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Casa Pentágonos, Mazunte, Oaxaca, Mexico,
Courtesy: Alberto Kalach
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Sarebbe anche giunta l'ora di smetterla con le fantasticherie da femmine isteriche.
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Le teorie complottiste che mettono in dubbio quanto accadde 23 anni fa a New York sono ridicole quanto quelle sul finto allunaggio, sugli alieni che vivono tra noi, gli UFO, la Terra Piatta.
Io non giudico queste persone, che le sostengono, STUPIDE.
Non lo faccio perché è insito, nell'umano animo, il dubitare, il non voler accettare la realtà , soprattutto quando essa è troppo semplice, troppo alla portata, troppo banale e deludente, persino, da accettare.
E così l'uomo comune romanza tutto quanto, con la sua fantasia, e in alcuni casi ci riesce anche a guadagnare divulgando queste cazzate, come fanno i rispettabilissimi scrittori di Fanta-Horror, tra l'altro, il mio genere preferito.
Vede cose, immagina cose, che vanno oltre la realtà tangibile.
L'unico complotto possibile, che possiamo prendere in esame, su quanto accadde quel giorno è unicamente una CRIMINALE connivenza tra i tagliagole islamici e una parte , più o meno deviata e traditrice, dell'Amministrazione Americana.
Punto.
Tutto il resto che si sente in giro è pura stronzata fantascientifica.
Le Torri Gemelle vennero giù come burro per un motivo molto semplice.
Erano state concepite in una certa maniera, adoperando materiali e metodologie architettoniche che, dalla fine degli anni sessanta, quando il progetto fu completato dai due architetti (importantissimi) che lo idearono, fino al 1973, anno in cui i lavori terminarono, era AVVENIRISTICA, INCONCEPIBILE.
Disgraziatamente, nel 1968, i due progettisti non potevano immaginare che un giorno lontanissimo, una banda di cammellieri sarebbe stata in grado, partendo dai paesi cammellieri loro, di buttargliele giù con dei Boeing.
E allora pensarono ad una struttura in ACCIAIO LEGGERO, invece che PESANTE o in cemento per semplificare costruzione, trasporto, sollevamento con le gru ed elasticità complessiva per affrontare eventi sismici.
Pensarono persino a sopprimere, in larga parte, le COLONNE di sostegno interne, per fare in modo che le persone che lavoravano nei vari piani, avessero 4000 metri quadri di "Open Space" a loro disposizione, senza intralci.
E spostarono quelle colonne dall'interno verso l'esterno, poggiandole su quella struttura di acciaio LEGGERO, appesantito in un secondo momento giusto quel minimo indispensabile per non fare oscillare troppo il grattacielo sotto il vento sferzante dell'isola di Manhattan, a seguito delle prove che furono effettuate.
Impatto e , soprattutto, il fuoco successivo, aggredirono quelle leggere strutture, e causarono il collasso delle Torri, e questo è quanto, punto e basta.
Pensare ad altro, lascia il tempo che trova, sono sciocchezze.
Sui fatti relativi al Pentagono, nemmeno voglio sprecare mezza parola.
Una Nazione che consentì una cosa del genere in casa propria, sarebbe stata capace di farsi invadere la Casa Bianca l'indomani mattina da quattro operai della Ford incazzati per essere stati licenziati, altro che Pentagono.
Giuseppe Sabatino.
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“Gli USA hanno distrutto quel gasdotto”. Il silenzio tombale sullo scoop di Hersh
16.02.23 - Il Manifesto - Redazione Italia
L’ACCUSA. Così i sommozzatori della Us marine avrebbero piazzato gli esplosivi che lo scorso 26 settembre hanno fatto saltare in aria il Nord Stream 2 posato sul fondo del Mar Baltico.
È passata una settimana da quando Seymour Hersh ha pubblicato un articolo dal titolo assolutamente fattuale: “Come l’America ha eliminato il gasdotto Nord Stream”. Per essere più precisi: come un gruppo di sommozzatori della Marina degli Stati Uniti, con la collaborazione della Norvegia, ha collocato gli esplosivi che il 26 settembre scorso hanno distrutto il gasdotto russo-tedesco sul fondo del mar Baltico.
L’amministrazione Biden ha colpito l’infrastruttura di un Paese non solo amico, ma membro della Nato (la Germania) il cui scopo era di rifornirsi di energia da un Paese con cui, tecnicamente, gli Stati Uniti non sono in guerra (la Russia).
Traduzione politica: si tratta dello scoop del secolo. Oggi, nel 2023, gli Stati Uniti hanno bombardato un pezzo di Germania. Nessuno però ne parla. Il silenzio della stampa americana è assordante.
Il pretesto, naturalmente, sono le smentite ufficiali: un portavoce della Casa Bianca ha dichiarato che «queste affermazioni sono false e completamente inventate». Tammy Thorp, un portavoce della Central Intelligence Agency, ha ugualmente risposto: «Completamente e totalmente falso». Data l’enormità della cosa, un po’ più di zelo giornalistico sarebbe forse opportuno…
All’epoca delle esplosioni i giornali americani, seguiti a ruota da quelli europei, avevano definito l’attentato “un mistero”, oppure un “auto-sabotaggio” compiuto dalla Russia. Oggi l’ottantacinquenne Hersh commenta che, da quando ha iniziato il suo mestiere negli anni Sessanta, le autorità hanno sempre detto che «i miei articoli erano sbagliati, inventati, scandalosi».
È lui stesso a raccontare sulla piattaforma Substack: «Sono stato un freelance per gran parte della mia carriera. Nel 1969 ho raccontato la storia di un’unità di soldati americani in Vietnam che aveva commesso un orribile crimine di guerra. Avevano ricevuto l’ordine di attaccare un normale villaggio di contadini dove, come sapevano alcuni ufficiali, non avrebbero trovato opposizione, e gli era stato detto di uccidere a vista. I ragazzi uccisero, violentarono e mutilarono per ore, senza trovare alcun nemico. Il crimine fu insabbiato dai vertici militari per diciotto mesi, finché non lo scoprii. Per quel lavoro vinsi un Premio Pulitzer, ma portarlo a conoscenza del pubblico americano non fu facile. (…) Fu rifiutato da Life e da Look. Quando il Washington Post finalmente lo pubblicò, era disseminato di smentite del Pentagono».
Invece era tutto vero e anni dopo il principale responsabile, il tenente William Calley, fu condannato all’ergastolo dalla corte marziale, ma immediatamente graziato dal presidente Nixon.
Dal caso My Lay sono passati 54 anni, ma Hersh non si è certo riposato: si è occupato del colpo di stato in Cile del 1971, della politica estera di Kissinger (The Price of Power, 1983), del mito di Kennedy (The Dark Side of Camelot, 1997) e delle torture di Abu Ghraib in Iraq nel 2004 e di come Osama bin Laden fu ucciso in Pakistan nel 2011.
Benché sia stato talvolta smentito o contestato, per esempio sull’uso di gas in Siria, la verità è che le indagini successive gli hanno quasi sempre dato ragione, come provano i cinque premi George Polk conferitigli dalla scuola di giornalismo di Long Island, un record finora mai uguagliato.
Anche nel caso del Nord Stream le sue fonti sono anonime, ma la ricostruzione degli avvenimenti è coerente e soprattutto implicitamente confermata da prese di posizione ufficiali: più volte il Segretario di Stato Anthony Blinken e, in una conferenza stampa il 9 febbraio 2022, lo stesso Presidente Joe Biden, avevano affermato che consideravano il Nord Stream una minaccia per gli interessi degli Stati Uniti e che, in un modo o nell’altro, sarebbe stato fermato.
Blinken, pochi giorni dopo la distruzione del gasdotto disse che si trattava di una «meravigliosa opportunità per mettere fine una volta per sempre alla dipendenza dall’energia russa».
Victoria Nuland, un alto funzionario del Dipartimento di Stato, nel corso di un’audizione al Senato, disse: «Sono molto soddisfatta, e credo lo sia anche l’amministrazione, di sapere che Nord Stream 2 è adesso un rottame metallico in fondo al mare».
Hersh ha lavorato per anni al New York Times, ma scrive: «Oggi non sarei il benvenuto». In effetti il prestigioso quotidiano in questi giorni ha dedicato decine di articoli al caso della mongolfiera cinese abbattuta sull’Atlantico dopo aver attraversato il Canada e gli Stati Uniti, ha riferito puntualmente di altri tre Ufo distrutti dall’aviazione negli ultimi cinque giorni, ha dato ampio spazio al Super Bowl vinto dai Kansas City Chiefs durante il quale Rihanna ha annunciato la sua seconda gravidanza. Il giornale si è ugualmente occupato (come il manifesto) dei corsi di cultura afroamericana cancellati all’Università della Florida, ma anche di come ci si può preparare psicologicamente a un possibile licenziamento, dei progetti di mini-case per affrontare la crisi degli alloggi negli Stati Uniti, degli auguri per San Valentino, oltre a invitare i suoi lettori a fare sesso con maggiore frequenza e fare attenzione alle uova che mangiano.
Del Nord Stream, neanche una riga: sul motore di ricerca del giornale l’ultimo riferimento a Seymour Hersh risale al 2015.
Il Manifesto. Fabrizio Tonello
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"LA NATO NON È QUELLO CHE DICE DI ESSERE", E' UN'ALLEANZA CHE SI È RADUNATA IN ONORE A SE STESSA.
L'11 luglio, primo giorno del summit NATO, il “New York Times” ha pubblicato un saggio.
Ecco alcuni punti salienti dell’articolo:
▪️ sin dall’inizio l’obiettivo della NATO non era contrastare le Forze Armate sovietiche, bensì vincolare l’Europa occidentale a un progetto di ordine mondiale più ampio, con a capo gli Stati Uniti, secondo cui il supporto americano era un mezzo per ottenere il controllo su numerose questioni, comprese le politiche commerciali e finanziarie.
▪️ i professionisti della guerra europei e l’élite sono orientati alle riforme, hanno forgiato un elettorato fortemente coinvolto, con tanto di campagna elettorale supportata dai media NATO;
▪️ [prima del 2004] nella retorica dell’Alleanza, la lotta al terrorismo ha soppiantato la democrazia e i diritti umani, fermo restando il focus sulla necessità di liberalizzare e riformare l’apparato statale;
▪️ La NATO ha condotto in un vicolo cieco qualsiasi tentativo di creare una forza europea parzialmente indipendente e capace di prendere decisioni autonome;
▪️ Gli standard generici di compatibilità operativa, uniti alle dimensioni spropositate delle industrie belliche statunitensi e agli ostacoli creati dalla burocrazia di Bruxelles, favoriscono le aziende americane a scapito della concorrenza europea;
▪️ Per quanto sia paradossale, l’alleanza pare aver minato la stessa capacità difensiva degli alleati;
▪️ La NATO garantisce l’influenza americana in Europa a basso costo (secondo le recenti stime il contributo degli Stati Uniti nella NATO e negli altri programmi a sostegno della sicurezza in Europa non arriva nemmeno al 6% del budget del Pentagono);
▪️ Per quanto riguarda la situazione in Ucraina, il quadro è abbastanza chiaro: le corporation americane cercheranno di trarre il maggior profitto possibile dagli ingenti ordini di armi da parte dell'Europa, mentre gli europei si accolleranno le spese della ricostruzione post-bellica, cosa che la Germania di gran lunga preferisce piuttosto che incrementare la produzione di armi in casa propria;
▪️ Per Washington, stando a come la vedono Grey Anderson e Thomas Meaney, la vera posta in gioco in Ucraina va ben oltre la questione di che bandiera sventoli in Crimea.
▪️Le truppe americane rimarranno in Europa in modalità permanente. Per l’industria bellica degli USA questo è il miglior motivo per far festa, date le ottime prospettive di crescita e sviluppo.
▪️La presenza militare globale degli USA è, dunque, destinata ad espandersi. Gli sforzi spesi per salvaguardare l’ordine pubblico nel proprio Paese, invece, diventeranno sempre più deboli e inefficaci.
▪️L’importanza che la NATO ha oggi acquisito per gli USA testimonia quanto si sia impoverito il pensiero strategico americano, incapace di tutelare i reali interessi nazionali degli USA, interni ed esterni.
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El Pentágono recomienda a la Casa Blanca no permitir a Kiev atacar Rusia con armas de largo alcance
https://actualidad.rt.com/actualidad/527701-pentagono-recomienda-permitir-ucrania-ataque?utm_source=feedly&utm_medium=rss&utm_campaign=Array
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Capitali europee nel mirino della Russia? Cosa sta succedendo: dalle armi in Ucraina al dialogo Mosca-Washington. La possibile escalation Kiev in ansia: gli F16 promessi, che inizieranno ad arrivare in estate, dovrebbero essere molti meno rispetto alle aspettative ucraine Capitali europee nel mirino della Russia? Cosa sta succedendo: dalle armi in Ucraina al dialogo Mosca-Washington. La possibile escalation Mosca alza ulteriormente il tiro nei confronti dell'Europa in risposta alla decisione degli Stati Uniti di dispiegare missili a lungo raggio in Germania. Dopo aver denunciato «un ritorno alla guerra fredda» ed aver promesso una «risposta militare», il Cremlino ha avvertito che l'iniziativa americana autorizza la Russia a designare come «potenziali» obiettivi di ritorsione le «capitali» del Vecchio Continente. Sul fronte opposto Kiev, nonostante abbia incassato nuovi aiuti militari dai partner al vertice della Nato di Washington, si prepara a fare i conti con una realtà ben più problematica: gli F16 promessi, che inizieranno ad arrivare in estate, dovrebbero essere molti meno rispetto alle aspettative ucraine. Il piano americano sui missili a lungo raggio in Germania non scatterà immediatamente, ma soltanto a partire dal 2026, prima in modo episodico e poi duraturo. Ma è bastato l'annuncio, formalizzato al summit dei leader dell'Alleanza Atlantica, per scatenare una serie di durissime reazioni da parte dei vertici russi. Il Cremlino minaccia le capitali europee Dmitry Peskov, in un'intervista ad una tv nazionale, ha parlato di una situazione «paradossale»: gli Usa «hanno schierato una varietà di missili di diversa gittata in Europa, che sono tradizionalmente puntati sul nostro Paese, e di conseguenza il nostro Paese ha designato le località europee come obiettivi per i nostri missili». Una corsa all'escalation, secondo il Cremlino, che però ha ostentato sicurezza, minacciando i partner di Washington: «Abbiamo abbastanza capacità di deterrenza sui missili americani in Europa. È già successo in passato. Tuttavia, le potenziali vittime sono le capitali di quei Paesi». Il dialogo Mosca-Washington A questa retorica sempre più aggressiva d'altra parte fa da contraltare la volontà del Cremlino di tenere aperto un canale di dialogo con Washington. Non a caso ieri il ministro della Difesa Andrei Belousov ha parlato al telefono di questo dossier con il capo del Pentagono Lloyd Austin. Un colloquio chiesto dai russi, ha fatto sapere Mosca, per discutere su «come prevenire minacce alla sicurezza e ridurre il rischio di una possibile escalation». I due si erano già sentiti il mese scorso. La nuova legge in Russia La crescente contrapposizione con l'Occidente viene alimentata dalla Russia anche internamente. Ne è prova la legge firmata da Putin che impedisce ai parlamentari russi di andare all'estero senza un'autorizzazione. Pena, la perdita del loro incarico alla Duma o al Senato. Una stretta motivata come misura protettiva, per evitare «azioni penali illegittime in giurisdizioni ostili», che potrebbero tradursi in «arresti o sanzioni». Gli scenari Sul campo ucraino intanto c'è cauta attesa sugli sviluppi del conflitto e soprattutto sulla tenuta del blocco occidentale al fianco di Kiev. Significativo, da questo punto di vista, il commento di Volodymyr Zelensky ai giornalisti che gli chiedevano conto sulla gaffe (l'ennesima) di Joe Biden, che ha presentato il leader ucraino come Putin. «Gli Stati Uniti ci hanno dato molto sostegno», quindi «credo che possiamo dimenticare alcuni errori», ha spiegato il leader ucraino. Che potrebbe non ricevere la stessa attenzione dalla Casa Bianca se dovesse tornare Donald Trump. Zelensky nel frattempo, dopo la tappa al summit Nato, la prossima settimana dovrebbe volare in Gran Bretagna per continuare a tenere alta l'attenzione degli alleati. L'occasione sarà la riunione di Blenheim Palace in Inghilterra, giovedì: il quarto incontro della Comunità politica europea, piattaforma di dialogo estesa ai Paesi extra Ue nata su spinta di Parigi all'indomani dell'invasione russa dell'Ucraina. Le preoccupazioni di Kiev in questa fase sono legate agli F-16. Secondo fonti della Nato, l'invio dei caccia sarebbe tormentato da ritardi, problemi sui pezzi di ricambio e dalla barriera linguistica tra piloti ucraini e addestratori stranieri. E si teme inoltre che l'Ucraina non abbia abbastanza piste e che quelle disponibili siano troppo vulnerabili agli attacchi russi. Il risultato è che Kiev potrebbe essere in grado di schierare uno squadrone di F-16 da 15 a 24 jet: ben al di sotto dei 300 richiesti. Entro quest'estate, tra l'altro, potrebbero arrivarne appena 6.
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Ricapitolando: al vertice della Nato hanno deciso di stanziare altri 40 miliardi di euro per finanziare la guerra per procura in Ucraina anche nel 2025. Stoltenberg ha detto che l'obiettivo per le spese militari del 2% non basta più, adesso per la pace serve il 4%. Blinken ci fa sapere che il dispiegamento degli F-16 nei cieli ucraini è in corso e a breve inizieranno a volare. Una roba gravissima che equivale alla no fly zone.
Ci sono un altro paio di robe gravissime e di cui se ne sta parlando pochissimo. Ieri la stampa di regime Giapponese diceva che il Giappone ha bisogno della Nato. Le istituzioni Giapponesi al vertice hanno ripetuto la stessa cosa quindi c'è da pensare che ci sia in vista un'altra espansione stavolta in Asia. Infatti i Cinesi si sono incazzati immediatamente e hanno fatto sapere senza mezzi termini che non accetteranno l'arrivo della Nato ai propri confini. Che poi, pensandoci bene, è quello che la Casa Bianca ha iniziato a fare contro la Russia sin dall'inizio degli anni 90' per arrivare a ciò che vediamo oggi.
L'altra cosa gravissima, inserita nella dichiarazione finale riguarda l'aumento della presenza della della Nato in Africa e in Medio Oriente ovviamente per "sostenere la pace". Qui entrano in campo soprattutto Armenia e Azerbaijan, già "corteggiate" (ovviamente con i classici metodi mafiosi statunitensi) mesi fa da Blinken in ottica anti Russa e anti Iraniana. Non è utopia pensare l'ingresso nella Nato in un futuro prossimo di questi due paesi più il Giappone. Segnatevi questa cosa! Il disegno è abbastanza chiaro però abbiamo il classico problema, ovvero che ci renderemo conto di quanto siano scellerate e guerrafondaie certe scelte solo quando è troppo tardi e a parlare saranno le bombe.
Ciliegina sulla torta per concludere in bellezza: l'alleanza più guerrafondaia mai esistita sulla faccia della terra ha deciso di schierare armi armi a lungo raggio in Germania nel giro dei prossimi due anni. Secondo quanto ci fa sapere il Pentagono verranno posizionati armi d'attacco a lungo raggio statunitensi come i missili terra-aria SM-6, missili da crociera Tomahawk e razzi ipersonici. Questo perché ci dicono di star facendo tutto per arrivare alla pace. Nel frattempo demonizzano e cercano di mettere ai margini chi fa incontri diplomatici per trovare un accordo, progettano di invadere mezzo mondo e piazzano armi davanti ai cosiddetti "Stati canaglia". E pretendono pure che quest'ultimi non si incazzino.
Ah, un ultima cosa, non per importanza: sono riusciti a tacere e a censurare i crimini del terrorismo di stato israeliano facendo finta che in Palestina non stia succedendo nulla. Qua non serve coraggio per essere così vergognosamente disumani, bisogna essere degli esseri spregevoli i quali al posto del sangue, nelle vene, hanno veleno e cattiveria. Vi rendete conto quanto siano guerrafondai, subdoli e criminali suprematisti? Che siano maledetti!
T.me/GiuseppeSalamo…
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2 apr 2024 09:30
I SERVIZI SEGRETI AMERICANI? SONO UN PARTITO, DIVISO IN CORRENTI - LO SPIEGA CLAUDIO SIGNORILE, EX VICESEGRETARIO DEL PSI, CHE SI ATTIVO’ PER LIBERARE GLI OSTAGGI AMERICANI NELL’AMBASCIATA USA DI TEHERAN NEL 1980: “ERA UN MOMENTO DIFFICILE PER JIMMY CARTER. A NOVEMBRE GLI STATI UNITI SAREBBERO ANDATI AL VOTO E LUI RISCHIAVA DI NON ESSERE RIELETTO. NOI CI ATTIVAMMO MA UNA PARTE DELLA CIA AVEVA COME FINALITÀ LA SCONFITTA ELETTORALE DI CARTER: SE L’OPERAZIONE FOSSE PROSEGUITA SAREBBE STATA DIVULGATA LA NOTIZIA CHE IL PRESIDENTE STAVA TRATTANDO CON I TERRORISTI. MI CONVINSI CHE QUALCOSA DOVESSE ESSERE ACCADUTO NELL’AMBASCIATA A ROMA. CHE QUALCUNO AVESSE PARLATO…”. E INFATTI GLI OSTAGGI VENNERO LIBERATI SOLO DOPO L’ELEZIONE DI REAGAN… -
Estratto dell’articolo di Francesco Verderami per www.corriere.it
Quindi lei il 12 maggio del 1980 volò a Beirut per salvare il presidente americano?
«Era un momento difficile per Jimmy Carter. A novembre gli Stati Uniti sarebbero andati al voto e lui rischiava di non essere rieletto. Il suo punto debole era la vicenda dei 52 cittadini statunitensi, da sei mesi ostaggi dell’ayatollah Khomeini in Iran».
Sembra un film, invece è una storia mai raccontata da Claudio Signorile, che allora era vicesegretario del Partito socialista italiano e che quel giorno aveva il compito di «avviare una trattativa per la liberazione dei prigionieri americani». Una missione impossibile di cui «la Casa Bianca era a conoscenza e che di fatto aveva autorizzato».
La vicenda degli ostaggi teneva il mondo con il fiato sospeso, perché dopo l’avvento del regime islamico a Teheran gli «studenti della rivoluzione» avevano invaso l’ambasciata statunitense, sequestrando i funzionari. Per ottenerne il rilascio «Carter aveva bisogno di un successo negoziale». […] Il tentativo militare […] era fallito due settimane prima […]
[…] «Noi del Psi, che avevamo un solido legame con Yasser Arafat e sapevamo che il leader dell’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, aveva un rapporto molto forte con Khomeini. […] Perciò chiamai un omino negli Stati Uniti».
E chi era questo «omino»: una spia?
«Il nome ovviamente non lo rivelo. Posso dire che era un mio amico professore, con cui avevo avuto rapporti accademici e che era diventato membro del National security council americano. E si sa che l’Nsc è il punto di snodo tra il presidente e la “parte ufficiale” della Cia».
Perché «ufficiale»?
«Perché c’è anche l’altra parte della Cia».
Sempre a che fare con le spie, lei...
«Allora facevo le cose che Bettino Craxi non poteva fare. Ero andato negli Stati Uniti nell’autunno del 1977, un anno dopo l’elezione di Carter. Il mio amico mi portò anche al Pentagono, e al termine della visita il direttore disse sorridendo: “Ora dovremo disinfestare gli uffici perché lei è il primo socialista che mette piede qui”».
A quanto pare ci mise piede stabilmente.
(Pausa) «Il problema era aiutare Carter senza coinvolgerlo, perché gli Stati Uniti non potevano avere alcun rapporto con l’Olp […] incontrai il portavoce dell’Olp in Italia Nemer Hammad e gli spiegai che, mentre l’Europa lavorava a una soluzione del problema palestinese, si poteva affrontare la questione degli ostaggi a Teheran».
Offrì uno scambio politico, quindi: e quale era?
«Dissi ad Hammad: “Khomeini potrebbe affidare anche solo una parte degli ostaggi ad Arafat, poi lui li consegnerebbe all’Italia e noi li daremmo agli Stati Uniti. Ritieni che Yasser possa farsi mediatore? Se così fosse, andrei a Beirut a parlargliene”. Giorni dopo ebbi una risposta positiva e il 12 maggio partii».
Senza avvertire nessuno?
«Ovviamente lo comunicai a Craxi, al presidente del Consiglio Francesco Cossiga e al ministro degli Esteri Giulio Andreotti. Poi informai l’Nsc e per ultimo l’ambasciatore americano in Italia Richard Gardner. Dovetti farlo anche per avere una riserva di ufficialità».
Ma in Libano non andò in visita ufficiale...
«Non ci fu traccia nemmeno del mio arrivo. Una volta atterrato a Beirut, non passai dal controllo passaporti ma da un gate gestito dai palestinesi. […] di Yasser avevo fiducia, ma un’altra parte dell’Olp diffidava dell’Occidente. Mi venne a prendere il capo dei servizi di sicurezza di Arafat, mi trasferì in un hotel e mi avvisò: “Non diamo mai orari per gli appuntamenti. Verremo a prenderla”».
E quando accadde?
«Alle quattro di notte sentii bussare alla porta della camera. Cinque uomini armati mi chiesero di seguirli. Ci muovemmo a piedi, imboccammo un vicolo, entrammo in un edificio e ci indirizzammo verso un sottoscala dal quale si accedeva a una cantina. Iniziammo un percorso da cantina a cantina, collegate tra loro da tunnel. Capii che stavamo attraversando sotterraneamente la città, con un dedalo di incroci. Voleva dire che c’erano percorsi diversi».
[…] Quanto durò il percorso?
«Mezz’ora, forse più. Finché arrivammo in quello che immagino fosse il luogo transitorio di lavoro di Arafat, che mi accolse con affetto. La stanza era priva di finestre e senza aria condizionata. Alle pareti erano appesi dei tappeti. Per sedie i loro sofà».
Un bunker.
«Ma il mondo nel quale si viveva allora era questo. E il loro era un mondo di rivoluzionari: temevano di venire centrati dai missili israeliani. […] dovevo far capire che il progetto era serio perché il governo italiano era impegnato e gli Stati Uniti erano solo informati. Glielo ripetei: “Informati, Yasser. Non coinvolti”. Era quello che lui voleva sentire. Fu attento a ogni parola, d’altronde si era esposto in prima persona. […]».
Sì, ma gli ostaggi li teneva Khomeini.
«Quando Arafat iniziò a parlare dell’ayatollah, lo fece come se si trattasse di un suo interlocutore costante. […] mi disse: “Proviamoci”. Si alzò e si appartò al telefono. A quel punto Hammad, che mi aveva accompagnato da Roma a Beirut, mi sussurrò all’orecchio: “Sta parlando con Khomeini”».
E lei?
«[…] Quando tornò, Arafat si limitò ad accomiatarmi con un sorriso. Ore dopo, ripartendo per l’Italia, Hammad mi informò che il contatto era stato “avviato”. Appena a Roma, avvisai i miei interlocutori. C’era un clima di fiducia. Ma due giorni dopo ricevetti una strana telefonata da Washington».
Era l’«omino»?
«Sì. Mi spiegò che nell’establishment era scoppiato il putiferio. […] una parte della Cia aveva come finalità la sconfitta elettorale di Carter».
Un pezzo della Cia giocava contro il presidente degli Stati Uniti?
«Non so se è chiaro: si stava giocando la sfida su chi avrebbe governato il mondo. Il mio amico mi disse testualmente: “Rallenta perché ci sono forti reazioni”. […] se l’operazione fosse proseguita sarebbe stata divulgata la notizia che Carter stava trattando con i terroristi. Mi salì l’angoscia. Avevo toccato con mano un atteggiamento disponibile da parte araba e il problema nasceva nel mondo americano. L’operazione quindi si fermò. […] mi convinsi che qualcosa dovesse essere accaduto nell’ambasciata a Roma. Che qualcuno avesse parlato…».
Gli ostaggi vennero liberati solo il 20 gennaio del 1981, esattamente alla fine del discorso di insediamento pronunciato dal nuovo presidente americano: Ronald Reagan.
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'Austin vedrà Gallant la prossima settimana al Pentagono'
Il capo del Pentagono Lloyd Austin incontrerà il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant a Washington la prossima settimana. Lo riporta Cnn citando alcune fonti, secondo le quali il faccia a faccia è separato dall’incontro previsto la settimana prossime fra la Casa Bianca e una delegazione israeliana di alto livello. L’incontro fra Austin e Gallant si terrà al…
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Gaza, media israeliani: “decine di combattenti di Hamas si sono arresi”
Gaza, media israeliani: “decine di combattenti di Hamas si sono arresi”. Decine di combattenti di Hamas si sarebbero arresi all'esercito israeliano nel nord della Striscia di Gaza. Lo ha riferito il quotidiano israeliano Haaretz. L'esercito e lo Shin Bet «hanno arrestato e interrogato» nel nord della Striscia «centinaia di sospetti terroristi: molti di loro anche nell'ultima giornata si sono arresi e si sono consegnati». Lo ha detto il portavoce militare Daniel Hagari riferendosi alle notizie e ai video diffusi dai media israeliani. Intanto la Casa Bianca riferisce che Joe Biden ha parlato con il premier israeliano Benyamin Netanyahu per discutere degli ultimi sviluppi a Gaza. Gli Stati Uniti, inoltre, hanno ripreso i voli di droni sulla Striscia a sostegno degli sforzi israeliani per il recupero degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. Lo ha annunciato un portavoce del Pentagono. Se Hezbollah cominciasse una guerra con Israele, «trasformerebbe Beirut e il Libano meridionale in Gaza City e Khan Yunis». Questo l'avvertimento lanciato dal premier Netanyahu, che ha ribadito la determinazione dei soldati a combattere. Nelle stesse ore, è stato reso noto che Israele aprirà per la prima volta dall'inizio della guerra con Hamas il valico di Kerem Shalom verso la Striscia di Gaza, per consentire l'ispezione dei camion con gli aiuti umanitari diretti alla popolazione civile. Lo ha annunciato un alto funzionario di stato. L'esercito israeliano ha annunciato la morte di altri due soldati che stavano combattendo a Gaza. Tra questi c'è Gal Meir Eisenkot, figlio 25enne di Gadi Eisenkot, ex capo di Stato maggiore dell'esercito e attuale Ministro del Gabinetto di guerra. Il secondo soldato si chiama Jonathan David Deitch, 34 anni. Entrambi erano riservisti.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Roma spiata da un satellite della Corea del Nord
Il leader Kim Jong-un ha visionato le foto e ha ricevuto un rapporto sulle operazioni dal Centro di controllo generale dell'Amministrazione nazionale per la tecnologia aerospaziale, secondo quanto riferito dall'agenzia di stampa centrale coreana Kcna
De Ficchy Giovanni A riportare la notizia è l’agenzia di stampa statale di Pyongyang, la Kcna. Secondo le fonti, un satellite da ricognizione nordcoreano ha scattato dal 25 novembre ad oggi foto della Casa Bianca e del Pentagono, nonché di Roma. Il leader Kim Jong-un ha visionato le foto e ha ricevuto un rapporto sulle operazioni dal Centro di controllo generale dell’Amministrazione nazionale…
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Israele: raid contro 400 obiettivi Hamas a Gaza. Rinviata operazione di terra, si tratta su ostaggi
(Adnkronos) - Mentre proseguono i raid israeliani nella Striscia di Gaza a oltre due settimane dall'attacco di Hamas lo scorso 7 ottobre, Israele - che sta trattando sul rilascio degli ostaggi - ha deciso di "rinviare l'operazione di terra". Raid contro Hamas a Gaza, le notizie di oggi Secondo le ultime news di oggi 24 ottobre, le Forze di difesa israeliane hanno reso noto di aver condotto raid contro circa 400 obiettivi di Hamas nella Striscia di Gaza nelle ultime 24 ore, uccidendo diversi comandanti e operativi. Le Idf sostengono che i militanti, molti dei quali nascosti nelle moschee, si preparavano al lancio di razzi contro Israele. Colpito anche l'ingresso di un tunnel sulla costa e centri di comando. Tra le vittime ci sono i vice comandanti dei battaglioni di Nuseirat, Shati e Furqan. Israele ha deciso di "rinviare l'operazione di terra" nella Striscia di Gaza. In attesa dell'arrivo di altri asset americani nella regione, la rivelazione è arrivata dalla radio dell'Esercito israeliano a meno di una settimana dalla missione in Israele di Joe Biden, che a Benyamin Netanyahu ha confermato il sostegno Usa, ma ha anche ricordato agli israeliani "gli errori" fatti dagli Stati Uniti dopo gli attacchi dell'11 Settembre 2001. Gli Stati Uniti ora cercano di prevenire lo scenario di una guerra più ampia nella regione in un quadro in cui le speranze dell'Amministrazione Usa di espansione degli Accordi di Abramo, sottoscritti da Israele con alcuni Paesi arabi all'epoca di Donald Trump alla Casa Bianca, sembrano almeno 'archiviate'. La diplomazia però non si ferma Prima di Biden erano stati in missione nella regione il segretario di Stato Usa, Antony Blinken e il capo del Pentagono Lloyd Austin che poco dopo il summit del Cairo di sabato ha annunciato il dispiegamento di altri asset Usa nella regione. E, evidenzia il Washington Post, sebbene Biden sia riuscito a ritardare l'avvio di un'offensiva israeliana a Gaza, la probabilità di una estenuante guerra di terra resta alta. Intanto il ministro dell'Energia israeliano Israel Katz ha dichiarato al quotidiano tedesco Bild che Israele continua a fare pressioni per il rilascio degli ostaggi del gruppo islamista Hamas dalla Striscia di Gaza. "Stiamo trattando con tutti gli attori per ottenere il rilascio dei rapiti", ha dichiarato alla Bild. "Stiamo facendo tutto il possibile per riportarli a casa". Katz ha detto che gli ostaggi trattenuti a Gaza non fermeranno gli attacchi aerei israeliani o l'offensiva di terra pianificata dall'IDF nell'enclave costiera. "Hamas vuole che ci occupiamo dei rapiti e che i nostri militari non entrino per eliminare le loro infrastrutture. Questo non accadrà", ha detto Katz. Israele "eliminerà Hamas, le sue infrastrutture come esercito, organizzazione e governo. E libererà coloro che sono stati rapiti". Un'offensiva di terra da parte di Israele a Gaza è ampiamente prevista. Biden e Netanyahu Nel frattempo Joe Biden ha avuto in nottata un nuovo contatto telefonico con Benyamin Netanyahu. Secondo quanto riferito dalla Casa Bianca, il presidente ha accolto con favore il rilascio di altri due ostaggi da Gaza e ha riaffermato il suo impegno nei confronti degli sforzi in corso per assicurare il rilascio di tutti gli altri ostaggi presi da Hamas - compresi gli americani - e per garantire un passaggio sicuro ai cittadini statunitensi e agli altri civili a Gaza. Biden ha anche sottolineato la necessità di sostenere un flusso continuo di assistenza umanitaria urgentemente necessaria a Gaza. A Tel Aviv è arrivato il presidente francese Emmanuel Macron per esprimere la sua "piena solidarietà" a Israele. Nel corso degli incontri che avrà con il premier Benyamin Netanyahu e con il presidente Isaac Herzog, Macron ribadirà l'importanza di "preservare la popolazione civile" a Gaza, hanno fatto sapere fonti della presidenza. In una nota, l'Eliseo sottolinea "i tre grandi obiettivi" della visita del presidente: "mostrare la piena solidarietà della Francia a Israele di fronte a uno dei più gravi attacchi contro la sua popolazione dalla fondazione dello Stato, continuare a mobilitarsi per evitare una pericolosa escalation nella regione e ribadire l'importanza di preservare le popolazioni civili; infine, aprire una prospettiva politica e trovare un ampio consenso internazionale, che richieda l'impegno di un gran numero di partner per la sicurezza di Israele e la ripresa decisiva di un vero processo di pace". La visita dopo i raid Il programma della visita prevede, dopo un incontro con un gruppo di famigliari degli ostaggi, un colloquio con il presidente Isaac Herzog, poi con Benyamin Netanyahu. Al termine di una dichiarazione alla stampa insieme al premier, Macron vedrà anche Benny Gantz, l'ex premier entrato nel gabinetto di guerra del governo di emergenza nazionale, e il leader dell'opposizione Yair Lapid. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha avuto contatti telefonici, i primi dagli attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso, con i ministri degli Esteri di Israele, Eli Cohen, e dell'Autorità nazionale palestinese, Ryad al Maliki. Secondo quanto comunicato a Pechino, Wang ha sottolineato a Cohen che "tutti i Paesi hanno diritto all'autodifesa, ma che devono proteggere i civili e rispettare il diritto internazionale: il compito più urgente adesso è impedire che ci sia un'ulteriore escalation che porti a un disastro umanitario ancora più grave". Escalation "in corso" per la quale il capo della diplomazia di Pechino ha sottolineato la sua preoccupazione. Ad al Maliki, Wang ha espresso "la profonda solidarietà" cinese: "Quello di cui il popolo di Gaza ha bisogno di più al momento sono sicurezza, cibo e medici, non armi e munizioni". ---internazionale/[email protected] (Web Info) Read the full article
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Tom Clancy, re del thriller tecnologico
Lo scrittore che ideò un nuovo filone del thriller americano degli anni Ottanta… Thomas Leo Clancy Jr. nacque a Baltimora il 12 aprile 1947 e per anni lavorò come un broker in campo assicurativo del Maryland mentre, fra il disbrigo di una pratica e le telefonate a qualche cliente, leggeva i testi legati alla sua vera passione, la storia militare, le caratteristiche della armi e la strategia navale. Il sogno di Tom era quello di scrivere un romanzo, in modo da mettere a frutto l'enorme patrimonio delle sue competenze che aveva acquisito, ma fino all’inizio degli anni Ottanta aveva pubblicato solo un articolo sui missili MX. Poi un giorno Clancy legge un articolo inerente la tentata defezione di un sottomarino sovietico, e da li ebbe l'idea di scrivere La grande fuga dell'Ottobre Rosso. Da quel momento Tom divenne il maestro del Techno Thrillers, un genere dai contenuti molto verosimili e in cui la descrizione degli oggetti e delle armi impiegate sono descritte minuziosamente sulla base di nozioni reali. La grande fuga dell'Ottobre Rosso, scritto nel 1984, divenne un bestseller mondiale e agli inizi uscì in edizione economica, ma i lettori scoprirono che quella incredibile ma ben dettagliata storia era qualcosa di assolutamente nuovo nel panorama dei Thriller Il romanzo ebbe anche il beneplacito dell'allora presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan che lo definì ''un romanzo perfetto" dando vita alla trappola Clancy, cioè quell’ ossessione che fa sì che, una volta iniziato, sia impossibile riporre il libro sul comodino senza aver prima finito l'ultima riga, caratteristica che si ritrova in tutti i libri di Clancy, come dimostrano le valanghe di copie vendute. Tra i suoi successi ci furono Uragano rosso (1986); Il Cardinale del Cremlino (1988); Pericolo Imminente (1990) Debito d'onore (1994); Potere esecutivo (1996) e Politika (1999). Per anni, dopo una serie di conversazioni private con Ronald Reagan, un pranzo con lo Staff della Casa Bianca, Clancy fu regolarmente consultato dagli esperti internazionali di strategia navale e dalla CIA; oltre ad essere un ospite ben voluto nei sottomarini, jet e navi della Marina Statunitense; ed infine molti dei suoi libri vennero addirittura studiati presso i War College americani. Tom Clancy morì il 2 ottobre 2013 e poco prima della sua scomparsa ammise di essere entrato in contatto con The Great Chain, ovvero una rete di militari, impiegati del Governo, ufficiali del Pentagono, uomini della Cia e imprenditori, da cui ebbe una serie di informazioni poi usate nei suoi romanzi mozzafiato. Read the full article
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#Repost @adnkronos_ #11Settembre 2023
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Esiste un prima e un dopo 11 settembre 2001. Non può essere che questa, purtroppo, la data più significativa del nuovo millennio, a tal punto da rendere il '9/11' un riferimento inconfondibile. "Poi sei scomparso nella polvere", ricorda Bruce Springsteen: a New York sono le 8:46 di un martedì mattina quando il primo aereo, un Boeing 767 del volo American Airlines 11, si schianta contro la Torre Nord del World Trade Center, la prima delle Torri Gemelle ad essere colpita. Passano esattamente 17 minuti: alle 9:03, contro la Torre Sud si schianta il Boeing 767 del volo United Airlines 175. Il mondo si ferma e, nell'ora successiva, non può che osservare attonito mentre il simbolo dell'egemonia americana e dell'occidente crolla davanti ai propri occhi. Ma la Grande Mela non fu l'unica ad essere attaccata. Alle 9:37, il Boeing 757 del volo American Airlines 77 viene dirottato contro un altro dei simboli del potere USA, il Pentagono, nella Contea di Arlington, in Virginia. E non può essere dimenticato il Boeing 757 del volo United Airlines 93 che, grazie ad una rivolta dei passeggeri, non colpì l'obiettivo previsto, potenzialmente il Campidglio o la Casa Bianca a Washington, e precipitò invece in un campo nei pressi di Shanksville, in Pennsylvania, alle 10:03. In totale, le vittime degli attentati furono 2.977, esclusi i diciannove dirottatori: 246 sui quattro aeroplani, 2.606 a New York e 125 al Pentagono. Altre 24 persone sono ancora elencate tra i dispersi. Oltre ai civili, persero la vita anche 343 vigili del fuoco, 72 agenti delle forze dell'ordine e 55 militari. Mentre sono più di 90 i Paesi che hanno perso cittadini in quella giornata che non dimenticheremo mai. #adnkronos #adnkronositalia #torrigemelle #newyork #11settembre #accaddeoggi #notiziedelgiorno
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AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA PER BILL GATES
IL LOGO DELLA RANA DI BILL GATES (PENTAGONO) È APPARSO NEI SUPERMERCATI ITALIANI.
LA RANA VIENE UTILIZZATA NELLE SCUOLE AMERICANE PER FARE ESPERIMENTI DIDATTICI E ORA IL SIMBOLO DELL’ESPERIMENTO ARRIVA A CASA TUA, SULLA TUA TAVOLA!
EVITA QUESTI CIBI MARCHIATI “RAINFOREST ALLIANCE” PERCHÉ POSSONO CONTENERE mRNA SPERIMENTALE COME QUELLO CONTENUTO NEI “VACCINI” COVID
SALVA LA TUA VITA, BOICOTTA CHIQUITA!
MASSIMA DIFFUSIONE!!!
#GATES #mRNA #CHIQUITA #BANANE #VACCINI
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Ora è ufficiale: la Casa Bianca ha approvato la fornitura di munizioni a grappolo all'Ucraina
(ANSA) – La Casa Bianca ha approvato la controversa fornitura di munizioni a grappolo a Kiev e l’annuncio e’ atteso oggi dal Pentagono. Lo scrive il Washington Post. Più di 120 nazioni hanno aderito alla convenzione che vieta le ‘cluster munitions’, le munizioni a grappolo che rilasciano sotto-munizioni più piccole che possono rimanere inesplose e mettere in pericolo i civili anni dopo la fine di…
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