#che sole che c’è
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Riflessi
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“Però è bella la vita, è bella anche quando è brutta. Nella vita c'è il sole, c'è il vento, c'è il verde, c'è l'azzurro, c'è il piacere di un cibo, di una bevanda, di un bacio, c'è la gioia che riscatta le lacrime, c’è il bene che riscatta il male, c'è il tutto, e ti amo.”
— Oriana Fallaci, “Un uomo”
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«Ora ci prendiamo cura di lei, non più della malattia». La dottoressa consulente di terapia del dolore usa queste parole per dirlo a mia madre. La diagnosi non lascia spazio: tumore al polmone al quarto stadio con metastasi alle ossa e al fegato, in corso una polmonite interstiziale. Mia madre, per vivere, deve essere attaccata a una bombola di ossigeno. Altrimenti non satura. È sotto antibiotico da giorni. E ha già iniziato gli oppioidi per i dolori alle ossa.
Poi, l’«offerta terapeutica», come la chiamano: se non se la sente di andare a casa, può scegliere di restare in hospice. È un suo diritto.
«Vuoi cambiare stanza mamma? La 4 ha la vista più bella…». «No, resto qui». «Saggia sei, non si rubano le stanze ai morti, questione di karma», le dico ridendo. Scherzare su tutto compresa la morte per tenerla fuori dalla porta, abbiamo sempre fatto così. Nella mia testa risuonano ancora le parole di alcuni parenti e amici che, non consultati, le hanno detto: gli hospice sono posti da poveretti, torna a casa.
Svizzera, eutanasia, suicidio assistito, cure palliative, morfina. Sono solo parole finché non ci passi in mezzo, poi diventano questioni gigantesche da affrontare con cervello e cuore. Chi non ne ha di entrambi, è meglio che taccia.
Siamo la stanza 10. L’ultima. Quella in fondo al corridoio, girato l’angolo, vicino alla cucina degli infermieri. Di giorno sentiamo cantare i due pappagalli la cui gabbia si trova nella sala comune, Dante e Beatrice. Ridendo ci diciamo che sono odiosi. Ma quando scopriamo che uno dei due ha l’alopecia ci preoccupiamo molto.
La mattina ci svegliamo con il profumo della caffettiera degli infermieri. Dormo in una poltrona letto scomodissima ma mi sembra la cuccia migliore del mondo perché è di fianco al letto di mia madre. C’è un frigo in cui si può mettere il cibo portato da fuori.
«Una settimana di vita, al massimo due», è stata la sentenza dell’oncologo. «In hospice ha qualche speranza in più perché la curano sicuramente meglio».
In realtà, la camera dove resteremo per i successivi due mesi è tutt’altro che da pezzenti. Non è di lusso, è dignitosa.
Di quella stanza, insieme, iniziamo a imparare a conoscere le ombre che sole e luna lasciano sul muro tinteggiato di rosa. Col passare dei giorni, le infermiere e gli infermieri diventano personaggi mitologici di cui scoprire le storie. Natalia, russo-ucraina, gli occhi duri, simpatica. Liuba ucraina, ma del Sud, occhi azzurri ma dolci. Eleonora, milanese, che a giugno va in pensione e con lei troviamo sempre il modo di ridere. Le Oss e gli Oss (gli operatori socio-sanitari) diventano il nostro mondo. Dopo un po’ ti parli senza aprire bocca. Altre volte parli troppo come con Estrella che un giorno mi dice: stanotte ho sognato tua madre, non so se è un buon segno. O con chi, come Stefania, si sta specializzando e ti ricordi di chiederle come è andato l’esame. O Maria, la cleaner ecuadoriana che entrando in stanza è sempre arrabbiata ma se le dici buongiorno si illumina e non la smette più di raccontare e di cantare.
Donne, quasi tutte donne, perché del dolore, certo, si devono occupare le donne. Così anche le cose che sembrano più inutili, diventano utili. I profumi, come stanno le piante, cosa hai sognato stanotte, le vibrazioni, le premonizioni. È Cicely Saunders, la pioniera delle cure palliative. Primi del Novecento, la famiglia desidera per lei l’università di Oxford, ma lei vuole diventare infermiera. Durante le notti interminabili in corsia negli anni della Prima guerra mondiale, Saunders vede morire tra sofferenze indicibili ragazzi forti e coraggiosi, suoi coetanei. Comincia ad annotare i tentativi e i fallimenti, le intuizioni, le buone pratiche che consentono di lenire la sofferenza. Osserva urine, feci, temperatura, respiro, il “dolore erratico” che si presenta a ondate e gli effetti della morfina che sembra alleviare solo per pochi istanti gli spasimi. Nel 1967 riesce ad aprire il primo moderno hospice, un luogo in cui poter essere curati, assistiti anche dai propri familiari vivendo con dignità, gli ultimi istanti.
SI PROVA A GALLEGGIARE, CI SI AGGRAPPA A QUELLO CHE C'È, A CIO' CHE RESTA DI QUESTE VITE
È come combattere una guerra senza armi. A volte, ti puoi solo sedere e aspettare provando a tenere il plotone di esecuzione fuori dalla porta, con i discorsi più stupidi e quelli più profondi mescolati insieme. I reparti di cure palliative – gli hospice appunto – non sono attrezzati come tutti gli altri. Non si interviene in emergenza, si fanno poche analisi. Si prova a galleggiare, si dosano i farmaci come a fare dei cocktail per stare in bolla. E ci si aggrappa a quello che c’è, quello che resta.
Se la nottata non è tranquilla o se comunque dormire è difficile, cammino in corridoio. Su e giù, guardo dentro le stanze degli altri. Alla 6 c’è un signore moldavo, è/era un autista di tir che faceva su e giù sulle rotte dell’Est Europa. Con sua moglie che di giorno fa le pulizie e non sa più dove sbattere la testa parliamo per due volte dell’Ue e della guerra. Siamo giunte alla conclusione che è un mondo dove poche cose hanno senso. Alla 8, una signora algerina sta con il velo in testa anche a letto e quando il marito viene a trovarla gli fa delle ramanzine spettacolari. Parla in arabo, non capisco bene cosa gli dice ma comunque faccio il tifo per lei. Con suo figlio autistico, una volta, ho giocato mentre aspettava con la sorella che medicassero sua madre. Alla stanza 1, una notte, è morto un muratore di Cremona, un toro di 120 chili che le infermiere smadonnavano quando dovevano girarlo. Aveva un tumore rarissimo del polmone. Lascia un figlio di 6 anni e una moglie piccolina, insegnante di sostegno, con cui ci siamo abbracciate giù in ingresso mentre lo portavano in obitorio.
E infine c’è Paola, manager di una grande azienda. Stanza 7, madre piemontese tostissima ma che la adora, figlia unica anche lei, caregiver che non stacca un attimo. Siamo diventate subito amiche, a fare pausa e mangiare i toast giù al bar. Un regalo. «Non tutto forse succede per caso», mi ha detto un giorno mentre cercavamo di trovarci un senso. Sembra Il Bar sotto il mare di Stefano Benni, che mia madre mi leggeva quando ero piccola. Ognuno con la sua storia, ognuno col suo dolore e la sua gioia. Bolle dentro la bolla, dove c’è una quantità di vita tale che in certi momenti ti fa fare pace con il mondo in guerra.
Ma quando il dolore tracima è un posto tutt’altro che letterario o romantico.
A volte, sono scappata per qualche ora a farmi una doccia, a togliermi di dosso l’adrenalina che il dolore di chi ami e la tua paura ti lasciano sulla pelle e sui capelli.
Ma sono sempre tornata.
Fino alla fine. Fino al 6 febbraio alle 20.50, fino all’ultimo respiro, quello più leggero, in pace.
Da un articolo sul Corriere della sera
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Buongiorno, ma voi ci pensate mai che viviamo per lavorare? Cioè noi viviamo 8 ore (se va bene) chiusi nel nostro posto di lavoro aspettando quelle due settimane di ferie (se va bene anche qui) e ci dimentichiamo che fuori c’è il sole, i fiori stanno crescendo, che ci sono i parchi, il mare, i fiumi, che la fuori c’è vita
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Esiste una stanchezza, quella dell’anima,
per la quale non basta il riposo fisico.
Ha bisogno del mare,
del silenzio,
di poche parole...
Ha bisogno di respiri lunghi,
guardando il cielo,
leggendo un libro,
sorseggiando un caffè,
sorridendo ad un pensiero,
piangendo senza vergogna.
Esiste una stanchezza, quella del cuore,
che ha bisogno di abbracci che regalino la primavera, quando tarda ad arrivare.
Un abbraccio che sia quel bacio sulla fronte,
mentre dormi.
Mentre ad occhi chiusi combatti con le tue paure.
Che scacci gli incubi, che combatta i mostri,
che ti regali l’alba, anche quando il sole non c’è.
Da cuore a cuore.
Dal web

There is a tiredness, that of the soul,
for which physical rest is not enough.
He needs the sea,
of silence,
of few words...
He needs long breaths,
looking the sky,
reading a book,
sipping a coffee,
smiling at a thought,
crying without shame.
There is a tiredness, that of the heart,
who needs hugs that give spring, when it's late in arriving.
An embrace that is that kiss on the forehead,
while she sleeps.
While with your eyes closed you fight with your fears.
Who chases away nightmares, who fights monsters,
that gives you the dawn, even when the sun isn't there.
From heart to heart.
From the web

Buongiorno
Happy☀️weekend
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“Cara Sofia, sto amando un’altra donna e la sto amando con tutta quella serenità che tu non mi hai mai concesso, ora capisco che l’amore è questo, mettere in fila giorni di felicità non per forza conquistata con continue lotte. Lei è bellissima e coerente, la magia della coerenza è così stupefacente che non saprei descrivertela, a te quest’incantesimo non è mai riuscito. Sto bene, lei ha preso in mano la mia vita e la mia testa e ha fatto combaciare ogni cosa, ha dato un senso e un ordine alla mia casa, è stata il posto in cui mi sono salvato. Ci sono giorni di sole e tutti mi dicono che sono una persona nuova e anche io mi sento come se potessi mangiare le nuvole. Esco prima dal lavoro perché a volte mi manca troppo e ho bisogno di vederla, ci vediamo tutti i giorni ma solo quando sono con lei non penso a niente e credo di poter salvare il mondo quindi capiscimi perché ogni volta corro per abbracciarla il prima possibile. Non ti amo più e non mi ami più ma io ti scrivo perché quando ci incontriamo io lo vedo come mi guardi e posso anche vedere come io guardo te, io Sofia non ti amo più ma tu resti l’amore della mia vita, esiste un solo amore della vita e noi lo abbiamo conosciuto, amato e poi abbiamo smesso di sentirne la mancanza ma tu resti l’amore della mia vita, è difficile farlo capire agli altri ma io mi smonto quando ti vedo, cambio occhi e cuore, ritorno vecchio, dura solo un attimo perché io, e neppure tu, possiamo più permetterci noi, però quell’attimo c’è sempre, come quando ti chiamo al telefono per sapere come stai, quell’attimo c’è sempre perché tu sei l’amore della mia vita, l’incoerenza, le lotte, le ostinazioni io con te e per te tutto questo lo potevo sopportare. Se devo descrivere l’amore io parlo di lei ma se mai mi chiedessero di qualcosa che va oltre l’amore io parlerei di te perché tu resisti nonostante io abbia smesso di amarti molto tempo fa.”
Charles Bukowski
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LA MADRE DEL PARTIGIANO
Gianni Rodari
Sulla neve bianca bianca
c’è una macchia color
vermiglio:
è il sangue, il sangue di
mio figlio,
morto per la libertà.
Quando il sole la neve
scioglie
un fiore rosso vedi
spuntare:
o tu che passi, non lo
strappare,
è il fiore della libertà.
Quando scesero
i partigiani
a liberare le nostre case,
sui monti azzurri mio figlio
rimase
a far la guardia alla libertà.
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oggi c’è un sole e un clima che madonna sborro tantissimo
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CEFALU'
È una striscia di piccole case bianche racchiusa tra l’azzurro del mare e quello del cielo. Le case, come bambini impauriti, sono raccolte sotto la grande chiesa che il grande re volle per dire grazie a chi lo aveva salvato dal mare infuriato. La chiesa fu costruita con una forma araba, venne rivestita di mosaici bizantini e l’interno ha una struttura latina. Cosi la volle il grande re, perché ogni suo suddito con una fede diversa dalla sua, potesse pregare il suo Dio. La chiesa è protetta da una enorme rupe dove a difesa nacque un potente castello. Tra le pieghe di questa tonda rupe, trovi ancora i templi pagani costruiti secoli prima che Roma fosse concepita a dimostrare che qui il tempo ama fermarsi. Le piccole case di fronte al mare, formano un muro a proteggere le altre case ed i piccoli vicoli che spezzano il vento in inverno e rinfrescano in estate. Anche tra loro il tempo si è fermato e ne puoi vedere le tracce nelle vasche dove gli ebrei si purificavano o nel museo dove accanto al vecchio venditore di tonno acheo, c’è il sorriso del marinaio che conosce bene la fragile essenza di chi l’osserva e ne ride. Le piccole case in estate accolgono gente di paesi dove il sole è sempre basso all’orizzonte. Amano le sue lunghe spiagge, il suo cibo dal sapore di marino, le sue feste, la storia che incontrano ogni giorno dietro ogni angolo delle sue strade, le sue onde che vagiscono d’estate e urlano d’inverno. Questi suoi amanti lontani, si perdono in quest’amore fatto di teneri afosi pomeriggi e delicate brezze notturne. Anno dopo anno tornano sempre, come rondini che cercano più che la primavera una serena e semplice felicità.
It is a strip of small white houses enclosed between the blue of the sea and that of the sky. The houses, like frightened children, are gathered under the large church that the great king wanted to say thank you to those who had saved him from the raging sea. The church was built with an Arab shape, it was covered with Byzantine mosaics and the interior has a Latin structure. This is how the great king wanted it, so that each of his subjects with a faith different from his, could pray to his God. The church is protected by an enormous cliff where a powerful castle was built to defend it. Among the folds of this round cliff, you can still find the pagan temples built centuries before Rome was conceived to demonstrate that here time loves to stop. The small houses facing the sea, form a wall to protect the other houses and the small alleys that break the wind in winter and cool in summer. Even among them, time has stopped and you can see traces of it in the pools where the Jews purified themselves or in the museum where next to the old Achaean tuna seller, there is the smile of the sailor who knows well the fragile essence of those who observe it and laugh at it. The small houses in summer welcome people from villages where the sun is always low on the horizon. They love its long beaches, its food with a marine flavor, its parties, the history they encounter every day behind every corner of its streets, its waves that wail in summer and scream in winter. These distant lovers of hers, lose themselves in this love made of tender sultry afternoons and delicate night breezes. Year after year they always return, like swallows that seek more than spring a serene and simple happiness.
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L’ albero di ciliegio 🌳🍒 racconto scritto da Giovanna Mangone
In un antico giardino popolato da fiori e piante
risiedeva immobile e silente un bellissimo albero di
ciliegio dal fusto molto alto. L’inverno era alle porte,
un vento umido e freddo soffiava tra le cime
dell’albero oramai spoglio e vuoto e due timide
foglioline dal manto giallo giacevano pendenti
sull’estremità dei secchi rami. La prima fogliolina
disse:
<< Siamo rimasti soli qui su questo albero,
anche stanotte molte delle nostre sorelle se ne sono
andate via >>.
La seconda fogliolina rispose:
<< Non avere paura, si sa che prima o poi dobbiamo seguire il
nostro destino>>.
<< Ma prima di staccarmi dall’albero avrei un desiderio da esprimere >>
gemette la prima fogliolina.
<< Vorrei che tutte le mie sorelle ritornassero a darmi l’ultimo saluto >>.
L’albero di ciliegio ascoltò le parole tristi e meste delle
povere foglioline e commosso ribadì:
<< Esprimi un desiderio e lo vedrai realizzato >>. Le due foglioline,
contente, sussurrarono in rima:
<< Desidero, desidero…che il gelido inverno che sta per arrivare
ceda il posto alla sospirata e dolce primavera >>.
E così fu; di colpo come per magia la natura si risvegliò,
la terra nuda e stanca rifiorì, il sole brillò con tutto il
suo splendore per donare calore e gioia, un venticello
tiepido soffiò leggero e portò il profumo tra i rami
dell’albero, e gli uccelli tornarono a cantare
melodiose armonie solcando il cielo con allegri giochi.
<< Che spettacolo meraviglioso >> dissero le due
foglioline.
<< I raggi del sole stanno di nuovo riscaldando i nostri cuori >>.
L’albero contento rispose:
<< Ho in serbo per voi un ultimo desiderio da esaudire >>.
La prima fogliolina disse:
<< Desidero, desidero… che tutte le mie care sorelle ritornino a
rivestire i rami spogli di questo albero e che siano le
foglie più belle, brillanti e vigorose di tutto il giardino
e che diano fiori e frutti di ciliegio rossi come
coralli >>.
E così fu; all’improvviso l’albero di ciliegio si
ricopri di rigogliose foglioline verdi ergendo la sua
folta chioma nell’azzurro del cielo e piccoli fiori
colorati si schiusero per dar vita a nuovi frutti di
ciliegio. Tutto il giardino era oramai sommerso di
profumi misti e di colori. Anche le due foglioline
contente danzavano spensierate insieme alle loro
sorelle, accarezzate dal vento tiepido di primavera, e
con gioia dissero in coro:<< Grazie padre, ci hai
donato la vita >>. << Figli miei >> rispose l’albero di
ciliegio << Dovete imparare che non può essere
sempre primavera, il buon Dio ha creato le stagioni,
c’è l’inverno con il freddo e il gelo, la primavera con il
risveglio e l’allegria, l’estate con il caldo e il suo
raccolto, l’autunno con la malinconia e la pioggia.
Questa giostra gira, gira senza mai fermarsi, è il ciclo
della natura, non dimenticatelo mai >>. Le due timide
foglioline ascoltarono con veemenza le sagge parole
dell’albero di ciliegio e con giudizio risposero:<<
Siamo state due egoiste padre, è vero che ognuno di
noi deve seguire il proprio destino >>. Di colpo si alzò
un fortissimo vento di tramontana che spazzò con
furia impetuosa tutte le foglioline e i frutti rossi
dell’albero di ciliegio. L’atmosfera ritornò silente e
triste, il giardino si spogliò di tutto il suo verde manto
e le foglie oramai secche e gialle, staccandosi una a
una dai rami inariditi, volteggiarono nell’aria come
piccole farfalle formando a terra un fitto tappeto
variopinto che scricchiolava al suon di vento. Anche le
due foglioline, lasciate per ultime con i loro vestiti
color avorio, porsero l’ultimo accorato saluto alle loro
sorelle e se ne andarono via trasportate dal brusio del
vento per andare incontro al loro destino. L’albero di
ciliegio, oramai stecchito e irto, dovette aspettare con
pazienza e trepidazione l’arrivo della colorata
primavera e disse:<< Ci vediamo presto, figlie mie, per
adesso mi riposerò un po', sono troppo stanco >>.
L’inverno era giunto con il freddo e la neve e il povero
albero di ciliegio giaceva inerme in un dolce sonno
profondo tra il candore dei fiocchi cristallini di neve,
sognando tra i rami aridi il fiorir della magica
primavera.
⚜ fine della fiaba ⚜
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PALLE VERE E PALLONCINI FALSI
Avete idea di quanti impianti fotovoltaici o eolici servono per soddisfare una richiesta di 1000 MW in assenza di fossili?
No?
Vi sorprenderà non poco e capirete l’assurdità delle idee di Bonelli &Co. Ecco i numeri.
Fissiamo, come è diffuso, che per sopperire all’intermittenza di eolico e solare, si usino batterie di backup.
Supponiamo di dover coprire un periodo di 5 giorni consecutivi di assenza di sole e/o vento. Perciò servono teoricamente 5ggx24h x 1000= 120.000 MWh di backup.
In realtà, come succede per le auto elettriche, la carica non va da 0 a 100% ma da 20% a 80%. Il che fa salire la necessità di backup a 200.000 MWh.
Il fattore di potenza medio per eolico e solare è del 25% (il sole non c’è sempre e il non soffia sempre) In condizioni di uso ordinarie, servono perciò almeno 4000 MW di potenza disponibile.
A questa va aggiunta quella per ricaricare in parallelo le batterie tampone (supponiamo in 12 ore).
Serve perciò una potenza di 200.000/12=16.666 MW. In totale 4000+16.666 = 20.666 MW Il primo risultato, già stupefacente, è che per 1000 MW di richiesta, servono impianti eolico-solari di potenza 21 volte superiore. Quanto costa tutto ciò? L’IEA parla di 1,3 Mil$/MW. Quindi per gli impianti servono 1,3*20666 = 26.866 Milioni di $.
Per le batterie si valuta un costo di 200$/KWh., cioè 200.000/MWh. Per le nostre batterie servono quindi 200.000 * 200.000 = 40 miliardi di $, che sommati ai costi degli impianti danno 66,8 miliardi di $ Tutto questo per una potenza richiesta di 1000 MW.
Per avere un’idea più chiara, considerate che la richiesta di potenza per tutta l’Italia è pari 54 GW, 54.000 MW. Quindi se pensiamo a produrre l’energia elettrica solo con rinnovabili, il costo per l’Italia lo otteniamo moltiplicano per 54, cioè…
66 miliadi * 54 = 3.610 Miliardi di $, circa 3.300 Miliardi di Euro. Questo è 1,7 volte il nostro PIL.
La spesa delle famiglie italiane per l’elettricità è stata nel 2022 di 30 Miliardi. Cioè il costo della transizione totale, è 110 volte superiore al consumo annuo!
Ma non è tutto qui. Ho considerato cautelativamente 5 giorni di carenza di energia. Ma potrebbe succedere che d’inverno ce ne sia un sesto. Il quel giorno, senza fossili, saremmo in blackout e al gelo. E non è ancora finita.
Il passaggio a tutto elettrico comporta una crescita dell’energia elettrica richiesta. Si può valutare circa il doppio di quella attuale. Allora i costi e i rischi di blackout non ve li calcolo ma li immaginate.
Non vi suona un campanellino di allarme?
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ha ragione, signora singh – il nostro non è un paese buono, non siamo stati mai brava gente. siamo codardi e servi nei confronti dello straniero che arriva qui potente, lo siamo sempre stati; ma siamo feroci e crudeli se lo straniero che arriva è povero e malridotto – ci piace infierire. come abbiamo sempre infierito dove siamo arrivati noi, da potenti e armati fino ai denti – allora sì, abbiamo mostrato il nostro “eroico valore” uccidendo e compiendo stragi. i nostri bisnonni andavano in giro per il mondo a cercare un tozzo di pane – proprio come lei e suo marito satnam; ci hanno linciato, nelle americhe e in francia, morivamo assiderati per passare i confini, e quando finalmente arrivavamo nelle terre promesse accettavamo qualunque lavoro, anche il più umile, anche il più faticoso. abbiamo dimenticato tutto questo, ora abbiamo la pancia piena e il portafoglio gonfio e nessuno vuole più sporcarsi le mani, spaccarsi la schiena: siamo troppo dediti a depilarci, a tatuarci, a spettegolarci – è per questo che mettiamo voi sventurati a tre euro l’ora sotto il sole cocente a quaranta gradi a lavorare: perché se c’è una cosa che sappiamo fare è il caporale. gli italiani sono caporali – per vocazione: duri con i sottoposti, servili con i superiori, sempre bravi a rubacchiare in fureria. facciamo la guerra ai barconi - sai che medaglie al valor militare! ora sono tutti scandalizzati – troppo orrore, troppo splatter: quel braccio poggiato lì sulla cassetta della frutta è scena da film dell’orrore. senza braccio - se questo è un uomo. governi, sindaci, sindacalisti, politici – quante dichiarazioni. come se questo orrore, questo splatter, questo film dell’orrore non si consumasse giorno dopo giorno, h24, in ogni campagna, in ogni luogo dove si raccolgono pomodori, lattughine, cipolle e arance. le posso garantire, signora singh, che durerà qualche giorno – poi, tutto tornerà come prima: sono vent’anni che tutto è sempre così. non ci perdoni, signora singh. ma se può, preghi il suo dio per le nostre anime dannate. il nostro, s'è stufato di noi. Lanfranco Caminiti, Facebook
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È Pasqua, e sono sola a casa.
Fuori il sole splende, le campane suonano a festa, e tutto sembra andare avanti come se nulla fosse. Eppure, dentro casa c’è un silenzio che pesa un po’ di più oggi. Non ci sono voci, non c’è profumo di pranzo condiviso, né risate familiari che riempiono le stanze. Solo me, i miei pensieri e un po’ di malinconia.
Non è una Pasqua triste, ma sicuramente è diversa. Mi mancano gli abbracci, i sorrisi attorno alla tavola, quel senso di appartenenza che si sente forte nei giorni di festa. Oggi cerco di trovarlo in piccole cose: una tazza di caffè sul balcone, un messaggio inaspettato, un ricordo che scalda il cuore.
Essere da sola mi spinge a guardarmi dentro, a riscoprire il significato della rinascita, nonostante tutto. Forse è questo, in fondo, lo spirito della Pasqua: imparare a fiorire anche nei momenti più silenziosi.
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Vittorio Arrigoni
Hanno ucciso tutti
hanno ucciso tutti i minareti
e le dolci campane
uccise le pianure e la spiaggia snella
ucciso l’amore e i destrieri tutti, hanno ucciso il nitrito.
Per te sia buono il mattino.
Non ti hanno conosciuto
non ti hanno conosciuto fiume straripante di gigli
e bellezza di un tralcio sulla porta del giorno
e delicato stillare di corda
e canto di fiumi, di fiori e di amore bello.
Per te sia buono il mattino.
Non hanno conosciuto un paese che vola su ala di farfalla
e il richiamo di una coppia di uccelli all’alba lontana
e una bambina triste
per un sogno semplice e buono
che un caccia ha scaraventato nella terra dell’impossibile.
Per te sia buono il mattino.
No, loro non hanno amato la terra che tu hai amato
intontiti da alberi e ruscelli sopra gli alberi
non hanno visto i fiori sopravvissuti al bombardamento
che gioiosi traboccano e svettano come palme.
Non hanno conosciuto Gerusalemme … la Galilea
nei loro cuori non c’è appuntamento con un’onda e una poesia
con i soli di dio nell’uva di Hebron,
non sono innamorati degli alberi con cui tu hai parlato
non hanno conosciuto la luna che tu hai abbracciato
non hanno custodito la speranza che tu hai accarezzato
la loro notte non si espone al sole
alla nobile gioia.
Che cosa diremo a questo sole che attraversa i nostri nomi?
Che cosa diremo al nostro mare?
Che cosa diremo a noi stessi? Ai nostri piccoli?
Alla nostra lunga dura notte?
Dormi! Tutta questa morte basta
a farli morire tutti di vergogna e di sconcezza.
Dormi bel bambino.
Ibrahim Nasrallah
(trad. Wasim Dahmash)
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Il vizio della parola
Il vizio della parola
Il divieto per le donne di usare la voce in pubblico nell’Afghanistan dei talebani. E noi ammutoliti da un diluvio di neologismi assurdi (vedi alla voce “maranza” o “sunshine guilt”)

Se togli loro la parola, scompariranno. I talebani hanno recentemente emanato una serie di leggi inerenti la propagazione della virtù e la prevenzione del vizio. Già questo proietta lo sguardo su un mondo che appartiene a una galassia lontanissima. E quando mai dalle nostre parti si parla più di vizi e virtù? In ambito legislativo, oltretutto.
In ogni caso, queste leggi sono state approvate dal leader supremo dei talebani, Hibatullah Akhundzada, e tra i provvedimenti ne spicca uno: «La voce di una donna è considerata intima e quindi non dovrebbe essere ascoltata mentre canta, recita o legge ad alta voce in pubblico». Per promuovere la virtù e scacciare il vizio, le donne non potranno esprimersi a voce alta nei contesti pubblici. Le imbavagliano, anzi le ammutoliscono, ma per il loro bene s’intende.
La scena è agghiacciante, ci costringe a una doccia terribilmente fredda. I talebani hanno chiaro chi sia una donna, a differenza della nostra situazione un po’ più aperta, cioè confusa. Abbiamo trascorso l’estate – ma è stata la ciliegina su una torta sfornata da tempo – a interrogarci su livelli di testosterone, Dna, intenzioni d’anima. Magari, al prossimo caso mediatico, potrebbe essere utile cambiare sfondo e ambientare tutti i nostri dubbi per le vie di Kabul e «vedere l’effetto che fa».
Se dai loro in pasto tantissime parole, scompariranno. Aggiungere vocaboli non è per forza segno di progresso, si può diventare muti per eccesso terminologico. L’aggiornamento dello Zingarelli per il 2025 prevede che il dizionario si arricchisca di nuovi termini, “maranza” e – udite udite – “gieffino” si conquistano un posto nell’Olimpo delle parole validate da definizione. Ma questo è solo un ritocco brutalmente onesto al nostro ritratto umano.
Il crimine terminologico è altrove, là dove spuntano espressioni che ci ritroviamo sotto gli occhi scrollando le notizie. “Coolcation” è la tendenza in crescita per trovare mete di viaggio al fresco. “Workation” è la scelta di lavorare da remoto scegliendo luoghi che offrano svago e servizi per il tempo libero. Una medaglia d’oro per l’assurdo spetta all’espressione “sunshine guilt”, il senso di colpa per aver sprecato una giornata di sole.
C’è, nel nostro intimo, un ribollimento senza nome. Sono scampoli di paura mescolati a slanci di affetto, pulsioni cattive e lacrime struggenti. È questa fucina scabrosa, feconda e indicibile che alimenta la libertà nel tumulto di gesti, scelte, responsabilità. Sono poche, devono essere poche e vertiginose, le parole a cui ricondurre il senso del nostro travaglio. Sillabe scottanti come “amore” o “invidia”. Frantumare il quadro in un mucchio di nuovi pezzettini lo riduce a un puzzle che resta scombinato.
Finiamo per scomparire ed essere muti se l’impegno di affrontare la novità di ogni nuova alba – l’ignavia che fa a pugni con la rabbia, i desideri che bevono sorsi di fiducia – viene sgonfiato dalla bugia che tutto affondi in un senso di colpa per il timore di perdere un giorno di sole.
via tempi.it
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UN UOMO SAGGIO UNA VOLTA DISSE:
1- Non chiamare qualcuno più di due volte di seguito. Se non risponde, probabilmente ha qualcosa di importante da fare.
2- Restituisci i soldi che hai preso in prestito prima ancora che la persona se ne ricordi o li richieda. Questo dimostra integrità e rispetto. Lo stesso vale per ombrelli, penne e contenitori per il pranzo.
3- Non ordinare mai il piatto più costoso quando qualcuno ti offre un pranzo o una cena.
4- Non fare domande imbarazzanti come "Non sei ancora sposato?" o "Non hai figli?" o "Perché non hai comprato una casa?" o "Perché non hai una macchina?" Non sono affari tuoi.
5- Apri sempre la porta a chi arriva dietro di te, indipendentemente dal fatto che sia un uomo o una donna, più grande o più giovane. Trattare bene gli altri in pubblico non ti sminuisce.
6- Se prendi un taxi con un amico e lui paga questa volta, cerca di pagare tu la prossima.
7- Rispetta le opinioni diverse dalle tue. Ricorda che ciò che per te è un 6, per qualcun altro può sembrare un 9. E un secondo punto di vista è sempre utile.
8- Non interrompere mai chi sta parlando. Ascolta fino alla fine, poi esprimi il tuo pensiero.
9- Se scherzi con qualcuno e lui/lei non sembra divertirsi, smetti e non rifarlo. Questo dimostra rispetto e sensibilità.
10- Di' sempre "grazie" quando qualcuno ti aiuta.
11- Fai complimenti in pubblico, critica in privato.
12- Non c’è quasi mai motivo di commentare il peso di qualcuno. Limìtati a dire: "Stai benissimo". Se vogliono parlare di perdere peso, lo faranno loro.
13- Quando qualcuno ti mostra una foto sul telefono, non scorrere a destra o a sinistra. Non sai mai cosa potrebbe esserci dopo.
14- Se un collega ti dice che ha un appuntamento dal medico, non chiedere il motivo. Di' semplicemente: "Spero vada tutto bene". Non metterlo nella posizione scomoda di dover spiegare la sua salute personale.
15- Tratta chi fa le pulizie con lo stesso rispetto che riservi a un amministratore delegato. Nessuno sarà colpito dalla tua maleducazione verso chi ha un ruolo inferiore, ma tutti noteranno se li tratti con rispetto.
16- Se qualcuno ti parla, guardare il telefono è segno di maleducazione.
17- Non dare mai consigli non richiesti.
18- Quando rivedi qualcuno dopo tanto tempo, evita di chiedere l’età o quanto guadagna, a meno che non sia lui a parlarne.
19- Fatti gli affari tuoi, a meno che la questione non ti riguardi direttamente. Resta fuori dalle situazioni che non ti competono.
20- Togliti gli occhiali da sole quando parli con qualcuno per strada. È un segno di rispetto e il contatto visivo è importante quanto le parole.
21- Non parlare delle tue ricchezze in presenza di chi ha poco. Allo stesso modo, non parlare dei tuoi figli davanti a chi non può averne.
Ma soprattutto ....
22- Evita risposte o comportamenti, ad mentula canis.
🤗♥️🍀��️
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