#al di là dello spazio e del tempo
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Da I segreti della quinta dimensione
(…) "Perché renderci graditi a Dio mediante la sofferenza? Perché non soddisfarlo per mezzo di lodi o del semplice pentimento dei peccati, o di qualcosa del genere, ma in modo indolore?”
L’anima beata di Teneramata risponde sicura e fornisce spiegazioni molto convincenti:
“Perché la lode, il pentimento, la preghiera e qualunque altra forma indolore, come tu dici, Gliela dobbiamo già al nostro Dio per altri motivi. La lode, per essere Colui che è; l’adorazione, perché ci ha creati; il pentimento, perché ci ama; la preghiera, perché da Lui dipendiamo. Soltanto il dolore non è un nostro dovere di creature per nessun titolo. Perciò, la Divina Giustizia ha permesso, ha tollerato, poiché non è cosa che Le faccia piacere, il dolore cristianizzato: come un originale procedimento didattico, perché l’uomo possa completare ciò che manca alla sua Redenzione, cooperi all’annientamento dei propri peccati mediante la sofferenza, riconosca sé stesso e trovi con facilità il suo Padre Celeste.
Purtroppo però, per la maggior parte degli uomini che non ne hanno compreso il valore autentico, la sofferenza e il dolore, quando tocca le loro esistenze e viene vissuta sulla propria pelle, è qualcosa di inaccettabile che non sono in grado di sopportare a lungo. Ma Teneramata aggiunge che è “condicio sine qua non” e che non possiamo pensare di vivere la nostra vita mortale completamente affrancati dal dolore: “… Non illuderti. Il dolore è indispensabile in questa vita di peccato… La religione di Nostro Signore Gesù Cristo non si concepisce senza austerità, senza mortificazione volontaria, senza l’accettazione con Carità dei mali che permette il Creatore, senza Venerdì Santo…"
Ma subito si affretta ad aggiungere a nostra consolazione che le sofferenze che dobbiamo patire nel mondo “… sono dolori brevissimi, se paragonati con l’eterna durata della Gloria futura. Sono tribolazioni molto fruttuose per il Cielo, se si sopportano con amore di Carità”. E davanti ad una lamentela del medico messicano che ricordava che il patire è sempre di gran peso per noi uomini, l’anima beata di Teneramata precisa che questo avviene perché siamo costretti a vivere nel momento presente ma che non è necessario amareggiarsi oltre modo.
“… Perché affliggerti più del necessario per un evento così fuggevole? Non esagerare le tribolazioni che t’invia il nostro Dio. Sono amare, ma sono efficacissime medicine. Invece, molte afflizioni mal sopportate rassomigliano a quella del bambino corrucciato che castiga sé stesso, rifiutando il dolcetto che gli viene offerto, per uscire dalla sua arrabbiatura in bella figura. Non ci sarà forse, dietro l’arrabbiatura, lo spettro della superbia?”
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«C'è questo filo, tra me e te, che ha un nome solo nostro.
Un filo che, in qualunque posto sarai, anche a chilometri di distanza, anche con le vite stravolte e le decisioni prese, anche tra un'eternità, quando tu tirerei un pò, io tirerò a mia volta.
Qualunque cosa accada»
(Cit.)
#un legame forte#al di là del tempo e dello spazio#a dispetto delle scelte#malgrado le circostanze#come un filo legato alle mani#che basta solo tirare#ognuno dalla sua parte#per rendersi presenti
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"Il continente europeo porta il nome di una giovane, Europa, di origine straniera, senza radici, un’immigrata involontaria: il pluralismo delle origini e l’apertura agli altri sono diventati l’emblema dell’Europa."
"Tutti gli europei sono fieri di riconoscersi in una parte del mondo che ha dato i natali a Montaigne e Michelangelo, Shakespeare e Cervantes, Mozart e Goethe, o ancora nei principi sociali e politici ai quali fa riferimento l'espressione «diritti dell'uomo»."
"Le grandi opere che amiamo identificare oggi come costitutive della cultura europea sono nate in seno a tradizioni particolari. È vero che si sono rapidamente diffuse al di là delle frontiere del paese d'origine, ma questa influenza non si è fermata nemmeno a quelle dell'Europa. Reciprocamente, fin dall'origine, i creatori europei hanno assorbito i contributi provenienti da altri orizzonti: l'Egitto e la Persia, l'India e la Cina. Oggi, i tratti culturali europei si ritrovano lontano dall'Europa; le invenzioni non europee hanno penetrato anche lo spazio europeo. Per esempio, talvolta si dice che il romanzo è un genere tipicamente europeo ciò corrisponde senza dubbio a una situazione vera in passato, ma non nel presente: come immaginare oggi il romanzo senza pensare ai suoi rappresentanti russi, o latinoamericani o nordamericani o, più recentemente, asiatici e africani? Lo stesso si può dire per la pittura, la filosofia, la religione o qualunque altro ingrediente della cultura: ciò che era nato in Europa vi ritorna trasformato dal suo soggiorno altrove e nello stesso tempo l'Europa si affretta ad assorbire le influenze straniere, dalle maschere africane alla calligrafia cinese, dalle tradizioni buddhiste al realismo magico dei Caraibi. Non può essere altrimenti: le opere dello spirito hanno una vocazione universale, fanno il possibile per andare ovunque; nate in una tradizione specifica, aspirano a essere accolte da tutti."
"L'identità della cultura europea consiste nella sua maniera di gestire le diverse identità che la costituiscono a livello regionale, nazionale, religioso e culturale, accordando loro uno statuto nuovo e traendo profitto da questa stessa pluralità".
Sono frammenti tratti da “L’identità europea”, un interessante saggio di un centinaio di pagine scritto da Tzvetan Todorov nel primo decennio del nuovo millennio.
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E l’amore guardò il tempo e rise.
Un sorriso lieve come un sospiro,
come l’ironia di un batter di ciglio,
come il sussurro di una verità scontata.
Perché sapeva di non averne bisogno.
Perché sapeva l’infinita potenza del cuore
e la sua poesia e la magia di un universo perfetto,
al di là dei limiti del tempo e dello spazio.
E le ragioni dell’uomo, fragile come un pulcino,
smarrito come un uccello,
cannibale come un animale da preda.
Perché conosceva la tenerezza di una madre,
l’incanto di un bacio, il lampo di un incontro.
Poi finse di morire per un giorno,
nella commedia della vita,
nell’eterno gioco della paura,
nascosto, con il pudore della sofferenza,
con la rabbia della carne,
con il desiderio di una carezza.
Ma era là, beffardo, testardo, vivo.
E rifiorì alla sera,
senza leggi da rispettare,
come un Dio che dispone, sicuro di sé,
bello come la scoperta, profumato come la luna.
Ma poi si addormentò in un angolo di cuore
per un tempo che non esisteva
e il tempo cercò di prevalere,
nel grigio di un’assenza senza musica, senza colori.
E sbriciolò le ore nell’attesa,
nel tormento per dimenticare il suo viso, la sua verità.
Ma l’amore negato, offeso,
fuggì senza allontanarsi,
ritornò senza essere partito,
perché la memoria potesse ricordare
e le parole avessero un senso
e i gesti una vita e i fiori un profumo
e la luna una magia.
Perché l’emozione bruciasse il tempo e le delusioni,
perché la danza dei sogni fosse poesia.
Così mentre il tempo moriva, restava l’amore.
Luigi Pirandello
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https://jacobinitalia.it/berlinguer-la-grande-rinuncia/?sfnsn=scwspmo
Berlinguer, la grande rinuncia
Giulio Calella
11 Novembre 2024
Il film di Andrea Segre sul segretario comunista cede alla nostalgia e cerca di rappresentare il compromesso storico come una grande ambizione. Mentre l’eredità di quegli anni andrebbe interrogata in modo radicale
«Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona» cantava Giorgio Gaber all’indomani dello scioglimento del Pci nel 1991, elencando con ironia, e autoironia, i tic e le contraddizioni di chi per decenni in Italia si è definito «comunista».
Guardando Berlinguer. La grande ambizione, il film di Andrea Segre interpretato dallo strepitoso Elio Germano, si ha l’impressione che più di trent’anni dopo lo scioglimento del Pci, e a quarant’anni dalla morte del segretario comunista, non si riesca ancora a procedere pi�� in là di quella rivendicazione. E che questa sia rimasta nella testa non solo dei suoi legittimi eredi (oggi maggioritariamente nel Partito democratico), ma anche di chi – come Segre e Germano – ha un’esperienza politica e una produzione culturale ben più di sinistra. «Berlinguer era una brava persona», un assunto che sembra poterne giustificare ogni scelta politica, anche quelle che hanno influenzato l’involuzione successiva della sinistra italiana.
La grande nostalgia
La beatificazione sembra il destino del segretario comunista fin dal giorno del suo enorme funerale, mostrato con le immagini d’archivio in coda al film. Andrea Segre ed Elio Germano però, in ogni presentazione della pellicola, sottolineano che il loro intento non è santificare Berlinguer ma mostrare l’attualità politica del suo messaggio.
La volontà di non cedere a un’eccessiva retorica sul personaggio è in effetti evidente, portata avanti anche a costo di fare un film meno coinvolgente di quel che avrebbe potuto essere. Gli sceneggiatori e gli attori hanno fatto una rigorosa ricerca storica, attenendosi in gran parte a discorsi e dialoghi effettivamente avvenuti e documentati, alternando anche le scene di finzione con immagini di archivio. Del resto Andrea Segre è soprattutto un bravissimo autore di documentari, e anche La grande ambizione, pur essendo fiction, procede in modo quasi documentaristico.
Va anche riconosciuto al film di Segre il coraggio di affrontare proprio gli anni in cui Berlinguer ha teorizzato e provato a praticare il «compromesso storico» con la Democrazia cristiana. Si concentra su cinque anni della sua vita, quelli che vanno dal colpo di Stato in Cile del 1973 al sequestro di Aldo Moro del 1978, senza indugiare nel racconto della sua formazione politica giovanile in Sardegna, e senza nemmeno citare gli ultimi anni della sua vita politica quando, dopo il fallimento del compromesso storico, si ritrova nel 1980 davanti ai cancelli della Fiat a fianco degli operai in sciopero per 35 giorni, o quando pone la «questione morale» alla politica italiana diventando il nemico politico numero uno di Bettino Craxi e del Partito socialista italiano. Eventi, questi ultimi, che hanno reso Berlinguer davvero amato, ma che a guardar bene ne definiscono meno la cifra e soprattutto l’eredità politica.
Il film però comunica senza dubbio una grande nostalgia. La nostalgia per un tempo che Segre e Germano non hanno mai vissuto, visto che nel 1984, quando Berlinguer morì, erano due bambini di 8 e 4 anni.
Che il sentimento nostalgico possa essere utile alla ricostruzione politica della sinistra, e non solo un esercizio consolatorio, è discutibile. È però comprensibile lo sguardo malinconico verso un tempo di grandi passioni politiche, di milioni di persone in piazza e alle Feste dell’Unità, di dirigenti con una solida formazione culturale e dei vincoli sociali incomparabili all’attuale teatrino della politica-spettacolo sganciata da qualsiasi spazio di partecipazione della società.
Il problema è che, con questa carica di nostalgia, la pellicola non riesce a sfuggire alla santificazione. Fin dalla scelta del titolo: presentare il compromesso storico come una «grande ambizione».
La grande rinuncia
«Secondo me se Andrea Segre ed Elio Germano avessero avuto vent’anni nel 1973, avrebbero odiato il compromesso storico», ha esordito in mondo provocatorio Nanni Moretti alla presentazione romana del film al Nuovo Sacher.
Il film inizia con le immagini del colpo di Stato orchestrato da Henry Kissinger in Cile con cui viene spazzato via il governo socialdemocratico di Salvador Allende che, dopo aver vinto le elezioni, stava portando avanti concrete riforme sociali. Da quel momento Berlinguer esplicita una strategia che era in realtà in elaborazione già da qualche anno: non solo non è possibile nessuna rivoluzione socialista in Italia, ma non è nemmeno pensabile nessuna alternativa politica di governo.
Nonostante le attese generate dall’enorme crescita elettorale del partito e dalle conquiste dei movimenti sociali nell’onda lunga post-Sessantotto, la via democratica al socialismo che propone Berlinguer è a dir poco tortuosa e contraddittoria: non si può governare nemmeno se una coalizione delle sinistre dovesse raggiungere il 51% dei consensi perché si rischierebbe un colpo di Stato orchestrato dagli Stati uniti e reso possibile in Italia da una potenziale alleanza tra la destra democristiana e i neofascisti. E per evitarlo bisogna accettare proprio l’ombrello statunitense della Nato e sostenere un governo guidato proprio dal massimo esponente della destra democristiana: Giulio Andreotti.
Nel film, pur di far apparire Enrico Berlinguer senza macchie, si finisce per sminuirlo nelle poche scene che non potevano essere documentate storicamente: quelle degli incontri riservati con Moro e lo stesso Andreotti. In questi colloqui Berlinguer appare un ingenuo, convinto che la sua linea sia l’unica possibile per mantenere un regime democratico in Italia, ma sostanzialmente preso in giro dai ben più scafati dirigenti democristiani che non concedono nulla in cambio della «non sfiducia» del Pci che permette al Governo Andreotti di stare in piedi. Nulla se non l’inutile presidenza della Camera a Pietro Ingrao.
Ma anche di fronte alla composizione dei ministri e alle concrete politiche di quel governo (che tra l’altro blocca il meccanismo della Scala mobile per adeguare i salari all’inflazione, abolisce ben 7 festività e aumenta l’Iva) Berlinguer persevera nella linea del compromesso. Bisogna rinunciare non solo al socialismo, non solo all’alternativa politica tramite democratiche elezioni, non solo alla difesa degli interessi di lavoratrici e lavoratori ma persino all’opposizione alla peggiore destra democristiana che flirta coi neofascisti. Tutto pur di salvare la democrazia.
A guardar bene è una rinuncia che poi diventerà una ricorrenza per la sinistra dei successivi cinquant’anni.
La grande delusione
A questa rinuncia seguì una grande delusione. Non solo nel movimento studentesco che scoppiò nel 1977 o nella sinistra extraparlamentare. Gran parte del mondo operaio e comunista fu completamente disorientato da questa linea, come mostrò proprio nel 1977 il capolavoro cinematografico di Giuseppe Bertolucci e Roberto Benigni, Berlinguer ti voglio bene, film spesso citato ma in realtà poco visto e soprattutto poco compreso.
Dopo la vittoria nel referendum sul divorzio nel 1974 e la crescita alle elezioni amministrative del 1975, non era più un tabù sognare il sorpasso sulla Dc nelle elezioni politiche del 1976. Il sorpasso poi per poco non ci fu, ma il Pci raggiunse il suo massimo storico in voti assoluti: 12 milioni e 600 mila. Anche il contesto europeo era promettente: nel 1974 c’è la rivoluzione dei garofani in Portogallo, nel 1975 finisce il franchismo in Spagna, nel Regno Unito governano i laburisti, in Germania sono al governo i socialdemocratici, in Francia cresce il cartello elettorale che tiene insieme socialisti e comunisti e che qualche anno dopo eleggerà presidente François Mitterand. La scelta di escludere a priori qualsiasi possibilità di governo di coalizione delle sinistre – che a prescindere dalle possibilità di riuscita avrebbe dato una prospettiva politica ai dieci anni di movimenti del nostro paese – produsse una delusione molto diffusa. Specie quando il Pci finì per sostenere il governo Andreotti. Tanto che nelle successive elezioni politiche del 1979 il Pci perse un milione e cinquecentomila voti, e non tornò mai più ai livelli di consenso del ‘76 (tranne la fiammata alle europee del 1984 segnate drammaticamente proprio dalla morte di Berlinguer).
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Sono qui (o credo d'esserlo?) seduta alla scrivania con davanti il mio computer, intenta a scrivere su di me, o su ciò che credo che io sia, o stia tentando di essere. Facile, poter vedere me mangiarmi le unghie, alla ricerca di creatività dispersa chissà dove, chissà quanto a fondo nella pelle, sotto, sotto, giù, in basso o in alto, questo non lo so, ma in profondità sì, là, laddove cercherò, potrò vedere quel che cerco e ciò che serve, lascerò prenderlo agli altri. Il mio volto è l'essenza dell'anima persa, dell'esistenza critica, del bilico sbilenco che il giorno sbilancia e il silenzio equilibra, tra una bradipnea basale e una tachicardia sessuale, l'estasi neutrale che asseconda il mio pensiero, e il corpo, con esso, segue la via del giusto riposo, eterno, nell'attimo che non segue il passato e non precede il domani, futuro generatore di ansie, malesseri, crisi, in perenne impatto con l'angustia debordante da un calice che ruota su di un polveroso pendolo. Sedendovi, potreste ascoltare i miei occhi sbattere frenetici e percepire vibrazioni oniriche, convulsi movimenti di ricerca di un corpo nuovo, esterno, non il nostro: essenza di kundalini che s'arrampica dai sessi sulla schiena, serpente arrotolato su se stesso, stringe il petto, la pancia e la gola e i seni, e quel corpo, tanto richiesto, desiderato, inizia a irrigidirsi, si contorce sotto l'energia vitale, energia mantra, espressione della forza del momento, della agilità della simbiosi, del rovente flusso che attanaglia me e la mia esistenza. Le mie gambe hanno fretta di percorrere il reale, impazienti di giungere a un domani che un domani sarà morte, sarà fine, sarà traguardo, arrivo e arrivederci e grazie, sarà storia in breve tempo. Breve, come la vita di ogni uomo in paragone alla Terra che ci ha attesi. Ma, incurante dell'eterna sua natura, dona al sole una speranza e il nuovo giorno al caldo crogiola le sue virtù, ovvero noi, peccatori. La mia mente ruota attorno a un punto fisso, che sei te. Ventiquattr'ore smemorate, s'accende in me la pazza voglia di perdermi, con te, con lei, con loro. Chi crediamo d'essere, se è il male a farci gioia e il bene a darci la routine noiosa? Siamo o no incostanti nelle scelte, nelle azioni e nelle vie che portano alla fede per qualcuno? Siamo o no i nemici dello spazio, colmato in frazioni di secondo da un capo all'altro dell'universo? Siamo o no i fanatici del mito, della storia lunga, degli amori brevi, del fidanzamento certo e della cotta prematura, del "ti voglio ma non posso" e del "ti amo ma ho già un altro"? No, no, non lo siamo, e non vogliamo neanche esserlo. È la pace la via giusta e la rincorsa a giorni felici, e crediamo che sia lunga, e pensiamo sia difficile, ma per strada conosciamo luoghi puri, dove trova cibo per sfamarsi chi ha un cuore. O crede d'averlo.
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Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica @valentina_lettrice_compulsiva
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: @pelledocaeditore
Buona lettura a tutti!
GHOST STORIES – M. R. JAMES
È la notte di Halloween, quale modo migliore di trascorrerla se non leggendo le storie di fantasmi dello scrittore e medievalista britannico Montague Rhodes James?
La casa editrice Pelledoca, specializzata in narrativa per ragazzi, ha pubblicato un graphic novel che raccoglie i cinque racconti più famosi dell’autore, nell’adattamento di Leah Moore e John Reppion, in cui vengono trattati: il tema della vendetta, del ritorno dal regno dei morti, della curiosità che spinge l’uomo a superare limiti invalicabili.
I protagonisti di queste storie sono studiosi impegnati in misteriose e insidiose ricerche in archivi polverosi o in dimore infestate, che si trovano ad affrontare esperienze al di là dell’umana comprensione.
"LA MEZZATINTA", in assoluto il mio racconto preferito di James, racconta di un dipinto che, notte dopo notte, prende vita per ricordare in eterno la terribile vendetta di un nobile decaduto.
"IL FRASSINO", invece, narra la storia di un albero che nasconde un terribile segreto, legato alla morte di una donna giustiziata per stregoneria
"LA NUMERO 13" racconta di una stanza d’albergo che appare e scompare.
"IL CONTE MAGNUS" è ambientato in un mausoleo misterioso nel quale sarebbe meglio non entrare.
“FISCHIA E IO VERRÒ DA TE” narra di un fischietto capace di evocare mostri e demoni.
Le splendide illustrazioni di Fouad Mezher, Alisdair Wood, George Kambadais, Abigail Larson e Al Davison costituiscono il valore aggiunto del volume.
COSA MI È PIACIUTO
Adoro la letteratura gotica e, in particolare, le storie di fantasmi. Quelle di M. R. James mi hanno sempre affascinata per le ambientazioni cupe e le vicende oscure che le caratterizzano.
COSA NON MI È PIACIUTO
Purtroppo l’età avanza e ho avuto un po’ di difficoltà a leggere le vignette di alcune tavole.
L’AUTORE
M. R. James (1862-1936) è stato uno scrittore e studioso medievale, ricordato soprattutto per le sue storie di fantasmi che sono considerate tra le migliori del genere. I racconti di M. R. James continuano ad influenzare molti dei grandi scrittori di oggi, tra cui Stephen King (che discute di James nel libro di saggistica del Danse Macabre, 1981) e Ramsey Campbell.
LA CASA EDITRICE
I libri di Pelledoca editore vogliono raccontare storie belle, forti e particolari. Storie da brivido, capaci di tenere il lettore con il fiato sospeso e gli occhi incollati alla pagina. La casa editrice ha fatto una scelta precisa, decidendo di occuparsi solo di thriller, noir e mistero. Chi scrive per Pelledoca accompagna i lettori, soprattutto i più giovani, in un mondo narrativo di intrighi in cui si muovono personaggi equivoci, vittime e carnefici, ma anche astuti eroi.
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"Depuis huit jours, j'avais déchiré mes bottines Aux cailloux des chemins…
Da otto giorni stracciavo le mie scarpe sui sassi delle strade…
scrive Rimbaud. Strada: striscia di terra che si percorre a piedi. Diversa dalla strada è la strada asfaltata, che si distingue non solo perché la si percorre con la macchina, ma in quanto e una semplice linea che unisce un punto a un altro. La strada asfaltata non ha senso in se stessa; hanno senso solo i due punti che essa unisce. La strada è una lode allo spazio. Ogni tratto di strada ha senso in se stesso e ci invita alla sosta. La strada asfaltata è una trionfale svalutazione dello spazio, che per suo merito oggi non è che un semplice ostacolo al movimento dell'uomo e una perdita di tempo. Prima ancora di scomparire dal paesaggio, le strade sono scomparse dall'animo umano l'uomo ha smesso di desiderare di camminare con le proprie gambe e di gioire per questo. Anche la propria vita ormai non la vede più come una strada, bensì come una strada asfaltata: come una linea che conduce da un punto a un altro, dal grado di capitano al grado di generale, dal ruolo di moglie al ruolo di vedova. Il tempo della vita è diventato per lui un semplice ostacolo che è necessario superare a velocità sempre maggiori. La strada e la strada asfaltata sono anche due diversi concetti di bellezza. Quando Paul dice che nel tal posto c'è un bel paesaggio, significa questo: se ti fermi là con la macchina, vedi un bel castello del Quattrocento con accanto un parco; oppure: là c'è un lago, sulla cui fulgida superficie, che si perde in lontananza, nuotano i cigni. Nel mondo delle strade asfaltate un bel paesaggio significa: un'isola di bellezza unita da una linea ad altre isole di bellezza. Nel mondo delle strade la bellezza è continua e sempre mutevole; ad ogni passo ci dice: «Fermati!». "
Milan Kundera, L'immortalità, traduzione di Alessandra Mura, Adelphi (collana gli Adelphi, n° 47), 2023²¹; pp. 242-243.
[Testo originale: Nesmrtelnost, 1988]
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Houston, abbiamo un problema
Mancano tre ore all’atterraggio e no, non si tratta di una capsula interstellare che si sta per schiantare contro un meteorite o ha appena riscontrato un’avaria al motore oppure mettete un altro scenario hollywodiano a vostro piacimento. Però a me pare lo stesso così.
Per quanto mi riguarda in effetti il primo pensiero che ho fatto è stato “ma tu guarda quest’essere fu quadrupede oggi bipede che ti combina”. Arrivare a violentare così tanto la psiche con un’esperienza disumana, 10 ore confinati in uno spazio microbico di nostro signore pianeta, però vivere questa prigionia con Lisa goodmorningMrFedericotodayIwilltakecareofyouandyoucanbetyouregonnaloveit, una poltrona che è meglio del letto di casa mia e una libreria multimediale che Hal 9000, per quanto avanzato, non proponeva di certo, almeno non coi sottotitoli poi non so, magari i contenuti anche sì. Perché si lorsignori, questa bottiglia vi arriva direttamente dalla primissima classe di una tratta intercontinentale direzione Houston, il che mi porta a condividere il mio secondo pensiero che ho fatto, e cioè “vabbè ma violentare la psiche umana cosa?? Che ti vengono a portare un drink ogni mezzora e tu pezzente ti sei pure riempito l’acqua in bagno al gate come l’ultimo degli accampati”.
Ma non c’è da scherzare, io il messaggio a Houston lo lancio lo stesso perché questa condizione di parvenu del lusso aka infiltrato no global nel reame del capitalismo un po' mi definisce in maniera univoca, un po' acuisce il disagio. Quindi questo lancio di molotov più che message in a bottle ha la sua genesi proprio qui, nell’epicentro di quella che United Airlines ha concepito come un sogno, dove i messaggi di sicurezza sono un corto da Sundance, dove devi stare attento a non sporcarti con salmone e tenderloin, dove gusterai un sundae che al settimo cielo non ti può portare, visto che già ci sei, ma all’ottavo o al nono si, visto che ormai sky is not the limit anymore, (e io manco sapevo che cazzo era un sundae ma ora so che è una cosa per cui ci si potrebbe effettivamente impegnare a credere a nostrosignore e fare tutta quella manfrina del ringraziamento, espiazione, liturgia ecc. ecc) e dove non si sente la puzza di quelli della seconda classe, cioè la mia 364 giorni all’anno, caratterizzata dalla tipica fragranza con note di lampone e malessere.
Ma questa è solo una parentesi, perché, che uno stia in prima classe, seconda classe, in cabina di pilotaggio o in stiva, il fatto è un altro, e questo, sì, giustifica la richiesta di collegamento col campo base, o se volete manifesta in tutta la sua pienezza il dramma di un volo intercontinentale, dunque al di là del sapore da esperienza divertente che non farò mai più, che ovviamente è già stata ampiamente documentata molto meglio di me e anni fa.
Il fatto Federì, il fatto qual è.
Il fatto è che hai voglia a dopare Netflix di contenuti offline, hai voglia a mettere a soqquadro Spotify e calcolare i tempi da coprire al centesimo con la libreria scaricata, hai voglia a studiare il catalogo dello schermo nel seggiolino (pardon, sofa, dei veri artigiani della qualità l’avranno progettato), e questi capitalisti le hanno studiate proprio tutte, pure per gli snob come me, visto che ci hanno dedicato la categoria film “Indipendenti”, o i live di Ziggy Stardust e Carole King, voi che fata i Masanielli di sta cippa e poi ci vediamo al gate, e vi trattiamo come il nostro bottino più pregiato, vi coccoliamo alla morte perché siete stati i più difficili e noi volevamo proprio voi a bordo. Nulla di tutto ciò impedirà a voi, gentili passeggeri, di trascorrere 10 (anzi, ci hanno tenuto a precisare, 9.59) ore in completa giustapposizione a voi stessi, in balia di un rumore bianco che prende i connotati dei portentosi motori del 777 e del getto voluminoso di pensieri che affollano la vostra testa, o magari la mia, e che hanno giusto il tempo di sputarsi contro uno specchio quando ne incontrano uno e rifiondarsi al doppio della velocità di nuovo dove erano prima, anzi più ingrovigliati, più incastrati, e a ogni giro più profondi, come un chiodo che prende martellate a un ritmo regolare, incessante e nella superficie affonda, affonda, affonda…
Attenzione, idea! La contrapposizione come coping mechanism, dice la mia testa, cioè uno specchio riflesso bambinesco mascherato da psciologia young adult ma da bar, basta poco per crederci, e, dopo aver pagato un altro biglietto, si sale sulla nuova giostra, che sembra più facile. Ho detto “sembra” quindi non la tiriamo per le lunghe, l’idea è un boomerang. Mi dico, “vabbè non è la nave dei pirati che quasi fa il 360 e dura 10 ore, più le macchine a scontro”. Sì, la giostra che il mio coping mechanism ha ideato è quindi un volo più semplice, un’ora scarsa, in una terra nota in cui si parla la lingua di questo rantolo. C’è pure uno scenario più o meno inquadrato: sole sole, tanto sole, ma è un sole maligno e crudele, teatro (ah mai parola fu più centrata!) del dramma che già vedo consumarsi davanti ai miei occhi, e a cui mi preparo, ben consapevole che le macchinine si sono in realtà trasformate in bolidi da Formula 1, senza protezioni dii gomma, e io sto solo prendendo il fiato finchè il respiro si blocca, proprio come durante un tuffo da 3 metri o esattamente prima dello scontro alle giostre. L’impatto non è questione di se, ma quando.
Houston.
Houston.
Houston, credetemi: ho bisogno di atterrare.
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ORAZIO, SATIRA II, 6 - Il topo di campagna ed il topo di città
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ORAZIO, SATIRA II, 6 - Il topo di campagna ed il topo di città
“Cervio, il vicino, in mezzo a questi discorsi, si diverte a raccontare le favole della nonna, in base all’argomento. Se qualcuno, infatti, loda le ricchezze di Arellio, senza sapere quanto affaticano, comincia così:
‘ C’era una volta un topo di campagna, che aveva accolto un amico, un topo di città, nella sua disadorna tana, stando pronto ed attento alle richieste dell’amico, tentando di ammorbidirne le difficili esigenze con gesti ospitali. Perché farla lunga? non lesinava né ceci messi da parte né l’avena lunga, e, portandoli con la bocca gli diede uva secca e pezzetti prelibati di lardo, mirando a vincerne l’atteggiamento schizzinoso con una cena variegata, visto che appena toccava i cibi con dente superbo, ed intanto il padrone di casa, arrampicato su un cumulo di paglia mangiava farro e loglio, lasciando all’ospite i bocconi migliori.’ “.
Per quello che ne sappiamo, il primo a far parlare gli animali in un’opera letteraria del mondo classico, fu il poeta greco Esiodo (VIII secolo a. C.) con la favoletta dell’usignolo e lo sparviero. Alla fine dell’epoca arcaica, nell’età della crisi dei regimi aristocratici, soppiantati da quelli democratici, si diffonde una raccolta di favole con animali protagonisti, attribuite ad un certo Esopo. Molte delle sue favole si ritrovano nella letteratura latina, ad opera di Fedro, del tempo di Tiberio (I secolo d.C.): dati i tempi, era pericoloso parlare di personaggi reali, ed allora si fanno parlare gli animali, chiaramente umanizzati. Insomma, per arrivare a Disney, il cammino è stato lungo. Ma sentiamo Orazio/Cervio:
” ‘ Insomma alla fine il topo cittadino dice al campagnolo: – Amico mio, che gusto ci provi, a vivere con sofferenza nel dorso di un colle franato? Non ti piacerebbe anteporre al bosco la città degli uomini? Prendi la strada, dammi retta, accompagnami, dal momento che i terrestri vivono avendo avuto in sorte una vita destinata a cadere, e non esiste né per il grande né per il piccolo scampo alcuno alla morte. Perciò, caro mio, finché si può, cerca di vivere beato nel piacere, e non dimenticare di quanto breve tempo tu sia.-“.
Il poeta qui si è fatto semiserio: l’amara riflessione sull’esistenza umana e la sua brevità, con il corollario di vivere godendosi la vita, derivante dalla filosofia edonistica, ha un sapore di parodia, da una parte, perché messa in bocca ad un sorcio, ma dall’altra è inevitabile il suo trasferimento nella condizione umana. E’ una favola, attori sono due sorci, ma il loro pensare ed agire è evidentemente e tipicamente umano. E la vena parodistica è ancora più evidente nei passi seguenti, e la parodia è dedicata alla maniera epica di narrare. Vediamo:
‘ Queste parole impressionarono il sorcio campagnolo, ed allora saltò fuori agile dalla tana: ed ecco che la coppia percorre l’itinerario proposto, desiderosi di scalare le mura della città di notte. Ed ormai la notte occupava il centro dello spazio notturno, ed entrambi mettono i piedi in una casa sontuosa, in cui un drappo tinto di rossa porpora era smagliante sopra gli eburnei triclini, e molte porzioni erano avanzate da una sontuoso cena, che giacevano da ieri in ben costruiti canestri. Dunque sistemò il sorcio campagnolo su un drappo di porpora, e alla maniera di uno schiavo succinto si dà da fare qua e là, assaggiando tutto quello che porta, e quell’altro se ne sta sdraiato ed in abbandono e si gode quella svolta di vita, e per la bontà dei manicaretti ringrazia il compiaciuto commensale. Quando di botto un fracasso di porte che si spalancano li precipita giù dai triclini, ed entrambi nel panico a correre per tutta la sala, mezzo morti e con il cuore in gola, intanto che la l’alta casa risuona di cani molossi. Allora il topo campagnolo disse: – Questa vita non fa proprio per me. Stammi bene tu, io me ne torno nella mia tana modesta e selvatica, ma bene al sicuro dai pericoli. -‘ “.
Fine del racconto di Cervio e della satira di Orazio.
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Ehi! Sono sempre il tizio delle auliche citazioni. Be', se si vuole da me una definizione che sia solo mia e che non si appoggî agli scritti di altri, posso dirti che per me l'Amore è potenza unificante oltreché generatrice: un ponte fra la dimensione materiale e quella trascendentale e finanche divina — se si vuole. Amore anche inteso come principio di Bellezza. Il mio Amore non ha dimensioni sempre ben definite: può essere indirizzato tanto verso la singola persona, quanto verso gl'estremi limiti del Cosmo, quanto ancóra verso puri concetti astratti, quali possano essere la Verità o la Conoscenza, in primo luogo. Ironicamente, fatico spesso ad amare me, giacché, se negli altri riesco ad trascurare le limitazioni della Materia, in me ciò si fa piú difficile, vivendole in prima persona. Mi piacerebbe anche essere amato a mia volta, sapere che la mia esistenza abbia qualche valore: temo spesso il pensiero di morire nella piú totale indifferenza del Mondo. Talvolta ammetto pure che il mio amore per un concetto è finanche superiore all'amore per le persone: ma non perché queste ultime ne siano escluse: tutt'altro! Amando, per esempio la Bellezza, mi sento come in obbligo di coltivarla: per il bene mio e dei miei simili. E questo vale anche per altri aspetti della cosa.
Mi ritrovo molto nel concepire la realtà dell'amore come una proiezione che parte dalla materia per porsi al di là di questa, verso tutto ciò che è trascendente. Io credo che l'amore trascenda le imposizioni del pensiero, e così le creazioni dello spazio e del tempo. Credo coincida con tutto ciò che ha a che fare con la vera spiritualità, e che quindi abbia un'energia "generatrice", proprio come hai detto tu. Trovo molto bella anche l'ampiezza della tua dimensione d'amore, come indirizzata verso la verità e la conoscenza di tutte le cose. Per quanto riguarda la reciprocità dell'amore, io al momento mi chiedo (per me stessa) quali potrebbero essere l'impatto e la rilevanza di essere amati a nostra volta, se è poi vero che l'amore pronunciato da altri spesso non si rivela autentico. Perché non attendere più a lungo per l'immensità di un amore autentico (non la forma diffusa che viene chiamata amore)? Perché voler donare la propria verità a qualcosa di vano e non duraturo? Non ci nutrirebbe. Io inizio a credere che il nutrimento autentico di noi stessi, la nostra accettazione ed evoluzione, siano la forma più elevata possibile di amore, perché rientrano nel disegno universale di tutte le cose.
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Io esisto.
La struggente scoperta che ogni tanto facciamo tra una cazzata e l’ altra.
Io esisto.
Uno squarcio nel petto, una tregua dall’affanno, una doccia di luce.
Io esisto
Al di là dello spazio e del tempo in un luogo non luogo.
Senza corpo, ne’ forma, ne’ colore
Io esisto.
Senza esitare.
Prova a ricordare.
_Claudia Crispolti
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Questa sera ho preparato una torta mentre ascoltavo un'intervista sul minimalismo e tra le varie cose più o meno interessanti e condivisibili discusse c'era l'idea che il minimalismo non è una questione di quantità di oggetti ma di chiarezza di intenti. Ovvero, al di là della mera conta delle cose che si possiedono o degli impegni che si prendono (perché c'è anche la dimensione del tempo, non solo quella dello spazio, oltre che altre più emotivamente dettagliate), il superfluo e il cosiddetto clutter sta in ciò che non ci rende persone più serene e felici. Che è un po' una parafrasi di Marie Kondo ed è più facile a dirsi che a valutarsi, ma è comunque una riflessione utile per rimettere in prospettiva la necessità di circondarsi di cose che sono utili per la propria pace mentale, cose che possono essere anche il vuoto o la solitudine o il silenzio, ma che se invece per qualcuno in un dato momento sono oggetti concreti, colorati e rumorosi, va bene lo stesso. L'importante è soffermarsi a pensare al perché, almeno un attimo, quando si ha il tempo, quella particolare cosa fa parte della nostra vita e se ancora c'è un buon motivo per conservarla o se è il caso di cambiare la situazione.
In questo momento di grandi spese e regali e scambi di oggetti più o meno inutili, molti dei quali resteranno probabilmente anche inutilizzati, da accumulatrice semi-seriale in perenne contenimento (spesso invano) mi sento spesso a disagio al pensiero di dare e ricevere cose che finiranno in un cassetto per il 97% del loro tempo, e sentire questi discorsi mi rimette un attimo in sesto, perché quello che conta è quel 3% fuori dal cassetto, che se migliora la giornata anche solo di un pochino è sufficiente per compensare.
Mentre la torta era in forno e aggiornavo il diario, mi sono fermata un attimo per celebrare quello che è entrato nella mia vita un po' per caso sotto forma di regalo (magari da parte di me stessa u_u) ed è sopravvissuto alla Grande Selezione del trasloco dell'anno scorso e mi fa tuttora venire le stelline negli occhi.
A portata di sguardo sbrilluccichino in cucina c'era un grembiule souvenir da un viaggio a Lisbona che non ho fatto, una tovaglia troppo grande per il mio vecchio tavolo, alcuni dei millemila pennarelli e colori raccolti negli anni, distribuiti in altrettanti astucci più o meno homemade, piantine arrivate al natale scorso, altre appena ricevute, figlie di quelle dei miei, già mixate con le più vecchie nei vasi tra le decorazioni spacchettate l'altro giorno, alcuni dei regali da distribuire quest'anno, compreso il mio, l'agenda comprata d'impulso l'anno scorso che devo rimpiazzare non so ancora bene con cosa quest'anno, il libro dei disegni che sto riempiendo poco a poco.
Ciascuno ha una sua storia e un suo motivo specifico per far parte del mio arcobaleno mentale, difficile da spiegare senza sembrare un po' matta, e immagino che sia così per molte delle cose che ci circondano: sono importanti per noi anche se sembrano scemenze per gli altri e a volte ci dimentichiamo perché ci facevano brillare gli occhi o ci sentiamo in colpa perché finiamo per credere che gli altri abbiano ragione e siano davvero scemenze e basta. E invece no, ci sono millemila cose di cui effettivamente potremmo fare a meno, ma ce ne sono millemila altre che meritano un posto nella nostra vita, senza sensi di colpa, che già abbiamo trappole e ostacoli e muri abbastanza difficili da affrontare, tutto ciò che può aiutarci in qualche modo diamogli il benvenuto.
(per la cronaca, l'intervista è questa qui e in generale TFD è un canale che consiglio, specialmente le interviste di questo tipo: sono lunghe per gli standard di youtube, ma sono tutte molto scorrevoli)
youtube
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Milano: Palazzo Marino in musica, domenica in concerto "Gli Spettri" di Beethoven
Milano: Palazzo Marino in musica, domenica in concerto "Gli Spettri" di Beethoven Domenica 6 ottobre, alle ore 11 in Sala Alessi, nuovo concerto della XIII edizione di Palazzo Marino in Musica, dal titolo 'Viaggio sonoro nell'invisibile', che indaga il potere trasformativo della musica in grado di connetterci con gli archetipi umani più profondi, al di là del tempo e dello spazio. Il quinto appuntamento, a cura del Trio Kaufman, presenta il Trio in Re magg. op 70 n.... Leggi articolo completo su La Milano Read the full article
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Il Dodecaneso (in greco Δωδεκάνησα, dal significato letterale di "dodici isole") è un meraviglioso arcipelago situato nella parte meridionale del Mar Egeo, tra le coste della Turchia a oriente e le isole Cicladi a occidente. Qui, nel 2020, visitai l'isola di Kos - spesso screditata dai turisti, ma apprezzata dai veri viaggiatori - la montuosa e brulla Kàlymnos, e l'isola vulcanica di Nisyros, dove scesi nel cratere Stefanos: uno dei più grandi e meglio conservati crateri idrotermali al mondo.
Mare limpido, spiagge sabbiose o ghiaiose, monumenti bizantini e architettura medievale - frutto della lunga dominazione veneziana - fanno del Dodecaneso un luogo affascinante, dal tempo lento e dal silenzio ingombrante.
In questi primi giorni di autunno mi trovo a Rodi, l'isola più grande dell'arcipelago. Sono arrivato nel villaggio di Lindos. Scorci pittoreschi, viste mozzafiato sul mare e i resti di una storia millenaria che si stagliano contro un cielo azzurro terso, rendono Lindos ammaliante come il famoso e mitizzato Canto delle Sirene. La bellezza della natura è ovunque. È sufficiente guardarla, respirarla, lasciarsi andare.
Ho una casetta bianca, proprio alle pendici della collina su cui si erge l'Acropoli e dove la sera, a poca distanza dalle rovine antiche del Tempio dorico di Atena Lindia e le colonne dello stoa ellenistico, mi godo la magia dei tramonti greci. Al crepuscolo, scendo verso le stradine del paese per andare a cenare in una delle deliziose taverne locali. Lindos è molto turistica e per questo anche costosa e frenetica. Basta però conoscere alcuni suoi angoli più nascosti per ritrovare la Grecia di una volta. Il Wi-Fi è buono e posso lavorare fino a tarda notte; perciò ho deciso di rimanere un po’ di più. Quando ho bisogno di una pausa, esco e raggiungo la spiaggia di Pallas, o a volte la baia di St. Paul, per una nuotata. È distante solo cinque minuti a piedi. Le temperature sono piacevoli e l'acqua è stupenda. Ieri, lungo tutta la parete rocciosa delle Cave, c'erano al massimo una dozzina di persone sparse qua e là. I miei vicini di casa sono una coppia inglese del North Yorkshire, Mick e Carole, con i quali ogni giorno chiacchiero qualche minuto nel cortile. C’è anche una signora scozzese con cui scambio piacevoli conversazioni, ma non riesco a ricordare il nome.
Non ho mai capito come si possa trascorrere un'intera vita sempre nello stesso posto, senza il desiderio di scoprire nuove culture, terre, cibi e animali. Sentire la consistenza di una sabbia diversa sotto i piedi o ammirare le infinite sfumature dei mari e degli oceani. Come si può giungere alla fine del proprio viaggio senza essersi nutriti del vero senso della vita: la scoperta del mondo? I libri, per quanto preziosi, non ti portano in giro; sono le tue gambe e il tuo coraggio a farlo. Niente può sostituire la sensazione del vento sulla pelle o le immagini che solo i tuoi occhi possono catturare e portarsi via per sempre. Qui non c’è spazio per fantasie costruite da righe d’inchiostro; qui c'è solo vita vissuta pienamente. Come potrei mai tormentarmi di fronte a questa realtà? Viaggiare è pari ad amare, ed è uno dei principi intelligibili per onorare il dono della vita.
Se non hai una storia da raccontare, cosa rimane di te? Cosa lasci del tuo passaggio?
[𝑉𝑖𝑎𝑔𝑔𝑖𝑜 𝑎 𝐿𝑖𝑛𝑑𝑜𝑠. 𝐴𝑝𝑝𝑢𝑛𝑡𝑖 𝑠𝑝𝑎𝑟𝑠𝑖, 𝑠𝑒𝑡𝑡𝑒𝑚𝑏𝑟𝑒 2024]
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