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#caciocavalli
me3psmp4 · 23 days
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My friendo @caciocav ‘s TF2 oc Zyrtec and my oc Pablo chillin 🤑
Mini Pablo lore drop time rahhh
Pablo does not show affection often let alone public display, so when he does it’s very subtle in this case his tail is wrapped around Zyrtec because he trusts and cares for him‼️‼️
Love you broski‼️‼️‼️
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stranotizie · 1 year
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L'imprenditore di origine calabrese: "Ho 'replicato' in un'isola in Giappone le produzioni realizzate in Sila" L'imprenditore Elio Orsara Provole e burrini, mozzarelle e caciocavalli. Ma anche salumi e formaggi al peperoncino. Realizzati secondo le antiche tradizioni calabresi e con ingredienti biologici senza conservanti, ma rigorosamente 'made in Japan', e precisamente nell'isola di Hokkaido, vicinissima alla Siberia. E' la sfida vinta con 'Fattoria Biò Hokkaido' da Elio Orsara, 56 anni, originario di Cetraro in Calabria, partito giovanissimo da casa e da anni imprenditore di successo nella ristorazione in Giappone, dopo aver accumulato esperienze in Spagna, in Inghilterra e negli Stati Uniti. E l'ultima scommessa l'ha vinta proprio mettendo in gioco il know-how delle tradizioni contadine calabresi per realizzare un'azienda agricola di successo nel Sol Levante, facendo ancora di più conoscere i gusti e i sapori della sua terra d'origine. "Io mi sono affermato in Giappone -racconta Orsara intervistato da Adnkronos/Labitalia- ho sposato una giapponese, abbiamo due figli e quindi la mia vita è qui. Però sono molto orgoglioso delle mie origini calabresi, nonostante fin da piccolo abbia sempre avuto la voglia di girare il mondo. Sono cresciuto con il sogno americano, ma ho trovato l'America in Giappone", spiega Orsara, pioniere della cucina italiana autentica e di qualità a Tokyo, che è stato insignito anche del titolo di Commendatore della Repubblica italiana. E sì, perchè se in Italia e in tutto il mondo furoreggia il sushi, in Giappone non mancano gli ammiratori dei caciocavalli e della 'nduja calabrese. "Sono stato il primo a portarla in Giappone -ricorda Orsara- nel 1989 quando venni per la prima volta nel Paese per due mesi di lavoro mi hanno pagato 25 milioni di lire, una cifra enorme per l'epoca. In due anni abbiamo aperto sei nuovi ristoranti, e da lì è stato un crescendo. Dopo 27 anni ho 5 aziende e 150 dipendenti e 300 stagionali. Ma non dimentico da dove sono arrivato. Ho una società di importazione e importiamo solo dalla Calabria: olio, marmellate, pomodori e prodotti d'eccellenza dalla Calabria. Importo prodotti per circa un milione di euro", spiega. Mancava qualcosa, però. Oltre che importare prodotti calabresi e deliziare con essi i palati di Tokyo e dintorni, Orsara ha voluto osare di più. "L'emozione che ti dà il creare i prodotti -spiega Orsara- è qualcosa di incredibile. Nel Nord del Giappone, vicino alla Siberia, c'è un'isola che si chiama Hokkaido, ed è praticamente la copia della Sila calabrese. Stesso clima, natura incontaminata, aria pulita, ci sono tre mesi di neve alta anche fino a 3 metri. E allora, avendo conosciuto Mario Grillo della Fattoria Biò di Camigliatello Silano, mi è venuta la pazza idea di fare una Fattoria Biò lì, a Hokkaido. Ho cominciato undici anni fa con il caseificio, sono venuti qui Mario e Saverio Grillo, mi hanno fatto consulenza, mi hanno aiutato tantissimo e sono molto grato a tutta la loro famiglia. Mi hanno dato tutto il know-how", sottolinea. E per Mario Grillo, quinta generazioni di agricoltori, una laurea in Economia in tasca ed esperienze in banca anche all'estero, oggi alla guida di Turismo Verde, l'associazione degli agriturismi di Cia-Agricoltori italiani "è stato un piacere aiutare Elio. Lui è stato qui da noi in Sila, si è innamorato dei nostri prodotti e del nostro modo di coltivare interamente biologico. Così, prima io e poi mio fratello Saverio siamo andati in Giappone e abbiamo fatto consulenza e formazione nella sua fattoria, ad esempio nella filatura della mozzarella", spiega. Mozzarelle che così ora vengono 'filate' nel Sol Levante alla stessa maniera dei vecchi 'massari' calabresi 50 e più anni fa. "Oggi -racconta orgoglioso Orsara- ho un caseificio, un salumificio, e duecento ettari di terreno sui quali stiamo cercando di fare quello che la famiglia Grillo fa in Sila, con la coltivazione biologica, con le mucche e le pecore. Ho la 'pig farm' con i maiali che mangiano solo cose naturali, castagne ad esempio. Un rimpianto? Non posso fare il prosciutto e il capicollo perchè qui come cultura ammazzano i maiali a sette mesi...". E per Orsara "la Calabria è una terra ricchissima di storia, di tradizione, di prodotti. Le nuove generazioni mi fanno sperare bene, hanno studiato fuori, sono tornati a casa e stanno rivoluzionando in positivo le aziende di famiglia, specie nel vino. Mi fanno ben sperare", conclude l'ex-ragazzo di Cetraro che inseguendo il suo sogno ha sempre portato la Calabria nel cuore. Fonte
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topaliment · 6 years
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Caciocavallo arte e bontà Produci caciocavalli? Contattaci #caciocavallo #caciocavalloimpiccato #latte #formaggio #caciocavalli https://www.instagram.com/p/BsILPhMF-mI/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=110eq9dxyf4gd
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blogitalianissimo · 4 years
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In conclusione: fasci appesi sempre
Come i caciocavalli.
Chiedo scusa ai caciocavalli per questo paragone ignobile. 
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diceriadelluntore · 4 years
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Spicci
Soldo ha una etimologia particolare: deriva da sŏldus, per sŏlĭdus (sottint. nummus), propriam. «intero, fatto tutto dello stesso materiale» e indica una moneta europea (soldo d’oro) in uso tra Goti, Franchi e Longobardi, derivante, tramite la frazione del tremisse, dal solido del Basso Impero (voce soldo Enciclopedia Treccani). Il solido infatti era una moneta aurea del tardo Impero romano, che ebbe corso soprattutto in Oriente, e dal 325 d. C. in poi fu coniata di circa 4,55 g (= 1/72 di libbra), con il proposito di dare in tal modo una moneta stabile al mondo romano (voce solido Enciclopedia Treccanit). Il soldo divenne poi frazione sempre di metallo diverso (soldino d’argento, o soldone di rame, che essendo meno prezioso faceva sì che la moneta fosse di grosse dimensioni) fin quando con l’Unità d’Italia indica la moneta da 5 centesimi di rame. Soldi ha un duplice significato: può essere usato in senso dispregiativo, come quando lo usiamo per un qualcosa “da quattro soldi”, oppure, soprattutto al plurale, è sinonimo di ricchezza: ha tanti soldi, costa un sacco di soldi.
Ho pensato a questa parola rileggendo la vicenda, per certi aspetti molti triste, delle dichiarazioni di Letizia Arnaboldi Moratti, neo assessore al Welfare della Regione Lombardia. Sebbene espresso con parole contorte, (e lascio qui la registrazione) con più incisività è stato scritto in una lettera al Commissario per l’emergenza Sanitaria Covid19 Arcuri in cui Arnaboldi Moratti indica che la ricchezza regionale prodotta in un anno venga inserita fra i criteri per la ripartizione delle dosi in vista della fase di vaccinazione di massa. Insieme alla mobilità, alla densità abitativa e al fatto di essere stata una delle zone più colpite dal virus. Ora il solo pensare a ciò la dice lunga sull’etica di chi l’ha proposta (il governatore Fontana l’ha definitiva proposta coerente e appropriata) e voglio anche, per il momento, andare oltre i limiti costituzionali, del principio della salute pubblica, dell’eguaglianza.
Voglio capire perché il PIL “si” e un altro fattore “no”: perché non stabilire priorità a chi fa i caciocavalli migliori? Oppure la salubrità delle coste? Perché non sulla bellezza dei lineamenti delle persone? Queste provocazioni mie devono essere considerate uguali alle proposte della Arnaboldi Moratti: sono delle osservazioni frutto dello stereotipo e del pregiudizio. Hanno valore gravissimo in senso etico, ma anche in termini prettamente economici. La ricchezza del PIL infatti si basa su un indice quantitativo, Prodotto Interno Lordo, che è per definizione il valore aggregato, a prezzi di mercato, di tutti i beni e i servizi finali (cioè esclusi i prodotti intermedi) prodotti sul territorio di un Paese in un dato periodo temporale. Il Pil non tiene conto per esempio delle prestazioni nell’ambito familiare, quelle attuate dal volontariato, qualsiasi attività ad uso e utilizzo gratuito (il giardino, l’orto familiare o di comunità) e così via; Il PIL non fornisce una misura della distribuzione del reddito all’interno della società, quindi non indica il livello di equità all’interno del paese, ed è ormai dimostrato che non è il PIL che definisce il benessere di una nazione: a parità di Pil tra due Paesi sono altri fattori (salute pubblica, istruzione e accesso ad essa, sistema di garanzie sociali e così via) che ne determinano il livello di benessere; Il PIL tratta tutte le transazioni come positive, cosicché entrano a farne parte, ad esempio, i danni provocati dai crimini (riciclaggio, compravendite fraudolente, false fatturazioni), dall’inquinamento, dalle catastrofi naturali. In questo modo il PIL non fa distinzione tra le attività che contribuiscono al benessere e quelle che lo diminuiscono: persino morire, con i servizi connessi ai funerali, fa crescere il PIL, fare gli incidenti stradali, produrre rifiuti; aspetto ancora più orribile, il PIL non attribuisce i profitti di una multinazionale allo stato dove questa ha sede (dove i profitti al finale tornano) ma li attribuisce allo stato dove la fabbrica o attività è locata. Questo nasconde un fatto fondamentale: le Nazioni dei paesi ricchi (definizione tra l’altro tutta basata sul PIL) prendono le risorse dei paesi del Sud del Mondo (o in via di sviluppo, descrizione costruita con lo stesso criterio) e lo chiamano un guadagno per questi ultimi. Persino il papà di questo strumento, il premio Nobel per l’Economia, Simon Kuznet, disse una volta:” Il benessere di una nazione difficilmente può essere dedotto da una misura di reddito nazionale come sopra definito” nel discorso che tenne al Congresso degli Stati Uniti dopo che il Presidente Franklin D. Roosevelt chiese ad un gruppo di analisti ed economisti di creare uno strumento per misurare l’andamento dell’economia del Paese. Il suo successo lo si deve al fatto che è descritto ne La Ricchezza delle Nazioni di Adam Smith ed è alla base del sistema degli stadi evolutivi che in esso è proposto. Sono anni che la teoria economica tende a contenere il ruolo di questo indicatore e uno studio profondissimo di tre grandi economisti, Stiglitz, Sen e Fitoussi ha ben distinto che benessere e PIL sono due cose distinte, dimostrando così anche quanto sia errata la concezione che lega il benessere all’andamento del PIL.
Ma voglio andare oltre tutte queste obiezioni e dire, ok, basiamoci sul PIL. Sapendo benissimo che proprio la crescita indiscriminata suggerita dal PIL è alla base degli squilibri degli ecosistemi che sono alla base, alla radice, della diffusione in questo caso del virus SarsCov2 e probabilmente anche delle prossime che, spero il più tardi possibile, dovremmo affrontare.
Suggerisco quindi a chi la pensa come lei un grande saggio, che sebbene scritto nel 1973 è attualissimo: L’economia dell’età della pietra di Marshall Sahlins  (Stoneage Economics), rieditato nel 2020 da Eleuthera con aggiornamenti e nuovi contributi: il nucleo del discorso è che non è affatto vero che le civiltà che non accumulano surplus, come sosteneva Smith, sono arretrate e povere, e diventeranno civili quando diventeranno di “mercato”, anzi sono tutt’altro: secondo Sahlins molte testimonianze del passato inducono a pensare che le popolazioni “primitive” vivessero una relativa abbondanza caratterizzata da una limitata attività lavorativa, ritmi di lavoro lenti e apporto dietetico largamente adeguato in base agli standard occidentali: provocatoriamente sono per Sahlins società dell’abbondanza (affluent society). Ma c’è di più: per Sahlins l’organizzazione produttiva dei primitivi è il risultato della scelta di riprodursi limitando l’accumulazione e i bisogni e creando un’entità socio-culturale capace di adattarsi all’ambiente e godere di una vita ad alta intensità di tempo libero, con le regole sociali che limitano il rischio di carenze di bisogni primari, tramite le relazioni di parentela, la solidarietà del gruppo, il ruolo del capo come gestore delle risorse. Anche qui, provocatoriamente, parla di “via zen dell’opulenza”. Tutti gli studi non solo antropologici ma anche archeologici confermano la tesi centrale. Che fa emergere un altro punto fondamentale: che la pochezza dei beni disponibili non significa automaticamente essere poveri. La povertà non coincide con una ridotta quantità di beni ma è prima di tutto uno status sociale e in quanto tale un'invenzione della civiltà.
È bene avere il denaro e le cose che il denaro può comprare, ma è bene anche, ogni tanto, controllare ed essere sicuri di non aver perso le cose che il denaro non può comprare. George Horace Lorimer
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arezzanetwork · 5 years
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Amalfi Coast Food and Travel
Amalfi Coast Food and Travel
Terra Furoris, Land of Furor, is the ancient name of this community in the hills above the Amalfi Coast; it symbolizes the fury of the sea inside its fjord. This area produces pomodorini and a vine with a terroir – Costa d´Amalfi Doc – unique in Europe.
Furore’s Vineyards produce high quality reds and whites, appreciated around the world, including in a cantina built into the rocks and…
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limperodellabufala · 7 years
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Produzione e vendita Ingrosso e dettaglio, siamo presenti su #ROMA tutti i giorni tutto l’anno consegnamo #ristorantiroma #pizzerie #salsamenterie #eat #winebar #fiordilatteagerola #ricottasalata #mozzarelladoo #veniamonoidate #consegne a domicilio #gratis #laconsegnalapaghiamonoi #roma #romafood #romafoodporn #chef ##eccellenzaitaliana #caseificio #pdo #dinner #delicius #gustosa #mozzarella #treccia #caciocavalli #food #ilprofumodellaqualità #qualityfoodroma
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Caciocavalli Lucani stagionati 😍😍 #caciocavalloimpiccato #caciocavallo #cheese #food #madeinbasilicata #madeinitaly https://www.instagram.com/p/CYqxe-VIOLz/?utm_medium=tumblr
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dailygreenit · 3 years
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Slow Food, al via CheeseBra 2021
Slow Food, al via CheeseBra 2021
Il Mercato dei formaggi è sempre stato il protagonista di Cheese, con centinaia di bancarelle pullulanti di caci di ogni tipologia e forma – dai caciocavalli delle tradizioni meridionali, alle tome alpine, dagli irresistibili erborinati ai caprini -, con gli aromi lattei e i sentori di prato che inebriano i visitatori nelle vie e per le piazze di Bra. E anche quest’anno, per la tredicesima…
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tinastar2 · 7 years
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Caciocavalli a Greci, Avellino
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piramiderossa · 4 years
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Facebook post (2020-06-14T16:49:13.000Z)
‪Esultai quel giorno in cui l’ex Presidente del Consiglio #CiriacoDeMita vinse in tribunale contro #IndroMontanelli per una battuta contro i meridionali “che sono talmente ignoranti da vedere solo caciocavalli...mentre a Milano lui vedeva il mondo”. #razzistadimmerda ‬
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vertenzeambientali · 6 years
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Nello e le abitudini del PD
di Mario Pagliaro
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Nello ha perso. Nello ha vinto. Soltanto avendo la capacità di cercare nella tristezza spunti di un riavvio è possibile testimoniare che nessuna azione può portare al nulla.
Una persona stupenda come Nello Pizza, da sola, non poteva ribaltare, negli avellinesi, la percezione negativa della politica locale degli ultimi trent'anni (almeno). Anche se, quella vissuta, è sempre stata una politica che gli avellinesi hanno voluto, costruito e votato e sempre con convinzioni bulgare. Salvo a lamentarsene col senno “di poi” ma rivotarla col senno del “casomai...”
Sono trent'anni, infatti, che cambiamo sindaci ma, è dagli stessi trent'anni che abbiamo gli stessi consiglieri comunali. Posizionati sempre su fronti ondivaghi, concentrati solo sulla esaltazione del proprio “super io” e caratterizzati da una efficacia elettorale pari solo alla loro evanescenza post elettorale.
Nello, aveva perso già al primo turno, tradito dalla solita pletora di opportunisti capaci di far votare le proprie promesse ma non le altrui capacità. 43% al candidato sindaco e 51% ai candidati consiglieri non è un sintomo, è una patologia, che ad Avellino si chiama “capipolo”.
Il capopolo è quell'essere metà uomo e metà consenso che, dal proprio posto di potere presunto, gestisce un serbatoio di voti più o meno grande per quanto diffusa è la percezione del potere detenuto (verbo non aggettivo). Insomma, il classico “cane che si morde la coda”.
Avellino è piena di capipopolo, dai colletti bianchi, ai guanti sporchi e, ognuno di loro, tra una elezione e l'altra, garantisce attenzione esclusivamente a se stesso e alla sua possibilità di allargare il proprio potere e i propri voti. Praticamente, promette l'impossibile per raggiungere il nulla. Ovvero, se stesso.
Anche questa volta, in tutte le liste, sono questi i soggetti a cui è stato affidato il compito di vincere le elezioni. Perché questo è il vero obbiettivo comune, sicuramente non il saper amministrare una comunità. Quello, è un utile superfluo. La vera necessità è il raggiungimento delle premesse, non il conseguimento degli obbiettivi.
In Irpinia, esiste solo una conseguenza oggettiva, invariabile, di una vittoria elettorale: conservare il “Sistema”. Il Sistema è quell'insieme di poltrone che garantiscono la continuazione del solito potere presunto attraverso minime condivisioni dello stesso. Un po’ a te, un po’ a me e ognuno può sentirsi protagonista nel mercimonio degli appalti, delle consulenze, delle sponsorizzazioni, dei posti fissi e occasionali, delle influenze. Tutti strumenti fondamentali per rinsaldare il legame tra il capopolo ed il suo serbatoio di banalità. Quindi, chiudere il circolo viziato.
Vincere il primo premio alla gara per il Sindaco di Avellino, è fondamentale per conservare o inventare un nuovo Sistema.
Se questo è vero per tutto il panorama partitocratico e civico italiano, a me interessa analizzarne uno specifico. Il centro destra è annullabile, il “grullismo” è nullo, quindi, a me interessa intervenire sul Partito Democratico ed in particolare, essendo appassionato delle cose marginali, su quello irpino.
Il Partito Democratico irpino, è stato fondato sui capipopolo. Dinosauri e neo-dinosauri, a cui un paese normale non riconoscerebbe nemmeno il ruolo di “assaggiatori di caciocavalli”, da noi corriamo il rischio di ritrovarli anche nel nome delle strade in cui passeggeranno i nostri nipoti.
Personaggi convinti e in grado di convincere, che la Politica sia “dare risposte ai bisogni della gente”. Ovviamente, “gente” in quanto singoli, in quanto singola riga di un'agenda consunta a cui associare il bisogno individuale e la specifica soluzione trovata. Personaggi che, peggio di loro, solo i loro epigoni, ancora meno dotati di capacità visionarie, di ottiche di sistema, ancora più deprimenti nella autoreferenzialità e nella banale applicazione del potere per il potere.
Sono trent'anni (almeno), che le varie declinazioni del Partito Democratico irpino, pur di conservare il Sistema, lasciano che la propria comunità sia gestita in nome dell'opportunismo. Proliferano le  bancarelle, le concessioni agli amici, le forniture sconclusionate, le opere pubbliche approssimate, le feste di piazza, gli accordi potere, le attività criminogene, soprattutto, i progetti in cui il finanziamento è l'obbiettivo e non uno strumento.
Nello ha perso, perché c'era questo prima di lui e troppi nelle sue liste hanno creduto che questo dovesse continuare ad essere. Così, hanno dedicato la propria capacità di lievitazione dei voti personali a questo obbiettivo. Esclusivamente a questo. Anche nel Partito Democratico. Anzi, dentro ma con la concreta intenzione di lasciarlo fuori.
Essere parte di una comunità, infatti, dovrebbe lasciar supporre la voglia di condividere un percorso trasparente, invece, troppi di quelli che sono stati Partito Democratico in Irpinia, in questi anni, lo hanno gestito nella convinzione che la “comunità partito” sia uno strumento attraverso il quale privatizzare gli utili e socializzare le perdite. Il “caos progettato” della ultima fase congressuale irpina, preceduta dalle idiosincrasie dei tesseramenti 2016 e 2017, ne è la prova.
Eppure, in questa depressione, il Partito Democratico, resta la “cosa politica” più probabile. Lo strumento più pragmaticamente funzionale ad operare. Anche se diviso in tre realtà: gli iscritti che si rifugiano, gli iscritti che non ci credono e l’elettorato. Più ci si allontana dalla prima categoria e più ci si avvicina allo Statuto del PD. Storicamente, al primo stadio si ferma chi crede fondamentale gestire il potere. Alla seconda categoria appartengono coloro che credono nella politica, molto meno (o per niente) ai politicanti e riconoscono quanto sarebbe peggio chiudersi nei ghetti dei “duri e puri” o nei bar dell’uomo qualunque.  La terza componente del PD, l’elettorato, purtroppo, è quella che non si interessa allo stoicismo del secondo girone, è più attenta alle azioni dei leader o con maggiore probabilità, dei loro antagonisti. La sua attenzione sarà massima nel periodo elettorale, quando dovendo individuare i propri parametri di voto, sorvoleranno sulla visione delle azioni locali, concentrandosi sulla percezione della negatività degli antagonisti da rotocalco.
Il distacco tra elettorato e politica locale nasce dall'idea o meglio, dalla rassegnazione trasmessa dal PD dei dirigenti irpini per cui “politica” è, al massimo, capacità di sedere in prima fila a convegni il cui titolo non corrisponde mai a quello di cui si parlerà, preceduti da estenuanti riunioni telefoniche sui nomi e simboli da mettere su manifesti dalla grafica abominevole, a cui vengono chiamati ad intervenire “personaggetti” che gareggiano in gare di visibilità e conclusi da soloni che esordendo con un “sarò breve”, rassicurano che anche questa volta annoieranno con improbabili citazioni rubate a Moro o a chiunque altro gli hanno raccontato sia stato importante.
Unico obbiettivo (dichiarato) di questi consessi è la “prova di forza”, la conta dei presenti, unico parametro in grado di determinare il successo dell'evento, ovvero, quanta capacità di coinvolgere truppe cammellate ha l'organizzatore del simposio. Non meraviglia, quindi, se questi incontri, oramai, si sono ridotti a scambi di reciproche presenze. “Io vengo da te, tu vieni da me”.
Manifesto di questa inerzia presenzialista è stata la campagna referendaria del dicembre 2016. Una miriade di eventi autoreferenziali, organizzati, esclusivamente, perché qualche riferimento nazionale potesse constatare quanta gente sapesse coinvolgere il ras di turno, nel proprio territorio e quindi, nella speranza dell'organizzatore di aver dimostrato quanto fosse importante per il Partito. La triste fine di quel Referendum e le conseguenti candidature delle ultime parlamentari, hanno dimostrato che anche in questo sbagliavano.
Conseguenza di questa corsa al ribasso è la pletora di figuranti che, a seconda delle ombre sotto le quali vegetano, interpretano il loro ruolo di militanti, riempiendo l'universo “social” con rivendicazioni di “purezze” mai possedute o con esempi che mai hanno saputo dare. Coerentemente oppositori degli establishment a cui fino a ieri hanno mendicato ruoli di comparsa.
Questo è il PD irpino. Questo non è il PD irpino.
La crisi che ci lega non è politica, è forse culturale, sicuramente antropologica ma, tutta, a livello di dirigenza. Tutta, cioè, tra coloro che non vincono mai per KO ma sopravvivono per abbandono dell'avversario che, solitamente, sta tra quelle persone che, pur facendo politica, hanno una vita e non una rendita, una passione e non un interesse (privato), una coscienza e non un compromesso, dei contenuti e non demagogie.
Oltre quello che sembra apparire, in alternativa a quelli che consumano il proprio tempo a rispondere sul giornale amico, all'attacco mediatico trasmesso dal giornale nemico, esiste tanto Partito Democratico che saprebbe essere molto più concreto, vero ed utile alle proprie comunità. Un mondo, però, volutamente frammentato in correnti, subcorrenti e ammennicoli vari, al fine di garantirne la vasectomia dei potenziali politici e culturali. Naturalmente antitetici ai giochi di potere per il potere. Un mondo positivo, potenziale, pur non esente da colpe, non foss'altro quella tutta italiana di anelare ad avere “un uomo sul balcone” che lo faccia essere protagonista. Un peccato comprensibile, se si considera l'involuzione di un partito chiuso nel culto a prescindere, degli amministratori, alfa ed omega del PD irpino.
Una filiera politica virtuosa, dovrebbe essere quella per cui, il Partito, attraverso la sua base, analizzi i processi sociali, individui le scelte più coerenti con la spinta riformista, social-liberale che il Pd dovrebbe incarnare e indichi i modi di realizzarle. Agli amministratori, andrebbe riconosciuto il fondamentale carisma di dare corpo, nel quotidiano, a quelle scelte.
Nella realtà, invece, la necessità supposta di celebrare gli “unti dal Signore” in quanto unici soggetti capaci, attraverso le loro performance elettorali, di conservare gli equilibri del Sistema, di rinnovare gli status quo, ha portato all'interruzione di qualsiasi relazione tra base, analisi, contenuti e loro realizzazione.
Una delle invenzioni più malsane, della politica contemporanea, infatti, è stata quella del “partito degli amministratori”, quella cosa che, dando valore assoluto al pragmatismo degli eletti, affida a questi il doppio ruolo di analisti ed esecutori, esclusivamente, delle proprie visioni. Con questa logica si è disseminato amministratori in qualsiasi ruolo politico di partito, esautorando di fatto la base, il militante vero, da qualunque utilità che non sia l'apporto di voti o l'acquisto di tessere e provocando la sua disaffezione.
Sorvolando che, sempre più spesso, specie nelle piccole comunità, l’amministratore è semplicemente chi ha più cugini e nipoti ed in quelle più grandi, chi è più vicino ad un capopolo, il suo ruolo vero sarebbe di rappresentare il legittimo compromesso tra l’utopia, il possibile ed il realizzabile.
Un amministratore è di tutti, deve parlare con tutti, deve essere garante di tutti, anche delle idee che non condividerebbe. L'amministratore non può essere “uomo di partito” ma sforzarsi di essere “istituzione”. Affidare a questa figura anche la creazione dei contenuti della politica, banalmente, significa abbandonare ogni possibilità di visione “altra”, di “lungo periodo”, impopolare.
L’amministratore-politico, non può assumere posizioni scomode nei confronti di un collega seppur avversario di idee. Anzi non lo deve fare. La Politica invece si! Deve fermarsi sui principi inderogabili, ha il dovere di pensare oltre gli equilibri. Altrimenti, cessa di essere filosofia di vita per diventare semplice lista della spesa.
Se questo è il PD irpino, questo non più essere il PD irpino. Se Nello ha perso, da Nello possiamo vincere.
Costruendo filiere politiche a partire dalla base, delegando ai riferimenti istituzionali il ruolo di ascolto e attuazione delle analisi della base e, soprattutto, concordando che le regole non si interpretano ma si applicano, esiste ancora la possibilità che una comunità-partito non resti il luogo delle convenienze ma il luogo della militanza, quella vera, dove, mentre si monta un gazebo, si ragiona di contenuti. Non quella per cui ad un post segue un articolo di giornale.
Così, diventa fondamentale che il PD irpino si caratterizzi secondo un modello altro rispetto al passato.
Mi rendo conto che, durante queste amministrative, sono iniziate anche le scaramucce per un posto al sole alle prossime regionali ma, oggi, dopo il 4 marzo avellinese, è dimostrato che anche i capipopolo perdono e che le patetiche riesumazioni di antichi poteri accelerano la sconfitta degli eletti e sopratutto delle idee.
Vincente può essere solo il superamento delle abitudini anche se statisticamente, pur dimostrando che mantenere l’abitudine è svantaggioso, 2 persone su 3 sceglieranno di mantenerla.
Per cambiare non basta una immagine smart o accennate derive digitali e, forse, non serve nemmeno realizzarlo, il cambiamento. Occorrono persone che sappiano esserlo.
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carnevali · 7 years
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⌚16:00 ~ BUON POMERIGGIO 유 con il PROVOLONE DEL MONACO DOP, è un formaggio tipico Campano ottenuto dalla lavorazione del latte della vacca Agerolese. Si produce dal 1700 circa; Il nome deriva dalla mantella che i pastori indossavano per ripararsi dal freddo durante il tragitto dalle colline di Vico Equense a Napoli, principale mercato per i loro prodotti arrivando coperti dai pesanti e ingombranti mantelli per questo vennero soprannominati "monaci" e i loro caciocavalli, divennero per tutti “i provoloni del monaco” 🔍 Sono appassionato ricercatore e divulgatore “NoProfit” della sorprendente varietà e bellezza del patrimonio gastronomico italiano, unico al mondo🍴🇮🇹 Seguimi anche su: ↻ https://www. instagram.com/carnevaliluigi/ ↺ https://www.facebook.com/carnevaliluigi/ ↻ https://twitter.com/luigicarnevali ↻ https://it.linkedin.com/in/luigicarnevali ↺ https://www.facebook.com/groups/terredilambrusco/ ↺ https://it.pinterest.com/luigicarnevali/ ↻ https://plus.google.com/u/0/+LuigiCarnevali ↺ https://carnevali.tumblr.com/ 🎯 #AccademiaItalianaDellaCucina#AssociazioneItalianaSommelier #CucinaItaliana#ProdottiTipici #PiattiItaliani #PiattiTipiciRegionali#CiboItaliano #CucinaMediterranea #BontaItaliane#MangiarBene #ItalianFood #official_italian_food#ItalyFoodporn #ItalianKooking #PiattiTipici#TopItalianFood #FoodLovers #FoodLove #Recipe#FoodPassion #Gastronomy #ItalianFoodBloggers#Gourmet #Foodie #FoodBlogger#ilBuongustaioCurioso #CarnevaliLuigi
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limperodellabufala · 7 years
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Treccione di bufala dop. Produzione propria, vendita Ingrosso e dettaglio, consegne in tutta Italia 🇮🇹 #caseificio #mozzarelladop #ricotta #treccionedop #ancheaffumicati #bocconcini #ciliegine #sfoglia #ricottadipecoraepanna #ricottafruscella #treccine #tettonadibufaladop #nodini #burrata #stracciatella #giuncata #caciocavalli #gustounico #foodporn #gustoepassione
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Il giallo paglierino dei nostri Caciocavalli è anche all’interno eel@loro cuore! . #caciocavalloimpiccato #banqueting #catering #mylandinbox #caciocavallo #caciocavallocheese #food #gourmet #cheesemelted #foodblogger #foodbox #foodgram #friends #bruschetta #crusco #wine #truffle #honey #bread #travel #barbecue #deliveryfood #streetfood #instafood #foodies #cheeselovers #cheeselover #madeinbasilicata #madeinitaly with #love ❤️🇮🇹 https://www.instagram.com/p/CKWPJAOghgI/?igshid=145dhgw3vd0pj
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kurotamashi92 · 7 years
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Si sta come aggrappati dal collo alla vita i caciocavalli
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