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#capelli sottili
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A lock of the hair of Lucrezia Borgia in the Ambrosian Library in Milan, Italy
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«Pinacoteca Ambrosiana, Milano.
In una piccola teca è conservato un tesoro.
Un garbuglio di sottili fili gialli che formano un intreccio ad anello verso l’estremità. Niente di che all'apparenza, forse solo una reliquia; e invece se vai a fondo scopri che dietro c'è un mondo. Una storia d'amore bellissima quanto proibita, tra un dotto umanista e una ragazza tormentata. Per viverla bisogna spostarci un po' più ad est, e tornare indietro nel tempo, tanti e tanti anni fa.
Ferrara 1502. Quel giorno, alla corte ducale, erano attesi giovani poeti e letterati.
Per il ragazzo era un'occasione d'oro. Poteva finalmente mettersi in mostra e farsi notare dalla duchessa. Se tutto fosse andato come sperava, avrebbe avuto anche l'occasione di entrare nella sua cerchia ristretta di letterati. Lei amava gli artisti, e ovviamente far parte del suo "circolo" era garanzia di fama e ricchezza. Così giunse il suo momento. Il ragazzo entrò in sala e la vide. Conosceva la duchessa solo per sentito dire, e che fosse molto bella lo sapeva già, gliel'avevano ripetuto un milione di volte. Quello che lo sbalordì e lo lasciò senza parole fu che fosse così bella. Il poeta ci mise un po' di tempo a presentarsi, letteralmente folgorato dal bagliore della giovane duchessa. I suoi capelli biondi splendevano, illuminati dai raggi del sole che filtravano dalle grandi vetrate del palazzo. Già quei capelli, come si può dimenticarli? Non ci riuscì, e continuò a pensare a lei anche le ore successive all'incontro. Anche i giorni dopo. Anche le settimane dopo.
La duchessa era il suo pensiero fisso. Si invaghì così tanto da giungere a cambiare la struttura della sua prima opera che stava per uscire in quel periodo. La modificò sulla base di quel suo nuovo invaghimento. Un uomo che apriva il suo cuore verso l'amore più sincero e appassionato. E quando l'opera, chiamata "Gli Asolani", uscì, il poeta ne regalò subito una copia alla duchessa, che rimase positivamente colpita. Cominciarono a frequentarsi sempre più spesso, i due innamorati clandestini, e intrapresero una relazione platonica ma appassionata.
Poi però arrivò la peste e il poeta fu costretto a scappare dalla città. Lei rimase. Non poteva la duchessa abbandonare il suo popolo decimato. E tanto platonicamente quanto si erano frequentati di persona, così iniziarono un rapporto epistolare a distanza fatto di bellissime lettere d'amore. Lui però aveva ancora quel pensiero fisso: i capelli di lei, e glielo scrisse. Alla fine lei non mancò di compiere un gesto fortemente simbolico: si tagliò una ciocca dei suoi amati capelli e la inviò insieme a una lettera. Quando lui la ricevette, la tenne stretta a se, e la volle conservare per sempre all'interno di uno scrigno, che ormai era il più prezioso di tutti i tesori che possedeva. Quello che conteneva le lettere d'amore della duchessa.
I due non si rividero mai più ma continuarono a scriversi ancora per sedici anni. Poi lei morì giovanissima e lui divenne Cardinale. Uomo di chiesa e personaggio di spicco dell'Umanesimo italiano, famoso ancora oggi con il nome di Pietro Bembo.
Come quella ciocca di capelli sia giunta a Milano, non lo sa nessuno. Ma forse un motivo c'è.
Se la guardi all’interno della piccola teca, noti che è ancora perfettamente conservata, liscia e fresca come se fosse stata appena recisa.
Ecco, pare che in alcune notti, se osservi bene attraverso le finestre della Pinacoteca Ambrosiana, scorgi un bagliore. Una luce intensa che proviene dalla stanza dove è conservata la bionda treccia. Dicono che sia proprio la duchessa, che arriva e legge le lettere del suo amato Pietro Bembo, non prima di aver pettinato la propria ciocca di capelli.
Poi se ne va, svanisce in un educato silenzio, ma felice perché si è sentita amata. Lei, la discussa e tormentata duchessa di Ferrara, Lucrezia Borgia»
Roberto Colombo
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emz26 · 3 months
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Un piccolo e silenzioso angolo al di fuori del tempo.
Nel nostro mondo esistono piccole sacche che resistono all’incedere del tempo, piccole faglie in cui tutto sembra scorrere in maniera consueta, dove il giorno passa ma il tempo non avanza, luoghi in cui è possibile vivere quelli che io chiamo “piccoli momenti neorealistici”.
È in una frattura del nostro tempo quella in cui vi voglio portare oggi, nella scalinata di un vecchio palazzone romano situato dentro un vivace quartiere popolare, un piccolo spazio in bianco e nero.
Il fresco dell’androne permetteva di riprendere fiato dal caldo soffocante del piazzale esterno. In quello spazio riparato dal sole anche il caldo vento estivo si raffrescava, per un attimo i suoi leggeri abiti parevano essere troppo sottili, la pelle candida delle esili braccia reagiva creando delle piccole collinette e andando ad imitare la briosità d’animo della giovane ragazza.
Le gambe agili si arrampicavano sulle scale di graniglia, la calda e bianca mano contrastava con il freddo e nero ferro battuto del corrimano, la salita si trasformava in una gioiosa e vivace corsa, era in atto un infantile e romantico gioco di ruolo.
Lei rideva, i cristallini suoni della sua voce riecheggiavano per le scale,”fai piano, ci scopriranno”, il cesto di vimini cadeva sul pianerottolo, ma la corsa non si arrestava, fino a quando con il cuore allo spasimo per la salita e la gioia i suoi occhi non vennero lambiti dai raggi del sole.
Lei adesso è in piena luce, il cielo è limpido e candide lenzuola ondeggiano al vento, il suo casto vestito nero si muove accarezzato da invisibili mani, i suoi lunghi capelli corvini seguono lo stesso destino, sono sul pontile di un vascello.
Lei sorride ma lo sguardo è diventato serio, è lo sguardo di chi chiede una muta promessa, “sì”, le due ombre proiettate sulla tela lentamente si uniscono, il vento riempie le profumate vele, il palazzo sembra navigare, tutto si muove, tutto è vita.
La schiena è cullata dal tepore del pavimento, gli occhi sono rivolti al cielo, lei indica un minuscolo puntino volante in aria, “cos’è?”, il sole riflette su di una splendente fede, il tempo è andato avanti.
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anchesetuttinoino · 4 months
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Shakespeare descrisse Giulietta come una ragazza esile, con lineamenti sottili e molto delicati e la pelle candida e pallida.
Il suo viso era contornato da lunghi capelli lisci castano scuro e gli occhi erano di color verde tendenti al grigio chiaro. Le labbra di Giulietta erano sottili e rosate.
Poi è arrivata l’ideologia woke.
Via francesca totolo su telegram
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parolerandagie · 5 months
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Storia breve #3
Ha gambe sottili, troppo sottili, e magre, troppo magre, che ballano in un paio di jeans stretti stretti, ma non stretti abbastanza. Sembrano ballare anche i suoi piedi, mentre cammina, sembrano ballare ad un ritmo jazzato che sta nella sua testa, a far abbastanza rumore da zittire i pensieri e le ansie che, non so perché, si intuisce subito siano tante. Dum-da-dum-dum ed avanza lungo il viale, con un giubbotto di pelle azzurro che ha visto giorni migliori ma ha la dignità del veterano, con una mano stretta sulla tracolla corta di una borsetta e l’altra in tasca: intorno al collo una bandanina, azzurra anche lei, ed i capelli lunghi ed un poco incolti e tanto grigi. Azzurri gli occhi, tanti gli anni. E’ stata bella, forse lo è ancora, forse ancora ci si sente. Il mondo non lo guarda però, certa che tanto il mondo abbia smesso di guardare lei ed abbastanza serena a riguardo, e dovessi scommettere direi che la meta, verso cui va, la ha scordata, ma è perentoria nell’incedere che continuare a muoversi è importante. Ci incrociamo, il cammino ma non lo sguardo, e poi sparisce, alle mie spalle, che le nostre traiettorie sono troppo diverse, troppo divergenti. Dum-da-dum-dum anche io, per cinque o sei passi, perché tanta sincerità, tanta onestà nell’essere chi si è mi ha contagiato, anche solo per un attimo, per un pensiero.
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smokingago · 1 month
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Belli capelli
Capelli neri
Che t’ho aspettata
Tutta notte
E tu chissà dov’eri
Capelli lunghi
Che arrivavano
Fino al mare
Belli capelli
Che nessuno li può tagliare
Belli capelli
Capelli d’oro
Che in mezzo
A tutta quanta quella gente
Mi sentivo solo
Capelli d’oro
Che sei partita
E chi lo sa se torni
Belli capelli
Che ti coprivano
Tutti i giorni
Capelli lunghi
Come autostrade
La mattina
Sopra il tuo cuscino
Che quando tira vento
Diventano i capelli
Di un ragazzino
Capelli così lontani
Che nessuno li può vedere
Capelli così sottili
Che basta niente
Che li fai cadere
Belli capelli
Capelli bianchi
Che si fermarono
A una fontana
A pettinare gli anni
Capelli stanchi
Dentro allo specchio
Di un bicchiere di vino
Belli capelli
Che stanotte è notte
Ma verrà mattino
Francesco De Gregori
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unfilodaria · 1 month
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Avevo, anni fa, un collega d’ufficio, architetto come me (o meglio io lo sarei diventato molti anni dopo) di cui avevo molto stima, tanto da pensare di poter essere suo amico (e così non è stato ma questa è tutta un’altra storia). Grande eloquio, buona cultura, gran conoscitore d’arte, collezionista, anche di opere di un certo valore. Grazie a lui ho conosciuto il mondo dei galleristi napoletani di livello: la galleria Lucio Amelio a Piazza dei Martiri, dove ho visto per la prima volta, da vicino, un Andy Warhol famosissimo - il Vesuvius - rimanendo già allora sbalordito per la sua quotazione; lo Studio Trisorio dove ho conosciuto Ferdinando Scianna, che, a causa della mia ignoranza e una parola sbagliata, mi fanculizzó cordialmente; e altre gallerie minori. Ho conosciuto pittori che dopo sono diventati quotatissimi, ho visto mostre, ho apprezzato la sua piccola ma ben fornita collezione (sapeva spendere con oculatezza e ogni tanto azzeccare il colpo gobbo che in seguito gli avrebbe fatto fruttare bei quattrini). Insomma ci sapeva fare: un pessimo lavoratore, si, della serie potrebbe fare di più ma non si applica, ma dell’arte faceva il suo punto di forza.
Oltre a collezionare, il collega dipingeva pure. Nel suo piccolo studio accumulava tele di “buona speranza” ma scarsa fortuna: non mi dispiacevano affatto anche se peccava di scarsa originalità. Come tutti i pittori, buon conoscitori d’arte, aveva avuto diversi “periodi” artistici, inseguendo ora questa ora quell’altra corrente artistica. I suoi inizi erano stato “elementari” e figurativi, ma il tocco era già buono e l’uso del colore sapiente. C’era un quadro, tra questi, che mi piaceva non poco: uno scorcio di quel che sembrava una stanza con finestra, alla luce del crepuscolo (??), un letto disfatto su cui era (é) distesa una donna nuda, rivolta di spalle, una gran massa di capelli, un sedere sodo ma un po’ sceso. Una cromia tra l’ocra e qualche punta di turchese. Mi colpiva ma non capivo il perché. Quando mi sposai e lo invitai al matrimonio, il collega artista mi chiese cosa volessi per regalo: voglio quel quadro - gli dissi senza indugio e lui me lo regalò.
Questo quadro campeggia da anni nella mia camera matrimoniale, di lato al letto, in posizione discreta. Quando mi giro verso la parete finestrata, me lo ritrovo di fronte, ed ogni volta me lo guardo con attenzione e mi piace come allora. Il perché l’ho capito anni dopo, dopo il divorzio, dopo la convivenza con la mia seconda compagna, il mio amore, dopo esserci lasciati ed essere ritornato nella mia casa e dopo aver provato a riprendere, infruttuosamente i rapporti con lei.
Era estate, un giorno caldo e afoso come questi, stanza in penombra, quel tanto da non essere accecati dalla luce e osservare bene. Eravamo a casa mia, sul mio letto, nudi dopo aver fatto l’amore (non all’amore). Lei adorava, dopo averlo fatto, mettersi di spalle ed io a cucchiaio, incollato a lei, con la testa immersa nella sua massa di capelli. Stavamo bene, non pensavamo a nulla. Era il momento del silenzio, delle coccole. Il ventilatore andava piano ed io mi beavo, come facevo spesso, a seguire il suo profilo con le dita, partendo dal lungo collo, una delle sue parti del corpo migliori, lungo la sagoma delle spalle, poi sul linea della schiena, fin giù alle natiche. Su e giù, solleticandola piano piano mentre lei si agitava lentamente, riprendendo le voglie sopite. Ecco che a un tratto alzo lo sguardo: il quadro è lì, di fronte a me e a lei, dove è sempre stato. Mi soffermo per un attimo sulla massa di capelli ritratta sulla tela, su quel culo sodo ma un po’ sceso, quelle gambe lunghe e sottili, pari pari alla donna che avevo accanto a me.
- M. ma sei tu, nella tela. Cazzarola, non ci avevo mai fatto caso. Sei proprio tu!
- Oddio, è vero, mi somiglia molto
- Si, sei proprio tu. Che assurda coincidenza!
Dopo 25 anni, venticinque santiddio, mi si rivelava ai miei occhi il perché di quel quadro e del perché probabilmente mi fosse sempre piaciuto.
Quel quadro è ancora qui, davanti a me, potrei fotografarvelo volendo: lo guardo sempre e mi piace come il primo giorno. Una delle poche cose che non mi provoca tristezza ma solo un leggero velo di malinconia. Non volendo, Lei, è sempre qui con me, in questa stanza, da trent’anni, o meglio per me un po' meno perché io sono andato via e poi tornato, sempre qui, nella medesima posizione, a vegliare quello che è stato il mio avamposto dei giorni felici. Lui, il quadro, e Lei sono qui accanto a me a vegliare silenziosamente sulle mie notti. E la cosa non mi dispiace affatto.
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missfreija · 1 year
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title: /// (mi rifiuto di dare un titolo lol)
fandom: vampire chronicles
pairing: armand/marius
romance, fluff, venice era
Il pennello intinto di nero scorreva veloce nello spazio della tela, stretto tra le dita sottili di Marius che, in piedi tra le pieghe del suo abito ampio, dipingeva la fine dell'umanità per mano del Dio cristiano. Le sue labbra si increspavano in un guizzo di nervosismo, mentre gli occhi, ombreggiati dai capelli biondi, gli conferivano un’ espressione assorta. Tra le mura del palazzo echeggiò un lontano rimbombo di passi. “Maestro, non dovrebbe affaticarsi troppo, è da più di una settimana che non stacca le mani da quel lavoro.” Gli occhi pensosi erano mutati in pozze colme di beatitudine non appena il giovane umano dai capelli ambrati ebbe varcato la soglia. “Dovresti sapere che non ti è permesso entrare in questa stanza senza il mio consenso, Amedeo" mormoró il vampiro, accennando un lieve sorriso indulgente. Amedeo si avvicinò alla composizione con curiosità, mentre Marius si accingeva a riprendere la sua meravigliosa opera, dopo aver ripulito frettolosamente le macchie di pittura disseminate sul pallido braccio. “Che concetto si cela alla base della vostra nuova creazione?” domandò il giovane. “È scaturito da un mio sogno.” Precisò. “Devi sapere, Amedeo, che ciò che per gli umani pare molto tempo, dal calar del sole al sorger della luna, per una qualsiasi divinità equivale a meno di un secondo. Così, il sole si abbassa sulla terra sfumando di rosa aranciato il cielo e le nuvole per poi scomparire, lasciando il palcoscenico alla luna ed accendendo le costellazioni davanti agli occhi di Dio. Rifulgono i bianchi marmi dei templi nella notte, colonne scanalate dai capitelli fioriti d'acanto sostengono fregi rappresentanti imprese eroiche e miti del passato. Bassorilievi muti fissano le tenebre della terra sovrastate dalle splendenti stelle accompagnate dal chiaro volto di Proserpina. E un soffio da oriente, vento ormai debole, adagia una corona intrecciata di fiori, in via di appassire, sulla gradinata di fronte all'alta ed imponente statua del Cristo. Io mi trovavo in questo scenario e piangevo, come morte, persone ancora in vita, guardando l'oro delle nuove città bagnarsi del sangue causato dalle guerre e i cadaveri dei morti venir risucchiati nel regno degli inferi, ove si nasconde il più profondo male dell'uomo, nutrimento demoniaco o forma del demonio stesso. Mi trovavo, in questa illusoria macchinazione febbrile, proprio nel cuore della strage, dove gli arcangeli sterminavano le creazioni dell’umanità. Desideravo scomparire, chiudere gli occhi e tornare a dipingere: illuminare il cielo nella raffigurazione per cancellare la notte che tentava invano di rammentarmi tele e dipinti passati, mai dimenticati nel mio cuore.” Il signore del palazzo veneziano sorrise amaramente, posò il pennello e premette una mano sulla schiena di Amedeo, attonito, in un invito a precederlo. Si avviarono lungo un buio porticato che si affacciava sul cortile. Gocce di pittura nera rigavano i volti di cento angeli nel cielo al tramonto.
Marius entrò nella stanza e i suoi occhi non ebbero bisogno di attendere qualche istante per abituarsi alla nuova atmosfera dalla scarsa luminosità. Il tenue bagliore sprigionato dalle poche candele sul tavolo era più che sufficiente per illuminare il suo mondo circostante. Pian piano andò notando la radiosa ed armoniosa figura che rimaneva semi sdraiata sull'ampio letto dai cuscini di prezioso velluto. Era abbastanza longilinea e sorrideva verso il vampiro, il ritratto della paziente attesa. La pelle chiara rifletteva la luce soffusa delle candele che sprigionavano profumi delicati di spezie e di sandalo, le gambe distese sui soffici cuscini erano leggermente piegate per dare una postura eretta al bacino. Marius mosse un passo verso l'oggetto del suo desiderio. Un sottile velo di seta, che copriva le spalle del giovane ucraino, era scivolato lentamente di lato nascondendo in parte i capezzoli che risaltavano più scuri nella sua trasparenza. Un braccio in tensione, il sinistro, reggeva il busto affondando la mano tra i cuscini mentre l'altro si scaricava rilassato su di un fianco mostrando l'avambraccio. Il giovane portava al dito un onice di piccole dimensioni. Lo sguardo limpido di Amedeo pareva ebbro di gioia, le sue palpebre inondate di una misteriosa polvere dorata che scuriva il contorno dell' occhio dando un' apparenza di intensa profondità. Le mani statuarie sul suo bacino fecero perdere l'equilibrio a quella postura precaria; il suo corpo si distese sui cuscini e la pelle fremette a quel contatto, bramando una connessione più penetrante e appagante. Il capo era reclinato sulla spalla sinistra, gli occhi ora semichiusi e ombreggiati dalle ciglia scure. ''Siete finalmente tornato, Maestro'' mormorò il cherubino. Quell'amore rendeva completa e significativa tutta la sua esistenza di giovane ragazzo umano, e Marius in qualche modo lo sapeva. Posó baci morbidi come petali sulle gote e sui capelli di Amedeo, con immensa gentilezza mentre il giovane si metteva a sedere e reclinava il capo in avanti per accogliere quel gesto, lottando contro le lacrime che minacciavano di rigargli le guance e contro l'emozione che gli serrava la gola. Le sue mani cercarono il petto ricoperto dalla tunica di Marius. Era troppo forte il desiderio di far scorrere le labbra sulla pelle marmorea del suo signore, in una scia di baci adoranti. Le labbra rosee si socchiusero in un respiro più profondo degli altri; il giovane alzò la testa con un movimento quasi felino, trascinante, e incontrò lo sguardo di Marius. Le iridi brune simili a granato parevano celare arcani antichi ed impenetrabili. Il potere insito in quello sguardo lo sopraffece. Armand serrò gli occhi al socchiudersi delle labbra fredde sulle proprie, baciando con trasporto il suo signore. Sotto il peso del corpo del vampiro, l'umano alzò involontariamente una gamba e la seta strusciò contro il suo fianco. La mano destra di Amedeo corse a sistemare una ciocca dei capelli chiari del maestro dietro l'orecchio; erano setosi e parevano vivi, sciogliendosi fino alle spalle in una morbida cascata color miele. Le sue labbra lasciarono intravedere visibili per un attimo i bianchi denti in un sorriso, la lingua rossa per un istante passò ad inumidire il labbro superiore, ma fu fermata, come animale intrappolato, tra canini aguzzi. Marius scoprì le parti nascoste di quel corpo che aveva imparato a conoscere; con adorazione, passò le dita tra i capelli profumati che giacevano sparsi sulla superficie morbida delle lenzuola. ''Esprimi i tuoi desideri, Amedeo''
Marius parlò con inflessione melodiosa, quasi vibrante, e con una punta di decisione nel tono, ma parve infinitamente dolce alle orecchie rapite di Amedeo. Gli attimi di felicità che aveva condiviso con lo scomparso Andrei gli restarono nei ricordi.
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blackrosesnymph · 10 months
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Se non date ragione a me, date ragione a lui eh: Mevoli non demorde e poche ore dopo dà ai suoi follower la ricetta dell’uomo debole, pubblicando due foto di altrettanti autori di femminicidio: “Guardateli, guardateli bene in faccia: i volti puliti, le sopracciglia curate, le spalline strette nelle loro camicette su misura, i braccini sottili, le manine intonse. Sono i figli della mascolinità tossica? Non crediamo proprio, questi sono i vostri uomini rieducati, decostruiti, femminilizzati. Questi qua, pavidi e remissivi, probabilmente non hanno nemmeno mai partecipato ad una scazzottata. Ed è esattamente di questi ometti che dovete avere paura: gelosi, insicuri, invidiosi, spaventati, egocentrici, possessivi, isterici, incapaci di affrontare i problemi.
In una parola, deboli. Da questi qua non troverete protezione, perché non ne sono in grado e perché sono in eterna competizione col genere femminile. Da questi qua non troverete un alleato, ma un limite alla vostra crescita. In questi qua non troverete le caratteristiche di un uomo, ma tutti i difetti di una complessa e femminilizzata personalità debole e remissiva. Questi qua, purtroppo, sono capaci di ammazzarvi per gelosia, possessione o invidia. Questi sono il prodotto marcio di una società che combatte il maschio forte, il patriarcato è una storiella che vi raccontano quelle orribili streghe sovrappeso coi capelli viola nei loro deliranti proclami. Combattete il maschio debole con le unghie e con i denti, combattete il femminismo col cervello”.
Da "Repubblica"
Il maschio malato non può che essere una femmina. Questa è la misoginia.
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iviaggisulcomo · 2 years
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Ho guardato nei posti in cui già non c’eri più. Ho trovato invece una caffettiera usata, un paio di scarponi malandati e una pila di libri che non ti sono mai piaciuti. Tu mi hai detto ”sento tutto troppo, voglio andare e non tornare”, così hai preso un pezzetto di filo bordò, una gomma da cancellare, una tazza a forma di unicorno e sei sparita per sempre.
Ma non avevo capito che intendevi lontano lontano da qui, proprio in un altro cielo, che non fosse il mio; non avevo capito che intendevi un cielo più leggero, pieno di aria e di correnti, nuvole sottili e calzini di lana con renne, cappelli e pungitopo. Un cielo con tramonti di fuoco, foreste puntute, stormi rosa confetto. Un cielo dove non si può essere né felici né infelici, perché semplicemente non si è.
Ho trovato in giro altri libri sparpagliati, occhiali da sole, finestre aperte e tutte le lettere che scrivevi al liceo. Ho portato con me solo l’ultima poesia, quella non ancora finita, quella che ti dedicherei se sapessi dove sei andata; a poco è servito chiamare il tuo nome, più e più volte, e ancora, finché non ho più avuto fiato, finché non se ne è andato anche il cuore.
Se bastassero le mie parole solamente, ti scriverei una poesia lunghissima per non farti andare via. Se potessi, ti scriverei una poesia così grande e pesante da tenerti inchiodata, ancorata, fino a quando non ti troverei, e ti stringerei, fino all’infinito. Una poesia gravitazionale. Ma non ho trovato niente. E così ti bacio: la fronte, gli occhi, il naso, i capelli, lo stomaco, i polmoni, il cuore. Ti pulisco gli occhiali, ti infilo a rovescio i calzini.
Finché non tornerai, in un altro cielo.
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chouncazzodicasino · 8 months
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secondo te perchè c'è un richiamo erotico nelle trecce?
O un richiamo estetico? Non saprei. Le trecce per me sono belle se sono grandi, lunghe e corpose, vattele a fa' con 'na quantità di capelli normali, ricci e scalati, vengono due zeppetti sottili. Sto parlando di me? Forse..
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princessofmistake · 10 months
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Lord Henry aggrottò le sopracciglia, e lo guardò stupefatto a traverso le sottili volute di fumo azzurro che si svolgevano in fantastiche spire dalla sua greve sigaretta oppiata. « Non lo esporrete? E perché mai, mio caro Basil? Avete ragioni particolari per far questo? Siete stranissimi individui voi pittori. Fate tutto il possibile per farvi un nome; e quando l'avete conquistato par che cerchiate di perderlo. Questo è assurdo da parte vostra; al mondo non c'è che una cosa peggiore del far parlare di sé: il non far parlare di sé. Un ritratto simile vi aprirebbe molta strada tra i giovani d'Inghilterra, e riempirebbe i vecchi di gelosia, ammesso che i vecchi siano sensibili a una passione. » « Sapevo che avreste riso di me » egli rispose, « ma, proprio, non posso esporlo. Vi ho rinchiuso troppo di me stesso. » Lord Henry si abbandonò sul divano e rise. « Sì, lo sapevo che avreste detto così; ma, comunque, è vero. Troppa parte di voi stesso. Davvero, io non sapevo che poteste essere così vanitoso; e non riesco a scorgere somiglianza alcuna tra voi, il vostro viso delineato e forte, i vostri capelli neri come il carbone, e questo giovane Adone che par fatto d'avorio e di petali di rosa. Ma, mio caro Basil, quello è Narciso, e voi – senza dubbio avete un'espressione intelligente, ed altri pregi simili – ma la bellezza, la bellezza vera finisce dove comincia l'espressione dell'intelligenza. L'intelligenza pura, è una ipertrofia, e distrugge l'armonia di ogni viso. Dal momento in cui uno si mette a pensare, diviene o tutto naso, o tutta fronte; certamente brutto. Guardate gli uomini che hanno fatto strada in una professione culturale. Sono decisamente brutti! Tranne naturalmente gli uomini di Chiesa. Gli uomini di Chiesa però, non pensano. A ottant'anni un vescovo continua a dire ciò che gli fu insegnato quando ne aveva diciotto, e naturalmente conserva sempre un aspetto piacente. Il giovane misterioso amico, di cui non mi avete mai detto il nome, ma il cui ritratto mi interessa profondamente, non pensa mai. Ne sono certo. È una creatura irragionevole, bellissima, che dovrebbe sempre esserci vicino in inverno, quando non abbiamo fiori da guardare, e in estate, quando abbiamo bisogno di qualche cosa che ecciti il nostro spirito. Non illudetevi, Basil; non gli assomigliate punto. » « Voi non mi capite, Henry. Senza dubbio io non gli assomiglio; questo lo so bene. Del resto assomigliargli non mi farebbe piacere. Alzate le spalle? Dico la verità. C'è una fatalità che incombe sopra ogni nobiltà di corpo o di spirito, la stessa fatalità che nella storia pare in agguato sul cammino dei re. È meglio non essere diversi dal proprio simile. Il brutto e l'idiota godono la parte migliore del mondo. Possono mettersi comodamente a sedere, e assistere allo spettacolo. Se non potranno mai godere della vittoria, tuttavia è risparmiata loro la coscienza della sconfitta. Vivono come ognuno di noi dovrebbe vivere, imperturbabili, indifferenti e senza inquietudini. Non fanno male agli altri, né gli altri ne fanno a loro. La vostra nobiltà e la vostra ricchezza, Harry; il mio spirito, qualunque esso sia, e la mia arte, per quel tanto che può valere; la bellezza di Dorian Gray – sono doni degli dèi; ma proprio per causa loro noi tutti soffriremo terribilmente. »
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alonewolfr · 9 months
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I legami d’amore non sono funi, né corde, né catene; sono i sottili capelli della treccia di lei.
|| Marian Bogdała
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canyousayineffable · 1 year
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Epigrammi
Prima che la OFMD apocalypse si abbatta su di me, cinque frammenti di cento parole precise :)
Espressamente per unə certə Ducko per motivi che sa ləi 8B
Somnophilia
Se avessi contezza del modo in cui mi manchi, sono certo che ti sveglieresti.
Ho letto troppe storie di sonni fatati interrotti da un bacio d'amore, per non pensarci, qui chino al tuo capezzale come una vedova in lutto. Io, che non ho il coraggio di sfiorarti le dita, fantastico di richiamarti a me baciando le tue labbra. Invece spio come un ladro il sollevarsi lieve del tuo respiro; sono geloso dei lacci della tua camicia, invidio il cuscino che porta il peso dei tuoi riccioli.
E spasimo, come se le mie mani osassero imitare ciò che fanno gli occhi.
Scriptorium
Uno schianto e tutto quello che c'era sullo scrittoio cade, ma non m'importa mentre ho la tua schiena di gatto a curvarsi sotto le mie dita, mentre sotto di noi rivoli d'inchiostro rosso e turchino scorrono sulla pergamena bianca, mentre i tuoi polsi sottili sembrano così fragili nella mia stretta. Polvere d'oro nel fulvo trionfo dei tuoi capelli, filigrana d'oro negli ansiti che sfuggono ai nostri baci, oro fluente nella tua gola che guizza sotto le mie labbra, oro la luce dello scriptorium sulle tue spalle nude, ma più brillante, sopra ogni altra cosa, il vivo oro dei tuoi occhi.
Altar
Ti abbandoni per me sull'altare come su un letto, angelo, apri per me le braccia come un libro apre le pagine; per me fai del tuo corpo un baluardo e un'alcova; mi salvi dal contatto col suolo consacrato, ma mi precipiti in un inferno più cocente ancora, soffocandomi nel desiderio della tua carne, delle tue ciglia pesanti, del tuo respiro lieve. Quasi non m'accorgo di posare una mano sul marmo, finché il bruciore mi fa portare le dita alla bocca.  "...Com'è?" sussurri, fissandomi. Quasi non respiro mentre prendo un cero, lascio cadere sulla tua mano una goccia di cera incandescente.
"Open up."
La prima volta sono stato io. Ci penso ogni volta, mentre mangi con quell'abbandono che mi fa venir voglia di ridere, mi fa venir voglia di morderti. Già allora non potevo fare a meno di chiedermi come sarebbe stato, fossero state le mie mani a portare quel primo boccone alle tue labbra. Capisci allora che immergere le dita nel vaso di miele mi fa battere il cuore di anticipazione. "Apri la bocca." Premo le dita sulla tua lingua e quando per un attimo chiudi gli occhi, mi sento come se stessi per inghiottire anche me insieme alla goccia di miele.
Statue
C'è quella storia dello scultore che si innamorò della propria opera. Ti ricordi? Galatea, bianca come il latte. Non fatico a crederlo; perché questo marmo serico sembra vivo e soffice come la tua pelle, perché il tuo profilo sembra fatto per il rilievo di una moneta, perché ho cesellate nella memoria le pieghe della tua veste, le volute morbide dei tuoi riccioli. Ma la luce mutevole del tuo sguardo, la fuggevolezza dei tuoi capricci e dei tuoi sorrisi, il colore cangiante dei tuoi occhi rifiutano di farsi catturare; tanto varrebbe provare a catturare il riflesso del sole quando brilla sull'acqua.
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lunamagicablu · 10 months
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La bambina prese con le mani le due metà della melagrana perfettamente combacianti e simmetriche incerta sul da farsi. Poi decise di separarle con dolcezza, lasciando che copiose gocce di succo agrodolce e vermiglio macchiassero la tovaglia bianca di fiandra con cui la tavola era apparecchiata. La donna si stiracchiò languidamente, svegliata dalla solerzia della bambina guardandola interrogativamente e poi con maggior indulgenza e disponibilità. Destarsi all’improvviso le era costato parecchio ma comprendeva la curiosità di quella donna in nuce e decise di accontentarla. Fece qualche passo di danza per sgranchirsi le membra intorpidite sul chiaroscuro della tovaglia damascata lasciandosi guidare da una musica immaginaria e dal piacere genuino di quegli occhi infantili colmi d’intelligenza intenti a seguire con interesse ogni sua mossa. Sfoderò tutta l’intraprendenza che possedeva nel percorrere il perimetro quadrato del piano su cui poggiava ben attenta a non scivolare oltre, verso profondità e altezze inesplorate. Continuò fermandosi davanti alla foglia lucidissima e verdissima di un’arancia matura, saggiandone la consistenza provando a dondolarsi con leggerezza, le mani ben salde al picciolo, e la bimba ripensò a pigre giornate estive trascorse nel dormiveglia intrecciando le dita nelle maglie di un’amaca lontana dal vago sapore di salsedine e le sorrise. Decise, allora, di offrirle la polpa sugosa di un acino d’uva maturo e la donna accettò con gratitudine. Insieme ne assaporarono la dolcezza senza pretese a lungo e in silenzio; poi la creatura misteriosa accettò di salire sul palmo di quella manina grassoccia e amichevole per farsi esaminare con la stessa precisione di uno scienziato intento a osservare al microscopio un organismo prezioso e minuscolo poggiato con cura su un vetrino: i capelli lunghi e liscissimi, dalla consistenza setosa. La pelle rosea e compatta del viso. Gli occhi color ambra, mobili ed espressivi. Un corpo femminile sinuoso e morbido appena velato da un abito di consistenza traslucida che alla bimba fece pensare alla sottilissima pellicina dell’acino d’uva appena assaporato. Una fata perfetta e amabile, simile alle tante creature fiabesche da lei conosciute e amate nelle ore di assoluta e compiuta solitudine trascorse nella lettura avida di pagine e pagine di storie senza tempo. A lungo rimasero lì, insieme, avare di parole, comunicando un mondo di idee e sensazioni attraverso le sfumature sottili ed espressive dei loro sguardi sino a quando un rumore improvviso e inaspettato non le fece sobbalzare entrambe, con la sgradevole percezione di essere state appena colte in flagrante. Il persiano di casa osservò sornione la sua giovane padrona dal basso, strofinandosi contro una gamba tornita del tavolo, riflettendo sulla prossima mossa da compiere. La fata portò l’indice alla bocca chiedendole silenzio e complicità e la bambina con delicatezza decise di lasciarla laddove l’aveva, quel giorno, scoperta per la prima volta, accanto ai grani trasparenti e rossastri del frutto che era la sua dimora e attese. L’altra annuì con un sorriso leggero lasciandosi racchiudere con grazia nella sua prigione dorata. La bambina guardò a lungo le due metà ora saldate alla perfezione e non disse nulla. Poi, con fare autorevole, si rivolse al suo antico compagno di giochi invitandolo a seguirla come sempre in giardino. Di quel pomeriggio magico e irripetibile non rimasero che poche stille vermiglie sul candore violato di una tovaglia delle feste e un’aria svagata e pigra ma stranamente appagante offerta dal sole e dal garbino attraverso la finestra aperta su una domenica di dicembre unica e speciale. Lucia Guida
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deeonisia · 11 months
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Ho un disperato bisogno di un parrucchiere, credo che farò un taglio corto anche se volevo far allungare i capelli, ma quando li hai sottili e deboli che alla minima cazzata si spezzano e che spariscono alle lunghezze meglio tenerli corti e carini che lunghi e tutti spantegati.
Addio sogni da raperonzolo
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crisaore · 2 years
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Il capriccio di Alice
La delicata mano di Alice spostò il pesante tendaggio che celava la finestra. La luce artificiale dei palazzi irradiò la sua esile figura avvolta da un dolcevita nero e dei fuseaux del medesimo colore, brillando sui sottili capelli raccolti con uno chignon. Gli occhi della donna sovrastavano la città, percorrevano le strade notturne i cui bagliori lampeggiavano riflessi nel nevischio, fino a fermarsi sulla ruota panoramica che regalava agli avventori una vista incantevole dei viali alberati brulicanti di gente. Sorseggiava un bicchiere di vino rosso che ne ammorbidiva e ovattava i pensieri. Lo sguardo non aveva indugiato a caso sul luna park. Raggiunta l’attrazione principale, si era ancorato come un’asse di legno intrappolata da un morsetto da falegname e non si era più schiodato. Tre anni prima, dopo un giro su quella giostra iniziò il calvario dal quale ancora non si era ripresa. Scese dalla pedana e senza alcuna avvisaglia svenne, nell’incredulità generale. Gli accertamenti che ne seguirono evidenziarono il contagio di un batterio molto aggressivo che ne fiaccò il fisico e la voglia di sorridere. Passò dall'essere una ballerina in tour nei migliori teatri del paese, al fare solo tappe negli ospedali debitamente bardata di mascherina. Fu in quel contesto, in una sala d’aspetto, che incontrò Buck, un uomo che aveva perso la vista in seguito a un grave incidente. «Capriccio n. 5 di Paganini. È raro sentirla come suoneria, dev’essere un’intenditrice» disse l’uomo dopo aver udito Alice terminare una telefonata. Lei sorrise. «Già, così come è raro che qualcuno la usi per attaccare bottone. Piacere, Alice. Lei?» «Buck. Mi perdoni se le sono sembrato indiscreto» ribatté imbarazzato. «Niente affatto. Sa, la musica mi estrania dal mondo, fa sbiadire i problemi e colora con tinte vivide solo ciò che ho di bello nella vita. Chopin, Paganini, Vivaldi mi fanno sognare. È bello poterne parlare a un altro amante del genere». Buck annuiva coinvolto: «Sono d’accordissimo con i suoi pensieri! La musica è quel balsamo che lenisce i malumori e li sostituisce con candore e serenità». Dopo quel primo scambio di battute, i due intavolarono un discorso condito di ricordi e melodie. Scoprirono che Alice aveva danzato in un teatro in cui Buck si era esibito e questo piccolo particolare costituì un punto di svolta. Prima dell’incidente, Buck aveva potuto ammirare quella donna e ne aveva ancora l’immagine impressa negli occhi. La grazia e la passione che emanava con le sue movenze l’avevano incantato. Lui però si sentiva solo un violinista qualunque di un’orchestra qualunque, mentre lei era un astro in ascesa, così non ebbe il coraggio di presentarsi. C’era molto di cui discorrere, così a quell’incontro fugace ne seguirono altri e contribuirono a creare armonia. Buck rispolverò il violino per allietare la sua musa e le promise che le avrebbe composto un pezzo per renderla immortale. Doveva essere una sinfonia su cui poteva sognarla danzare con l’abito viola, con cui la ricordava. Inizialmente Alice si comportò da mamma chioccia, prodiga di protezione per il suo pulcino, ma Buck le fece comprendere di aver bisogno solo che lei si sciogliesse come avrebbe fatto con chiunque altro. Questo permise loro di gustare ogni secondo insieme e la donna tirò fuori quella forza che giaceva sopita in lei. I fiocchi di neve cominciavano a cadere più numerosi. Alice guadagnò il divano continuando a sorseggiare vino. Ciondolava la testa a ritmo del 𝑪𝒂𝒑𝒓𝒊𝒄𝒄𝒊𝒐 𝒑𝒆𝒓 𝒄𝒖𝒐𝒓𝒊 𝒗𝒊𝒐𝒍𝒂; l’ascoltava in loop. Buck ci era riuscito. Si percepiva l'amore per la musica, delizia per l’immaginaria danza di un’ex ballerina; il romanticismo dei dettagli evidente dal titolo, unione dei particolari dei loro primi due incontri; la malinconia di un uomo che stava morendo. Buck se n’era andato da un paio di mesi. In realtà gli ospedali li frequentava per una patologia che adagio adagio lo consumò. L’animo di Alice accusò il colpo e, come le sue gambe, non fu più in grado di sostenere il peso delle sofferenze. La donna finì per galleggiare sospesa, trafitta e allo stesso tempo cullata dalle note del violino. Annebbiata, posò il vino e si addormentò sul sofà affondando tra le lacrime e i rimpianti di ciò di cui, ancora una volta, la vita l’aveva privata.
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