#analfabetismo emotivo
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Educazione Parentale: Una Necessità Inevitabile per il Futuro della Nostra SocietàEducazione parentale
Nell’ambito della formazione per i futuri docenti uno dei tanti compiti che gli vengono assegnati è quello dell’importanza di sensibilizzare gli alunni a non smettere mai di leggere, studiare, una volta usciti dalle scuole dell’obbligo onde evitare quel fenomeno sempre più contingente dell’analfabetismo funzionale o analfabetismo di ritorno, come lo chiamiamo noi a scuola, per questo si parla…
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#analfabetismo#analfabetismo educativo#analfabetismo emotivo#chiesa#cordsi di formazione#disadattamento#educazione parentale#educazione permanente#figli#formazione#formazione baby sitter#formazione personale#genitori#genitorialità#maternità cosciente#società
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Alessandra e il femminicida analfabeta emotivo
Alessandra Musarra nel 2019 viene uccisa da Cristian Ioppolo, a Messina. Lei amava il suo ex e dopo aver intrecciato una breve relazione, per solitudine e amarezza, con Ioppolo, gli chiede di andare via da casa sua, di lei. Continue reading Untitled
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Quando l'analfabetismo colpisce le emozioni: che cos'è l'alessitimia?
Quando l’analfabetismo colpisce le emozioni: che cos’è l’alessitimia?
L’alessitimia è un condizione di “analfabetismo emotivo“, che porta una mancata consapevolezza e una difficoltà nella descrizione degli stati emotivi esperiti. Gli alessitimici non riconoscono, nominano o sanno descrivere ciò che provano, presentano emozioni spesso confuse con le sensazioni corporee percepite. Può essere considerata secondo due forme: – l’alessitimia di tipo I, dove prevale…
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Razzismo
Razzismo: la parola del decennio.
Dove sia andata a finire tutta l'euforia e la preoccupazione del cosmopolitismo, non si sa.
Razzismo.
Come se fosse facile. Fare le valigie e andare via. Sempre ce le hai, le valigie. Per andare dove? In un posto dove non capisci niente. Non capisci quello che ti dicono, non capisci il sistema, non capisci le leggi, non capisci i tuoi diritti, non capisci i tuoi doveri... Non capisci nemmeno se capisci o se non capisci niente. Non capisci nemmeno se quello è un supermercato, o una farmacia. Forse è un misto. Forse in questo paese, che non è il mio, funziona così, boh. Non capisci nemmeno cosa comprare al supermercato. Che sarà sta cosa? Ma si mangia? Chissà come si cucina... Non parliamo dei detersivi... personalmente ci ho messo un mese per azzeccare quello giusto.
E poi, VOI parlate di razzismo. Che non sapete nemmeno che significa. Che tanto siete stati sempre nel vostro piccolo paesello di sempre, da quando siete nati, vicino a mamma e papà. Che ne sapete voi? Di quando il razzismo potete riceverlo, anziché darlo. Basta sbagliare, vieni guardato come fossi l'extraterrestre e... TAC «Eh, ovviamente è perché lui è italiano/nero/americano/cinese/giallo/verde/rosso/indaco/quellochevepare».
Ah e poi lo sai che ti dicono? «Rimanici, laggiù, ché qua la situazione non è buona». Ah, IO me ne devo andare. I "marocchini" da casa loro, invece, non si devono muovere. Perché la situazione da loro va a gonfie vele, no? L'avete letto su Internet... Certo. Tanto voi che ne sapete, di come è facile andare in un posto dove non capisci niente.
Volete tornare ad un Medioevo utopistico. Perché, sapete, mi sa che anche nel Medioevo la gente emigrava. E magari erano pure meno razzisti di voi.
Ah no, scusate, voi siete arrabbiati perché i "marocchini" in Italia vengono a rubare! Oddio! Invece gli italiani che sono andati in America erano sicuramente tutte brave persone! Ma sicuro, in fondo siamo famosi, come popolo, da sempre proprio perché non abbiamo mai rubato niente, né al nostro vicino, né allo Stato! Quindi figurati se in America abbiamo fatto qualcosa di losco, non sia mai!
Io non lo so che vi sta passando per il cervello. Sempre se il cervello non l'avete perso. No, non avete perso il cervello. Avete perso la capacità di rispecchiarvi negli altri.
Ecco quale dovrebbe essere la parola del decennio: ANALFABETISMO EMOTIVO. Non sapete più guardare negli occhi chi soffre e soffrire insieme a lui.
Se si sta tanto bene, nel posto da dove vengono i "marocchini", andateci voi. Andate a provare e a vedere come è facile e bella la vita laggiù. No? E allora state zitti, BIMBI. Perché non sapete che cosa vuol dire lasciarsi indietro tutto e rischiare la vita, solo per andarsene di casa. Non lo so nemmeno io. Ma, a differenza vostra, lo sapete cosa dico? VENITE E INVADETECI TUTTI. Ché, forse, solo così possiamo veramente progredire.
Non lo so perché sto a scrivere queste cose.
#razzismo#pensieri#straniero#Italia#marrocchini#negro#offese#rassista#bimbi#rubare#prima gli italiani#salvini#arretrati#medioevo#analfabetismo emotivo#emozionata#condivisione#Perchè?#razzista
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Che effetti hanno i social network nella nostra vita? Scoprilo guardando il video!
#Divin Pensatore#lato oscuro#internet#web#social media#socialnetworking#social network#dipendenza#depressive#depressione#cyberbullying#cyberbullismo#analfabetismo emotivo#comportamenti disfunzionali#privacy#perdita della privacy
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L'assurdo e i giovani nichilisti
La gioventù disperata nel segno di Camus e Galimberti
In pochi nella storia della Letteratura moderna hanno saputo affrontare meglio il turbamento esistenziale dell’uomo moderno come Albert Camus, filosofo e scrittore francese del 900’. Nella sua intera produzione letteraria Lo Straniero rappresenta probabilmente la miglior testimonianza dell’angosciante esperienza umana del vivere in una società asfittica e indifferente come la nostra. Problema che, come sottolinea Umberto Galimberti, filosofo e accademico contemporaneo, oggi coinvolge soprattutto la parte più giovane e vulnerabile della comunità stessa. Cerchiamo quindi di fare un sunto del pensiero che sta alla base delle loro rispettive opere partendo proprio da quella dello scrittore francese.
Albert Camus
Camus ci racconta di uno straniero diverso da quello continuamente scomodato dalla politica nostrana, che non risiede nell’Altro, ma in ognuno di noi. Straniero nei confronti della società e forse, cosa più allarmante, della vita stessa. Il giovane Meursault è infatti un normalissimo impiegato che vive nella città di Algeri, perfettamente integrato nelle logiche socioculturali dell’epoca. Ha un lavoro che gli impiega molto tempo e lo tedia, una ragazza con cui intrattiene una relazione normale e degli amici con cui esce durante il fine settimana. Ha tutto quello che si addice ad un individuo qualunque perfettamente collocato nel mondo che lo circonda, se non fosse altro che per la sua personale inclinazione all'indifferenza verso tutto ciò che gli accade. Meursault, infatti, non agisce ma subisce. È estraneo alle persone che vede, ai fatti che lo coinvolgono, perfino alla morte di sua madre. La sua indifferenza è così totalizzante che quando la sua compagna gli chiede di sposarlo lui risponde seccamente “che la cosa gli era indifferente e che avrebbero potuto farlo se lei voleva”. Alla fine di una serie di sfortunate coincidenze si trova incriminato di omicidio e, senza chiaramente difendersi in alcun modo, viene condannato a morte. È la rappresentazione del dramma di una vita che si rifiuta di integrarsi con la società alienante e sterile del suo tempo e si oppone a quelle fragili certezze su cui è costruita. Come commentò Sartre: “Alla fine il protagonista non è che uno dei terribili innocenti. Sono lo scandalo della società perché non accettano le regole del gioco”. Un sistema che rischia con i suoi giudizi affrettati e le sue ipocrisie di spingere l’uomo verso il baratro esistenziale.
È proprio questo grande pericolo di cui ci parla Galimberti nel suo saggio L’ospite inquietante. L’ospite altro non è che il nichilismo che prospera nel disagio culturale moderno e si ciba della vita e dei timori dei giovani. Difficile non notare le similitudini tra Meursault e i giovani in difficoltà dei nostri giorni entrambi avulsi dalla realtà che li circonda, impietriti o peggio indifferenti alle regole e al gioco imposto dalla società tecnocratica in cui viviamo. Secondo Galimberti il nichilismo moderno ha potuto attecchire laddove la morte di Dio e l’avvento della tecnica-scienza hanno svuotato l’uomo di senso, finendo per uccidere quella ricerca di uno scopo che è insita in ognuno di noi. Il mondo contemporaneo si regge sulla tecnica la quale però non ha un proprio fine; essa si autoalimenta con l’unico obiettivo dell’auto potenziamento, ma non dà risposte alle domande che l’uomo si pone, minando irreversibilmente la sua necessaria ricerca di senso. I giovani si trovano dunque a vivere questo disagio sociale accompagnato da una “diffusa mancanza di prospettive e di progetti, se non addirittura di sensi e di legami affettivi”. Il tutto risulta anche complicato da un vero e proprio “analfabetismo emotivo”, come riusciamo a scorgere anche in Meursault, di cui la società moderna non si cura di educare, condannandoli all’incapacità di comunicare con gli adulti fino al compimento di tragici atti che vanno dalla violenza gratuita al suicidio. Queste azioni senza apparente movente inquietano terribilmente la società che però non è in grado di scorgere la necessità di accompagnare ed appassionare i giovani, complice una scuola tradizionale che ha perso ogni mordente e capacità di far innamorare gli studenti, in primo luogo, di loro stessi e delle loro virtù. Solo trovando nelle proprie capacità il proprio senso, forse si potrebbe combattere l’assurda esistenza che il nichilismo imperante non consente loro di superare.
Se da un lato quindi Galimberti vede nell’autoaffermazione una possibile via di fuga dal nichilismo, per Camus il superamento prende luogo invece con la morte del protagonista, come fa presagire l’etimologia del suo nome mort, morte, e saut, salto, quindi salto della morte. Meursault alla fine di tutto emerge infatti come vero e proprio eroe dell’assurdo. Non si oppone e non si difende dalle circostanze che lo coinvolgono perché riconosce l’assurdità dell’esistenza che vive e l’abbraccia con tutto se stesso nella sua totale incomprensibilità. Il tragico destino che lo attende oramai non lo preoccupa più:
“Come se quella grande ira mi avesse purgato dal male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla totale indifferenza del mondo. Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito che ero stato felice, che lo ero ancora”.
Tramite la sua estraneazione Meursault combatte l’esistenza umana contraddistinta dalla ripetizione incessante delle azioni senza uno scopo, ne accetta i dolori e sceglie di convivere con essi senza alcun compromesso. È questa la chiave secondo Camus per coabitare con l’assurdo del mondo, essere coscienti del “naufragio totale della vita” e in questo trovare la pace e forse la felicità.
“Non v'è amore per la vita senza disperazione di vivere.”
Fonti:
Albert Camus - Lo Straniero
Umberto Galimberti - L'ospite inquietante
http://www.asia.it/adon.pl?act=doc&doc=848
https://www.900letterario.it/opere-900/lo-straniero-camus-assurdita-vivere/
https://www.minimaetmoralia.it/wp/letteratura/dalla-parte-meursault-ricordare-lo-straniero-albert-camus-oggi/
http://www.gliamantideilibri.it/grandi-riflessi-albert-camus-lo-straniero/
https://www.liberopensiero.eu/29/03/2021/rubriche/albert-camus-lo-straniero-il-dramma-dellassurdita-esistenziale/
Leonardo Mosole
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Chat di odio, razzismo e violenze a sfondo sessuale. Il lato oscuro delle chat e di tanti adolescenti di Maura Manca Le manifestazioni e le intenzioni di chi mette in atto comportamenti mossi dall’odio si manifestano con sfaccettature anche molto differenti tra loro. Uno degli aspetti più preoccupanti di questo fenomeno è proprio il fatto che, i ragazzi, non si rendono conto della gravità di ciò che pensano, che dicono e che mettono in pratica. Tutto questo rappresenta la loro normalità, la loro moralità o meglio, amoralità, il loro vivere quotidiano in cui c’è un disconoscimento delle regole, del rispetto e della tolleranza. Ci troviamo davanti ragazzi che parlano dello “zio Adolf”, di “Benny”, riferendosi a Mussolini, che osannano le loro azioni e parlano di ebrei e di sterminio come se parlassero di patatine e di popcorn, non di persone. “Era una battuta”, “è un modo di parlare tra noi”, “come sei pesante”, “la fai troppo seria”: sono questi alcuni dei meccanismi che li aiutano a disimpegnarsi la coscienza e a non valutare in maniera appropriata le loro azioni. Molti di loro subiscono l’effetto contagio, il fatto che dentro una chat o un gruppo social siano in tanti, che diventi quasi un modus operandi identificativo di quello specifico gruppo. In un gruppo chat diventa ancora più facile, vivono come se non fossero coinvolti in prima persona, se non avessero tutta la responsabilità perché viene condivisa tra tutti i membri di quella chat. Chi conosce i ragazzi e vive con loro, però, è consapevole che questi gruppi nascono come funghi. Ci troviamo spesso davanti a ragazzini sempre più piccoli, anche al di sotto dei 14 anni, che insultano gli stranieri, i “negri”, gli “ebrei”, anche nel calcio, che parlano di distruzione di campi nomadi o di centri di accoglienza, che inneggiano alla Shoah, che decantano le gesta di Hitler, che parlano anche di violenze nei confronti delle donne e di stupri. Sono gruppi chiusi in cui c’è un amministratore che decide a quali membri dare l’accesso o meno. Esistono anche profili chiusi sui social network in cui, come su WhatsApp, si scambiano foto e immagini di queste forme di violenze, comprese quelle nei confronti delle donne, il tutto accompagnato da commenti denigratori e di odio. IL RUOLO DELLE CHAT Il mezzo digitale facilita la propagazione dell’odio, funge da amplificatore e velocizza la sua trasmissione. Tra le caratteristiche del web c’è la banalizzazione e la deresponsabilizzazione che alimentano il linguaggio di odio e, di conseguenza, i comportamenti violenti in personalità già predisposte. Purtroppo spesso si scambia la libertà di espressione con l’arrogarsi il diritto di poter dire tutto a tutti e di vomitare sull’altro qualunque cosa pensi il cervello. La libertà di pensiero e di parola vengono meno e prendono il sopravvento i lati più oscuri che possono essere indirizzati ad una specifica persona, ad un gruppo, ad un’istituzione, ad una “razza” come la chiamano i razzisti. CHI SONO QUESTI RAGAZZI? Sono ragazzi caratterizzati da un analfabetismo emotivo che sfruttano il disimpegno caratteristico delle chat e dei social in generale. Vivono in un ambiente che cura poco il loro impianto valoriale, l’importanza del contesto e delle regole, crescono, infatti, con una scarsa capacità di valutare l’informazione, di riconoscere le fake news e sfruttano l’effetto contagio del web che in un certo senso li “autorizza” ad assumere un determinato tipo di linguaggio e comportamento. C’è il rischio che si ritengano accettabili comportamenti che non andrebbero mai sdoganati. Si nutrono di un linguaggio estremamente violento. C’è troppa tolleranza in merito a determinati comportamenti e all’uso di specifici termini. La narrazione che viene fatta degli eventi è sempre più polemica, cruda, dura e senza filtri. Anche le modalità comunicative presenti nel web, e la politica stessa, sono cariche di questi atteggiamenti e di queste parole, che alimentano gli istinti umani più primordiali e incitano, anche indirettamente, all’odio.
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Analfabetismo emotivo, quando ci ammaliamo per le cose che non diciamo
Reprimere le proprie #emozioni provoca danni al #sistemaimmunitario. Chi soffre di #analfabetismoemotivo ha più probabilità di ammalarsi.
Reprimere le proprie emozioni provoca danni al sistema immunitario. Le conseguenze possono arrivare fino all’insorgenza di vere e proprie malattie. Cos’è l’analfabetismo emotivo
L’analfabetismo emotivo è un disturbo che impedisce all’individuo di riconoscere i propri stati emotivi. Si tratta di una condizione descritta per la prima volta negli anni ’50, in pazienti affetti da malattie psicosomati…
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#analfabetismo emotivo#benessere psicofisico#dolore#Emozioni#malattie#salute mentale#sistema immunitario#stress
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ANALFABETISMO EMOTIVO in mostra fino a SABATO 9 FEBBRAIO a Palazzo Zapata Cristina Donadio madrina
ANALFABETISMO EMOTIVO-
Mostra Fotografica itinerante
a cura di Juna&Marco
PRESSO
l’associazione “Circolo Artistico Politecnico”
con sede in Palazzo Zapata
(piazza Trieste e Trento, Napoli)
MADRINA dell’evento
CRISTINA DONADIO
[themoneytizer id=”14943-1″]
Napoli – Dopo il grande successo riscosso durante il vernissage, la mostra “Analfabetismo Emotivo– viaggio per immagini nel disagio del…
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Ho visto tanti "non sei abbastanza" diventare "abbastanza" troppo tardi...
Ho letto e sentito troppi addio e pochi "ci vediamo domani"
Ho visto tante persone con qualche kg soffrire di anoressia, bulimia o diventare fissati per il fitness per colpa del bullismo...
Ho visto tanta gente morire sola e avere folle ai loro funerali....
Ho visto tantissime bandiere della pace e oggi parlare e vedere scene di guerra...
E mi chiedo se sia il mondo così difficile o se sia chi lo abita a renderlo davvero così complicato...
Ho studiato, come tantissimi , la storia, si dice che lo si fa "per non commettere gli errori del passato" eppure le cose riaccadono esattamente come prima...
In passato gli errori magari venivano fatti dai nostri antenati perché erano forse "analfabeti"... oggi sappiamo leggere, scrivere... e sappiamo infatti offendere il prossimo, accusarlo, giudicarlo, annientarlo anche solo con le parole scritte bene o dette grammaticalmente corrette...ma abbiamo una forma di analfabetismo ben più grave e feroce...l'ANALFABETISMO EMOTIVO...
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Analfabetismo emotivo
Vorrei parlarvi di analfabetismo emotivo. In una relazione monogama, tra intrecci e dipendenze di solito si cresce insieme oppure no. Capita spesso, lo so perché in tante me l’avete raccontato, che lui tradisca con un’altra e che lo dica, racconti per scaricarsi la coscienza, perché non è in grado elaborare la cosa e lascia fare a te tutto il lavoro, ti consegna un suo fardello, per senso di…
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L' #alessitimia (o analfabetismo emotivo) è un costrutto psicologico caratterizzato da una ridotta consapevolezza emotiva, che comporta l'incapacità di riconoscere ed esprimere i propri stati emotivi e di interpretare quelli altrui. Questa condizione predispone il paziente a disturbi di somatizzazione, alimentari e a dipendenze, che inducono a esprimere le emozioni in modo altamente disfunzionale e dannoso. La #psicoterapia cognitivo-comportamentale sviluppa e affina le capacità di mentalizzazione - ridotte negli alessitimici -, eliminando sintomi e comportamenti disfunzionali. #psicologa #psicoterapeuta #Taranto https://www.instagram.com/p/CGVN_T7nlnR/?igshid=1trsoee9ull3p
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15 luglio 2017
C'è ancora vita dentro me. Intrappolata, impaurita. Nascosta. In alcuni frangenti si manifesta, esce allo scoperto. E mi fa sentire cosi smarrita. Come sto vivendo la mia vita? Cosa sto facendo? Sto rivalutando tutto. Non riesco più a scrivere, a creare. A sentire le mie emozioni, a trasportarle sulla carta. Non riesco più a credere che qualcosa valga sempre. Così incastrata dalle mie paura, dalla mia disillusione. Per cosa vivo? Cammino col capo chino, non guardo più in faccia nessuno. Le persone mi fanno paura, non riesco a sciogliermi. Ho così timore di tutto. Per cosa vivo? È la sensazione di fatica l'unica costante. Non mi entusiasma ciò che faccio. Mi scivola addosso. Non cerco vie di fuga. Non cerco l'uscita da questo labirinto. Sono affezionata al mio dolore. Mi ha cambiata, mi ha cambiata davvero ciò che è accaduto. Non volevo ammetterlo, accettarlo. Ma sono spezzata. Eppure -forse- se solo volessi, potrei provare. Potrei sforzarmi. Lo so che è mia la responsabilità. Questa zona di comfort mi trattiene a sé. E, Dio, quanto odio il mio mutismo. Il mio analfabetismo emotivo. Vorrei poter riuscire a scrivere qualcosa. Vorrei poter riuscire ad essere costante in qualcosa. Perché mi perdo? Per cosa vivo? In questi giorni è tutto un dejavu. Bussano forte i ricordi e le emozioni di un anno fa. E l'ironia della vita sembra metterci del suo. So che sta cercando di dirmi qualcosa. Io lo so che questo non è un caso. Ma cos'è che vuole dirmi? Cosa vuole che faccia? Come devo agire? Mi sento così persa. Lasciata sola. Non riesco a parlare di tutto questo con nessuno. Vorrei poterci riuscire. Decidermi io per prima a muovere il passo verso l'uscita. Di cos'ho paura realmente? Non trovo le risposte che cerco. Mi sento vuota, frivola. Qualcuno ha soffiato sopra di me, dentro di me. E mi ha dispersa nel vento. La mia anima è davvero smarrita nel mondo? È rimasto qualcosa dentro di me? Perché non riesco mai a vedere il bello? Perché sono così? La malinconia è la mia essenza; è il dolore quello che mi contraddistingue. Ma a me piacerebbe vedere il bello, la luce. Trovare in ogni futile giorno che trascorre emozione. Guardare il mondo con ingenuità, stupore, fantasia. Lasciarmi condurre dalle emozioni, guidare da loro. Appassionarmi. Avere passioni. Non ho più nulla. Volevo rivoluzionare me stessa un anno fa. Pensavo di essermi trovata. Pensavo di avercela fatta. A distanza di un anno, come posso dire di stare? Mi trascino. Ho perso fede, speranza. Ho perso la fiducia, la luce negli occhi. La voglia di combattere. Per cosa vivo? Ho chinato il capo, come tutti. Aspetto il futuro senza credere davvero che arriverà. Non vivo mai il presente. Proiettata sempre in un mondo che non esiste, in un mondo che creano le mie aspettative. In un mondo che non arriverà, se non sarò io a dargli forma. Rimango attaccata alla mia sofferenza. Mi nutre. Mi nutro di lei quanto lei si nutre di me. Ci alimentiamo a vicenda, è un rapporto di dipendenza. E ha iniziato ad andarmi bene così. Com'ero prima? Non riesco neanche più a cercarmi tra le parole scritte. Non riesco più a cercarmi sul foglio, perché non esco più neanche lì. Non ci sono, non ci sono più. E vorrei provarci. Vorrei avere il coraggio. Ho paura di fallire. Ho paura di non essere abbastanza, che nessuno sforzo che possa fare sia abbastanza. Mi sento dissolta in questo mondo. Ho smesso di osservare, di capire. Di scavare a fondo, di riportarmi in superficie. Ho smesso di portarmi a guardare le stelle. I tramonti. Ho smesso di sentire il vento tra i capelli, di guardarlo far danzare le fronde degli alberi; di sentirmi tutt'uno con lui. Con la natura, con la bellezza. Con la poesia. Volevo essere poesia. Mi sento così arida ora. E non c'è vento in questo deserto. Neanche una leggera parvenza. Tutto è fisso, immobile. Io ho paura. Se il vento è da me a dipendere, ho paura. Se sta a me, se io sola ho il potere di creare la mia tempesta, ho paura. Da dove iniziare? Come fare? I miei tentativi sono sempre incostanti. Non durano mai più di una settimana. Mi perdo, mi scoraggio. Mi butto via. Questo è il mio modo di stare al mondo. Forse ho paura di perdere ancora più contatto con me stessa. Forse ho paura di cambiare. Eppure. Eppure ora lo vedo chiaramente. Aspettiamo inermi un futuro, ci aggrapiamo a finte promesse, illusorie promesse fatti da noi stessi, a noi stessi. E non viviamo mai. La vita è oggi. Vado mai a letto felice? Vado mai a letto soddisfatta di ciò che ho fatto? Vado mai a letto con la consapevolezza d'aver vissuto? C'è mai qualcosa durante la giornata che mi fa sentire viva davvero? No. Ho spento l'interruttore. Ma voglio riaccenderlo. Accendermi. Lo voglio fare. Devo avere fiducia in me. Costanza. Accantonare questa pigrizia che mi tiene incatenata ad abitudini. Mi danno sicurezza, delimitano il mio spazio. Mettono confini a ciò che sono. M'intrappolano. Sono intrappolata da me stessa. Un nuovo limbo. Un limbo arido. Atarassia, apatia. Null'altro. Scalpito solo al pensiero di poter sentire finalmente qualcosa. Al contempo, ne tremo di paura. Dove sono finita? Ogni esperienza vale la pena d'essere vissuta. Qualsiasi sia il suo epilogo, qualsiasi il suo capolinea. Emozionarsi. È questo lo scopo della mia vita. Io voglio emozionarmi. Faccio una promessa a me stessa. La faccio con le lacrime che spingono, con le lacrime calde che rompono i margini e finalmente liberano tutta la sofferenza che da mesi mi attanaglia le viscere. Voglio promettermi che vivrò. Voglio promettermi che cambierò il mio modo di vedere il mondo. Cambierò la mia prospettiva. Cercherò la poesia, di nuovo. Mi prometto che la disillusione non vincerà. Pensavo m'avesse sconfitta, ma non è così. Io voglio ancora crederci. Io voglio ancora lottare. Soffrire anche, ma con la consapevolezza che ne sia valsa la pena. Perché ne vale sempre la pena. So di dovermi perdonare per farlo. Perdonarmi, e perdonare. Sono consapevole che sia indispensabile. Lascio andare l'ira. Lascio andare il dolore. Lascio andare il passato. Tenermi aggrappata era una difesa. Era la mia corazza. Erano forse tutte scuse. Era la paura. Il dolore dell'abbandono. Ti perdono. Mi perdono. Ci perdono. Perdono l'egoismo. Perdono l'ingenuità. E -anzi- mi prometto che questo non mi fermerà. Mi prometto che non mi priverò mai più del dolore, mi prometto che non gli permetterò mai più di non darmi crescita. Mi prometto di non lasciarmi più scoraggiare. Mi prometto di far entrare un po’ di luce in me, nella mia vita. Luce, colori. Il nero mi protegge. Mi cela agli altri. Affascina, anche. Ma non mi sta dando più nulla. Sto morendo di fame. Finti valori, finte passioni. Finta soddisfazione. Solo apparenza. No. Voglio riprendere tutto in mano. Voglio ricominciare. Voglio darmi la possibilità di sbocciare. Di nuovo. E poi di nuovo ancora. La vita è composta da momenti di salvezza. Da momenti in cui ti percepisci. Da momenti di vita. Ora l'ho capito. Nulla è eterno. Lo siamo noi. Questo momento è eterno. Lascerà qualcosa dentro di me. Mi darà qualcosa anche quando terminerà. È questo ciò che rende eterno un attimo. Accettare la precarietà, trasformarla un bellezza. Atteggiamento e prospettive. Cercherò di rendere perfetto ogni mio istante. Perfezione come sinonimo di emozionante. Cercherò lo stupore nelle piccole cose. Tornerò a sentire. Me lo prometto. Io tornerò a sentire. A costo di perderci tutto il mio sangue. Al costo di morire nuovamente. Voglio la rinascita. La mia rinascita. Sono io a dettarla questa volta. Lasciarmi condurre alla deriva, lasciarmi bagnare da tutto questo; finalmente sentire, sentirmi. Ritrovare confidenza con il mio corpo, con me. Con il mio modo di percepire il mondo, di sentirlo. Sentirmi parte di qualcosa. Senza credere che sia eterno. Senza pretendere che lo sia. Prendere ciò che c'è di bello, custodirlo. Tenerlo con me per sempre. Farmici plasmare anche. Sarà questo a renderlo eterno. Basta tenere questa presa. È ora di lasciarla, lasciarmi. Salto, mi lascio cadere. E non importa se farà male, se mi farà male. Io vivrò.
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C'era una volta un momento in cui il tempo era prezioso, anche per me. Adesso lo lascio scorrere indefesso e lascio che anche le stelle si sentano sole, perché forse all'universo non importa più di loro, di noi, del fatto che io stia o meno con te. In quel momento era meglio dire di aggiustarla, ma non ci siamo riusciti, era meglio parlare, e non ci sei riuscito. E' Agosto, ti ascolto da lontano mentre spieghi ai tuoi amici un ragionamento folle per cui ogni cosa andrà bene. Mi vieni a dare fastidio poco dopo, con il tuo bicchiere di vino bianco e la tua giacca nera stirata male. Lì ho pensato che ci appartenessimo da prima che nascessi, forse perché nell'atto di osservare gli altri ci si rivede sempre un po' di noi stessi, o forse perché davvero volevo già la mia mano tra i tuoi capelli. Mi dici che hai lo stesso nome di un poeta, a me basta risponderti che già il tuo nome era poesia. I nostri discorsi seguono un filo rosso che avvicina le nostre labbra fino a farle cristallizzare in un bacio. E' Agosto, fa caldo, ho il tuo numero di telefono. Sono un po' perso di te. Agosto è già scaduto da un po' e sentivo la tua mancanza anche quando ti trovavi di fronte a me. Ti ho ascoltato finché hai voluto e ti ho sporcato il cuore con le mie paranoie. Ho ricucito i bottoni saltati della tua giacca nera. Dopo che hai capito che dovevi venirmi a prendere a qualche metro di casa e non aspettarmi sotto la porta di casa mia, hai deciso che non ero più piccolo, che potevo farmela a piedi, e ho chiuso un occhio. Passano giorni, anni, da quelle camminate per raggiungerti. Continuo a ripetermi che passa tutto tranne noi. Invece �� un'altra volta Agosto e l'unica cosa che non passa qui sei tu col tuo macchinone con gli abbaglianti accesi. Abito vicino al porto. Ogni giorno un sacco di persone vanno via da me, e io non faccio nulla per fermarle. Ma con te è diverso, tu non sei mai stato parte di oceano, eri più una certezza fissa dentro di me, eri un pezzo di me, eri sabbia nelle scarpe, eri tutto ciò che volevi essere perché sai che a me stava bene uguale. Sorrido a pensare come eravamo anni fa. Chissà se splendi ancora di poesia, chissà se ti chiedi ancora se esiste vita al di fuori della terra, e se da qualche parte si trova un Dio pronto ad ascoltare le tue preghiere. Volevo scriverti, ma scriverti cosa? Che adesso la notte mi rimbocca le palbebre senza bisogno che tu sia sopra di me? A volte mi addormento stanco e perplesso mi chiedo: sei tu? Io ti ho imparato a vedere quando mi dicesti: sono io. Ma che begli occhi che hai, chissà come mi vedi bene... chissà come capisci dello spazio infinito che coltivo ogni giorno, perché io purtroppo muoio ogni giorno e a te non interessa più. Me lo ricordi tu con la tua assenza che le nuvole prendono forma solo se inizi a disegnarle, appeso ad un filo, me lo ricordi tu vol tuo nome che una poesia può sì far parlarle la luna ma che prima di chiederle che fa devi sapere tu stesso che vuoi fare di te e delle tue cose. Ho letto che nella vita incontrerò tantissime maschere e pochissimi volti, a me bastano il tuo sorriso da leone, la tua giacca nera, e la tua macchina blu notte dove ascoltavamo in sottofondo De Gregori augurarci buonanotte. Buonanotte, buonanotte amore mio. Ho smesso di contare i giorni da quando non ci sei più. Di quando mi parlavi del tuo analfabetismo emotivo, del fatto che se vuoi smettere di fumare non hai bisogno di un libro che te lo insegni. È ancora notte,non riesco a dormire e sto male senza sapere perché, sto male per tutto e per niente ma tu non lo capiresti lo stesso. Mi affaccio alla finestra, le navi salpano e forse in una di queste ci sei tu sopra, forse qualcun altro ora, mentre tu indichi la luna, si concentrerà solo sul dito che la punta, sulla forma che prende la tua mano e l'ombra che poi proietta. Mi copro il volto, ho gli occhi trasparenti, ho imparato a vedere, ho imparato a vedere oltre. Qui è un casino se non ci sei. Fammi leggere quello che scrivi, quello che hai scritto. Fammi sfasciare la tua Alfa Romeo. Fammi affogare tra le tue braccia. Ferma quella nave e buttati a mare aperto, ci sono anch'io in quel mare di promesse, sogni infranti, lune che parlano ed extraterrestri. Mi sembra di aver dormito per anni, di aver mischiato il sangue troppe volte alle droghe leggere che mi proponevi. Mi sembra di aver scordato di come si tiene una mano senza lasciarla, eppure te l'ho presa io per primo, come se mi stessi disegnando. Io davvero ho detto di no: niente luci, niente immagini, solo pallidi ricordi. Adesso restano il tempo, le parole mai dette e quello che ti sei sforzato di non dirmi più. Adesso restano le macerie di due anime che non si sopportano più. Certe persone tengono lo stesso volto per anni, tu no, tu sei più forte. Non hai paura della nudità e di far vedere quanto sei schifosamente bello. Io non ho più tempo (almeno credo) per l'amore e tu non perderne con un sognatore. E'Agosto, È notte, fa freddo, le navi salpano e la luna è alta, brillante. Che fai, silenziosa luna?
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