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Equilibrio
È da qualche tempo che sto lavorando a questo libro, il cui titolo provvisorio è “La Direzione“… si tratta di qualcosa che non ho mai fatto prima, un testo non romanzato e profondamente segnato dalle esperienze personali che cerca di riassumere l’intera visione che ho sul mondo e sulla società. Mica banane. Si può dire che sia un saggio? Il testo, intendo. Io no, resto umile… “Ma chissenefrega?…
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2: Come riconoscere un ciclo temporale in stadio medio
Guida: Una persona a te cara è in un ciclo temporale?🔗
Nello stadio medio le reazioni al ciclo iniziano a variare enormemente rispetto alle specificità del ciclo, per cui è arduo individuare un profilo unitario. Ciò nonostante, è possibile individuare dei tratti generali comuni.
Lo stadio medio è caratterizzato dall'insorgere di comportamenti che indagano sui limiti del ciclo. Il soggetto inizia a sperimentare e a godersi la libertà caratteristica di un tempo chiuso, senza conseguenze a lungo termine, oppure continua a mettere alla prova ciò che si trasmette da un ciclo all'altro. È in questa fase che inizia a presentarsi la disforia temporale.
In un ciclo temporale classico🔗, l'unica informazione che si propaga al ciclo successivo è la memoria soggettiva, ma in casi più radicali un'impressione può mantenersi nel corpo del soggetto, nella mente altrui o sotto forma di oggetti esterni (più comunemente, nella forma di un conto alla rovescia o un contatore del numero di cicli.)
È probabile che una persona si trovi nello stadio medio di un ciclo temporale se:
Agisce in modo spericolato o disinibito;
Imita le parole e le azioni altrui prima che accadano o durante il loro svolgimento;
Sembra essere estremamente fortunata, in generale o in relazione al grado di esperienza che dovrebbe avere;
Sembra sapere esattamente la cosa giusta da dire, dimostra abilità sociali attive e passive ad un livello molto più alto della propria soglia normale;
Al contrario, sembra più impacciata o impaziente, o come se stesse recitando, durante interazioni che normalmente le verrebbero spontanee;
Adopera le proprie conoscenze del futuro per evitare situazioni spiacevoli o ricavarne un guadagno (fisico, sociale, monetario);
Manifesta pensieri contradditori con la linea temporale oggettiva, senza sembrare preoccupata dall'incongruenza.
Annuncia grandi ed inaspettati cambiamenti di opinione ed identità, ai quali seguono decisioni affrettate sulla base del nuovo status quo;
Si dedica a passatempi inusuali, spesso basati sulla memoria o sull'esperienza;
Sviluppa una mentalità "da videogioco" con le seguenti caratteristiche:
Il soggetto è l'unica persona in grado di compiere decisioni autonome.
Il resto dell'umanità è composto da "NPC" prevedibili, da usare per i propri scopi e/o aiutare con i propri poteri.
Le conseguenze a lungo termine e la moralità sono svalutate o non sono considerate applicabili, per cui non hanno effetto come deterrente.
Le situazioni che incontra sono "sfide" da completare provando svariate volte, possibilmente nel tempo più breve possibile.
Avvertimento: Un ciclo temporale non è l'unico motivo per cui una persona potrebbe presentare questi sintomi.
Si ricorda che così come ogni ciclo è diverso per durata e scopo, ogni soggetto è diverso: il comportamento giusto sarebbe da individuare caso per caso con l'esperienza, se la natura di un ciclo temporale non precludesse questo metodo.
⬅️ 1: Come riconoscere un ciclo temporale agli inizi 🔗
➡️ 3: Come riconoscere un ciclo temporale in stadio avanzato 🔗
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La Voglia di Diventare Maggiorenni: Un Passo Importante verso l'Indipendenza
Introduzione
Il desiderio di diventare maggiorenni è una fase cruciale nella vita di molti giovani. È un momento che segna la transizione dalla dipendenza all'indipendenza, dal mondo dell'infanzia a quello dell'età adulta. In questo articolo, esploreremo la voglia di diventare maggiorenni da una prospettiva emozionale e pratica, analizzando come questa transizione possa influenzare la vita dei giovani e come possono prepararsi per questo importante passo.
La Voglia di Indipendenza
Uno dei motivi principali per cui i giovani desiderano diventare maggiorenni è il desiderio di indipendenza. L'adolescenza è spesso caratterizzata da un senso di restrizione, con genitori e tutori che prendono decisioni importanti per i giovani. Diventare maggiorenni significa acquisire il diritto di prendere decisioni autonome riguardo alla propria vita, come l'istruzione, la carriera e il luogo in cui vivere.
La Responsabilità Legale
La maggiore età porta con sé una serie di responsabilità legali. I giovani diventano legalmente responsabili delle proprie azioni e devono rispettare le leggi del paese. Questo può essere sia un motivo di eccitazione che di ansia, poiché comporta la necessità di prendere decisioni ponderate e rispettare le norme sociali.
Il Controllo delle Finanze
Un altro aspetto importante di diventare maggiorenni è il controllo delle proprie finanze. La maggiore età permette ai giovani di aprire conti bancari, ottenere carte di credito e iniziare a gestire i loro soldi. Questa responsabilità finanziaria può essere una lezione preziosa, ma può anche portare a errori se non gestita con attenzione.
L'Accesso all'Educazione e alla Carriera
Con la maggiore età, i giovani hanno l'opportunità di prendere decisioni importanti riguardo all'istruzione e alla carriera. Possono iscriversi all'università o a programmi di formazione professionale, cercando di raggiungere i propri obiettivi. Questa è una fase critica per pianificare il futuro e perseguire le proprie passioni.
Prepararsi per la Maggiore Età
Per affrontare con successo la transizione verso la maggiore età, i giovani dovrebbero prendere alcune misure concrete:
Educazione Finanziaria: Imparare a gestire il denaro in modo responsabile è essenziale. I giovani possono iniziare ad imparare le basi della finanza personale, come il risparmio, il bilancio e gli investimenti.
Pianificazione del Futuro: Definire obiettivi a breve e lungo termine è fondamentale. I giovani dovrebbero riflettere su cosa vogliono raggiungere nella vita e quali passi sono necessari per realizzare questi obiettivi.
Conoscenza Legale: È importante avere una comprensione delle leggi e dei diritti che vengono con la maggiore età. Questo include la conoscenza dei contratti, dei diritti di voto e delle leggi sulla responsabilità penale.
Sostegno Sociale: La transizione verso la maggiore età può essere complessa, quindi avere una rete di sostegno di amici, familiari e mentori è fondamentale. Queste persone possono offrire consigli e supporto durante questo periodo di cambiamento.
Conclusione
La voglia di diventare maggiorenni è un sentimento comune tra i giovani, che simboleggia il desiderio di indipendenza e responsabilità. Questa transizione offre opportunità emozionanti, ma richiede anche una preparazione adeguata. Prendere il controllo delle finanze, pianificare il futuro e acquisire conoscenze legali sono passi essenziali per affrontare con successo la maggiore età. Con il giusto sostegno e preparazione, i giovani possono affrontare questa fase della vita con fiducia e determinazione. Pronti ad abbracciare tutte le sfide e le opportunità che la maggiore età ha da offrire?
Michele
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://www.staipa.it/blog/lintelligenza-artificiale-nel-mondo-dellintrattenimento/?feed_id=882&_unique_id=649c36562195c %TITLE% Uno dei settori che stanno venendo rivoluzionati dall'Intelligenza Artificiale e che a sua volta la stanno spingendo di più è quello dell'intrattenimento. Dai film ai videogiochi, dai sistemi di raccomandazione alle esperienze interattive, l'IA sta portando cambiamenti significativi che modificano il modo in cui consumiamo e viviamo l'intrattenimento. L'intelligenza Artificiale nel cinema Nella creazione cinematografica e televisiva, per esempio, l'intelligenza artificiale offre nuove opportunità creative e migliorando l'efficienza produttiva. I registi e i produttori stanno sfruttando le potenzialità dell'IA per ottimizzare diverse fasi della produzione cinematografica. Un aspetto cruciale è quello di migliorare gli effetti speciali. Grazie ai modelli di apprendimento automatico, l'IA è in grado di analizzare grandi quantità di dati visivi, apprendere dalle caratteristiche di immagini esistenti e generare effetti speciali realistici. Realizzare effetti speciali che imitino grandi esplosioni, particolari movimenti dell'acqua, grandi folle in situazioni di guerra o sommosse popolari, il comportamento di un buco nero super massiccio, il movimento di un animale, possono richiedere a una squadra di artisti uno sforzo enorme con risultati non del tutto soddisfacenti, ma dando in pasto numerose immagini o video a una Intelligenza Artificiale addestrata allo scopo può dare risultati decisamente più efficaci. A dover di cronaca, non è che una Intelligenza artificiale faccia tutto da sola, servirà comunque una squadra di effettisti e di tecnici che la addestri e che ne imposti i parametri. L'Intelligenza Artificiale viene utilizzata anche per generare personaggi digitali realistici: attraverso l'apprendimento automatico, può analizzare le espressioni facciali, i movimenti e persino i tratti distintivi di attori reali, creando personaggi virtuali che sembrano vivi e credibili. Questo consente ai registi di integrare personaggi digitali nelle scene in modo più fluido, ampliando le possibilità creative e offrendo un'esperienza visiva più coinvolgente per il pubblico. In Indiana Jones e il quadrante del destino, del 2023 compare un Harrison Ford ringiovanito digitalmente per farlo tornare a essere un giovane Indiana Jones e così è stato fatto in altri film con altri attori, i risultati inizialmente non erano particolarmente buoni ma nel tempo anche questa tecnologia si sta affinando. Un altro ambito in cui l'Intelligenza Artificiale sta trovando applicazione è nella generazione di sceneggiature. Gli algoritmi di apprendimento automatico possono analizzare un vasto numero di sceneggiature esistenti, identificare schemi narrativi e tendenze di successo e generare nuove trame e dialoghi. Questo non significa che gli scrittori umani siano sostituiti, ma piuttosto che l'IA può fungere da strumento di supporto nella fase creativa, offrendo suggerimenti e ispirazioni per lo sviluppo di storie interessanti e coinvolgenti. L'intelligenza Artificiale nei videogiochi Anche l'industria dei videogiochi sta ricevendo notevoli aiuti dall'Intelligenza Artificiale, grazie a essa oltre agli stessi effetti che possiamo vedere nel cinema come immagini e movimenti più realistici e una migliore applicazione della fisica negli oggetti, i personaggi non giocanti possono essere dotati di comportamenti e intelligenza simulata più avanzati rendendo il gioco più realistico e coinvolgente. I videogiochi moderni utilizzano l'IA per creare avversari virtuali che possono apprendere, adattarsi alle strategie dei giocatori e prendere decisioni autonome. Questo permette di creare sfide più stimolanti, in cui i nemici possono reagire in modo intelligente alle azioni dei giocatori e pianificare strategie di attacco o difesa più sofisticate. Inoltre, l'Intelligenza Artificiale può essere
utilizzata per ottimizzare l'esperienza di gioco, regolando la difficoltà in base alle abilità del giocatore e offrendo suggerimenti o assistenza in momenti critici. L'implementazione dell'IA nei videogiochi pone anche alcune sfide specifiche come il corretto bilanciamento della difficoltà in modo da offrire una sfida equilibrata senza risultare né troppo facile né troppo difficile per i giocatori. Un altro uso nel videogaming dell'Intelligenza Artificiale è quella legata agli assistenti virtuali. Gli assistenti virtuali sono programmi o personaggi all'interno dei giochi che utilizzano l'IA per rispondere alle azioni e alle richieste dei giocatori in tempo reale. Questi assistenti possono fornire suggerimenti, risolvere indovinelli, offrire supporto strategico e persino partecipare alle dinamiche di gioco come personaggi non giocanti controllati dall'IA. L'obiettivo principale degli assistenti virtuali è quello di migliorare l'esperienza di gioco, offrendo un'interazione più personalizzata e adattiva. Tuttavia, l'implementazione dell'IA negli assistenti virtuali per i videogiochi solleva anche alcune questioni etiche e sociali. È importante garantire che l'IA non venga utilizzata per favorire il gioco d'azzardo, la dipendenza o comportamenti nocivi per i giocatori. Inoltre, è necessario affrontare il tema della trasparenza e della sicurezza dei dati personali dei giocatori, proteggendo la loro privacy e prevenendo eventuali abusi. L'intelligenza Artificiale nei sistemi di raccomandazione e personalizzazione Oltre che in fase di produzione, l'Intelligenza Artificiale è utilizzata nella distribuzione e nella fruizione dei contenuti cinematografici, televisivi, musicali e ludici. Gli algoritmi di raccomandazione vengono utilizzati dalle piattaforme di streaming per suggerire film e programmi TV in base alle preferenze degli utenti e alle loro abitudini di visione. Questo contribuisce a migliorare l'esperienza degli spettatori, consentendo loro di scoprire nuovi contenuti che potrebbero interessarli. Inoltre, l'IA può essere utilizzata per analizzare le tendenze di visione e i comportamenti degli spettatori, fornendo informazioni preziose agli studi cinematografici e alle emittenti televisive per comprendere meglio il pubblico di riferimento e sviluppare strategie di produzione e marketing più mirate.

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Lanciato in picchiata verso la giungla, un aereo della marina ha lasciato cadere un insieme di dispositivi sulla fitta rete di alberi in basso. Alcuni erano microfoni, usati per cogliere i passi dei guerriglieri o l’accensione di camion. Altri erano rilevatori d’attività sismica, adattati per cogliere vibrazioni minime sul terreno. I più strani di tutti erano sensori olfattivi, alla ricerca dell’ammoniaca presente nell’urina umana.
Decine di migliaia di questi dispositivi elettronici hanno trasmesso i loro dati ad alcuni droni e poi ai computer. Nel giro di pochi minuti, degli aerei da guerra stavano arrivando per bombardare a tappeto una porzione di terreno determinata da un algoritmo. L’operazione Igloo white (iglù bianco) era il futuro della guerra. Nel 1970.
Il tentativo degli Stati Uniti d’interrompere il sentiero di Ho Chi Minh dal Laos al Vietnam non ebbe successo. Costò circa un miliardo di dollari all’anno (circa 7,3 miliardi di dollari attuali), ovvero centomila dollari (730mila di quelli attuali) per ogni camion distrutto, e non ha messo fine alle infiltrazioni.
Nuovi sviluppi Ma il fascino di una guerra semiautomatizzata non è mai svanito. L’idea di raccogliere dati dai sensori, processarli tramite algoritmi sempre più raffinati e capaci di agire più velocemente del nemico è al cuore del dibattito militare tra le principali potenze mondiali. E oggi la cosa è amplificata dai nuovi sviluppi in materia d’intelligenza artificiale.
L’intelligenza artificiale è “pronta a cambiare la natura stessa del campo di battaglia del futuro”, ha dichiarato il dipartimento della difesa degli Stati Uniti nel suo primo documento strategico relativo all’intelligenza artificiale, del febbraio 2019.
Nell’estate 2018 il Pentagono ha lanciato il Centro di coordinamento per l’intelligenza artificiale (Jaic) e quest’anno a marzo si è riunita per la prima volta la Commissione per la sicurezza nazionale sull’intelligenza artificiale. Il bilancio del Pentagono per il 2020 ha previsto l’ingente cifra di quasi un miliardo di dollari per l’intelligenza artificiale e una cifra più di quattro volte superiore per le strumentazioni autonome o senza equipaggio che si affidano a essa.
L’attrattiva dell’automazione è evidente: i robot sono più economici, più resistenti e più sacrificabili degli esseri umani
Attività altrettanto febbrili sono in corso in Cina, un paese che ambisce a diventare leader mondiale nel campo dell’intelligenza artificiale entro il 2030 (non è chiaro secondo quali criteri), e in Russia, dove il presidente Vladimir Putin è noto per aver predetto che “chiunque diventerà leader in questo campo diventerà il dominatore del mondo”. Ma il paradosso è che l’intelligenza artificiale potrebbe allo stesso tempo squarciare e rafforzare la “nebbia della guerra”, permettendo di condurre il conflitto con una velocità e una complessità che lo renderebbero sostanzialmente oscuro per gli esseri umani.
Intelligenza artificiale è un’espressione generica e imprecisa, che copre una gamma di tecniche che vanno dai sistemi di rispetto delle regole, sperimentati la prima volta negli anni cinquanta, all’apprendimento automatico basato sulla probabilità di oggi, nel quale i computer insegnano a se stessi a svolgere alcuni compiti.
L’apprendimento profondo – un potente approccio all’apprendimento automatico, e che coinvolge molti strati di reti neurali modellate sul cervello – si è dimostrato particolarmente efficace per i compiti più disparati come la traduzione, il riconoscimento di oggetti e le esperienze ludiche.
Tre categorie di applicazione Michael Horowitz dell’università della Pennsylvania paragona l’intelligenza artificiale al motore a combustione interna o all’elettricità – una tecnologia pratica dotata di una miriade di applicazioni – dividendo le sue applicazioni militari in tre categorie. Una consiste nel permettere alle macchine di funzionare senza supervisione umana. Un’altra nel processare e interpretare ampi volumi di dati. La terza nel contribuire, o addirittura nel dirigere in prima persona, le attività belliche di comando e controllo.
L’attrattiva dell’automazione è evidente: i robot sono più economici, più resistenti e più sacrificabili degli esseri umani. Ma una macchina in grado di vagare per un campo di battaglia, e a maggior ragione di versare sangue su di esso, dev’essere abbastanza intelligente da sostenere un simile fardello. Un drone privo d’intelligenza non sopravviverà molto in una battaglia. Peggio ancora, un robot privo d’intelligenza e dotato di armi da fuoco può facilmente portare a un crimine di guerra. All’intelligenza artificiale è quindi richiesto il compito di fornire alle macchine le abilità necessarie. Tra queste ce ne sono di semplici, come la percezione e la navigazione, e altre più raffinate, come il coordinamento con altri agenti.
La macchine intelligenti che coniugano queste abilità possono fare cose impossibili per gli esseri umani. “Già oggi, un sistema d’intelligenza artificiale può avere prestazioni più elevate, all’interno di un combattimento aereo simulato, di quelle di un pilota militare esperto”, spiega Kenneth Payne del King’s College di Londra. A febbraio l’agenzia statunitense di progetti di ricerca avanzati per la difesa (Darpa), la sezione che si occupa di sviluppo del settore aereo del Pentagono, ha condotto i più recenti test su una flotta di sei droni capaci di collaborare in un ambiente “ad alto rischio”, anche in assenza di un contatto con esseri umani.
La vista dei computer è imperfetta e può essere ingannata in modi che non passerebbero inosservati a un occhio umano
Ciò nonostante, la maggior parte dei sistemi è dotata di un tipo d’intelligenza limitata e instabile: buona per eseguire un compito in un ambiente ben definito, ma destinata a fallire miseramente in condizioni non consuete. Tra le armi autonome esistenti ci sono missili mobili che si abbattono su radar oppure armi da fuoco rapide che difendono navi e basi militari. Utili ma non rivoluzionarie, e nessuna di esse ha davvero bisogno delle tecniche di apprendimento automatico sperimentate negli ultimi anni e oggi di moda.
Apprendimento profondo Ma sarebbe un errore pensare che l’intelligenza artificiale sia utile solo per le attività di routine su un campo di battaglia. I robot, che siano assassini o meno, devono agire in base a ciò che vedono. Ma per molte piattaforme militari, come satelliti e aerei spia, il punto è raccogliere dati grezzi che possano essere trasformati in utili elementi d’intelligence. Oggi quest’attività è più prospera che mai: solo nel 2011, l’anno più recente per il quale esistano dati, i circa undicimila droni statunitensi hanno raccolto oltre 327mila ore (37 anni) di filmati.
La maggior parte di questi non è stata visionata. Fortunatamente la seconda principale applicazione dell’intelligenza artificiale nelle forze armate consisterà nel processare dati. Nel 2015, durante i test di laboratorio, le prestazioni degli algoritmi hanno superato quelle degli esseri umani nella classificazione delle immagini. Tra il 2015 e il 2018 inoltre sono stati quasi il doppio più efficaci in un compito più arduo, la segmentazione di oggetti, che consiste nell’individuare oggetti multipli a partire da una singola immagine, secondo l’indice annuale dei progressi dell’intelligenza artificiale compilato dall’università di Stanford. La vista dei computer è lungi dall’essere perfetta e può essere ingannata in modi che non passerebbero inosservati a un occhio umano. Nel corso di uno studio, l’alterazione dello 0,04 per cento dei pixel dell’immagine di un panda, impercettibile per gli esseri umani, ha spinto il sistema a vedere al suo punto un gibbone.
I governi occidentali sostengono che gli esseri umani continueranno a essere coinvolti come supervisori delle operazioni
Malgrado queste debolezze, nel febbraio 2017 lo stesso Pentagono ha concluso che gli algoritmi di apprendimento profondo “possono avere prestazioni di livello prossimo a quello degli esseri umani”. Per questo ha creato una squadra di “guerra algoritmica”, nota come progetto Maven, che usa l’apprendimento profondo e altre tecniche per identificare oggetti e azioni sospette, inizialmente a partire da filmati di guerra contro il gruppo Stato islamico (Is) e oggi in maniera più ampia. L’obiettivo è produrre elementi d’intelligence utili nella pratica: quelli che di solito portano le forze speciali a sganciare bombe e a sfondare le porte.
Una persona ben informata del funzionamento del progetto Marven sostiene che i benefici per gli analisti, come guadagno di tempo e nuove conoscenze, sono ancora marginali. Le telecamere grandangolari che possono osservare intere città, per esempio, producono un ampio numero di falsi positivi. “Ma la natura di questi sistemi è altamente ripetitiva”, dice. Il progresso è rapido e il progetto Maven è solo la punta dell’iceberg.
Earth-i, un’azienda britannica, può usare algoritmi d’apprendimento automatico provenienti da un’ampia gamma di satelliti per identificare diverse varianti di velivoli militari presenti in decine di basi, con una precisione superiore al 98 per cento, secondo Sean Corbett, un vicemaresciallo aeronautico della Royal air force (Raf) in pensione, che oggi lavora per l’azienda. “La parte interessante”, dice, “sta quindi nello sviluppare metodi per stabilire automaticamente quello che è normale e quello che non lo è”. Osservando le basi nel corso del tempo, il software può distinguere i movimenti di routine da quelli irregolari, avvertendo gli analisti in caso di novità significative.
Dal vecchio mondo al cloud Gli algoritmi, naturalmente, sono onnivori e possono essere alimentati con ogni genere di dati, non solo le immagini. “Le masse di dati unite a moderne tecniche di analisi rendono trasparente il mondo di oggi”, sostiene Alex Younger, capo dell’Mi6, l’agenzia di spionaggio britannica. Nel 2012, una fuga di dati provenienti dall’Nsa, l’agenzia d’intelligence statunitense, ha fatto emergere l’esistenza di un programma (chiamato in maniera rassicurante Skynet) che applicava l’apprendimento automatico ai dati dei telefoni pachistani per individuare persone che forse agivano da corrieri per i gruppi terroristici, come per esempio quelle che avevano viaggiato da Lahore alla città frontaliera di Peshawar nell’ultimo mese e avevano spento o cambiato il proprio telefono. “Si sta passando dal vecchio mondo dell’intelligence, in cui i comandanti facevano una domanda e le agenzie usavano il patrimonio dati a loro disposizione per rispondere, a un mondo nel quale le domande si trovano… nel cloud, nella nuvola”, osserva Richard Barrons, un generale in pensione che ha diretto il Coordinamento delle forze britanniche fino al 2016.
Effettivamente i dati in questione non provengono necessariamente da un nemico. Il primo progetto del Jaic non è stato né un’arma né uno strumento di spionaggio, ma una collaborazione con le forze speciali volta a prevedere i problemi ingegneristici dei loro elicotteri Black hawk. La prima versione dell’algoritmo è stata consegnata ad aprile. I test delle forze aeree sugli autotreni e gli aerei del comando e controllo hanno mostrato che una simile manutenzione predittiva potrebbe ridurre di quasi un terzo le riparazioni non pianificate, il che potrebbe permettere grandi risparmi nei 78 miliardi di dollari che il Pentagono spende attualmente per la manutenzione.
Se gli algoritmi saranno privi della comprensione degli esseri umani, emergeranno problemi legali, etici e di fiducia
L’obiettivo del processare informazioni, naturalmente, è agire in funzione di esse. E la terza modalità con cui l’intelligenza artificiale cambierà la guerra è penetrando nel processo decisionale militare, dalle unità di livello più basso ai quartier generali nazionali. Northern Arrow (freccia del nord), uno strumento costruito da Uniqai, un’azienda israeliana, è uno dei tanti prodotti sul mercato che aiutano i comandanti militari a pianificare le loro missioni assemblando grandi quantità di dati relativi a variabili come le posizioni del nemico, il tipo di armi, il terreno e il meteo: un processo che normalmente, usando i vecchi metodi come mappe e diagrammi, richiederebbe ai soldati dalle 12 alle 24 ore di lavoro.
Northern Arrow è alimentato con dati presi da libri e manuali, per esempio sulla velocità dei carri armati a differenti alture, ma anche con interviste a comandanti esperti. L’algoritmo offre poi ai comandanti militari in difficoltà alcune alternative, oltre che una spiegazione del perché è stata scelta ciascuna di esse.
Queste piattaforme di tipo “sistema esperto”, come Northern Arrow e l’analogo software Cadet degli Stati Uniti, possono funzionare molto più velocemente del cervello umano – due minuti rispetto alle 16 ore-uomo in un test – ma continuano a usare tecniche predeterminate dal punto di vista algoritmico. Secondo gli standard storici si potrebbe parlare di intelligenza artificiale, ma poiché la maggior parte usa metodi deterministici, significa che gli stessi input determineranno sempre gli stessi risultati. Un meccanismo familiare ai soldati che si affidavano ai risultati di Eniac, il primo computer multiuso elettronico del mondo, che generava tabelle per il fuoco d’artiglieria nel 1945.
Nel mondo reale, la casualità spesso diminuisce la possibilità di fare previsioni corrette, e quindi molti sistemi moderni d’intelligenza artificiale aggiungono al rispetto delle regole una casualità ulteriore, facendone un punto di partenza per una pianificazione più complessa. Il software Real-time adversarial intelligence and decision-making (Raid) di Darpa ha lo scopo di prevedere gli obiettivi, i movimenti e perfino le possibili emozioni delle forze nemiche con un anticipo di cinque ore. Il sistema si basa su una variante della teoria dei giochi che riduce i problemi a giochi più piccoli, diminuendo la potenza computazionale necessaria a risolverli.
Nei primi test effettuati tra il 2004 e il 2008, Raid si è dimostrato più preciso e veloce dei pianificatori umani. Nella simulazione di una battaglia di due ore a Baghdad, alcune équipe umane sono state messe contro Raid o altri esseri umani: meno di metà delle volte si sono dimostrate in grado di distinguere le une dalle altre. I colonnelli in pensione arruolati per simulare i ribelli iracheni “hanno avuto così paura” del software, racconta Boris Stilman, uno dei suoi progettisti, che “hanno smesso di parlarsi e hanno cominciato a comunicare a gesti”. Raid è attualmente sviluppato per usi militari.
I problemi di una partita di go L’ultimo dei sistemi di apprendimento profondo è forse il più enigmatico di tutti. Nel marzo 2016, AlphaGo, un algoritmo d’apprendimento profondo costruito da DeepMind, ha battuto uno dei migliori giocatori al mondo di go, un antico gioco di strategia cinese. Nel farlo è ricorso a varie mosse altamente creative che hanno confuso gli esperti. Il mese successivo, l’Accademia cinese di scienze militari ha organizzato un laboratorio dedicato alle implicazioni di questa partita. “Per gli strateghi militari cinesi, una delle lezioni tratte dalle vittorie di AlphaGo è stata che un’intelligenza artificiale potesse creare tattiche e stratagemmi superiori a quelli di un giocatore umano in un gioco paragonabile a un gioco di guerra”, ha scritto Elsa Kania, esperta d’innovazione militare cinese.
Nel dicembre 2018 un altro dei programmi di DeepMind, Alpha Star, ha nettamente battuto uno dei migliori giocatori al mondo di StarCraft II, un videogioco giocato in tempo reale e non a turni, con informazioni nascoste ai giocatori e con molti più gradi di libertà (mosse potenziali) rispetto a go. Molti funzionari sperano che un simile atteggiamento di gioco possa in seguito trasformarsi in una predisposizione all’inventiva e alle abili manovre celebrate dalla storia militare. Michael Brown, direttore dell’unità per l’innovazione nella difesa, un ente del Pentagono incaricato di sfruttare la tecnologia commerciale, sostiene che ottenere un “ragionamento strategico” alimentato dall’intelligenza artificiale sia una delle priorità della sua organizzazione.
Ma se gli algoritmi, oltre a superare la creatività umana, saranno privi della comprensione degli esseri umani, emergeranno problemi legali, etici e di fiducia. La legge militare impone una serie di giudizi su concetti come la proporzione (tra danno civile e vantaggio militare) e la necessità. Dei software che fossero incapaci di spiegare perché è stato scelto un determinato obiettivo probabilmente non sono in grado di rispettare tali leggi. E anche se fossero in grado di farlo, gli esseri umani potrebbero non fidarsi di un consulente decisionale che ha l’aspetto di una magic 8 ball, la pallina giocattolo per prevedere la fortuna.
Un intero campo di battaglia automatizzato “Cosa facciamo quando l’intelligenza artificiale è applicata alla strategia militare e ha effettuato un calcolo probabilistico delle possibili interazioni ben oltre quelli che possiamo prendere in considerazione come esseri umani, e consiglia una linea d’azione che non capiamo?”, si chiede il tenente colonnello Keith Dear, un ufficiale d’intelligence della Raf. Porta come esempio, in questo senso, quello di un’intelligenza artificiale che consigli di finanziare un teatro dell’opera a Baku in risposta a un’incursione militare russa in Moldavia: una manovra surreale, in grado di confondere anche le proprie truppe, figuriamoci il nemico. Eppure questo potrebbe avvenire perché l’intelligenza artificiale è stata in grado di cogliere una catena d’eventi politici non immediatamente percepibile dai comandi militari.
Anche in questo caso, prevede che gli umani accetteranno il prezzo da pagare per passare dall’imperscrutabilità all’efficienza. “Anche con i limiti della tecnologia attuale, un’intelligenza artificiale potrebbe sostenere, se non addirittura farsi carico, dei processi decisionali di un combattimento militare nel mondo reale”, usando “un’imponente simulazione quasi in tempo reale”.
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I governi occidentali sostengono che gli esseri umani continueranno a essere coinvolti, come supervisori delle operazioni. Ma anche molti dei suoi ufficiali non ne sono convinti. “Sembra probabile che gli umani saranno sempre più esclusi dal processo decisionale, sia tattico sia strategico”, dice il comandante Dear. La sensazione che i combattimenti accelereranno fino a “superare le capacità della cognizione umana” ritorna anche negli articoli cinesi, dice Kania. Il risultato non sarebbero solo armi automatiche, ma un intero campo di battaglia automatizzato. All’inizio di una guerra, sistemi d’intelligenza artificiale interconnessi sceglierebbero gli obiettivi, dai lanciamissili alle portaerei, e organizzerebbero rapidi e precisi attacchi per distruggerli nella maniera più efficiente.
Le conseguenze più ampie della cosa rimangono poco chiare. La prospettiva di attacchi rapidi e precisi “potrebbe erodere la stabilità, aumentando il rischio percepito di un attacco a sorpresa”, scrive Zachary Davis in un recente articolo per il Lawrence Livermore national laboratory. Ma l’intelligenza artificiale potrebbe anche permettere a chi si difende di rispondere a tali attacchi, identificando i segnali rivelatori di un attacco imminente. Oppure, come la febbre da diffusione di sensori nella giungla vietnamita degli Stati Uniti negli anni settanta, simili progetti potrebbero rivelarsi dei fallimenti costosi e mal concepiti. Eppure nessuna potenza vuole correre il rischio di rimanere indietro rispetto ai suoi rivali. Ed è in questo che la politica, e non solo la tecnologia, potrebbe avere un ruolo importante.
Le spese del Pentagono per l’intelligenza artificiale sono minime rispetto a quelle stanziate dalle grandi aziende tecnologiche nel 2016, tra i venti e i trenta miliardi di dollari. Nonostante molte aziende statunitensi siano felici di accettare il denaro dell’esercito – Amazon e Microsoft stanno perfezionando un contratto col Pentagono da dieci miliardi di dollari per servizi di clouding informatico – altre sono più caute. Nel giugno 2018 Google ha dichiarato che nel 2019 avrebbe sospeso il suo contratto di lavoro per il progetto Maven, di un valore di nove milioni di euro, dopo che quattromila sue dipendenti hanno protestato contro il coinvolgimento dell’azienda in attività di “tecnologia bellica”.
In Cina, d’altro canto, le aziende possono essere spinte più facilmente a lavorare per lo stato, e le leggi sulla privacy sono un ostacolo minimo. “Se i dati sono il carburante dell’intelligenza artificiale, allora la Cina potrebbe avere un vantaggio strutturale sul resto del mondo”, ha avvertito Robert Work, ex sottosegretario alla difesa degli Stati Uniti, a giugno. Non è chiaro se i dati civili possano o meno alimentare gli algoritmi militari, ma la questione è al centro delle preoccupazioni dei leader militari. Il direttore del Jaic, il generale Jack Shanahan, ha espresso le sue preoccupazioni il 30 agosto: “Non voglio assistere a un futuro in cui i nostri potenziali avversari siano dotati di forze totalmente equipaggiate d’intelligenza artificiale, e noi no”.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.
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Donato Tagliapietra, Gli autonomi. Volume V. L’Autonomia operaia vicentina dalla rivolta di Valdagno alla repressione di Thiene, Edizioni DeriveApprodi, Roma, 2019, pp. 256, € 19,00
A voler spiegare come si scrive un testo documentato e rigoroso, su un frammento dei nostri anni ’70, senza melanconie memorialistiche e narcisismi biografici, il quinto volume della serie “Gli autonomi” potrebbe essere citato come esempio virtuoso. Il libro, dedicato all’esperienza del movimento autonomo nell’alto vicentino – una perimetrazione solo apparentemente marginale, in realtà ricca di implicazioni e connessioni generali –, è scritto “al presente”: niente nostalgie, niente autocompiacimento, meno che mai dissociazione. L’autore non fa mai astrazione dal suo punto di osservazione naturale: la durezza spigolosa e inafferrabile dei tempi d’oggi.
Il racconto dell’autonomia vicentina presenta dei tratti di vivo interesse, innanzi tutto per la specificità del territorio. Quella raccontata da Donato Tagliapietra, dirigente dei Collettivi Politici Veneti, ex prigioniero degli infiniti processi che seguirono al 7 aprile, è innanzitutto una storia operaia, anche e soprattutto nella sua dimensione di rifiuto della fabbrica: la cronaca dell’emersione embrionale di un “altro movimento operaio”, in cui un pezzo di gioventù di provincia rigetta la coazione al lavoro e l’etica sacrificale del cottimo e dello straordinario a cui i padri avevano sacrificato la vita.
Non a caso il libro si apre con i fatti della rivolta di Valdagno quasi a sottolineare la matrice proletaria (non genericamente ribelle o controculturale) di quella incubazione che sul finire degli anni del boom, prepara le condizioni dell’esplosione del decennio successivo:
Nell’ambito della prima industrializzazione italiana l’industria tessile vicentina ha un ruolo di prim’ordine, tanto da conferire a questa provincia caratteri strutturali che l’avvicinano di più all’esperienza del triangolo industriale che a quella veneta e italiana […] A rendere originale il processo di industrializzazione vicentino è stato il modo in cui la fabbrica si inserisce nella struttura sociale preesistente, apparentemente senza traumi né fratture nette, anzi salvaguardando gli antichi equilibri. Tutto ciò ha fatto parlare di uno specifico modello di sviluppo: quello veneto. Fino all’aprile del 1968 alla Marzotto di Valdagno (p. 11)
Sui fatti di Valdagno, molto si è scritto, collocandoli addirittura tra gli episodi fondativi del ’68 italiano: la statua del fondatore Gaetano Marzotto abbattuta, le ore di scontri con la polizia dentro territori abituati alla pacificazione e a un’etica del lavoro asfissiante. È l’autonomia di classe all’opera, prima che si generalizzi l’uso stesso della categoria.
Da quel fecondo spartiacque, nei grandi comuni industriali di Thiene, Schio, Marano, Bassano, l’autunno caldo evoca una generazione di giovanissimi quadri di movimento – interni/esterni al tessuto delle fabbriche – che avviano un’altra prassi e un’altra progettualità dentro i territori. Si consolida un’area di contrapposizione ed estraneità ai due mondi allora egemoni: il Veneto bianco – con i suoi cascami clericali e democristiani – e l’opposizione ufficiale, il Pci – con le sue strategie e ritualità paludate.
Inizia la stagione dei gruppi, l’emersione di un’“altra sinistra” che prende forma pubblica, con le sue sedi, le sue sigle, le sue iniziative. È una stagione breve, tutto si consuma in un lampo: i tempi sono accelerati, densi e straordinariamente fecondi. Potere operaio si è sciolta nel ’73, Lotta Continua annaspa dentro la radicalità delle sue contraddizioni e delle aspettative che il conflitto ha evocato soprattutto nelle componenti più giovanili. È il 1976, quando la nuova composizione giovanile di movimento nella bassa vicentina, matura un passaggio di rottura:
Tempo qualche settimana e usciamo da Lotta Continua. Semplicemente, senza strascichi polemici, anzi mantenendo intatto il patrimonio relazionale costruito nella militanza condivisa. Niente porte sbattute o accuse incrociate. D’altronde non portiamo via le masse, semplicemente una parte relativamente piccola ma molto coesa e determinata, non partecipa più a quell’agire collettivo e progettuale dopo tre anni abbondanti di appartenenza. Andiamo a costruire quotidianità da un’altra parte. Da quel momento siamo un’altra cosa […] Il nuovo riferimento è l’Autonomia Operaia, che non è un nuovo gruppo, ma un progetto politico e di lotta da costruire insieme. Con un tempismo perfetto arriva la proposta dei compagni dei Collettivi Politici Padovani, fatta a tutte le realtà di movimento della regione, di incontrarci per discutere un progetto di organizzazione regionale. (p. 38)
Il veneto bianco riproduce le stesse dinamiche sociali e generazionali del resto d’Italia. Questa nuova composizione giovanile, al di là delle sigle di riferimento, si colloca culturalmente in una condizione di rottura esistenziale con il mondo dei padri: il rifiuto delle ideologie lavoriste – sia in salsa micro-capitalistica che berlingueriana –, la tendenza a fare comunità, costruendo una nuova militanza che coincide con le scelte di vita, la musica, le sperimentazioni psichedeliche, la liberazione sessuale. E il tema delle legittimità dell’uso della forza – anche armata – che ormai comincia diventare dirimente.
Nasce una militanza con caratteristiche nuove, che agisce dentro dinamiche e filiere sociali molto dirette. Con Alquati possiamo definirla di “medio raggio”, nel senso di un intervento politico pubblico, fortemente condiviso, praticato nel quotidiano e in uno specifico territorio; condizione che permette più facilmente di non scadere nel leaderismo e nel soggettivismo perché impegnata alla organizzazione della forma pubblica dell’autonomia operaia. Si tratta di organismi proletari di massa, autonomi da partiti e sindacati, dove la lotta per affermare i bisogni e l’uso della forza marciano di pari passo: si vuole essere quadri complessivi, nel senso che non deve esserci separazione tra il politico e il militare. Tra il ’76 e l’80 si registrano in Veneto più di 500 atti di “uso ragionato della forza”. Nella maggior parte dei casi sono azioni di sabotaggio e danneggiamenti nei confronti delle proprietà di fascisti, forze dell’ordine, politici democristiani e baroni universitari. Fratellanza e intelligenza, forza e complicità: questo diventa lo spazio dove si colloca la nuova militanza. (p. 51)
Tutto si mescola freneticamente in mesi che valgono come anni, mentre la crisi italiana si avvita sempre di più tra tentazioni autoritarie e il fosco orizzonte del compromesso storico in gestazione. In una dimensione di densa socialità e contropotere reale esercitato nei territori, si va a costituire quello che l’autore definisce “il laboratorio veneto” – un rapporto di forza reale che misura ogni giorno la propria egemonia; ma che costringe anche a reinventare continuamente forme, linguaggi e pratiche, per rimanere al passo con i tempi della crisi/ristrutturazione che sta ridisegnando la società veneta. L’allungamento della filiera produttiva – che oggi è assunto come elemento fondamentale di gerarchizzazione del lavoro vivo – conosce in quel tessuto un suo campo fondamentale di avvio e sperimentazione. I giovani autonomi vicentini “inseguono” davanti ai cancelli delle fabbriche i loro coetanei operai, organizzando le ronde contro gli straordinari o l’intervento contro i licenziamenti, ma devono anche nel contempo costruire le loro “filiere” alternative – sociali e antagoniste – in cui ricomporre nel territorio quel mondo operaio che si va sfilacciando, nel decentramento produttivo, nell’autosfruttamento dei capannoncini e del lavoro a domicilio.
Tutta la storia dell’Autonomia vicentina – per collocazione, cultura, memoria – è imperniata sul rifiuto/superamento della condizione operaia. L’esperienza storica dei Gruppi Sociali vive all’interno di questa dinamica diventando immediatamente lo strumento attraverso il quale aggredire e rompere la nuova costrizione al lavoro. In particolare questo progetto organizzativo trova sostegno pieno nella teoria dell’operaio sociale che permette a tutti – operai, disoccupati, studenti, piccoli commercianti, precari etc – di sentirsi direttamente messi in produzione […] Esistiamo allora come operai e operaie sociali, non come figure sociologiche ma in quanto soggetti politici capaci di trovare soluzioni che liberino conflitto di classe, nella sua forma post-fordista. L’intervento militante quotidiano privilegia i nuovi distretti industriali, i nuovi laboratori, i paesi dove i comparti della grande fabbrica vengono decentrati. Il lavoro ci insegue sempre più dentro il territorio e noi lì lo abbiamo aspettato. Perché questo è il terreno in cui siamo più forti. (p. 93)
L’operaio sociale è quindi la categoria che supporta questo sforzo tutto politico: e nasce dalla pratica, dalla necessità di “giustificare” e sistematizzare questi processi. Ortoprassi e spregiudicatezza teorica sono in quegli anni due poli che marcano un processo necessario e virtuoso di prassi-teoria-prassi (poi diventeranno sbracamento solipsistico, man mano che il conflitto si essiccherà e resteranno in campo solo i chiacchieroni da seminario, ma questo è un altra storia).
L’autore rende puntigliosamente conto dei processi di formazione delle strutture autonome – dai coordinamenti operai ai comitati studenteschi, ricomposti orizzontalmente nella figura dei Gruppi Sociali – ,così come delle campagne che scandiranno la forza crescente dell’autonomia operaia in veneto e la sua progettualità nazionale, in rapporto con l’area milanese di Rosso. Nasce Radio Sherwood – con la sua redazione vicentina – ed il settimanale politico Autonomia: strumenti indispensabili per rendere conto della ricchezza delle iniziative diffuse sul territorio. Le ronde operaie “mobili” contro gli straordinari, diventano modello di intervento nel sociale, nella lotta per la casa e nelle prime occupazioni di spazi sociali. Il crescendo del contropotere evoca un crescendo di repressione, che prova a rintuzzare, palmo a palmo, l’egemonia che gli autonomi conquistano su pezzi importanti di tessuto sociale: i confederali e il PCI diventano parte attiva di questo sforzo di contrasto all’autonomia operaia, in un susseguirsi di arresti, processi e inchieste, che culmineranno, nel grande showdown finale del PM Calogero (il libro riporta anche l’imbarazzante e famigerato post pubblicato nel 2017 da Umberto Contarello, all’epoca ventiduenne segretario della FGCI padovana, che racconta di come Calogero andasse personalmente nei locali della Federazione del PCI ad istruirlo sulla versione che avrebbe dovuto sostenere come testimone d’accusa al processo contro l’Autonomia…).
Ma nel vicentino lo spartiacque di un’epoca non è il 7 aprile del ’79. È piuttosto la tragedia di Thiene, la morte inaspettata di tre giovani proletari dei collettivi vicentini, Angelo del Santo, Alberto Graziani e Maria Antonietta Berna, e il successivo assurdo suicidio in carcere di Lorenzo Bortoli. Donato Tagliapietra lascia capire che fu quell’evento a segnare la fine di qualcosa: agli attacchi repressivi le strutture autonome erano abituate; ma i fatti di Thiene recano un segno autodistruttivo che difficilmente avrebbe potuto ricomporsi.
A Thiene, attorno alle ore 17.00, un’esplosione provoca la morte di tre compagni, militanti dei Cpv. La storia si interrompe e si capisce che niente più sarebbe stato come prima. Esiste un prima e un dopo l’11 aprile ’79. (p. 163)
I tre militanti stavano realizzando un ordigno esplosivo che sarebbe servito dentro la campagna di risposta alla maxi retata del 7 Aprile. Le strutture dell’autonomia vicentina rivendicano immediatamente l’internità delle figure e del percorso dei tre giovani militanti morti e scrivono in un comunicato uscito subito dopo i fatti:
Nessuna disputa di linea politica, nessuna differenziazione di impostazione di analisi dentro il movimento, può offuscare, negare l’appartenenza dei compagni all’intero movimento rivoluzionario, a tutti i comunisti. L’intero movimento di classe deve rivendicare a sé questi compagni caduti. Per non dimenticare. Per ricordare. (p. 164)
L’autore ci riporta al clima drammatico di quei giorni.
Quella che si scatena contro una piccola realtà di provincia è una repressione senza eguali. Crudele e feroce. L’intento è quello di sradicare definitivamente l’organizzazione autonoma. Viene messa in campo da Dalla Chiesa attraverso un’operazione che militarizza per un mese un intera zona. (p. 167)
Mandati di cattura e perquisizioni piovono a tappeto su tutto il territorio:
Nel nostro caso niente viene risparmiato, fino alla contestazione a tutti del reato di omicidio. Non esiste un impianto accusatorio, non è mai esistito durante tutta la fase processuale. La volontà di spargere terrore con la rappresaglia è l’impianto accusatorio. Scattano dappertutto posti di blocco, controlli nei luoghi frequentati dai compagni e nelle loro abitazioni. Nei luoghi frequentati dal movimento i poliziotti si scatenano contro le compagne con provocazioni sessiste. (p. 168)
Le persone care alle vittime vengono arrestate o inquisite. Tra loro Lorenzo Bortoli, affittuario dell’appartamento in cui avviene la tragedia e compagno di Maria Antonietta. Dopo due mesi di isolamento, vessazioni, trasferimenti e provocazioni, Lorenzo si suicida nella sezione transiti del carcere di Verona. Da settimane è in piedi una campagna di opinione per la sua liberazione, visti i tentativi di suicidio già messi in atto e lo stato di profonda prostrazione psicologica provocata dalla morte della compagna, oltre che dalla detenzione. Il quarto funerale a pugni chiusi, nella piccola straziata provincia vicentina.
Tra latitanza, carcere e processi (le ultime prescrizioni arrivano nel 2006!) la vicenda politico organizzativa dei Collettivi politici vicentini termina all’inizio degli anni ’80. Le scelte di vita si dividono, il territorio muta segno rapidamente: l’eroina si diffonde capillarmente anche nei piccoli centri; ampi settori del Veneto, soprattutto fino al rapimento Dozier, restano zone altamente militarizzate (a Padova città si riuscirà a rompere il divieto di manifestazione solo nel 1985, dopo l’esecuzione sbirresca di Pedro Greco). E cosa più importante: la controrivoluzione sociale accompagna la valorizzazione capitalistica del “modello veneto”, che passa da dimensione produttiva marginale e periferica, all’inserimento nelle grandi filiere produttive tedesche e mitteleuropee.
L’autore, a differenza di altri che hanno contribuito ai volumi precedenti della serie, ci tiene a rendere onore ai tanti che hanno proseguito, negli anni 80/90 la continuità di un’ipotesi politico organizzativa legata all’autonomia.
Quando uscii le cose erano cambiate, ma mi sentivo ancora interno a una situazione di lotta solida e importante. La storia continuava. Mai un giorno a Padova, dagli studi di Vicolo Pontecorvo, Radio Sherwood era stata in silenzio. Accompagnava sosteneva, difendeva e organizzava lo spazio autonomo. Nasceva il Coordinamento Nazionale Antinucleare Antimperialista, che tanta importanza ebbe in quel preciso momento, considerando quanto di drammatico stava succedendo dentro le organizzazioni combattenti clandestine e nelle carceri speciali. […] Da quel ciclo di lotte presero vita le prime occupazioni con l’avvio, lungo gli anni Novanta del movimento dei Centri Sociali. Nel 1988 a Padova, in via Ticino, nasceva il Pedro, l’anno dopo a Mestre il Rivolta, poi il Morion a Venezia, l’Aggro nel Trevigiano, l’Emoprimodellalista nella bassa padovana, fino allo Ya Basta di Vicenza. […] Quello fu molto sommariamente l’impianto di movimento con il quale si arrivò a Genova 2001. E dopo Genova il movimento di lotta contro la base americana di Dal Molin, a Vicenza, nel febbraio 2007 portò in piazza una manifestazione autonoma di 200.000 persone. (p. 203)
Tutto storicamente corretto. Ma non ci si può sottrarre alla domanda più dolorosa, con cui fa i conti Elisabetta Michielin nella bella introduzione:
Aver visto giusto, aver guardato al territorio pone però un problema. Com’è potuto accadere che lo stesso territorio, lo stesso rifiuto del lavoro, hanno portato a un cambiamento di segno inaspettato nella sua radicalità? Insomma, come e perché si è prodotto l’uomo nuovo della Lega? Quei ragazzi che, piuttosto di entrare in fabbrica, avevano deciso di prendere le armi, come sono diventati gli sfruttatori di se stessi nelle miriadi di piccoli opifici che hanno fatto il miracolo del Nord Est nel secolo scorso? […] E ancora: che quella produzione di soggettività, moltiplicatrice di libertà e di invenzione, abbia partorito il mostro dell’autoreferenzialità e dell’esclusione, in una parola l’inimicizia assoluta nei confronti dell’altro e la completa identificazione con il lavoro? (p. 9)
Domande dolorose. Risposte che meriterebbero ben più di un libro.
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Con diritto di esposizione lungo le strade dei tratturi
Mostra personale di Petro Ryaska
Advisor curator: Maria Lanko - The Naked Room Gallery
Petro Ryaska participant MAXXI Fontecchio Residence Program
MAXXI Fontecchio Residency Program è un progetto realizzato in collaborazione con il Comune di Fontecchio e la Fondazione Imago Mundi con il sostegno del Ministero dei Beni Culturali
ore 16.30 (circa), 1 marzo 2023, borgo di Fontecchio
Al luogo della mostra si verrà condotti dopo l’evento precedente
"Arbitrarietà" dell'artista per il diritto all’esibizione. Narrativo-effimero, poetico, storico paesaggio della valle del fiume Aterno. Con il diritto di esposizione lungo le strade del tratturo sono delle azioni dell'autore in continuazione alle sue precedenti azioni artistiche legali, in particolare i lavori come "Parlerò", "Costituzione della performance", e i temi del manifesto del villaggio, trauma storico, paesaggio storico, arte nelle mani delle autorità (imperi) del passato e di oggi. Questa mostra, invece, presenterà perfomance-quadri e la poesia "Constitution of Stone", un'azione dalla Terrazza di Anna-Maria de Torre, diversi video sul tema "Constitution of Stone".
L'opera d'arte che ho creato per la residenza del MAXXI a Fontecchio è il risultato della mia ricerca di 4 mesi, tra novembre 2022 e marzo 2023. La mia ricerca si basa sul trovare un documento legale sugli aspetti legali dei diritti umani nella storia di Fontecchio, della regione Abruzzo, l’Italia in generale. Con una specializzazione in antropologia sociale, le mie aspirazioni sono tentativi di natura socialmente protettiva attraverso l’immaginazione di immagini ed esperienze storiche dell'Abruzzo e dell'Italia nel suo insieme. In particolare, il progetto di ricerca ha tenuto conto di eventi quali la Guerra Sociale in Abruzzo (90 a.C.), Diritti in cambio della pace, Rivoluzione costituzionale, Un anno e un giorno - l'aria di città rende liberi - Movimento Comunale (X-XIII sec.). Si richiama l'attenzione sulle criticità della storia: l'alleanza tra memoria e potere; la creazione del potere di domani attraverso l'invenzione di ieri; memoria collettiva e quella in cui la memoria collettiva coincideva con la memoria della nobiltà (potere).
I miei tentativi di ricerca sul lavoro di conservazione del patrimonio culturale. La ricerca di Lucie Maulsby è buona: How to Look at Architecture: An Autonomous Discipline with a Language That Exists and Quotes Itself. Cioè, "lasciare i monumenti architettonici al loro posto permette di sentire il contesto in cui sono stati creati", il patrimonio architettonico culturale è testimone della storia. In particolare, rispetto ai valori della Convenzione di Faro, in uno degli incontri che si sono svolti nel borgo di Fontecchio nel recente passato, ci sollecitano a una maggiore comprensione del patrimonio culturale narrativo, sia materiale che immateriale.
Il mio dialogo artistico con l'esperienza dell'arte della storia italiana, ovvero l'arbitrarietà dell'artista-scultore di epoca romanica. O l'opera di Masaccio "Pagamento del tributo" in cui "singole parti significative sono liberamente collocate nel paesaggio". Affreschi degli artisti Uccello e Michelangelo: "Creazione di Adamo". Leonardo da Vinci: scritti segreti in codice e poesia. La scultura del lottatore Borghese di Agasia di Efeso è continuata nella scultura di Palmoli Soldiers in Motion. Basandosi sull'antica cultura della fisicità.
La soluzione artistica del progetto è stata fortemente influenzata dal contesto naturalistico, in particolare dall'impronta dei frequenti terremoti in Abruzzo e in particolare nel paese di Fontecchio.
(eng)
With the right of exposure along the roads of sheep trails
Personal exhibition of Petro Ryaska
TNR advisor curator: Maria Lanko
Petro Ryaska participant MAXXI Fontecchio Residence Program. MAXXI Fontecchio Residency Program is a project realized in cooperation with the Municipality of Fontecchio and Fondazione Imago Mundi with the support of the Italian Ministry of Culture.
March 1, 2023, Fontecchio village. To the place of the exhibition will be conducted after the previous event.
"Arbitrariness" of the artist for the right to the exhibition. Narrative-ephemeral, poetic, historical landscape of the Aterno river valley. With the right of exposition along the roads of sheep path are the actions of the author in continuation of his legal artistic actions, in particular such as "I will speak", "Constitution of performance", and the themes of the manifesto of the village, historical trauma, historical landscape, art in the hands of the authorities (empires) of the past and today's... In particular, this exhibition will present perfomance-convases and poetry "Constitution of Stone", an action from Anna-Maria's Terrace de Torre, several videos with the theme "Constitution of Stone".
The artwork I created on the MAXXI Fontecchio residency is the result of my 4 months research between November 2022 and March 2023. My search is to find a legal document on the legal aspects of human for human rights in the history of Fontecchio, the Abruzzo region, Italy in general. With a major in social anthropology, my aspirations are attempts of a socially protective nature through historical images and historical experiences of Abbruzzo and Italy as a whole. In particular, the research project took into account such events as the Social War in Abruzzo (90 BC), Right in exchange for peace, Constitutional revolution, One year and one day - the city air makes free, Communal movement (X-XIII centuries ). Attention is drawn to critical issues in history: the alliance between memory and power; The creation of the power of tomorrow through the invention of yesterday; Collective memory and that when collective memory coincided with the memory of the nobility (power).
My attempts to research cultural heritage conservation work. Lucie Maulsby's research is good: How to Look at Architecture: An Autonomous Discipline with a Language That Exists and Quotes Itself. That is, "leaving architectural monuments in their place allows you to feel the content in which they were created", cultural architectural heritage is a witness of history. In particular, the values of the Faro Convention, one of the meetings that took place in the village of Fontecchio in the recent past, prompts us to a greater understanding of cultural heritage, both tangible and intangible, narrative.
My artistic dialogue with the experience of the art of Italian history, namely the arbitrariness of the artist-sculptor of the Romanesque era. Or Masaccio's work "The Miracle with the Denarius" in which "individual meaningful parts are freely placed in the landscape." Frescoes by artists Uccello and Michelangelo: "Creation of Adam". Leonardo da Vinci: coded secret writings and poetry. The sculpture Borghese wrestler Agassius of Ephesus is continued in Palmoli's sculpture Soldiers in Motion. Relying on the ancient culture of physicality.
The artistic solution of the project was greatly influenced by the context of nature, in particular the stamp of frequent earthquakes in the Abbruzzo region and in particular in the village of Fontecchio.
(укр)
«З правом експозиції вздовж доріг овечих стежок»
Персональна подія Петра Ряски
TNR advisor curator: Марія Ланько
Petro Ryaska participant MAXXI Fontecchio Residence Program. MAXXI Fontecchio Residency Program is a project realized in cooperation with the Municipality of Fontecchio and Fondazione Imago Mundi with the support of the Italian Ministry of Culture.
1 березня, 2023 року, село Фонтеккьо. До місця виставки буде проведено після попередньої події.
«Свавілля» художника на право на експозицію. Наративно-ефемерний, поетичний, історичний пейзаж долини річки Атерно. З правом експозиції вздовж доріг овечих стежок є діями автора у продовження його правових мистецьких акцій зокрема таких, як «Я буду говорити», «Конституція перформансу», та тем маніфесту села, історичної травми, історичного пейзажу, мистецтва в руках влади (імперій) минулого та сьогоднішнього… Зокрема на даній виставці будуть презентовані полотна-діяння та поезія «Конституція каменю», акція з тераси де Торре Анни-Марії, декілька відео з темою «Конституція каменю».
Створене мною мистецтво на MAXXI Фонтеккьо резиденції є результатом мого 4-х місячного дослідження в період з листопаду, 2022 року по березень, 2023 року. Мій пошук знайти правовий документ з правових аспектів людини за права людини в історії Фонтеккьо, регіону Абруццо, Італії загалом та історії мистецтв Італії. З керунком соціальної антропології мої прагнення є спробами соціально-захисного характеру через історичні образи та історичний досвід Аббруццо та Італії в цілому. Зокрема в проекті-дослідженні було враховані такі події, як Соціальна війна в Абруццо (90 р до н.е), Право в обмін на мир, Конституційна революція, Рік і один день - міське повітря робить вільним, Комунальний рух (Х-ХІІІ ст). Звертається увага на критичні питання з історії: Альянс між пам’яттю та владою; Створення владою завтрашнього дня через винайдення вчорашнього; Колективна пам'ять та те коли колективна пам'ять збігалися з пам’яттю знаті (влади).
Мої спроби дослідити працю зі збереження культурної спадщини. Хорошими є дослідження Люсі Молсбі: «Як дивитися на архітектуру: автономна дисципліна з мовою, що існує сам�� в собі й цитує сама себе». Тобто «залишенням архітектурних пам'яток на своєму місці дозволяє відчути контент в якому їх було створено», культурна архітектурна спадщина є свідком історії. Зокрема цінності Конвенсії Фаро одна із зустрічей котрої відбулась у селі Фонтеккьо в недавньому минулому, спонукає нас до більшого розуміння культурної спадщини, як матеріальної так і нематеріальної, наративної.
Мій художній діалог з досвідом мистецтва історії Італії, а саме свавілля художника-скульптора романської епохи. Або праця Мазаччо «Чудо з динарієм» в котрій «окремі смислові частини вільно розміщені у пейзажі». Фрески художників Учелло та Мікеланджело: «Створення Адама». Леонардо да Вінчі: закодовані тайнописи та поезія. Скульптура Борге́зький боре́ць Агасія Ефеського продовжена у скульптурі Пальмолі солдат у русі. Опора на античну культуру тілесності.
На художнє вирішення проекту дуже вплинув контекст природи, зокрема печатка подій частих землетрусів в Аббруццо регіоні та зокрема в селі Фонтеккьо.
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Tutto quello che c'è da sapere per aprire una società in Spagna
Il diritto spagnolo è un diritto molto complesso, che richiede più di una semplice conoscenza della lingua. Proviamo dunque a darvi qualche utile indicazione per aprire una società in Spagna, parlando dei costi da sostenere, delle modalità migliori per andare avanti, e degli obblighi successivi. Aprire società in Spagna
Informazioni generali sull'apertura di una società in Spagna
Aprire una società in Spagna può essere un processo complesso e costoso, ma è anche un'ottima opportunità per le imprese che desiderano espandere la propria attività in Europa. Per avere successo, è importante prepararsi bene e seguire tutti i passaggi necessari.
Per prima cosa, è necessario decidere quale tipo di società aprire. In Spagna, le principali opzioni sono le società per azioni (SA), le società a responsabilità limitata (SL) e le cooperative (SC). Ognuna di queste opzioni ha vantaggi e svantaggi specifici, quindi è importante comprendere bene qual è l'opzione migliore per la propria attività.
Una volta che si è deciso il tipo di società da aprire, bisogna occuparsi della documentazione necessaria. Questa include il certificato notarile dello statuto sociale della società e i documenti relat
Dovrai prima registrare la ditta
Devi registrare la tua impresa presso il Registro delle Imprese della tua comunità autonoma. Per farlo, dovrai compilare il modulo di domanda e fornire i documenti richiesti. In alcune comunità autonome, è necessario anche fissare un appuntamento presso l'ufficio del registro.
Quanto tempo ci mette?
Il processo di apertura di una società in Spagna può variare in base alle dimensioni e alla struttura dell'impresa. Tuttavia, in media, si stima che sia possibile avviare una nuova attività commerciale in circa un mese.
Acquistare o affittare l'immobile
Molti imprenditori stranieri scelgono di aprire una società in Spagna per le numerose opportunità che offre il paese. Una delle decisioni più importanti che dovranno prendere riguarderà l'immobile in cui ospiteranno la loro attività. Si tratta di un aspetto da non sottovalutare, poiché la scelta dell'immobile influenzerà non solo i costi aziendali, ma anche la produttività e il benessere dei dipendenti.
In generale, ci sono due opzioni per gli imprenditori che devono scegliere un immobile commerciale: acquistarlo o affittarlo. Ognuna di queste opzioni presenta vantaggi e svantaggi che devono essere considerati attentamente prima di prendere una decisione.
Come funziona il sistema tributario spagnolo?
In Spagna, il sistema tributario è basato su una progressività graduated, in cui i contribuenti pagano più tasse man mano che aumentano i loro redditi. Il sistema si compone di diversi livelli e aliquote, a seconda del reddito individuale o familiare e della categoria di contribuente (imprenditore o lavoratore dipendente).
Conclusione
In conclusione, se vuoi aprire una società in Spagna, dovrai assicurarti di avere i seguenti elementi: un business plan, una buona dose di pazienza e perseveranza, e il supporto di un team legale e contabile. Aprire una società in Spagna può essere un processo complesso e lungo, ma ne vale sicuramente la pena. Per maggiori informazioni :- Come aprire una attività in Spagna
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MIPAAF: Pubblicato in GU decreto per definire criteri rimboschimento e forestazione aree urbane

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto che definisce la suddivisione del territorio italiano in regioni di provenienza del materiale di propagazione forestale. Un decreto di fondamentale importanza per garantire che i rimboschimenti e la forestazione nelle aree urbane e periurbane dei privati che volontariamente avviano attività di messa a dimora di alberi, finanziate con i fondi del Decreto Clima del PNRR, siano effettuati nel rispetto della biodiversità forestale nazionale e con le migliori garanzie di attecchimento. Il provvedimento del Mipaaf è frutto di un'intensa attività di collaborazione tra la Direzione generale dell’economia montana e delle foreste, la Commissione tecnica specialistica della materia, le Regioni e le Province autonome. “Piantare foreste migliori in un futuro che cambia” è la frase simbolo che l’OECD ha coniato per suggellare lo sforzo che chiama tutti i Paesi aderenti a mettere in atto le misure adeguate ad assicurare le azioni di mitigazione del cambiamento climatico e di miglioramento della vita nei centri urbani. L’Italia risponde all’appello con una decretazione tecnica di estrema importanza, coerente con la normativa europea, a coordinamento dell’attività di tutti gli enti che se ne occupano. In quest’ottica si inserisce la gestione delle risorse genetiche vegetali forestali, scegliendo i materiali migliori, quelli che si ritengono più adeguati agli scenari climatici presenti e futuri, allo scopo di avere, in futuro, forestemigliori, più resistenti e resilienti alle avversità. Il Decreto è pubblicato anche sul sito istituzionale www.politicheagricole.it, all'interno della sezione: "politiche nazionali/foreste/risorse genetiche forestali". Read the full article
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ARRIVA LA PARITÀ RETRIBUTIVA TRA UOMINI E DONNE

Il Lazio e il Piemonte sono le prime due regioni italiane ad aver approvato una legge che sancisce la parità retributiva tra uomini e donne.
Tra le misure adottate per facilitare l’accesso al lavoro femminile, le imprese pubbliche e private piemontesi con meno di 100 dipendenti che assumono donne otterranno uno sconto del 50% dell’Irap per tre anni. In Lazio le donne riceveranno il sostegno al credito delle imprese a prevalente partecipazione femminile e delle lavoratrici autonome e l’erogazione di buoni per l’acquisto di servizi di baby-sitting e di caregiver e altre azioni in tema di condivisione delle responsabilità di cura e la conciliazione dei tempi di vita-lavoro. La legge introduce inoltre il Registro regionale delle imprese virtuose in materia retributiva: a queste imprese la Regione riconoscerà una apposita “Certificazione di pari opportunità di lavoro in ordine alla parità retributiva tra i sessi e alla promozione delle pari opportunità di lavoro” e diversi benefici economici. La norma contiene alcune misure per contrastare l’abbandono lavorativo delle donne, in particolare il fenomeno delle dimissioni in bianco e il licenziamento delle donne nel periodo compreso tra il congedo di maternità obbligatorio e il primo triennio dopo il parto.
Le iniziative per colmare il divario salariale di genere sono state già intraprese dal mondo aziendale: la Ferrari è stata la prima azienda italiana a ottenere la certificazione “equal salary”, primato che a livello internazionale è stato della americana Philip Morris, che ha esteso questa scelta a tutte le sue filiali nel mondo.
______________________ Fonte: Consiglio Regionale del Piemonte; Consiglio Regionale del Lazio - 11 maggio 2021
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Come migliorare il rapporto con il denaro grazie alla mentalità dell’abbondanza
Come migliorare il rapporto con il denaro grazie alla mentalità dell’abbondanza
Se vuoi aiutare il mondo, migliora e trasforma te stesso. Diventa una persona benestante. Impara a provvedere per le tue necessità. Se vogliamo aiutare il mondo, dobbiamo diventare delle persone autonome, indipendenti, responsabili delle nostre scelte e delle nostre azioni. In questo video ti spiego come riprogrammare la mente per l’abbondanza. Spesso la ragione della depressione e…
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Auto autonome, a che punto siamo?

Google Lexus RX 450h, fonte: Wikimedia Commons
Da Uber a Google, da Tesla ad Audi. Se i livelli 1 e 2 (se non sapete cosa sono i livelli, vi invito a leggere il precedente articolo) sembrano ormai acquisiti anche su vetture economiche, i primi sistemi di livello 3 sono comparsi quest’anno sulle vetture di alta gamma. Sono previsti per il 2021 le prime vetture che monteranno sistemi di livello 4, seppur a livello parziale.
Una corsa, quella alla guida autonoma, che dipende ovviamente dalle legislazioni locali e per la quale non esiste un ambiente migliore di un altro.
A che punto è lo sviluppo della tecnologia?
Si tratta di un sistema tecnologico complesso, composto a sua volta da tecnologie molto differenti che devono lavorare bene insieme. Ci sono già diverse applicazioni in fase avanzata, a partire dai software e dai sensori che già vengono utilizzati in ambito automobilistico per l’assistenza alla guida ma affinché questa tecnologia diventi pervasiva, invece, bisognerà aspettare almeno un decennio.
Quali sono le principali criticità dello sviluppo tecnologico?
Per gli aspetti tecnologici, invece, una parte critica è l’interazione con l’essere umano. I veicoli a guida autonoma devono essere in grado di predire in maniera probabilistica i comportamenti di un altro essere umano (automobilisti, pedoni e ciclisti ) e usare questa informazione per prendere decisioni e anticipare possibili azioni altrui. Quando guidiamo negoziamo costantemente le nostre azioni con gli altri, per un robot si tratta di un compito molto complesso che richiede sistemi decisionali avanzati di intelligenza artificiale, infatti le aziende stanno cercando di sviluppare algoritmi in grado di prevedere i comportamenti umani, in maniera probabilistica, attraverso un percorso di apprendimento basato sull’esperienza.
Nonostante queste criticità esiste un vantaggio, a differenza degli esseri umani, le macchine possono condividere immediatamente fra di loro l’apprendimento. Per cui l’apprendimento realizzato da un veicolo può estendersi a tutti i mezzi in circolazione.
MIT e il suo algoritmo
Un gruppo di ricercatori del MIT di Boston ha sviluppato un algoritmo che un giorno potrebbe consentire alle auto a guida autonoma di prevedere i comportamenti degli automobilisti umani.
Le auto autonome imparano a guidare come l'uomo: osservano l'ambiente in cui si trovano e il comportamento degli altri per apprendere dall'esperienza. In questo modo diventano più sicure, l’algoritmo è pubblicato sul sito arXiv e presentato a Madrid, alla conferenza internazionale su sistemi e robot intelligenti.
Generalmente i robot si muovono grazie ad algoritmi che creano un albero di possibili percorsi, che si dirama fino a trovare quello migliore. Uno svantaggio, tuttavia, è che le macchine non possono sfruttare le informazioni su come si sono comportate in precedenza in ambienti simili. In pratica la millesima volta che il robot attraversa la stessa stanza è complicata come la prima volta.
Il punto di partenza per risolvere il problema è stato un algoritmo per il controllo del movimento, realizzato in precedenza sempre nel Mit, combinato con una rete neurale che impara dall'esperienza. Si sono ottenute in questo modo auto autonome capaci di muoversi in un ambiente come fa l'uomo,ossia basandosi sulle esperienze precedenti e in grado di riconoscere eventuali ostacoli o pedoni da evitare osservando il comportamento delle altre automobili.
Un esempio di algoritmo in flowchart, fonte: Flickr
Autopilot di Tesla
Tesla detiene uno dei sistemi più evoluti per la guida autonoma, ma come funziona l’autopilot di Tesla?
L'Autopilot è composto da una rete neurale (in estrema sintesi un sistema artificiale che simula il comportamento di un cervello umano, almeno nelle logiche di funzionamento di base) che a sua volta sfrutta 48 reti diverse in grado di elaborare le immagini e i dati raccolti da telecamere e sensori ben 2.300 volte al secondo. E ogni volta è in grado di calcolare 1.000 distinte variabili di quello che potrebbe accadere nell'immediato.
Per riuscire a fare tutto questo, l’autopilot è dotato di un radar frontale, 8 telecamere, un sonar a 360° e un Gps:
- 1 radar che riesce ad individuare oggetti presenti davanti al veicolo distanti anche 160 metri e li "vede" anche attraverso nebbia o polvere.
- 1 telecamera principale sul fronte, che arriva a 250 metri ma con un angolo di visuale molto stretto.
- 3 telecamere sul fronte che arrivano a distanze minori (150, 80 e 60 metri) ma con una visione grandangolare dell'ambiente circostante all'auto e sono quelle preposte a leggere i cartelli stradali.
- 4 telecamere rivolte verso i lati e il posteriore dell'auto e vedono fino a 100 metri di distanza.
- 1 sonar attraverso gli ultrasuoni, individua gli ostacoli presenti all'interno di un raggio di 8 metri intorno alla vettura. Funziona a qualsiasi velocità e controlla anche l'angolo cieco. I dati raccolti dal sonar sono utilizzati dall'Autopilot anche per gestire il cambio automatico di corsia durante un sorpasso.
- 1 Gps che serve per individuare la posizione dell'auto rispetto alla strada.
Sul sito e su questo tweet potete trovare questo breve video per farvi un’idea di come lavori l’autopilot.
Tesla Model 3, fonte: Flickr
-Achraf
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La costruzione di un impero
Sorrell è nato a Londra nel 1945 ed è cresciuto in una famiglia piuttosto ordinaria e medio-borghese, mantenuta principalmente dall’attività del padre, un venditore di elettrodomestici. Dopo gli studi in economia presso il Christ’s College di Cambdrige, Sorrell si trasferì negli Stati Uniti dove ottenne un master in business administration (MBA) presso l’Università di Harvard, quando aveva 23 anni. Sorrell iniziò a farsi conoscere mentre faceva carriera all’interno dell’agenzia pubblicitaria britannica Saatchi & Saatchi, di cui divenne direttore finanziario nel 1977. Già allora veniva raccontato molto più interessato alle prestazioni finanziarie che al processo creativo e di scelta delle campagne pubblicitarie da gestire.
Sorrell era convinto che Saatchi dovesse espandersi il più possibile e fu tra i fautori di alcune delle sue più importanti acquisizioni. Divenne maestro nella tecnica dell’”earn-out”, che permette di tutelare il compratore facendogli pagare solo una porzione del prezzo di acquisto (parte fissa), lasciando il saldo a una fase successiva in modo da commisurarlo alle prestazioni ottenute dall’azienda acquisita in un periodo prestabilito (parte variabile).
Determinato a costruire un’azienda su cui potesse esercitare il pieno controllo, nel 1985 Sorrell si mise alla ricerca di una società già avviata da trasformare nella sua prima impresa di marketing. Con un prestito ottenuto dando in garanzia le sue azioni di Saatchi, acquisì una quota di Wire and Plastic Products, un produttore di cestelli di metallo del Kent. L’anno dopo ne era già diventato CEO, ne aveva cambiato il nome in WPP e aveva iniziato a costruire un piccolo gruppo di agenzie pubblicitarie: ne avrebbe acquisite una ventina in appena 3 anni. La crescita di WPP fu repentina e attirò l’attenzione degli investitori già nel 1987, quando Sorrell fece un’offerta non richiesta da 566 milioni di dollari per acquisire J. Walter Thompson, storica agenzia pubblicitaria statunitense, famosa per la sua attività pionieristica nel settore già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.
Due anni dopo, un’altra famosa agenzia, Ogilvy and Mather, affrontò la stessa sorte con un’acquisizione non richiesta da 825 milioni di dollari. David Mackenzie Ogilvy – il fondatore dell’agenzia considerato il padre della moderna pubblicità – non la prese affatto bene, tanto da definire Sorrell un “odioso pezzetto di merda” (“odious little shit”); il Financial Times ne diede una versione edulcorata riportando: “odioso piccolo cretino” (“odious little jerk”). Divertito dall’appellativo letto sul giornale e dall’ulteriore fama che gli aveva dato, nel primo rapporto annuale dopo l’acquisizione, Sorrell si fece indicare con l’acronimo OLJ.
I primi 15 anni di WPP furono frenetici, con ricorrenti operazioni finanziarie che avrebbero via via portato Sorrell a controllare i più grandi operatori di pubblicità del mondo. Sorrell si spostava di continuo da un continente all’altro per partecipare a riunioni, coltivare amicizie vantaggiose e rassicurare i concorrenti, preoccupati che volesse fare loro le scarpe. Si racconta che una volta volò da Londra a New York in giornata, per incontrare un collega durante un’importante acquisizione che vedeva coinvolta P&G, la grande multinazionale che produce praticamente qualsiasi bene di consumo, dai cosmetici ai prodotti per la casa.
Cause e divorzi
Se in 33 anni WPP è potuta crescere così tanto, fino a comprendere oggi quasi 200mila impiegati in tutto il mondo attraverso 400 diverse agenzie di marketing e comunicazione, il merito è sicuramente di Sorrell e di come ha gestito l’azienda: con spregiudicatezza, modi di fare per molti dispotici, e una dedizione al lavoro che ha quasi azzerato la sua vita privata. Nel 2007 fece causa contro due imprenditori italiani coinvolti nei suoi affari, Marco Benatti e Marco Tinelli, accusandoli di averlo definito un “nano matto” e di avere definito “ninfomane schizoide” una collega con cui aveva avuto una relazione. Finì con un accordo e una transazione finanziaria, e naturalmente con molti articoli di giornale, dove la storia fu trattata con cautele più o meno evidenti a seconda degli interessi degli editori, che devono parte del loro fatturato a WPP.
Con Benatti, in realtà, Sorrell è ancora in causa, in uno dei contenziosi legali più rilevanti degli ultimi anni nel mondo della pubblicità: l’imprenditore italiano è fondatore di Fullsix, società in cui WPP ha una partecipazione intorno al 26 per cento. Secondo Benatti, in questi anni WPP avrebbe fatto di tutto per ostacolare lo sviluppo di Fullsix, bloccando ogni iniziativa di espansione.
Nel 2005, due anni prima della causa contro Benatti e Tinelli, Sorrell aveva dovuto fare i conti con un costoso divorzio da 30 milioni di sterline. L’ex moglie, Sandra Finestone, aveva chiesto di chiudere la relazione accusandolo di averla resa “marginale” e di averle “tolto l’umanità” nei loro anni insieme, perché sempre e solo impegnato con gli affari. Sorrell trovò il denaro vendendo parte delle sue azioni WPP, poi nel 2008 si sposò con Cristiana Falcone, direttrice dell’area media e intrattenimento del World Economic Forum. Sono ancora sposati e secondo i giornali conducono vite piuttosto autonome, per i numerosi impegni delle loro rispettive attività.
Sempre al lavoro
La prima moglie di Sorrell probabilmente non ebbe tutti i torti nel chiedere il divorzio perché suo marito lavorava troppo. C’è un aneddoto ricorrente, probabilmente un misto tra realtà e leggenda, che viene raccontato per dimostrare l’ossessione per il lavoro di Sorrell. Pare che a volte durante le riunioni in assenza del capo, i top manager delle controllate di WPP inviassero email in contemporanea al loro CEO per sfidare la sua reattività. Di solito le risposte arrivavano dopo pochi minuti, a volte secondi, anche se Sorrell si trovava in un altro continente, impegnato in un’importante cena di affari o in qualche altro evento con i clienti. La reattività era tale da fare ipotizzare che avesse un gruppo di assistenti incaricato di rispondere per suo conto.
Sorrell non ha mai nascosto di essere profondamente legato ai suoi BlackBerry e ora agli iPhone, ma nelle tasche racconta di avere spazio anche per qualcosa di più sentimentale. È una lettera di auguri scritta da suo padre, Jack, prima di morire nel 1989. La frase cui è più legato dice: “Per quanto siano scure le nuvole all’orizzonte, non avere paura”.
Il sistema Sorrell
E in effetti in tutti questi anni non sembra che Sorrell abbia avuto davvero timore di qualcosa. Grazie alla sua fitta e articolata rete di conoscenze e clienti, ha tenuto in piedi e unite centinaia di aziende di pubblicità e marketing, esercitando un potere non indifferente su televisioni, carta stampata e web. I più critici vedono nella struttura creata da Sorrell qualcosa di molto simile alla criminalità organizzata, con un padrino molto potente che da CEO ho goduto dell’approvazione pubblica di tutti e della forza di una rete estesissima, mentre alle sue spalle si covavano invidie e piani per sostituirlo.
Nelle dinamiche della compravendita delle pubblicità, i cosiddetti “centri media” hanno un grande potere, e WPP ne controlla alcuni dei più importanti al mondo, con una ricca clientela di multinazionali. Semplificando, un centro media fa da intermediario tra chi vuole farsi pubblicità e chi vuole ospitare annunci, o le concessionarie che a loro volta venderanno le pubblicità ai loro clienti, di solito editori. Le aziende delegano i centri media a occuparsi di queste cose o perché non hanno proprie strutture interne adeguate per farlo, oppure perché i centri media offrono una maggiore copertura del panorama editoriale e hanno quindi più conoscenze, strumenti e possibilità di vendere le inserzioni. I centri media esercitano quindi un grande potere, orientando ogni giorno milioni di investimenti in pubblicità sui media. Le concessionarie degli editori mantengono stretti rapporti con loro, concordando le campagne che saranno mostrate su giornali, televisioni e siti online (è probabile che anche le pubblicità che vedete in questo momento sulla pagina che state leggendo siano passate per un centro media).
Se provate a moltiplicare processi di questo tipo per centinaia di volte, ad aggiungerci altre società di marketing e agenzie creative in buona parte del mondo, potete farvi un’idea di quanto sia grande ed esteso il dominio di WPP. Sopra tutto questo Martin Sorrell ha esercitato il suo dominio per quasi 33 anni. Vuoi per le inclinazioni del personaggio, o per quella nota del padre sempre in tasca, non c’è quindi da stupirsi più di tanto se in più occasioni Sorrell sia stato paragonato a Napoleone Bonaparte. Il paragone certamente non gli dispiaceva, anche se si limitava a scherzarci sopra, dicendo di essere soltanto alto come lui.
Il dopo Sorrell
In tutto questo, per anni gli azionisti di WPP si sono lamentati delle esorbitanti quantità di denaro pagate dall’azienda al suo CEO. Tra emolumenti e bonus, Bloomberg stima che negli ultimi 5 anni Sorrell abbia raccolto circa 200 milioni di sterline, ma finché i conti di WPP erano a posto le lamentele non avevano praticamente conseguenze. Le cose sono iniziate a cambiare nell’ultimo anno, quando è diventato evidente che le previsioni finanziarie di WPP non erano più realistiche, se confrontate con l’andamento del mercato della pubblicità. Le azioni di WPP hanno perso quasi un terzo del loro valore in borsa in un anno, molto di più delle altre società del settore. Lo scorso marzo, WPP ha dovuto rivedere sensibilmente le sue previsioni di crescita, con Sorrell che è rimasto a lungo sulla difensiva mentre veniva criticato dai suoi stessi azionisti.
Ulteriori complicazioni sono arrivate tra marzo e aprile, quando si è saputo che era stata avviata un’indagine interna a WPP per valutare il comportamento di Sorrell e la legittimità dei suoi costosi emolumenti e bonus. A metà aprile Martin Sorrell ha rassegnato le dimissioni, anticipando il consiglio di amministrazione di WPP che stava per rendere pubbliche le conclusioni dell’indagine. Sorrell ha negato qualsiasi responsabilità, mentre l’azienda non ha più dato notizie, confermando solamente l’esistenza del rapporto sul suo ormai ex CEO, ma non le informazioni contenute nel documento. Non si sa quindi quali siano le cause che hanno portato a parlare di “cattiva condotta”.
Prima di lasciare WPP, Sorrell ha scritto un messaggio ai suoi dipendenti nel quale ha spiegato di essersi fatto da parte perché la vicenda stava mettendo “troppe e inutili pressioni sugli affari”, ritenendo quindi che fosse nell’interesse dell’azienda che lui lasciasse il posto da CEO. Sorrell ha cercato di rassicurare i dipendenti, ricordando che WPP ha resistito già in passato ad altre “difficili tempeste”.
Il consigliere di amministrazione italoamericano Roberto Quarta ha assunto temporaneamente il ruolo di amministratore esecutivo, nell’attesa che il consiglio di amministrazione indichi un nuovo CEO. Mark Read, già a capo di Wunderman (una delle controllate di WPP), e Andrew Scott (responsabile dello sviluppo di WPP) hanno entrambi assunto il ruolo di direttore operativo e secondo Quarta hanno il “pieno sostegno” del consiglio di amministrazione.
Cosa succede adesso?
L’uscita di Martin Sorrell non sarà comunque indolore e secondo gli analisti potrà avere pesanti conseguenze per WPP. A metà maggio un rapporto preparato per gli investitori, a cura della società di consulenza Glass Lewis, ha sconsigliato di riconfermare l’incarico di Quarta, durante la prossima riunione aziendale in programma per giugno. Nel rapporto sono espresse “profonde riserve” sulle scelte di Quarta e su come ha gestito il dopo Sorrell, compresa la decisione di non rendere pubbliche le conclusioni dell’indagine interna e di non avere lavorato in modo trasparente alla ricerca di un successore alla guida di WPP.
Un portavoce di WPP ha detto che un voto contro Quarta in una fase così delicata andrebbe contro la società e gli interessi degli investitori, visto che in questo momento l’azienda ha bisogno di stabilità. Non è poi chiaro chi potrebbe succedere a Sorrell: alcuni vorrebbero affidare il compito a Read, mentre altri pensano a una figura esterna come Tim Armstrong, il capo di Oath, società nata dalla fusione di AOL e Yahoo.
Secondo gli analisti, difficilmente il nuovo CEO avrà le capacità dimostrate in più di 30 anni da Sorrell di mantenere insieme così tante aziende sotto un’unica multinazionale, diventando centrale nel mercato della pubblicità con clienti come P&G o Coca-Cola. Interi pezzi di WPP potrebbero essere venduti per fare cassa e ridimensionare parte delle attività. I compratori non mancano, a partire dalla società di consulenza internazionale Accenture, che negli ultimi anni ha mostrato un interesse crescente per il settore pubblicitario. Il nuovo CEO dovrà del resto fare i conti con un’azienda che non rende più come un tempo e che ha grandi costi di gestione.
Martin Sorrell nel frattempo non è sparito e non sembra intenzionato a farlo. Durante una conferenza a New York a inizio maggio, ha detto di voler ricominciare: “Non me ne andrò volontariamente o involontariamente in pensione”. Sorrell ha detto che nelle ultime settimane ha potuto vedere il mondo della pubblicità dall’esterno, cogliendo contraddizioni e nuove opportunità per rilanciarlo, soprattutto per quanto riguarda le sfide poste dal digitale, dove le grandi aziende di Internet tendono a sostituirsi ai tradizionali intermediari per la compravendita degli annunci. Sorrell ha del resto almeno 700 milioni di dollari da parte, secondo le stime più recenti, e non dovrebbe avere problemi nel mettere in piedi una nuova azienda: il suo contratto con WPP non ha mai compreso una clausola che gli vietasse di farle concorrenza, un giorno.
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Discutere intorno al ruolo del “centro sociale” è di per sé un fatto in continua evoluzione, innervato dagli stimoli quotidiani che si ricevono dall’essere parte di una storia “di movimento” e “in movimento”. Allo stesso tempo riteniamo fondamentale fissare alcuni punti utili per leggere il ruolo di questi spazi, e in generale delle forme di autorganizzazione, nella fase attuale.
Organizzare l’eccedenza
Il materialismo storico, con il quale tentiamo sempre di guardare al mondo, ci aiuta a comprendere come si evolve, oggi, la “sussunzione reale della vita nel capitale”, ovvero la condizione oggettiva di riproduzione della vita nella quotidianità. Si tratta dello stadio di sviluppo più avanzato del capitalismo nel quale la vita stessa, in tutte le sue articolazioni produttive e riproduttive, è pienamente integrata nella forma sociale del capitalismo, nei suoi meccanismi di comando e sfruttamento. Non siamo più solamente piegati alle regole del capitale, ma sempre più creati, formati e strutturati dentro un rapporto di capitale. Non c’è un fuori dal rapporto di capitale; c’è solo un dentro. Il capitalismo non è solo un modello di funzionamento dell’economia; è un rapporto sociale che crea la società intera. Per parafrasare il vecchio, ma sempre valido, detto operaista “dentro e contro il capitale”, oggi questa enunciazione di antagonismo radicale va pienamente oltre i confini della fabbrica fordista, si dispiega in tutte le articolazioni complesse della “fabbrica sociale”, della macchina globale della circolazione produttiva e riproduttiva.
Una sussunzione che, però, non è mai totale, perché si scontra con la possibilità del biosdi sovvertire il rapporto sociale di dominio. La potenza della vita è un divenire in continua trasformazione e nessun apparato di cattura di bisogni e desideri può impadronirsi completamente del flusso vitale. Come questa eccedenza da possibile diventa reale? Come dalla dimensione meramente oggettiva si passa a quella soggettiva? Quali gli spazi in cui l’eccedenza si organizza assumendo i tratti di potenza collettiva rivoluzionaria?
Sono le domande che hanno sempre accompagnato il nostro agire politico, ma che nella fase attuale assumono una nuova valenza fondativa. Questo perché si collocano in quell’interregno di gramsciana memoria, in cui il “vecchio” modello di governance sta morendo, ma il “nuovo” non è ancora nato, come fosse situato nella fase magmatica della Pangèa. Una fase in cui l’agire autonomo della soggettività di classe può schiudere spazi inediti, come stiamo vedendo in Francia con i gilet gialli, a patto che si fondi sull'ambizione di plasmarsi oltre le forme organizzative e i lessici politici del passato. Questa ambizione consiste nel cogliere i punti di rottura principali del rapporto contemporaneo tra capitale e vita, trasformarli in un nuovo divenire articolato sul piano teorico, sul piano del linguaggio egemonico di medio-lungo periodo, sempre “messo in continua prova e revisione” dalle pratiche materiali di lotta ed organizzazione.
Il centro sociale come forma organizzata e organizzatrice
È necessario costruire una nuova narrazione, che riaffermi la capacità da parte di un “centro sociale” di essere luogo organizzato e organizzatore, nel contempo, della cooperazione sociale e del conflitto, all’interno di un piano spaziale in cui la dialettica tra “locale” e “globale” si è arricchita di nuove potenzialità e contraddizioni.
Una di queste riguarda senza dubbio l'Unione Europea, che continua a rappresentarsi ai suoi cittadini come vampiro-esattore dell'austerity, inquadrata come primo nemico da abbattere all'interno di una campagna elettorale permanente che forma un gioco grottesco, sospeso tra l'impossibilità della chiusura del cerchio della governance continentale (vedi la recente manovra finanziaria italiana) e l’evocazione di una sovranità nazionale assolutistica, pura mistificazione nell’epoca di progressiva dissoluzione dello Stato Nazione.
I temi del razzismo, del fascismo, del sessismo, della lotta al climate change e all’impoverimento di massa devono pertanto uscire dai binari di quella finta dicotomia tra globalismo e sovranismo, ma allo stesso tempo accompagnare e distinguere la nostra capacità di azione in uno spazio molteplice, che parta dalle mura del centro sociale e guardi immediatamente alle lotte globali e allo sviluppo di processi organizzativi transnazionali.
La fase attuale ci consegna un quadro in cui la crisi della rappresentanza novecentesca ha rotto qualsiasi rapporto mediato tra capitale e vita. C’è bisogno, al di fuori dell’autonomia del politico, di leve organizzative capaci di intersezionare le istanze e trasformarle in lotte moltitudinarie anticapitaliste. Per questa ragione i centri sociali assumono un ruolo centrale e, per certi versi, inedito che guarda immediatamente al rapporto tra soggetto politico e moltitudine. È in questa relazioni che la discussione assume valenza ontologica, perché interroga la nostra capacità di creare pratiche e soggettività autonome nella molteplicità dei contesti in cui ci troviamo ad agire.
La città come spazio di contesa
La capacità di innervare il tessuto sociale di azioni e discorsi “autonomi” è quella grammatica che ci permette di cogliere le spinte sociali, di politicizzarle e potenziarle. Per assumere concretezza questo deve avvenire a partire dal livello di prossimità spaziale in cui operiamo e in particolare lo spazio urbano. La città neoliberale è il luogo dove il conflitto tra capitale e vita emerge in tutta le sue contraddizioni. Da un lato ci sono i dispositivi della rendita, che gerarchizzano la città attraverso dispositivi di inclusione differenziale definiti in base a linee etniche e socio-comportamentali. Dall’altro ci sono corpi sociali che reclamano spazio, cittadinanza, potere. Vite che si intrecciano in quel confine tra “centro” e “periferia” diventato sempre più mobile, relazioni che si assemblano e si trasformano in laboratori, all’interno di un contesto dove i corpi intermedi tradizionali – partiti, sindacati, associazionismo – sono pienamente investiti dalla crisi della rappresentanza.
È in questa ambivalenza che i centri sociali si affermano sempre più come luoghi di rottura e di elaborazione, non solo per un’intrinseca azione che sottrae spazi reali alla rendita urbana, ma soprattutto per la capacità autonoma di intercettare le spinte innovatrici e conflittuali che attraversano la città. Il superamento del “centro sociale-ghetto” è ormai avvenuto almeno due decenni fa e la sfida che si apre adesso è quella di trasformare l’esercizio di contropotere nella costruzione di istituzioni del comune. Istituzioni del comune che non sono tali solamente perchè cooperano al loro interno, anche il capitalismo estrae valore dalle forme di cooperazione: istituzioni del comune sono tali poiché si danno una forma autonoma e creano la possibilità di fare del Comune un agente autonomo libero ed estendibile. Una sfida che inevitabilmente fonde le categorie dal politico e del sociale, che guarda al piano complessivo per ambire alla creazione di una città altra, di un mondo altro. Per questa ragione è necessario ragionare all’interno di piani diversi, da quello – costituente! - del conflitto a quello della rappresentanza e delle istituzioni.
A questo proposito crediamo che l’approccio più corretto debba avere come riferimento situazioni contingenti e circoscritte. Il caso del civismo politico, che negli ultimi anni ha investito il dibattito pubblico sulla rappresentanza, è emblematico in tal senso. Nel momento in cui il civismo è stato estrapolato dai piani locali ed è stato teorizzato come modello – o addirittura come nuova forma di militanza metropolitana – se ne colgono più limiti che pregi. Leggendolo in linee tendenziali, il civismo riproduce tutti i “difetti” dell’autonomia del politico, in primo luogo per non aver mai saputo affrontare a pieno il nodo della lottizzazione dei vecchi partiti, in secondo perché continua a ricercare la sua ragione di essere negli istituti di uno Stato di diritto sempre più in dismissione. Emerge così la contraddizione primaria di non liberarsi mai dal “vecchio”, sovradeterminando con una sorta di “assemblearismo verticista e gerarchizzato” le istanze maggioritarie delle assemblee larghe e plurali delle quali dovrebbe essere espressione e alle quali, spesso, non riesce a dare adeguata concretezza politica ed esecutiva.
Partendo da questi presupposti, è difficile immaginare, nel quadro della post-democrazia, azioni nella rappresentanza politica che eccedano i livelli di compatibilità con il potere costituito; e questo diventa maggiormente problematico quanto più si allarga la scala di riferimento spaziale, diventando nazionale ed europea. Questo non vuol dire che la questione della rappresentanza vada affrontata con un approccio antagonistico tout court, ma è essenziale intenderla in un rapporto che sappia discernere linearmente tra piano tattico e strategico, amministrazione/governo e autogoverno, potere costituito e istituzioni del comune.
Il “caso padovano”, che ci vede in qualche modo protagonisti, può fornire un interessante piano di lettura. Le elezioni comunali del 2017, e in particolare il boom elettorale di Coalizione Civica, hanno prodotto a Padova un’anomalia capace di rompere quel blocco di potere che aveva imbrigliato la città in un rapporto tra rappresentanza e movimenti ancora fortemente ancorato ai retaggi degli anni ’70. Una “novità” che va interpretata al di là del mutato quadro elettorale, ma nella possibilità concreta di esercitare nuovi rapporti di forza. Rapporti di forza che nascono da esperienze di lotta e che si sono espressi, ad esempio, con gli scontri del 17 luglio 2017 contro la presenza a Padova di Forza Nuova a pochi giorni dall’insediamento dell’amministrazione Giordani, che hanno spostato in avanti il baricentro del dibattito pubblico e politico cittadino. E lo hanno fatto grazie al primato della lotta politica e alla forza autonoma dei movimenti, non attraverso processi subordinati alla verticalità dell’autonomia del politico.
Contrariamente a chi ha scelto “il governo” come sbocco politico, tentando goffamente di leggere in maniera omogenea esperienze “municipaliste” molto diverse tra loro, la nostra direttrice è quella di avere uno sguardo da un lato analitico e dall'altro immediatamente pratico, che ci ha evitato di cadere in semplificazioni che stanno andando a ledere e decomporre i processi di mobilitazione sociale radicale nel nostro paese.
In funzione di questo, il nostro approccio non può che porsi in termini materialisti. Interazione, discussione, contrapposizione, progettualità nuove al servizio della città, proposte, lotte: il tutto come modus operandi di una costruzione quotidiana, quartiere per quartiere, che vede i processi autonomi e istituzionali (ove possibile) mai ibridarsi, ma porsi all’interno di una dialettica conflittuale.
Ciclo reazionario e attacco ai centri sociali
Proprio per la loro capacità di aggregare e creare contropotere territoriale (e non solo), i centri sociali sono duramente messi sotto attacco dal potere costituito. Un attacco che viene da lontano e che spesso ha avuto la sua elaborazione politica nelle tante amministrazioni comunali di questo Paese guidate dal Pd, ma che oggi assume connotati nuovi, direttamente connessi con il corso storico reazionario che stiamo vivendo su più livelli.
La narrazione della destra salviniana si ostina nel tentativo repressivo e mediatico di mettere all'angolo le esperienze sociali, soprattutto laddove sono emerse come laboratori politico-sociali della solidarietà, di cultura e saperi emancipati dai processi finanziari, di forme di vita avulse da razzismo e sessismo. Il potere statuale, svuotato di sovranità organica, amplifica il suo carattere coercitivo, attaccando tutti quei processi che ricercano indipendenza e autonomia del biossociale.
Nel contesto nazionale, la ricchezza e potenza che si manifestano nella vita dei centri sociali fanno paura a chi oggi, nell'impasse della “sinistra”, non mette in discussione le identità e le eredità storiche. Ma fanno paura soprattutto al populismo razzista di Salvini, poiché il loro agire politico è in grado di smascherare i simulacri continuamente proposti dal governo giallo-verde.
Non a caso la linea di continuità tra Marco Minniti e Matteo Salvini è rappresentata dalle politiche di sgomberi e repressione nei confronti di chi oggi indica in maniera lineare percorsi di alternativa. Non a caso il Veneto leghista, cogliendo il vento destroide repressivo, inizia a muovere i primi passi contro i centri sociali della nostra regione. Quel Veneto leghista che ha devastato le nostre città e i nostri territori con grandi speculazioni finanziarie, elargendo fette di patrimonio pubblico alle grandi imprese, ha costruito un’ideologia basata sullo sviluppo illimitato delle forze produttive e il falso mito del progresso, fino ad arrivare ai disastri idromorfologici ambientali degli ultimi mesi.
Per contrapporsi a questo attacco la dimensione resistenziale è fondamentale, ma la posta in gioco è molto più alta. La sfida da cogliere è legata a due parti di società che si contrappongono su temi molto più ampi: vita contro controllo securitario; produzione e riproduzione illimitata del capitale contro ricerca e progettazione di forme di vita altre, contro il consumismo sfrenato, per una liberazione dall’alienazione delle merci e del denaro; ricatto e sfruttamento contro reddito e diritti; devastazione ambientale contro chi lotta per un nuovo equilibrio tra uomo e natura.
E questo scontro non potrà esser altro che uno scontro duro, sul quale non fare un passo indietro, sul quale mettere in gioco molto e mettersi in gioco tutte, tutti e tutto: per riaffermare con forza, in maniera moltitudinaria, la vita e l'esistenza di un altro mondo possibile.
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Intelligenza Artificiale: le sfide etiche, sociali e culturali per il 2020

L'inizio del 2020 è stato accompagnato da una serie di eventi significativi che aiutano a comprendere la complessità del periodo storico che stiamo vivendo: disordini sociali connessi a diseguaglianze socio-economiche sempre più accentuate, crisi climatiche legate alla mancata dismissione di sistemi produttivi ed energetici non sostenibili, attacchi informatici sempre più sofisticati che puntano a scavalcare le difese perimetrali dei nostri sistemi con tecniche di social engineering che fanno leva sulla soglia di attenzione umana. All'interno di un quadro simile, nei confronti del quale la politica non sembra in grado di fornire risposte adeguate, le nuove tecnologie innovative godono di enormi aspettative, nella speranza che possano essere utilizzate per risolvere i problemi di una società sempre più complessa anziché limitarsi a creare ricchezza concentrata in un numero sempre inferiore di mani. In quest'ottica è particolarmente importante il ruolo dell'Intelligenza Artificiale, una disciplina che fornisce già da diversi anni sviluppi applicativi promettenti in ambito hardware e software ma che, fino ad oggi, viene utilizzata soprattutto a corredo dell'offerta di prodotti realizzati e commercializzati da aziende private.
Il Libro Bianco sull'AI di AgID
Nella speranza che questa tendenza possa invertirsi grazie a investimenti sempre maggiori da parte di paesi e organizzazioni interessate al miglioramento della qualità della vita in ambito globale, presentiamo una sintesi dei principali concetti contenuti in una pubblicazione particolarmente significativa in materia: il Libro Bianco sull'Intelligenza Artificiale al servizio del cittadino, realizzato da Agenzia per l'Italia Digitale nel 2018 e disponibile gratuitamente in formato PDF (in versione italiana o in lingua inglese) e in formato HTML su ReadTheDocs.io per la consultazione online. Il volume, realizzato dalla Task force IA di AgID, illustra una serie di linee guida per un utilizzo sostenibile e responsabile dell’Intelligenza Artificiale nella Pubblica amministrazione; il documento è rivolto a scuole, strutture sanitarie, Comuni, Tribunali, Ministeri, e contiene moltelici raccomandazioni e indicazioni su come sfruttare al meglio le opportunità offerte dall’Intelligenza Artificiale, definendo i perimetri legati alle criticità e agli aspetti problematici connessi al loro utilizzo. Si tratta di un lavoro estrmamaente interessante, frutto del lavoro di circa 30 esperti sul tema e realizzato grazie al coinvolgimento attivo di oltre 100 soggetti pubblici e privati che si occupano di IA in Italia.
Nove livelli di sfida
Il punto più interessante del libro è costituito a nostro avviso dalla parte iniziale, dove vengono raccontate, attraverso un approccio multidisciplinare e sistemico, nove sfide principali connesse all’applicazione dell’IA nel settore pubblico. Ciascuna sfida è riconducibile a una parola o a un concetto che è fondamentale mettere a fuoco. Etica La prima sfida suggerita dal libro bianco è di ordine etico e segue le linee guida auspicabili per lo sviluppo di qualsiasi tecnologia innovativa: affermando con forza il principio antropocentrico, secondo cui l’Intelligenza Artificiale deve essere sempre messa al servizio delle persone e non viceversa. Tecnologia La seconda sfida si gioca sul piano della tecnologia e va affrontata lavorando per ridurre la "distanza" (digital divide) che ancora esiste tra la AI e il modo di ragionare e di vivere delle persone, in particolare relativamente ai concetti di personalizzazione e adattività. Competenze Il terzo livello di sfida riguarda il piano delle competenze, che vanno costruite e accompagnate opportunamente sia per gli operatori (capire come funzionano gli algoritmi) che per i cittadini (imparare a relazionarsi con le macchine per continuare a esercitare il proprio ruolo e i propri diritti). Dati Il quarto livello riguarda l'utilizzo consapevole e corretto dei dati, che devono essere di buona qualità, verificati, standardizzati, opportunamente filtrati (per mezzo di tecnologie semantiche e ontologie) e quindi resi disponibili ai cittadini senza discriminazioni. Normativa Strettamente collegato ai dati è il quinto livello di sfida, che pertiene il piano prettamente normativo: i tre aspetti che il libro evidenzia sono il diritto alla privacy, la sicurezza dei dati e la responsabilità giuridica. Pubblica Amministrazione Di particolare importanza per garantire il rispetto delle linee guida tracciate dal libro è il ruolo che dovrà avere la pubblica amministrazione nelle azioni di supporto che sarà necessario intraprendere per accompagnare i cittadini in questo processo di trasformazione: il tutto, ovviamente, sempre nell'ottica di affiancare le persone, non sostituirle (non-disruptive innovation). Per un ulteriore approfondimento su questo importantissimo concetto, suggeriamo la lettura dell'articolo Intelligenza Artificiale e disruptive innovation pubblicato qualche mese fa su questo blog. Prevenzione Il settimo livello di sfida riguarda le attività di prevenzione che dovranno essere svolte durante il percorso di accompagnamento ipotizzato per i cittadini: si auspica l'implementazione di meccanismi di tutela sociale che riescano a contenere opportunamente le diseguaglianze economiche, sociali e culturali che potrebbero garantire i benefici di questa tecnologia soltanto ad alcune categorie di persone privilegiate (digital divide); al contrario, è fondamentale battersi affinché i benefici possano essere distribuiti in modo orizzontale tutta la popolazione, evitando discriminazioni e/o sperequazioni di qualsivoglia tipo. Impatto Condizione necessaria per poter accompagnare il processo di innovazione a livello sociale, politico e culturale è l'utilizzo di opportuni metodi di misurazione dell'impatto di questi cambiamenti; questo può avvenire attraverso l'elaborazione e l'utilizzo di metriche che siano in grado di fornire dati il più possibile precisi sulla soddisfazione delle persone e dell’efficacia dell’impiego dell’AI nei processi esistent, al fine di poterli migliorare in modo iterativo e incrementale (continuous improvement, continuous feedback). Cultura L'ultima sfida è di ordine culturale, intesa come attività di "costruzione del significato" di queste nuove tecnologie relativamente alla loro influenza sull'essere umano e sull'evoluzione dei rapporti sociali: è importante individuare i vantaggi e gli svantaggi, le opportunità e i rischi, i punti di forza e gli elementi di criticità.
AI e Eudaimonia
Un modo “olistico” per accostarsi al tema dell’intelligenza artificiale è fornito in una pubblicazione del 2017 a cura dell’IEEE - Global Initiative on Ethics of Autonomous and Intelligent Systems, dove l’AI è messa in relazione con il concetto Aristotelico di Eudaimonia (traducibile con "essere in compagnia di un buon demone"). Un paragone affascinante e particolarmente efficace, che identifica l'Intelligenza Artificiale come un compagno potente che può portare benessere e prosperità, a patto di riuscire a comprenderne la natura e gestirne le molteplici implicazioni etiche, sociali e culturali nel modo migliore: un obiettivo che può essere conseguito solo a patto di comprendere nel profondo i nove livelli di sfida che abbiamo provato a descrivere in questo articolo e mettere in campo le misure adeguate per vincerle.
Ambiti di applicazione
A titolo esemplificativo della portata dell'Intelligenza Artificiale proponiamo un elenco dei principali ambiti applicativi di questa tecnologia, che corrispondono ai principali percorsi di sperimentazione e specializzazione che oggi vengono portati avanti in Italia e nel mondo. RAFFORZARE SICUREZZA INFORMATICA E PRIVACY PREVENIRE TUMORI E MALATTIE RENDERE PIÙ EFFICIENTE L’UTILIZZO DI ENERGIA PULITA GARANTIRE MAGGIORE SICUREZZA FINANZIARIA TRASFORMARE L’ISTRUZIONE GLOBALE AUMENTARE SALUTE E BENESSERE INFLUENZARE LA CRESCITA ECONOMICA CONTRASTARE I CAMBIAMENTI CLIMATICI RIDURRE LA DISPARITÀ DI REDDITO RIDURRE LA DISPARITÀ DI GENERE
Possibili rischi
Concludiamo questo articolo con un elenco dei possibili rischi dovuti a un'applicazione dolosa o incauta dell'AI. DIGITALI: Phishing automatizzato, creazione di email false, siti web e link per sottrarre informazioni; Hacking massivo, attraverso la scoperta automatizzata delle vulnerabilità dei sistemi; Ingannare altre IA sfruttando a proprio vantaggio i difetti nell’interpretazione della realtà. FISICI: Terrorismo automatizzato che utilizza droni o veicoli autonomi come armi; Sciami di Robot che cercano di raggiungere lo stesso obiettivo; Attacchi remoti, resi possibili dal fatto che i robot autonomi possono essere controllati da qualunque distanza. POLITICI: Propaganda, attraverso immagini e video falsi facilmente generabili; Rimozione automatica del dissenso, grazie alla possibilità di trovare, analizzare e rimuovere automaticamente testi ed immagini; Persuasione personalizzata, con l’utilizzo di informazioni pubbliche per influenzare l’opinione di qualcuno. Per ridurre al minimo la probabilità e l'impatto dei rischi sopra elencati è fondamentale garantire la sicurezza della IA, specialmente quando le prime applicazioni pratiche usciranno dalle odierne fasi di sperimentazione e saranno utilizzate con funzioni dichiaratamente operative: ci rifeiamo ad esempio ai sistemi di controllo del traffico terrestre, navale e aereo, alla guida automatica dei veicoli, alla cura dei malati, e così via. Read the full article
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OLTRE LA TRAPPOLA DELLA RAPPRESENTANZA
Di JACQUES RANCIÈRE e MARCO ASSENNATO.
Jacques Rancière è, tra gli intellettuali francesi contemporanei, uno dei più assidui nel prendere la parola in pubblico per analizzare le dinamiche sociali e politiche del nostro tempo. Già allievo di Louis Althusser, dopo aver partecipato alla pubblicazione di Leggere il Capitale ha rotto con l’ortodossia strutturalista e, a partire dalla pubblicazione del suo Le Maître ignorant ha orientato la sua ricerca su due versanti: da una parte – con volumi quali Au Bords du Politique, La Haine pour la démocratie, Le Partage du Sensible e La Mésentente – ha dato vita a una corposa critica libertaria dell’ordine dominante che, mettendo in tensione ricerca estetica e filosofia politica, ruota attorno alla valorizzazione della democrazia come irruzione di un nuovo partage del sensibile sulla scena dell’ordine sociale; e dall’altra, si è dedicato al recupero della memoria dell’emancipazione operaia, con testi fondamentali quali La Nuit des prolétaires o Le Philosophe Plébéien. Lo abbiamo intervistato in occasione della sua partecipazione alla Biennale Democrazia di Torino dove, il 28 marzo, terrà una lezione nell’Aula Magna Cavallerizza Reale, dal titolo Oltre l’odio, per la democrazia.
Nel suo libro L’odio per la democrazia, lei ha proposto una originale genealogia dell’odio che i governanti hanno sempre rivolto contro il «governo della moltitudine». Allo stesso tempo analizzava il passaggio a forme di govrenance che mescolavano neoliberismo economico e anti-liberalismo politico. Può ripercorrere con noi i passaggi fondamentali del suo ragionamento?
In quel libro ho messo in questione l’equivoco contenuto nella nozione di neo-liberalismo. Con questo termine s’intende spesso l’idea di un trionfo del libero mercato che si accompagnerebbe all’indebolimento degli Stati e dei loro poteri: in sintesi, una forma di regolamentazione dell’ordine sociale che non passerebbe più da obblighi e repressione, ma dalla coincidenza con i desideri dei soggetti – tanto sul piano dell’iniziativa e della creatività nel lavoro quanto nelle forme sempre più raffinate del consumo. Ora mi sembra invece che la legge del mercato capitalista si sia imposta in modo del tutto autoritario attraverso un sistema di vincoli per il quale gli Stati e le organizzazioni internazionali hanno sottomesso tutte le forme della vita alle esigenze del profitto. Gli Stati sono davvero diventati, come anticipato da Marx, dei comitati d’affari del Capitale. Gli Stati oggi impongono delle soluzioni ai problemi, giustificate da saperi specialistici che consideriamo inaccessibili ai cittadini. L’idea di un «potere di tutti» incarnato dal sistema della rappresentanza mi sembra dunque sempre più ridicola. Questa situazione allora ci obbliga a richiamare alla memoria lo scarto che sempre esiste tra democrazia e rappresentanza. Il sistema della rappresentanza politica, nella sua definizione originaria, non coincide con il governo del popolo mediato dai suoi rappresentanti, ma con il governo esercitato “sul” popolo da coloro che, si pensa, rappresentano gli interessi generali della società. La democrazia, invece, è il potere esercitato dagli uguali in quanto uguali. Questo tipo di potere si esercita attraverso delle istituzioni e delle forme di azione che sono autonome dalle istituzioni statuali e dagli appuntamenti elettorali.
Nel saggio Il Disaccordo lei sottolinea la centralità del dissenso e della differenza come motori fondamentali della costruzione politica. Se l’ordine del discorso dominante pretende di attribuire ai governi un potere di pacificazione generale della società, enfatizzando il rapporto tra espressione del consenso e meccanismi elettorali, mi pare che la sua ricerca indichi piuttosto che fare politica significa lasciare emergere le soggettività sociali e le loro forme di azione. A quali condizioni, oggi, una tale emersione è possibile?
C’è politica fintanto che emergono l’idea e la pratica di un potere che sia altra cosa dall’espressione della superiorità di un gruppo – i ricchi, i colti, i nobili o altro. Ciò suppone, di fatto, l’emergere di un soggetto che non sia già dato come gruppo sociale ma che si costruisca attraverso le sue azioni: il popolo non è la popolazione, i proletari non sono gli operai, eccetera. Detto ciò, i soggetti politici si sono spesso agganciati a dei gruppi sociali. In ogni caso così è stato per il movimento operaio, il cui nome coniugava in modo equivoco la forza soggettiva di una rete di azioni e istituzioni con la forza di un gruppo sociale numeroso che occupava il cuore della produzione. Con il trasferimento delle fabbriche ai margini del mondo, questa identificazione non è più possibile. Abbiamo oggi dei movimenti che si definiscono esclusivamente attraverso le proprie pratiche, come per esempio quando si occupano delle piazze e vi si installano tende e assemblee. Ma l’occupazione delle piazze non è l’occupazione da parte dei produttori dei luoghi della produzione. Il potere capitalistico non è più concentrato in fortezze da assaltare ma presente su tutta la superficie della nostra società. Ciò significa, certo, che può essere attaccato globalmente da qualsiasi punto – lottando contro il progetto di costruzione di un aeroporto, ad esempio – ma ciò significa anche che il rapporto tra il particolare e il globale non può più essere simbolizzato nello stesso modo che ieri: più che la figura di una soggettività sociale capace di creare attorno a sé una dinamica di allargamento, oggi il dissenso rischia di trovarsi prigioniero dei suoi stessi luoghi e delle sue stesse contraddizioni interne.
Lei ha criticato la postura teorica di intellettuali come Alain Badiou, Slavoj Žižek o Peter Sloterdijk. Il radicalismo di questi autori, lei dice, è il correlato di una visione heideggeriana del mondo contemporaneo, sistematicamente descritto come spazio totalizzato dalla tecnica e dal mercato. Si tratta secondo lei di una «descrizione elementare del nichilismo». In cosa questo tipo di analisi impediscono lo sviluppo di una prospettiva critica?
Ho provato a sostenere due cose diverse tra loro. Innanzitutto ho voluto sottolineare come, a volte, pensatori si dicono fedeli a Marx, ne capovolgano di fatto la logica: Marx vedeva nello sviluppo capitalistico la formazione delle condizioni che avrebbero permesso l’avvento del comunismo. Mentre al contrario, in questi autori, il comunismo appare come una specie di uscita eroica dalla palude nella quale il capitalismo ci sta lentamente sprofondando. La visione marxista è stata quindi evidentemente capovolta dal riferimento al pensiero heideggeriano della salvezza sull’orlo dell’abisso. Ma ciò significa anche che questi autori squalificano, nel nome del loro comunismo futuro, tutti i movimenti reali che si oppongono all’impero dello Stato e del Capitale. Identificando capitalismo e democrazia, poi, si ritrovano nella posizione di quei pensatori reazionari per i quali la democrazia è il regno del mercato e le forme di lotta contro l’impero capitalista sono esse stesse equiparabili al comportamento dei consumatori formati dal regno del mercato. Così per esempio Žižek si è trovato a salutare benevolmente la «lucidità» con la quale Sloterdijk ha denunciato la «kleptocrazia» sindacale o con la quale Finkielkraut ha sostenuto che la rivolta dei giovani delle banlieues era l’espressione della frustrazione di consumatori avidi delle merci che vedevano alla televisione. Nel mio libro Lo Spettatore Emancipato ho studiato il modo in cui i temi della critica del feticismo, della società dei consumi e della società dello Spettacolo sono stati recuperati dal pensiero dominante e sono diventati dei temi reazionari che squalificano sistematicamente i movimenti di lotta.
Lei ha molto insistito sull’importanza di inventare nuove istituzioni politiche: una «immaginazione politica», che tuttavia a suo avviso «manca crudelmente oggi». La pensa ancora così o possiamo dire che si incominciano a intravvedere esperimenti che vanno in questa direzione?
In generale non do mai consigli ai movimenti. Tento più semplicemente di individuare gli elementi che possono avere un valore di rottura rispetto a ciò che è ordinario tanto nel dominio, quanto nella protesta o ad ogni presupposto tipico delle visioni avanguardiste. In tal senso resto persuaso che la trasformazione non può che venire da quei movimenti che riescono a salvaguardare la loro autonomia rispetto all’agenda del potere dello Stato: ovvero da quei movimenti che riescono a inscriversi nella lunga durata senza prendere la forma né del partito elettorale, né del partito di avanguardia. Ora è chiaro che c’è qualcosa di paralizzante dire questo. Tuttavia resto persuaso del fatto che l’autonomia presuppone lo sviluppo di forme alternative in tutti i settori della vita sociale: produzione, consumo, informazione, educazione, salute etc. Si tratta di quello che è stato teorizzato nel movimento greco sotto il nome di «spazi sociali liberi». Sappiamo tutti quanto forme di questo tipo siano state importanti per i movimenti comunisti e anarchici del passato. Qui di nuovo, ci troviamo di fronte al problema che la forza collettiva, essenzialmente operaia, sulla quale si basavano quei movimenti è stata dispersa. In qualche modo potremmo dire che oggi è tutto da ricostruire, a partire da iniziative di collettivi che sono semplicemente gruppi di individui. Si tratta di un compito gigantesco. Quindi direi così: sì, ci sono molti esperimenti interessanti, ma hanno enormi difficoltà a disegnare una forza soggettiva e una organizzativa ben definita. Viene sempre un momento in cui l’impossibilità di fare un passo in avanti si trasforma in un’alternativa del tipo: fedeltà impotente o prelazione dei partiti che propongono la trasformazione del movimento in forma elettorale come Syriza, Podemos o La France Insoumise.
A proposito del movimento dei Gilets Jaunes lei ha parlato di una formidabile de-sincronizzazione del tempo della politica. Dopo quasi cinque mesi di mobilitazioni, può darci la sua lettura del movimento dei Gilets Jaunes?
La mobilitazione dei Gilets Jaunes ha seguito una logica che mi pare assai significativa e comune a molte mobilitazioni recenti: a partire da una rivendicazione limitata e negoziabile, il movimento ha instaurato una temporalità specifica che da una parte segnala una distanza rispetto al corso normale delle cose e dall’altra costituisce un acceleratore dell’azione e del pensiero. Si produce allora uno sviluppo autonomo che supera radicalmente l’obiettivo iniziale della lotta. Mi pare insomma che nei Ronds-Points occupati dai Gilets Jaunes sia successa esattamente la stessa cosa che era successa nelle piazze occupate dai grandi movimenti democratici degli ultimi dieci anni: in uno spazio di lotta che è allo stesso tempo uno spazio di vita e di riflessione condivisa, la protesta contro una tassa sulla benzina diventa un movimento globale contro l’ineguaglianza fiscale, e poi contro l’ineguaglianza dell’intero ordine sociale. A partire da quel momento gli attivisti e lo Stato non vivevano più nello stesso tempo. Il potere statale ha risposto sgomberando con la forza i Ronds-Points. Temo che perdendo questi luoghi di riflessione e di azione autonoma, il movimento abbia perso la sua dinamica iniziale. L’azione dei Gilets Jaunes tende oggi a concentrarsi sulle manifestazioni parigine del sabato e queste a trasformarsi in scontri programmati tra forze dell’ordine e specialisti della manifestazione violenta. Questi appuntamenti programmati fanno perdere al movimento la propria autonoma temporalità, ma è solo lì che si è esercitato il potere di invenzione democratica collettiva.
fonte: euronomade.info
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