago
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giornalepop · 6 years ago
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LE COPERTINE DEI LIBRI DI BRUNO MUNARI
LE COPERTINE DEI LIBRI DI BRUNO MUNARI
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Raccontare di Bruno Munari, artista milanese nato nei primi anni del Novecento e dalla vita lunga e produttiva fino all’ultimo (ci ha lasciato nel 1998), significa aprire una numerosa sequenza di porte rivolte alle attività e le arti più disparate, in un lavorio sempre avvolto da una tensione innovativa e una costante ricerca quando non risultato di anticipazione. È stato pittore, scrittore,…
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lecopertine · 8 years ago
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Una copertina efferata e inspiegabile. Gratuito in particolare l’animale, sorta di petauro.
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newsintheshell · 2 years ago
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ANIME RECAP: per decreto dell'Imperatore, tutte le news disperse si radunino in questo post!
Questa settimana ho raccolto per voi altre 10 novità.
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Nella tetra oscurità di questo piovoso sabato sera ci sono solo trailer, più un aggiornamento che sa di annuncio. Disney, Crunchyroll e gli editori giapponesi potranno anche bombardarmi a tappeto tutta la settimana con news di ogni tipo, ma il sacro ANIME RECAP è un bastione inespugnabile!
Auguro a tutti un buon weekend e ora, se volete scusarmi, torno su Darktide a far scoppiare teste con il mio Psyker.
🔶🔸KIMI NO IRO
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Ve ne avevo già parlato nell'ANIME RECAP di qualche settimana fa, ma oggi c'è stato il reveal ufficiale: il nuovo film diretto da Naoko Yamada (K-On!, Tamako Market, Liz e l’uccellino azzurro, La forma della voce, Heike monogatari) debutterà nelle sale giapponesi nell'autunno 2023.  
La storia è incentrata su Totsuko, una liceale che può vedere i "colori" delle emozioni nel cuore delle persone. Pur di evitare che i suoi amici e la sua famiglia provino sentimenti oscuri, fa di tutto per appianare le situazioni, anche mentire. Il caso la porterà a formare una piccola band, assieme ad una ragazza che emana dei colori incredibili e un ragazzo appassionato di musica.
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Nato da un'idea originale della regista, il lungometraggio è sceneggiato da Reiko Yoshida (Ride Your Wave, Violet Evergarden) e in produzione presso lo studio SCIENCE SARU (Inu-Oh, The Tatami Time Machine Blues).
🔶🔸TRIGUN STAMPEDE
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Online il main trailer per l’attesa nuova serie animata tratta dal celebre manga di Yasuhiro Nightow (Blood Blockade Battlefront), che potremo seguire su Crunchyroll, a partire dal  7 gennaio 2023.
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Realizzato in computer grafica presso ORANGE (Land of the Lustrous, Beastars), questo nuovo adattamento, in chiave moderna e finalmente completo, dell’iconico western sci-fi anni ‘90, è diretto da Kenji Muto (direttore d’episodio in Land of the Lustrous e in Garo: Honoo no Kokuin).
🔶🔸FARMING LIFE IN ANOTHER WORLD
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Secondo l'anime logic, curare un tuo orto non ti rifornisce solo di ottimi ortaggi, ma anche di graziose waifu.
Tutto confermato nel primo trailer dell’harem fantasy slice of life tratto dalla light novel di Kinosuke Naito. Che bella vita che fanno i protagonisti degli isekai!
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La serie andrà in onda dal 6 gennaio 2023 ed è diretta da Ryoichi Kuraya (Tsugumomo) presso lo studio ZERO-G (Science Fell in Love So I Tried to Prove It).
🔶🔸APPARENTLY, DISILLUSIONED ADVENTURERS WILL SAVE THE WORLD
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Locandina e nuovo trailer per l’avventura fantasy (sì, non è un iseaki!) con protagonista il party di reietti creato da Shinta Fuji. La trasposizione televisiva della light novel inizierà ad andare in onda dal 10 gennaio.
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 La regia e la sceneggiatura sono in mano a Itsuki Imazaki (Hensuki, Ai-Mai-Mi Surgical Friends), che sta supervisionando i lavori in corso presso gli studi GEEK TOYS (Date A Live IV, Hensuki) e SEVEN (Hensuki, Peter Grill and the Philosopher’s Time: Super Extra).
🔶🔸REBORN TO MASTER THE BLADE
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Secondo trailer anche per l'action fantasy, dal twist gender bender, che sbarcherà dal 9 gennaio in simulcast su Crunchyroll.
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L’adattamento della light novel di Hayaken è in lavorazione presso STUDIO COMET (Fairy Ranmaru, Cute High Earth Defense Club LOVE!) e alla regia troviamo Naoyuki Kuzuya (Bikini Warriors),
🔶🔸 KIZUNA NO ALLELE
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L'anime di Kizuna Ai si mostra finalmente in un primo trailer, che ne fissa il debutto per il 2023. Al contrario di quanto si pensasse all'inizio, la serie non avrà come protagonista la celebre V-tuber, ma piuttosto delle inedite virtual artist in erba, che da lei prendono la loro ispirazione.
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La serie è prodotta in collaborazione da SIGNAL.MD (Platinum End) e WIT STUDIO (Ranking of Kings). La regia e la sceneggiatura sono affidate, rispettivamente, a Kenichiro Komaya e Deko Akao (When Will Ayumu Make His Move?).
🔶🔸 SAINT SEIYA: KNIGHTS OF THE ZODIAC
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Al tempo, la visione di "Dragonball Evolution" mi ha traumatizzato talmente tanto, che ho guardato questo primo trailer dell'adattamento live action dell'iconica saga di Masami Kurumada con gli occhi mezzi coperti.
Il debutto è programmato ancora per un generico 2023 e già si parla, potenzialmente, della realizzazione di sei film. A quanto pare, di questi tempi i produttori sono ingenuamente ottimisti.
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Questa prima pellicola è diretta da Tomasz Baginski (che finora si è occupato solo di cortometraggi e della produzione della serie Netflix di The Witcher) e sceneggiata da Kiel Murray (Raya e l'ultimo drago), Josh Campbell (10 Cloverfield Lane) e Matt Stuecken (Notorious Nick).
🔶🔸 LUPIN ZERO
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Ecco il trailer della nuova miniserie dedicata ai fan più irriducibili del mitico ladro gentiluomo creato dal compianto Monkey Punch.
I 6 episodi usciranno in streaming il 16 dicembre (sfortunatamente pare siano capitati nelle manacce di HIDIVE, ma vedremo) e ci porteranno nella Tokyo degli anni ‘60, da un giovanissimo Arsenio Lupin III.
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Questo ennesimo capitolo del franchise vede cimentarsi alla regia il debuttante Daisuke Sako, mentre la sceneggiatura è a cura di Ichiro Okouchi (Mobile Suit Gundam: The Witch from Mercury, Lupin III - Ritorno alle origini).
🔶🔸 DETECTIVE CONAN: KUROGANE NO SUBMARINE
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Primo breve trailer anche per il consueto nuovo film annuale del franchise, con protagonista il piccolo grande detective di Gosho Aoyama.
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La 26a pellicola della saga, diretta eccezionalmente da Yuzuru Tachikawa (Mob Psycho 100, Death Parade), uscirà in Giappone il 14 aprile 2023.
🔶🔸ZAN
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Questo progetto era caduto talmente nell'oblio che ne avevo solo l'ombra di un ricordo. Vi porto indietro di qualche anno: nel 2010 si era parlato di un film d'animazione, diretto nientemeno che da Yoshitaka Amano (Final fantasy, Vampire Hunter D, Exception). Come avrete già capito, poi non se n'è fatto nulla.
Il 2022 è agli sgoccioli e il progetto è stato resuscitato, stavolta sottoforma di serie animata, sempre ispirata alla collezione DEVA ZAN del celebre artista.
Il protagonista della storia è un samurai logorato da una vita in costante guerra, in un epoca Edo ormai al tramonto. Un giorno, una misteriosa voce di donna lo guida verso un altro mondo, oltre lo spazio e il tempo, dove si imbatterà in novi nemici e verità dimenticate.
* NON VUOI PERDERTI NEANCHE UN POST? ENTRA NEL CANALE TELEGRAM! *
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Autore: SilenziO)))
blogger // anime enthusiast // twitch addict // unorthodox blackster - synthwave lover // penniless gamer
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gregor-samsung · 5 years ago
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“ Dostoevskij ha scritto: «Se Dio non esiste tutto è permesso». Ecco il punto di partenza dell’esistenzialismo. Effettivamente tutto è lecito se Dio non esiste, e di conseguenza l’uomo è «abbandonato» perché non trova, né in sé né fuori di sé, possibilità d’ancorarsi. E non trova anzitutto neppure delle scuse. Se davvero l’esistenza precede l’essenza non si potrà mai giungere ad una spiegazione riferendosi ad una natura umana data e determinata; ovvero non vi è determinismo: l’uomo è libero, l’uomo è libertà. Se, d’altro canto, Dio non esiste, non troviamo davanti a noi dei valori o degli ordini che diano il segno della legittimità della nostra condotta. Così non abbiamo né davanti a noi né dietro di noi, nel luminoso regno dei valori, giustificazioni o scuse. Siamo soli, senza scuse. Situazione che mi pare di poter caratterizzare dicendo che l’uomo è condannato a essere libero. Condannato perché non si è creato da solo, e ciò non di meno libero perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto quanto fa. L’esistenzialista non crede alla forza della passione. Mai penserà che una bella passione è un torrente impetuoso che conduce fatalmente l’uomo a certe azioni e che quindi vale da scusa. Ritiene l’ uomo responsabile della passione. L’esistenzialista non penserà neppure che l’uomo può trovare aiuto in un segno dato sulla terra, per orientarlo: pensa invece che l’individuo interpreta da solo il segno a suo piacimento. Pensa dunque che l’uomo, senza appoggio né aiuto, è condannato in ogni momento a inventare l’uomo. Ponge ha detto in un articolo molto bello: «L’uomo è l’avvenire dell’uomo». Perfettamente esatto. Solo che, se s’intende che quell’avvenire è scritto nel cielo e che Dio lo vede, è falso perché in tal caso non si tratta più un avvenire. Se s’intende invece che qualsiasi uomo che appare sulla terra ha un avvenire da costruirsi, un avvenire vergine che l’attende, allora siamo d’accordo sul significato della frase. Ma in tal caso siamo abbandonati. “
Jean-Paul Sartre, L'esistenzialismo è un umanismo, traduzione di Giancarla Mursia Re, U. Mursia & C. editori, 1971⁷; pp. 46-48.
NOTA: «L'esistenzialismo è un umanismo» fu il titolo di una conferenza di J.P. Sartre tenuta presso la Salle des Centraux a Parigi alle 20:30 del 29 ottobre 1945 ed organizzata dal club "Maintenant"; l’evento terminò con un tumulto provocato da alcuni contestatori e segnò la nascita del movimento esistenzialista, con Sartre e Simone de Beauvoir quali guide universalmente riconosciute. L’anno seguente l'editore Nagel decise di pubblicare il testo senza un consenso esplicito di Sartre che però non disconoscerà l’opera, curata in seguito da Arlette Elkaïm-Sartre, sua figlia adottiva. La prima edizione italiana di quest’opera, minore ma non irrilevante, si avrà solo nel 1963.
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abatelunare · 11 months ago
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Niente ormai avrebbe potuto trattenerla dall'aprire la porta ed entrare (Erskine Caldwell, Giorni sulla costa del Golfo, Milano, Club degli Editori, 1966).
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fotopadova · 5 years ago
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Salgado e la pace. Avevamo ragione?
di Carlo Maccà
-- A fine 2014 Fotopadova.org pubblicava un articolo dal titolo (piuttosto anodino, in realtà) "Di Giacomelli e di Salgado, e … di più" che metteva a confronto l'aspetto umanistico della fotografia di ciascuno dei due autori. Aspetto dominante nell'opera del Franco-Brasiliano, ma che non è assente, seppure in forma più intimistica, in quella dell'Italiano.
(https://www.fotopadova.org/post/104399031833)
Quello che qui si vuol ricordare è soltanto la frase conclusiva dell'articolo, che diceva:  
Chi ha potuto capire ed apprezzare abbastanza a fondo la dedizione di Salgado alla “causa” dell'umanità e della natura (che lui considera indissociabili), e il suo sforzo per diffondere e ampliare la partecipazione, forse potrà concordare con noi nella proposta di CANDIDATURA  DI SEBASTIAO SALGADO AL PREMIO NOBEL PER LA PACE. Lo merita più di tanti altri che hanno presto disfatto quanto avevano fatto per meritarlo. E, come “effetto collaterale”, darebbe un grande, meritato riconoscimento al contributo della fotografia alla civiltà.
Idea piuttosto pretenziosa per un sito internet tutt'altro che influencer, potendo vantare in quell’anno al massimo qualche centinaio di contatti, piuttosto localizzati geograficamente e ristretti alla piccola cerchia di intimi della fotografia e della sua cultura. Ma che col tempo s'è dimostrata tutt'altro che peregrina. 
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        Le fotografie dell'Amazzonia di Salgado proiettate sulla facciata della Basilica di San Francesco ad Assisi - Ph©Tiziana Serpetti
Nell'autunno dell'anno scorso alcuni media materiali e virtuali annunciavano al mondo la seguente notizia:
"The Board of Trustees of the Peace Prize of the German Book Trade has chosen the Brazilian photographer Sebastião Salgado to be the recipient of this year’s Peace Prize." .....
"Il consiglio Direttivo del Premio per la Pace istituito dall'Associazione degli Editori e dei Librai della Germania ha deciso di assegnare al fotografo Brasiliano Sebastião Salgado il premio per l'anno 2019. [........] La cerimonia di premiazione avrà luogo Domenica 20 Ottobre presso la chiesa di S. Paolo a Francoforte sul Meno. Il discorso di encomio sarà tenuto dal regista cinematografico tedesco Wim Wenders."
Solo alcuni media italiani del settore artistico e fotografico riferivano il fatto, e pochissimi col dovuto rilievo (fra le eccezioni, il mensile IL FOTOGRAFO). Perché quel riconoscimento non è cosa da poco, la cerimonia non è del genere "fiore all'occhiello dell'OchsenSchwanzSuppeFest come tanti eventi "culturali" che si tengono in giro. La Börsenverein des Deutschen Buchhandels, che dal 1950 assegna annualmente il Friedenpreis ad un autore i cui libri abbiano contribuito alla diffusione e all'affermazione dell'ideale di Pace, è l'associazione organizzatrice della Frankfurter Buchmesse, Fiera Internazionale del Libro di Francoforte, la più prestigiosa fiera del libro europea e una delle maggiori al mondo.
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         L’assegnazione del Premio a Sebastião Salgado - Ph©Tobias Bohm
Dopo Max Tau, "editore e autore" nel 1950 e nel 1951 Albert Schweizer, "medico e teologo" (ma anche organista e musicologo, autore di un classico studio su J.S.Bach; su di lui un famoso lavoro fotografico di Eugene Smith), furono premiati molti autori letterari, per esempio: 1955, Hermann Hesse, "scrittore, poeta e pittore", già premio Nobel 1946 per la letteratura; 1957, il romanziere americano Thornton Wilder; 1968, il poeta Senegalese Léopold Sédar Senghor; 1978 la svedese Astrid Lindgren, autrice di libri per bambini; 2009, il nostro Claudio Magris; 2019, David Grossman, Israeliano. Ma anche filosofi (Ernest Bloch, 1967; Karl Jaspers, "filosofo e psichiatra", 1958); musicisti direttori d'orchestra (Yehudi Menuhin, 1979), politici (il "giornalista, politico ed ex-presidente della Germania Occidentale" Teodor Heuss,1959; il Ceco Václav Havel, 1989); il teologo cardinale Augustin Bea, 1966; l'ambientalista Club di Roma, 1973.
Nel 2003 fu premiata Susan Sontag, "narratrice e saggista". Il saggio per il quale è a ben nota nell'ambiente fotografico, Sulla fotografia, non è neppur citato nella "Laudatio" di presentazione del premio, rispetto al quale è evidentemente fuori tema. Il premio del 2019 a Salgado è stato il primo in assoluto assegnato ad un fotografo ed alla Fotografia su un tema d'importanza universale come la Pace.
Can taking a photograph be an act of peace? (Può fotografare essere un atto di pace?) Can photography foster peace? .................(Può la fotografia promuovere la pace?  .................)
[....]
Sebastião Salgado non "spara", non "ruba", non "cattura", al contrario:
le sue immagini disarmano, creano rapporto, vicinanza ed empatia.
Voi, signore e signori della giuria del Premio della Pace, avete riconosciuto questo.
E onorare con questo premio Sebastião Salgado innalza non solo lui, ma anche la sua professione, il suo mestiere, il lavoro della sua vita ad una luce più alta, come lavoro di pace e pace al lavoro.
È l’inizio dell’encomio solenne con cui Wim Wenders, regista (Paris Texas, Il cielo sopra Berlino) e fotografo, introduceva la cerimonia di premiazione.
Non resta che attendere che qualcuno in Svezia e dintorni condivida questa opinione e si svegli, facendo tesoro del successo mondiale dell’iniziativa del Nostro (https://www.fotopadova.org/post/618374334172577792) a favore dell’Amazzonia e delle popolazioni indigene minacciate dal CD19, dai latifondisti e da un Presidente che favorisce l’uno per agevolare gli altri.
E’ l'ora di scegliere per il Nobel della Pace un "usato sicuro", piuttosto che affidare onore e denaro a qualcuno che poi si rivela esattamente l'opposto di un amante della pace - come più volte è accaduto. Denaro che certamente andrebbe "alla Terra"; onore da cui si sentiranno toccati anche quei fotografi che, per molto minore o nessuna moneta, hanno dedicato la loro attività ad opere di pace (e vogliamo citare due valorosi amici, il toscano Enzo Cei, Autore FIAF dell'anno 2008, e il padovano Francesco Fantini, mancato troppo presto; senza dimenticare i tanti che non pèrdono le occasioni di fare del volontariato fotografico a testimonianza dell'attività dei vari operatori di pace).
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Nuovo arrivo & nuova uscita prossimamente in edicola
Nuovo arrivo & nuova uscita prossimamente in edicola #alessandromagno #alessandroiiidimacedonia #alessandroilgrande
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Buon sabato a tutti!
Oggi ho due notizie da condividere con voi!
La prima è che mi è arrivato un libro vecchio che ho cercato per un bel po’ e sono contenta perché l’ho pagato poco ed è in ottime condizioni. Sto parlando del libro fotografico di Charles Mercer Alessandro Magnoedito da Club degli editori. Sono molto contenta di questo acquisto perché era da un po’ che avevo notato questo libro e…
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pangeanews · 6 years ago
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“Appassionato dal carattere sibillino di ogni cosa”: non potete non leggere Giorgos Seferis, l’Odisseo del Novecento
Con levantina malizia – per altro sostanzialmente sconosciuta a un poeta della luminosità – Giorgos Seferis chiude il discorso di accettazione sul palco del Nobel per la letteratura così: “grato alla ‘bontà di Svezia’ che mi ha permesso, infine, di sentirmi come un ‘nessuno’ – intendete questa parola nel senso che Ulisse la usò per rispondere al Ciclope, Polifemo: ‘nessuno’ – un nessuno, giunto da quella corrente misteriosa che è la Grecia”. Nell’asserzione, appunto, c’è l’astuzia e la verità: tutti siamo dei ‘nessuno’ all’ombra di nomi altisonanti. In più, era il 1963, Seferis aggiungeva una stilettata: la lingua greca, che ha dato all’Occidente le fondamenta ora è un mistero.
*
Giorgios Seferis fu il primo Nobel per la letteratura greco, seguito, quarant’anni fa, da Odysseas Elytis. Al drappello avrebbe dovuto unirsi Ghiannis Ritsos, per alcuni tra i sommi poeti di sempre. Grecia terra di poeti: lo testimonia il ‘Meridiano’ Mondadori del 2010, Poeti greci del Novecento, allestito da Nicola Crocetti e da Filippomaria Pontani – figlio del grande grecista Filippo Maria. Nell’introduzione al volume complessivo dedicato a Seferis per la collana de ‘i Nobel’ – prima Club degli Editori, poi Utet – nel 1971, Vittorio Sereni parla della prima volta che ha letto il poeta greco. “Nel 1949, quando si lavorava con un gruppo di amici a ‘La Rassegna d’Italia’ allora diretta da Sergio Solmi, ci arrivò un plico da Giuseppe Ungaretti. Conteneva le prime cinque poesie di Seferis tradotte in Italia ad opera di quello stesso Filippo Maria Pontani che già ci aveva fatto conoscere la poesia di Kavafis. Le poesie apparvero nel numero di luglio-agosto della ‘Rassegna’ e dettero inizio alla fortuna del poeta in Italia”. Fortuna oggi decisamente defunta. Le Poesie di Seferis nella traduzione di Pontani, infatti, vengono pubblicate da Mondadori nel 1963 e continuamente ristampate fino agli Ottanta, quando escono dall’orbita della fama. Per fortuna, piuttosto, che c’è Nicola Crocetti: nel 2017 traduce Le poesie di Seferis per la propria casa editrice.
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Oggi i poeti modesti si leggono tra loro, si commentano, sanno cosa ha scritto Pico Pallino e ne citano con aspro gusto qualche verso udito nella città di X al festival Y. Non leggono i grandi. Chi legge oggi Seferis? Il grande poeta de Il “Tordo” e del Re d’Asíne, poesie che sono nel carnet di chiunque scriva, di chiunque sia davvero uomo, insieme a quelle di Iosif Brodskij �� a cui lo apparenta l’esilio – e di Yves Bonnefoy, di W.H. Auden e di Kavafis, di Thomas S. Eliot e di Eugenio Montale e di Osip Mandel’stam, per dire. Sentite:
Tutto il mattino scrutammo d’intorno la rocca, cominciando dal lato dell’ombra, dove il mare verde senza barbagli, petto di pavone ucciso, ci accolse come il tempo senza vuoti…
Dalla parte del sole un lungo litorale spalancato, e la luce forbiva diamanti alle muraglie. Non v’era creatura viva, fuggiaschi i palombacci e il re d’Asíne, che cerchiamo da due anni, sconosciuto e scordato da tutti, anche da Omero una parola sola nell’Iliade, e mal certa gettata qua come la funebre maschera d’oro. La toccasti, ricordi il suo rimbombo? Vuoto nella luce, un doglio secco nel suolo scavato; eguale era il rimbombo del mare ai nostri remi. Il re d’Asíne, un vuoto sotto la maschera, sempre Con noi, sempre con noi dovunque, dietro un nome… I suoi figli statue, battiti d’ali le sue brame e il vento nelle more dei suoi pensieri, e le sue navi attraccate in un porto sparito. Sotto la maschera un vuoto.
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La grandezza stordisce perché Seferis porta l’arcaico nell’oggi, istoriando la luce, dando tempo alla fermezza. Si potrebbe fare una conferenza su quella similitudine – che è ‘modernista’ ed è del sempre. Il mare che è come un “petto di pavone ucciso” e che “ci accolse come il tempo senza vuoti”.
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Henry Miller va in Grecia per conoscerne il poeta, quell’Odisseo risorto nel Novecento. Nel Colosso di Marussi, pubblicato nel 1941, lo descrive così: “languido, soave, vitale, capace di sorprendenti atti di forza e d’agilità… vi viene incontro con tutto il suo essere, avvolgendovelo intorno al braccio con calore e con tenerezza… appassionato dal carattere sibillino di ogni cosa”. Una squillante vitalità tesa ai sibili del creato.
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Mi appassiona questa denuncia di poetica. “Non è la mia opera che m’interessa al di sopra di tutto: è l’opera, senza alcun possessivo: è questa che deve vivere, ove pure in essa si brucino i nostri contributi individuali. Ho la più chiara coscienza che non viviamo in tempi in cui il poeta possa credere che l’attende la fama, bensì in tempi di oblio. Ma questo non m’induce a essere meno devoto al mio credo: lo sono di più”. Una miniera di luce nell’oblio. Certi che non esiste un ‘proprio’ nella poesia – semmai, l’appropriato, l’appropriarsi di un’era, di cui si è la torcia, quello che fiamma – e brucia, spegnendosi.
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Nel 1949 Filippo Maria Pontani, il primo e fedele traduttore, ne scrive così. “Ha rotto definitivamente gli schemi di una tradizione esausta. La sua rivoluzione può assegnargli il posto che spetta nella lirica italiana all’Ungaretti, mentre più d’un aspetto dell’ispirazione e della forma, e l’amore per T.S. Eliot, fanno talora pensare al Montale. Il mondo del S., pieno di accoramento per la sua terra (echi profondi della tragedia microasiatica), percorso dall’alito del mare, dalla memoria attonita e commossa delle reliquie, dei simboli, dei miti di mondi sepolti, dall’amaro disincantamento della vita quotidiana, è un mondo di cupo e tragico pessimismo, che trova in una poesia via via più libera da compromessi di ‘canto’, austera insieme e tremante, grave e pura, schiva e padroneggiata e tuttavia suggestivamente evocativa, la sola, e la più alta, catarsi”.
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L’esilio è l’emblema della vita di Seferis. Prima lo subisce, tragicamente. Nativo di Smirne, nel 1922, di fronte all’avanzata violenta dei turchi di Kemal deve ritirarsi con la famiglia ad Atene. Così racconta i fatti Vittorio Sereni: “In una situazione di per sé confusa, complicata dall’oscuro intralcio di interessi delle potenze dell’Intesa, i fatti si svolsero sotto gli occhi dei rappresentanti di queste, sia diplomatici sia militari. Truppe turche entrarono a Smirne il 9 settembre del 1922 e il 13 il fuoco avvampò… massacri e sevizie si svolsero anche alla luce del giorno e i turchi sparavano su quanti cercavano scampo verso il mare per un imbarco disperato su qualunque mezzo natante. Tra i 75.000 e 100.000 fu calcolato il numero delle vittime, molte delle quali giacevano sulla pubblica via”. Seferis studia giurisprudenza a Parigi, con il padre. In quel disastroso 1922 Thomas S. Eliot pubblica La terra desolata, così importante per Seferis. Avviato alla carriera diplomatica, il greco incontra il poeta prediletto nel 1951, quando è in Inghilterra al servizio del ministero degli esteri. In UK, poi, sarà ambasciatore dal 1957 al 1961. Tre anni prima di Seferis, nel 1960, un altro poeta alto diplomatico fu insignito del Nobel, Saint-John Perse, seguace di un altro poeta diplomatico, Paul Claudel. I poeti, celebri o pezzenti, sono sempre in viaggio, in mondi ‘altri’.
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Poeta disincantato, teso alla vita, Seferis è un diarista eccellente. La ‘lettera’, in lui, non predomina sul frugare il giorno: il corpo si fa verbo, semmai, la parola intenzione che tende le dita. “Un qualunque villaggio mi darebbe mille volte più umanità della giungla ateniese. Bisogno intenso – ieri e oggi – di lasciare tutte queste idiozie: non per avere il tempo di fare letteratura, ma per maturare e morire da uomo”. E poi: “Nel pomeriggio ho spaccato legna fino all’imbrunire. Sono tornato a casa sudato, con le mani piene di resina. Bagno; e poi mi sono seduto al mio tavolo. Ho finito la poesia. Titolo: Il “Tordo”. Non so se è buona. So che è finita. Adesso deve asciugarsi”. Spaccare la legna come scrivere poesia; il sudore e l’asciugatura della poesia, essudata.
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Bisognerebbe ripubblicare il diario in cui Seferis racconta dei suoi incontri con Thomas S. Eliot lungo un decennio, dal 1951 (“da Stephen Spender, ricevimento in onore di Auden… ho conosciuto Eliot. Sennonché le cose erano organizzate in tal modo che ha parlato tutta la sera con mia moglie. Erano sistemati alla stessa tavola”) al 1962, con quella chiusa, “Mentre lo salutavo, mi ha chiesto come ci facciamo il segno della croce noi ortodossi”.
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Il dettaglio dell’appartamento di Thomas S. Eliot a Kensington (è il 10 dicembre 1960) dice del carattere del poeta. “Nessun lusso all’interno; arredamento piuttosto impersonale, a una prima occhiata. Fuoco acceso nel caminetto del salotto. Al muro uno schizzo di Pound, fatto da Wyndham Lewis, un piccolo paesaggio di John Ruskin e un acquerello di Edward Lear. C’era anche un busto del poeta, di J. Epstein, che non m’ha entusiasmato”. Il poeta che si autocanonizza – con busto in casa – parla per accenni, vescovili. “Abbiamo parlato di Pound. Ha detto bene dei Canti pisani. ‘Era sempre in movimento’, ha continuato, ‘tutto il tempo di Londra ha portato camicie Schiller, sempre trasandato. Più tardi ho saputo – ha sorriso – che se le faceva su misura’”. Cattedratico, cardinalizio, mai una parola di troppo, Eliot è il poeta cittadino che del sodale dice per accennare alle camicie, allo stato trasandato. Dall’altra, il poeta della vitalità, solare, che spacca la legna ed è abbagliato dal nitore formale della poesia eliotiana. Che incontro buffo: l’uomo e il verbo, l’omerico e il labirintico, la luce e l’ombra.
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Seferis ha tradotto il Cantico dei Cantici e l’Apocalisse; ha scritto un saggio sulle ambigue prossimità tra Eliot e Kavafis. Ha detto: “Quanto più l’artista è ‘pari a se stesso’ tanto più pienamente trasfonde il suo tempo nell’opera”. L’impegno di un poeta con la propria epoca è diventare uomo, individuo scalpellato dal verbo, autonomo, mai in resa. (d.b.)
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Argonauti
E un’anima se si vuole conoscere in un’anima rimiri: lo straniero, il nemico, lo vedemmo allo specchio.
Erano bravi ragazzi i compagni, non gridavano né di stanchezza né di sete né di gelo, erano come gli alberi e le onde che ricevono vento e pioggia ricevono notte e sole senza mutare in mezzo a mutamenti. Erano bravi ragazzi, interi giorni sudavano sul remo, gli occhi bassi, respirando in cadenza e il sangue imporporava una docile pelle. Cantarono una volta, gli occhi bassi, quando doppiammo l’isola scabra dei fichi d’India a ponente, di là da quel Capo dei cani uggiolanti. Se si vuole conoscere – dicevano – miri in un’anima – dicevano – e battevano i remi l’oro del mare nel crepuscolo. Passammo capi molti molte isole il mare che mette ad altro mare, gabbiani, foche. Ululati di donne sventurate piangevano i figli perduti, altre come frenetiche cercavano Alessandro Magno, glorie colate a picco in fondo all’Asia. Attraccammo a rive colme d’aromi notturni e gorgheggi d’uccelli, e un’acqua che lasciava nelle mani la memoria di gran felicità. Non finivano, i viaggi. Si fecero le anime loro una cosa sola con remi e scalmi con la grave figura della prora, col solco del timone, con l’acqua che frangeva gli specchiati sembianti. I compagni finirono, a turno, con gli occhi bassi. I loro remi additano il posto dove dormono, sul lido.
Non li ricorda più nessuno. È giusto.
Giorgos Seferis
Da “Leggenda”, 1935; traduzione italiana di Filippo Maria Pontani
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carmenvicinanza · 2 years ago
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Sihem Bensedrine
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Sihem Bensedrine è una giornalista tunisina che si batte per i diritti civili.
Minacciata, perseguita, incarcerata ingiustamente e poi costretta all’esilio, dal 2014, è a capo della Commissione verità e dignità in Tunisia, incaricata di ascoltare le testimonianze delle vittime di torture e corruzione autorizzate dallo stato tra il 1955 e il 2011.
Fa parte del Quartetto per il dialogo nazionale tunisino che, nel 2015, ha vinto il Premio Nobel per la pace.
Nata il 28 ottobre 1950 a La Marsa, vicino Tunisi, si è laureata in filosofia all’università di Tolosa, Francia.
Tornata in Tunisia, dal 1979, si è impegnata nel movimento per la libertà di stampa, per i diritti delle donne e umani, aderendo alla Ligue des Droits de l’Homme (LTDH). Nello stesso anno ha contribuito a fondare il Club des femmes Tahar Haddad e partecipato alla rete Femmes Maghreb, animata da Fatima Mernissi.
L’anno successivo, è stata corrispondente per il giornale indipendente Le Phare, ha aderito all‘Associazione dei Giornalisti Tunisini (AJT) e partecipato alla creazione di una commissione femminile in seno all’AJT.
Quando la rivista ha interrotto la pubblicazione, è diventata caporedattrice di Maghreb chiusa nel 1983 a causa delle rivolte per il cibo. Successivamente ha lavorato alla Gazette Touristique e poi fondato l’Hebdo Touristique. Nello stesso periodo, supervisionava il quotidiano di opposizione El Mawkif, vicino al RSP (Rassemblement Socialiste Progressiste).
Nel 1988 ha fondato la casa editrice Arcs.
Nel giugno del 1991, un dossier della LTDH, di cui era direttrice, ha denunciato gli innumerevoli casi di morte per tortura in Tunisia. La reazione del Ministero degli Interni è stata durissima, sono state chieste le sue dimissioni, è stato deciso lo scioglimento immediato dell’organizzazione e nei suoi confronti è stata attuata una dura campagna diffamatoria.
Alla fine del 1998 ha fondato il Conseil National pour les Libertés en Tunisie e poi creato, insieme a un gruppo di intellettuali tunisini e europei, una società di autori euro-mediterranea, le edizioni Aloès. Il 10 aprile del 2000 le autorità hanno chiuso la sede della casa editrice che aveva ospitato un convegno sui diritti umani. Ha subito una dura campagna intimidatoria, la sua casa è stata messa sotto sorveglianza permanente, i suoi amici schedati e le è stato impedito di comunicare con i mezzi informatici.
Successivamente ha co-fondato la rivista online Kalima e il gruppo Observatoire de la Liberté de la Presse, de L’Edition et de la Création (OLPEC), per promuovere la libertà di stampa.
Nel giugno del 2001, è arrestata per aver rilasciato a una rete televisiva londinese un’intervista in cui denunciava l’uso sistematico della tortura e la corruzione nel suo Paese.
Il 10 luglio 2001, mentre era detenuta, ha ricevuto il “Premio speciale per il giornalismo sui diritti umani sotto minaccia” agli Amnesty International UK Media Awards. Il 12 agosto è stata rilasciata grazie a una vasta campagna internazionale in sostegno della sua causa.
Nel 2002 ha ricevuto l’offerta di accoglienza della Fondazione di Amburgo per i perseguitati politici e, dal 2005, la sua permanenza in Germania si è trasformata in esilio.
Nel 2004, ha ricevuto il Premio Internazionale per la Libertà di Stampa dai giornalisti canadesi per la libertà di espressione e nel 2005, è stata premiata con l’Oxfam Novib/PEN Award.
Nel 2008, ha ricevuto il Danish Peace Fund Prize come riconoscimento del suo impegno inflessibile per la democrazia e lo stato di diritto e per i suoi sforzi per organizzare reti tra attivisti per i diritti umani nel mondo arabo.
Nel maggio 2009 l’Unione Internazionale degli Editori le ha assegnato il Premio internazionale della libertà di pubblicazione, insieme ai giornalisti Neziha Rejiba e Mohammed Talbi, che con lei hanno fondato l’Observatoire pour la Défense de la Liberté de la Presse, de l’Édition et de la Création (OLPEC), nato dalle ceneri delle edizioni Aloès. Si tratta dello stesso premio conferito postumo a Anna Politkvoskaja e Hrant Dink, uccisi per il loro impegno per la libertà di stampa.
Nel 2011 ha ricevuto l’Alison Des Forges Award da Human Rights Watch in riconoscimento dei suoi vent’anni di lavoro per denunciare le violazioni dei diritti umani sotto l’ex presidente tunisino Ben Ali. Ha anche vinto l’IPI Free Media Pioneer Award e il Premio Ibn Rushd per la libertà di pensiero per l’anno 2011 a Berlino.
Nel 2015 è stata nel gruppo della  Lega tunisina per i diritti umani che ha vinto il Nobel “per il suo contributo determinante nella costruzione di una democrazia pluralistica in Tunisia in seguito alla Rivoluzione dei Gelsomini”.
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latinabiz · 4 years ago
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Il Festival Pontino il 20 luglio fa tappa all'Arena Cambellotti a Latina
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Locandina Il 20 luglio torna a Latina il prestigioso e storico Festival Pontino di Musica organizzato dal Campus Internazionale di Musica. Il festival si svolge tra il Castello di Sermoneta, l’Oasi di Ninfa e, in questa edizione, anche all’Arena Cambellotti di Latina. Martedì, alle ore 21.00, salirà sul palco di Via Pio VI l’Ensemble Tubilustrium che si esibirà in un concerto di trombe, corno, tromboni (basso e basso tuba) per un concerto di dieci elementi. Si parte dalle musiche di William Byrd, per passare a Giovanni Gabrieli, Johann Sebastian Bach, Gustav Holst, John Philip Sousa, Giuseppe Verdi (nella celeberrima Marcia Trionfale dell’Aida). Il finale sarà dedicato al cinema internazionale con John Williams e al “Cinema all’italiana” con repertori che vanno da Nino Rota, Nicola Piovani per finire con il compianto Maestro Ennio Morricone. Gli arrangiamenti sono curati da David Short. Il Festival Pontino Nel 1963 Lelia Caetani e il marito Hubert Howard nell'intento di onorare la memoria di Roffredo Caetani, musicista, danno vita nel Castello di Sermoneta al Festival di Musica da Camera invitando e ospitando giovani musicisti provenienti da tutto il mondo. Presto l'Amministrazione Provinciale di Latina comprende l'importanza dell'iniziativa, si assume la responsabilità organizzativa e diventa il primo e unico sovventore pubblico del Festival. In ragione di questo ruolo, sul finire degli anni Sessanta decide di trasferirlo dal castello di Sermoneta in quello di San Martino (Priverno). Nel 1972, la giovane associazione pontina, Campus Internazionale di Musica, eredita la gestione organizzativa del Festival dall'Amministrazione Provinciale, e proseguendo nello spirito dei loro fondatori, lo riconduce nella sua sede originaria nella quale, a partire dal 1975, lo realizzerà senza soluzione di continuità. Oggi è una delle iniziative più vitali della provincia, con oltre venti manifestazioni in un solo mese. Il castello di Sermoneta ne rimane il cuore pulsante ma l'area interessata dal circuito musicale è sempre più ampia, essendo stata coinvolta in questi ultimi cinque anni anche l'area del Comprensorio Aurunco con i comuni di Fondi, Lenola, e Sperlonga. Le scelte artistiche e la storicità dei luoghi hanno attratto al Festival Pontino alcuni degli artisti più importanti del Novecento, che lo hanno frequentato o lo frequentano ancora assiduamente: Bruno Canino, Gaspar Cassadò, Aldo Ciccolini, Bruno Giuranna, Heinz Holliger, Wilhelm Kempff, Gyorgy Kurtag, Alberto Lysy, Nikita Magaloff, Andrè Navarra, Charles Rosen, Andras Schiff, Vladimir Spivakov, Uto Ughi, Sandor Vegh, Franco Petracchi, Elisso Virsaladze. Dal 1977 il Campus ha avviato gli Incontri Internazionali di Musica Contemporanea. Presieduti da Goffredo Petrassi, scomparso nel 2003, essi continuano ad essere occasioni di incontro per compositori, musicologi e studiosi di ogni parte del mondo che confrontano le proprie esperienze e dibattono i temi musicali più importanti ed attuali. Vengono scritte per l'occasione composizioni eseguite in prima mondiale. L'archivio storico del Campus ne conta oltre 250 (trasmesse in diretta o in differita dai RAITRE). In questo contesto sono stati realizzati omaggi ad alcuni dei più grandi compositori italiani (Petrassi, Berio, Clementi), e stranieri (Lutoslawski, Carter, De Pablo) • ai quali hanno aderito e partecipato autorevoli personaggi della cultura mondiale. Hanno collaborato al Festival Pontino finanziariamente e con il loro patrocinio tante istituzioni e molti interlocutori: i Ministeri degli Affari Esteri e dei Beni e Attività culturali, Il Senato della Repubblica, la Regione Lazio, La Provincia di Latina, la Discoteca di Stato, la RAI Radiotelevisione Italiana, l'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, le Ambasciate di Polonia, Unione Sovietica, Ungheria, Germania, Francia, Spagna, Stati Uniti, Giappone, Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi; le Accademie di Francia, Spagna, Germania, Stati Uniti, Ungheria, il British Council, il Goethe Institut, l'Unione dei compositori polacchi, l'Unione dei compositori dell'Unione Sovietica, l'Unione dei compositori sinfonici spagnoli, l'Associazione Italia•URSS, la Japan Foundation, l'Interkoncert di Budapest, la Gaudeamus Foundation, il Donemus, l'Associazione Italiana Editori, il Dipartimento di Musica e Spettacolo dell'Università di Bologna, la Radio Vaticana, la Società Italiana di Musicologia, la Società Internazionale di Musicologia, l'Associazione dei critici italiani, l‘AIAC (Associazione Italiana Attività Concertistiche), l'ATIT (Associazione Teatri Italiani di Tradizione), il CIDIM (Comitato Nazionale Italiano Musica), il Soroptimist International Club di Roma, la Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, la Provincia di Latina l'Azienda Provinciale per il Turismo, la Camera di Commercio, la Curia Vescovile, il CEPIG, la Federlazio, l'Associazione Circe Eurora, l'Associazione Industriali di Latina, l'Università Pontina e naturalmente la Fondazione Caetani che concede la disponibilità del bene. Per alcune iniziative il Campus si è onorato dell'Alto Patronato del Presidente della Repubblica. Read the full article
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