#Nicola Crocetti
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L’ultima tentazione - Nikos Kazantzakis - Traduzione dal greco: Gilda Tentorio, Nicola Crocetti - Crocetti Editore
L’ultima tentazione Nikos Kazantzakis Traduzione dal greco: Gilda Tentorio, Nicola Crocetti Crocetti Editore È il romanzo più scandaloso dell’autore di Zorba e dell’Odissea, che per questo libro nel 1953 venne scomunicato dalla Chiesa ortodossa greca. L’opera conobbe una fortuna mondiale postuma dopo la celebre versione cinematografica diretta da Martin Scorsese. In Italia venne tradotto dalla…
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El Papa: Queridos poetas, ayúdennos a soñar
Comunicado de http://www.vaticannews.va — Publicamos la Carta que el Papa Francisco escribió para el libro “Versos a Dios. Antología de la poesía religiosa” (Crocetti editore), editado por Davide Brullo, Antonio Spadaro y Nicola Crocetti, y que estará disponible en las librerías a partir del martes 12 de noviembre. Francisco Queridos poetas, sé que están hambrientos de sentido, y por eso…
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Nicola Crocetti, in Italia il potere ignora i poeti - Libri
Tutti scrivono poesie ma nessuno le compra, oggi più che mai. “Provate a digitare su qualunque motore di ricerca online la parola poesia, o meglio poetry in inglese, e verranno fuori centinaia di milioni di pagine. Una cosa assolutamente iperbolica” dice all’ANSA Nicola Crocetti, mitico editore di libri di poesia e traduttore, che ha partecipato, coinvolto dallo scrittore greco Vassilis…
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Nicola Crocetti, in Italia il potere ignora i poeti
Tutti scrivono poesie ma nessuno le compra, oggi più che mai. “Provate a digitare su qualunque motore di ricerca online la parola poesia, o meglio poetry in inglese, e verranno fuori centinaia di milioni di pagine. Una cosa assolutamente iperbolica” dice all’ANSA Nicola Crocetti, mitico editore di libri di poesia e traduttore, che ha partecipato, coinvolto dallo scrittore greco Vassilis…
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Ghannis Ritsos / Moni Ovadia ~ Delfi
Ghannis Ritsos / Moni Ovadia ~ Delfi
Delfi (Il sole è declinato. L’ombra, silenziosa, cristiana, si stende sul luogo fiammeggiante degli antichi templi, fin giù in fondo, sulla piana con lo sconfinato uliveto. Le due guide archeologiche, il Vecchio e il Giovane, s’incontrano sui propilei, dopo la fatica di una giornata estiva inondata di luce. Si danno la buonasera con uno stanco cenno del capo. Siedono sui marmi spezzati,…
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“Appassionato dal carattere sibillino di ogni cosa”: non potete non leggere Giorgos Seferis, l’Odisseo del Novecento
Con levantina malizia – per altro sostanzialmente sconosciuta a un poeta della luminosità – Giorgos Seferis chiude il discorso di accettazione sul palco del Nobel per la letteratura così: “grato alla ‘bontà di Svezia’ che mi ha permesso, infine, di sentirmi come un ‘nessuno’ – intendete questa parola nel senso che Ulisse la usò per rispondere al Ciclope, Polifemo: ‘nessuno’ – un nessuno, giunto da quella corrente misteriosa che è la Grecia”. Nell’asserzione, appunto, c’è l’astuzia e la verità: tutti siamo dei ‘nessuno’ all’ombra di nomi altisonanti. In più, era il 1963, Seferis aggiungeva una stilettata: la lingua greca, che ha dato all’Occidente le fondamenta ora è un mistero.
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Giorgios Seferis fu il primo Nobel per la letteratura greco, seguito, quarant’anni fa, da Odysseas Elytis. Al drappello avrebbe dovuto unirsi Ghiannis Ritsos, per alcuni tra i sommi poeti di sempre. Grecia terra di poeti: lo testimonia il ‘Meridiano’ Mondadori del 2010, Poeti greci del Novecento, allestito da Nicola Crocetti e da Filippomaria Pontani – figlio del grande grecista Filippo Maria. Nell’introduzione al volume complessivo dedicato a Seferis per la collana de ‘i Nobel’ – prima Club degli Editori, poi Utet – nel 1971, Vittorio Sereni parla della prima volta che ha letto il poeta greco. “Nel 1949, quando si lavorava con un gruppo di amici a ‘La Rassegna d’Italia’ allora diretta da Sergio Solmi, ci arrivò un plico da Giuseppe Ungaretti. Conteneva le prime cinque poesie di Seferis tradotte in Italia ad opera di quello stesso Filippo Maria Pontani che già ci aveva fatto conoscere la poesia di Kavafis. Le poesie apparvero nel numero di luglio-agosto della ‘Rassegna’ e dettero inizio alla fortuna del poeta in Italia”. Fortuna oggi decisamente defunta. Le Poesie di Seferis nella traduzione di Pontani, infatti, vengono pubblicate da Mondadori nel 1963 e continuamente ristampate fino agli Ottanta, quando escono dall’orbita della fama. Per fortuna, piuttosto, che c’è Nicola Crocetti: nel 2017 traduce Le poesie di Seferis per la propria casa editrice.
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Oggi i poeti modesti si leggono tra loro, si commentano, sanno cosa ha scritto Pico Pallino e ne citano con aspro gusto qualche verso udito nella città di X al festival Y. Non leggono i grandi. Chi legge oggi Seferis? Il grande poeta de Il “Tordo” e del Re d’Asíne, poesie che sono nel carnet di chiunque scriva, di chiunque sia davvero uomo, insieme a quelle di Iosif Brodskij – a cui lo apparenta l’esilio – e di Yves Bonnefoy, di W.H. Auden e di Kavafis, di Thomas S. Eliot e di Eugenio Montale e di Osip Mandel’stam, per dire. Sentite:
Tutto il mattino scrutammo d’intorno la rocca, cominciando dal lato dell’ombra, dove il mare verde senza barbagli, petto di pavone ucciso, ci accolse come il tempo senza vuoti…
Dalla parte del sole un lungo litorale spalancato, e la luce forbiva diamanti alle muraglie. Non v’era creatura viva, fuggiaschi i palombacci e il re d’Asíne, che cerchiamo da due anni, sconosciuto e scordato da tutti, anche da Omero una parola sola nell’Iliade, e mal certa gettata qua come la funebre maschera d’oro. La toccasti, ricordi il suo rimbombo? Vuoto nella luce, un doglio secco nel suolo scavato; eguale era il rimbombo del mare ai nostri remi. Il re d’Asíne, un vuoto sotto la maschera, sempre Con noi, sempre con noi dovunque, dietro un nome… I suoi figli statue, battiti d’ali le sue brame e il vento nelle more dei suoi pensieri, e le sue navi attraccate in un porto sparito. Sotto la maschera un vuoto.
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La grandezza stordisce perché Seferis porta l’arcaico nell’oggi, istoriando la luce, dando tempo alla fermezza. Si potrebbe fare una conferenza su quella similitudine – che è ‘modernista’ ed è del sempre. Il mare che è come un “petto di pavone ucciso” e che “ci accolse come il tempo senza vuoti”.
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Henry Miller va in Grecia per conoscerne il poeta, quell’Odisseo risorto nel Novecento. Nel Colosso di Marussi, pubblicato nel 1941, lo descrive così: “languido, soave, vitale, capace di sorprendenti atti di forza e d’agilità… vi viene incontro con tutto il suo essere, avvolgendovelo intorno al braccio con calore e con tenerezza… appassionato dal carattere sibillino di ogni cosa”. Una squillante vitalità tesa ai sibili del creato.
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Mi appassiona questa denuncia di poetica. “Non è la mia opera che m’interessa al di sopra di tutto: è l’opera, senza alcun possessivo: è questa che deve vivere, ove pure in essa si brucino i nostri contributi individuali. Ho la più chiara coscienza che non viviamo in tempi in cui il poeta possa credere che l’attende la fama, bensì in tempi di oblio. Ma questo non m’induce a essere meno devoto al mio credo: lo sono di più”. Una miniera di luce nell’oblio. Certi che non esiste un ‘proprio’ nella poesia – semmai, l’appropriato, l’appropriarsi di un’era, di cui si è la torcia, quello che fiamma – e brucia, spegnendosi.
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Nel 1949 Filippo Maria Pontani, il primo e fedele traduttore, ne scrive così. “Ha rotto definitivamente gli schemi di una tradizione esausta. La sua rivoluzione può assegnargli il posto che spetta nella lirica italiana all’Ungaretti, mentre più d’un aspetto dell’ispirazione e della forma, e l’amore per T.S. Eliot, fanno talora pensare al Montale. Il mondo del S., pieno di accoramento per la sua terra (echi profondi della tragedia microasiatica), percorso dall’alito del mare, dalla memoria attonita e commossa delle reliquie, dei simboli, dei miti di mondi sepolti, dall’amaro disincantamento della vita quotidiana, è un mondo di cupo e tragico pessimismo, che trova in una poesia via via più libera da compromessi di ‘canto’, austera insieme e tremante, grave e pura, schiva e padroneggiata e tuttavia suggestivamente evocativa, la sola, e la più alta, catarsi”.
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L’esilio è l’emblema della vita di Seferis. Prima lo subisce, tragicamente. Nativo di Smirne, nel 1922, di fronte all’avanzata violenta dei turchi di Kemal deve ritirarsi con la famiglia ad Atene. Così racconta i fatti Vittorio Sereni: “In una situazione di per sé confusa, complicata dall’oscuro intralcio di interessi delle potenze dell’Intesa, i fatti si svolsero sotto gli occhi dei rappresentanti di queste, sia diplomatici sia militari. Truppe turche entrarono a Smirne il 9 settembre del 1922 e il 13 il fuoco avvampò… massacri e sevizie si svolsero anche alla luce del giorno e i turchi sparavano su quanti cercavano scampo verso il mare per un imbarco disperato su qualunque mezzo natante. Tra i 75.000 e 100.000 fu calcolato il numero delle vittime, molte delle quali giacevano sulla pubblica via”. Seferis studia giurisprudenza a Parigi, con il padre. In quel disastroso 1922 Thomas S. Eliot pubblica La terra desolata, così importante per Seferis. Avviato alla carriera diplomatica, il greco incontra il poeta prediletto nel 1951, quando è in Inghilterra al servizio del ministero degli esteri. In UK, poi, sarà ambasciatore dal 1957 al 1961. Tre anni prima di Seferis, nel 1960, un altro poeta alto diplomatico fu insignito del Nobel, Saint-John Perse, seguace di un altro poeta diplomatico, Paul Claudel. I poeti, celebri o pezzenti, sono sempre in viaggio, in mondi ‘altri’.
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Poeta disincantato, teso alla vita, Seferis è un diarista eccellente. La ‘lettera’, in lui, non predomina sul frugare il giorno: il corpo si fa verbo, semmai, la parola intenzione che tende le dita. “Un qualunque villaggio mi darebbe mille volte più umanità della giungla ateniese. Bisogno intenso – ieri e oggi – di lasciare tutte queste idiozie: non per avere il tempo di fare letteratura, ma per maturare e morire da uomo”. E poi: “Nel pomeriggio ho spaccato legna fino all’imbrunire. Sono tornato a casa sudato, con le mani piene di resina. Bagno; e poi mi sono seduto al mio tavolo. Ho finito la poesia. Titolo: Il “Tordo”. Non so se è buona. So che è finita. Adesso deve asciugarsi”. Spaccare la legna come scrivere poesia; il sudore e l’asciugatura della poesia, essudata.
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Bisognerebbe ripubblicare il diario in cui Seferis racconta dei suoi incontri con Thomas S. Eliot lungo un decennio, dal 1951 (“da Stephen Spender, ricevimento in onore di Auden… ho conosciuto Eliot. Sennonché le cose erano organizzate in tal modo che ha parlato tutta la sera con mia moglie. Erano sistemati alla stessa tavola”) al 1962, con quella chiusa, “Mentre lo salutavo, mi ha chiesto come ci facciamo il segno della croce noi ortodossi”.
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Il dettaglio dell’appartamento di Thomas S. Eliot a Kensington (è il 10 dicembre 1960) dice del carattere del poeta. “Nessun lusso all’interno; arredamento piuttosto impersonale, a una prima occhiata. Fuoco acceso nel caminetto del salotto. Al muro uno schizzo di Pound, fatto da Wyndham Lewis, un piccolo paesaggio di John Ruskin e un acquerello di Edward Lear. C’era anche un busto del poeta, di J. Epstein, che non m’ha entusiasmato”. Il poeta che si autocanonizza – con busto in casa – parla per accenni, vescovili. “Abbiamo parlato di Pound. Ha detto bene dei Canti pisani. ‘Era sempre in movimento’, ha continuato, ‘tutto il tempo di Londra ha portato camicie Schiller, sempre trasandato. Più tardi ho saputo – ha sorriso – che se le faceva su misura’”. Cattedratico, cardinalizio, mai una parola di troppo, Eliot è il poeta cittadino che del sodale dice per accennare alle camicie, allo stato trasandato. Dall’altra, il poeta della vitalità, solare, che spacca la legna ed è abbagliato dal nitore formale della poesia eliotiana. Che incontro buffo: l’uomo e il verbo, l’omerico e il labirintico, la luce e l’ombra.
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Seferis ha tradotto il Cantico dei Cantici e l’Apocalisse; ha scritto un saggio sulle ambigue prossimità tra Eliot e Kavafis. Ha detto: “Quanto più l’artista è ‘pari a se stesso’ tanto più pienamente trasfonde il suo tempo nell’opera”. L’impegno di un poeta con la propria epoca è diventare uomo, individuo scalpellato dal verbo, autonomo, mai in resa. (d.b.)
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Argonauti
E un’anima se si vuole conoscere in un’anima rimiri: lo straniero, il nemico, lo vedemmo allo specchio.
Erano bravi ragazzi i compagni, non gridavano né di stanchezza né di sete né di gelo, erano come gli alberi e le onde che ricevono vento e pioggia ricevono notte e sole senza mutare in mezzo a mutamenti. Erano bravi ragazzi, interi giorni sudavano sul remo, gli occhi bassi, respirando in cadenza e il sangue imporporava una docile pelle. Cantarono una volta, gli occhi bassi, quando doppiammo l’isola scabra dei fichi d’India a ponente, di là da quel Capo dei cani uggiolanti. Se si vuole conoscere – dicevano – miri in un’anima – dicevano – e battevano i remi l’oro del mare nel crepuscolo. Passammo capi molti molte isole il mare che mette ad altro mare, gabbiani, foche. Ululati di donne sventurate piangevano i figli perduti, altre come frenetiche cercavano Alessandro Magno, glorie colate a picco in fondo all’Asia. Attraccammo a rive colme d’aromi notturni e gorgheggi d’uccelli, e un’acqua che lasciava nelle mani la memoria di gran felicità. Non finivano, i viaggi. Si fecero le anime loro una cosa sola con remi e scalmi con la grave figura della prora, col solco del timone, con l’acqua che frangeva gli specchiati sembianti. I compagni finirono, a turno, con gli occhi bassi. I loro remi additano il posto dove dormono, sul lido.
Non li ricorda più nessuno. È giusto.
Giorgos Seferis
Da “Leggenda”, 1935; traduzione italiana di Filippo Maria Pontani
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Secció de llibres - Fronteres, de Vicent Partal
Secció de llibres – Fronteres, de Vicent Partal
Quant de temps sense escriure, benvolgut blog. Temps d’una certa agitació, que han fet que la meua ment haja estat més pendent d’altres assumptes, i no t’haja dedicat ni tan sols una miradeta cada cert temps. I entre les coses que m’han tingut prou entretingut, la prova de certificació del nivell C1 de valencià, que ha sigut una de les causes per la qual m’he comprat aquest llibre… Fronteres,…
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L’ultima tentazione - Nikos Kazantzakis - Traduzione dal greco: Gilda Tentorio, Nicola Crocetti - Crocetti Editore
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Tom Ford, Riccardo tisci, Alan crocetti, Nicolas ghesquiere, Victor barragan, daniel roseberry, hiroki nakamura, jacquemus, Marc Jacobs’ husband and Daniel lee can run a train on me I’m so sorry they’re all sexy to me don’t tell the black community
Oh and thom browne can watch but not join
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Da i SONETTI di William Shakespeare:
“Dalle creature più belle desideriamo discendenza, affinché la rosa della bellezza non possa mai morire, ma quando, più matura, col tempo debba poi finire, la tenera sua erede ne possa recare la memoria;”
(citazione da diVersi a cura di Nicola Crocetti)
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Queste minime cose per noi due come son grandi. Tutte.
(Ghiannis Ritsos da Corpo nudo, in Erotica, Crocetti, 1981 – Traduzione di Nicola Crocetti)
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Aiace
Al teatro Lo Spazio viene ritrovata una nuova sensibilità per Aiace fondendo mito e umanità. (more…)
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Più di un sole Poggia i sassi uno a uno sulla sabbia mano a mano che li dipinge. Non riesco ad afferrare l’immagine…
#aspettare#atalante#bianco#crocetti#curva#delicatezza#dipingere#dipinto#equilibrio#ghiannis ritsos#giallo#immagine#infinito#inquinamento#luce#mare#nicola crocetti#petrolio#pietra#poesia#poesie#poeta#poetry#ritsos#sabbia#salsedine#sassi#sasso#sogno#sole
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“Per rendere meno miserabili i tempi che viviamo”. Crocetti passa a Feltrinelli. Dialogo con lo sciamano della poesia
Provo a far quadrare le date, come un esegeta di oroscopi. Nicola Crocetti fa 80 anni, la Crocetti nasce nel 1980, quarant’anni fa, Ghiannis Ritsos, il poeta immenso, di cui Crocetti è stato amico e intimo traduttore, muore nel 1990, trent’anni fa. La quadratura astrale dà come responso salvezza e abbandono. La Crocetti viene inglobata, infatti – non divorata, per ora –, dal Gruppo Feltrinelli. Rileggo la nota Ansa, battuta qualche giorno fa, e mi assale la iena del turbamento, dell’abbandono: “Attraverso l’ingresso in Gruppo Feltrinelli, Crocetti Editore potrà disporre di una filiera integrata che dalla produzione editoriale alla distribuzione fino alla vendita nelle librerie fisiche e digitali è in grado di valorizzarne i contenuti, mantenendone intatto il Dna identitario e con una continuità della direzione editoriale, di cui resta infatti responsabile il fondatore Nicola Crocetti”. Il concetto, dentato, di filiera integrata, ecco, mi assale, come una falange di mosche in piena bocca.
Ritorno agli astri, a partorire oroscopi. Prima che nascesse Crocetti, è proprio Feltrinelli, nel 1978, che pubblica Pietre ripetizioni sbarre di Ritsos; nel 1981 è sempre Feltrinelli a editare Quattro poemetti, porzione del capolavoro di Ritsos, Quarta dimensione. Gli astri non mi aiutano, però, a risolvere un dilemma: entrambi i libri di allora portavano in copertina la dicitura “a cura di Nicola Crocetti”, i due libri editi ora, marchio Crocetti proprietà Feltrinelli (Quarta dimensione e Molto tardi nella notte, “l’ultima raccolta scritta da Ritsos”), si sono dimenticati il nome del traduttore. Un inizio un poco sgarbato, ma lasciamo stare. Crocetti mi aveva sussurrato qualcosa, mesi fa – come al solito, pensava l’impresa impossibile, come al solito è riuscito a salvare la sua casa editrice (quanto meno, ha messo in sicurezza i suoi redattori, pardon, condottieri). All’apparenza, nulla cambia; nella sostanza, quasi tutto.
Poesia, intanto, diventa bimestrale e non più mensile; non lo trovate in edicola ma in libreria; ha una grafica decisamente più fighetta, è più spessa ma i contenuti mi sembrano diminuiti (non vedo Lo scaffale delle recensioni e neanche le utili Cronache curate dall’eccezionale Angela Urbano), il prezzo – per uno come me e, immagino, per i poeti, di norma poveracci – impossibile, da 5 a 13 euro. Manca, in fondo, la spavalda ingenuità delle imprese che possono morire da un momento all’altro: la copertina è dedicata alla suprema Edna St. Vincent Millay tradotta da Silvio Raffo (il titolo, Scandalosa Edna, rimanda, immagino, alla Scandalosa Gilda del duo afrodisiaco Lavia/Guerritore), il numero, a mo’ di amuleto, parte con il testo di Shelley, In difesa della poesia, tradotto da Francesco Kerbaker. Il pezzo più bello – che vale la spesa – è il ricordo di Quell’ultimo incontro fra Crocetti e Ghiannis Ritsos – “Non amava troppo i viaggi, ma venne sette volte in Italia, e ogni volta percorrevamo in lungo e in largo la penisola, mentre lui mi raccontava la sua vita, i lunghi anni in carcere e in campo di concentramento” – e la traduzione di quel poema, memorabile, Il guardiano del faro: “E ogni cosa nella sua bella oscillazione aspetta/ che ti assuma tu la sua responsabilità e agisca,/ che dia tu a ciascuna il suo senso, la sua forma,/ la sua collocazione e il nome. Ma tu/ indugi, ammaliato dall’inutile e dall’indefinito”. A me suona come un commiato – troppe le sonorità astronomiche – ma spero di sbagliarmi.
Per me, Nicola Crocetti è uno sciamano. Chiude gli occhi, spalanca le mani – altri occhi ancora, prensili, ferini – e recita qualche poesia, evoca il profilo di un morto. Nella sua mente – che immagino una Amazzonia decuplicata – tutti sono immortali. Quest’uomo ha dedicato la vita alla poesia degli altri, consapevole di ricavarne – al netto delle facili malizie – invidie, incomprensioni, fraintendimenti. Eppure, lo ha fatto – e ora, dovremo solo dire grazie, a Crocetti, dando all’inchino la potenza dell’ingresso in un altro mondo. È bastata qualche oncia di coraggio, una pianura di solitudine e l’oro di qualche ricordo, indelebile, a fare di una vita qualcosa che si approssima alla leggenda. (d.b.)
Festeggi 40 anni di Crocetti per ‘darti’ a Feltrinelli. Come ti senti?
Ti puoi immaginare come ci si sente a dover ‘dar via’ una cosa che hai creato e sostenuto per tutta una vita con grandi sacrifici – e praticamente senza l’aiuto di nessuno.
Inutile girarci intorno. Poesia è Crocetti. Ora, cosa sarà?
Continuerà a essere quello che era. Saremo io e i miei collaboratori a farla, senza l’assillo di non sapere se il prossimo numero potrà uscire.
A chi è dedicata la copertina del primo numero di Poesia griffato Feltrinelli (e perché)?
La rivista si apre con un lungo brano, che spero benaugurante, del famoso saggio In difesa della poesia di Shelley. Ma la copertina è dedicata a Edna Saint Vincent Millay (tradotta da Silvio Raffo), che con la sua poesia e il suo anticonformismo scandalizzò l’America degli anni ’20 e ’30. Era una donna di una bellezza inquietante, amava indifferentemente (ricambiata) uomini e donne, e tutti gli adolescenti americani, e non solo, imparavano a memoria i suoi sonetti. Morì nel 1950 in uno stupidissimo incidente domestico, scivolando sulle scale di casa sua con un bicchiere di vino rosso in mano. Stava traducendo l’Eneide.
Il numero di Poesia che ti piace di più. Quello che avresti voluto fare e non sei riuscito.
Il numero 100, una tappa che all’inizio di questa avventura era sembrata irraggiungibile. Era dedicato ai 28 poeti insigniti del Premio Nobel, molti oggi (giustamente) dimenticati, al pari dei molti di altri che il Nobel l’avrebbero meritato ma non lo vinsero. ll numero che non sono riuscito ancora a fare è uno dedicato a un poeta italiano che avrà venduto qualche centinaio di migliaia di copie dei suoi libri senza essersi mai affacciato in televisione.
Come si fa a ‘domare’ un poeta? Hanno la fama di essere vanitosi, cinici, insopportabili. Eppure, tu giuri che un grande poeta è prima di tutto un grande uomo. Fammi un esempio.
Non c’è modo di ridurli a ragione: né blandendoli (gli elogi, come tutto quello che fai per loro, non gli bastano mai), né secondando i loro difetti. Però ribadisco la mia convinzione che un grande poeta è, se non sempre spesso, un grande uomo. Un esempio per tutti? Seamus Heaney.
Qual è l’autore che avresti voluto tradurre o pubblicare ma non ti è capitato? E l’autore che sei più felice di aver ‘scoperto’?
Quello che sono più felice e fiero di aver scoperto e di aver avuto come amico è Ghiannis Ritsos, di cui ho tradotto molto, ma di cui ancora moltissimo resta da tradurre. Quello che vorrei tradurre e pubblicare ma non l’ho ancora fatto è Kostìs Palamàs, uno dei massimi poeti greci contemporanei, e il suo Dodecalogo dello zingaro. Ma, dopo l’Odissea di Kazantzakis non è detto che non lo faccia.
Cosa stai leggendo, ora? Qual è stato il libro (o l’autore o l’evento) che ti ha fatto capire: la poesia sarà la mia vita.
Sto leggendo un bellissimo libretto, pubblicato dal Melangolo, Elogio del greco antico, di due autrici francesi, Jacqueline de Romilly e Monique Trédé. Spiega molto bene i motivi del successo della lingua greca nei secoli, e le ragioni per cui sarebbe un crimine smettere di studiarlo, anche nei nostri licei. L’autore che mi ha fatto capire che la poesia sarebbe stata la mia vita è Pascoli. In quinta elementare mi regalarono una sua antologia, che mi segnò. Nelle nostre scuole Pascoli è imbalsamato nell’immagine del ‘fanciullino’, ma bisognerebbe rileggerlo bene, senza trascurare le sue Poesie latine. Quando morì, nel 1912, il suo competitor D’Annunzio, che era tutto l’opposto del Vate, scrisse alle sorelle un telegramma in cui diceva: “Giovanni Pascoli è il più grande e originale poeta apparso in Italia dopo il Petrarca. Questo sarà riconosciuto quando l’Italia rinnoverà anche le vecchie tavole dei valori poetici”.
Ma… è vero che i greci amano la poesia più di altri popoli?
In Grecia c’è una tradizione, tutt’altro che recente, sconosciuta da noi ma non in Francia e in Russia: grandi musicisti che mettono in musica le poesie dei maggiori poeti dei loro Paesi. In Grecia lo ha fatto, imitato da molti altri, un genio musicale come Mikis Theodorakis, che ha contribuito come pochi alla diffusione popolare della grande poesia greca. Un altro esempio. Qualche mese fa ad Atene sono morte due poetesse molto note: Kikì Dimulà e Katerina Anghelaki-Rooke. La sera stessa della loro morte il canale televisivo nazionale ha dedicato loro nell’ora di maggior ascolto lunghe trasmissioni con letture di versi. E ai funerali di entrambe c’erano il capo dello Stato, i ministri dell’Istruzione e della Cultura, il sindaco di Atene con altre autorità e una marea di gente. Si è mai vista una cosa del genere qui da noi? Sì, forse ai funerali di Pasolini, ma era il 1975 e c’erano anche altri motivi. Da noi i poeti vivono e muoiono ignorati dalle istituzioni.
Fino a che punto la tua grecità ha influito sul tuo lavoro?
Essere greco, parlare il greco dalla nascita, sentirti greco, ti dà un’identità particolare, unica direi. Per me è stato fondamentale.
La Grecia ha mai corrisposto al tuo amore?
Un paio di anni fa fui invitato dal presidente della Repubblica greco, Prokopis Pavlòpulos, che mi tenne un’ora e mezza nel suo ufficio a parlare di poesia, recitandomi a memoria i versi dei maggiori poeti greci contemporanei. E lui non è nemmeno un letterato, ma un economista, incidentalmente compagno di università e amico di Mattarella. Qualche mese dopo mi assegnò la Croce d’onore, il maggior riconoscimento culturale del Paese, qualcosa come la Legion d’onore francese.
Quali sono i primi libri di poesia che farai con Feltrinelli?
Sono due libri di Ritsos: una ristampa della Quarta dimensione, il suo capolavoro, scritto per la maggior parte in vari campi di concentramento, e la sua ultima opera uscita postuma, Molto tardi nella notte. E poi, le Poesie francesi di Rilke, e un inedito del novantaquattrenne poeta svizzero francese Philippe Jaccottet.
Che valore ha, oggi, ora, qui, la poesia?
Quello che ha sempre avuto: di cercare di rendere meno miserabili i tempi che viviamo.
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