Tumgik
#che poi nel senso convinti che io voglia questa cosa
dantelovesvirgil · 2 months
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Comunque i reel tarocchi e "tu e la tua crush inizierete una relazione alla fine di luglio" NONE AMO THE SHIP IS SAILED IL DADO È TRATTO LA PASTA É SALATA M NE VOC A CAS MO C AVISS PNZAT PRIM ORA É HOT GIRL SUMMER
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Capitolo 58 - Il patto, il nome e il principe (Seconda Parte)
Nel capitolo precedente: Angie fa uno strano incubo sul suo futuro in cui diventa una scrittrice di romanzetti rosa a sfondo fantasy e viene svegliata da una telefonata di Eddie, che le ricorda che finalmente è venerdì, cioè il giorno in cui riveleranno agli amici che stanno insieme. Stone, dopo essere sparito per un po’ per riflettere su quanto gli aveva detto Grace, va a prenderla al lavoro e chiarisce le cose con lei. Angie e Eddie si baciano sotto casa di lei, convinti che Jeff, Mike e Dave, che li aspettano nel furgone della band per andare insieme al concerto, li abbiano visti e stiano parlando di loro. Quando arrivano al van, invece, li scoprono intenti a discutere dell’ultimo episodio di Twin Peaks.
***
Rosa. Stanno diventando rosa. I miei colpi di sole viola si stanno lentamente, ma inesorabilmente, sbiadendo in un fucsia-gomma da masticare triste di sottomarca, mentre la tinta blu scuro sta via via scaricando del tutto, lasciando il posto al mio vecchio e banale castano. China, in bilico, sopra la turca, analizzo le ciocche che mi penzolano davanti alla faccia, illuminate dalla luce ronzante del bagno dell'Ok Hotel. Dopo aver tirato l'acqua ed essermi ricomposta, sento il volume della musica del locale alzarsi e abbassarsi subito dopo, seguito da chiacchiere e risate femminili. Qualcun altro è entrato in bagno e allora io resto qui. Non so perché, ma non mi piace incontrare altra gente uscendo dal bagno, mi mette a disagio. Non ho nulla contro l'andare al cesso in due, tre, cinque, dieci ragazze, ma se devo fare pipì, io sono quella che la fa sempre per ultima e dice alle altre di andare pure e che le raggiungerà fuori. Non posso certo usare questo sistema con le sconosciute, soprattutto nei cessi dei locali con file interminabili fuori dalla porta, allora che faccio? La tengo oppure cedo, cercando di evitare di incrociare lo sguardo con quello della tizia che entra dopo di me, a cui non frega un cazzo della sottoscritta ovviamente e vuole solo farla. Stavolta però è presto, il concerto deve ancora iniziare e i bagni erano vuoti, almeno finché non sono entrate queste. Chissà quante sono? Dalle voci sembrano tre, dovrò aspettare qua dentro per poco, sperando che nessuna cominci a farsi domande sul perché la mia porta è chiusa a chiave.
"Ma voi li avete già sentiti questi Pearl Jam?" la domanda posta da una di loro non sfugge alle mie orecchie, concentrate sui loro discorsi, fino a quel momento solo allo scopo di capire quando se ne sarebbero andate, ma ora ancora più attente.
"Non ancora, ma Emma sì, vero?" risponde un'altra voce un po' più acuta della precedente.
"Sì, e il cantante è un figo pazzesco" la terza voce ha un accento vagamente bostoniano, non riesco a capire se è un accento vero che la ragazza cerca di camuffare o se è una parlata che non le appartiene ma che calca apposta, non saprei per quale motivo. Ed è l'accento ad attirare per primo la mia attenzione, più che quello che dice.
"Va beh, per quello non serve sentirlo cantare, basta avere gli occhi per guardare" ribatte la prima voce sghignazzando.
"Sì, visto così è carino, ma sul palco è ancora più sexy. Vedrete che mi darete ragione"
"Non è male, ma io sono più orientata sul bassista" interviene di nuovo la voce numero due, che viene subito coperta da quella delle sue amiche.
"Lo sappiamo, lo sappiamo!"
"E' dai Green River che sei orientata su di lui, magari dovresti cambiare orientamento, visto che non c'è storia, che dici?"
"Tornerà single prima o poi, no? Mica se la sposerà Miss Perfezione" l'innocuo, e tutto sommato lusinghiero, soprannome dato da queste tipe alla mia amica mi dà un po' fastidio, diversamente dagli apprezzamenti su Eddie, che mi fanno quasi... piacere? Sì, piacere. Sono normale o cosa?
"Punta sui single della band, fidati" Emma-forse-Boston cerca di dissuadere l'amica dalla sua cotta per Jeff.
"Che poi sarebbe solo il chitarrista"
"Ma chi? Stone? Non si è ancora ripreso dalla storia disagiata con Valerie? O intendi l'altro?"
"L'altro. Stone ha la ragazza, avrà ritrovato la fiducia nel genere femminile"
"Oppure questa tipa la tiene a distanza di sicurezza dalle sue chitarre eheheh"
Ma chi è Valerie? Devo ricordarmi di chiederlo a Meg.
"Quindi restano la chitarra solista e il cantante. Tu ti prendi il chitarrista"
"Il cantante non è single"
"No?" chiedono le altre due in coro.
"No, ha la ragazza a casa che lo aspetta, o che sta per raggiungerlo, dipende da come va con la band"
"Ma di dov'è?"
"California, non so bene dove"
"Los Angeles"
"Secondo te uno che vuol fare musica parte da Los Angeles, che è il centro di tutto, e viene a infognarsi a Seattle? Ho sentito che è di San Francisco"
"NO, SAN DIEGO "sul momento quasi non capisco di chi sia la quarta voce, poi realizzo: sono io stessa, uscita dal bagno praticamente urlando.
"E tu... che ne sai? Chi sei?" ora che vedo il terzetto mi rendo conto che non è per niente come lo avevo immaginato. Voce numero 1, che nella mia testa è una sorta di capo del gruppetto, è alta quanto me, magrissima, e tutta occhi, occhi grandi e verdi, bellissimi, i capelli scuri raccolti in una coda alta tiratissima, orecchini a cerchio giganti. La ragazza di Boston sembra uscita da un episodio di Baywatch, bionda, occhi azzurri e fisico da urlo strizzato in un mini-abito nero, mentre la fan di Jeff con la voce acuta è la più alta di tutte, con spalle da nuotatrice evidenziate da un top a fascia, occhi neri e naso leggermente aquilino che le dà un'aria esotica e affascinante.
"Lo so perché lo conosco" faccio spallucce mentre mi butto sul lavandino a lavarmi le mani, focalizzando tutta la mia attenzione sul rosa dei miei cazzo di colpi di sole nello specchio.
"Sì, aspetta...ti ho vista con l'amica di Stone e Jeff, la bionda che lavora da Roxy... come si chiama?"
"Meg, è la mia coinquilina" rispondo al capo guardandola attraverso lo specchio.
"Conosci Jeff? E' ancora fidanzato?"
"Eheh sì, mi spiace"
"Visto, te l'avevo detto?"
"Allora ripiego sul cantante, tanto se la tipa è a San Diego che ne sa? Occhio non vede, cuore non duole"
"Non sta più con quella ragazza, si sono lasciati quando si è trasferito qui" mi fermo prima di aggiungere altri particolari intimi e non richiesti, anche se ho un insensato e improvviso desiderio di riverarli tutti, fino all'ultimo.
"VISTO? ALLORA E' SINGLE!"
"Lo dicevo io"
"In realtà... sta uscendo con un'altra ragazza, una che sta qui a Seattle" e che poi sarei io, ho una voglia matta di dirlo, ma perché? Che mi sta succedendo? Non starò mica diventando gelosa? Ho detto a Eddie che la sua gelosia nei confronti di Jerry non aveva alcun senso, ma almeno quella aveva delle basi. Dopotutto Jerry è il mio ex, è venuto a cercarmi e abbiamo passato del tempo in uno spazio ristretto da soli. Queste invece sono delle ragazze random che hanno solo detto che Eddie è carino. E grazie al cazzo. E' normale che lo pensino .Allora, perché parlo?
"E chi è?"
"Va beh, uscire non significa avere una fede al dito o chissà cosa"
"Ma come si chiama lui?"
"Già, è vero, come cazzo si chiama?"
"Eddie"
"E com'è Eddie? Come tipo, intendo"
"E'..." è dolce, sexy, divertente, timido, fuori di testa, romantico, buffo, protettivo, silenzioso, sgraziato, intelligente, appassionato, concreto, fedele, sincero, affidabile e altri ottocento aggettivi che mi vengono in mente, ma che tengo per me "... è ok, non parla molto, ma è simpatico"
"Un figo che parla poco: l'uomo perfetto" sentenzia la bionda, scatenando le risate di tutte e tre.
Io intanto continuo a sciacquarmi le mani e se insisto ancora un po' mi verranno le dita palmate. Chiudo il rubinetto e scrollo le mani nel lavandino, prima di indirizzarmi verso il ventilatore asciugamani con tre paia di occhi addosso.
"Allora ce lo presenti?" mi chiede la pertica quando ho già una mano sulla maniglia della porta e sto per uscire.
"Sì, certo!" sto ancora cercando di interpretare il mio comportamento quando esco dal bagno, seguita a ruota dal gruppetto, e chi ti trovo proprio lì, di fronte, con una mano in tasca e l'altra impegnata a reggere un bicchiere?
"Ehi, finalmente! Mi stavo preoccupando, c'era coda?" mi chiede notando che non sono l'unica a uscire dal bagno. Io gli vado incontro strofinando le mani ancora un po' umide sui miei jeans e, ben conscia di avere gli occhi del trio puntati su di me, faccio una cosa onestamente incomprensibile: allaccio le braccia al collo di Eddie e lo bacio come se lo avessi baciato per l'ultima volta un mese prima e non venti minuti fa, nel backstage, cercando di suscitare una qualche reazione in Stone e Dave, che però proprio in quel momento non stavano guardando dalla nostra parte. Cos'è? Improvvisamente sono diventata un'esibizionista?
"Stavo parlando con le ragazze" mi stacco dalle sue labbra, gli rubo la birra dalle mani e ne bevo un sorso, dopodiché mi giro verso il terzetto di mandibole cadute a terra alle mie spalle.
"Parla poco, ma si fa capire" il capo è la prima a rompere il ghiaccio, facendo ridere le altre due, e anche me, sotto i baffi.
"Si fa capire molto bene, direi" aggiunge la stangona.
"Ahah dai andiamo, ciao Eddie, buon concerto!" la Boston vamp prende le altre due per mano e le invita ad allontanarsi con lei.
"Ciao Eddie!"
"Dio che figura di merda"
"Ma va, che abbiamo detto in fondo?"
"Beh, insomma..."
Seguo finché posso la conversazione a tre, poi, quando le ragazze scompaiono dal mio radar, mi volto di nuovo e trovo l'espressione perplessa di Eddie.
"Le conosci?"
"Più o meno. Dai, andiamo che fra poco tocca a voi"
Io e Eddie ci salutiamo sotto il palco con un bacio, poco dopo aver intravisto Meg venire dalla nostra parte, ma quando ci separiamo notiamo che la mia coinquilina è più impegnata a imprecare contro un tizio, reo di averla urtata e aver quasi rovesciato il suo cocktail sulla maglietta nuova di lei, piuttosto che a guardare noi e le nostre effusioni. Eddie alza le spalle, fa un cenno di saluto a Meg e se ne va nel backstage a prepararsi.
"Non devi più far finta di non sapere niente di Eddie e me"
"Ah no? Ok, comunque quello stronzo davvero non guardava dove andava!" ribadisce voltandosi verso l'anonimo malcapitato, ormai già sparito fra la gente.
"No, abbiamo deciso di dirlo. Cioè, di farlo sapere, più che altro. Non nasconderci, ecco"
"Ah! Allora è per questo che state limonando a caso per tutto il locale?"
"Esagerata"
"No, hai ragione, forse sotto al mixer non l'hai ancora slinguazzato. E nemmeno davanti ai cessi"
"Ahahah piantala! E comunque, ehm, davanti ai cessi sì, anche"
"HA!"
"A tal proposito, ho bisogno di una consulenza. Della dottoressa Meg"
"Uhm"
"Sai che non mi piace approfittare dei tuoi studi in psicologia"
"Studi alquanto miseri"
"E della tua grande passione non solo accademica per la materia, ma... sono strana e ho bisogno che mi dici perché sono strana"
"Allora, prima di tutto ti ringrazio per la fiducia che hai in me, probabilmente malriposta, perché deve essere enorme se pensi che basti così poco per risolvere l'enigma Angelina Pacifico"
"Sto parlando seriamente"
"E poi sono lusingata, perché in genere sono io a impicciarmi dei cazzi tuoi cercando di psicanalizzarti e farti ragionare, mentre stavolta sei tu a chiedermelo spontaneamente. Sento che c'è una lacrima di commozione pronta a uscire"
"Ho fatto una cosa strana prima e non me la spiego"
"Ok, spara"
Ignoro il suo sarcasmo, pur apprezzandolo, e le racconto tutto quello che è successo con le tre sconosciute in bagno, mentre lei mi ascolta in un silenzio innaturale. Innaturale sia per lei, perché onestamente non penso di averla mai sentita tacere così a lungo, sia per il luogo, un locale affollato di persone, voci e rumori, anzi, casino puro.
"Quindi? Che mi sta succedendo? Sono diventata gelosa come Eddie? La gelosia è contagiosa? Oppure sono diventata stronza e basta?"
"Eddie è geloso?"
"Sì. Beh, un pochino" questo capitolo meglio affrontarlo un'altra volta.
"Il giusto, insomma"
"Oddio, giusto... cos'è giusto? La gelosia non è giusta, è stupida. E sto diventando stupida anch'io a quanto pare"
"Non sono del tutto d'accordo con la tua affermazione, comunque la gelosia non c'entra un cazzo col tuo exploit di prima"
"No?"
"No bella, non è gelosia, te lo dico io cos'è. Sono tre cose"
"Tre? Addirittura?"
"Numero uno: sei pedante"
"Vuoi dire pesante?"
"No, proprio pedante, è più forte di te. Se uno dice una cosa sbagliata lo devi correggere, nulla ti può trattenere, neanche la tua timidezza patologica. Se fosse stata una questione di gelosia saresti saltata fuori subito dal gabinetto, insultandole e dicendo loro di tenere giù le mani dal tuo uomo, invece te ne sei rimasta lì, buona buona, chiusa in quella toilette puzzolente a sentire le tipe sbavare per il tuo ragazzo finché non hanno cominciato a snocciolare informazioni sbagliate. A quel punto non ce l'hai fatta, dovevi dire la tua e illuminarle"
"Quindi mi sarei messa al centro dell'attenzione solo per fare la maestrina?"
"Non solo, ma anche. In questo, lasciatelo dire, tu e Stone siete uguali. Spaventosamente uguali"
"Smettila, mi dai i brividi"
"Numero due: cerchi approvazione"
"Approvazione?"
"Tutti vogliono piacere agli altri, per qualcuno è un po' più importante, soprattutto se ha un'autostima che traballa"
"Cos'è un'autostima?"
"Se fossi stata gelosa mi avresti descritto quelle tre come delle stronze o delle racchie o entrambe le cose, invece sembra quasi ti stessero simpatiche"
"Infatti, è così"
"Appunto. Tre ragazze simpatiche e carine che avevano un interesse comune con te, senza saperlo. Gli hai detto che conosci Eddie perché, inconsciamente, volevi ti accettassero"
"Oh"
"Numero tre... beh, il numero tre è il mio preferito"
"Ah sì?"
"Sì. Perché, cara Angie, sono lieta di comunicarti che alla veneranda età di diciotto anni"
"E mezzo"
"Diciotto anni e mezzo..." si corregge alzando gli occhi al cielo "... dopo tutto questo tempo, hai finalmente appreso uno dei concetti fondamentali della vita, nonché una delle sensazioni più gradevoli"
"Ovvero?"
"Ahahahah tirarsela, è ovvio"
"Tirarsela? Io non me la sono mai tirata nella mia vita!" forse giusto due secondi, quella famosa sera sfigata, con la cameriera del Canlis, aspettando Jerry. Si è visto poi com'è andata a finire.
"Appunto, ti ho detto che ci hai messo qualche annetto..."
"Ma poi tirarmela per cosa?"
"Perché Eddie è il tuo ragazzo, no?"
"E che c'entro io? Mica è un merito di cui vantarsi!"
"Questo lo dici tu, ma il tuo subconscio la pensa diversamente. Rifletti, hai trovato l'approvazione delle tue nuove amichette e quando hai visto Eddie potevi limitarti a presentargliele di sfuggita e andartene con lui, invece hai puntato dritto su Vedder e lo hai baciato lì davanti a loro, sapendo bene che le avresti lasciate di sasso. E non provarci neanche a dirmi che ti è venuto spontaneo e non hai pensato nemmeno per un secondo alla loro reazione, perché non ci credo per un cazzo"
"Beh, in effetti, ok, sì, ci ho pensato, un po'..."
"Stai col tipo che piaceva a tutte loro, quella è l'approvazione definitiva, quasi una consacrazione"
"Me la tiro senza un motivo valido, cosa sono diventata?"
"Pfff adesso non esagerare, dai!"
"Sono una persona orribile!"
"Ecco che parte l'Angie-dramma in 3, 2, 1" Meg fa il conto alla rovescia con le dita a un centimetro dal mio naso.
"Non capisci? Vuol dire che ho trattato Eddie come un oggetto, una merce di scambio!"
"Stai con un ragazzo carino e te la sei tirata un attimo, capirai!"
"Un trofeo per alimentare la mia autostima"
"La stai facendo più grave di quanto non sia, davvero. Cioè come tuo solito"
"Un ragazzo decente mi caga e mi monto la testa?"
"Un ragazzo decente ti caga, state insieme e non vi dovete nascondere per un motivo o per l'altro. Da quant'è che non ti capita?"
"Ehm... un sacco di tempo?" una relazione normale? Sono anni, direi. Ma poi, ce l'ho mai avuta una relazione normale?
"Stai col cantante di una band coi contro-cazzi di cui parlano tutti in città, io lo urlerei a tutti quelli che incontro, figurati. Vedila così: non sei orgogliosa di Eddie e di cosa sta facendo nella band?"
"Beh sì"
"E allora, sei orgogliosa e lo comunichi in giro, come lo hai comunicato a quelle tre"
"Infilandogli la lingua in gola davanti a loro?"
"Esatto. Ad ogni modo, considerando che lo stai facendo in ogni angolo di questo locale, ti avrebbero vista comunque a un certo punto"
"Non è detto, soprattutto se sono attente come i nostri amici, che non si sono ancora accorti di niente"
"O magari se ne sono accorti, ma vogliono essere discreti"
"Discrezione? Stone?"
"Beh, in effetti..."
"A proposito di Stone: chi è Valerie"
"ODDIO, VALERIE??? DOV'E'?!"
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"Mi sembra assurdo che tutti odino il Kingdome. Voglio dire, è il vostro stadio!" da quando sono qui a Seattle non ho trovato un tifoso che sia uno che non si sia lamentato dello stadio o che non l'abbia liquidato con sufficienza come una semplice location mai troppo amata dai cittadini. Jerry non è da meno, mentre discutiamo al bancone del bar in attesa dei nostri drink.
"Non è che lo odiamo, è che c'è di meglio. Sicuramente per il football non fa così schifo come per il baseball. O forse è solo questione di punti di vista: se i Mariners non giocassero così di merda, sarebbe lo stadio del cuore, come Wrigley Field per Chicago eheh"
"Non bestemmiamo, per cortesia! Non ci sono ancora stato comunque, devo andare a vedere coi miei occhi" lo spintono per gioco, afferro il bicchiere che il barista mi ha appena allungato e Cantrell fa lo stesso, facendomi un cenno di ringraziamento perché ho offerto io e continuando a parlare.
"Io ci ho camminato, anzi, ci ho corso! Sei anni fa, no, sette, quando i Seahawks hanno battuto i Raiders 13 a 7 al Wild Card Game e c'è stata una mega-invasione di campo dei tifosi. Ovviamente poi è andato a finire tutto in merda e la settimana dopo le abbiamo prese da Miami, ma in quel momento ci credevamo! Comunque il Kingdome lo fa la gente"
"Il dodicesimo uomo, no?" annuisco e, mentre faccio scorrere lo sguardo in giro per il locale, lo incrocio per caso con quello di Angie, poco lontana.
"Già, tolto quello e l'adrenalina, il campo di per sé fa cagare, sembrava di camminare su del cemento ricoperto di moquette verde"
"Io invece ci dormirei sull'erba di Wrigley..." guardo di nuovo nella stessa direzione di prima, ma non vedo più la mia ragazza "Ma anche sulle gradinate"
"Anche al Kingdome si può dormire bene, quando piove c'è la copertura che ti ripara. Al massimo te ne può cadere qualche pezzo in testa, ma che vuoi che sia" Jerry ridacchia sorseggiando il suo whisky, ma quasi si strozza, e io pure, quando una persona a caso compare dal nulla, praticamente urlando nelle nostre orecchie.
"CIAO RAGAZZI! VI STATE DIVERTENDO??"
"Oddio! Ciao Angie, uhm sì, direi di sì" Jerry la guarda perplesso mentre io istintivamente le circondo le spalle con un braccio.
"PERCHE'?"
"Come perché?"
"Cioè, ehm, voglio dire, come mai? Di che parlate?"
"Baseball" rispondo, probabilmente con gli occhi a forma di stella, come ogni volta che penso al mio sport preferito.
"E football" aggiunge Cantrell per poi finire in un sorso il suo drink.
"Sport eh? Una normale conversazione tra maschi, insomma..."
"Non necessariamente tra-" sto per obiettare sull'interesse prettamente maschile per lo sport quando il mio interlocutore mi interrompe.
"Vado a cercare Sean. Ho visto Layne con Demri quindi mi sa che hanno rifatto pace e mi tocca andare a casa col mio batterista. Ci vediamo!"
"Ci si vede!" lo saluto mentre si allontana con le mani in tasca e Angie fa lo stesso, ma a voce più alta.
"CIAO! Ok, che succede?" mi chiede rivolgendosi subito dopo a me con un'espressione serissima sul volto.
"Che succede? Niente, che deve succedere?"
"Di che stavate parlando davvero?"
"Che vuoi dire? Di sport, te l'ho già detto"
"Sì e io sono Doris Sams" ribatte incrociando le braccia e guardandomi male.
"Non è che sai giocare anche a baseball per caso?" la lascio andare a incrocio le braccia anch'io guardandola con sospetto per prenderla in giro.
"No"
"Non ci posso credere! Dobbiamo fare due lanci qualche volta"
"Non so giocare! Ma so come si gioca e so quattro cose di storia, ti ricordo che mio padre è un tifoso praticamente di tutti gli sport"
"Non lo so... sei molto brava a fingere di non saper fare le cose, non è vero?"
"E tu e il tuo amico siete molto bravi a fare finta di niente e cambiare argomento al momento giusto, non è vero?"
"Il mio amico?"
"Jerry... sì beh, amico per modo di dire"
"Guarda che stavamo parlando davvero del Kingdome"
"Sì, certo. E il dibattito era così animato che l'hai pure strattonato. Ovvio"
"Ahah gli ho dato una spintarella, per scherzo!"
"Oh sì, per scherzo"
"Angie, non so che cosa ti frulla per la testa e non so cos'hai visto, ma davvero, stavamo chiacchierando del più e del meno e stop"
"Stavate chiacchierando?"
"Sì"
"Tu e Jerry chiacchierate?"
"Sì. Come ben sai gli esseri umani sono animali sociali, interagiscono tra di loro e-"
"Piantala! Sai cosa voglio dire..."
"Non è che siamo migliori amici o cosa, ma ci conosciamo, perciò capita di fare quattro chiacchiere ogni tanto" alzo le spalle e da un lato mi viene da ridere al pensiero di Angie che accorre temendo un imminente duello tra me e il suo ex, dall'altro penso che tutto sommato un paio di pugni se li meriterebbe anche.
"E non avete parlato di nient'altro?"
"No, di che dovevamo parlare?"
"Non so, magari gli hai detto qualcosa per l'altra sera..."
"Perché avrei dovuto?" pensavo che Angie mi mandasse a fare in culo dopo quella prima scenata del cazzo, invece abbiamo fatto pace, la cosa è risolta. Perché dovrei andare a smuovere le acque?
"Boh, non lo so, forse perché a me hai fatto una testa così!" ribatte lei e d'un tratto mi sembra quasi esserci rimasta male.
"Che c'entra, io sto con te, mica con lui..."
"Ok, ma mi hai quasi mangiata viva al telefono. Invece lui niente? Se la cava così? Quattro chiacchiere al bar tra amiconi?"
"Angie, non ho capito, un secondo fa eri tutta allarmata perché pensavi gli avessi detto qualcosa e ora invece sei offesa perché non l'ho fatto. Sono io che non ci arrivo o non ha un cazzo di senso?"
Apre la bocca come per rispondere, poi la richiude e si guarda attorno come se fosse in cerca delle parole giuste fra la folla del locale, prima di ammettere, quasi mortificata: "Non ha un cazzo di senso, non lo so nemmeno io onestamente"
"Ehi, guarda che è tutto a posto, ok? Io e Jerry abbiamo un rapporto civile tra colleghi. E poi chi cazzo se ne frega di Jerry" le prendo il viso tra le mani e la costringo a guardarmi mentre la accarezzo e le sorrido per tranquillizzarla e farle capire che si sta agitando per niente.
"Ok. Ma come fate? Cioè, quando si parla di me, intendo"
"Semplice: noi non parliamo di te. Vuoi qualcosa?" rispondo secco, voltandomi verso il bancone e richiamando l'attenzione del barista per ordinare un altro giro per me, visto che Angie fa di no con la testa.
"Sì, va beh, ma se capita?"
"Non capita. Neanche una coca? O un succo?"
"No, grazie. Ma come fai a esserne sicuro? Se salto fuori come argomento in una discussione come vi comportate?"
"Non ci comportiamo in nessuna maniera perché non può succedere, Angie... Windbreaker?"
"Sbagliato. Comunque il fatto che non sia mai successo finora non esclude possa capitare in futuro" Angie sorride al mio tentativo buttato lì indovinare il suo secondo nome, ma non demorde sul tema.
"Lo escludo io, al 100%. Io e Jerry non parliamo di te e basta"
"Mai?"
"Mai, anche perché abbiamo fatto un patto" mi lascio sfuggire l'ultimo dettaglio e me ne pento un secondo dopo, non appena vedo l'espressione di Angie che registra questa informazione.
"Voi avete fatto... COSA??"
"Abbiamo stretto un accordo di non belligeranza che soddisfa entrambe le parti" ok, io non sono soddisfatto al 100%, e sicuramente nemmeno lui, ma almeno per ora sta funzionando.
"Hai fatto un patto con Cantrell? Su di me? E quando?" dopo ogni domanda lascia un paio di secondi di pausa, in cui io faccio sì con la testa. Ma la terza richiede una risposta più articolata.
"A San Diego" articolata per modo di dire.
"A SAN DIEGO? Hai detto a Jerry di noi quando me ne sono andata?"
"In realtà, prima..."
"COME PRIMA??"
"E comunque non gliel'ho detto io, è stato lui" Angie non mi sembra convinta o forse è solo che non ci sta capendo molto. Allora le racconto del nostro mini-battibecco allo Yates Club, di come Jerry aveva capito tutto e si era incazzato perché non gliel'avevo detto prima.
"Cioè, fammi capire: lui ha fatto quel cazzo che voleva con me e ha avuto il coraggio di prendersela con te perché non gli hai fatto sapere prima di essere interessato alla sua ex ragazza, che lui ha trattato come una pezza da piedi? Perché avresti dovuto riservargli questa cortesia? E poi, da cosa l'avrebbe capito che ci piacevamo, scusa?"
"Si vede che è un buon osservatore." o che io faccio schifo a nascondere cosa provo, ma evito di dirlo perché lei fa altrettanto schifo a capire i sentimenti degli altri e non voglio ferirla "Comunque un po' aveva ragione perché eravamo in tour assieme e ogni tanto lui mi chiedeva di te e si confidava con me e io avrei potuto confessare i miei sentimenti o almeno cambiare argomento e invece stavo lì a sentirlo. Quindi un po' merda lo sono stato"
"Si confidava con te?"
"Già"
"E che ti diceva di me?"
"Perché ti interessa? E' importante? E poi, non lo immagini?" se mi sono ingelosito così tanto l'altra sera è anche perché so che lui le sbava ancora dietro, mica per niente.
"No, ma sarei curiosa di sapere: 1) come fa ad essere ancora vivo e 2) come hai fatto a trattenerti durante tutto il tour"
"Non so, sarà che forse avevo fatto una certa promessa a una certa persona speciale di non spaccare la faccia a un certo ex e di mantenere un certo segreto e non combinare casini in generale"
"Caspita, sei proprio un tipo di parola, allora"
"Sono uno di cui ci si può fidare"
"Allora lo fai un patto anche con me?"
"Certo, tutto quello che vuoi"
"Il patto è... che non parliamo di Jerry"
"Ah"
"Tipo mai, ok?"
"Beh ecco..."
"Io non lo nomino a te e tu non lo nomini a me. Non è che lo possiamo cancellare dalle nostre vite, semplicemente non avremo mai più attivamente una conversazione su di lui, va bene?
"Non è così semplice..."
"Beh, se puoi fare un patto con lui non vedo perché non puoi fare lo stesso patto con me, che per giunta sono la tua ragazza" incrocia di nuovo le braccia e da come mi guarda so che non uscirò vivo da questa situazione se non accettando questo cazzo di accordo. L'unica cosa che posso fare è cercare di trarne il maggior vantaggio possibile.
"Infatti, posso farlo. Ci sto..." le tendo la mano e lei me la stringe "A una condizione"
"Quale sarebbe?" molla la mia mano sospettosa e secondo me davvero non sa dove sto per andare a parare.
"Che mi riveli finalmente il tuo secondo nome" alza gli occhi al cielo e nasconde a malapena un sorrisetto, forse si aspettava qualcosa di peggio.
"Ok, ci sto" mi stringe di nuovo la mano e io sono tutt'orecchi.
"Quindi?"
"Lo sai che ti sto offrendo un'arma potentissima, vero? Mi prenderai per il culo a vita per questa cosa"
"Scommetto che è un nome stupendo"
"Più che stupendo, stupefacente, come le sostanze che si facevano i miei quando hanno deciso di chiamarmi così"
"Così come?"
"Angelina...Qualcosa Wind Pacifico"
"Ma se è W puntato non può essere-"
"Anche l'altro pezzo inizia per W"
"Whirlwind!"mi viene di getto e per una spontanea associazione di idee nella mente mi scorre il testo di Like a hurricane di Neil Young e già me la vedo perfetta protagonista di quel capolavoro.
"No, è tutto insieme ma in teoria sarebbe una parola separata"
"Oh" sicura sicura? Perché quella ci stava davvero bene.
"E' un aggettivo" precisa mentre nel mio film mentale esco definitivamente dal bar fumoso di Neil e mi chiudo la porta alle spalle.
"Windy Wind?"
"Ahahah vaffanculo, Eddie!"
"Ok, serio. Warm Wind?" penso al calore dei suoi abbracci e della sua sola presenza in generale, ma lei fa no con la testa.
"Mia madre era...è una fan di Nina Simone. Quindi?"
"Uhm..."
"Forse se ti dico Station to station di David Bowie ti aiuto di più"
Scorro mentalmente la tracklist del disco finché non arrivo a forse una delle migliori performance vocali di Bowie di sempre, proprio alla fine.
Wild is the wind.
"Angelina Wildwind Pacifico"
"Colpita e affondata"
"Ma è fighissimo!"
"Ok ma... Vento folle? Io? mi ci vedi?" arrossisce e scuote la testa e si nasconde il viso con le mani.
"A dire il vero, ti si addice perfettamente"
"Come no? Si addice perfettamente alla persona più noiosa e banale del mondo"
"No, alla persona più forte e imprevedibile e bella da mozzare il fiato del mondo. Almeno, della parte di mondo che conosco io, che è poi l'unica che mi interessa perché ci sei tu" Angie si leva le mani dalla faccia e mi guarda seria seria senza aprire bocca e per un attimo mi illudo davvero di averla lasciata senza parole o per lo meno nella condizione di essere costretta a riconoscere e accettare un cazzo di complimento una volta tanto.
"Ahahah bel mondodi merda!" scoppia a ridere di botto e mi abbraccia, stretto.
"Quanto cazzo sei scema da uno a dieci?" io stringo di più.
"Non lo so, ma direi che a questo punto abbiamo un patto, giusto?" alza la testa per guardarmi e libera la sua manina destra dalla mia presa per siglare il nostro accordo definitivamente.
"Giusto. Affare fatto" la sciolgo dall'abbraccio e le stringo la mano, per poi tirarla di nuovo verso di me e sigillare il patto nella maniera che preferisco.
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Time to take a ride, time to take it in a midnight eye
And if you want to go, get on below
"Va beh, dove cavolo sono finiti quei due? Io e Dave dobbiamo aprire i regali!" siamo riusciti a raggrupparci più o meno tutti attorno a un paio di tavoli dell'Ok Hotel, do una pacca sulla spalla di Krusen che si risveglia di botto. Stava in fissa da quando è iniziato il pezzo dei Sonic Youth. O forse da quando è iniziata la serata.
"Prima li ho intravisti al bar" il batterista azzarda un'ipotesi e considerando che al bar ci ha trascorso tutto il tempo prima e dopo il concerto, Angie e Eddie potrebbe averli visti chissà quando. Potrebbero essere benissimo in Messico a quest'ora.
"Non ci sono più al bar, veniamo giusto da lì" McCready e Staley si uniscono a noi con due birre fresche fresche in mano, a proposito di gente che dovrebbe darsi una calmata.
"Ma sì, saranno in giro a limonare in qualche angolo del locale" è il commento di Stone, seduto di fronte a me, che tiene una mano sulla spalla di Grace, mentre agita l'altra nell'aria come per scacciare via un pensiero di poco conto.
"Ma chi? Eddie e Puffetta?" Gazzettino Cornell dall'altro capo del tavolo non poteva lasciarsi sfuggire il gossip dell'ultim'ora e sia Stone che Grace annuiscono.
"E' tutta la sera che non fanno altro, siamo al limite degli atti osceni in luogo pubblico" Mike condisce ulteriormente il pettegolezzo, seguito da Ben e Kim, che iniziano un vero e proprio siparietto, serissimo, che ci fa piegare tutti in due dalle risate.
"Io non ho mai visto una cosa del genere"
"A un certo punto li abbiamo cronometrati"
"Ci annoiavamo"
"Dodici minuti e mezzo di lingua"
"Ma lingua ininterrotta eh? Cioè, senza pause"
"Sembravano due cazzo di quattordicenni"
"Beh, Angie non è che sia tanto più grande, ci può stare"
"Ok, ma Eddie? Ma poi anche a livello pratico, cioè, io non ho capito come cazzo facevano a respirare"
"Avranno le branchie, cazzo ne so"
"Ahahahah ma che stronzi che siete!" la mia ragazza ci rimprovera tutti, ma prende a sberle sul coppino solo me.
"Si vede che stanno recuperando il tempo perso e voi siete solo invidiosi" Meg si unisce nel difendere i due piccioncini.
"Ho capito, ma DODICI MINUTI E TRENTA SECONDI" Kim ribadisce il concetto scandendo bene la tempistica da record.
"Invidiosi e guardoni!" ci si mette pure Grace.
"Erano in cima alle scale, era impossibile non vederli" il chitarrista fa spallucce e il suo bassista annuisce.
"Da qualsiasi punto e angolazione"
"Dodici minuti e mezzo sulle scale?" mi diverto a gettare benzina sul fuoco, i due musicisti mi guardano e allargano le braccia per ribadire la loro incredulità.
"Sì!"
"Allora il record è che Angie non sia caduta di sotto su qualcuno, visti i precedenti" commenta Cornell ridendo sotto i baffi.
"Dio, quanto ti piace quella storia!" Layne quasi si strozza con la sua birra e poi ride in faccia a Chris.
"Va beh, comunque siete delle merde, tutto questo casino per qualche effusione. Solo perché si sono lasciati un po' andare non significa che stiano sempre lì a sbaciucchiarsi ventiquattr'ore su ventiqu- Oh, aspè, sì, eccoli lì, si stanno baciando vicino alla porta" Meg interrompe bruscamente la sua arringa di difesa e il momento è comico perché tutti ci giriamo all'unisono e fra quelli che stanno dietro c'è chi si alza, chi si avvicina e chi allunga il collo per vedere meglio la nuova coppia non tanto nuova accanto all'ingresso del locale. Anche gli sconosciuti che ci passano davanti si girano dalla stessa parte per capire che cazzo stiamo fissando.
Non sappiamo se siano passati più di dodici minuti e mezzo dall'inizio di quest'ultima sessione, ma quei due si staccano e Eddie butta l'occhio proprio verso di noi, che come dei cazzoni ci giriamo e torniamo a parlare tra di noi, o meglio, a fare finta di chiacchierare del più e del meno, come se niente fosse, come se non ci avesse sgamati in pieno. Con la coda dell'occhio li vedo avvicinarsi e alzo la voce a caso.
"Va beh, anch'io adoro Goo, è un disco della madonna, non c'è neanche bisogno di dirlo. Dicevo solo che metterlo su per intero in un locale, lasciandolo andare, mi sa tanto di... sciatteria? Si dice così? Cioè, non dico tenere un dj o uno stronzo qualsiasi solo a mettere i dischi e fare una selezione, ma almeno prendersi il tempo in settimana di fare una cazzo di compilation e suonare quella, anche in repeat, non mi sembra uno sforzo così immane. Oh, ciao ragazzi, dov'eravate?" mi rivolgo prima a Stone e Dave, che mi guardano stralunati, poi a Angie e Eddie che arrivano al tavolo.
"In giro. Hai già aperto i regali? Manca il mio!" Angie alza le spalle e ravana nella sua borsa in cerca di qualcosa, per poi estrarre un pacchetto non troppo piccolo, anzi.
"Che figo, un set di pennelli nuovi, grazie!" esulto scartandolo.
"Me l'ha detto un uccellino che ti servivano..." Angie guarda per aria facendo la gnorri, esattamente come quell'uccellino che conosco bene e che le sta accanto. Questi due pirla stanno proprio bene assieme.
"Oh e questo è il mio" l'uccellino infila le mani nella borsa della sua bella e ne tira fuori un altro pacchetto tutt'altro che piccolo, che si rivela essere Subway art, un libro fotografico sulla graffiti art che volevo prendermi da una vita.
Posso dire di concludere questo compleanno in attivo, tra corde, cavi, kit di attrezzi, set di acrilici, un paio di buoni dell'Easy Street Records, ambìti e apprezzati tanto quanto il buono spesa del supermercato che mi ha preso Meg, e altri regali apparentemente più inutili, ma graditissimi, come l'appendichiavi da muro a forma di testata di Marshall con quattro portachiavi a jack: grazie Alice!
In tutto questo scambio di doni e auguri, Eddie e Angie sono seduti in un angolo e praticamente osservati speciali da parte di tutto il tavolo, che li guarda come si guarda un documentario sugli animali nella stagione degli amori. I due partecipano alle conversazioni e fanno finta di niente, anche se di tanto in tanto parlano zitti zitti tra di loro.
"Angie deve dirvi una cosa comunque" Eddie se ne viene fuori con questa cosa così dal nulla, in un momento in cui siamo tutti in silenzio a riprendere fiato dopo una battuta letteralmente del cazzo di Stone, che ha suggerito come titolo del brano di punta della nostra band fittizia nel film di Cameron Crowe Touch me I'm Dick, tanto per prendere un po' per il culo Mark Arm e soci. A proposito, chissà se Chris ha già buttato giù i brani del demo di Cliff? Devo ricordarmi di chiederglielo.
"Che cosa?" chiede Meg per prima, visto che nessuno parla, nemmeno Angie, che ha prima squadrato malissimo Eddie e poi ha iniziato a guardarci uno per uno e a sbiancare.
"C'entra il film?" chiede Layne.
"No, non c'entra il film"
"Molli l'università?" prova Dave.
"No! Perché dovrei?" nega quasi schifata Angie.
"E' una cosa personale?" se non lo conoscessi direi che Stone sta cercando di mettere Angie a suo agio aiutandola a sputare il rospo, ma visto che lo conosco posso dire senz'ombra di dubbio che si sta solo divertendo alle spalle della poveretta.
"Beh, sì, ma... mmm... non riguarda solo me, ecco"
"E chi?" la incalzo io.
"Eddie" "Io" rispondono i due piccioncini in coro.
"Oh cazzo, sei incinta?" McCready si distingue come sempre per il tatto e la delicatezza.
"ODDIO NO! Ma che cazzo dici?" Angie si alza in piedi allibita, mentre Eddie ride e basta.
"E allora? Qual è questa notizia?" Cornell è tutto orecchi e in questo momento me lo immagino armato di penna e blocchetto come un cronista di altri tempi.
"Quello che Angie sta cercando di dire è che-" Eddie si asciuga gli occhi con la manica della camicia e prova a rispondere, ma la ragazza lo interrompe.
"Stiamo insieme"
"..."
"Io e Eddie. Stiamo assieme"
"..."
"Da un po'"
"Quasi un mese" le suggerisce lui sottovoce.
"Quasi un mese" ripete lei e guarda le nostre facce in cerca di qualcosa che non riesce a trovare ed evidentemente ha deciso che la cosa migliore da fare è continuare ad aggiungere particolari o a ripetere lo stesso concetto con parole diverse finché non l'avrà trovato. O finché qualcuno di noi non aprirà la bocca.
"..."
"Tre settimane e qualcosa"
"..."
"Praticamente siamo una coppia"
"..."
"Cioè, lui è il mio ragazzo e io-"
"E lei è la mia ragazza"
"Wow, che coincidenza" Stone non si trattiene e io mi nascondo la faccia tra le mani per non far vedere che rido.
"In che senso?"
"Ok. State insieme e...?" Mike cerca di indagare ancora e se le chiede di nuovo se è incinta giuro che rotolo giù dalla sedia.
"E basta" Angie risponde e si risiede.
"E sarebbe questa la notizia?" Kim domanda mantenendo un'espressione serissima.
"Perché? Qual è il problema? E' perché pensate sia troppo piccola? Guardate che ne abbiamo parlato, lo so bene anch'io che-" Angie sta per lanciarsi in un discorso senza uscita, ma la sua coinquilina la blocca e fa scoppiare tutti a ridere.
"Angie-dramma del tutto immotivato in 3, 2, 1..."
Tutti tranne Angie, ovviamente.
"Perché ridete? C'è qualcosa che non so?"
"Quello che non sai è che tutti ora sanno che quello che tu sei convinta nessuno di noi sapesse, in realtà era ben noto a tutti quanti" Stone risponde alla sua maniera e la faccia di Mike mi lascia intendere che non ci ha capito molto.
"Eh?" il chitarrista conferma la mia ipotesi.
"Cioè ridiamo perché la notizia la sapevamo già" gli spiego riaccendendo la lampadina nel suo cervello.
"Ah!"
"Allora ci avete visti, insomma, stasera? No perché non dicevate niente..."
"Per chi ci hai presi? Noi siamo tipi discreti!" dichiara Cornell e sembra quasi crederci lui stesso.
"E comunque lo sapevamo già da prima di stasera" aggiunge Ben senza pensarci.
"Come lo sapevate già? MEG?? GLIEL'HAI DETTO, VERO??" Angie si rialza e ruggisce contro la sua amica.
"Come faceva a dirlo, scusa, se non lo sapeva?" Eddie domanda alla sua ragazza, ormai ufficiale, con perplessità.
"No! Infatti! Non lo sapeva! Ma... boh, magari lo aveva intuito. LO AVEVI INTUITO?"
"Lo avevo intuito" confessa Meg.
"ECCO!"
"Ma non ho detto un cazzo a nessuno, giuro" alza le mani come per difendersi, Angie decide di crederle e allora torna a squadrare noi uno per uno, prima di puntare dritto sul suo ragazzo.
"GLIEL'HAI DETTO TU!"
"No no, ti assicuro che io non ho aperto bocca, ho fatto come mi hai chiesto tu"
"E allora come facevate a saperlo?"
"A me l'ha detto Stone" dal nulla la voce dell'innocenza di McCready.
"Anche a me l'ha detto Stone, perché c'ero anch'io quella sera. E anche Dave" confesso e pure il batterista annuisce.
"Anche a noi l'ha detto Stone, ma un'altra sera, almeno credo" Chris guarda Kim e Ben che fanno sì con la testa.
"Per ovvi motivi, l'ha detto anche a me" Grace alza la mano e confessa timidamente.
"A me l'ha detto Jeff. Che gliel'ha detto Stone" anche Laura dice la sua.
"C'è qualcuno a cui Stone non l'ha detto, cazzo?" Angie sbotta incredula.
"Io! Io ho capito tutto da solo, sono un genio!" Layne alza la mano e la agita in aria tutto felice, come il vincitore di un gioco a premi in tv.
"E tu, invece? Tu come lo sapevi, genio?" Angie si rivolge a Gossard in cagnesco, ma Stone le risponde tranquillissimo.
"Io penso di averlo saputo ancora prima di te che sareste finiti insieme, Puffetta"
"Che vuoi dire?"
"Che fate entrambi schifo a fare gli innamorati inconsapevoli. Siete fatti l'uno per l'altra" traduco in Jeffese e tutti annuiscono, perfino Eddie.
"Eravamo così ovvi?"
"Noooooo"
"Non così tanto"
"Ma vaaaaa"
"E' che Stone è un acutissimo osservatore"
"E' che Stone non si fa i cazzi suoi, punto"
Sono solo alcune delle nostre risposte date in ordine sparso per non far sentire troppo una merda la piccola Angie.
"Dai, si è capito subito che avevano una certa intesa. Dalla prima sera che si sono incontrati, l'ho capito a mie spese visto che ci avevo scommesso su, ti ricordi Mikey?" mi piace che Stone, un po' come me, rievochi i ricordi in base alle scommesse fatte.
"Vero! Anch'io ci ho rimesso un deca perché pensavo non vi sareste cagati, invece avete attaccato bottone subito, sembrava vi conosceste già"
"Sorvolo sull'ennesima scommessa fatta sulla pelle di un'amica... ma, in un certo senso, noi ci conoscevamo già per davvero" Angie confessa e fa scattare mille campanelli d'allarme nella mia testa.
"COSA? COME? SUL SERIO?"
"Jeff?" Stone mi apostrofa dubbioso, mentre io continuo a dissimulare, alla mia maldestra maniera.
"IN CHE SENSO VICONOSCEVATE GIA'? QUESTA Sì CHE E' UNA NOTIZIA!"
"L'avevo incontrato da Roxy la sera prima, era venuto lì a mangiare"
"NOTIZIA NEL SENSO CHE E' UN FATTO NUOVO, MAI SENTITO"
"Jeff tu non ne sapevi niente, vero?" Stone non molla e ormai è chiaro che mi ha già sgamato alla grande, sono fregato.
Il mio sputtanamento per lo meno ha un merito: il battibecco che scatta subito dopo tra me, Stone e Mike circa i venti dollari che secondo loro gli dovrei restituire, sposta un po' l'attenzione da Angie che, finalmente libera dall'imbarazzo, si risiede e si gode la scena dei nostri amici che mi fanno il culo, mano nella mano con il suo nuovo ragazzo.
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Questa è l’acqua
di David Foster Wallace
[traduzione di Roberto Natalini]
Trascrizione del discorso di David Foster Wallace per la cerimonia delle lauree al Kenyon college, 21 maggio 2005.
Un saluto a tutti e le mie congratulazioni alla classe 2005 dei laureati del Kenyon college. Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?”È una caratteristica comune ai discorsi nelle cerimonie di consegna dei diplomi negli Stati Uniti di presentare delle storielle in forma di piccoli apologhi istruttivi. La storia è forse una delle migliori, tra le meno stupidamente convenzionali nel genere, ma se vi state preoccupando che io pensi di presentarmi qui come il vecchio pesce saggio, spiegando cosa sia l’acqua a voi giovani pesci, beh, vi prego, non fatelo. Non sono il vecchio pesce saggio. Il succo della storia dei pesci è solamente che spesso le più ovvie e importanti realtà sono quelle più difficili da vedere e di cui parlare. Espresso in linguaggio ordinario, naturalmente diventa subito un banale luogo comune, ma il fatto è che nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli adulti, i banali luoghi comuni possono essere questioni di vita o di morte, o meglio, è questo ciò che vorrei cercare di farvi capire in questa piacevole mattinata di sole.Chiaramente, l’esigenza principale in discorsi come questo è che si suppone vi parli del significato dell vostra educazione umanistica, e provi a spiegarvi perché il diploma che state per ricevere ha un effettivo valore sul piano umano e non soltanto su quello puramente materiale. Per questo, lasciatemi esaminare il più diffuso stereotipo nei discorsi fatti a questo tipo di cerimonie, ossia che che la vostra educazione umanistica non consista tanto “nel fornirvi delle conoscenze”, quanto “nell’insegnarvi a pensare”.
Se siete come me quando ero studente, non vi sarà mai piaciuto ascoltare questo genere di cose, e avrete tendenza a sentirvi un po’ insultati dall’affermazione che dobbiate aver bisogno di qualcuno per insegnarvi a pensare, poiché il fatto stesso che siete stati ammessi a frequentare un college così prestigioso vi sembra una dimostrazione del fatto che già sapete pensare. Ma vorrei convincervi che lo stereotipo dell’educazione umanistica in realtà non è per nulla offensivo, perché la vera educazione a pensare, che si pensa si debba riuscire ad avere in un posto come questo, non riguarda affatto la capacità di pensare, ma piuttosto la scelta di cosa pensare. Se la vostra assoluta libertà di scelta su cosa pensare vi sembrasse troppo ovvia per perdere del tempo a discuterne, allora vorrei chiedervi di pensare al pesce e all’acqua, e a mettere tra parentesi anche solo per pochi minuti il vostro scetticismo circa il valore di ciò che è completamente ovvio.
Ecco un’altra piccola storia istruttiva. Ci sono due tizi che siedono insieme al bar in un posto sperduto e selvaggio in Alaska. Uno dei due tizi è credente, l’altro è ateo, e stanno discutendo sull’esistenza di Dio, con quell’intensità particolare che si stabilisce più o meno dopo la quarta birra. E l’ateo dice: “Guarda, non è che non abbia ragioni per non credere. Ho avuto anche io a che fare con quella roba di Dio e della preghiera. Proprio un mese fa mi sono trovato lontano dal campo in una terribile tormenta, e mi ero completamente perso e non riuscivo a vedere nulla, e facevano 45 gradi sotto zero, e così ho provato: mi sono buttato in ginocchio nella neve e ho urlato ‘Oh Dio, se c’è un Dio, mi sono perso nella tormenta, e morirò tra poco se tu non mi aiuterai’.” E a questo punto, nel bar, il credente guarda l’ateo con aria perplessa “Bene, allora adesso dovrai credere” dice, “sei o non sei ancora vivo?” E l’ateo, alzando gli occhi al cielo “Ma no, è successo invece che una coppia di eschimesi, che passava di lì per caso, mi ha indicato la strada per tornare al campo.”
È facile interpretare questa storiella con gli strumenti tipici dell’analisi umanistica: la stessa precisa esperienza può avere due significati totalmente diversi per due persone diverse, avendo queste persone due diversi sistemi di credenze e due diversi modi di ricostruire il significato dall’esperienza. Poiché siamo convinti del valore della tollerenza e della varietà delle convinzioni, in nessun modo la nostra analisi umanistica vorrà affermare che l’interpretazione di uno dei due tizi sia giusta a quella dell’altro falsa o cattiva. E questo va anche bene, tranne per il fatto che in questo modo non si riesce mai a discutere da dove abbiano origine questi schemi e credenze individuali. Voglio dire, da dove essi vengano dall’INTERNO dei due tizi. Come se l’orientamento fondamentale verso il mondo di una persona e il significato della sua esperienza fossero in qualche modo intrinseci e difficilmente modificabili, come l’altezza o il numero di scarpe, o automaticamente assorbiti dal contesto culturale, come il linguaggio. Come se il modo in cui noi costruiamo il significato non fosse in realtà un fatto personale, frutto di una scelta intenzionale. Inoltre, c’è anche il problema dell’arroganza. Il tizio non credente è totalmente certo nel suo rifiuto della possibilità che il passaggio degli eschimesi abbia qualche cosa a che fare con la sua preghiera. Certo, ci sono un sacco di credenti che appaiono arroganti e anche alcune delle loro interpretazioni. E sono probabilmente anche peggio degli atei, almeno per molti di noi. Ma il problema del credente dogmatico è esattamente uguale a quello del non credente: una certezza cieca, una mentalità chiusa che equivale a un imprigionamento così totale che il prigioniero non si accorge nemmeno di essere rinchiuso.
Il punto che vorrei sottolineare qui è che credo che questo sia una parte di ciò che vuole realmente significare insegnarmi a pensare. A essere un po’ meno arrogante. Ad avere anche solo un po’ di coscienza critica su di me e le mie certezze. Perché una larga percentuale di cose sulle quali tendo a essere automaticamente certo risulta essere totalmente sbagliata e deludente. Ho imparato questo da solo e a mie spese, e così immagino sarà per voi una volta laureati.
Ecco un esempio della totale falsità di qualche cosa su cui tendo ad essere automaticamente sicuro: nella mia esperienza immediata, tutto tende a confermare la mia profonda convinzione che io sia il centro assoluto dell’universo, la più reale e vivida e importante persona che esista. Raramente pensiamo a questa specie di naturale, fondamentale egocentrismo, perché è qualche cosa di socialmente odioso. Ma in effetti è lo stesso per tutti noi. È la nostra configurazione di base, codificata nei nostri circuiti fin dalla nascita. Pensateci: non c’è nessuna esperienza che abbiate fatto di cui non ne siate il centro assoluto. Il mondo, così come voi lo conoscete, è lì davanti a VOI o dietro di VOI, o alla VOSTRA sinistra o alla VOSTRA destra, sulla VOSTRA TV o sul VOSTRO schermo. E così via. I pensieri e i sentimenti delle altre persone devono esservi comunicati in qualche modo, ma i vostri sono così immediati, urgenti, reali.
Adesso vi prego di non pensare che io voglia farvi una lezione sulla compassione o la sincerità o altre cosiddette “virtù”. Il problema non è la virtù. Il problema è di scegliere di fare il lavoro di adattarsi e affrancarsi dalla configurazione di base, naturale e codificata in noi, che ci fa essere profondamente e letteralmente centrati su noi stessi, e ci fa vedere e interpretare ogni cosa attraverso questa lente del sé. Le persone che riescono ad adattare la loro configurazione di base sono spesso descritti come “ben adattati”, che credo non sia un termine casuale. Considerando la trionfale cornice accademica in cui siamo, viene spontaneo porsi il problema di quanto di questo lavoro di autoregolazione della nostra configurazione di base coinvolga conoscenze effettive e il nostro stesso intelletto. Questo problema è veramente molto complicato. Probabilmente la più pericolosa conseguenza di un’educazione accademica, almeno nel mio caso, è che ha permesso di svilupparmi verso della roba super-intellettualizzata, di perdermi in argomenti astratti dentro la mia testa e, invece di fare semplicemente attenzione a ciò che mi capita sotto al naso, fare solo attenzione a ciò che capita dentro di me.Come saprete già da un pezzo, è molto difficile rimanere consapevoli e attenti, invece di lasciarsi ipnotizzare dal monologo costante all’interno della vostra
testa (potrebbe anche stare succedendo in questo momento). Vent’anni dopo essermi laureato, sono riuscito lentamente a capire che lo stereotipo dell’educazione umanistica che vi “insegna a pensare” è in realtà solo un modo sintentico per esprimere un’idea molto piu significativa e profonda: “imparare a pensare” vuol dire in effetti imparare a esercitare un qualche controllo su come e cosa pensi. Significa anche essere abbastanza consapevoli e coscienti per scegliere a cosa prestare attenzione e come dare un senso all’esperienza. Perché, se non potrete esercitare questo tipo di scelta nella vostra vita adulta, allora sarete veramente nei guai. Pensate al vecchio luogo comune della “mente come ottimo servitore, ma pessimo padrone”. Questo, come molti luoghi comuni, così inadeguati e poco entusiasmanti in superficie, in realtà esprime una grande e terribile verità. Non a caso gli adulti che si suicidano con armi da fuoco quasi sempre si sparano alla testa. Sparano al loro pessimo padrone. E la verità è che molte di queste persone sono in effetti già morte molto prima di aver premuto il grilletto.
E vi dico anche quale dovrebbe essere l’obiettivo reale su cui si dovrebbe fondare la vostra educazione umanistica: come evitare di passare la vostra confortevole, prosperosa, rispettabile vita adulta, come dei morti, incoscienti, schiavi delle vostre teste e della vostra solita configurazione di base per cui “in ogni momento” siete unicamente, completamente, imperiosamente soli. Questo potrebbe suonarvi come un’iperbole o un’astrazione senza senso. Cerchiamo di essere concreti. Il fatto puro e semplice è che voi laureati non avete ancora nessun’idea di cosa “in ogni momento” significhi veramente. Questo perché nessuno parla mai, in queste cerimonie delle lauree, di una grossa parte della vita adulta americana. Questa parte include la noia, la routine e la meschina frustrazione. I genitori e i più anziani tra di voi sapranno anche troppo bene di cosa sto parlando.
Tanto per fare un esempio, prendiamo una tipica giornata da adulto, e voi che vi svegliate la mattina, andate al vostro impegnativo lavoro da colletto-bianco-laureato-all’università, e lavorate duro per otto o dieci ore, fino a che, alla fine della giornata, siete stanchi e anche un po’ stressati e tutto ciò che vorreste sarebbe di tornarvene casa, godervi una bella cenetta e forse rilassarvi un po’ per un’oretta, per poi ficcarvi presto nel vostro letto perché, evidentemente, dovrete svegliarvi presto il giorno dopo per ricominciare tutto da capo. Ma, a questo punto, vi ricordate che non avete nulla da mangiare a casa. Non avete avuto tempo di fare la spesa questa settimana a causa del vostro lavoro così impegnativo, per cui, uscendo dal lavoro, dovete mettervi in macchina e guidare fino al supermercato. È l’ora di punta e il traffico è parecchio intenso. Per cui per arrivare al supermercato ci mettete moltissimo tempo, e quando finalmente arrivate, lo trovate pieno di gente, perché naturalmente è proprio il momento del giorno in cui tutti quelli che lavorano come voi cercano di sgusciare in qualche negozio di alimentari. E il supermercato è disgustosamente illuminato e riempito con della musica di sottofondo abbrutente o del pop commerciale, ed è proprio l’ultimo posto in cui vorreste essere, ma non potete entrare e uscire rapidamente, vi tocca vagare su e giù tra le corsie caotiche di questo enorme negozio super-illuminato per trovare la roba che volete e dovete manovrare con il vostro carrello scassato nel mezzo delle altre persone, anche loro stanche e di fretta come voi, con i loro carrelli (eccetera, eccetera, ci dò un taglio poiché è una cerimonia piuttosto lunga) e alla fine riuscite a raccogliere tutti gli ingredienti della vostra cena, e scoprite che non ci sono abbastanza casse aperte per pagare, anche se è l’ora-di-punta-di-fine-giornata. Cosi la fila per pagare è incredibilmente lunga, che è una cosa stupida e che vi fa arrabbiare. Ma voi non potete sfogare la vostra frustrazione sulla povera signorina tutta agitata alla cassa, che è superstressata da un lavoro la cui noia quotidiana e insensatezza supera l’immaginazione di ognuno di noi qui in questa prestigiosa Università.
Ma in ogni modo, finalmente arrivate in fondo a questa fila, pagate per il vostro cibo, e vi viene detto “buona giornata” con una voce che è proprio la voce dell’oltretomba. Quindi dovete portare quelle orrende, sottili buste di plastica del supermercato nel vostro carrello con una ruota impazzita che spinge in modo esasperante verso sinistra, di nuovo attraverso il parcheggio affollato, pieno di
buche e di rifiuti, e guidare verso casa di nuovo attraverso il traffico dell’ora di punta, lento, intenso, pieno di SUV, ecc.
A tutti noi questo è capitato, certamente. Ma non è ancora diventato parte della routine della vostra vita effettiva di laureati, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, anno dopo anno. Ma lo sarà. E inoltre ci saranno tante altre routine apparentemente insignificanti, noiose e fastidiose. Ma non è questo il punto. Il punto è che è proprio con stronzate meschine e frustranti come questa che interviene la possibilità di scelta. Perché il traffico e le corsie affollate del supermercato e la lunga coda alla cassa mi danno il tempo di pensare, e se io non decido in modo meditato su come pensare e a cosa prestare attenzione, sarò incazzato e infelice ogni volta che andrò a fare la spesa. Perché la mia naturale configurazione di base è la certezza che situazioni come questa riguardino solo me. La MIA fame e la MIA stanchezza e il MIO desiderio di andarmene a casa, e mi sembrerà che ogni altra persona al mondo stia lì ad ostacolarmi. E chi sono poi queste persone che mi ostacolano? E guardate come molti di loro sono repellenti, e come sembrano stupidi e bovini e con gli occhi spenti e non-umani nella coda alla cassa, o anche come è fastidioso e volgare che le persone stiano tutto il tempo a urlare nei loro cellulari mentre sono nel mezzo della fila. E guardate quanto tutto ciò sia profondamente e personalmente ingiusto.
Oppure, se la mia configurazione di base è più vicina alla coscienza sociale e umanistica, posso passare un bel po’ di tempo nel traffico di fine giornata a essere disgustato da tutti quei grossi, stupidi SUV e Hummers e furgoni con motori a 12 valvole, che bloccano la strada e consumano il loro costoso, egoistico serbatoio da 40 galloni di benzina, e posso anche soffermarmi sul fatto che gli adesivi patriottici e religiosi sembrano essere sempre sui veicoli più grandi e più disgustosamente egoisti, guidati dai più brutti, più incoscienti e aggressivi dei guidatori. (Attenzione, questo è un esempio di come NON bisogna pensare...) E posso pensare che i figli dei nostri figli ci disprezzeranno per aver sprecato tutto il carburante del futuro e avere probabilmente fottuto il clima, e che noi tutti siamo viziati e stupidi ed egoisti e ripugnanti, e che la moderna civiltà dei consumi faccia proprio schifo, e così via.
Avete capito l’idea.
Se scelgo di pensare in questo modo in un supermercato o sulla superstrada, va bene. Un sacco di noi lo fanno. Tranne che il fatto di pensare in questo modo diventa nel tempo così facile e automatico che non è più nemmeno una vera scelta. Diventa la mia configurazione di base. È questa la modalità automatica in cui vivo le parti noiose, frustranti, affollate della mia vita da adulto, quando sto operando all’interno della convinzione automatica e inconscia di essere il centro del mondo, e che i miei bisogni e i miei sentimenti prossimi sono ciò che determina le priorità del mondo intero.
In realtà, naturalmente, ci sono molti modi diversi di pensare in questo tipo di situazioni. Nel traffico, con tutte queste macchine ferme e immobili davanti a me, non è impossibile che una delle persone nei SUV abbia avuto un orribile incidente d’auto nel passato, e adesso sia cosi terrorizzata dal guidare che il suo terapista le ha ordinato di prendere un grosso e pesante SUV, così che possa sentirsi abbastanza sicura quando guida. O che quell’Hummer che mi ha appena tagliato la strada sia forse guidato da un padre il cui figlio piccolo è ferito o malato nel sedile accanto a lui, e stia cercando di portarlo in ospedale, ed abbia quindi leggitimamente molto più fretta di me: in effetti sono io che blocco la SUA strada.
Oppure posso sforzarmi di considerare la possibilità che tutti gli altri nella fila alla cassa del supermercato siano stanchi e frustrati come lo sono io, e che alcune di queste persone probabilmente abbiano una vita molto più dura, noiosa e dolorosa della mia.
Di nuovo, vi prego di non pensare che vi stia dando dei consigli morali, o vi stia dicendo che dovreste pensare in questo modo, o che qualcuno si aspetta da voi che lo facciate. Perché è difficile. Richiede volontà e fatica, e se voi siete come me, in certi giorni non sarete capaci di farlo, o più semplicemente non ne avrete voglia.
Ma molte altre volte, se sarete abbastanza coscienti da darvi la possibilità di scegliere, voi potrete scegliere di guardare in un altro modo a questa grassa signora super-truccata e con gli occhi spenti che ha appena sgridato il suo bambino nella coda alla cassa. Forse non è sempre così. Forse è stata sveglia per tre notti di seguito tenendo la mano del marito che sta morendo di un cancro alle ossa. O forse questa signora è l’impiegata meno pagata della motorizzazione, che proprio ieri ha aiutato vostra moglie a risolvere un orribile e snervante problema burocratico con alcuni piccoli atti di gentilezza amministrativa.
Va bene, nessuno di questi casi è molto probabile, ma non è nemmeno completamente impossibile. Dipende da cosa volete considerare. Se siete automaticamente sicuri di sapere cos’è la realtà, e state operando sulla base della vostra configurazione di base, allora voi, come me, probabilmente non avrete voglia di considerare possibilità che non siano fastidiose e deprimenti. Ma se imparate realmente a concentrarvi, allora saprete che ci sono altre opzioni possibili. Avrete il potere di vivere una lenta, calda, affollata esperienza da inferno del consumatore, e renderla non soltanto significativa, ma anche sacra, ispirata dalle stesse forze che formano le stelle: amore, amicizia, la mistica unità di tutte le cose fuse insieme. Non che la roba mistica sia necessariamente vera. La sola cosa che è Vera con la V maiuscola è che sta a voi decidere di vederlo o meno.
Questa, credo, sia la libertà data da una vera educazione, di poter imparare ad essere “ben adattati”. Voi potrete decidere con coscienza che cosa ha significato e che cosa non lo ha. Potrete scegliere in cosa volete credere. Ed ecco un’altra cosa che può sembrare strana, ma che è vera: nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli adulti non c’è posto per una cosa come l’ateismo. Non è possibile non adorare qualche cosa. Tutti credono. La sola scelta che abbiamo è su che cosa adorare. E forse la più convincente ragione per scegliere qualche sorta di dio o una cosa di tipo spirituale da adorare – sia essa Gesù Cristo o Allah, sia che abbiate fede in Geova o nella Santa Madre Wicca, o nelle Quattro Nobili Verità, o in qualche inviolabile insieme di principi etici – è che praticamente qualsiasi altra cosa in cui crederete finirà per mangiarvi vivo. Se adorerete il denaro o le cose, se a queste cose affiderete il vero significato della vita, allora vi sembrerà di non averne mai abbastanza. È questa la verità. Adorate il vostro corpo e la bellezza e l’attrazione sessuale e vi sentirete sempre brutti. E quando i segni del tempo e dell’età si cominceranno a mostrare, voi morirete un milione di volte prima che abbiano ragione di voi. Ad un certo livello tutti sanno queste cose. Sono state codificate in miti, proverbi, luoghi comuni, epigrammi, parabole, sono la struttura di ogni grande racconto. Il trucco sta tutto nel tenere ben presente questa verità nella coscienza quotidiana.Adorate il potere, e finirete per sentirvi deboli e impauriti, e avrete bisogno di avere sempre più potere sugli altri per rendervi insensibili alle vostre proprie paure. Adorate il vostro intelletto, cercate di essere considerati intelligenti, e finirete per sentirvi stupidi, degli impostori, sempre sul punto di essere scoperti. Ma la cosa insidiosa di queste forme di adorazione non è che siano cattive o peccaminose, è che sono inconsce. Sono la configurazione di base.
Sono forme di adorazione in cui scivolate lentamente, giorno dopo giorno, diventando sempre più selettivi su quello che volete vedere e su come lo valutate, senza essere mai pienamente consci di quello che state facendo.
E il cosiddetto “mondo reale” non vi scoraggerà dall’operare con la configurazione di base, poiché il cosiddetto “mondo reale” degli uomini e del denaro e del potere canticchia allegramente sul bordo di una pozza di paura e rabbia e frustrazione e desiderio e adorazione di sé. La cultura
contemporanea ha imbrigliato queste forze in modo da produrre una ricchezza straordinaria e comodità e libertà personale. La libertà di essere tutti dei signori di minuscoli regni grandi come il nostro cranio, soli al centro del creato. Questo tipo di libertà ha molti lati positivi. Ma naturalmente vi sono molti altri tipi di libertà, e del tipo che è il più prezioso di tutti, voi non sentirete proprio parlare nel grande mondo esterno del volere, dell’ottenere e del mostrarsi. La libertà del tipo più importante richiede attenzione e consapevolezza e disciplina, e di essere veramente capaci di interessarsi ad altre persone e a sacrificarsi per loro più e più volte ogni giorno in una miriade di modi insignificani e poco attraenti.
Questa è la vera libertà. Questo è essere istruiti e capire come si pensa. L’alternativa è l’incoscienza, la configurazione di base, la corsa al successo, il senso costante e lancinante di aver avuto, e perso, qualcosa di infinito.
Lo so che questa roba probabilmente non vi sembrerà molto divertente o ispirata, come un discorso per questo di genere di cerimonie dovrebbe sembrare. In questo consiste però, per come la vedo io, la Verità con la V maiuscola, scrostata da un sacco di stronzate retoriche. Certamente, siete liberi di pensare quello che volete di tutto questo. Ma per favore non scartatelo come se fosse una sermone ammonitorio alla Dr. Laura. Niente di questa roba è sulla morale o la religione o il dogma o sul grande problema della vita dopo la morte. La Verità con la V maiuscola è sulla vita PRIMA della morte. È sul valore reale di una vera istruzione, che non ha quasi nulla a che spartire con la conoscenza e molto a che fare con la semplice consapevolezza, consapevolezza di cosa è reale ed essenziale, ben nascosto, ma in piena vista davanti a noi, in ogni momento, per cui non dobbiamo smettere di ricordarci più e più volte: “Questa è acqua, questa è acqua.”
È straordinariamente difficile da fare, rimanere coscienti e consapevoli nel mondo adulto, in ogni momento. Questo vuol dire che anche un altro dei grandi luoghi comuni finisce per rivelarsi vero: la vostra educazione è realmente un lavoro che dura tutta la vita. E comincia ora.
Auguro a tutti una grossa dose di fortuna.
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gloriabourne · 5 years
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The one where Ermal goes to Fabrizio’s concert
(questa fanfiction è collegata a The one where Ermal has a crush)
    "Che hai?"
Fabrizio sollevò lo sguardo di scatto, sentendo la voce del suo fidanzato.
Ermal se ne stava appoggiato allo stipite della porta dello studio e fissava Fabrizio, il quale era seduto su una sedia con la chitarra in mano.
Fabrizio scosse la testa. "Niente."
"Sicuro? Sembri pensieroso" disse Ermal entrando nella stanza e sedendosi di fronte a Fabrizio, sullo sgabello del pianoforte.
"Ripensavo a quando mi hai detto che hai avuto una cotta per me per dieci anni, prima di conoscermi" rispose Fabrizio, posando la chitarra all'interno della custodia appoggiata sul pavimento.
Ermal aggrottò la fronte, senza capire per quale motivo Fabrizio stesse pensando proprio a quello a distanza di oltre un mese da quando avevano avuto quella conversazione.
"Sei mai stato a un mio concerto?" chiese Fabrizio.
"Sì. All'Olimpico, lo scorso anno."
"Intendevo a parte l'Olimpico."
"Una volta. Perché me lo chiedi?" chiese Ermal, sempre più confuso.
"Stavo pensando al fatto che tu avevi una cotta per me ed eri un mio fan. E così ho iniziato a pensare che forse eri stato a qualche mio concerto, che forse ci siamo trovati nello stesso posto più di una volta prima di conoscerci e io nemmeno lo sapevo. E ora che ho la certezza che è così, mi sembra di aver sprecato tempo. Avremmo potuto incontrarci molto prima" disse Fabrizio.
Ermal si allungò verso di lui prendendo una mano tra le sue.
Disegnò con le dita il contorno delle lettere della parola Pace, pensando a quanto fosse ironico che proprio la pace fosse una delle cose che si erano regalati a vicenda, e poi sollevò lo sguardo su Fabrizio.
"Non abbiamo sprecato tempo, Bizio. Ci siamo incontrati nel momento giusto, quando entrambi eravamo pronti per aprire un nuovo capitolo della nostra vita."
"Se ci fossimo conosciuti prima, forse questo capitolo lo avremmo aperto prima."
"No, non sarebbe stato possibile" replicò Ermal.
Fabrizio aggrottò la fronte senza capire cosa volesse dire, e Ermal aggiunse: "Va bene, mettiti comodo. Ora ti racconterò cos'è successo quella volta in cui sono stato a un tuo concerto."
 ***
 Settembre 2013
 Ermal gettò l'ennesimo mozzicone nel posacenere e sbuffò mentre controllava l'ora sul cellulare.
Era tardi, troppo tardi per riuscire a rispettare il programma che si era appuntato mentalmente e che consisteva nel conquistare la transenna a un concerto che aspettava da mesi.
E la colpa del ritardo, ovviamente non era sua.
Ricontrollò l'orario e, nel momento esatto in cui il numero dei minuti cambiò raggiungendo la cifra tonda, bussò poco delicatamente alla porta del bagno e urlò: "Ne hai ancora per molto?"
Andrea aprì la porta e lo guardò scocciato: "Che c'è? Hai fretta?"
"Un po', in effetti."
"Tanto ormai la transenna non la prendiamo" disse Andrea uscendo dal bagno e afferrando portafoglio e cellulare dal mobiletto dell'ingresso.
"E di chi è la colpa?" disse Ermal, mentre seguiva Andrea fuori dall'appartamento.
Andrea scosse la testa scendendo le scale dietro l'amico e disse: "Chissà poi perché hai tutta questa fissa di volere a tutti i costi stare attaccato alla transenna."
Ermal fece finta di non aver sentito e non rispose.
Rispondere a quella frase avrebbe implicato ammettere qualcosa che fino a quel momento era riuscito a stento ad ammettere a sé stesso e a suo fratello.
Non poteva - e non voleva - dirlo a nessun altro.
Senza contare il peso del senso di colpa, che diventava ogni volta più grande e che lo faceva vergognare, come se stesse nascondendo un segreto indicibile e pericoloso. E invece l'unica cosa che stava nascondendo era una cotta per un cantante.
"Come mai Silvia non viene con noi? Non le piace Fabrizio Moro?" chiese Andrea qualche minuto più tardi, mentre teneva lo sguardo fisso sul finestrino dell'auto di Ermal.
Ermal strinse leggermente il volante, sentendo il senso di colpa farsi più pesante al solo sentire nominare la sua fidanzata.
"In realtà, non gliel'ho detto."
"Perché?"
Ermal si strinse nelle spalle. "Non so, mi andava di andarci con te. Mica devo fare tutto con la mia ragazza. A volte preferisco stare con i miei amici."
Ma la vera spiegazione era che sarebbe stato molto più semplice giustificarsi con un amico che con la propria fidanzata, se per caso fosse rimasto imbambolato a fissare un cantante su un palco.
  Come previsto, alla transenna non erano riusciti nemmeno ad avvicinarsi.
Ermal se lo aspettava, ma non poteva negare di aver sperato che almeno per una volta la fortuna fosse dalla sua parte.
"Va beh, dai, si vede bene anche da qui" disse Andrea mentre si guardava intorno.
Ermal seguì il suo sguardo, constatando che in effetti - nonostante il ritardo - erano riusciti a guadagnare una buona posizione. Non erano così indietro come avrebbe immaginato e il palco si vedeva bene, ma sembrava non essere abbastanza.
Avrebbe preferito essere in prima fila, appoggiato alla transenna, con la speranza di incrociare lo sguardo di Fabrizio, di vederlo da vicino...
Che poi, a che sarebbe servito? Forse solo a farsi del male, ad aumentare i sensi di colpa, a rendersi conto sempre di più che quella storia gli stava sfuggendo di mano.
Forse, a conti fatti, non era poi così male non essere attaccati alla transenna.
  Al termine del concerto, Ermal era rimasto appoggiato alla sua auto per almeno mezz'ora, fissando il vuoto e fumando una sigaretta dietro l'altra sotto lo sguardo confuso e preoccupato di Andrea.
Quel concerto era stato un pugno dritto nello stomaco, un aggrovigliarsi di sentimenti che non facevano altro che farlo sentire più agitato e confuso.
C'era stata la sorpresa nel vedere Fabrizio dal vivo, perché pur sapendo che se lo sarebbe trovato davanti aveva sentito quel tuffo al cuore tipico delle cose che succedono senza preavviso; c'era stata la sensazione di libertà, la voglia di svuotare la mente da ogni pensiero; c'era stata la sensazione di trovarsi nel posto giusto ma soprattutto con la persona giusta, come se non ci fosse nessun altro a parte lui e Fabrizio in quel posto. Alla fine c'era stata la consapevolezza di essere completamente e perdutamente cotto di Fabrizio - molto più di quanto aveva immaginato fino a quel momento - anche se non lo avrebbe mai ammesso ad anima viva.
Quella consapevolezza era arrivata di colpo, lasciandogli una fastidiosa sensazione di vuoto nello stomaco. Un po' come quando si solleva un piede convinti di appoggiarlo su uno scalino, ma poi sentiamo solamente il vuoto sotto le nostre scarpe.
Stessa sgradevole sensazione, che in realtà poi tanto sgradevole non lo sarebbe nemmeno stata in circostanze normali. Ma quelle non erano circostanze normali.
Ermal era sempre stato innamorato dell'amore, convinto che non ci fosse niente di più bello di amare qualcuno e permettere di farsi amare a propria volta, quindi sarebbe stato ovvio per lui accettare con facilità il fatto di essersi preso una cotta piuttosto forte per qualcuno.
Ma lui era fidanzato da anni con una ragazza che amava, e avere una cotta per qualcuno non faceva altro che farlo sentire colpevole di qualcosa che non poteva nemmeno controllare.
"Ermal, stai bene?" chiese Andrea, vedendolo accendere l'ennesima sigaretta.
Ermal non rispose. Sì limitò ad annuire con un cenno.
"A me non sembra. Nell'ultima mezz'ora hai fumato almeno una decina di sigarette!"
Ermal continuò a rimanere in silenzio e Andrea sbuffò scocciato.
Era ovvio che Ermal non stesse bene, si vedeva lontano un miglio. E Andrea avrebbe davvero voluto capire cosa lo facesse stare in quel modo, ma non poteva continuare a insistere se Ermal non voleva rispondergli.
Qualche minuto dopo, delle voci concitate attirarono la loro attenzione.
Fabrizio Moro si stava avviando verso la macchina, non prima di aver sorriso e chiacchierato per qualche minuto con i fan che erano rimasti ad aspettarlo.
Ermal si immobilizzò, osservandolo da lontano come se fosse qualcosa di irraggiungibile, per poi farsi prendere dal panico quando lo vide camminare nella loro direzione.
"Perché viene verso di noi?"
Andrea indicò la macchina nera parcheggiata davanti a loro e rispose: "Credo sia la sua."
E se Ermal aveva già ringraziato sufficientemente l'uomo che aveva lasciato il parcheggio libero un attimo prima che arrivasse lui - consentendogli di parcheggiare vicino al luogo del concerto, nonostante fossero arrivati tardi - in quel momento fu costretto a ringraziarlo di nuovo - anche se solo nella sua testa - per avergli lasciato il posto vicino alla macchina di Fabrizio.
Ermal gettò a terra il mozzicone della sigaretta e rimase appoggiato all'auto, cercando di mostrarsi impassibile.
Ma quando poco dopo Fabrizio gli passò davanti e gli sorrise, non poté impedire alle sue guance di imporporarsi come quelle di una ragazzina alla prima cotta.
E in realtà, nemmeno gli importava di essere arrossito e che Andrea se ne fosse accorto. Contava solo quel breve attimo in cui i suoi occhi avevano incrociato quelli di Fabrizio e lui gli aveva sorriso.
 ***
 "Non ci posso credere" mormorò Fabrizio al termine del racconto.
"Non l'avevo mai raccontato a nessuno, nemmeno a mio fratello."
"Perché?"
Ermal si strinse nelle spalle. "Non lo so. Forse ero convinto che fosse tutto frutto della mia immaginazione, che mi fossi immaginato il tuo sguardo e il tuo sorriso, che mi fossi convinto che fossero rivolti a me anche se non era così."
"Non riesco a credere che ci siamo già incontrati, che addirittura ti ho sorriso e io nemmeno me lo ricordo" disse Fabrizio, quasi colpevolizzandosi.
"Ora capisci perché ti dico che ci siamo incontrati esattamente nel momento giusto e che non abbiamo sprecato tempo?"
"No, cazzo. Se fossi stato più attento, forse quella sera non mi sarei limitato a sorriderti. Magari ti avrei parlato e le cose sarebbero andate diversamente."
"Forse. Ma io sono contento di come sono andate. Alla fine ci siamo trovati comunque, è già molto di più di ciò che mi aspettavo" rispose Ermal.
Fabrizio sorrise.
Ermal in fondo aveva ragione. Avevano avuto entrambi molto più di ciò che avevano sperato, molto più di ciò che si aspettavano dalla vita.
E forse era vero che avevano sprecato tempo, ma Fabrizio doveva ammettere che forse semplicemente si erano incontrati nel momento giusto, che forse c'era un motivo se a quel concerto del 2013 gli aveva semplicemente sorriso e non si era fermato a parlare. Forse inconsciamente sapeva di non essere pronto, forse sapeva che quello non era il momento giusto.
Erano passati anni affinché arrivasse il momento giusto per loro, ma alla fine era arrivato.
E allora, a conti fatti, andava bene anche così. Anche se erano passati anni, anche se Fabrizio avrebbe voluto incontrare Ermal prima, passare più tempo con lui.
Andava bene lo stesso. L'importante era che fossero riusciti a trovarsi.
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senzasterischi · 6 years
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Prisoner 709 è un romanzo del Novecento con un piede nel Duemila
Dai che una volta tanto un clickbait lo dovevo fare pure io. Forse ora state leggendo più che altro per scoprire con quali argomentazioni io voglia sostenere l’assurdità del titolo; frega niente, si deve parlare delle cose belle, si deve scrivere delle cose belle, bisogna ricordare le cose belle, e una di queste è Prisoner 709.
Intendiamoci: Caparezza è sempre stato un grande. Prenderò questa frase come assunto; se non siete convinti mandatemi un messaggio e ne discutiamo quanto volete, ma la sede adatta non è questo articolo. Quello che voglio sottolineare, però, è che Caparezza è sempre stato un grande e lo è stato parlando al cervello di chi ascolta. Ironico, irriverente, intelligente, tanto politico quanto non di parte, disgustato da buona parte della società ma sempre incrollabile in un’unica vera fede, che è la fede nella musica, o più strettamente nello scrivere la musica.
Ed è uno dei pochi cantanti che io conosca a fare seriamente le dichiarazioni di poetica, e per canzoni intere, ma là il mio amore incondizionato per le dichiarazioni di poetica in quanto tali (amore che non mi aspetto granché condiviso) potrebbe inficiare un attimo il mio giudizio. Per me le sue dichiarazioni di poetica sono sempre stati i testi più coinvolgenti, perché è per questo che seguo la legge dell’ortica che ogni giorno mi incita, perché [voglio] prendermi gioco di ogni tua certezza ma con leggerezza, perché io non so cantare, già, ma soprattutto non so piangere in pubblico per bucare lo schermo, perché jodellavitanonhocapitouncazzo, perché tutto quello che volete.
Sicuramente altri avranno apprezzato maggiormente testi più legati all’attualità, va bene; ma il fatto è che un po’ tutti lo apprezzavamo da un punto di vista principalmente intellettuale, che si parli di stima per le sue idee, ammirazione per la genialità dei giochi di parole o qualunque altra cosa.
Non è un caso se i momenti in cui ho più ascoltato Caparezza nella mia adolescenza sono stati quelli più strettamente cerebrali (il momento leggo Platone dei sedici anni, per esempio) e meno emotivi.
Io ascoltavo in loop Museica nel 2014, quando ancora vedevo un mondo intorno a me con una sua organicità e un suo senso. La notizia della morte di Hegel non mi era ancora arrivata, mi rotolavo nel mio ottimismo e mi potevo permettere (sic) di occuparmi di questioni esclusivamente intellettuali, esclusivamente sociali, senza mettere granché in gioco me come individuo perché prima di cadere a pezzi si esiste a malapena. Paradossalmente tutto il Caparezza fino a Museica è ottimista, in questo senso: sia quando si tratta di cambiare le cose, sia nei momenti di puro disprezzo e rassegnazione, comunque parte da una base solida – una persona, intera, stabile, e il suo rapporto con l’esterno che invece può essere anche molto complesso. Poi l’esterno a volte sono i bulletti delle superiori, a volte è la situazione politica di uno stato: non cambia la sostanza.
Una delle premesse stesse dell’anticonformismo, dopotutto, è un’incredibile coerenza interna.
Tra il 2015 e il 2016 l’ho ascoltato meno. Tra il 2016 e il 2017 mi sono crollate tutte le suddette certezze sul mondo e ho perso buona parte del mio ottimismo: per riassumere questo periodo per me basta ripensare a quando a novembre ho letto le Operette Morali con una certa disperazione, o a quando a febbraio ascoltavo musica elettronica perché stavo cercando suono puro al di là di quella cosa orrendamente logica che sono le parole. Basta per me, ripeto: per voi basteranno i ricordi di quando è successo a voi. Se non vi è ancora successo, buona fortuna.
In quel periodaccio, Caparezza era forse l’ultimo artista che mi sarebbe venuto in mente di ascoltare.
Poi, d’estate, è uscito Prisoner 709. E io mi sono detta: non posso ascoltare sempre artisti del Novecento. (Come avrete intuito da un pezzo, non sto usando le date in senso diacronico…)
Mi sono detta: è Caparezza, sarà geniale come sempre.
Ho ascoltato il singolo.
Il commento mio e di letteralmente tutti gli amici con cui ne ho parlato è stato all’incirca: “Non l’ho capita tanto bene, ma penso fosse profonda”. Seguito da: “Devo riascoltarla”.
Poi, almeno io, l’ho riascoltata solo dopo, insieme al resto dell’album. Non so gli amici cosa abbiano fatto.
La prima sorpresa dell’album è stata: non sei stata l’unica ad aver passato in crisi l’ultimo annetto.
E per quanto tremende le crisi possano essere, bisogna sempre tener conto del fatto che non si torna indietro, ci si passa attraverso e si vede cosa c’è dall’altra parte. E che c’è qualcosa di molto bello nell’essere in crisi: si diventa più veri. Mi rendo conto di quanto sia inflazionato citare  Italo Calvino su un blog, ma, forza, è ora di pagare anche questo pedaggio, dato che è chiaro che non arriverò tanto facilmente a spiegarlo con la stessa nitidezza:
“Ero intero e tutte le cose erano per me naturali e confuse, stupide come l’aria; credevo di veder tutto e non era che la scorza. Se mai tu diventerai la metà di te stesso, e te l’auguro, ragazzo, capirai cose al di là della comune intelligenza dei cervelli interi. Avrai perso metà di te e del mondo, ma la metà rimasta sarà mille volte più profonda e preziosa. E tu pure vorrai che tutto sia dimezzato e straziato a tua immagine, perché bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ciò che è fatto a brani.”
Ognuno poi viene fatto a brani da qualche ragione personale; questa influisce molto all’inizio, ma, a crisi avviata, la ragione non è più neppure il cardine. In caso qualcuno non lo sapesse, per Caparezza la ragione è stata l’acufene.
Quanto il nuovo album faccia male si sente letteralmente al primo verso della prima canzone, a saper ascoltare. “Rullino i tambur, nuovi calembour”.
Eccolo là, lo strappo, chiaro da subito. Caparezza ha sempre fatto giochi di parole, ma ha mai detto che fa giochi di parole? I giochi di parole sono sempre stati la forma che prendevano i testi; ma ora il testo diviene cosciente di sé. È lo stesso che vedere coi propri occhi un cervello: tu sei un cervello, e guardi un cervello, ed è disgustoso, e lo è perché se un cervello è divenuto visibile qualcosa è andata molto storta. (Cit.)
Prisoner 709 ha i suoi precedenti. Ha i suoi precedenti nella musica-in-generale, perché un concept album sul tema della prigionia inevitabilmente a livello tematico si scontra col precedente di The Wall, e ha i suoi precedenti perfino nell’”ottocentesco” Museica, dove già canzoni come Fai da tela o Canzone a metà anticipavano alcuni temi del nuovo album. E non si può dire che Prisoner 709 non sia un album di Caparezza: sarà meno attento a temi sociali, sarà poco o per nulla politico, ma rimane alla base l’album di un artista in crisi che però rimane se stesso. Alcune canzoni, per esempio L’uomo che premette, ricordano più da vicino alcune degli album precedenti, tipo Il secondo secondo me o Cose che non capisco; altre sono qualcosa di profondamente diverso, come la title track o come quella che è la canzone più intima e, secondo me, la più bella: Larsen. In Larsen una delle cose più dolorose non è altro che uno scarto semantico: parlando della propria malattia, dice che è il “primo pensiero al mattino, l’ultimo prima di” scarto, terribile “buttarmi giù dal terrazzo”. Eppure, in uno dei momenti più intensi dell’album, eccolo: “Ho visto più medici in un anno che Firenze nel Rinascimento”. Eccolo: è sempre lui. Non è cambiato – si è arricchito. Ha una dimensione in più.
È diventato, in un modo non facile, in grado di parlare anche all’emotività, agli esseri umani in quanto esseri umani. L’ha fatto restando intellettualistico, fra una canzone su Ludovico di Baviera e un’interpretazione abbastanza opinabile de L’infinito; ma ora i giochi di parole e le citazioni diventano espressivi in modo nuovo. In Prosopagnosia, per esempio: “ogni volta mi riascolto e sono risentito”, “e non aspetto altro che avere un altro aspetto”.
Novecento. Pieno, purissimo Novecento, con tutto ciò che costa. Con il bisogno spirituale da colmare che si confonde come un poco d’acqua in mare (d’acqua in mare, d’acqua in mare), con la psicanalisi, le insicurezze, il dubbio improvviso che sia stata la tecnologia a creare l’uomo e non il contrario, i colloqui con il sé del passato, i colloqui con il sé del futuro.
Anche l’anticonformismo non è più possibile sulle stesse basi di prima: “non ha senso recitare la parte degli incompresi con tutti dalla mia parte, con tutti così cortesi”. Paradossalmente, la comprensione altrui è ulteriore fattore di crisi, perché l’anticonformismo era stato uno dei tratti che avevano reso solida l’identità.
Verrebbe da chiedersi se Caparezza ha rispettato le precedenti dichiarazioni di poetica. Era proprio lui a dire: “Parlare di emozioni, questo è il motto! Che c’è, non trovi emotivo il botto? […] Della poesia me ne fotto!”
A rigor di logica no. A questo punto il dubbio è: le varie dichiarazioni di poetica contro le canzoni che parlano di emozioni erano contro tutta la musica che riguarda le emozioni o solo quella affettata?
Se la risposta è la seconda (come credo, vedendo a quali gruppi attinge, per esempio, in Cover), il “cambio di rotta” acquisisce significati ulteriori.
Non so se possa considerare una vera evasione quella che chiude l’album: l’ultima canzone punta decisamente in questa direzione, ma dopo il percorso tutto mentale di Autoipnotica è anche legittimo dubitarne.
(A proposito di Autoipnotica: il suo ritornello comincia con due versi che mi hanno sinceramente stupita; stavolta poco da Caparezza, ma anche poco da chiunque in campo musicale. I versi sono: “La mia macchina è il cursore di una lampo su una linea tratteggiata/guardo nel retrovisore, dietro me si sta scucendo l’autostrada”. Le immagini emergono analogicamente, alla cerniera si sovrappone lo scorrere dell’autostrada nello specchietto, e quello scucendorichiama una suggestione ulteriore, quella di un tessuto che si sfilaccia, e tutto questo è condensato in una ventina di parole. È ben oltre le mie aspettative passate e future, ed è ben oltre, beh, tutto il resto dell’album. Quei due versi mi hanno ipnotizzata).
L’evasione vera – il piede nel Duemila – la possibile soluzione, l’antidoto, la fine della crisi, l’uscita dal tunnel (ah, ah, ah, bella battuta avete pensato) non è l’evasione, è l’ora d’aria.
Apro una parentesi: ogni tanto, da sempre, Caparezza se ne esce con qualche canzone più commerciale delle altre. Non tanto commerciale da non avere contenuto, ma abbastanza da darmi fastidio – ma capisco che le varie Non me lo posso permettere sono necessarie, e amen. In Prisoner 709 probabilmente una delle canzoni “mezze commerciali” è Una chiave; dico mezze perché Una chiave è probabilmente nata con le migliori intenzioni (descrivere un monologo con se stesso da giovane) ma è un po’ naturale che un tema del genere diventi immediata consolazione per adolescenti. Fino a che punto questa cosa sia cercata, io non lo so.
L’altra canzone considerata commerciale è Ti fa stare bene. E qua la mia opinione è: assolutamente no, cioè, non davvero: è orecchiabile, è passata per la radio decisamente più delle altre, ma il punto è che questa “commercialità” è dichiarata e anche motivata all’interno del testo: “questa canzone è un po’ troppo da radio, sticazzi finché ti fa stare bene”.
Si può pensare per certi versi a un ritorno al passato, alle dichiarazioni di poetica, alle canzoni più fastidiose di un nuvolo di pettegole che però rendono la tua vita più piacevole (al Cabaret Voltaire), però ripeto: dalla crisi non si esce che dall’altra parte, e infatti questa canzone è una proposta per il nuovo millennio. Non è l’unica proposta al mondo e non è detto che sia la più valida; io ultimamente intorno a me non cerco altro che queste proposte, timide quanto volete, ma visto che ormai il senso l’abbiamo perso, dovremo pur cercare qualcosa che ci tenga in piedi.
Stavolta è un coro di bambini, il rifiuto del malumore generalizzato, la scelta di un disimpegno che poi è meno disimpegnato di quello che sembra. C’è anche l’idea, sottolineata con alcune genialate musicali che io percepisco ma non sono la persona adatta a descrivere, della necessità di superare il superamento, di rallentare, di perdere di proposito. Possiamo discutere anche a lungo di quanto in questa proposta sia o non sia affatto nuovo, di quanto sia visto in ottica nuova, di quanto sia realizzabile: rimane una proposta, un camminare verso la via d’uscita. E abbiamo bisogno di proposte. Non chiedo a ogni artista nell’immediato una sua proposta esistenziale, perché non credo che i tempi siano maturi per una cosa del genere; però gli chiedo una proposta artistica, questo sì. Gli chiedo di essere consapevole del senso del proprio operato – o meglio, di trovare un senso nel proprio operato.
Anche in uno coro tipo Zecchino d’Oro. Soprattutto in un coro tipo Zecchino d’Oro.
Probabilmente mi avete scoperta: questa non è una recensione. Non è una recensione dell’album; non è neanche una recensione del concerto, del quale potrei dire molto in breve che è stato incredibile, e poi da lì mi partirebbero considerazioni sul suo essere stato spettacolo totale, sul suo essere paradossalmente collettivo (Diego Perrone, non so perché, ma tu ispiri simpatia a tutti e a me pure!) su parecchie altre cose. Il punto è che io non sono la persona giusta per parlare di musica, e lascio la musica a chi la conosce. Intanto ascolto, e per me è più che sufficiente (per il momento: chi può conoscere i Fati?).
Io volevo una scusa per sproloquiare a dovere sul Novecento (e sull’Ottocento, e sul Duemila), e mi sento meglio ora che l’ho fatto. E poi bisogna parlare delle cose belle, e delle cose che ti fanno stare bene. E no, non me la sento di chiudere con una frase a effetto un articolo del titolo così clickbait, quindi lo chiudo a casaccio. (Che bella la Ringkomposition! Pure Prisoner 709 è il Ringkomposition, in effetti).
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(Sì, ho scritto romanzo nel titolo per puro effetto scenico. No, non me ne vergogno.)
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nohopee · 6 years
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È incredibile come il comportamento di una persona puó far deragliare il tuo modo di vedere le cose.. ci sono certi momenti della vita dove ti accorgi che magari certe persone non sono realmente chi dicono di essere e si dimostrano per quello che sono davvero.. dicono un casino di stronzate solo per farti abbassare la guardia per poi pugnalarti alle spalle quando sei debole.
A volte penso se davvero questa vita ha senso.. alcuni filosofi hanno cercato di dare una risposta a questa domanda, e credo che neanche loro siano convinti di ció che hanno trovato..Altri si rifugiano nella fede.. oh si, i religiosi.. sono più le domande che si pongono che le risposto che trovano, eppure loro sono convinti di sapere davvero come stanno le cose e pensano davvero che siamo noi non fedeli ad essere tanto stupidi da non credere nei loro dei.. perchè si, io mi chiedo: ma chi vi dice che il vostro Dio sia quello giusto.. oppure chi cazzo vi dice che ne esiste davvero uno che non avendo un cazzo da fare un giorno decise di creare queste stupide creature che devono soffrire in un mondo terrestre per poi avere la salvezza dopo la morte... ma chi vi dice che ci sia davvero qualcosa dopo la morte..
Uno dei più grandi filosofi di tutti tempi, Karl Marx, diceva ‘la religione è il frutto malato di una società malata..’..
Cazzo se non aveva ragione.. rifugiarsi in qualcosa di cui nessuno ne è convinto dell’esistenza.. sono tutte cose che si sono inventati i nostri antenati per non perdere la testa e cercare qualcosa in un futuro che non esiste.. ma chi son io per giudicare..
Ritornando al mio discorso iniziale, credo che nessuno ci voglia bene più di noi stessi.. eppure siamo sempre in giro in cerca della famosa anima gemella che tutti acclamano.. una persona che sa farti sorridere anche senza far niente, colei che pensa a te più di ogni altra cosa.. è sicuramente ti farà soffrire, tanto anche ma questo verrà compensato da miliardi e miliardi di momenti stupendi.. i quali ti non riuscirai a dimenticare e che racconterai ai tuoi figli come i momenti più belli della tua vita, momenti che resteranno nel tuo cuore per sempre..
Ma la domanda che mi faccio è: nel momento in cui trovi la tua anima gemella, una persona che ti rende felice più di ogni altra cosa.. è davvero ci metti tutto te stesso per far sì che tu le piaccia davvero, ma quella persona dopo tanti anni passati insieme ti delude, ma così tanto che non riesci più a respirare, prechè credetemi, in quei momenti è lei che vi toglie il respiro.. è lei che non vi fa capire più nulla.. la persona nella quale VOI avete messo in mano a lei tutto ció che avevate.. il vostro cuore.. cosa fate? Cosa pensate...? A chi vi rivolgete dopo che anche la persona più importante a questo mondo vi ha preso per il culo..
A Dio? Nha , non fa per me..
Dovete prendere quella donna, la donna che è stata vostra per tanto tempo.. e volevate solo vostra, nessuno doveva guardarla, toccarla e neanche pensarla.. alcuni potrebbero chiamarla gelosia, ma perché no, io amo la mia donna è lei deve essere solo mia.. necessariamente..la persona per la quale io avrei diviso il mondo a metà, avrei attraversato oceani per lei.. altre che fatiche di Ercole.. e capire davvero il motivo del suo comportamento, il motivo per il quale lei vi ha fatto questo torto e vi ha distrutto.. perchè, solo lei è in grado di rimettere a posto tutti i pezzi del nostro cuore solo se davvero lei è la tua anima gemella..
Ti amo ancora.. tanto..
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silenzio
è questa la parola chiave
in attesa di scoprire la tua piccola grande personale rivalutazione del silenzio, eccomi a provare a raccontare il mio rapporto con lui
il mio ultimo incontro con il silenzio non è ancora terminato (ben lungi dal farlo), ma ne abbiamo avuti altri
credo che di norma abbiamo poche possibilità di stare in silenzio, di ascoltare noi stessi
non abbiamo l'abitudine al silenzio, come se il rumore rappresentasse la vita e il silenzio la morte
paradosso è che abbiamo imparato a cercare le risposte all'esterno, non siamo stati educati al non-rumore dell'interiorità
talvolta si parla per abitudine, per sfuggire la solitudine più che per piacere o perché si ha qualcosa di significativo da dire, per evitare il senso di vuoto o perché falsamente convinti che più si parla meglio è
contattare il silenzio, raggiungere la quiete, la calma, significa avvicinarsi alla propria essenza profonda e vera: è lì che nasce la nostra capacità di comunicare con noi stessi e con il mondo
nel silenzio possiamo riconoscerci, ritrovarci
nel silenzio mi sono ritrovato, a volte
e ora questo silenzio lo stiamo condividendo e lo condivideremo ancora, tu ed io
e non c'è al mondo cosa più bella
entrare l'uno nei pensieri dell'altra, sapere cosa si pensa senza dover per forza dirlo ad alta voce
"
tacere è un'arte
parla solo quando devi dire qualcosa che vale più del silenzio.
esiste un momento per tacere, così come ne esiste uno per parlare.
il momento di tacere deve venire sempre prima.
quando si sarà imparato a mantenere il silenzio, si potrà parlare rettamente.
tacere quando si è obbligati a parlare è segno di debolezza,
ma parlare quando si dovrebbe tacere indica leggerezza e scarsa discrezione.
è sicuramente meno rischioso tacere che parlare.
l'uomo è padrone di sé solo quando tace:
quando parla appartiene meno a se stesso che agli altri.
quando devi dire una cosa importante, stai attento
dilla prima a te stesso, poi ripetila,
per non doverti pentire quando l'avrai detta.
quando si deve tenere un segreto non si tace mai troppo.
il silenzio del saggio vale più del ragionamento del filosofo.
il silenzio può far le veci della saggezza per il povero di spirito.
forse chi parla poco è un mediocre, ma chi parla troppo
Antonella Lucato
è uno stolto travolto dalla voglia di apparire.
l'uomo coraggioso parla poco e compie grandi imprese:
l'uomo di buon senso parla poco e dice sempre cose ragionevoli.
siate sempre molto prudenti, desiderare di dire una cosa
è spesso motivo sufficiente per tacerla.
"
antonella lucato
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.             ╰ 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐞𝐯𝐞!               📍 interrogation room               📅 oct. 23, 2023               🔗 #𝖽𝖺𝗇𝗀𝖾𝗋𝗈𝗎𝗌𝗁𝗉𝗋𝗉𝗀                       ・・・       Cresciuta al ritmo cullante di 𝘯𝘶𝘭𝘭𝘢 𝘵𝘪 𝘵𝘶𝘳𝘣𝘪, 𝘯𝘶𝘭𝘭𝘢 𝘵𝘪 𝘴𝘱𝘢𝘷𝘦𝘯𝘵𝘪, indubbiamente tra le hit cristiano-cattoliche preferite di nonna Marina, Eden Ambrose aveva deciso di farne il proprio stile di vita: il tempo e l'impegno riescono sempre e comunque a condurre verso una soluzione, e sicuramente sarebbe stato così anche per il caso di Myriam Schmidt. Non c'era bisogno di preoccuparsi. Certo, aveva dovuto imporsi di non pensarci troppo ché, sebbene non lo avesse ammesso a se stessa, di stranezze in tutta quella storia - prima tra tutte il fatto che non ricordasse assolutamente 𝐧𝐢𝐞𝐧𝐭𝐞 - ce n'erano fin troppe e se n'era ben accorta, ma per una come lei col cervello perennemente stimolato dal circondario non era stato poi così difficile passare oltre. L'interrogatorio le toccava lo stesso, però, ed era infatti all'esterno dell'aula macchiata per somigliare vagamente alle tipiche stanze da film polizieschi che, sobrie cuffie olografiche a decorarle i contorni superiori della testa e posizione scomposta da tipico alunno de Il Collegio che punta ad attirare il pubblico per poi un giorno sponsorizzare beveroni Fitvia, attendeva la fine dell'interrogatorio della sorella super minore. Che stava prendendo una piega più interminabile di una tipica puntata del Grande Fratello Vip con la 𝘴𝘪𝘮𝘱𝘢𝘵𝘪𝘤𝘢 conduzione di Alfonso Signorini, soprattutto perché era stato vietato a loro in attesa si scambiare pure soltanto una parola con i presenti, ma dettagli: prese il cellulare, pronta a scrivere qualcosa a Violet seduta al suo fianco, quando 𝘧𝘪𝘯𝘢𝘭𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 Olivia comparve di nuovo tra loro. Istintivamente si alzò perché le sembrava abbastanza scossa, ma mai quanto lo divenne di lì a poco; fu un attimo: Olivia girò la testa verso un punto indefinito, per Eden vuoto, Violet le toccò il braccio e un profondo senso di 𝐭𝐞𝐫𝐫𝐨𝐫𝐞, mai provato fino ad allora, la invase, costringendola a sedersi di nuovo onde evitare di finire dritta dritta sul pavimento, un po' come il Divino Otelma all'Isola dei Famosi.  Che cosa diamine era appena successo?! L'unica certezza era che doveva trattarsi per forza di qualcosa di grosso, una 𝙧𝙞𝙫𝙚𝙡𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 tanto sconvolgente per la corvonero da permetterle di mettere k.o. il forte scudo emotivo della maggiore, di norma più resistente della faccia di Barbara D'Urso agli infiniti watt delle lampadine usate per gli studi televisivi da lei occupati. Dell'interrogatorio adesso le importava ancora meno, l'unico desiderio era quello di parlare con le sorelle e accertarsi che stessero bene.  𝘕𝘶𝘭𝘭𝘢 𝘵𝘪 𝘵𝘶𝘳𝘣𝘪, 𝘯𝘶𝘭𝘭𝘢 𝘵𝘪 𝘴𝘱𝘢𝘷𝘦𝘯𝘵𝘪. 𝘛𝘶𝘵𝘵𝘰 𝘱𝘢𝘴𝘴𝘢.                       ・・・       « Non far caso al rospo, anzi fa finta che ci siamo solo noi qui dentro. È una precauzione, per registrare tutto quello che ci diremo e distorcere la tua voce in modo da renderla irriconoscibile, del tutto anonima. » 𝘥𝘪𝘧𝘧𝘪𝘤𝘪𝘭𝘦 𝘴𝘦 𝘮𝘦 𝘭𝘰 𝘳𝘪𝘤𝘰𝘳𝘥𝘪 𝘱𝘶𝘳𝘦, 𝘧𝘳𝘢, ché già aveva perso almeno cinque minuti del tempo in cui il detective stava sistemando le sue scartoffie a pensare a Magica Doremi e al buffo caso del rospo chiamato Eufonia, proprio come il quarto nome che i genitori, magnanimi, avevano voluto darle. E pure lui probabilmente era un'Eufonia, dal destino triste come il suo: un nome che significa letteralmente "armonico accostamento di suoni, gradevole all'orecchio" e una vocalità gracchiante (più che altro nel canto, per quanto riguardava lei), per niente melodica. Uh, quanto avrebbe voluto sentire il modo in cui avrebbe distorto la sua, di voce. « Quando sei pronta, dichiara ad alta voce il tuo nome, casa d'appartenenza ed anno di corso. »   « Lady Eden Selene Octavia Eufonia Ambrose Bugatti Grosvenor Liebowitz de la Vega,  » prese un attimo per permettere all'uomo di appuntare correttamente la sfilza infinita con cui era riconosciuta all'anagrafe, decidendo fosse meglio evitargli il titolo nobiliare nella sua interezza giacché aveva una certa fretta. « Serpeverde, settimo anno. Eden Ambrose può andare bene, comunque, se ha poco tempo, problemi con gli scioglilingua o una memoria corta. »   « Eden Ambrose. È inevitabile per me tornare alla notte fra il cinque e il sei settembre, che a sentire i tuoi compagni sembra poter essere il nostro inizio da cui ricostruire tutto. C'è stata qualche traccia verde argento nell'organizzazione o sbaglio? D'altra parte quando frequentavo la scuola erano le feste di serpeverde ad essere sempre piuttosto... Movimentate, ecco. »   Sbuffò. Proprio un detective ancorato a queste stronzate dei pregiudizi sulle case dovevano mandare?! Che palle. Poggiò il gomito sul bracciolo e lo rese sostegno per la propria testa, faticava a rimanere concentrata sulla sua figura ma ce la stava mettendo tutta per non fallire.   « Meh, non credo: che motivo avremmo avuto di organizzare una festa per la vittoria dei corvonero? Temo fortemente che la sua supposizione sia errata, se questa domanda fosse un Tronky e lei l'avesse scartata le sarebbe uscita la dicitura 𝘳𝘪𝘵𝘦𝘯𝘵𝘢, 𝘴𝘢𝘳𝘢𝘪 𝘱𝘪ù 𝘧𝘰𝘳𝘵𝘶𝘯𝘢𝘵𝘰. »   Montò in lei uno strano fastidio, così palese da costringerla a cambiare nuovamente posizione per sedersi in modo più composto: probabilmente lo schermo di protezione era ancora in tilt, il che rappresentava un bel guaio perché le sarebbe costato il doppio della fatica riuscire a focalizzarsi, a non lasciarsi condizionare e a non condizionare (gli svantaggi di essere una brava cittadina, nel profondo).   « E chi è stato, allora? Difficile per me credere che si sia creata spontaneamente in un luogo così specifico. Ricordi almeno chi è stato ad avvertirti di un after party? Devi aver ricevuto un invito. »   𝘍𝘳𝘢, è 𝘭𝘦𝘵𝘵𝘦𝘳𝘢𝘭𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘥𝘰𝘷𝘦 𝘧𝘢𝘤𝘤𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘦 𝘭𝘦 𝘧𝘦𝘴𝘵𝘦: 𝘰𝘳𝘮𝘢𝘪 𝘯𝘦𝘮𝘮𝘦𝘯𝘰 𝘥𝘰𝘣𝘣𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘱𝘪ù 𝘴𝘱𝘦𝘤𝘪𝘧𝘪𝘤𝘢𝘳𝘭𝘰, 𝘪𝘭 𝘭𝘶𝘰𝘨𝘰, pensò, ma si limitò a mimare col viso un'espressione di chi non sa proprio nulla, tipo come quella di Nilufar Addati quando si scoprì dell'imbroglio di Sara Affi Fella e segretamente prendeva pure lei per il culo Maria de Filippi.   « Dopo ogni festa c'è un after party, lo sanno pure i quadri: non ho memoria di chi mi abbia invitata, ma le dico che potrebbe pure non avermelo detto proprio nessuno per il motivo di cui prima. »   « C'è una cosa che mi confonde molto, Eden. Posso chiamarti Eden? » 𝘮𝘢𝘨𝘢𝘳𝘪 𝘢 𝘧𝘢𝘳𝘭𝘰 𝘧𝘰𝘴𝘴𝘦 𝘭𝘢 𝘴𝘶𝘢 𝘤𝘰𝘭𝘭𝘦𝘨𝘢 𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘭𝘦𝘪, sospirò (per davvero, eh!) e si voltò a guardarla. Si scambiarono un sorriso, le due, ma in quello della donna trovò un'energia troppo 𝙨𝙩𝙧𝙖𝙣𝙖 da cui si sentì quasi sopraffatta. La confusione fu ben visibile sul volto della serpeverde, che intanto aveva sentito la necessità di allontanarsi almeno figurativamente da quella persona. « Ecco, molti dei tuoi compagni hanno affermato di aver visto Myriam presenziare alla festa, ma altrettanti paiono essere convinti di non averla vista nemmeno di sfuggita. A quale categoria appartieni, tu? L'hai vista, in qualsiasi momento della serata, ovunque questo possa essere accaduto? »   Impiegò un po' a recepire la domanda postale e il suo ritardo dovette sembrare significativo al detective che appuntò qualcosa in elegante grafia prima di incalzarla con un discreto movimento della mano.   « Io » 𝘤𝘰𝘳𝘢𝘨𝘨𝘪𝘰, 𝘌𝘥𝘦𝘯, 𝘳𝘪𝘱𝘪𝘨𝘭𝘪𝘢𝘵𝘪. « No, io non ricordo di averla vista. Strano, eh, che durante gli allenamenti dei cheerleader spiccava che era una meraviglia, ma alla festa proprio niente, nisba, nada. Mi dispiace. »   « Eppure non puoi esserne certo, non è vero? » dannato schermo guasto che rendeva le sue emozioni così palesi. « L'unica cosa che risulta evidente da ognuna delle vostre deposizioni è che eravate tutti piuttosto incapaci, se non di intendere e di volere quanto meno di guardare alle cose chiaramente. Che cos'è che ricordi, Eden? Raccontami qualcosa, una singola cosa di cui sei certa e che possa aiutarmi a collocarti. »   « Boh, fra, veramente non ricordo niente. Cioè, intendevo detective, mi scusi. » che voglia assurda di facepalmarsi. « Ho la certezza di esserci stata, ricordo precisamente di aver varcato la soglia della stanza, ma dopo proprio il vuoto: immagino che la cosa mi metta in una posizione scomoda, ma voglio essere totalmente onesta con lei. »   Questa volta fu un simbolo quello che Londsdale scribacchiò accanto al suo nome ed Eden, curiosa, cercò di sporsi per capire meglio che cosa rappresentasse. Dovette desistere quando quello rialzò lo sguardo su di lei, costringendola a simulare un furbo sorrisetto di circostanza.   « Andiamo un attimo al di là della festa e di ciò che potrebbe essere accaduto. Che rapporto avevi con la signorina Schmidt, ammesso e non concesso che la conoscessi? Mi rendo conto che le simpatie fra tassorosso e serpeverde non siano proprio delle più famose, ma sembra che la ragazza fosse piuttosto popolare. Avevi mai sentito parlare di lei prima d'ora? O hai sentito qualcosa sul suo conto? »   𝘞𝘰𝘸, 𝘥𝘪 𝘯𝘶𝘰𝘷𝘰 𝘤𝘰𝘯 𝘪 𝘭𝘶𝘰𝘨𝘩𝘪 𝘤𝘰𝘮𝘶𝘯𝘪!! 𝘊𝘰𝘮𝘦 𝘥𝘪𝘴𝘴𝘦 𝘶𝘯𝘢 𝘷𝘦𝘤𝘤𝘩𝘪𝘢 𝘴𝘢𝘨𝘨𝘪𝘢 - Tina Cipollari, ndr. - 𝘤'𝘩𝘢 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘳𝘪𝘰 𝘭𝘢 𝘧𝘢𝘤𝘤𝘪𝘢 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘪 𝘨𝘭𝘶𝘵𝘦𝘪.   « La conoscevo, come le ho detto anche prima la si notava abbastanza tra i cheerleader e da brava telecronista do spesso fastidio sia a giocatori che a supporter, tuttavia non posso di certo definirla amica. Non per la questione tassorosso-serpeverde, tanto arcaica da essere ormai bella che superata, ma perché ha tipo quattro anni meno di me e frequentiamo persone diverse. Tutto qui. »   « Il punto è che, Eden, ti renderai conto anche tu che una persona non svanisce nel nulla da un momento all'altro, non ad Hogwarts che è un luogo così sicuro e controllato. » 𝘤𝘰𝘴ì 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘳𝘰𝘭𝘭𝘢𝘵𝘰 𝘥𝘢 𝘦𝘴𝘴𝘦𝘳𝘦 𝘵𝘦𝘢𝘵𝘳𝘰 𝘥𝘦𝘭𝘭'𝘰𝘮𝘪𝘤𝘪𝘥𝘪𝘰 𝘥𝘦𝘭𝘭'𝘦𝘹 𝘮𝘪𝘯𝘪𝘴𝘵𝘳𝘰 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘮𝘢𝘨𝘪𝘢, 𝘭𝘰𝘭. « Hai visto qualcosa di particolarmente sospetto, quella notte o il giorno dopo? Persone non appartenenti al corpo studentesco o al corpo docenti? Immagino che  la scuola sia ormai per te un ambiente così familiare che te ne accorgeresti subito se vedessi qualcuno o qualcosa di diverso. »   « A parte lei e la sua collega, ormai settimane dopo la sera della festa, non ho visto estranei. Anche se non credo sia un'informazione così importante, sappiamo bene che esistono svariati sotterfugi per non farsi riconoscere, addirittura per scambiare la propria identità con quella di qualsiasi altra persona. Corsi e ricorsi della storia, no? »   Londsdale non rispose alla provocazione, si limitò a sistemarsi la cravatta e a procedere sulla sua strada, imperturbabile. Eden arricciò il labbro superiore, una punta di delusione a definirne la smorfia.   « Mi domando... Per caso sapresti dirmi se qualche studente ha già avuto problemi di aggressioni oppure ha dimostrato di avere tendenze violente negli ultimi anni? Mi rendo conto che sia complicato chiederti di parlare in questi termini dei tuoi compagni o addirittura di insinuare qualcosa sul loro conto, ma voglio ricordarti che la tua deposizione resterà completamente anonima. È meglio che tu ce lo dica, anche se può sembrarti che ti stia chiedendo di voltare le spalle ad un compagno. È per il suo, per il vostro bene. »   « Credo sia più sicuro consultare i registri della Preside, ogni episodio di violenza, fisica o verbale che sia, è correttamente segnato e archiviato nelle dovute sedi. » cambiò posizione per l'ennesima volta, stavolta poggiando le braccia sul tavolo in mogano e rilassando in questo modo la schiena, appena un po' dolente. « Siamo adolescenti, quasi tutti almeno una volta abbiamo partecipato a una baruffa. O minacciato di 𝘧𝘢𝘳𝘦 𝘶𝘯𝘰 𝘴𝘵𝘳𝘢𝘴𝘤𝘪𝘯𝘰 a qualcuno, nel mio caso. Totalmente in amicizia, s'intende. »   « D'accordo, direi che è tutto per adesso. » è 𝘭'𝘢𝘭𝘭𝘦𝘭𝘶𝘪𝘢 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘭𝘢𝘮𝘱𝘢𝘥𝘪𝘯𝘦 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘴𝘪 𝘴𝘵𝘢 𝘪𝘯𝘯𝘢𝘭𝘻𝘢𝘯𝘥𝘰?! « La signorina Brent ti accompagnerà in corridoio, dove devo pregarti di non intrattenerti a conversare con nessuno dei tuoi compagni o le vostre testimonianze saranno considerando invalide e potrete essere indagati per ostruzione alla giustizia. Ti ringrazio, Eden. Ti farò richiamare se avrò bisogno di qualche altra informazione. Prima che tu vada... » 𝘴𝘦 𝘧𝘰𝘴𝘴𝘦 𝘴𝘵𝘢𝘵𝘢 𝘐𝘭𝘢𝘳𝘺 𝘉𝘭𝘢𝘴𝘪 𝘢 𝘤𝘰𝘯𝘥𝘶𝘳𝘳𝘦 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵'𝘪𝘯𝘵𝘦𝘳𝘳𝘰𝘨𝘢𝘵𝘰𝘳𝘪𝘰 𝘢 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵'𝘰𝘳𝘢 𝘴𝘢𝘳𝘦𝘪 𝘨𝘪à 𝘢 𝘧𝘢𝘳𝘦 𝘮𝘦𝘳𝘦𝘯𝘥𝘢, 𝘤𝘩𝘦 𝘯𝘰𝘪𝘰𝘴𝘰, pensò, alzandosi e passando le mani sulla gonna più per sperare che il tempo passasse con maggiore velocità che per desiderio di sistemarsela. « Mi dispiace se le ultime domande possano averti messa particolarmente in difficoltà, ho avuto esperienze col temperamento... Agitato che è così diffuso fra i membri della tua casa. So che siete abituati a fare fronte comune, ma che siete anche abbastanza intelligenti da capire quando è meglio pensare a se stessi e ai propri progetti. Ecco, è solo un consiglio. Buona giornata. »   Inutile dire quanto fastidio avesse aggiunto con quest'ultimo commento a quello che s'era già accumulato nel corso di tutta la chiacchierata, ma inutile pure specificare quanto preferisse tacere (cosa rara) pur di poter finalmente uscire di lì e raggiungere Olivia e Violet. Sorrise, dunque.   « Buona giornata anche a lei. » 𝘦 𝘴𝘪 𝘱𝘶𝘭𝘪𝘴𝘤𝘢 𝘪𝘭 𝘤𝘶𝘭𝘰 𝘤𝘰𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘰 𝘤𝘰𝘯𝘴𝘪𝘨𝘭𝘪𝘰.   Si mosse per raggiungere la porta, sentiva lo sguardo della signorina Brent perforarle la schiena. 𝘈𝘨𝘨𝘩𝘪𝘢𝘤𝘤𝘪𝘢𝘯𝘵𝘦.
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giancarlonicoli · 4 years
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21 mag 2020 10:55
“VIVERE, SENZA PERDERSI D'ANIMO MAI...” – MILENA GABANELLI INTERVISTA VASCO ROSSI: “IL VIRUS HA FERMATO LE MIE CANZONI. MI E’ CROLLATO IL MONDO ADDOSSO. FARE I CONCERTI PER ME E’ UN MOTIVO PER SVEGLIARMI LA MATTINA. NON SCRIVO, SONO TROPPO FRASTORNATO, L'ISPIRAZIONE VERRÀ DOPO. QUANDO COMPONGO DEVO ESSERE MOLTO ECCITATO. ECCITAZIONE TOTALE, SESSUALE ANCHE - DISTANZIAMENTO SOCIALE? DEFINIZIONE SBAGLIATA". ECCO PERCHE’ – "I BEATLES? MEGLIO I ROLLING STONES. LENNON? MORIRE DI COLPO. CI FAREI LA FIRMA PER UNA MORTE COSÌ EH” – VIDEO
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Milena Gabanelli per il “Corriere della Sera”
Sono in 400mila, sono stati i primi a chiudere e saranno gli ultimi a ripartire. Parliamo di tutto il personale coinvolto nella produzione del cinema, del teatro, della danza, dei concerti. È fra i settori più colpiti e da sempre poco considerato. Sulla musica impatteranno moltissimo i grandi concerti estivi: non potremo godere di questa gioia liberatoria e trascinante perché sono tutti rimandati all' anno prossimo. Per intervistare un artista bisognerebbe essere un po' artisti - e non lo sono - lui non ama farsi intervistare e ho un dichiarato conflitto: è un amico. Vasco.
Tu dove eri quando è esploso tutto l' ambaradan?
«Ero a Los Angeles. Quando ho cominciato a capire che la faccenda diventava seria ho cercato di rientrare in Italia».
Erano i primi di marzo
«Esatto. Prima sembrava una cosa così, che riguardava solo la Cina. Poi sì, è arrivata anche da noi, ma non mi ero reso conto, non pensavo sinceramente alla pandemia. Poi ho cominciato a capire e volevo rientrare, ma ho iniziato a trovare problemi: è stata un' odissea: praticamente ogni volta che trovavo un volo poi veniva cancellato».
Alla fine sei rientrato con l' ultimo volo
«Ecco, il bello è questo, sono tornato con l' ultimo volo che partiva da Los Angeles: il giorno dopo gli Usa hanno chiuso tutti quelli con l' Europa».
Il lockdown a te non ha fatto né caldo né freddo. Non uscivi nemmeno prima...
«Sì, c' è da dire che la mia vita sociale non è molto intensa: già non esco, sono più o meno sempre in isolamento. Ma questa esperienza è stata molto forte anche per me... quando non potevo uscire neanche per una passeggiata mi sembrava una cosa pazzesca e poi non capivo il motivo: perché, dicevo, se vado da solo...».
Ti era venuta voglia di uscire adesso che era proibito, è così?
«Beh è chiaro, quello è un po' il senso... quando una cosa non la puoi fare...».
Quando hai realizzato che la stagione saltava all' anno prossimo, con tutta la preparazione dei cinque megaconcerti, come l' hai presa?
«Ho iniziato a capire durante il lockdown. Ho cominciato a pensare: ma questa storia è difficile che possa risolversi in fretta. L' impossibilità di avere contatti fisici creava la condizione per cui non si potevano fare concerti nemmeno a giugno. A quel punto mi è crollato il mondo addosso: è da un anno che seguiamo questo progetto, ci avevamo già lavorato, già fatto tutti gli arrangiamenti, io ero già pronto per partire...»
Ma la cosa più difficile è stata dover ammazzare il tuo entusiasmo perché eri carico o dire a tutti i tuoi: signori si salta?
«Un po' tutte e due. Per me fare i concerti è importante anche dal punto di vista psicologico. Io per fare i concerti mi devo tenere in forma, non mi devo lasciare andare: è un motivo per svegliarmi la mattina. Senza i concerti mi casca un po' tutto. Pensavo si potessero rimandare a settembre, ma quando ho capito che anche lì sarebbe stato impossibile, ho preso la cosa di petto, mi sono detto "va bene saltiamo un anno e pensiamo a non ammalarci"».
È meglio tirare a campare che tirare le cuoia.
«Esatto».
Un grande artista può permettersi di saltare una stagione o anche due, ma per tutti quelli che campano di questo, per cui saltare anche solo una data vuol dire non sapere come pagare l' affitto! Solo attorno a un tuo concerto ruotano quasi 1800 persone...
«Infatti, di solito la gente non lo sa».
Sono invisibili, è come se il concerto fosse rappresentato solo da chi è sul palco...
«Invece c' è un mondo di persone che lavora. È stato il pensiero che mi è venuto: come fanno tutti questi che rimangono senza lavoro, che hanno difficoltà molto più grandi delle mie dal punto di vista economico. Io posso stare un anno fermo».
E quindi cosa hai fatto?
«Avevamo pensato di fare un fondo di solidarietà dove noi artisti avremmo, ognuno secondo le proprie sensibilità, depositato delle cifre. Avevo sentito anche Jovanotti, erano tutti d' accordo».
Anche Laura Pausini, no?
«Sì, anche lei, io la chiamo Pausella, le voglio molto bene. Lei ha avuto l' idea di fare una lettera aperta e di firmarla tutti e chiedere aiuto a Conte, perché agli inizi di marzo quei lavoratori non erano neanche considerati».
No, li hanno considerati settimana scorsa e hanno stanziato un miliardo di euro per musica, teatro, cinema.
«Ecco, voglio pensare che sia stato anche grazie a noi artisti, dopo questa lettera che è stata firmata da tutti. Poi ci siamo detti: perché non costituire un fondo di sostegno per i lavoratori dello spettacolo? Ma il problema è a chi affidarlo: non c' era un' organizzazione, è una cosa abbastanza complicata».
Però c' è tra di voi la volontà di discuterne per dire: tiriamo tutti fuori un po' di soldi?
«Sì, certo. Noi siamo disponibili, tutti gli artisti, penso. Intanto abbiamo pensato ognuno a proteggere i propri: io proteggo i miei collaboratori; penso alla mia squadra, una trentina di persone più o meno. Ognuno pensa ai propri, così siamo sicuri che quello che facciamo arriva. Poi c' è questo decreto... 600 euro saranno pochi, ma li riconosce anche ai lavoratori di quel tipo, è importante. In Italia c' è questo concetto che gli artisti sono considerati personaggi tra il circo e l' orchestrina: non sono considerati cultura».
Ma il pil prodotto dalla cultura, a partire dalle biglietterie - tre milioni di biglietti venduti solo per concerti - è un pilastro. È più trascurata dalla politica, ma non saprei se la gente la considera non importante, visto che l' arte può rendere più sopportabili le giornate peggiori...
«La gente si rende conto benissimo di cosa vuol dire non averla. Per chi frequenta concerti, non potersi trovare tutti ammassati... il bello è quello, potersi assembrare. Noi abbiamo il problema che se non possiamo assembrarci non ci divertiamo. Quando ci potremo riassembrare? Vorrei che gli scienziati si dessero da fare un po' di più, che trovino questa cura...».
Mi pare si stiano dando tutti molto da fare e che ognuno dica la sua, per dirne poi un' altra il giorno dopo. Hai detto che parlare di «distanziamento sociale» è stata un' uscita infelice.
«Sì è una definizione sbagliata: non è distanziamento sociale ma fisico quello di cui noi abbiamo bisogno per non contagiarci. Usare la parola distanziamento sociale è sbagliato perché sottende già una disgregazione sociale che è anche possibile che succeda».
Il distanziamento sociale implica indirettamente una disgregazione sociale?
«Secondo me sì. Già nella scelta del termine c' è questa onda che sta arrivando di disgregamento sociale o di pericolo per la democrazia. Le parole sono importanti, molto importanti».
Le parole hanno sempre dei significati...
«E molto precisi, io vivo di parole, io scrivo parole».
L' Organizzazione Mondiale della Sanità qualche giorno fa ha detto che questa definizione non va bene: ti hanno ascoltato?
«Pensa eh, forse sì».
Nelle tue canzoni usi sempre parole molto semplici per raccontare storie molto complicate. Per noi che le ascoltiamo sembrano così naturali, ma ti vengono spontanee o c' è del lavoro?
«C' è dietro tutto un lavoro per cercare di sintetizzare al massimo. Uso meno parole possibili: la sintesi è stata sempre la mia cifra, ho iniziato così negli anni Ottanta. Ogni parola è distillata».
Come succede? Ti viene in mente una parola e dici: ah come è banale questa qua, ne devo trovare una più efficace...
«No, no è tutto un lavoro che avviene nel momento dell' ispirazione. Quando sono in quel mondo lì penso a delle sensazioni che voglio descrivere e non penso a descriverle usando parole o il linguaggio italiano ma lascio venire fuori le frasi, come se venissero fuori dall' inconscio».
Non è mica facile, sai come vorrei anche io far venire fuori le parole dall' inconscio.
«E infatti è quella la difficoltà di scrivere canzoni per me. Di essere in quella fase lì e di essere abbandonati all' inconscio, ma mantenere quel minimo di razionalità che mi permette di scriverle, di mettere giù una frase. A volte è una cretinata pazzesca ma quella giusta la riconosci ».
Come si raggiunge lo stato di inconscio creativo?
«È una situazione molto particolare. Intanto devo essere solo, per forza. E anche molto eccitato. Eccitazione totale, sessuale anche. Poi devi scaricarla sullo strumento, è una sorta di trasporto molto simile alla sessualità...».
Quando componi hai orari regolari? Ti stacchi per pranzare?
«No, neanche per sogno. Ho bisogno di non avere orari, devo vivere in uno spazio e un luogo in cui non ci sono. Sono in un tempo sospeso, può durare tutta la notte fino al giorno dopo. E in quella fase gioco, aspetto che arrivino quelle sensazioni. Delle volte passo notti insonni senza che arrivi niente e mi sento anche molto stupido e molto inutile il giorno dopo».
Tranquillo, capita anche a noi. Siamo un po' tutti convinti che i periodi travagliati siano di grande ispirazione per gli artisti... Mi chiedo se un periodo come questo stimoli la creatività.
«È sempre nelle sofferenze più grandi che alla fine si va a pescare quando si scrive. Solo che lo fai quando sono già passate: nel momento della sofferenza non fai niente, soffri e basta. Io soffro e basta, non è che scrivo una canzone. Magari dopo, quando è passato, ricordo quel momento e magari finisce in una canzone tutta l' intensità di quel momento lì.
Però adesso sono troppo attonito, frastornato, allibito e incantato da questa situazione così pazzesca, da queste città vuote...una cosa allucinante, nelle scorse settimane sembrava di vivere in un film di fantascienza, di quelli che abbiamo visto ma mai avremmo pensato di vivere. Sono stato anche contento di essere arrivato a vederlo: ormai ho una veneranda età, avrei potuto essere già andato da tempo. Ho bruciato la candela da tutte le parti, in effetti sono qui per miracolo».
Si vede che sei di stoppa buona.
«Eh quello di sicuro. Penso di sopravvivere anche a questa cosa qua».
Perché sei contento di aver vissuto un momento come questo?
«Non è che sono contento, ma mi rendo conto che sono stato testimone di un evento catastrofico. Molti non lo hanno ancora realizzato, ma è come se fosse esplosa una bomba nucleare, una pandemia globale, mai avrei pensato di vederla».
Quando sali sul palco e hai davanti 60 mila persone, a Modena 250mila, ti senti a casa o hai strizza?
«Io mi sento a casa solo lì. Quando sono sul palco e parte la musica, ecco, tutto quadra, è tutto logico, mi lascio prendere da ogni canzone».
Nessuna tensione, nessuna paura?
«Prima di salire un sacco di tensione, infatti prima bevevo molto, mi ubriacavo molto».
Salivi sul palco bevuto?
«Negli anni Ottanta bevevo prima, poi ho iniziato a fare concerti perfettamente lucido ed è il modo migliore per farli, perché ti rendi conto di tutto».
Le emozioni sono le stesse di vent' anni fa?
«In un certo senso sì, perché quando canto una canzone torno dentro il momento in cui l' ho scritta e la vivo. Per cui mi emoziono, mi incazzo sul serio. Provo sensazioni fantastiche e condividerle con tutta questa massa di persone che provano la stessa emozione nello stesso momento è di una potenza che ti lascia atterrito».
Ti identifichi con quello che sei? Vasco oggi assomiglia a quello che avrebbe voluto essere?
«Ah certo, Vasco Rossi, quello sul palco, quello delle canzoni sicuramente è quello che avrei voluto essere. Nella vita diciamo che invece è un po' più complicato. Non dico che è una frana, perché ho costruito delle cose nel frattempo, grazie anche alla Laura, una famiglia. Ma per il resto mi trovo spaesato un po' dappertutto. Ogni volta, in ogni posto che arrivo mi rendo conto che con me arriva anche Vasco Rossi: ognuno ha il suo e di solito non è mai quello che sono».
La cosa che ti sorprende è: perché mi vogliono tutti saltare addosso?
«Ma ho molto piacere quando le ragazze mi baciano, hanno cominciato a un certo punto, dopo dieci anni che scrivevo canzoni. Arrivavano e mi davano un bacio, facevo loro tenerezza».
Quanti figli hai?
«Ne ho tre, due sono figli biologici, nel senso che non sono cresciuti con me, sono arrivati grazie alla provvidenza. Poi Luca, molto desiderato».
C' è una cosa che non riesco a perdonarti: spiegami perché non ti piacciono i Beatles?
«Perché mi piacciono i Rolling Stones».
Sei un musicista: non puoi dirmi «se amo i Rolling Stones mi fanno schifo i Beatles»...
«Ma se ami i Rolling Stones ami un certo modo di fare musica; lo sberleffo, la provocazione, cose che non sono dei Beatles. Non dico che le loro canzoni siano brutte, ma hanno sempre avuto l' aspetto dei bravi ragazzi».
Beh bravi ragazzi, ne hanno fatte anche loro, sono andati anche in India dal santone...
«Pensa, hanno fatto anche quello ma non me ne sono accorto. Alla gente non è arrivato questo messaggio, è arrivato quello dei bravi ragazzi».
Mica serve essere cattivi per fare bella musica
«La musica è bella ma io non l' ho mai ascoltata perché ero prevenuto, amando il rock. Ancora oggi quando vedo Paul McCartney non mi emoziono. Mi piaceva di più John Lennon, mi sembrava uno dei Rolling Stones».
Eh, anche perché poi è morto giovane e male.
«Beh morto male, gli hanno sparato. È un punto di vista, ma ci sono modi di morire peggiori».
Morire a 40 anni è sempre un brutto modo.
«Beh chiaro, ma morire di colpo... ci farei la firma per una morte così eh».
Però non si può chiudere un' intervista così...Pausa. Poi inizia a cantare, quasi un sussurro.
«Vivere, è passato tanto tempo, vivere, è un ricordo senza tempo, vivere, senza perdersi d' animo mai e combattere, lottare contro tutto contro. E poi: vivere e sperare di stare meglio, vivere e non essere mai contento... vivere». E sorridere.
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gryffsophia · 5 years
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⁖  ♡  Sophia & Josh @ Sala Comune di Grifondoro / 19 Febbraio –– pt. 2
( ... ) s’è smossa dal suo letargo, dopo l’ultimo messaggio, per infilarsi un maglioncino da sopra i pantaloncini ed il reggiseno. Niente di più. Con i capelli lasciati sciolti sulle spalle e senza trucco lascia il proprio Dormitorio, insolitamente — e non è sorpresa quando trova già Josh su di un divano. Si limita a sederglisi accanto. ‹ Quindi? Hai portato almeno gli anelli? ›
Lui vive indossando tute praticamente ogni volta che può – sempre firmate, anche se, in questo caso, non ha intenzione di ostentare alcunché. Quando Sophia gli si siede accanto, Josh usa la bacchetta per trasfigurare il bicchiere d’acqua sul tavolino in un paio di manette. Le porge alla ragazza, dicendo: «Così gli anelli possono essere usati con fantasia!»
Non che Sophia non lo sappia, che quelle non sono semplici tute: riconosce i capi griffati ad un miglio di distanza. Il suo stesso “ semplice “ maglioncino è comunque firmato Chanel. E quindi ( ... ). Però per stavolta non ci fa neanche caso, ha indossato la prima cosa morbida e larga che ha trovato, e ne è felice — perché piega le gambe di lato in modo semplice. L’osserva con interesse, per cercar di capire cosa voglia fare, e poi ride. ‹ Avrei dovuto aspettarmelo. › e se le prende pure, le manette, facendosele roteare su un dito. ‹ Allora? Come mai sei incazzato? ›
Come mai è incazzato? Per tutto. Tutto, tutto, tutto. Dai motivi più futili a quelli più profondi e inammissibili. Ma la rabbia è qualcosa che può ammettere, a differenza della tristezza. Perciò ora scrolla le spalle e risponde: «Non mancano mai le ragioni per cui incazzarsi! Tu non sei incazzata? Perché dovresti!» Che senso ha quel che ha detto? Per lui ne ha, okay.
Lei non è incazzata, è delusa. Però questo non lo specifica. Si limita ad aggrottare giusto un po’ la fronte, prima di strisciare sul divano per ritrovarsi più vicino a lui, piegando il capo in modo da arrivare a posarglielo su di una spalla. ‹ La vita è proprio una merda. › si limita a dire. Proprio / saggia /.
Gli piace la rabbia perché lo rende più forte. La delusione, invece, rende debole, esposto, vulnerabile, e lui, incapace di tollerarla, ha appreso come trasformarla in ira, come non renderla più un sentimento passivo. «Hey, hey, hey!» Si ritrova subito a dire, allontanandosi da lei solo per posare due dita sotto il suo mento e sollevarle il viso. A testa alta! «Se la vita è una merda la si prende a pugni, non si lascia che ci prenda a pugni!» Josh Russell ha appena detto una cosa intelligente? Dio, dev’essere grave... «Adesso facciamo una cosa. Tu mi dici quello che rende la vita una merda e dai un pugno...» Si toglie il cuscino da dietro la schiena. «...qui.»
A contrario, Sophia la rabbia la detesta; la detesta perché la rende irrequieta, irrefrenabile, violenta. La delusione, la tristezza... sono sentimenti con cui ha imparato a convivere, nel corso degli anni, che per quanto possano farle male al cuore riesce più o meno a gestire — nonostante ne sia vittima. Anche adesso, che lascia vagare lo sguardo chiaro nel vuoto prima di riportarlo sull’altro non appena sente la pressione di quelle dita sotto il mento. E non se lo aspettava. Non da Josh, almeno, tanto che sgrana un attimo gli occhi per la sorpresa, perché... insomma, quello che ha detto / ha senso /. Solo che Sophia è abituata a farsi “ prendere a pugni “! ‹ La vita fa schifo per così tante cose che potrei renderlo una pappina, quel cuscino. E pure la tua schiena. Non voglio farti male! › seria, adesso, perché / vabbè /: l’ultima volta che ha dato un pugno è stato qualche settimana prima, dritto sulla faccia di Selene e poi sul pavimento, ma ne sente ancora il formicolio nelle ossa.
Rotea gli occhi in modo plateale, benché con un certo divertimento che si manifesta nel suo sorriso. «Esagerata!» Esclama. Conoscendosi, poi, sa che se Sophia rifiutasse il gioco sarebbe arrabbiato anche per quello. Già, ha davvero, davvero bisogno di sfogarsi... insomma, gli ci vorrebbero a lui, i pugni nel cuscino! «Mi sottovaluti. Resisto benissimo, io! E pure questo mi sembra fatto con ottima stoffa.» ...Visto? Non ha già più senso quello che dice, forse.
Sophia a questo punto inarca un sopracciglio, scrutando l’altro dritto in volto per un / lunghissimo / lasso di tempo, prima di decidersi a parlare nuovamente. ‹ Okay, allora facciamo che ci sto — ma solo se poi dopo facciamo a cambio. › Perché insomma, non ci vuole mica un genio a capire che l’altro abbia / davvero / bisogno di sfogarsi! E se può aiutare... perché non dovrebbe farlo?
Sophia lo prende in contropiede perché... non aveva preso in considerazione, prima, di fare lui stesso ciò che ha proposto. Poi, però, si dice che non sarà un problema: non rivelerà chissà cosa, no? «Facciamo che ci sto anch’io!» Esclama. «Ma inizi tu!»
‹ Okay, d'accordo! › e si sistema meglio a sedere sul divano, con gli occhi rivolti a nulla e la fronte aggrottata –– nel tentativo di ricordare i maggiori motivi per cui la vita fa schifo. Quelli che può rivelare, almeno. ‹ Mio fratello ha lasciato Hogwarts. Mia madre continua a trattarmi come se fossi scema. Questa scuola è una merda, tranne che per poche persone. › ad ogni frase un pugno, e solo alla fine si tira indietro con un sospiro. ‹ Okay, tocca a te. ›
Regge con entrambe le mani il cuscino, lasciando che l’impatto di ogni colpo ne sia attutito. Ascolta, è naturale, ma è deciso a non commentare le tre affermazioni di Sophia: quel gioco è per uno sfogo, non per un giudizio. Non li sopporta proprio più, i giudizi, dato che ne dà già abbastanza a se stesso. Dopo aver passato il cuscino alla ragazza, allora, parla, pur non rivelando quel che non può esserlo: «Sono troppo stupido.» Un pugno. «Mio fratello è sempre meglio di me.» Un pugno. «Non passerò i G.U.F.O.» Un pugno. Non ha finito. «I miei mi ritireranno da Hogwarts.» Adesso ha finito. Sospira. Si sente più leggero, anche se è consapevole che non basta questo a far passare la rabbia.
Anche lei ascolta in silenzio, e solo poco dopo si porta il cuscino sotto il viso, rannicchiando le gambe al petto e stringendoselo contro. ‹ Non sei stupido. › si limita a dire, scrollando appena un po' le spalle, e sulla questione del fratello neanche ci mette bocca –– perché in un certo senso riesce a capire cosa intenda, cosa provi. Resta in silenzio ancora un po', il cuore che batte lentissimo. ‹ Magari possiamo fuggire prima che ti ritirino. › con un sorriso un po' vago, per smorzare la tensione.
«Tranquilla, non c’è bisogno che provi a consolarmi.» Ecco. Ecco come reagisce Josh a delle parole gentili. È che non ci crede, in effetti, che Sophia, o chiunque altro, possa non ritenerlo stupido –– secondo lui... lo è, e lo è in modo oggettivo, qualsiasi cosa questo voglia dire. Poi, però, si rilassa, appoggiandosi con la schiena al divano e puntando lo sguardo sul soffitto. «Quindi... Los Angeles. E poi? Seconda tappa?»
Aggrotta solo un attimo la fronte, lei, perché... ‹ Non sto provando a consolarti. Sono onesta. › con tanto di scrollatina di spalle, perché a dire la verità a lei Josh non l'è mai sembrato stupido. Solo che non aggiunge niente, perché lo sa bene com'è quando si è convinti di qualcosa e non v'è niente che possa farti cambiare idea. Quindi si limita a distendersi sul divano, posando il capo sul bracciolo e allungando una mano per tirarlo accanto a sé. ‹ Los Angeles, New York. Sai dove non sono mai andata? In Messico! ›
La tristezza si trasforma in rabbia o in battutine, a seconda dei giorni, a seconda dell’umore, a seconda della circostanza. Adesso, per esempio, dopo aver seguito la richiesta muta della ragazza ed essersi disteso accanto a lei, se ne esce con un sorriso velato di un’ombra e con un «Guarda che se ci mettiamo in questa posizione potrei non riuscire a controllare certe reazioni naturali». Frase che... vabbè... sapendo che l’unico modo in cui ha un’erezione con una ragazza è chiudendo gli occhi e pensando ad altro... fa ridere davvero, per non mettersi le mani tra i capelli... ma non lo sa nessuno e, dunque, si spera che faccia ridere lo stesso. «Messico! Non sono sicuro di vedertici, coi baffi e il sombrero!»
Sophia è abituata, a questo tipo di battute –– perciò rotea appena gli occhi al cielo, solo che... ecco, è una / battuta /. Si sente. Ed il modo in cui l'altro sorride, quasi indeciso, con quell'ombra che non lo rende autentico al cento percento, un po' le dà da pensare. Certo, non immagina il motivo reale che si cela dietro quello stato d'animo, però... ‹ Sono più che certa che saprai come contenerti! › ironica anche lei, ovviamente, mentre posa la guancia sulla sua spalla. Vabbè. Si mette a ridere solo una volta che ode le sue prossime parole, fingendosi indignata. ‹ Tu dici? Mah. Secondo me invece sarei bellissima. Potrei fare le treccine ai baffi come Jack Sparrow. ›
Esagera la maggior parte del tempo, Josh. È che, capirete bene, quando qualcosa non viene naturale e ci si costruisce una maschera, non è semplice evitare di creare una caricatura. Se è vero che l’ironia e i riferimenti sessuali sono allineati con la sua personalità, dunque, è anche vero che di frequente ne dice a dismisura per alimentare quella sua immagine da ragazzino in preda agli ormoni e attratto da qualsiasi ragazza esistente. «Naaah! Per carità! Vuoi mettere in versione Elizabeth Swann stretta in un corpetto? Quella sì che è tanta roba!»
Non è l’unico a vivere di apparenze, Josh, ché anche Sophia vi è abituata — e d’altronde a vivere in una famiglia come la sua non potrebbe essere diverso. Solo di recente ha lasciato ricadere la maschera, e non completamente: è difficile lasciarsi andare quando credi la tua mente sia malata. No? Però con Josh riesce ad essere più se stessa, con le spalle un po’ più rilassate nonostante il dolore e nessun cipiglio costantemente divertito dipinto sulla faccia. ‹ Non so, ho i miei dubbi al riguardo— › mentre si volta per guardarlo in viso, un sopracciglio appena inarcato. ‹ Secondo me i corpetti sono sopravvalutati. ›
❪ CONCLUSA ❫
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yesiamdrowning · 7 years
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radio baccano.
Qualche mese fa ho ripreso a fare radio. Qualcosina avevo fatto sul finire degli anni Novanta ma lì mi ero arenato. Lavorando in una scuola, grazie alla quella famosa legge sulla Buona Scuola, siamo riusciti ad avviare un progetto.
Ad ascoltare le loro voci acerbe e, soprattutto, la costruzione delle trasmissioni, non si direbbe che si tratti di speaker alle prime armi – la più piccola ha appena 15 anni. Invece, grazie all'impegno e soprattutto alla voglia di mettersi in gioco, è partito un team di giovani che si contraddistingue per l'originalità del tema scelto e la capacità di renderlo radiofonicamente. Assieme abbiamo montato il palinsesto delle prime puntate e delle altre due che concluderanno il periodo di start-up del progetto che, se andrà bene, diventerà un appuntamento fisso per tutti gli studenti della scuola e non solo.
Il lavoro è continuo. Stimolante ma totalizzante. Etimo con un peso specifico notevole, specie se si considerano le ore settimanali che già mi competono e il fatto che insegnare (e studiare) sia già di per sé un impegno monopolizzante. Così facendo, mi sono messo alla prova confrontandomi con le vite dei ragazzi che hanno deciso di seguirmi in questa piccola follia.
A differenza a quello che si poterebbe pensare, gli ostacoli più grandi non sono arrivati dalla scelta dei contenuti, da possibili censure della dirigenza scolastica o dal divario anagrafico tra il sottoscritto e il resto della redazione. Il nemico con cui io in primis e poi tutti abbiamo dovuto fare i conti è la Modernità, una bestia che non credevo ormai così tumorale e invasiva negli under-18. La modernità non serve infatti solo a vendere auto e rasoi a trentasei lame. In Italia, come temo nel resto del Mondo, la costante rapida evoluzione ha fatto sì che le fasce più giovani della popolazione vivano una realtà ferocemente distorta. In linguistica si chiama “sazietà semantica” quel fenomeno per il quale la reiterata ripetizione di una parola le fa perdere significato: al contrario, oggi, esistono parole che sono talmente in disuso che se n'è perso il senso.
Uno di questi è Radio.
Non si tratta solo ti roba desueta e oramai fuori moda, del sorridere sentendo parapioggia al posto di ombrello, di scambiare un walkman per una videocamera digitale o viversi un talent col trasporto di un concerto dal vivo. Qui si parla di destrutturare un'idea, prima di un oggetto, che esiste da 2OO anni. Esistono fenomeni culturali nati e diventati essenziali grazie alla radio: come il Rock, che esplode grazie a dj appassionati e lungimiranti, come il geniale Alan Freed o il capostipite della radio notturna Wolfman Jack - per non parlare poi di tutta la tradizione dell’Hörspiel, ovvero il radiodramma, o delle sperimentazioni di Stockhausen, avvenute proprio alla WDR di Colonia.  
E qui iniziano i problemi. Trovandoci a fare i conti con fraintendimenti e inesattezze, che in qualche occasione hanno rischiato provocare defezioni o mandare in vacca l'intero progetto. Su sei ragazzi coinvolti, tutti sono partiti dalla convinzione che Radio e Youtube fossero simili. “Solo che in radio non ti vedono”. Sembra una stupidata da fare circolare magari come barzelletta, ma la faccenda è più seria. Per capirci: anni fa, al Tg2, a un bambino di Milano portato in gita con la scuola in campagna chiesero: “Com'è il pollo?” e quello placido rispose: “Con le patatine!”. Il tutto sottintendeva che il seienne, non solo non avesse mai visto un pollo vivo ma lo avesse fissato nella sua mente in un unico modo, come glielo preparava (presumibilmente) sua madre, ovvero al forno con le patatine. Allo stesso modo, con circa dieci anni di “aggravante”, i miei alunni non solo non avevano mai avuto a che fare con una trasmissione radiofonica ma credevano che la cosa più vicina alla radio, come contenuti, forma, tecnica o tempi fosse Youtube - neanche Soundcloud, proprio Youtube. Una cosa che chiarisce la natura schizofrenica del moderno. Da una parte totalmente privato, dal momento che chiunque, dai zero a cent'anni, può farsi un'idea di cosa sia cosa sul web senza doversi preoccupare che questa coincida al vero o dello stigma di dovere interagire con supposti insegnanti – troppo presi dai loro compiti per curarsi che i loro allievi sappiano cosa sia realmente un pollo o un parapioggia, figuriamoci il broadcasting. E dall'altro pubblico perché, attraverso i social, l'idea errata spesso si dipana e a volte finisce per essere rappresentativa del pensare dei più. Stiamo, in buona sostanza, auto-creando un reale farlocco per sentirci parte di comunità finte. Così, supporre che una sola recensione in radio non possa durare 3O minuti a oltranza come sul canale di Anthony Fantano o un approfondimento 6O secondi come in quello di Michele Maraglino o non si possano trasmettere 4 ore di musica saltando solo da un titolo a un altro – o comunque questo modo di fare troverebbe difficilmente una collocazione* - ha fatto cadere dal pero tutti. Concetti apparentemente facili come scaletta, stacco, intermezzo, drive-time o persino console, hanno suscitato sguardi persi e impauriti. Siamo partiti così quasi da zero, con sei e-reader che non hanno mai preso in mano una copia di Guerra & Pace convinti che On Air fosse la scritta che appare quando un aereo decolla, e siamo arrivati a creare un ciclo di trasmissioni dal titolo “Musica tra storia e leggenda”, ascoltabili sulle frequenze di una radio locale che trasmette anche sul web e app per smart. L'idea dei ragazzi era di affrontare il mondo della musica, partendo dagli strumenti (dalla m'bira alla chitarra, dal banjo al theremin, passando per il flauto traverso) dalla loro nascita e giungere alle applicazioni nella musica odierna. Ne è venuto fuori un mix tra miti (da sfatare e non) e storia, senza dimenticare l'approccio didattico e un briciolo di critica, intercalati dalla messa in onda di brani e live in studio con alcuni degli strumenti trattati. Abbiamo provato a sfidare i nostri limiti, culturali e tecnici soprattutto e, nel mio caso, ad apprendere oltre a insegnare qualcosa (è incredibile come un adolescente sappia calarsi più di me nel mondo dei Poadcast): liberi di non concordare, di non accettare e di porre interrogativi in uno sforzo continuo alla ricerca di costruire qualcosa di buono e magari duraturo. L'idea è di un laboratorio perenne, senza membri fissi. Mi chiedo soltanto cosa sarà dei ragazzi già dal prossimo anno, quando la graduatoria mi porterà di sicuro altrove, se avranno ancora la possibilità di continuare o se la domanda verrà respinta. Chissà se ci sarà modo di continuare a vederci. Di restare sintonizzati. Chissà...
*Salvo in qualche radio libera e neanche è detto che sia così.
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ilapond · 8 years
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Trascrizione del discorso di David Foster Wallace per la cerimonia delle lauree al Kenyon college, 21 maggio 2005
Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?”È una caratteristica comune ai discorsi nelle cerimonie di consegna dei diplomi negli Stati Uniti di presentare delle storielle in forma di piccoli apologhi istruttivi. La storia è forse una delle migliori, tra le meno stupidamente convenzionali nel genere, ma se vi state preoccupando che io pensi di presentarmi qui come il vecchio pesce saggio, spiegando cosa sia l’acqua a voi giovani pesci, beh, vi prego, non fatelo. Non sono il vecchio pesce saggio. Il succo della storia dei pesci è solamente che spesso le più ovvie e importanti realtà sono quelle più difficili da vedere e di cui parlare. Espresso in linguaggio ordinario, naturalmente diventa subito un banale luogo comune, ma il fatto è che nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli adulti, i banali luoghi comuni possono essere questioni di vita o di morte, o meglio, è questo ciò che vorrei cercare di farvi capire in questa piacevole mattinata di sole.Chiaramente, l’esigenza principale in discorsi come questo è che si suppone vi parli del significato dell vostra educazione umanistica, e provi a spiegarvi perché il diploma che state per ricevere ha un effettivo valore sul piano umano e non soltanto su quello puramente materiale. Per questo, lasciatemi esaminare il più diffuso stereotipo nei discorsi fatti a questo tipo di cerimonie, ossia che che la vostra educazione umanistica non consista tanto “nel fornirvi delle conoscenze”, quanto “nell’insegnarvi a pensare”.
Se siete come me quando ero studente, non vi sarà mai piaciuto ascoltare questo genere di cose, e avrete tendenza a sentirvi un po’ insultati dall’affermazione che dobbiate aver bisogno di qualcuno per insegnarvi a pensare, poiché il fatto stesso che siete stati ammessi a frequentare un college così prestigioso vi sembra una dimostrazione del fatto che già sapete pensare. Ma vorrei convincervi che lo stereotipo dell’educazione umanistica in realtà non è per nulla offensivo, perché la vera educazione a pensare, che si pensa si debba riuscire ad avere in un posto come questo, non riguarda affatto la capacità di pensare, ma piuttosto la scelta di cosa pensare. Se la vostra assoluta libertà di scelta su cosa pensare vi sembrasse troppo ovvia per perdere del tempo a discuterne, allora vorrei chiedervi di pensare al pesce e all’acqua, e a mettere tra parentesi anche solo per pochi minuti il vostro scetticismo circa il valore di ciò che è completamente ovvio.
Ecco un’altra piccola storia istruttiva. Ci sono due tizi che siedono insieme al bar in un posto sperduto e selvaggio in Alaska. Uno dei due tizi è credente, l’altro è ateo, e stanno discutendo sull’esistenza di Dio, con quell’intensità particolare che si stabilisce più o meno dopo la quarta birra. E l’ateo dice: “Guarda, non è che non abbia ragioni per non credere. Ho avuto anche io a che fare con quella roba di Dio e della preghiera. Proprio un mese fa mi sono trovato lontano dal campo in una terribile tormenta, e mi ero completamente perso e non riuscivo a vedere nulla, e facevano 45 gradi sotto zero, e così ho provato: mi sono buttato in ginocchio nella neve e ho urlato ‘Oh Dio, se c’è un Dio, mi sono perso nella tormenta, e morirò tra poco se tu non mi aiuterai’.” E a questo punto, nel bar, il credente guarda l’ateo con aria perplessa “Bene, allora adesso dovrai credere” dice, “sei o non sei ancora vivo?” E l’ateo, alzando gli occhi al cielo “Ma no, è successo invece che una coppia di eschimesi, che passava di lì per caso, mi ha indicato la strada per tornare al campo.”
È facile interpretare questa storiella con gli strumenti tipici dell’analisi umanistica: la stessa precisa esperienza può avere due significati totalmente diversi per due persone diverse, avendo queste persone due diversi sistemi di credenze e due diversi modi di ricostruire il significato dall’esperienza. Poiché siamo convinti del valore della tollerenza e della varietà delle convinzioni, in nessun modo la nostra analisi umanistica vorrà affermare che l’interpretazione di uno dei due tizi sia giusta a quella dell’altro falsa o cattiva. E questo va anche bene, tranne per il fatto che in questo modo non si riesce mai a discutere da dove abbiano origine questi schemi e credenze individuali. Voglio dire, da dove essi vengano dall’INTERNO dei due tizi. Come se l’orientamento fondamentale verso il mondo di una persona e il significato della sua esperienza fossero in qualche modo intrinseci e difficilmente modificabili, come l’altezza o il numero di scarpe, o automaticamente assorbiti dal contesto culturale, come il linguaggio. Come se il modo in cui noi costruiamo il significato non fosse in realtà un fatto personale, frutto di una scelta intenzionale. Inoltre, c’è anche il problema dell’arroganza. Il tizio non credente è totalmente certo nel suo rifiuto della possibilità che il passaggio degli eschimesi abbia qualche cosa a che fare con la sua preghiera. Certo, ci sono un sacco di credenti che appaiono arroganti e anche alcune delle loro interpretazioni. E sono probabilmente anche peggio degli atei, almeno per molti di noi. Ma il problema del credente dogmatico è esattamente uguale a quello del non credente: una certezza cieca, una mentalità chiusa che equivale a un imprigionamento così totale che il prigioniero non si accorge nemmeno di essere rinchiuso.
Il punto che vorrei sottolineare qui è che credo che questo sia una parte di ciò che vuole realmente significare insegnarmi a pensare. A essere un po’ meno arrogante. Ad avere anche solo un po’ di coscienza critica su di me e le mie certezze. Perché una larga percentuale di cose sulle quali tendo a essere automaticamente certo risulta essere totalmente sbagliata e deludente. Ho imparato questo da solo e a mie spese, e così immagino sarà per voi una volta laureati.
Ecco un esempio della totale falsità di qualche cosa su cui tendo ad essere automaticamente sicuro: nella mia esperienza immediata, tutto tende a confermare la mia profonda convinzione che io sia il centro assoluto dell’universo, la più reale e vivida e importante persona che esista. Raramente pensiamo a questa specie di naturale, fondamentale egocentrismo, perché è qualche cosa di socialmente odioso. Ma in effetti è lo stesso per tutti noi. È la nostra configurazione di base, codificata nei nostri circuiti fin dalla nascita. Pensateci: non c’è nessuna esperienza che abbiate fatto di cui non ne siate il centro assoluto. Il mondo, così come voi lo conoscete, è lì davanti a VOI o dietro di VOI, o alla VOSTRA sinistra o alla VOSTRA destra, sulla VOSTRA TV o sul VOSTRO schermo. E così via. I pensieri e i sentimenti delle altre persone devono esservi comunicati in qualche modo, ma i vostri sono così immediati, urgenti, reali.
Adesso vi prego di non pensare che io voglia farvi una lezione sulla compassione o la sincerità o altre cosiddette “virtù”. Il problema non è la virtù. Il problema è di scegliere di fare il lavoro di adattarsi e affrancarsi dalla configurazione di base, naturale e codificata in noi, che ci fa essere profondamente e letteralmente centrati su noi stessi, e ci fa vedere e interpretare ogni cosa attraverso questa lente del sé. Le persone che riescono ad adattare la loro configurazione di base sono spesso descritti come “ben adattati”, che credo non sia un termine casuale. Considerando la trionfale cornice accademica in cui siamo, viene spontaneo porsi il problema di quanto di questo lavoro di autoregolazione della nostra configurazione di base coinvolga conoscenze effettive e il nostro stesso intelletto. Questo problema è veramente molto complicato. Probabilmente la più pericolosa conseguenza di un’educazione accademica, almeno nel mio caso, è che ha permesso di svilupparmi verso della roba super-intellettualizzata, di perdermi in argomenti astratti dentro la mia testa e, invece di fare semplicemente attenzione a ciò che mi capita sotto al naso, fare solo attenzione a ciò che capita dentro di me.Come saprete già da un pezzo, è molto difficile rimanere consapevoli e attenti, invece di lasciarsi ipnotizzare dal monologo costante all’interno della vostra
testa (potrebbe anche stare succedendo in questo momento). Vent’anni dopo essermi laureato, sono riuscito lentamente a capire che lo stereotipo dell’educazione umanistica che vi “insegna a pensare” è in realtà solo un modo sintentico per esprimere un’idea molto piu significativa e profonda: “imparare a pensare” vuol dire in effetti imparare a esercitare un qualche controllo su come e cosa pensi. Significa anche essere abbastanza consapevoli e coscienti per scegliere a cosa prestare attenzione e come dare un senso all’esperienza. Perché, se non potrete esercitare questo tipo di scelta nella vostra vita adulta, allora sarete veramente nei guai. Pensate al vecchio luogo comune della “mente come ottimo servitore, ma pessimo padrone”. Questo, come molti luoghi comuni, così inadeguati e poco entusiasmanti in superficie, in realtà esprime una grande e terribile verità. Non a caso gli adulti che si suicidano con armi da fuoco quasi sempre si sparano alla testa. Sparano al loro pessimo padrone. E la verità è che molte di queste persone sono in effetti già morte molto prima di aver premuto il grilletto.
E vi dico anche quale dovrebbe essere l’obiettivo reale su cui si dovrebbe fondare la vostra educazione umanistica: come evitare di passare la vostra confortevole, prosperosa, rispettabile vita adulta, come dei morti, incoscienti, schiavi delle vostre teste e della vostra solita configurazione di base per cui “in ogni momento” siete unicamente, completamente, imperiosamente soli. Questo potrebbe suonarvi come un’iperbole o un’astrazione senza senso. Cerchiamo di essere concreti. Il fatto puro e semplice è che voi laureati non avete ancora nessun’idea di cosa “in ogni momento” significhi veramente. Questo perché nessuno parla mai, in queste cerimonie delle lauree, di una grossa parte della vita adulta americana. Questa parte include la noia, la routine e la meschina frustrazione. I genitori e i più anziani tra di voi sapranno anche troppo bene di cosa sto parlando.
Tanto per fare un esempio, prendiamo una tipica giornata da adulto, e voi che vi svegliate la mattina, andate al vostro impegnativo lavoro da colletto-bianco-laureato-all’università, e lavorate duro per otto o dieci ore, fino a che, alla fine della giornata, siete stanchi e anche un po’ stressati e tutto ciò che vorreste sarebbe di tornarvene casa, godervi una bella cenetta e forse rilassarvi un po’ per un’oretta, per poi ficcarvi presto nel vostro letto perché, evidentemente, dovrete svegliarvi presto il giorno dopo per ricominciare tutto da capo. Ma, a questo punto, vi ricordate che non avete nulla da mangiare a casa. Non avete avuto tempo di fare la spesa questa settimana a causa del vostro lavoro così impegnativo, per cui, uscendo dal lavoro, dovete mettervi in macchina e guidare fino al supermercato. È l’ora di punta e il traffico è parecchio intenso. Per cui per arrivare al supermercato ci mettete moltissimo tempo, e quando finalmente arrivate, lo trovate pieno di gente, perché naturalmente è proprio il momento del giorno in cui tutti quelli che lavorano come voi cercano di sgusciare in qualche negozio di alimentari. E il supermercato è disgustosamente illuminato e riempito con della musica di sottofondo abbrutente o del pop commerciale, ed è proprio l’ultimo posto in cui vorreste essere, ma non potete entrare e uscire rapidamente, vi tocca vagare su e giù tra le corsie caotiche di questo enorme negozio super-illuminato per trovare la roba che volete e dovete manovrare con il vostro carrello scassato nel mezzo delle altre persone, anche loro stanche e di fretta come voi, con i loro carrelli (eccetera, eccetera, ci dò un taglio poiché è una cerimonia piuttosto lunga) e alla fine riuscite a raccogliere tutti gli ingredienti della vostra cena, e scoprite che non ci sono abbastanza casse aperte per pagare, anche se è l’ora-di-punta-di-fine-giornata. Cosi la fila per pagare è incredibilmente lunga, che è una cosa stupida e che vi fa arrabbiare. Ma voi non potete sfogare la vostra frustrazione sulla povera signorina tutta agitata alla cassa, che è superstressata da un lavoro la cui noia quotidiana e insensatezza supera l’immaginazione di ognuno di noi qui in questa prestigiosa Università.
Ma in ogni modo, finalmente arrivate in fondo a questa fila, pagate per il vostro cibo, e vi viene detto “buona giornata” con una voce che è proprio la voce dell’oltretomba. Quindi dovete portare quelle orrende, sottili buste di plastica del supermercato nel vostro carrello con una ruota impazzita che spinge in modo esasperante verso sinistra, di nuovo attraverso il parcheggio affollato, pieno di
buche e di rifiuti, e guidare verso casa di nuovo attraverso il traffico dell’ora di punta, lento, intenso, pieno di SUV, ecc.
A tutti noi questo è capitato, certamente. Ma non è ancora diventato parte della routine della vostra vita effettiva di laureati, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, anno dopo anno. Ma lo sarà. E inoltre ci saranno tante altre routine apparentemente insignificanti, noiose e fastidiose. Ma non è questo il punto. Il punto è che è proprio con stronzate meschine e frustranti come questa che interviene la possibilità di scelta. Perché il traffico e le corsie affollate del supermercato e la lunga coda alla cassa mi danno il tempo di pensare, e se io non decido in modo meditato su come pensare e a cosa prestare attenzione, sarò incazzato e infelice ogni volta che andrò a fare la spesa. Perché la mia naturale configurazione di base è la certezza che situazioni come questa riguardino solo me. La MIA fame e la MIA stanchezza e il MIO desiderio di andarmene a casa, e mi sembrerà che ogni altra persona al mondo stia lì ad ostacolarmi. E chi sono poi queste persone che mi ostacolano? E guardate come molti di loro sono repellenti, e come sembrano stupidi e bovini e con gli occhi spenti e non-umani nella coda alla cassa, o anche come è fastidioso e volgare che le persone stiano tutto il tempo a urlare nei loro cellulari mentre sono nel mezzo della fila. E guardate quanto tutto ciò sia profondamente e personalmente ingiusto.
Oppure, se la mia configurazione di base è più vicina alla coscienza sociale e umanistica, posso passare un bel po’ di tempo nel traffico di fine giornata a essere disgustato da tutti quei grossi, stupidi SUV e Hummers e furgoni con motori a 12 valvole, che bloccano la strada e consumano il loro costoso, egoistico serbatoio da 40 galloni di benzina, e posso anche soffermarmi sul fatto che gli adesivi patriottici e religiosi sembrano essere sempre sui veicoli più grandi e più disgustosamente egoisti, guidati dai più brutti, più incoscienti e aggressivi dei guidatori. (Attenzione, questo è un esempio di come NON bisogna pensare...) E posso pensare che i figli dei nostri figli ci disprezzeranno per aver sprecato tutto il carburante del futuro e avere probabilmente fottuto il clima, e che noi tutti siamo viziati e stupidi ed egoisti e ripugnanti, e che la moderna civiltà dei consumi faccia proprio schifo, e così via.
Avete capito l’idea.
Se scelgo di pensare in questo modo in un supermercato o sulla superstrada, va bene. Un sacco di noi lo fanno. Tranne che il fatto di pensare in questo modo diventa nel tempo così facile e automatico che non è più nemmeno una vera scelta. Diventa la mia configurazione di base. È questa la modalità automatica in cui vivo le parti noiose, frustranti, affollate della mia vita da adulto, quando sto operando all’interno della convinzione automatica e inconscia di essere il centro del mondo, e che i miei bisogni e i miei sentimenti prossimi sono ciò che determina le priorità del mondo intero.
In realtà, naturalmente, ci sono molti modi diversi di pensare in questo tipo di situazioni. Nel traffico, con tutte queste macchine ferme e immobili davanti a me, non è impossibile che una delle persone nei SUV abbia avuto un orribile incidente d’auto nel passato, e adesso sia cosi terrorizzata dal guidare che il suo terapista le ha ordinato di prendere un grosso e pesante SUV, così che possa sentirsi abbastanza sicura quando guida. O che quell’Hummer che mi ha appena tagliato la strada sia forse guidato da un padre il cui figlio piccolo è ferito o malato nel sedile accanto a lui, e stia cercando di portarlo in ospedale, ed abbia quindi leggitimamente molto più fretta di me: in effetti sono io che blocco la SUA strada.
Oppure posso sforzarmi di considerare la possibilità che tutti gli altri nella fila alla cassa del supermercato siano stanchi e frustrati come lo sono io, e che alcune di queste persone probabilmente abbiano una vita molto più dura, noiosa e dolorosa della mia.
Di nuovo, vi prego di non pensare che vi stia dando dei consigli morali, o vi stia dicendo che dovreste pensare in questo modo, o che qualcuno si aspetta da voi che lo facciate. Perché è difficile. Richiede volontà e fatica, e se voi siete come me, in certi giorni non sarete capaci di farlo, o più semplicemente non ne avrete voglia.
Ma molte altre volte, se sarete abbastanza coscienti da darvi la possibilità di scegliere, voi potrete scegliere di guardare in un altro modo a questa grassa signora super-truccata e con gli occhi spenti che ha appena sgridato il suo bambino nella coda alla cassa. Forse non è sempre così. Forse è stata sveglia per tre notti di seguito tenendo la mano del marito che sta morendo di un cancro alle ossa. O forse questa signora è l’impiegata meno pagata della motorizzazione, che proprio ieri ha aiutato vostra moglie a risolvere un orribile e snervante problema burocratico con alcuni piccoli atti di gentilezza amministrativa.
Va bene, nessuno di questi casi è molto probabile, ma non è nemmeno completamente impossibile. Dipende da cosa volete considerare. Se siete automaticamente sicuri di sapere cos’è la realtà, e state operando sulla base della vostra configurazione di base, allora voi, come me, probabilmente non avrete voglia di considerare possibilità che non siano fastidiose e deprimenti. Ma se imparate realmente a concentrarvi, allora saprete che ci sono altre opzioni possibili. Avrete il potere di vivere una lenta, calda, affollata esperienza da inferno del consumatore, e renderla non soltanto significativa, ma anche sacra, ispirata dalle stesse forze che formano le stelle: amore, amicizia, la mistica unità di tutte le cose fuse insieme. Non che la roba mistica sia necessariamente vera. La sola cosa che è Vera con la V maiuscola è che sta a voi decidere di vederlo o meno.
Questa, credo, sia la libertà data da una vera educazione, di poter imparare ad essere “ben adattati”. Voi potrete decidere con coscienza che cosa ha significato e che cosa non lo ha. Potrete scegliere in cosa volete credere. Ed ecco un’altra cosa che può sembrare strana, ma che è vera: nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli adulti non c’è posto per una cosa come l’ateismo. Non è possibile non adorare qualche cosa. Tutti credono. La sola scelta che abbiamo è su che cosa adorare. E forse la più convincente ragione per scegliere qualche sorta di dio o una cosa di tipo spirituale da adorare – sia essa Gesù Cristo o Allah, sia che abbiate fede in Geova o nella Santa Madre Wicca, o nelle Quattro Nobili Verità, o in qualche inviolabile insieme di principi etici – è che praticamente qualsiasi altra cosa in cui crederete finirà per mangiarvi vivo. Se adorerete il denaro o le cose, se a queste cose affiderete il vero significato della vita, allora vi sembrerà di non averne mai abbastanza. È questa la verità. Adorate il vostro corpo e la bellezza e l’attrazione sessuale e vi sentirete sempre brutti. E quando i segni del tempo e dell’età si cominceranno a mostrare, voi morirete un milione di volte prima che abbiano ragione di voi. Ad un certo livello tutti sanno queste cose. Sono state codificate in miti, proverbi, luoghi comuni, epigrammi, parabole, sono la struttura di ogni grande racconto. Il trucco sta tutto nel tenere ben presente questa verità nella coscienza quotidiana.Adorate il potere, e finirete per sentirvi deboli e impauriti, e avrete bisogno di avere sempre più potere sugli altri per rendervi insensibili alle vostre proprie paure. Adorate il vostro intelletto, cercate di essere considerati intelligenti, e finirete per sentirvi stupidi, degli impostori, sempre sul punto di essere scoperti. Ma la cosa insidiosa di queste forme di adorazione non è che siano cattive o peccaminose, è che sono inconsce. Sono la configurazione di base.
Sono forme di adorazione in cui scivolate lentamente, giorno dopo giorno, diventando sempre più selettivi su quello che volete vedere e su come lo valutate, senza essere mai pienamente consci di quello che state facendo.
E il cosiddetto “mondo reale” non vi scoraggerà dall’operare con la configurazione di base, poiché il cosiddetto “mondo reale” degli uomini e del denaro e del potere canticchia allegramente sul bordo di una pozza di paura e rabbia e frustrazione e desiderio e adorazione di sé. La cultura
contemporanea ha imbrigliato queste forze in modo da produrre una ricchezza straordinaria e comodità e libertà personale. La libertà di essere tutti dei signori di minuscoli regni grandi come il nostro cranio, soli al centro del creato. Questo tipo di libertà ha molti lati positivi. Ma naturalmente vi sono molti altri tipi di libertà, e del tipo che è il più prezioso di tutti, voi non sentirete proprio parlare nel grande mondo esterno del volere, dell’ottenere e del mostrarsi. La libertà del tipo più importante richiede attenzione e consapevolezza e disciplina, e di essere veramente capaci di interessarsi ad altre persone e a sacrificarsi per loro più e più volte ogni giorno in una miriade di modi insignificani e poco attraenti.
Questa è la vera libertà. Questo è essere istruiti e capire come si pensa. L’alternativa è l’incoscienza, la configurazione di base, la corsa al successo, il senso costante e lancinante di aver avuto, e perso, qualcosa di infinito.
Lo so che questa roba probabilmente non vi sembrerà molto divertente o ispirata, come un discorso per questo di genere di cerimonie dovrebbe sembrare. In questo consiste però, per come la vedo io, la Verità con la V maiuscola, scrostata da un sacco di stronzate retoriche. Certamente, siete liberi di pensare quello che volete di tutto questo. Ma per favore non scartatelo come se fosse una sermone ammonitorio alla Dr. Laura. Niente di questa roba è sulla morale o la religione o il dogma o sul grande problema della vita dopo la morte. La Verità con la V maiuscola è sulla vita PRIMA della morte. È sul valore reale di una vera istruzione, che non ha quasi nulla a che spartire con la conoscenza e molto a che fare con la semplice consapevolezza, consapevolezza di cosa è reale ed essenziale, ben nascosto, ma in piena vista davanti a noi, in ogni momento, per cui non dobbiamo smettere di ricordarci più e più volte: “Questa è acqua, questa è acqua.”
È straordinariamente difficile da fare, rimanere coscienti e consapevoli nel mondo adulto, in ogni momento. Questo vuol dire che anche un altro dei grandi luoghi comuni finisce per rivelarsi vero: la vostra educazione è realmente un lavoro che dura tutta la vita. 
E comincia ora.
Auguro a tutti una grossa dose di fortuna.
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pangeanews · 4 years
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“Preferirei starmene seduta a vendere tortillas, piuttosto di avere a che fare con quegli artisti spocchiosi…”. Frida a Parigi. Tra pregiudizi e amori spregiudicati, viva la Kahlo!
Siamo nella seconda settimana di marzo a Parigi, e ancora il covid-19 non ha interrotto del tutto le attività cittadine. Soggiorno all’Hotel La Louisianne, il luogo di ritrovo di Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Charlie Parker, Miles Davies, Cy Twombly, e molti altri: un originale tuffo nel passato proprio nel cuore del Sesto Arrondissement. Passo le mie giornate ripercorrendo i passi delle icone della letteratura e dell’arte. A quanto pare, le vicende di Frida Kahlo a Parigi nel 1939, di cui tratta l’ultimo libro di Marc Petitjean, The Heart. Frida Kahlo in Paris, mi ossessionano ovunque mi trovi. Passeggio lungo la Senna nei pressi del Louvre, ed ecco che mi ritrovo a fissare l’Hotel Regina Louvre, nel quale mi sono appena imbattuto, leggendo. Individuo la statua dorata di Giovanna D’Arco che piaceva moltissimo alla Kahlo – sembra che Frida si sentisse a lei affine – e immagino di assistere a una scena narrata nella smilza biografia nel mio zainetto: la Kahlo esce a precipizio dalla sua camera al sesto piano per balzare nell’auto di André Breton diretta verso l’ennesima cena in compagnia che l’avrebbe, ancora una volta, delusa.
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Penso a quella volta che la Kahlo, in risposta al suggerimento di usare un “bastone da passeggio”, dice al suo amante di non voler mettere in evidenza le proprie condizioni fisiche: “preferisco soffrire come una bestia da soma piuttosto che mi vedano come un’invalida”. Io pure ho evitato di portarmi una mazza in viaggio benché abbia un’invalidità parziale. Inoltre, il modo in cui Frida si fa beffe di Parigi in queste pagine è davvero squisito. Ripenso alle rimostranze infinite della Kahlo: “Non hai idea di quanto sia spocchiosa questa gente”. Ha alle spalle sofferenze di cuore: l’uomo della sua vita, Diego Rivera, le è stato infedele, con sua sorella Cristina, poi, e ora le sta pure chiedendo il divorzio. Lei si butta a capofitto in un lavoro commissionatole da New York – un dipinto che rappresenti il suicidio dell’attrice americana Dorothy Hale – e ha una relazione con il fotografo Nickolas Muray. Sembra avere il presentimento che Parigi la cambierà ma ancora non sa in che modo. Sebbene la sua cerchia di artisti includa personaggi quali Man Ray, Picasso, Dora Maar, Kandinsky, Duchamp e Breton, il più significativo degli ammiratori, sebbene tra i meno noti, nonché il miglior frutto del suo soggiorno, sarà Michel Petijean, che si dà il caso sia il padre dell’autore del libro.
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Al termine del viaggio, la lettura di The Heart ha avuto su di me un effetto paragonabile a quello della stessa Parigi. Un gioiello di libro, frizzante e conciso, una vera delizia dall’inizio alla fine, che lo si prenda come una saga ultra-generazionale di passioni e cuori spezzati, un’improbabile ma splendida narrazione dei rapporti tra padre e figlio, una classica love story tra l’artista e la sua musa, o un ammonimento sulla città più incensata della terra.
Ci rendiamo conto che il padre dell’autore ha a che vedere con il titolo, The Heart, almeno quanto il dipinto a cui si riferisce: il celebre autoritratto della Kahlo del 1937, un distillato di angoscia e smembramento emozionale. L’opera di Frida, offerta a Michel come dono d’addio, è restata appesa nella casa in cui Marc è cresciuto senza che lui avesse la più pallida idea di cosa celasse. Da uno scrittore messicano che lo ha contattato, scopre che il padre non era una semplice conoscenza della Kahlo ma che aveva avuto una relazione con lei durante “una delle fasi migliori della sua vita”. Immaginate cosa voglia dire rendersi conto solo a una certa età che il proprio padre ha avuto una breve ma intensa storia d’amore con Frida Kahlo!
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Il periodo parigino della Kahlo ha avuto un’importanza cruciale nella sua vita. Soltanto là è stata in grado di liberarsi dell’appellativo di “Mrs Diego Rivera”. Sebbene restia, Frida fa ora parte del selezionatissimo entourage di artisti surrealisti di Breton, e proprio per la sua marginalità gode di speciali attenzioni. Come conseguenza, la Kahlo, il cui legato è stato ripreso dalla critica e dalle artiste femministe, è stata spesso esaltata per lo spirito indipendente e iconoclasta. Qualità che sembrano essere maturate durante quei due mesi a Parigi, un periodo di cui si è scritto ben poco, nota Petitjean, ma che assume per lui un’importanza capitale, come sappiamo, nel tentativo di comprendere sia l’artista sia il proprio padre.
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Parte del miracolo operato da questo libro di memorie è che l’autore riesce a rendere la figura del padre accattivante quanto quella di Frida. “Ad essere sinceri, mi rendo conto adesso di aver saputo molto poco della vita di mio padre”, ammette, e un senso di mistero ci accompagna attraverso gli scabrosi intrecci narrativi.
È arduo definire con precisione chi fosse Michel Petitjean, persino per il suo stesso figlio, dato che Michel “non sembrava aspirare a una carriera ma desiderava piuttosto una vita movimentata in mezzo ad artisti, intellettuali e vari personaggi politici”. Infine, dopo aver seguito le sue varie aspirazioni, trascorse diversi anni in un campo di concentramento nazista per aver collaborato con la Resistenza. Ha avuto una vita senz’altro interessante ma, proprio come in queste pagine l’enorme fama di artista della Kahlo resta quasi per miracolo in secondo piano rispetto alla sua relazione con Michel, in The Heart ci interessa soltanto il suo ruolo di amante devoto e passionale.
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Ancora una volta siamo conquistati dal fascino e dall’irriverenza di Frida, brillante e insolente come sempre in tutti gli aneddoti. Considera indegni di lei i compromessi e le maniere di Breton e finisce per coinvolgersi sessualmente con la moglie, Jacqueline Lamba (a Breton è permesso di stare a guardare). Troviamo inoltre molto divertente lo sdegno della Kahlo per la cultura francese – in particolar modo per le cerchie di artisti – espresso a più riprese. “Preferirei di gran lunga starmene seduta sul selciato al mercato di Toluca a vendere tortillas, piuttosto di avere a che fare con quegli artisti spocchiosi di Parigi” (‘spocchiosi’ sembra essere l’appellativo favorito per i parigini!). Si direbbe davvero che i francesi la fraintendano; a un certo punto, il poeta Robert Desnos dice al padre di Petitjean: “la sua amica è graziosa, potrebbe essere uscita da un’esposizione del museo etnografico”. Ma noi siamo convinti che Petitjean “sia attratto dalla sua personalità e dalla sua cultura piuttosto che dal suo aspetto esotico, ‘etnico’, per così dire”. In altre circostanze, questo sembrerebbe dubbio, ma dato il carattere di Michel, ci crediamo. Entrambi i Petitjean ottengono la nostra piena adesione, tanto da non mettere in discussione la loro magnanimità da occidentali su certe questioni imbarazzanti. Mentre la Francia e i francesi sono sminuiti dall’autore, seppur francese, il Messico della Kahlo è esaltato come il fulcro dell’arte: “Il Messico non aveva alcun bisogno del surrealismo. In effetti, è vero l’opposto: il surrealismo contava sul contatto col Messico per rigenerarsi”. Nella logica di The Heart, sappiamo che lo spirito dell’arte può risiedere ovunque, che sia Città del Messico o New York City. Sembra destino che in Francia ogni cosa si riveli per la Kahlo comicamente non all’altezza, senza rimedio, fatta eccezione per l’amore.
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Petitjean dimentica talvolta di attenersi ai fatti, mentre espone con troppo fervore le proprie fantasie: “lei trascorre tutto il pomeriggio in camicia da notte alla finestra dal vetro appannato, tracciandovi forme col dito mentre canterella una nenia messicana. Volta a volta compaiono una casa, delle facce, alberi, e poi un animale. Li cancella man mano”. L’autore risulta assai più efficace quando tratta il suo soggetto da regista di documentari quale è, dubitando delle cose di cui non ha certezza: “Cerco di raffigurarmi la prima sera in cui gli innamorati entrarono nella camera di Marcel Duchamp… È stato mio padre a girare la maniglia e ad aprire la porta? Si tenevano per mano?”.
*
The Heart è una sorprendente raccolta di frammenti biografici di gente famosa e una rassegna di pettegolezzi rivelatori sui maggiori esponenti del surrealismo. Il lettore si imbatte in un’improbabile serie di icone, da Lev Trotsky a Elsa Schiaparelli, a poche pagine di distanza, ma persino in simile compagnia i nostri innamorati rubano la scena.
Solo alla fine del libro ci facciamo un’idea di chi sia davvero l’autore. Pur sapendo che Marc Petitjean è cresciuto nella casa in cui si trovava l’enigmatico dipinto, non scopriamo in quale misura questo abbia influito su di lui e sulla sua carriera se non nelle ultime pagine: “Il dipinto di Frida mi aveva aperto una strada: se avessi deciso di farlo, avrei saputo come esprimere in piena libertà le cose che non potevo dire a parole attraverso forme, colori e metafore”.
Mentre attraversavo una Parigi ancora brulicante di gente, ma in procinto di fermarsi, per tornare a New York a fronteggiare una quarantena dagli esiti incerti – una condizione tuttora in atto dopo settimane – continuavo a pensare a Frida.  È assai probabile che quello descritto nel libro di Petitjean sia stato l’ultimo periodo spensierato della vita di Frida, alla vigilia dell’inizio della Seconda guerra mondiale. Nei suoi ultimi anni la Kahlo, prima della morte all’età di quarantasette anni, non visse sotto il segno dell’arte e dell’amore ma della malattia, come Petitjean ci ricorda con discrezione. Nel volume invece ci esaltiamo nel pieno fulgore che solo una persona come Frida e coloro che l’hanno amata erano in grado di elargire.
Porochista Khakpour
*L’articolo è stato pubblicato su “Bookforum” con il titolo “Coeur Values”; la traduzione italiana è di Anna Rocchi
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agnestiggs · 5 years
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Cos’è il copywriting e qual è la sua funzione principale?
Signore e signori, è giunto il momento di conoscere il nostro caro amico Copywriting… (che non deve essere confuso con il copyright, perché è proprio un’altra cosa).
Per imparare quest’antica arte, basta un pezzo di carta (qualsiasi pezzo di carta) e una penna.
Anche se a prima vista semplice, il tema è tutt’altro che facile.
Il motivo? Tutti pensano di sapere cosa sia, ma molti non fanno altro che banalizzare questa tematica, o peggio, la considerano inutile. C’è poi il gruppo di persone che lo confonde con il copyright, e in quel caso alzo solo le mani al cielo e non aggiunto altro.
Posso provare a capire tutti coloro che considerano questo tema inutile, ma solo se sono soggetti convinti di vivere in un diverso periodo storico, come gli Anni ’60 magari. In quel periodo fare pubblicità era davvero molto costoso, e quindi si trattava di un’attività che in pochi potevano prendere in considerazione. Oggi invece con Internet, Facebook e altri social network, possiamo affidarci a un advertising copywriter, per creare promozioni con 10 euro, e attirare un importante bacino di utenti. Ma, prima di approfondire il concetto, partirei proprio dalle basi!
Copywriting, definizione: Inizia da qui
Se volessi partire dalla formulina magica, potrei dirti che copywriting è l’abilità di scrittura che permette a una persona di “influenzare” e incuriosire un gruppo di persone, al fine di far compiere loro un’azione.
Attenzione ho detto influenzare, non manipolare. Mi piace però definirla come un mezzo di persuasione, nel senso più positivo del termine. Pensiamo spesso che la persuasione sia qualcosa di negativo, che preveda una manipolazione delle cose per portare qualcuno o qualcosa verso la tua direzione. In parte è vero, ma non vi è nulla di negativo nel farlo, ma piuttosto una capacità di incuriosire e incentivare gli altri. Questo discorso vale chiaramente per il settore pubblicitario, come ho già spiegato poco fa. Con il copywriting persuasivo (podcast), si va quindi a riorganizzare le parole per riuscire a ottenere il meglio da una vendita. Anzi, lasciami dire che è davvero una forma scritta di vendita, che va ad arricchire il web marketing.
Chi svolge queste attività? Il copywriter? E la figura del copywriter cosa fa? Supponiamo che questa figura mitologica debba scrivere 5 mail per invitare gli utenti a comprare e interagire con un dato prodotto venduto da un’azienda. Scrive 5 semplici e-mail e sai che accade? Niente. Una beatissima mazza di niente! Perché? Perché ha sbagliato a comunicare.
Se io scrivo: “Da lunedì ci sono le promozioni nel negozio ‘Bella Angelo’”, ma chi vuoi che mi prenda in considerazione? Provando invece con qualcosa di più profondo e persuasivo, con il classico messaggio che “chiama all’azione”, sicuramente stimolerò almeno un utente su 3. Qualcosa del tipo:
“Hey, hai programmi per lunedì prossimo? Non perderti le nuove gustosissime promozioni di ‘Bella Angelo’. Ne vedrai davvero delle belle: ti aspettiamo in negozio!”.
Pur restando un esempio molto generico, (poiché non ho stabilito e quindi detto che tipo di prodotto vendo e che tipo di promozione effettuo), parlo direttamente al lettore e lo coccolo. Ecco, il copywriter deve rendere meno “noioso” un messaggio pubblicitario.
Come diventare copywriter
Se vogliamo ottenere un buon copywriting, dobbiamo cercare chi lo crea, chi lo realizzerà per noi in modo preciso e incisivo.
Cerchiamo un giornalista? NO.
E allora cerchiamo un mago? ANCHE NO.
Un romanziere forse? MANCO PER FINTA.
Il nostro professionista solitamente lavora con un’agenzia pubblicitaria, oppure è un freelance che si appoggia a diversi clienti e che è sempre ben aggiornato, perché deve conoscere le costanti novità di questo lavoro.
Io mi occupo spesso di copywriting per i miei clienti ma attenzione a chiamarmi web editor! Perché rispetto a lui, un copywriter non si occupa di creare grande mole di contenuto testuale. Deve dire ciò che serve, magari in merito a un servizio o un prodotto e lo deve fare con parole giuste (e senza essere troppo prolisso). Insomma servono le giuste parole e il giusto target.
Per diventare un copy, dovrai seguire una serie di passaggi fondamentali (e non semplicissimi) che sono alla basse di questa professione.
Se non hai mai avuto modo di lavorare nel settore comunicazione, il consiglio è quello di iniziare con i corsi di copywriting (come questo gratis che metto a disposizione),  per migliorare la tua abilità creativa;
Realizza un tuo portfolio e crea qualcosa che possa attirare l’attenzione dei clienti;
Cerca un lavoro o fai uno stage presso un’agenzia comunicativa;
Devi avere buone conoscenze della lingua e grammatica italiana, delle scienze della comunicazione;
Migliora il tuo personal branding, e aiuta chi ti contatta a capire di te tutto ciò che serve per proporti un lavoro.
E l’SEO? Non dimenticarti di lavorare anche sull’ottimizzazione, così potrai conoscere tutto ciò che serve per essere competitivo al 100%. Nessuno già presente sul mercato da anni potrà spaventarti, perché a fare la differenza è la tua conoscenza completa dell’argomento.
Arrivare ad affermarsi non è immediato, ma se questa è la tua strada, è giusto faticare per arrivarci! Un copywriting efficace, è come una bella macchina: fa veramente la differenza!
Lavorare come copywriter non è da tutti!
In sostanza si lavora con ragione, creatività e parole. Già, le parole, senza quelle questo tipo di professione non potrebbe esistere, e oserei dire che l’intero mondo del web marketing potrebbe non essere lo stesso. Pensa a tutti i neolaureati, magari creativi che hanno una passione per la scrittura e vogliono tentare la strada del copywriting. Ma c’è una cosa che ho sentito dire una volta, quando mi trovavo in Inghilterra, e mi ha davvero illuminato. “Non basta saper scrivere per essere un copywriter”. Ho ancora i brividi!
Insomma non tutti quelli che suonano sono musicisti, o non tutti i bravi cuochi sono chef. Di solito solo i bravi pirla diventano cretini, ma quella è una categoria a parte credo, e non legata alla professione!
E’ vero che se vuoi scegliere la via del copywriting devi saper scrivere e devi amare la scrittura, ma devi anche usarla bene. Ogni penna ha le sue sfumature: devi solo imparare a riconoscerle le tue. Quindi, nel dubbio, se non sai da dove iniziare, inizia a scrivere. Fallo in modo creativo, fallo pensando a quello che VUOI dire, che PUOI dire e che DEVI dire. La creatività è una di quelle cose che si insegna per mezzo di speciali tecniche, ma che spesso si coltiva dentro le persone.
Sei in cerca di lavoro copywriter? Ci sono alcune cose che devi imparare a considerare rispetto al tipo di ragionamento che verrà fatto da un’azienda che cerca un professionista. Ci sono diverse cose che si chiederanno prima di considerare il tuo CV:
Che scuola hai fatto e come ne sei uscito;
Le esperienze di lavoro svolte;
La presenza di una pagina Facebook attiva;
Per chi hai lavorato;
Esempi del tuo lavoro.
Ecco perché ti ho parlato di corsi prima, perché se davvero vuoi essere preso in considerazione non deve mai mancare l’auto-formazione. Se ti interessa sapere come scrivere parole che vendono, puoi seguire il mio corso gratuito per incrementare prima di tutto le tue conoscenze di copywriting. Nello specifico mi concentro sulle le tecniche di scrittura persuasiva, per attrarre i lettori e trasformarli in clienti. Perché avere delle basi da marketing copywriter è sempre importante se vuoi arrivare in alto!
Copywriting persuasivo: udite, udite!
Riesci a coinvolgere una persona senza essere troppo pressante e invasivo? Alla fine, la chiave del successo in questo campo è proprio quella! Non devi diventare uno spammatore seriale (che già detta così non suona bene eh!), perché non puoi sempre e solo chiedere qualcosa in modo avido. Devi avere la voglia di conquistare chi hai davanti, andando a ridurre al minimo la pressione.
Ti ricordi le famose 5 e-mail che dovevamo scrivere a inizio articolo, per invitare gli utenti a interagire con un prodotto? Se hai queste nozioni base, potrai riuscire a coinvolgere e dare qualcosa di te, di ciò che devi proporre senza essere pesante. Applica sempre la voglia di fare, inserisci un pizzico di ironia e umiltà nel redarre le cose. Gli utenti devono avere la sensazione che il tuo sia un vero aiuto, e non un obbligo a fare qualcosa.
Vedrai che da quelle 5 mail nascerà qualcosa di bello, con persone che iniziano a interagire e rispondere, fino a ottenere un ottimo tasso di conversione. Le vendite aumentano e tu hai acquistato il potere del copywriting persuasivo.
Come si riconosce un testo, una pubblicità, uno slogan efficace? Ovviamente dal tipo di impatto che ha, e dalle regole di comunicazione persuasiva che hai usato!
Molte volte non ce ne rendiamo conto, ma facciamo delle scelte di acquisto o lettura, soprattutto sul web, che sono proprio spinte da queste tecniche. Un titolo o uno slogan che sa dire tutto in poche parole, è il modo più efficace per usare il giusto linguaggio. E allora, ogni volta che devi farlo, prova a pensare a questa piccola lista di consigli:
Devi sapere sempre per chi lavori, ma soprattutto dove pubblichi: se lavori via email, piuttosto che sui social network è fondamentale per riuscire ad adattare il tuo stile ed essere persuasivo in modo vincente;
Ricordati il target: devi usare poche parole, ma catturare con attenzione gli utenti. Se punti ai 30enni avrai un approccio ben diversi rispetto ai 60enni, quindi non dimenticare mai chi vuoi avere di fronte a te;
Trova un “problema” da parte dalla domanda di mercato (e quindi gli utenti) e vai a offrire una soluzione.
SEO o non SEO?
C’è un’altra piccola problematica che voglio chiarire, perché alcune persone mi hanno scritto per avere delucidazioni in merito al SEO copywriting. Per prima cosa con il termine SEO parliamo di Search Engine Optimization, ovvero l’ottimizzazione per i motori di ricerca, in primis Google. Il tentativo è quello di essere ben classificati, ma per riuscirci bisogna saper usare al meglio le tue abilità. Questa nicchia del copywriting permette di:
Trovare una parola chiave che vuoi classificare;
Scrivere un articolo su questo tema;
Classificare la parola, quindi il testo e soprattutto il sito nella parte alta dei risultati di ricerca per una data keyword che hai scelto.
Ti farò un esempio per capire come funziona. Abbiamo il nostro amico Angelo (così un nome a caso, per la serie ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale). Angelo ha un’attività che vende cibo per animali. La prima cosa da fare è effettuare una ricerca sulle keywords per cibo per animali, in modo da capire che cosa viene cercato, nello specifico dagli utenti. E si scoprirà così il numero maggiore del volume ottenuto. Il risultato della ricerca può portare Angelo a scrivere un articolo completo in merito al “Miglior cibo per animali domestici”.
Quindi bisogna parlare dei prodotti, suggerire le loro caratteristiche e che tipo di benefici possono offrire a cani e gatti. Ma attenzione, se anche tu sei un Angelo in cerca di idee, devi sfruttare il copywriting per riuscire a rendere il tuo post come il numero uno, quello completo che potrà così scalare ogni classifica di mister Google. Considera che quest’ultimo, è molto cambiato nel tempo. Agli inizi del 2000 era possibile realizzare anche degli articoletti “spazzatura”, inserendo solo le parole chiave giuste e via, era praticamente automatica la possibilità di essere notati. Oggi no! Anche i motori di ricerca come Google sono diventati intelligenti, e allora devi farti furbo anche tu! Perché Google non sopporta lo spam, ma adora i contenuti ricchi e profondi, che invitano alla riflessione.
Angelo ha scritto un testo perfetto sul cibo per animali: ci sono caratteristiche, consigli, esempi, immagini e istruzioni per l’uso. Praticamente il numero uno dichiarato (sì, la modestia sempre prima di tutto)! Ci sono tutti i link giusti al momento giusto e alla fine Google lo nota.
Quindi la morale qual è? L’SEO copywriting, se usato bene, ti assicura di fare grandi numeri, ma richiede anche un sacco di sforzi per rendere i tuoi articoli i migliori del web.
Copywriting a risposta diretta
Il copywriter a risposta diretta è colui che, con il suo testo scritto, deve scaturire una risposta in termini di marketing. Quindi opera su vendita, richieste di informazioni e molto altro ancora. Se mal gestito, lo scritto può causare cambiamenti sulla percezione di un prodotto o di un’azienda e quindi sul posizionamento nel mercato. Insomma non è una caramella alla menta, è un’altra nicchia importante del copywriting.
Supponiamo allora che il nostro già citato amico Angelo che ha scritto di cibo per animali, voglia raggiungere il pubblico lavorando su un ampio raggio d’azione. Fino a qualche anno fa si lavorava con inviti, lettere, giornali e annunci su riviste. Ma oggi? Il copywriting per il web è cambiato e così cambia il modo di gestire ogni lavoro. Stampare lettere, inviti e cartoline (o biglietti da visita per dire) ha un costo. Ed è spesso un signor costo! Qui entra in scena il copywriting a risposta diretta: altro non è che la capacità di aumentare il tasso di conversione degli acquirenti partendo dai tuoi inviti, o flyer.
Problema: Angelo deve spedire 10mila flyer in zona a un costo di 1.350€ (ed è l’opzione più economica!), per avere una stampa fronte e retro. Come si massimizza questa spesa? Bisognerà testare alcune versioni (almeno 2) per capire cosa sia giusto e cosa sbagliato.
COSE DA NON FARE (versione 1): realizzare un flyer con sfondo banale, magari tutto bianco, e inserire solo la scritta “Prova il nostro cibo per animali”, inserendo la via del negozio e il nome del brand. Con un briciolo di fortuna su 10mila volantini, 3 persone risponderanno. Questo vuol dire che (se la matematica non mi inganna!), solo lo 0,03% rappresenta il tasso di conversione.
Il volantino era banale, troppo vago e non indirizzato nel giusto modo!
COSE DA FARE: Angelo ha capito il suo errore, e adesso usa il tuo talento da copywriter a risposta diretta. Studia bene il target per lavorare nella zona in cui opera il suo negozio. Sceglie come pubblico solo le persone che hanno realmente animali e crea un volantino che presenta:
Parte anteriore: l’annuncio di risposta diretta con classico “call to action”;
Sul retro del volantino: un buon esempio di copywriting a risposta diretta, con informazioni, dettagli ed esempio pratico sui benefici dati dal suo cibo per animali.
Chi ha un cane o un gatto, sentirà la voglia di provare qualcosa di nuovo per il proprio amico a 4 zampe e il tasso di conversione aumenta a dismisura, fino a portare a migliaia di euro di profitti.
Per concludere… Ora, pur avendo accertato il fatto che io non sono Angelo che vende cibo per animali, conosco bene in che modo potrebbe funzionare la sua attività.
Se usi bene il tuo talento da copywriter, puoi fare la differenza su più fronti. Questo è incoraggiante, perché se sei un bravo professionista, puoi sicuramente trovare tantissimo lavoro su più settori, e aiutare chiunque a vendere di più. Ma se lo usi male, potresti rovinare il tuo operato, mettendo in crisi qualsiasi attività commerciale!
Quindi pensaci bene, informati e lanciati nella mischia solo quando sai di avere a che fare con un vero professionista.
That’s all folks!
Io vado ad acquistare crocchette, ma tu lascia un commento e dimmi che cosa ne pensi!
P.S C’è chi pensa che il copywriting sia un’abilità ormai inutile visto che il mondo viaggia a colpi di audio, video e poco testo. Tuttavia ci terrei a far notare che solo perché un messaggio è “impacchettato” in un video non è detto che sia interessante.
Quante volte abbiamo mandato avanti un video su Youtube perché palloso? Per di più facendo fatica a trovare il punto che ci interessava? Allo stesso tempo, quante volte ci siamo immersi nella lettura di un testo così bello che le parole facevano vivere in noi le scene del romanzo?
Questo per dire che le parole sono alla base di un testo, ma anche di un audio o di un video così anche di un discorso faccia a faccia. Colorano la conversazione e stimolano le emozioni, che sono alla base di un acquisto in termini di marketing.
Certo se la tua massima aspirazione è quella di diventare influencer e partecipare al Grande Randello, siamo rovinati…
L'articolo Cos’è il copywriting e qual è la sua funzione principale? è stato pubblicato su Espresso Triplo.
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manuelaruso · 5 years
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Cos’è il copywriting e qual è la sua funzione principale?
Signore e signori, è giunto il momento di conoscere il nostro caro amico Copywriting… (che non deve essere confuso con il copyright, perché è proprio un’altra cosa).
Per imparare quest’antica arte, basta un pezzo di carta (qualsiasi pezzo di carta) e una penna.
Anche se a prima vista semplice, il tema è tutt’altro che facile.
Il motivo? Tutti pensano di sapere cosa sia, ma molti non fanno altro che banalizzare questa tematica, o peggio, la considerano inutile. C’è poi il gruppo di persone che lo confonde con il copyright, e in quel caso alzo solo le mani al cielo e non aggiunto altro.
Posso provare a capire tutti coloro che considerano questo tema inutile, ma solo se sono soggetti convinti di vivere in un diverso periodo storico, come gli Anni ’60 magari. In quel periodo fare pubblicità era davvero molto costoso, e quindi si trattava di un’attività che in pochi potevano prendere in considerazione. Oggi invece con Internet, Facebook e altri social network, possiamo affidarci a un advertising copywriter, per creare promozioni con 10 euro, e attirare un importante bacino di utenti. Ma, prima di approfondire il concetto, partirei proprio dalle basi!
Copywriting, definizione: Inizia da qui
Se volessi partire dalla formulina magica, potrei dirti che copywriting è l’abilità di scrittura che permette a una persona di “influenzare” e incuriosire un gruppo di persone, al fine di far compiere loro un’azione.
Attenzione ho detto influenzare, non manipolare. Mi piace però definirla come un mezzo di persuasione, nel senso più positivo del termine. Pensiamo spesso che la persuasione sia qualcosa di negativo, che preveda una manipolazione delle cose per portare qualcuno o qualcosa verso la tua direzione. In parte è vero, ma non vi è nulla di negativo nel farlo, ma piuttosto una capacità di incuriosire e incentivare gli altri. Questo discorso vale chiaramente per il settore pubblicitario, come ho già spiegato poco fa. Con il copywriting persuasivo (podcast), si va quindi a riorganizzare le parole per riuscire a ottenere il meglio da una vendita. Anzi, lasciami dire che è davvero una forma scritta di vendita, che va ad arricchire il web marketing.
Chi svolge queste attività? Il copywriter? E la figura del copywriter cosa fa? Supponiamo che questa figura mitologica debba scrivere 5 mail per invitare gli utenti a comprare e interagire con un dato prodotto venduto da un’azienda. Scrive 5 semplici e-mail e sai che accade? Niente. Una beatissima mazza di niente! Perché? Perché ha sbagliato a comunicare.
Se io scrivo: “Da lunedì ci sono le promozioni nel negozio ‘Bella Angelo’”, ma chi vuoi che mi prenda in considerazione? Provando invece con qualcosa di più profondo e persuasivo, con il classico messaggio che “chiama all’azione”, sicuramente stimolerò almeno un utente su 3. Qualcosa del tipo:
“Hey, hai programmi per lunedì prossimo? Non perderti le nuove gustosissime promozioni di ‘Bella Angelo’. Ne vedrai davvero delle belle: ti aspettiamo in negozio!”.
Pur restando un esempio molto generico, (poiché non ho stabilito e quindi detto che tipo di prodotto vendo e che tipo di promozione effettuo), parlo direttamente al lettore e lo coccolo. Ecco, il copywriter deve rendere meno “noioso” un messaggio pubblicitario.
Come diventare copywriter
Se vogliamo ottenere un buon copywriting, dobbiamo cercare chi lo crea, chi lo realizzerà per noi in modo preciso e incisivo.
Cerchiamo un giornalista? NO.
E allora cerchiamo un mago? ANCHE NO.
Un romanziere forse? MANCO PER FINTA.
Il nostro professionista solitamente lavora con un’agenzia pubblicitaria, oppure è un freelance che si appoggia a diversi clienti e che è sempre ben aggiornato, perché deve conoscere le costanti novità di questo lavoro.
Io mi occupo spesso di copywriting per i miei clienti ma attenzione a chiamarmi web editor! Perché rispetto a lui, un copywriter non si occupa di creare grande mole di contenuto testuale. Deve dire ciò che serve, magari in merito a un servizio o un prodotto e lo deve fare con parole giuste (e senza essere troppo prolisso). Insomma servono le giuste parole e il giusto target.
Per diventare un copy, dovrai seguire una serie di passaggi fondamentali (e non semplicissimi) che sono alla basse di questa professione.
Se non hai mai avuto modo di lavorare nel settore comunicazione, il consiglio è quello di iniziare con i corsi di copywriting (come questo gratis che metto a disposizione),  per migliorare la tua abilità creativa;
Realizza un tuo portfolio e crea qualcosa che possa attirare l’attenzione dei clienti;
Cerca un lavoro o fai uno stage presso un’agenzia comunicativa;
Devi avere buone conoscenze della lingua e grammatica italiana, delle scienze della comunicazione;
Migliora il tuo personal branding, e aiuta chi ti contatta a capire di te tutto ciò che serve per proporti un lavoro.
E l’SEO? Non dimenticarti di lavorare anche sull’ottimizzazione, così potrai conoscere tutto ciò che serve per essere competitivo al 100%. Nessuno già presente sul mercato da anni potrà spaventarti, perché a fare la differenza è la tua conoscenza completa dell’argomento.
Arrivare ad affermarsi non è immediato, ma se questa è la tua strada, è giusto faticare per arrivarci! Un copywriting efficace, è come una bella macchina: fa veramente la differenza!
Lavorare come copywriter non è da tutti!
In sostanza si lavora con ragione, creatività e parole. Già, le parole, senza quelle questo tipo di professione non potrebbe esistere, e oserei dire che l’intero mondo del web marketing potrebbe non essere lo stesso. Pensa a tutti i neolaureati, magari creativi che hanno una passione per la scrittura e vogliono tentare la strada del copywriting. Ma c’è una cosa che ho sentito dire una volta, quando mi trovavo in Inghilterra, e mi ha davvero illuminato. “Non basta saper scrivere per essere un copywriter”. Ho ancora i brividi!
Insomma non tutti quelli che suonano sono musicisti, o non tutti i bravi cuochi sono chef. Di solito solo i bravi pirla diventano cretini, ma quella è una categoria a parte credo, e non legata alla professione!
E’ vero che se vuoi scegliere la via del copywriting devi saper scrivere e devi amare la scrittura, ma devi anche usarla bene. Ogni penna ha le sue sfumature: devi solo imparare a riconoscerle le tue. Quindi, nel dubbio, se non sai da dove iniziare, inizia a scrivere. Fallo in modo creativo, fallo pensando a quello che VUOI dire, che PUOI dire e che DEVI dire. La creatività è una di quelle cose che si insegna per mezzo di speciali tecniche, ma che spesso si coltiva dentro le persone.
Sei in cerca di lavoro copywriter? Ci sono alcune cose che devi imparare a considerare rispetto al tipo di ragionamento che verrà fatto da un’azienda che cerca un professionista. Ci sono diverse cose che si chiederanno prima di considerare il tuo CV:
Che scuola hai fatto e come ne sei uscito;
Le esperienze di lavoro svolte;
La presenza di una pagina Facebook attiva;
Per chi hai lavorato;
Esempi del tuo lavoro.
Ecco perché ti ho parlato di corsi prima, perché se davvero vuoi essere preso in considerazione non deve mai mancare l’auto-formazione. Se ti interessa sapere come scrivere parole che vendono, puoi seguire il mio corso gratuito per incrementare prima di tutto le tue conoscenze di copywriting. Nello specifico mi concentro sulle le tecniche di scrittura persuasiva, per attrarre i lettori e trasformarli in clienti. Perché avere delle basi da marketing copywriter è sempre importante se vuoi arrivare in alto!
Copywriting persuasivo: udite, udite!
Riesci a coinvolgere una persona senza essere troppo pressante e invasivo? Alla fine, la chiave del successo in questo campo è proprio quella! Non devi diventare uno spammatore seriale (che già detta così non suona bene eh!), perché non puoi sempre e solo chiedere qualcosa in modo avido. Devi avere la voglia di conquistare chi hai davanti, andando a ridurre al minimo la pressione.
Ti ricordi le famose 5 e-mail che dovevamo scrivere a inizio articolo, per invitare gli utenti a interagire con un prodotto? Se hai queste nozioni base, potrai riuscire a coinvolgere e dare qualcosa di te, di ciò che devi proporre senza essere pesante. Applica sempre la voglia di fare, inserisci un pizzico di ironia e umiltà nel redarre le cose. Gli utenti devono avere la sensazione che il tuo sia un vero aiuto, e non un obbligo a fare qualcosa.
Vedrai che da quelle 5 mail nascerà qualcosa di bello, con persone che iniziano a interagire e rispondere, fino a ottenere un ottimo tasso di conversione. Le vendite aumentano e tu hai acquistato il potere del copywriting persuasivo.
Come si riconosce un testo, una pubblicità, uno slogan efficace? Ovviamente dal tipo di impatto che ha, e dalle regole di comunicazione persuasiva che hai usato!
Molte volte non ce ne rendiamo conto, ma facciamo delle scelte di acquisto o lettura, soprattutto sul web, che sono proprio spinte da queste tecniche. Un titolo o uno slogan che sa dire tutto in poche parole, è il modo più efficace per usare il giusto linguaggio. E allora, ogni volta che devi farlo, prova a pensare a questa piccola lista di consigli:
Devi sapere sempre per chi lavori, ma soprattutto dove pubblichi: se lavori via email, piuttosto che sui social network è fondamentale per riuscire ad adattare il tuo stile ed essere persuasivo in modo vincente;
Ricordati il target: devi usare poche parole, ma catturare con attenzione gli utenti. Se punti ai 30enni avrai un approccio ben diversi rispetto ai 60enni, quindi non dimenticare mai chi vuoi avere di fronte a te;
Trova un “problema” da parte dalla domanda di mercato (e quindi gli utenti) e vai a offrire una soluzione.
SEO o non SEO?
C’è un’altra piccola problematica che voglio chiarire, perché alcune persone mi hanno scritto per avere delucidazioni in merito al SEO copywriting. Per prima cosa con il termine SEO parliamo di Search Engine Optimization, ovvero l’ottimizzazione per i motori di ricerca, in primis Google. Il tentativo è quello di essere ben classificati, ma per riuscirci bisogna saper usare al meglio le tue abilità. Questa nicchia del copywriting permette di:
Trovare una parola chiave che vuoi classificare;
Scrivere un articolo su questo tema;
Classificare la parola, quindi il testo e soprattutto il sito nella parte alta dei risultati di ricerca per una data keyword che hai scelto.
Ti farò un esempio per capire come funziona. Abbiamo il nostro amico Angelo (così un nome a caso, per la serie ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale). Angelo ha un’attività che vende cibo per animali. La prima cosa da fare è effettuare una ricerca sulle keywords per cibo per animali, in modo da capire che cosa viene cercato, nello specifico dagli utenti. E si scoprirà così il numero maggiore del volume ottenuto. Il risultato della ricerca può portare Angelo a scrivere un articolo completo in merito al “Miglior cibo per animali domestici”.
Quindi bisogna parlare dei prodotti, suggerire le loro caratteristiche e che tipo di benefici possono offrire a cani e gatti. Ma attenzione, se anche tu sei un Angelo in cerca di idee, devi sfruttare il copywriting per riuscire a rendere il tuo post come il numero uno, quello completo che potrà così scalare ogni classifica di mister Google. Considera che quest’ultimo, è molto cambiato nel tempo. Agli inizi del 2000 era possibile realizzare anche degli articoletti “spazzatura”, inserendo solo le parole chiave giuste e via, era praticamente automatica la possibilità di essere notati. Oggi no! Anche i motori di ricerca come Google sono diventati intelligenti, e allora devi farti furbo anche tu! Perché Google non sopporta lo spam, ma adora i contenuti ricchi e profondi, che invitano alla riflessione.
Angelo ha scritto un testo perfetto sul cibo per animali: ci sono caratteristiche, consigli, esempi, immagini e istruzioni per l’uso. Praticamente il numero uno dichiarato (sì, la modestia sempre prima di tutto)! Ci sono tutti i link giusti al momento giusto e alla fine Google lo nota.
Quindi la morale qual è? L’SEO copywriting, se usato bene, ti assicura di fare grandi numeri, ma richiede anche un sacco di sforzi per rendere i tuoi articoli i migliori del web.
Copywriting a risposta diretta
Il copywriter a risposta diretta è colui che, con il suo testo scritto, deve scaturire una risposta in termini di marketing. Quindi opera su vendita, richieste di informazioni e molto altro ancora. Se mal gestito, lo scritto può causare cambiamenti sulla percezione di un prodotto o di un’azienda e quindi sul posizionamento nel mercato. Insomma non è una caramella alla menta, è un’altra nicchia importante del copywriting.
Supponiamo allora che il nostro già citato amico Angelo che ha scritto di cibo per animali, voglia raggiungere il pubblico lavorando su un ampio raggio d’azione. Fino a qualche anno fa si lavorava con inviti, lettere, giornali e annunci su riviste. Ma oggi? Il copywriting per il web è cambiato e così cambia il modo di gestire ogni lavoro. Stampare lettere, inviti e cartoline (o biglietti da visita per dire) ha un costo. Ed è spesso un signor costo! Qui entra in scena il copywriting a risposta diretta: altro non è che la capacità di aumentare il tasso di conversione degli acquirenti partendo dai tuoi inviti, o flyer.
Problema: Angelo deve spedire 10mila flyer in zona a un costo di 1.350€ (ed è l’opzione più economica!), per avere una stampa fronte e retro. Come si massimizza questa spesa? Bisognerà testare alcune versioni (almeno 2) per capire cosa sia giusto e cosa sbagliato.
COSE DA NON FARE (versione 1): realizzare un flyer con sfondo banale, magari tutto bianco, e inserire solo la scritta “Prova il nostro cibo per animali”, inserendo la via del negozio e il nome del brand. Con un briciolo di fortuna su 10mila volantini, 3 persone risponderanno. Questo vuol dire che (se la matematica non mi inganna!), solo lo 0,03% rappresenta il tasso di conversione.
Il volantino era banale, troppo vago e non indirizzato nel giusto modo!
COSE DA FARE: Angelo ha capito il suo errore, e adesso usa il tuo talento da copywriter a risposta diretta. Studia bene il target per lavorare nella zona in cui opera il suo negozio. Sceglie come pubblico solo le persone che hanno realmente animali e crea un volantino che presenta:
Parte anteriore: l’annuncio di risposta diretta con classico “call to action”;
Sul retro del volantino: un buon esempio di copywriting a risposta diretta, con informazioni, dettagli ed esempio pratico sui benefici dati dal suo cibo per animali.
Chi ha un cane o un gatto, sentirà la voglia di provare qualcosa di nuovo per il proprio amico a 4 zampe e il tasso di conversione aumenta a dismisura, fino a portare a migliaia di euro di profitti.
Per concludere… Ora, pur avendo accertato il fatto che io non sono Angelo che vende cibo per animali, conosco bene in che modo potrebbe funzionare la sua attività.
Se usi bene il tuo talento da copywriter, puoi fare la differenza su più fronti. Questo è incoraggiante, perché se sei un bravo professionista, puoi sicuramente trovare tantissimo lavoro su più settori, e aiutare chiunque a vendere di più. Ma se lo usi male, potresti rovinare il tuo operato, mettendo in crisi qualsiasi attività commerciale!
Quindi pensaci bene, informati e lanciati nella mischia solo quando sai di avere a che fare con un vero professionista.
That’s all folks!
Io vado ad acquistare crocchette, ma tu lascia un commento e dimmi che cosa ne pensi!
P.S C’è chi pensa che il copywriting sia un’abilità ormai inutile visto che il mondo viaggia a colpi di audio, video e poco testo. Tuttavia ci terrei a far notare che solo perché un messaggio è “impacchettato” in un video non è detto che sia interessante.
Quante volte abbiamo mandato avanti un video su Youtube perché palloso? Per di più facendo fatica a trovare il punto che ci interessava? Allo stesso tempo, quante volte ci siamo immersi nella lettura di un testo così bello che le parole facevano vivere in noi le scene del romanzo?
Questo per dire che le parole sono alla base di un testo, ma anche di un audio o di un video così anche di un discorso faccia a faccia. Colorano la conversazione e stimolano le emozioni, che sono alla base di un acquisto in termini di marketing.
Certo se la tua massima aspirazione è quella di diventare influencer e partecipare al Grande Randello, siamo rovinati…
L'articolo Cos’è il copywriting e qual è la sua funzione principale? è stato pubblicato su Espresso Triplo.
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nancystephenss · 5 years
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Cos’è il copywriting e qual è la sua funzione principale?
Signore e signori, è giunto il momento di conoscere il nostro caro amico Copywriting… (che non deve essere confuso con il copyright, perché è proprio un’altra cosa).
Per imparare quest’antica arte, basta un pezzo di carta (qualsiasi pezzo di carta) e una penna.
Anche se a prima vista semplice, il tema è tutt’altro che facile.
Il motivo? Tutti pensano di sapere cosa sia, ma molti non fanno altro che banalizzare questa tematica, o peggio, la considerano inutile. C’è poi il gruppo di persone che lo confonde con il copyright, e in quel caso alzo solo le mani al cielo e non aggiunto altro.
Posso provare a capire tutti coloro che considerano questo tema inutile, ma solo se sono soggetti convinti di vivere in un diverso periodo storico, come gli Anni ’60 magari. In quel periodo fare pubblicità era davvero molto costoso, e quindi si trattava di un’attività che in pochi potevano prendere in considerazione. Oggi invece con Internet, Facebook e altri social network, possiamo affidarci a un advertising copywriter, per creare promozioni con 10 euro, e attirare un importante bacino di utenti. Ma, prima di approfondire il concetto, partirei proprio dalle basi!
Copywriting, definizione: Inizia da qui
Se volessi partire dalla formulina magica, potrei dirti che copywriting è l’abilità di scrittura che permette a una persona di “influenzare” e incuriosire un gruppo di persone, al fine di far compiere loro un’azione.
Attenzione ho detto influenzare, non manipolare. Mi piace però definirla come un mezzo di persuasione, nel senso più positivo del termine. Pensiamo spesso che la persuasione sia qualcosa di negativo, che preveda una manipolazione delle cose per portare qualcuno o qualcosa verso la tua direzione. In parte è vero, ma non vi è nulla di negativo nel farlo, ma piuttosto una capacità di incuriosire e incentivare gli altri. Questo discorso vale chiaramente per il settore pubblicitario, come ho già spiegato poco fa. Con il copywriting persuasivo (podcast), si va quindi a riorganizzare le parole per riuscire a ottenere il meglio da una vendita. Anzi, lasciami dire che è davvero una forma scritta di vendita, che va ad arricchire il web marketing.
Chi svolge queste attività? Il copywriter? E la figura del copywriter cosa fa? Supponiamo che questa figura mitologica debba scrivere 5 mail per invitare gli utenti a comprare e interagire con un dato prodotto venduto da un’azienda. Scrive 5 semplici e-mail e sai che accade? Niente. Una beatissima mazza di niente! Perché? Perché ha sbagliato a comunicare.
Se io scrivo: “Da lunedì ci sono le promozioni nel negozio ‘Bella Angelo’”, ma chi vuoi che mi prenda in considerazione? Provando invece con qualcosa di più profondo e persuasivo, con il classico messaggio che “chiama all’azione”, sicuramente stimolerò almeno un utente su 3. Qualcosa del tipo:
“Hey, hai programmi per lunedì prossimo? Non perderti le nuove gustosissime promozioni di ‘Bella Angelo’. Ne vedrai davvero delle belle: ti aspettiamo in negozio!”.
Pur restando un esempio molto generico, (poiché non ho stabilito e quindi detto che tipo di prodotto vendo e che tipo di promozione effettuo), parlo direttamente al lettore e lo coccolo. Ecco, il copywriter deve rendere meno “noioso” un messaggio pubblicitario.
Come diventare copywriter
Se vogliamo ottenere un buon copywriting, dobbiamo cercare chi lo crea, chi lo realizzerà per noi in modo preciso e incisivo.
Cerchiamo un giornalista? NO.
E allora cerchiamo un mago? ANCHE NO.
Un romanziere forse? MANCO PER FINTA.
Il nostro professionista solitamente lavora con un’agenzia pubblicitaria, oppure è un freelance che si appoggia a diversi clienti e che è sempre ben aggiornato, perché deve conoscere le costanti novità di questo lavoro.
Io mi occupo spesso di copywriting per i miei clienti ma attenzione a chiamarmi web editor! Perché rispetto a lui, un copywriter non si occupa di creare grande mole di contenuto testuale. Deve dire ciò che serve, magari in merito a un servizio o un prodotto e lo deve fare con parole giuste (e senza essere troppo prolisso). Insomma servono le giuste parole e il giusto target.
Per diventare un copy, dovrai seguire una serie di passaggi fondamentali (e non semplicissimi) che sono alla basse di questa professione.
Se non hai mai avuto modo di lavorare nel settore comunicazione, il consiglio è quello di iniziare con i corsi di copywriting (come questo gratis che metto a disposizione),  per migliorare la tua abilità creativa;
Realizza un tuo portfolio e crea qualcosa che possa attirare l’attenzione dei clienti;
Cerca un lavoro o fai uno stage presso un’agenzia comunicativa;
Devi avere buone conoscenze della lingua e grammatica italiana, delle scienze della comunicazione;
Migliora il tuo personal branding, e aiuta chi ti contatta a capire di te tutto ciò che serve per proporti un lavoro.
E l’SEO? Non dimenticarti di lavorare anche sull’ottimizzazione, così potrai conoscere tutto ciò che serve per essere competitivo al 100%. Nessuno già presente sul mercato da anni potrà spaventarti, perché a fare la differenza è la tua conoscenza completa dell’argomento.
Arrivare ad affermarsi non è immediato, ma se questa è la tua strada, è giusto faticare per arrivarci! Un copywriting efficace, è come una bella macchina: fa veramente la differenza!
Lavorare come copywriter non è da tutti!
In sostanza si lavora con ragione, creatività e parole. Già, le parole, senza quelle questo tipo di professione non potrebbe esistere, e oserei dire che l’intero mondo del web marketing potrebbe non essere lo stesso. Pensa a tutti i neolaureati, magari creativi che hanno una passione per la scrittura e vogliono tentare la strada del copywriting. Ma c’è una cosa che ho sentito dire una volta, quando mi trovavo in Inghilterra, e mi ha davvero illuminato. “Non basta saper scrivere per essere un copywriter”. Ho ancora i brividi!
Insomma non tutti quelli che suonano sono musicisti, o non tutti i bravi cuochi sono chef. Di solito solo i bravi pirla diventano cretini, ma quella è una categoria a parte credo, e non legata alla professione!
E’ vero che se vuoi scegliere la via del copywriting devi saper scrivere e devi amare la scrittura, ma devi anche usarla bene. Ogni penna ha le sue sfumature: devi solo imparare a riconoscerle le tue. Quindi, nel dubbio, se non sai da dove iniziare, inizia a scrivere. Fallo in modo creativo, fallo pensando a quello che VUOI dire, che PUOI dire e che DEVI dire. La creatività è una di quelle cose che si insegna per mezzo di speciali tecniche, ma che spesso si coltiva dentro le persone.
Sei in cerca di lavoro copywriter? Ci sono alcune cose che devi imparare a considerare rispetto al tipo di ragionamento che verrà fatto da un’azienda che cerca un professionista. Ci sono diverse cose che si chiederanno prima di considerare il tuo CV:
Che scuola hai fatto e come ne sei uscito;
Le esperienze di lavoro svolte;
La presenza di una pagina Facebook attiva;
Per chi hai lavorato;
Esempi del tuo lavoro.
Ecco perché ti ho parlato di corsi prima, perché se davvero vuoi essere preso in considerazione non deve mai mancare l’auto-formazione. Se ti interessa sapere come scrivere parole che vendono, puoi seguire il mio corso gratuito per incrementare prima di tutto le tue conoscenze di copywriting. Nello specifico mi concentro sulle le tecniche di scrittura persuasiva, per attrarre i lettori e trasformarli in clienti. Perché avere delle basi da marketing copywriter è sempre importante se vuoi arrivare in alto!
Copywriting persuasivo: udite, udite!
Riesci a coinvolgere una persona senza essere troppo pressante e invasivo? Alla fine, la chiave del successo in questo campo è proprio quella! Non devi diventare uno spammatore seriale (che già detta così non suona bene eh!), perché non puoi sempre e solo chiedere qualcosa in modo avido. Devi avere la voglia di conquistare chi hai davanti, andando a ridurre al minimo la pressione.
Ti ricordi le famose 5 e-mail che dovevamo scrivere a inizio articolo, per invitare gli utenti a interagire con un prodotto? Se hai queste nozioni base, potrai riuscire a coinvolgere e dare qualcosa di te, di ciò che devi proporre senza essere pesante. Applica sempre la voglia di fare, inserisci un pizzico di ironia e umiltà nel redarre le cose. Gli utenti devono avere la sensazione che il tuo sia un vero aiuto, e non un obbligo a fare qualcosa.
Vedrai che da quelle 5 mail nascerà qualcosa di bello, con persone che iniziano a interagire e rispondere, fino a ottenere un ottimo tasso di conversione. Le vendite aumentano e tu hai acquistato il potere del copywriting persuasivo.
Come si riconosce un testo, una pubblicità, uno slogan efficace? Ovviamente dal tipo di impatto che ha, e dalle regole di comunicazione persuasiva che hai usato!
Molte volte non ce ne rendiamo conto, ma facciamo delle scelte di acquisto o lettura, soprattutto sul web, che sono proprio spinte da queste tecniche. Un titolo o uno slogan che sa dire tutto in poche parole, è il modo più efficace per usare il giusto linguaggio. E allora, ogni volta che devi farlo, prova a pensare a questa piccola lista di consigli:
Devi sapere sempre per chi lavori, ma soprattutto dove pubblichi: se lavori via email, piuttosto che sui social network è fondamentale per riuscire ad adattare il tuo stile ed essere persuasivo in modo vincente;
Ricordati il target: devi usare poche parole, ma catturare con attenzione gli utenti. Se punti ai 30enni avrai un approccio ben diversi rispetto ai 60enni, quindi non dimenticare mai chi vuoi avere di fronte a te;
Trova un “problema” da parte dalla domanda di mercato (e quindi gli utenti) e vai a offrire una soluzione.
SEO o non SEO?
C’è un’altra piccola problematica che voglio chiarire, perché alcune persone mi hanno scritto per avere delucidazioni in merito al SEO copywriting. Per prima cosa con il termine SEO parliamo di Search Engine Optimization, ovvero l’ottimizzazione per i motori di ricerca, in primis Google. Il tentativo è quello di essere ben classificati, ma per riuscirci bisogna saper usare al meglio le tue abilità. Questa nicchia del copywriting permette di:
Trovare una parola chiave che vuoi classificare;
Scrivere un articolo su questo tema;
Classificare la parola, quindi il testo e soprattutto il sito nella parte alta dei risultati di ricerca per una data keyword che hai scelto.
Ti farò un esempio per capire come funziona. Abbiamo il nostro amico Angelo (così un nome a caso, per la serie ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale). Angelo ha un’attività che vende cibo per animali. La prima cosa da fare è effettuare una ricerca sulle keywords per cibo per animali, in modo da capire che cosa viene cercato, nello specifico dagli utenti. E si scoprirà così il numero maggiore del volume ottenuto. Il risultato della ricerca può portare Angelo a scrivere un articolo completo in merito al “Miglior cibo per animali domestici”.
Quindi bisogna parlare dei prodotti, suggerire le loro caratteristiche e che tipo di benefici possono offrire a cani e gatti. Ma attenzione, se anche tu sei un Angelo in cerca di idee, devi sfruttare il copywriting per riuscire a rendere il tuo post come il numero uno, quello completo che potrà così scalare ogni classifica di mister Google. Considera che quest’ultimo, è molto cambiato nel tempo. Agli inizi del 2000 era possibile realizzare anche degli articoletti “spazzatura”, inserendo solo le parole chiave giuste e via, era praticamente automatica la possibilità di essere notati. Oggi no! Anche i motori di ricerca come Google sono diventati intelligenti, e allora devi farti furbo anche tu! Perché Google non sopporta lo spam, ma adora i contenuti ricchi e profondi, che invitano alla riflessione.
Angelo ha scritto un testo perfetto sul cibo per animali: ci sono caratteristiche, consigli, esempi, immagini e istruzioni per l’uso. Praticamente il numero uno dichiarato (sì, la modestia sempre prima di tutto)! Ci sono tutti i link giusti al momento giusto e alla fine Google lo nota.
Quindi la morale qual è? L’SEO copywriting, se usato bene, ti assicura di fare grandi numeri, ma richiede anche un sacco di sforzi per rendere i tuoi articoli i migliori del web.
Copywriting a risposta diretta
Il copywriter a risposta diretta è colui che, con il suo testo scritto, deve scaturire una risposta in termini di marketing. Quindi opera su vendita, richieste di informazioni e molto altro ancora. Se mal gestito, lo scritto può causare cambiamenti sulla percezione di un prodotto o di un’azienda e quindi sul posizionamento nel mercato. Insomma non è una caramella alla menta, è un’altra nicchia importante del copywriting.
Supponiamo allora che il nostro già citato amico Angelo che ha scritto di cibo per animali, voglia raggiungere il pubblico lavorando su un ampio raggio d’azione. Fino a qualche anno fa si lavorava con inviti, lettere, giornali e annunci su riviste. Ma oggi? Il copywriting per il web è cambiato e così cambia il modo di gestire ogni lavoro. Stampare lettere, inviti e cartoline (o biglietti da visita per dire) ha un costo. Ed è spesso un signor costo! Qui entra in scena il copywriting a risposta diretta: altro non è che la capacità di aumentare il tasso di conversione degli acquirenti partendo dai tuoi inviti, o flyer.
Problema: Angelo deve spedire 10mila flyer in zona a un costo di 1.350€ (ed è l’opzione più economica!), per avere una stampa fronte e retro. Come si massimizza questa spesa? Bisognerà testare alcune versioni (almeno 2) per capire cosa sia giusto e cosa sbagliato.
COSE DA NON FARE (versione 1): realizzare un flyer con sfondo banale, magari tutto bianco, e inserire solo la scritta “Prova il nostro cibo per animali”, inserendo la via del negozio e il nome del brand. Con un briciolo di fortuna su 10mila volantini, 3 persone risponderanno. Questo vuol dire che (se la matematica non mi inganna!), solo lo 0,03% rappresenta il tasso di conversione.
Il volantino era banale, troppo vago e non indirizzato nel giusto modo!
COSE DA FARE: Angelo ha capito il suo errore, e adesso usa il tuo talento da copywriter a risposta diretta. Studia bene il target per lavorare nella zona in cui opera il suo negozio. Sceglie come pubblico solo le persone che hanno realmente animali e crea un volantino che presenta:
Parte anteriore: l’annuncio di risposta diretta con classico “call to action”;
Sul retro del volantino: un buon esempio di copywriting a risposta diretta, con informazioni, dettagli ed esempio pratico sui benefici dati dal suo cibo per animali.
Chi ha un cane o un gatto, sentirà la voglia di provare qualcosa di nuovo per il proprio amico a 4 zampe e il tasso di conversione aumenta a dismisura, fino a portare a migliaia di euro di profitti.
Per concludere… Ora, pur avendo accertato il fatto che io non sono Angelo che vende cibo per animali, conosco bene in che modo potrebbe funzionare la sua attività.
Se usi bene il tuo talento da copywriter, puoi fare la differenza su più fronti. Questo è incoraggiante, perché se sei un bravo professionista, puoi sicuramente trovare tantissimo lavoro su più settori, e aiutare chiunque a vendere di più. Ma se lo usi male, potresti rovinare il tuo operato, mettendo in crisi qualsiasi attività commerciale!
Quindi pensaci bene, informati e lanciati nella mischia solo quando sai di avere a che fare con un vero professionista.
That’s all folks!
Io vado ad acquistare crocchette, ma tu lascia un commento e dimmi che cosa ne pensi!
P.S C’è chi pensa che il copywriting sia un’abilità ormai inutile visto che il mondo viaggia a colpi di audio, video e poco testo. Tuttavia ci terrei a far notare che solo perché un messaggio è “impacchettato” in un video non è detto che sia interessante.
Quante volte abbiamo mandato avanti un video su Youtube perché palloso? Per di più facendo fatica a trovare il punto che ci interessava? Allo stesso tempo, quante volte ci siamo immersi nella lettura di un testo così bello che le parole facevano vivere in noi le scene del romanzo?
Questo per dire che le parole sono alla base di un testo, ma anche di un audio o di un video così anche di un discorso faccia a faccia. Colorano la conversazione e stimolano le emozioni, che sono alla base di un acquisto in termini di marketing.
Certo se la tua massima aspirazione è quella di diventare influencer e partecipare al Grande Randello, siamo rovinati…
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