#Un indovino mi disse
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" I guerriglieri in Cambogia li avevo fino ad allora visti solo come cadaveri, abbandonati sul bordo di una strada o di una risaia dopo una battaglia. Quelli, invece, erano i primi che vedevo vivi: giovani, appena usciti dalla giungla, con la pelle secca, grigia, come polverosa, con gli occhi arrossati dalla malaria, gli sguardi durissimi. «CIA… American», continuavano a urlare, indietreggiando un po' come non volessero essere troppo vicini all'effetto che avrebbero avuto i loro colpi. Ero sicuro che mi avrebbero sparato, e di quella morte, che pensai sarebbe stata svelta e indolore, mi preoccupò solo il modo in cui sarebbe arrivata a casa la notizia, il fatto che avrebbe fatto soffrire i miei. Così, con un gesto istintivo, tirai fuori dal taschino della camicia il passaporto, a quel tempo verde, e sorridendo garbatamente, e parlando, chi sa perché, in cinese, dissi: «Sono italiano… italiano… non americano: italiano». Dal capannello di gente che stava a guardare, un uomo dalla pelle chiara, quasi bianca - certo un commerciante cinese locale - tradusse in khmer quel che dicevo: «Sono un giornalista, non ammazzatemi… aspettate che venga un quadro politico, lasciate che sia lui a decidere… sono italiano». E continuavo a sorridere, sorridere, sventolando il passaporto. I Khmer Rossi abbassarono i loro mitra, mi misero da una parte e mi affidarono a un giovanissimo guerrigliero che per ore mi tenne a bada, passandomi ogni tanto, con grande curiosità, lentissimamente attorno alla faccia, sul naso, sugli occhi, la bocca della sua grossa pistola cinese. Verso sera arrivò un guerrigliero più anziano, che pareva il capo. Senza neppure guardarmi si rivolse ai suoi uomini, confabulò con loro per lunghissimi minuti, poi si voltò verso di me e in perfetto francese disse che ero benvenuto nella Cambogia liberata, che quelli erano giorni storici, la guerra era finita e che io ero libero di andarmene. La notte tardi ero di nuovo nelle belle, fresche lenzuola di lino dell'Oriental Hotel a Bangkok. «Se qualcuno ti punta un'arma addosso, sorridi», avevo da allora detto ai miei figli e quella mi pareva una delle poche lezioni di vita che ero capace di dar loro. "
Tiziano Terzani, Un indovino mi disse; prima edizione Longanesi, 1995.
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Seduto a Poppa – Un indovino mi disse (Tiziano Terzani)
Seduto a poppa, mi chiedevo quanto ancora potrà durare un mondo così, retto esclusivamente dai criteri incolti, disumani e immorali dell’economia.
Scorgendo l’ombra di isole lontane me ne immaginavo una ancora abitata da una tribù di poeti tenuti in serbo per quando, dopo il Medioevo del materialismo, l’umanità dovrà ricominciare a mettere altri valori nella propria esistenza."
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Il caso?
Difficile dire che non esiste, ma in qualche modo mi andavo convincendo che gran parte di quel che sembra succedere "per caso", siamo noi che lo facciamo accadere.
Siamo noi che, una volta cambiati gli occhiali con cui guardiamo il mondo, vediamo ciò che prima ci sfuggiva e credevamo non esistesse. Il caso siamo noi.
Tiziano Terzani, Un indovino mi disse
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« Ogni posto è una miniera. Basta lasciarcisi andare, darsi tempo, stare seduti in una casa da tè ad osservare la gente che passa, mettersi in un angolo del mercato, andare a farsi i capelli e poi seguire il bandolo di una matassa che può cominciare con una parola, con un incontro, con l’amico di un amico di una persona che si è appena incontrata e il posto più scialbo, più insignificante della terra diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro di umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più il bisogno di andare altrove.
La miniera è esattamente là dove si è: basta scavare. » — Tiziano Terzani, Un indovino mi disse (1995)
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"La previsione è di per sé creazione. Un evento, una volta annunciato, esiste, è vero e, pur essendo ancora a venire, è più reale e più significativo di un fatto già avvenuto. Per questo in Asia il futuro è considerato tanto più importante del passato e per questo tante più energie vengono qui dedicate a occuparsi di profezie piuttosto che di storia."
Un indovino mi disse - Tiziano Terzani
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La distinzione tra passato, presente e futuro ha solo il valore di un'ostinata illusione - Einstein
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Un indovino mi disse
di Tiziano Terzani
Un indovino disse a Terzani di non volare nel 1993
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Il viaggiare in treno o in nave, su grandi distanze, m’ha ridato il senso della vastità del mondo e soprattutto m’ha fatto scoprire un’umanità, quella dei più, quella di cui uno, a forza di volare, dimentica quasi l’esistenza: l’umanità che si sposta carica pacchi e di bambini, quella cui gli aerei e tutto il resto passano in ogni senso sopra la testa.
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Citazioni di Tiziano Terzani: “È un aspetto, questo, dello strano mestiere… "È un aspetto, questo, dello strano mestiere di cronista che non cessa di affascinarmi e, al tempo stesso, di inquietarmi: i fatti non registrati non esistono.
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Ho scoperto prestissimo che i migliori compagni di viaggio sono i libri: parlano quando si ha bisogno, tacciono quando si vuole silenzio. Fanno compagnia senza essere invadenti. Danno moltissimo, senza chiedere nulla.
Tiziano Terzani - Un indovino mi disse
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Un indovino mi disse - Tiziano Terzani https://ift.tt/P3nvIpL
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Tutto è diventato così facile oggi che non si prova più piacere per nulla. Il capire qualcosa è una gioia, ma solo se è legato ad uno sforzo.
-Un indovino mi disse
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La mente non smetteva di far le sue incontrollate capriole.
Tiziano Terzani, Un indovino mi disse
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La mente non smetteva di far le sue incontrollate capriole. Tiziano Terzani, Un indovino mi disse
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“[...] Il positivo entra ed esce dalla testa. Il negativo lascia un dubbio strisciante, un’inquietudine sorda; perché la paura è il fondo della condizione umana.”
— Tiziano Terzani, Un indovino mi disse
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Tratto da "Un indovino mi disse" di Tiziano Terzani #tizianoterzani (Sull'esigenza/impegno di raccontare/riportare storie che altrimenti non esisterebbero) https://www.instagram.com/p/CQXiV5LFRz9/?utm_medium=tumblr
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