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#Teatro Fabbri
sguardimora · 1 year
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Questa mattina gli alunni e le alunne delle scuole elementari e medie dell’ICS di Mondaino hanno avuto l’occasione di incontrare il lavoro di Francesca Ghermandi e Gianluigi Toccafondo, in residenza all’arboreto per la creazione di Il Teatro di Bumbòz. E stasera gli artisti incontreranno alle 21 gli spettatori e le spettatrici del territorio. 
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gregor-samsung · 2 years
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“ Mentre la vita pubblica e persino quella privata assumono i caratteri dello spettacolo, è in atto un contromovimento che cerca di modellare lo spettacolo, il teatro, tutte le forme di espressione artistica, sulla realtà — di annullare la differenza stessa tra arte e vita. Entrambe le tendenze diffondono un senso dell’assurdo caratteristico della sensibilità contemporanea. Va notata la stretta connessione tra un eccesso di elementi spettacolari, il cinismo dell’atteggiamento disincantato ormai diffuso anche tra i bambini, l’impermeabilità alla sorpresa o alle emozioni violente e la conseguente indifferenza a distinguere tra illusione e realtà. Siamo troppo ciniche [scrive Joyce Maynard di se stessa e di una bambina di quattro anni che ha portato al circo], per non intuire il trabocchetto nel gioco di prestigio, l’imbottitura del Santa Claus dell’Esercito della Salvezza, i trucchi della telecamera negli show pubblicitari alla TV (“Non è la mano di un folletto che spunta fuori dalla lavatrice,” mi dice Hanna, “è soltanto un attore coi guanti.”) Non diversamente al circo... ella si appoggiò indietro sul sedile imbottito, la mia bambina di quattro anni... prevedendo capitomboli e scivoloni, severa, sveglia, triste, saggia, matura, disincantata, più assorta nello zucchero filato che affascinata dal Più Grande Spettacolo del Mondo. [...] Avevamo assistito, impassibili, a spettacoli ben più straordinari, tutto il nostro mondo era un’indigestione per gli occhi, un circo a dieci piste con cui non avrebbero potuto competere neppure i Ringling Brothers. Un uomo ficcò la testa nelle fauci di una tigre e io lo indicai alla mia gelida, imperturbabile amica, con espressioni di sbalordimento esagerato, e quando essa non si curava di guardare... le giravo la testa verso la tigre, la costringevo a seguire il numero. La tigre, penso, avrebbe potuto staccare la testa al domatore con un morso, inghiottirlo in un boccone e tramutarsi in scimmia e lei non avrebbe battuto ciglio. Davanti a noi almeno due dozzine di clown ammucchiati in una Volkswagen cercavano di uscirne senza che Hanna capisse qual era lo scopo di tutto ciò. Non è solo perché sa che escono da una botola che Hanna non riesce a entusiasmarsi. Anche se non fosse a conoscenza del trucco, non dimostrerebbe maggiore interesse.
La sovraesposizione a illusioni prefabbricate distrugge rapidamente la loro efficacia rappresentativa. La componente illusoria del reale non produce, come sarebbe prevedibile, una intensificazione del senso della realtà, ma genera, nei confronti della realtà stessa, uno stato di allarmante indifferenza. Il nostro senso della realtà si trova allora a dipendere, per quanto sembri strano, dalla nostra disponibilità ad accettare l’aspetto illusorio del reale. Persino la comprensione razionale delle tecniche illusorie non annulla la nostra capacità di considerare l’illusione prodotta come una rappresentazione della realtà. La smania di conoscere i trucchi del prestigiatore, come l’interesse suscitato recentemente dagli effetti speciali di un film quale Guerre stellari, hanno in comune con lo studio della letteratura il desiderio di apprendere dai maestri dell’illusione lezioni sulla realtà stessa. Ma quando si riscontra un’indifferenza totale persino per la meccanica dell’illusione, è prevedibile il collasso della stessa idea di realtà, che dipende in ogni suo elemento dalla distinzione tra natura e artificio, realtà e illusione. Tale indifferenza rivela l'erosione della capacità di interessarsi a qualsiasi cosa esterna al sé. Così la bambina impassibile, che ha già visto tutto, si riempie di zucchero filato e quanto succede non le importerebbe neppure se non sapesse in che modo ventiquattro clown riescono a infilarsi in una macchina. “
Christopher Lasch, La cultura del narcisismo. L’individuo in fuga dal sociale in un’età di disillusioni collettive; Nuova postfazione dell’autore, traduzione di Marina Bocconcelli, Fabbri (collana Saggi Tascabili), 1992. [Libro elettronico]
[Edizione originale: The Culture of Narcissism: American Life in an Age of Diminishing Expectations, W. W. Norton, New York City, 1979]
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daimonclub · 6 months
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Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno
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Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, un post letterario che riprende alcuni brani di questo testo umoristico di Giulio Cesare Croce con una piccola introduzione e una breve biografia dell'autore. Quando frequentavo le scuole medie, nel 1973, nella nostra antologia - LA LETTURA. ANTOLOGIA CON LETTURE EPICHE di Italo Calvino e Giambattista Salinari, Zanichelli Editore, un libro bello corposo per ogni annualità, oltre all'epica, alle poesie e a vari testi letterari di autori classici vi erano anche testi più umoristici, tratti da opere di scrittori di assoluta genialità. Tra questi vi erano brani tratti dal Bertoldo di Croce che, con i testi del Don Chisciotte di Cervantes, erano tra i miei preferiti; non a caso molti anni anni dopo la mia tesi di laurea si occupò proprio del fenomeno umoristico. A distanza di 50 anni, e dopo aver sofferto parecchio durante la mia complicata esistenza, a soli pochi mesi dalla morte di mia madre, dedico questo post a Bertoldo e al suo autore, memore dei miei anni più spensierati, quando dopo delle intese giornate scolastiche ritornavo a casa e potevo beneficiare della presenza dei miei genitori, di una realtà che non ritornerà mai più. Restano solo i ricordi, la nostalgia, la meloanconia, la sofferenza e la lieve funzione terapeutica della letteratura. Giulio Cesare Croce è stato uno scrittore e drammaturgo italiano del XVI secolo, noto principalmente per essere l'autore della popolare opera comica "Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno", la cui trama ruota attorno alle avventure di due contadini, Bertoldo e Bertoldino, e del loro amico Cacasenno. Figlio di fabbri e fabbro a sua volta, morto il padre, lo zio continuò a cercare di dargli una cultura. Non ebbe mai mecenati particolari, e lasciò gradualmente la professione di famiglia per fare il cantastorie. Acquisì fama raccontando le sue storie per corti, fiere, mercati e case patrizie. Si accompagnava con un violino. L'enorme sua produzione letteraria deriva da una autoproduzione delle stampe dei suoi spettacoli. Ebbe due mogli e 14 figli e morì in povertà. L'opera di Croce è caratterizzata da un umorismo vivace, un linguaggio colloquiale e una satira sociale che prende di mira le convenzioni e le ipocrisie del suo tempo. "Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno" è diventato un classico della letteratura comica italiana e ha avuto una grande influenza sulla tradizione del teatro popolare. Una forma scritta precedente come fonte fu il medievale Dialogus Salomonis et Marcolphi. Oltre a "Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno", e ad un romanzo successivo sempre dello stesso filone, Croce scrisse anche altre opere, tra cui commedie, numerosi libretti brevi in prosa e poesia, che abbracciano vari generi letterari della tradizione popolare e raccolte di novelle.
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Giulio Cesare Croce L'autore riprese temi popolari del passato, come la storia di Bertoldo, ambientandola alla corte di re Alboino a Verona e a Pavia. Nella sua versione più organica, rese la storia meno licenziosa e attenuò la rivalsa popolare verso i potenti. Aggiunse un seguito riguardante il figlio di Bertoldo, chiamato Bertoldino, e successivamente un altro seguito elaborato da Adriano Banchieri, chiamato Novella di Cacasenno. Questi racconti furono poi adattati in tre film, nel 1936, nel 1954 e l'ultimo del 1984, diretto dal grande Mario Monicelli, con Ugo Tognazzi e Alberto Sordi. In Bertoldo, l'autore confessò forse le sue aspirazioni personali, rappresentando il rozzo villano come un autodidatta desideroso di fortuna e mecenati. La sua produzione letteraria contribuì significativamente allo sviluppo della commedia dell'arte italiana e alla diffusione della cultura popolare nel XVI secolo, diventando così uno dei precursori della commedia italiana, apprezzata ancora anche oggi. I suoi scritti inoltre contribuirono anche alla grande letteratura carnevalesca, un importante filone identificato per la prima volta da Michail Bachtin, che tra i suoi esponenti conta tra gli altri Luciano di Samosata, Rabelais, Miguel de Cervantes e Dostoevskij. Le sottilissime astuzie di Bertoldo. Nel tempo che il Re Alboino, Re dei Longobardi si era insignorito quasi di tutta Italia, tenendo il seggio reggale nella bella città di Verona, capitò nella sua corte un villano, chiamato per nome Bertoldo, il qual era uomo difforme e di bruttissimo aspetto; ma dove mancava la formosità della persona, suppliva la vivacità dell'ingegno: onde era molto arguto e pronto nelle risposte, e oltre l'acutezza dell'ingegno, anco era astuto, malizioso e tristo di natura. E la statura sua era tale, come qui si descrive. Fattezze di Bertoldo. Prima, era costui picciolo di persona, il suo capo era grosso e tondo come un pallone, la fronte crespa e rugosa, gli occhi rossi come di fuoco, le ciglia lunghe e aspre come setole di porco, l'orecchie asinine, la bocca grande e alquanto storta, con il labro di sotto pendente a guisa di cavallo, la barba folta sotto il mento e cadente come quella del becco, il naso adunco e righignato all'insù, con le nari larghissime; i denti in fuori come il cinghiale, con tre overo quattro gosci sotto la gola, i quali, mentre che esso parlava, parevano tanti pignattoni che bollessero; aveva le gambe caprine, a guisa di satiro, i piedi lunghi e larghi e tutto il corpo peloso; le sue calze erano di grosso bigio, e tutte rappezzate sulle ginocchia, le scarpe alte e ornate di grossi tacconi. Insomma costui era tutto il roverso di Narciso. Audacia di Bertoldo. Passò dunque Bertoldo per mezzo a tutti quei signori e baroni, ch'erano innanzi al Re, senza cavarsi il cappello né fare atto alcuno di riverenza e andò di posta a sedere appresso il Re, il quale, come quello che era benigno di natura e che ancora si dilettava di facezie, s'immaginò che costui fosse qualche stravagante umore, essendo che la natura suole spesse volte infondere in simili corpi mostruosi certe doti particolari che a tutti non è così larga donatrice; onde, senza punto alterarsi, lo cominciò piacevolmente ad interrogare, dicendo: Ragionamento fra il Re e Bertoldo. Re. Chi sei tu, quando nascesti e di che parte sei? Bertoldo. Io son uomo, nacqui quando mia madre mi fece e il mio paese è in questo mondo. Re. Chi sono gli ascendenti e descendenti tuoi? Bertoldo. I fagiuoli, i quali bollendo al fuoco vanno ascendendo e descendendo su e giù per la pignatta. Re. Hai tu padre, madre, fratelli e sorelle? Bertoldo. Ho padre, madre, fratelli e sorelle, ma sono tutti morti. Re. Come gli hai tu, se sono tutti morti? Bertoldo. Quando mi partii da casa io gli lasciai che tutti dormivano e per questo io dico a te che tutti sono morti; perché, da uno che dorme ad uno che sia morto io faccio poca differenza, essendo che il sonno si chiama fratello della morte. Re. Qual è la più veloce cosa che sia? Bertoldo. Il pensiero. Re. Qual è il miglior vino che sia? Bertoldo. Quello che si beve a casa d'altri. Re. Qual è quel mare che non s'empie mai? Bertoldo. L'ingordigia dell'uomo avaro. Re. Qual è la più brutta cosa che sia in un giovane? Bertoldo. La disubbidienza. Re. Qual è la più brutta cosa che sia in un vecchio? Bertoldo. La lascivia. Re. Qual è la più brutta cosa che sia in un mercante? Bertoldo. La bugia. Re. Qual è quella gatta che dinanzi ti lecca e di dietro ti sgraffa? Bertoldo. La puttana. Re. Qual è il più gran fuoco che sia in casa? Bertoldo. La mala lingua del servitore. Re. Qual è il più gran pazzo che sia? Bertoldo. Colui che si tiene il più savio. Re. Quali sono le infermità incurabili? Bertoldo. La pazzia, il cancaro e i debiti. Re. Qual è quel figlio ch'abbrugia la lingua a sua madre? Bertoldo. Lo stuppino della lucerna. Re. Come faresti a portarmi dell'acqua in un crivello e non la spandere? Bertoldo. Aspettarei il tempo del ghiaccio, e poi te la porterei. Re. Quali sono quelle cose che l'uomo le cerca e non le vorria trovare? Bertoldo. I pedocchi nella camicia, i calcagni rotti e il necessario brutto. Re. Come faresti a pigliar un lepre senza cane? Bertoldo. Aspettarei che fosse cotto e poi lo pigliarei. Re. Tu hai un buon cervello, s'ei si vedesse. Bertoldo. E tu saresti un bell'umore, se non rangiasti. Re. Orsù, addimandami ciò che vuoi, ch'io son qui pronto per darti tutto quello che tu mi chiederai. Bertoldo. Chi non ha del suo non può darne ad altri. Re. Perché non ti poss'io dare tutto quello che tu brami? Bertoldo. Io vado cercando felicità, e tu non l'hai; e però non puoi darla a me. Re. Non son io dunque felice, sedendo sopra questo alto seggio, come io faccio? Bertoldo. Colui che più in alto siede, sta più in pericolo di cadere al basso e precipitarsi. Re. Mira quanti signori e baroni mi stanno attorno per ubidirmi e onorarmi. Bertoldo. Anco i formiconi stanno attorno al sorbo e gli rodono la scorza. Re. Io splendo in questa corte come propriamente splende il sole fra le minute stelle. Bertoldo. Tu dici la verità, ma io ne veggio molte oscurate dall'adulazione. Re. Orsù, vuoi tu diventare uomo di corte? Bertoldo. Non deve cercar di legarsi colui che si trova in libertà. Re. Chi t'ha mosso dunque a venir qua? Bertoldo. Il creder io che un re fosse più grande di statura degli altri uomini dieci o dodeci piedi, e che esso avanzasse sopra tutti come avanzano i campanili sopra tutte le case; ma io veggio che tu sei un uomo ordinario come gli altri, se ben sei re. Re. Son ordinario di statura sì, ma di potenza e di ricchezza avanzo sopra gli altri, non solo dieci piedi ma cento e mille braccia. Ma chi t'induce a fare questi ragionamenti? Bertoldo. L'asino del tuo fattore. Re. Che cosa ha da fare l'asino del mio fattore con la grandezza della mia corte? Bertoldo. Prima che fosti tu, né manco la tua corte, l'asino aveva raggiato quattro mill'anni innanzi. Re. Ah, ah, ah! Oh sì che questa è da ridere. Bertoldo. Le risa abbondano sempre nella bocca de' pazzi. Re. Tu sei un malizioso villano. Bertoldo. La mia natura dà così. Re. Orsù, io ti comando che or ora tu ti debbi partire dalla presenza mia, se non io ti farò cacciare via con tuo danno e vergogna. Bertoldo. Io anderò, ma avvertisci che le mosche hanno questa natura, che se bene sono cacciate via, ritornano ancora: però se tu mi farai cacciar via, io tornerò di nuovo ad insidiarti. Re. Or va'; e se non torni a me come fanno le mosche, io ti farò battere via il capo.
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Bertoldo e il suo asino Astuzia di Bertoldo. Partissi dunque Bertoldo, e andatosene a casa e pigliato uno asino vecchio, ch'egli aveva, tutto scorticato sulla schiena e sui fianchi e mezo mangiato dalle mosche, e montatovi sopra, tornò di nuovo alla corte del Re accompagnato da un milione di mosche e di tafani che tutti insieme facevano un nuvolo grande, sì che a pena si vedeva, e gionto avanti al Re, disse: Bertoldo. Eccomi, o Re, tornato a te. Re. Non ti diss'io che, se tu non tornavi a me come mosca, ch'io ti farei gettar via il capo dal busto? Bertoldo. Le mosche non vanno elleno sopra le carogne? Re. Sì, vanno. Bertoldo. Or eccomi tornato sopra una carogna scorticata e tutta carica di mosche, come tu vedi, che quasi l'hanno mangiata tutta e me insieme ancora: onde mi tengo aver servato quel tanto che io di far promisi. Re. Tu sei un grand'uomo. Or va, ch'io ti perdono, e voi menatelo a mangiare. Bertoldo. Non mangia colui che ancora non ha finito l'opera. Re. Perché, hai tu forse altro da dire? Bertoldo. Io non ho ancora incominciato. Re. Orsù, manda via quella carogna, e tu ritirati alquanto da banda perché io veggio venire in qua due donne che devono forse voler audienza da me; e come io le avrò ispedite, tornaremo di nuovo a ragionare insieme. Bertoldo. Io mi ritiro, ma guarda a dare la sentenza giusta. Astuzia sottilissima di Bertoldo, per non essere percosso dalle guardie. Quando Bertoldo vidde che in modo alcuno non la poteva fuggire, ricorse all'usato giudicio e, volto alla Regina disse: “Poi ch'io veggio chiaramente che pur tu vuoi ch'io sia bastonato, fammi questa grazia: ti prego in cortesia, che la domanda è onesta e la puoi fare, in ogni modo a te non importa pur ch'io sia bastonato, di' a questi tuoi che mi vengono accompagnare, che dicano alle guardie che portino rispetto al capo e che elle menino poi il resto alla peggio”. La Regina, non intendendo la metafora, comandò a coloro che dicessero alle guardie che portassero rispetto al capo e che poi menassero il resto alla peggio che sapevano; e così costoro, con Bertoldo innanzi, s'inviarono verso le guardie, le quali aveano di già i legni in mano per servirlo della buona fatta; onde Bertoldo incominciò a caminare innanzi agli altri di buon passo, sì che era discosto da loro un buon tratto di mano. Quando coloro che l'accompagnavano viddero le guardie all'ordine per far il fatto ed essendo omai Bertoldo arrivato da quelle, cominciarono da discosto a gridare che portassero rispetto al capo e che poi menassero il resto alla peggio, che così aveva ordinato la Regina. I servi sono bastonati in cambio di Bertoldo. Le guardie, vedendo Bertoldo innanzi agli altri, pensando che esso fusse il capo di tutti, lo lasciarono passare senza fargli offesa alcuna, e quando giunsero i servi gli cominciarono a tempestare di maniera con quei bastoni che gli ruppero le braccia e la testa, e in somma non vi fu membro né osso che non avesse la sua ricercata di bastone. sì tutti pesti e fracassati tornarono alla Regina, la quale, avendo udito che Bertoldo con tale astuzia s'era salvato e aveva fatto bastonare i servi in suo luoco, arse verso di lui di doppio sdegno e giurò di volersene vendicare, ma per allora celò lo sdegno che ella avea, aspettando nuova occasione; facendo in tanto medicare i servi, i quali, come vi dissi, erano stati acconci per le feste, come si suol dire. Bertoldo sta nel forno e la Regina il fa cercar per tutto. Dopo che l'infelice sbirro fu mandato a bere, si fece gran diligenza per trovar Bertoldo, ma per le pedate volte alla roversa non poteva(si) comprendere ch'ei fosse uscito fuori di corte, e la Regina lo fece cercar per tutto con animo risoluto di farlo impiccare, parendogli pur grave la beffa della veste e dello sbirro. Bertoldo viene scoperto nel forno da una vecchia, e si divulga per tutto la Regina esser nel forno. Stava dunque il misero Bertoldo in quel forno e udiva il tutto e cominciò a temere molto della morte e si pentì d'esser mai andato in quella corte e non ardiva d'uscire fuori per non essere preso, sapendo che la Regina gli aveva mal animo adosso; e ora tanto più avendogli fatto la burla dello sbirro e della veste, dubitava ch'ella non lo facesse impiccare. Ma avendo indosso quella veste, ch'era lunga, né avendola tirata ben dentro del forno tutta, essendone restata fuori un lembo, volse la sua mala sorte ch'ivi venne a passare una vecchia appresso al detto forno, e conosciuto l'orlo della veste, che pendeva fuori, che quella era una delle vesti della Regina, si pensò che la Regina fusse rinchiusa nel detto forno; onde andò in un tratto da una sua vicina e gli disse che la Regina era in quel forno. Andò colei seco e, guardando nel forno, vidde la detta veste, e, conoscendola, lo disse ad un'altra, quell'altra ad un'altra e così di mano in mano a tale che non fu meza mattina che per tutta la città andò la nuova che la Regina era in un forno dietro le mura della città. Il Re dubita che Bertoldo non abbi portato la Regina in quel forno, e va a chiarirsi del fatto. Udendo il Re simil fatto, dubitò che Bertoldo avesse portato la Regina in quel forno, perché lo conosceva tanto tristo che credeva ch'ei potesse fare ogni cosa, e le strattagemme del passato maggiormente gli crescevano il sospetto; onde subito andò alla camera della Regina e la trovò ch'ella era tutta arrabbiata; e inteso da lei la beffa della veste, si fece condurre a quel forno e guardando in esso vidde costui nel detto avviluppato nella veste della Regina, e tosto lo fece tirar fuori, minacciandolo della morte; e così fu spogliato della veste il povero villano e restò con gli suoi strazzi intorno; e tra che esso era brutto di natura e avendosi tutto tinto il mostaccio nel detto forno, pareva proprio un diavolo infernale. Bertoldo è tirato fuori del forno e il Re sdegnato dice: Re. Pur ti ci ho colto, villan ribaldo, ma a questa volta non scamperai del certo, se non sei il gran diavolo. Bertoldo. Chi non vi è non vi entri, e chi v'è non si penti. Re. Chi fa quello che non deve, gli avviene quello che non crede. Bertoldo. Chi non vi va non vi casca, e chi vi casca non si leva netto. Re. Chi ride il venere, piange la domenica. Bertoldo. Dispicca l'appiccato, egli appiccherà poi te. Re. Fra carne e unghia, nissun non vi pungia. Bertoldo. Chi è in difetto, è in sospetto. Re. La lingua non ha osso e fa rompere il dosso. Bertoldo. La verità vuol star di sopra. Re. Ancor del ver si tace qualche volta. Bertoldo. Non bisogna fare, chi non vuol che si dica. Re. Chi si veste di quel d'altri, presto si spoglia. Bertoldo. Meglio è dar la lana, che la pecora. Re. Peccato vecchio, penitenza nuova. Bertoldo. Pissa chiaro, indorme al medico. Re. Il menar delle mani dispiace fino ai pedocchi. Bertoldo. E il menar de' piedi dispiace a chi è tratto giù dalle forche. Re. Fra un poco tu sarai uno di quelli. Bertoldo. Inanzi orbo, che indovino. Re. Orsù, lasciamo andare le dispute da un lato. Olà, cavaliero di giustizia, e voi altri ministri, pigliate costui e menatelo or ora a impendere a un arbore, né si dia orecchie alle sue parole perché costui è un villano tristo e scelerato che ha il diavolo nell'ampolla e un giorno sarebbe buono per rovinare il mio stato. Su, presto, conducetelo via, né si tardi più. Bertoldo. Cosa fatta in fretta non fu mai buona. Re. Troppo grave è stato l'oltraggio che tu hai fatto alla Regina. Bertoldo. Chi ha manco ragione, grida più forte. Lasciami almeno dire il fatto mio. Re. Alle tre si fa cavallo e tu glien'hai fatte più di quattro, che gli sono state di troppo affronto. Va' pur via. Bertoldo. Per aver detto la verità ho da patir la morte? Read the full article
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Al Teatro Nuovo di Napoli Daniele Fabbri in 'Verità comode'
Grande abilità mimica e umorismo sospeso tra black humor, comicità pop e satira demenziale.     Questo è il biglietto da visita di Daniele Fabbri che, dopo un tour in diverse città, arriva al Teatro Nuovo di Napoli venerdì 5 aprile, alle 21, con Verità comode, il suo nuovo spettacolo presentato da Altra Scena. “La comicità corrosiva di Fabbri, che non è solo uno stand-up comedian, ma anche un…
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lamilanomagazine · 8 months
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Emilia-Romagna, "Come una specie di vertigine Il Nano, Calvino, la libertà" scritto, diretto e interpretato da Mario Perrotta
Emilia-Romagna, "Come una specie di vertigine Il Nano, Calvino, la libertà" scritto, diretto e interpretato da Mario Perrotta La lunga tournée di Come una specie di vertigine. Il Nano, Calvino, la libertà dell’autore e regista Mario Perrotta fa tappa al Teatro Ermanno Fabbri di Vignola mercoledì 31 gennaio alle ore 20.30. Lo spettacolo nasce in occasione del centenario della nascita di Italo Calvino (1923-1985) ed è una coproduzione di Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale con Permàr - Compagnia Mario Perrotta. Perrotta sceglie di interpretare il Nano, un personaggio minore a cui è dedicata una sola pagina memorabile del più autobiografico fra i libri di Calvino, La giornata d’uno scrutatore. Ambientato durante le elezioni del 1953, il protagonista del romanzo breve è Amerigo Ormea, intellettuale comunista alter ego dello scrittore, che lavora in un seggio nella Piccola Casa della Divina Provvidenza "Cottolengo" di Torino, istituto religioso dove erano ricoverate migliaia di persone con problemi fisici e mentali, e rimane profondamente scosso dall’incontro con il mondo di coloro che sono lì rinchiusi. «Ho scelto il Nano – scrive Perrotta – e ne ho immaginato tutta l’esistenza, che Calvino non ci racconta, proprio perché il mio intento era ragionare intorno al concetto di libertà e lui ne è totalmente privo». Come una specie di vertigine, infatti, non è solo un omaggio a Calvino, ma soprattutto un lavoro che, attraversando molte delle opere dell’autore, si interroga sul senso profondo dell’autodeterminazione. È un tema che occupa da molto tempo la ricerca artistica di Perrotta e la sua riflessione sull’uomo “animale sociale”, immerso nelle storture del nostro convivere quotidiano. «Per mia fortuna – continua l’artista – lo stesso tema ha assediato i pensieri di Italo Calvino lungo tutta la sua parabola letteraria, attraversando ugualmente i romanzi realistici, così come quelli fantastici e l’epoca combinatoria. Questo mi ha consentito di coniugare il mio “ragionare di libertà” con la possibilità di affrontare un autore che ho molto amato ma che mai avevo osato accostare al mio teatro. Ho sempre pensato, infatti, che Calvino fosse impossibile da rappresentare, almeno così com’è. È stato questo confluire delle mie riflessioni e di quelle di Calvino intorno a quella parola fragile che è “libertà” che mi hanno convinto a provarci». Quello di Mario Perrotta non è un tributo di circostanza alla figura dello scrittore, ma il frutto di un’affinità elettiva con il suo straordinario percorso artistico e intellettuale. In scena, un uomo privato della libertà, o meglio, la sua voce interiore: l’attore Perrotta diventa il Nano in un monologo in cui confluiscono episodi tratti anche da Palomar, Le Cosmicomiche, Le città invisibili, cuciti insieme per un personaggio che, partendo da un corpo, una lingua e una mente che non rispondono alla sua urgenza di dire, cerca la libertà tra queste pagine. Mescola versi, parabole, sarcastiche canzoni-teatro e improvvisi minuetti intimi, con collegamenti iperbolici tra un romanzo e l’altro. «Parto dalla sua condizione antitetica di disabile totale – racconta Perrotta – per parlare della condizione di noi “abili” che la libertà la sprechiamo ogni giorno. E affondo le mani liberamente negli altri scritti di Calvino “scalvinandoli”, scompigliandogli e ricomponendoli, così come serve al Nano per procedere nella sua serata di spettacolo. Ne è venuto fuori uno spettacolo profondamente mio che, al contempo, mi sembra rispettare nella sua sostanza profonda la lezione calviniana sulla libertà. Un omaggio personalissimo a un autore che ha saputo modellare la mia visione delle cose del mondo». Mario Perrotta è autore, attore e regista teatrale. Le sue drammaturgie, da lui dirette e interpretate in Italia, sono tradotte e messe in scena anche all'estero in diverse lingue e in vari contesti, tra gli altri il Festival d’Avignone e il New York Solo Festival, dove riceve il Premio come Migliore drammaturgia straniera nel 2018. Vince più volte il Premio Ubu, nel 2011, 2013, 2015 e nel 2022 come Migliore nuovo testo o scrittura drammaturgica per Dei figli. Premio Hystrio nel 2008 e nel 2014 per il Migliore spettacolo dell’anno, nel 2015 ottiene il Premio Nazionale della Critica per il Progetto Ligabue. Fra i riconoscimenti istituzionali, quelli della Presidenza del Consiglio e della Camera dei Deputati per “l’alto valore civile del testo e per la straordinaria interpretazione” con il progetto Cìncali, dedicato all’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra. Come una specie di vertigine - Il Nano, Calvino, la libertà - scritto, diretto e interpretato da Mario Perrotta - collaborazione alla regia Paola Roscioli - mashup e musiche originali Marco Mantovani / Mario Perrotta - produzione Permàr - Compagnia Mario Perrotta, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale - con il sostegno di Regione Emilia-Romagna, Comune di Medicina - in collaborazione con Teatro Asioli di Correggio, Duel Prossime date - 1-2 febbraio 2024 – Teatro degli Atti, Rimini - 3 febbraio 2024 – Teatro di Ragazzola, Ragazzola - 7 febbraio 2024 – Cinema Teatro Giardino, San Giorgio delle Pertiche - 8 febbraio 2024 – Teatro Ruggeri, Guastalla - 2 marzo 2024 – Teatro Sociale, Pinerolo - 3 marzo 2024 – Teatro Alfieri, Asti Informazioni - Teatro Ermanno Fabbri - Via Pietro Minghelli 11 – Vignola - tel. 059 9120911 | link  - Orari biglietteria martedì, giovedì e sabato ore 10.30-14 - [email protected] | link biglietti... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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niconote · 1 year
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NicoNote Next :: Settembre 2023
Prossimi appuntamenti giovedì 7 settembre AN DIE UNERKANNTE di e con NicoNote Mantova, Festival Letteratura Teatro Bibiena, ore 21,30h :: Prima Nazionale https://www.festivaletteratura.it/it
sabato 9 settembre LIVE SET SELECTION @ Ambient per Thom Browne live set per voce laptop e dischi di NicoNote. Voce suono, performance, sperimentazione, si rincorrono trovando una forma di dialogo sotterraneo.  Milano Marittima (Ra), Ex Arena del Mare, ore 18h 
giovedì 14 settembre '...Ma Paolo e Francesca io li conocevo bene' talk e presentazione del libro di Davide Fabbri, accompagnamento sonoro: Alessandro Di Puccio pianoforte e arrangiamenti NicoNote voce Ravenna, Prospettiva Dante, Chiostri San Francesco ore 21h www.prospettivadante.com
sabato 16 settembre NicoNote & Luca Scarlini :: RESPIRO un ritratto di Thomas Bernhard, per parole e musica Riva del Garda, Intermittenze Festival, Spiagge degli Olivi ore 22h https://intermittenze.com/
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chez-mimich · 1 year
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DARA BIRNBAUM: REVOLUTIONARY ACTS
Definire Dara Birnbaum, una fotografa è certamente riduttivo, definirla una filmaker, anche; mi piacerebbe definirla una conservatrice di immagini, ma anche questa definizione non sarebbe esatta. Forse è una “turbatrice di immagini”. Ammetto che non si tratti di una bella definizione, ma credo si avvicini al modus operandi dell’artista statunitense, della quale l’Osservatorio Prada di Milano in Galleria a Milano offre, fino alla fine di settembre, una significativa mostra intitolata “Atti rivoluzionari”, curata da Brabara London con Valentino Catricalà ed Eva Fabbris, aperta fino al prossimo 25 settembre. Nella fascinosissima sede dell’Osservatorio sono in visione una serie di video monocanale, audio, installazioni multicanale, fotografie e qualche stampa in 3D che danno bene l’idea della complessità concettuale che ha guidato l’artista dagli anni Settanta ad oggi. Se volessimo trovare, ed è molto difficile farlo, un filo conduttore dell’opera della Birnbaum, questo potrebbe essere ritrovato nel distacco del corpo dalla sua rappresentazione. Ciò avviene soprattutto attraverso la proposta di consuete e qualche volta ossessive, immagini televisive. È per esempio il caso di “Six Movements: Chaired Anxieties: Abandoned” del 1975, ispirato ad un video di Vito Acconci. Si tratta di meditazioni visive spesso di difficile interpretazione e di una voluta ambiguità, ma si tratta di immagini fondamentali per meditare sulla capacità/incapacità del mezzo televisivo verso la “comunicazione”. Provocatorio e sanamente sconcertante, in un mondo, quello degli anni Ottanta, dove tutto vorrebbe essere il contrario, è “Pop-Pop Video: General Hospital/Olympic Women Speed Skating” del 1980, lavoro partorito durante una residenza artistica su influenza di una pellicola di Jean-Luc-Godard per la televisione. Immagini di pattinatrici olimpioniche che si avvicendano sulla pista tornando sempre alla linea di partenza, alternate a quelle di una soap-opera dove medico e paziente tentano di ricomporre un conflitto. Qui è la meditazione su quella che l’artista chiama il “trattamento televisivo”, ad essere scomposto ed analizzato. Guardando queste immagini la riflessione corre a ciò che siamo noi, meglio a ciò che siamo diventati dopo anni di “trattamenti televisivi”. La lente di ingrandimento “femminista” è più che evidente nei lavori della Birnbaum. Esemplare in questo caso è “Damnation of Faust Trilogy” un’opera video sviluppata tra il 1983 e il 1987, una versione dell’opera ambientata a Soho (Nyc) tra famiglie di italiani e portoghesi, dove la conflittualità per l’affermazione della propria identità (anche sessuale), risulta particolarmente accesa. Del 1981 è il possente “New Music Short” video analogico impregnato delle atmosfere della scena post-punk newyorkese composto con riprese del concerto dei Radio Fire Fight al Mudd Club e con le immagini del compositore Glenn Branca che esegue lo sua inascoltabile “Symphony No. 1” al Performing Garage di Soho, piccolo teatro alternativo newyorkese di quegli anni. Tra le immagini della mostra anche un (doveroso) tributo alle “anime” con “Quiet Disaster” dove la Birnbaum mostra tre personaggi in pericolo, stampati su dischi di plexiglas che enfatizzano l’estrapolazione dei ritratti dai loro contesti originali, mettendo in mostra come l’operazione ne accentui isolamento e drammaticità iconica come accade alle immagini proposte dai media. Ma il pezzo forte della mostra è certamente “Trasmission Tower: Sentinel” del 1992, un’installazione video a 8 canali, imponente opera video-scultorea presentata a Documenta 9 dove otto monitor sospesi fanno scorrere a cascata le immagini di un reading del 1988 del poeta Allen Ginsberg mentre legge una versione rivisitata della poesia “Hum Bom!” (1971); nei video scorre anche, come un’insinuante minaccia, una piccola immagine di George Bush mentre tiene il suo discorso di accettazione alla Convention Repubblicana del 1988. Molte, ma non troppe, le opera esposte all’Osservatorio di questa artista troppo spesso trascurata.
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puntoelineamagazine · 2 years
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Mistero buffo
Foto di scena: Mistero buffo – Matthias Martelli © Andrea Macchia Teatro Ermanno Fabbri Via Minghelli, 11 – Vignola Mistero buffo di Dario Fo e Franca Rame con Matthias Martelli regia Eugenio Allegri audio e luci Loris Spanu management artisti Serena Guidelli amministratore di compagnia Stefano De Leonardis organizzazione Carmela Angelini produzione Enfi Teatro sabato 4 marzo 2023, ore…
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'Selinute' video installation [AR L.06], Vignola/Roma, 2021. Excerp ~
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profeliteratura · 5 years
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ANÁLISIS CANTO 1
COMO COMPLEMENTO A LO QUE DAREMOS HOY EN CLASE AGREGAMOS ESTE MATERIAL.
LEER !!!!
MATERIAL COMPILADO DEL BLOG DE LA PROFESORA PAOLA DE NEGRIS
Análisis - Canto I - Divina Comedia - DanteInfierno. Canto I El primer canto de La Divina Comedia actúa como una introducción a la obra en la medida en que allí se anuncia el recorrido de Dante a través de los tres reinos de ultratumba: Infierno, Purgatorio y Paraíso. Queda además asentado el sentido de su viaje como único camino para la salvación del alma, y se anticipa la presencia de Beatriz como guía que lo conducirá por el paraíso así como el papel de Virgilio que lo guiará a través de Infierno y Purgatorio. Además de esta función de pórtico de una obra monumental, el canto primero actúa como introducción al primer reino que Dante debe recorrer; de ahí que el lector se vea inmerso en un ambiente de oscuridad y temor, elementos esenciales al infierno. La poesía del canto se ve en parte constreñida por la acumulación de elementos conceptuales que Dante vuelca en estas primeras páginas, creando con ello una estructura rígida, pero muy en concordancia con el gusto medieval. Los elementos estructurales claves son: las alegorías de la selva, la colina, las alegorías de las tres fieras; el encuentro y diálogo con Virgilio. El canto se inicia con una metáfora célebre: “Nell mezo del manin di nostra vita”. Con ella el autor nos introduce en un ambiente incierto en el que la realidad aparece desdibujada o trascendida por la fuerza de los significados alegóricos. La anécdota concreta del individuo perdido en la selva, deviene con toda naturalidad signo del hombre que va trazando su destino. El yo de Dante personaje es a la vez un “nosotros” y la selva, en cuya oscuridad se pierde, es transparente alusión al pecado, ausencia de luz divina. Se ha definido a la alegoría como encadenamiento de símbolos o como materialización de ideas abstractas entendidas de forma convencional. El alegorismo, verdadera pasión del hombre medieval, proviene de una doble fuente: griega y semítica. Su origen estaría en el adorno de la expresión, en la comparación y la metáfora, fundándose en el placer refinado de ocultar el pensamiento. En las Escrituras, la alegoría encubre verdades de un orden superior, y es antes una noción teológica que literaria, pues Dios encubre unas realidades con otras, del mismo modo en que el hombre las oculta tras las palabras. Alejandro de Hales afirma que “la sabiduría se encuentra en el misterio”. Lo real visible es entonces signo de un mundo invisible y misterioso. Aristóteles encuentra la gracia del estilo en el ocultamiento del sentido literal; Santo Tomás defiende también la poesía alegórica como la más conforme a la naturaleza humana. El papel del poeta consiste en envolver en bellas mentiras sublimes verdades. La alegoría es elemento fundamental para la captación del contenido; el supremo arte del poeta consiste en revestir toda una suma de saber e inteligencia con la belleza de un estilo adornado con gracia. La Divina Comedia intenta cumplir con este ideal. El alegorismo es pues una forma de concebir el mundo, no sólo un estilo literario. Es en el mundo real donde hay que buscar símbolos, pues todo prefigura lo invisible. Todo esconde un significado y la creación es un inmenso repertorio de símbolos cuyo enunciado final es Dios. La Divina Comedia es ella entera una alegoría, un largo sueño que comienza en el canto primero del infierno. En este sueño, el poeta ve desfilar sus odios, sus amores, su tierra, sus creencias, su saber, ante un testigo y juez supremo: su conciencia. Hay infinitas alegorías dentro de La Divina Comedia, muchas de las cuales no podemos develar totalmente. Las imágenes de Dante tienen, según Fraciosi una doble función: embellecer verdades comunes o hace accesibles verdades sobrenaturales. “Las imágenes, alegorías y símbolos tienen la función de ejemplos destinados a hacer comprender o admitir la lección” afirma Ivonne Batard. El canto primero del Infierno es el más claramente informativo de la Divina Comedia: en él se expone el motivo del viaje y en él se acumulan numerosas alegorías: la pantera, la loba, el león, el veltro, y cada una de ellas es susceptible de diversas interpretaciones. El sentido literal desaparece bajo este alud de símbolos. El lenguaje alegórico proveyó en la Edad Media material a tapices y vitrales, retablos, obras de teatro y poemas. El uso de símbolos se hacía imprescindible en una época profundamente religiosa en la que las realidades espirituales debían ser difundidas en un lenguaje accesible a todos los hombres. Descifrar símbolos y alegorías era la forma en que solían apreciarse las obras de arte, y esta traducción o lectura iba de la imagen concreta al concepto. Aristóteles definió a la alegoría como una “metáfora continuada” valorizando así la amplitud o la diversidad de elementos que podían caber en ella. El arte medieval era entonces muchas veces un laberíntico juego de imágenes propuesto por el artista para que lectores o espectadores pusieran a prueba su ingenio. El laberinto estaba integrado por alusiones bíblicas y mitológicas, culturales y políticas, de la más variada procedencia. La metáfora de la vida como camino alude por un lado a la obra del propio Dante (Convivio IV, XXXIII, IX) según la cual la vida humana es como un arco cuyo punto central son los treinta y cinco años. Esta imagen, a su vez tomada de Aristóteles, se conjuga perfectamente con la concepción bíblica de la vida del justo como un camino recto que conduce a Yavé, mientras la del impío se pierde en la nada (Salmo I). Por un lado Dante autor hace gala de sus conocimiento, por otro Dante personaje reconoce humildemente los errores de su espíritu y los pecados de su cuerpo. La senda de perdición a la que se encaminó le será duramente reprochada por Beatriz, pues sus infidelidades y su falta de elevación espiritual están a punto de alejarlo definitivamente de Dios. De ahí el viaje por el infierno, drástico recurso de la amada para volverlo al buen camino. “Cuando de cuerpo me convertí en espíritu, creciendo en hermosura tanto como en virtud, fui para él menos amada y grata. Extraviáronse sus pasos por erradas sendas, yendo tras las falaces sombras del bien, que ninguna de sus promesas dan cumplida. Ni me sirvió recabar para él santas inspiraciones, a las que, ya en sueños, ya despierto, hice por atraerle; con tal menosprecio las recibía; y llegó a tal estado de perdición, que para salvarle eran todos los remedios ineficaces, y sólo restaba poner ante su vista a los condenados (Purg. XXX). Hay, pues, en la Comedia, toda ella militante, un doble combate: por un lado, contra el viejo yo, contra el pecado conocido por dentro y revivido afectivamente; por otro contra los vicios de la humanidad más ajenos al alma del poeta y personificados en los más inmediatos adversarios de su ideal de paz y de justicia. Estos dos aspectos no están netamente separados. “La Divina Comedia es autobiografía poética, pues su materia es un mundo visto a través de la historia de un alma, que, por añadidura, representa alegóricamente a toda la humanidad y a sus posibilidades de perdición, de purificación, de salvación.” (Luce Fabbri: Dante en la poesía comprometida del siglo XIV) Tres adjetivos caracterizan a la selva: “salvaje y áspera y fuerte”. Con ellos Dante configura a la vez un paisaje físico y un estado de desolación espiritual en el que el hombre hundido en la oscuridad, es incapaz de encontrar una salida. Para el autor la intensidad del sentimiento vivido constituye un problema estético: “¿Cómo decir hasta qué punto aquella selva, cuyo recuerdo hace revivir mi pavor, era tupida, áspera y salvaje?”. Para Dante personaje, es un problema vital; la angustia del pecado es anticipación de la muerte en el alma. Pero ambos vibran a la vez cuando el sentimiento adquiere la fuerza suficiente como para anular el tiempo: “sólo recordarlo renueva mi pavor”. El poeta atesora los recuerdos como imágenes vivientes, de modo que el temor, el dolor, o la compasión que con frecuencia dominan a Dante personaje en el infierno, afectan por igual al autor que los describe, y dan a la obra un tono de verdad, en la medida en que esos sentimientos son incuestionables. Esta verdad vital contrasta con el juego conceptual de la alegorías. El ambiente desolado de los primeros versos admite con perfecta coherencia la presencia de las fieras y de la sombra, pero a la vez sugiere el estado de ánimo del caminante perdido que no desdeñará ningún recurso para huir de la selva. Es así que el canto primero introduce y a la vez justifica el viaje de Dante a los treinta y cinco años de su vida, durante la Semana Santa del año 1300. este peregrinar hacer coincidir la pasión y resurrección de Cristo evocada en ese período de la liturgia cristiana con el sufrimiento, purificación y salvación de Dante en su viaje por el más allá. El autor recurre a la anticipación como forma de sugerir una salida a tan angustiante situación “mas por hablar del bien que allí encontré”... antes de seguir oscureciendo el paisaje con la presencia de las fieras, insinúa metafóricamente una esperanza. Ese bien que encontrará es Virgilio. El tiempo se desdibuja: pasado, presente y futuro se confunden, pues estamos en el mundo del recuerdo y del sueño. Los acontecimientos adquieren en este sueño de Dante, que es La Divina Comedia, una dimensión diferente que posibilita el paisaje de la realidad vital (Dante y su crisis espiritual) al mundo alegórico (el caminante perdido en la selva) y por fin al ámbito poético, donde la imaginación plasma todas las visiones. La entrada a la selva es el ingreso al mundo de la fantasía de Dante, pero además el autor propone una reflexión acerca de la naturaleza de la tentación: el hombre se abandona al pecado como quien penetra en el sueño, dejando adormecer su conciencia por obra del demonio que “largamente acuna nuestro encantado espíritu”, como dice Baudelaire. El sueño es la muerte y el despertar será nacer a una nueva vida. Toda obra es un sueño de valor catártico (purificador) en la medida en que conduce a la salvación. La Divina Comedia es el sueño del que Dante sólo despierta después del encuentro con Dios, pero es también un sueño político: la ilusión de crear un día un mundo perfecto. Dice Gillet: “ Esta inmensa porción soñadora de la humanidad, siempre vuelve al mismo sueño de un salvador, de un ángel todopoderoso, que le traerá el término de sus desdichas”. Los sueños son en La Divina Comedia tanto anticipos de lo venidero como revisiones de los pasado. La visión de la colina iluminada contrasta vivamente con la oscuridad que reina tanto en la selva como en el ánimo del personaje. La luz, símbolo de la salvación, es en el lenguaje poético de Dante el vestido que cubre la colina. Los recursos estilísticos se acumulan en este terceto: alegoría, personificación y metáfora; la colina representa alegóricamente el bien o la virtud, a la que sólo se accede mediante el esfuerzo de escalar; la luz que la ilumina es Dios, fuente de todo bien; el planeta, que “conduce rectamente por todos los caminos”, es el sol. La angustia se aquieta a la vista de la luz, la tormenta provocada interiormente por el miedo se presenta bajo la forma de una nueva metáfora, agitando el lago del corazón, donde se supone que radican todos los sentimiento. La metáfora de las aguas del lago se encadena dinámicamente con una nueva imagen marina que abarca los dos tercetos siguiente. Dante es ahora un náufrago, que habiendo logrado salvar su vida, mira inquieto el peligro que acaba de dejar atrás. El símil fue tomado de Virgilio quien a su vez lo había tomado de Homero. En éste las comparaciones en general tienden a convertirse en símiles pues constituyen pequeños cuadros dotados de vida propia, que permiten aludir a un mundo ajeno a lo bélico que es el tema exclusivo de la Ilíada. Las comparaciones lo aligeran con visiones de la vida cotidiana, lejos de la sangre y de la guerra. La Divina Comedia posee tal variedad temática que los símiles no son necesarios desde este punto de vista, y por eso quedan mucho más profundamente ligados a su función comparativa. Lo incontrolable del miedo resulta eficazmente sugerido con la imagen del ánimo de Dante “que todavía huía” mientras el cuerpo yacía en la playa. La gravedad de la situación es puesta en relieve al afirmar el poeta que de allí “jamás salió persona viva”. Luce Fabbri sostiene que el símil del náufrago podría servir de epígrafe a todo el infierno en la medida en que expresa “el sentimiento de riesgo inmenso milagrosamente superado y al que otros subieron”. Este mundo de miedo, oscuridad y muerte anticipa eficazmente el clima del infierno donde las imágenes aterradoras se suceden unas a otras, con breves pausas que apenas permiten la distensión suficiente como para lograr un nuevo impacto. Así sucede con la aparición de las tres fieras. Durante la Edad Media, entre los siglos XII y XIV, alcanzaron gran popularidad los bestiarios, narraciones en prosa acompañadas de ilustraciones en las que se atribuían características morales a los diferentes animales según sus costumbres reales o supuestas. Dante recurre a esta tradición de carácter didáctico para representar a los enemigos que el hombre tiene en su ascenso hacia la virtud. La pantera, por la belleza de su piel manchada y por la agilidad de su movimientos es una alegoría de la lujuria. “Tiempo era del comienzo de la mañana, el sol subía rodeado de aquellas estrellas que estaban con él cuando el amor divino puso en movimiento aquella obra hermosa, así de esperar el bien, tuve ocasión de aquella fiera de brillante piel, por la hora del día y la dulce estación” La dulzura del ambiente sugiere una sensualidad propicia al amor. Es la mañana de un día primaveral, cuando la naturaleza se reviste de una belleza prístina. El autor emplea una perífrasis para aludir a la estación del año, gracias a ella nos remite a un mundo recién nacido, fruto del amor divino. Lo súbito de la aparición y el brusco cambio de clima sugieren un ambiente de irrealidad que hace más transparente el significado alegórico. El personaje confía en la fiera; su belleza la hace atractiva y no temible. De este modo representa Dante el proceso de la tentación: el hombre se abandona a lo atractivo de las apariencias, sin ver el peligro que esconden. La lujuria que ella representa se vincula al amor aunque en forma inadecuada; de ahí el dominio que la pantera ejerce sobre Dante. El amor más perfecto es el amor divino – caritas – sugerido en la belleza de la creación; el extremo opuesto es la lujuria – eros – deformada imagen del amor verdadero. El autor ve a la lujuria con particular benevolencia, por ser el único pecado que se refiere al amor. Mientras el cristianismos medieval solía condenar el cuerpo y sus apetitos como uno de los elementos esenciales para la perdición del hombre. Dante admite a los lujuriosos en el purgatorio, y es con profunda compasión que los ubica en uno de los círculos superiores del infierno, como sin atreverse a castigar aquel pecado en el que puede quedar alguna chispa del amor divino. Al vincular la imagen de la pantera al amor, los versos de Dante adquieren un refinamiento y una dulzura propia del dolce stil nuovo, muy poco frecuentes en el Infierno, salvo en el canto quinto, cuyo tema también es el amor. De las tres bestias, la más hermosa es la pantera, de los tres pecados que ellas simbolizan, es el único que ni atemoriza ni repugna. Por segunda vez hay en el canto una alusión al sol, a la luz, símbolo de la salvación. Dante entrevé la posibilidad de una transformación lograda por el amor, pues el amor humano es un equilibrio entre eros y caritas, entre lo carnal y lo espiritual. La figura del león se impone visualmente. Una característica esencial del estilo de Dante es la seguridad del trazado al presentar a sus personajes en una forma casi estatuaria. En pocas palabras quedan fijados en imágenes de gran fuerza visual y de gran valor simbólico. El león, con la cabeza erguida y un hambre rabiosa, representa alegóricamente a la soberbia. Su gesto sugiere el orgullo del que se sabe poderoso y goza al humillar a los demás. De ahí la observación de Dante: “Hasta el aire parecía temerle”. La aparición de mayor fuerza dramática es la de la loba, que atemoriza de tal modo a Dante que éste pierde la esperanza de alcanzar la cima. En esa estructura perfectamente simétrica que es la Divina Comedia, se hace evidente la progresión del miedo ante cada aparición. También hay que destacar el valor simbólico del número en la triple aparición de las fieras. La tradición cristiana solía valorizar el número tres como representativo de la Trinidad divina, y en la obra de Dante adquiere un valor clave. La razón de la elección de estos tres vicios entre todos los que aquejan al hombre, puede justificarse porque sean aquellos que el autor siente como más difundidos entre sus contemporáneos; para Santo Tomás eran esos los tres pecados básicos de los que nacían los demás, también Dante se siente personalmente implicado en ellos. Estos tres pecados están sin duda entre los móviles más profundos del individuo y de la sociedad. La lujuria se vincula no sólo a las pasiones carnales sino a todos los placeres que pueda apetecer la sensualidad humana, es decir que representa en la estructura del infierno dantesco a los pecados de incontinencia. La soberbia implica el avasallamiento y la humillación del otro: la tiranía y la violencia pertenecen entonces al segundo gran núcleo de pecados infernales; los de loca bestialidad. La avaricia o la codicia presentados por Dante como los de mayor peligrosidad, se vinculan con todas las formas del engaño en la medida en que la insaciabilidad propia de la loba no se detiene ante ningún delito: violencia, fraude o traición. Esta estructura del infierno basada en tres tipos de pecados: incontinencia, loca bestialidad y malicia está expresada por Dante en el canto XI del infierno. Algunos críticos han atribuido a las tres fieras un significado político. La pantera representaría a Florencia, el león a Francia, cuyo rey aspiraba al poder sobre la ciudad y la loba es el papado, que pretende unificar a Italia entera bajo su autoridad. La loba es, entre las tres fieras, aquella en que se acumulan mayor cantidad de elementos simbólicos: su delgadez, sus torpes deseos, la miseria que genera a su alrededor. Su aspecto carece de la dignidad del león o de la belleza de la pantera: la codicia es para Dante un vicio repulsivo y degradante. La flacura alude a la insaciabilidad de sus apetitos: “cuanto más come más hambre tiene” dirá de ella Virgilio, pues la codicia pretende una acumulación de bienes que no produce más beneficio que la posesión misma. En su afán no hay placer ni descanso, de ahí lo desagradable de su aspecto. Pero la codicia se emparenta además con el egoísmo más cruel, y por eso genera miseria en torno a sí. Dice Luce Fabbri: “Para Dante y – más en general – para el pensamiento medieval, la palabra avaricia tenía un significado mucho más amplio que para nosotros: diría que tenía, aún considerada en sí misma, un significado más político. Era amor por los bienes de la tierra en contraposición con los bienes celestes. Comprendía por lo tanto el deseo de poder para satisfacer una ambición personal. La comparación a la que recurre Dante para explicar su derrota frente a la loba está fuertemente enlazada con el tema de la avaricia, pues él se ve a sí misma como el hombre que llora despojado de sus tesoros. Es característico del estilo de Dante el poder dinámico de las imágenes que se enlazan unas a otras con facilidad y se convierten de comparación en metáfora, de metáfora en símbolo, de símbolo en alegría. Se acumulan en estos versos la perífrasis: la loba es “bestia sanza pace”, la selva “la dove il sol tace”. Hay también una personificación y una sinestesia, pues la oscuridad es el lugar donde el sol se calla, la falta de luz se asocia al silencio absoluto, y ambos a la muerte. Simbólicamente, oscuridad, silencio y muerte representan al pecado en el que el protagonista se cree ahora definitivamente sumergido. Es en este momento de pérdida de la esperanza que aparece la sombra de Virgilio, de ahí el aferrarse del personaje esta figura misteriosa. “apiádate de mi – le grité – quien quiera que seas: sombra u hombre verdadero” En la atmósfera de irrealidad que se respira en la selva, no es extraña la aparición de una sombra, aún así es, por su aspecto humano, preferible a la loba. Su apariencia la hace confiable, pero además su presencia nos introduce con naturalidad en la atmósfera de ultratumba. Para Momigliano estos versos con los que Virgilio aparece en medio de la oscuridad y del silencio del “gran desierto” constituyen el primer gran cuadro del reino de las sombras. En efecto confluyen en él la angustia, la oscuridad, el miedo y la presencia espectral. Las palabras del Virgilio lo ubican progresivamente: primero en su doble condición de espíritu y ser humano, luego en su patria, su época y su profesión. Sus palabras, de carácter sobriamente informativo, dejan traslucir un sentimiento de nostalgia de la fe cristiana y la melancolía de quien se siente para siempre exiliado del bien o de la verdad. De su época destaca Virgilio dos figuras: la de Julio César, que conoció tardíamente, y tal vez con esto sugiera que no llegó a vivir el esplendor de la República, y la de Augusto, al que califica de “bueno” explicitando así su adhesión al imperio. De su obra poética alude sólo a la Eneida, y también por medio de perífrasis como lo había hecho con su propio nombre. La alusión a ésta como obra única, en detrimento de las Bucólicas y las Geórgicas que también contribuyen a la fama del autor se debe a que es a obra épica la que Dante prefiere y la que más claramente le servirá de modelo literario. Dante se siente un nuevo Eneas, destinado por Dios a un viaje que lo conducirá, como al héroe troyano, de la muerte a la vida. Si el altísimo propósito del viaje de Eneas fue la fundación de Roma, el de Dante será la salvación de los hombres gracias al testimonio que él pueda dejar. Son numerosas las razones por las cuales Virgilio fue elegido por Dante como su guía. Las de índole estética quedan explicitadas en las palabras de admiración con que lo saluda Dante personaje. Nada dice en cambio de las razones morales o políticas que se harán evidente a lo largo de la obra. La Edad Media vio en Virgilio a un profeta, a un taumaturgo y a un sabio. Fue el más leído de los poetas de la antigüedad. Se lo consideraba un hombre dotado de virtudes excepcionales en el mundo pagano: por su amor a la paz y al vida sencilla, expresando en las Geórgicas, y causa de la profecía de la Bucólica cuarta en la que anuncia el nacimiento de un niño que será el salvador del mundo. Resulta admirable que un poeta muerto diecinueve años antes del nacimiento de Cristo pudiera anunciarlo. Estudios modernos han puesto de manifiesto que en realidad la “profecía” de Virgilio no se refería a Cristo, sino a un niño príncipe, hijo de uno de sus mecenas. Dante pone en su boca el anuncio del advenimiento de un príncipe que dominará a la loba, siguiendo el don que la tradición medieval le adjudicaba. A éstas se suman razones políticas: Virgilio es un poeta de los comienzos del imperio, la forma más perfecta de gobierno que Dante puede concebir. Tal concepción política se pone de manifiesto en el tratado de Dante “De la monarquía”. Virgilio es además italiano, y Roma representa para la Edad Media el centro de poder religioso, así como había sido para el mundo pagano centro jurídico y político. Por todo esto Virgilio representa la razón humana, que basta para apartar al hombre del pecado y conducirlo a los umbrales del paraíso. “Dante representa en cierto modo la conciencia del medioevo iluminada por la sabiduría de la antigüedad, y es el más solemne testimonio de la continuidad que liga la cultura latina con la cultura medieval... Dante gusta y alaba la poesía de Virgilio con su sentido del arte que preludia al clasicismo de la época humanística” (Momigliano). Con estas palabras se pone de relieve uno de los valores fundamentales de la obra de Dante: siendo La Divina Comedia el máximo monumento de la literatura medieval, por su concepción filosófica y religiosa, por su tema, su estructura y su propósito didáctico, anticipa a la vez al Renacimiento por la belleza y el cuidado de su estilo, por la diversidad de fuentes en las que se inspira y por su admiración declarada por la antigüedad clásica. Desde el punto de vista poético Dante es perfectamente conciente de ser el sucesor de Virgilio, de ahí que lo llame su maestro. Además Virgilio es su padre y su guía: “Virgilio nos había dejado huérfanos, Virgilio que había sido padre dulcísimo para mí, Virgilio a quien se había encomendado mi salvación” (Purgatorio XXX). Este lamento de Dante ante la separación alude al vínculo afectivo que une a ambos personajes más allá de las intenciones doctrinales del autor, para quien la razón humana, representada por Virgilio, debe ceder ante la representada por Beatriz. La emoción de Dante en el encuentro en la selva también va más allá de todo argumento racional; el autor ama al poeta Virgilio con toda la pasión que un poeta puede experimentar ante la belleza de una obra. Virgilio es fuente de la que brota un río de poesía ante el que Dante se siente intimidado. También es luz de los demás poetas por su papel destacado entre ellos, y por último es el maestro y el autor de Dante. Con estos sustantivos desprovistos de todo adjetivo encomiástico, Dante señala el valor único, exclusivo de Virgilio. El bello estilo “que le ha dado tanto honor” se debe al estudio y la imitación de Virgilio. Se evidencia aquí el criterio medieval de la valoración de los modelos y la desvalorización de la originalidad. Este enfoque vale no sólo para la literatura sino para cualquier otra rama del saber y explica la lenta maduración del conocimiento durante todo este período. Esta concepción, propia de una época de muy fuertes convicciones religiosas y de estructuras jerárquicas inamovibles, se manifiesta en la poesía, por la imitación de obras consideradas paradimáticas. Así Dante cree que su fama no se debe a su propio genio sino el grado en que supo ser fiel a Virgilio. En los versos siguientes Dante se centra en torno al tema de la loba. Reaparece allí el leit-motiv del Canto I: el miedo. La fiera adquiere aquí su mayor fuerza como figura real y alegórica. Su potencia destructiva es tan incontrolable como su hambre. El miedo ya no es sólo temor físico de ser devorado por la bestia, sino el de ver a la humanidad entera destrozada por el poder de la codicia. Todos los hombres formarían una especie de corte de animales que corren tras la loba aspirando a aparearse con ella. Dante se reconoce derrotado, sea porque se siente más inclinado a la codicia que a ningún otro vicio, sea porque considera que ésta es el mal que más amenaza a la humanidad. A esta imagen aterradora le sigue la profecía del Veltro (lebrel o perro de caza). Sólo aquel que se alimente del espíritu podrá ser inmune al poder de la codicia. Cuando todos los caminos terrenales están cerrados, sólo queda la esperanza de la salvación espiritual. Estos versos tienen una clara correspondencia con la situación vital de Dante en el momento de escribir La Divina Comedia. Exiliado, traicionado, desengañado de toda esperanza política. Dante ve muy lejana la salvación de Florencia, ávidamente codiciada por Francia y el Papado. Corresponde entonces renunciar a todo poder temporal y orientarse a la salvación del alma, superar las frustraciones personales y buscar una solución trascendente a los problemas humanos. El lebrel habrá de perseguir y cazar a la loba hasta lograr encerrarla en el infierno. El tono profético, frecuente en la Divina Comedia, implica siempre un lenguaje ambivalente cuyos contornos son lo suficientemente difusos como para abrir diversas posibilidades interpretativas. El lebrel o veltro puede ser Can Grande Della Scala, protector de Dante a quien dedica la obra, o también un emperador que podrá poner fin a la avidez material y conducir a Italia hacia un reinado de justicia y paz. Al aludir a su patria, Dante menciona a los héroes que aparecen en la Eneida: Camila y Turno príncipes de los Bolgos y los Rutulos, que lucharon contra Eneas, Euríalo y Niso, héroes troyanos. Con esto evidencia la tradición heroica de su pueblo y demuestra el conocimiento detallado que posee de la obra de su maestro. A partir del verso ciento doce Virgilio describe el trayecto a recorrer y explica su propósito. Los tres reinos son caracterizados por medio de perífrasis: el infierno es el lugar “de las desesperadas lamentaciones”, el purgatorio el “de los que están contentos aún en medio del fuego”, y el paraíso “la alta región de los bienaventurados”. Se contraponen infierno y purgatorio como sedes de la desesperación y la esperanza respectivamente. También anuncia que él será su guía y luego aludiendo a Beatriz dice: “un alma más alta que la mía te conducirá a la región de los bienaventurados”. Virgilio designa a Dios como “el emperador que reina allá arriba” con lo que pone de manifiesto su concepción del mundo como un imperio regido por un Dios único del que los reyes dependen. Su reinado se ejerce directamente sólo en el cielo, donde está la sede de su trono y su ciudad. En la tierra los reyes son quienes lo representan. Esta concepción es expresada por Dante en su tratado “De la monarquía”. La exclamación final de Virgilio: “felices los que él elige” deja asomar toda su melancolía por no haber conocido la fe cristiana y saberse apartado de Dios para siempre en el Limbo, donde moran los que no pudieron conocerlo. Queda así delineada la finalidad espiritual del viaje y trazado el camino a recorrer. No pudiendo superar por sus propias fuerzas los pecados ni apartarse del vicio, Dante deberá descender a los infiernos acompañado de Virgilio, lo que alegóricamente es interpretado por Momigliano como: “Meditar acerca de las consecuencias del pecado y arrepentirse de los cometidos guiados por la razón”. Las palabras finales del canto que muestran a Dante siguiendo los pasos de Virgilio, poseen también un valor simbólicos: Dante es su discípulo no sólo en la poesía sino en la vida. Extraído del texto "Dante" de Margarita Carriquiry y Teresa Torres.Trabajo realizado por la Prof. Paola De Nigris
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sguardimora · 1 year
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Ghermandi/Toccafondo in residenza per “Il Teatro di Bumbòz”
04 Maggio 2023 - 11 Maggio 2023
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Inizia oggi la residenza creativa per la ricerca e la composizione del nuovo spettacolo di Francesca Ghermandi, Gianluigi Toccafondo, Nicoletta Fabbri e Rosanna Lama.
Durante la notte in un deposito abbandonato vagano pipistrelli e fantasmi. La loro danza è improvvisamente interrotta dall’arrivo del guardiano, un tipo strampalato che non riuscendo a cacciarli, capisce che l’unica maniera per rabbonirli è parlare con loro e rispondere a una telefonata dall’aldilà. Tutti vogliono dire qualcosa, ma non sembrano cattivi, solo un po’ logorroici: tra questi c’è il freddoloso, il lurido che vive in un bidone, la donna perennemente indecisa che racconta di un passato amore, il vecchio che scrive ai ladri perché non sa cosa gli hanno rubato, il giocatore che non riesce a fare il solitario con le carte del bar, buone solo a farci il brodo e tanti altri, che compaiono e scompaiono. Sotto gli occhi del guardiano prende vita lo scatenato teatrino di ‘bumbòz’, pupazzi scappati fuori dalle pagine di Raffaello Baldini.
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Francesca Ghermandi è una fumettista. Le sue storie e i suoi disegni sono stati pubblicati da riviste italiane e straniere a partire dalla metà degli anni ’80. Ha pubblicato diversi libri a fumetti e illustrati tra cui Pasticca, ed. Einaudi; The Wipeout, Fantagraphics Books; Hiawata Pete, Grenuord, Coconino Press; Un’estate a Tombstone, Comix-Panini; Le Avventure di Ulisse di R. Piumini, Mondadori. Ha realizzato le scene animate dello spettacolo Mon Jour di Silvia Gribaudi.
Gianluigi Toccafondo è nato a San Marino nel 1965, ha studiato all’Istituto d’Arte di Urbino, vive a Bologna. Dal 1989 realizza cortometraggi di animazione con ARTE France, pubblicità negli Stati Uniti e Giappone, sigle per la televisione italiana e per la 56a Mostra d’arte cinematografica, loghi animati come Scott free, Fandango; è stato l’aiuto regista di Matteo Garrone per il film Gomorra e ha disegnato i titoli animati per il film Robin Hood di Ridley Scott. Per l’Opera lirica ha realizzato scene, video e costumi per Opera camion, Teatro dell’Opera di Roma.
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retegenova · 5 years
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CUNEO
dal 18 al 21 luglio
  Quest’anno saremo nel cartellone 2019 di Cuneo illuminata, la manifestazione nata nel 2015 che con 2 milioni di lampadine accese illumina il centro storico della città piemontese. L’edizione 2019  è dedicata alla Luna, e la Tosse porterà per le piazze e le vie del centro cuneese la parata/spettacolo de Le Nove lune.
  LE 9 LUNE 
di Emanuele Conte e Amedeo Romeo
regia Emanuele Conte 
collaborazione ai testi Alessandro Bergallo
canzoni Giua
  costumi Daniela De Blasio
luci Matteo Selis e Andrea Torazza 
con Alessandro Bergallo, Pietro Fabbri, Lisa Galantini,  Giua,  Enrico Campanati, Marco Lubrano 
Sarah Pesca, Lara Quaglia, Roberto Serpi, Graziano Sirressi
  produzione Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse
   Le nove lune di Emanuele Conte e Amedeo Romeo con  la regia di Emanuele Conte  e la collaborazione ai testi di Alessandro Bergallo, le canzoni sono realizzate da  Giua. Nel corso dei secoli noi esseri umani ci siamo sbizzarriti nell’attribuire alla Luna poteri ora malefici ora taumaturgici, vi abbiamo riposto speranze e seppellito paure; abbiamo sognato di raggiungerla con i mezzi più improbabili, l’abbiamo mitizzata e l’abbiamo posta al centro dei nostri sogni. 
Poi un giorno qualcuno ha provato ad osservarla più da vicino, e qualcuno addirittura pare ci abbia passeggiato e vi abbia conficcato la propria bandiera. Potrebbe sembrare che da allora le fantasie si siano ritratte, e che la Luna sia divenuta arida e prosaica. 
E se non fosse così? Se nonostante la scienza le creature protagoniste della fantasia e della mitologia fossero rimaste lassù, testimoni immortali, nient’affatto disposte a lasciare che il loro astro si trasformi in un’inutile sfera imperfetta, deserta e butterata da crateri?
Sono milioni le nostre lune, e nove di loro ci aspettano quest’estate dove, accompagnati da Astolfo partito in sella a un ippogrifo per ritrovare il senno di Orlando, compiremo un viaggio fantastico alla ricerca di tutto ciò che abbiamo perduto, anche quello che non sappiamo di aver perso.
Le canzoni sono di GIUA, protagonisti dello spettacolo sono Alessandro Bergallo, Pietro Fabbri, Lisa Galantini,  Giua,  Susanna Gozzetti,  Sarah Pesca, Lara Quaglia, Roberto Serpi, Graziano Sirressi, Mariella Speranza. I costumi di Daniela De Blasio sono realizzati dalla sartoria del Teatro della Tosse e luci sono firmate da Matteo Selis e Andrea Torazza 
    Davide Bressanin
Ufficio stampa
Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse ONLUS
www.teatrodellatosse.it
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CUNEO – dal 18 al 21 luglio – LE NOVE LUNE CUNEO dal 18 al 21 luglio   Quest’anno saremo nel cartellone 2019 di Cuneo illuminata, la manifestazione nata nel 2015 che con 2 milioni di lampadine accese illumina il centro storico della città piemontese.
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simonettaramogida · 3 years
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ART/ DOSTOEVSKIJ: NEL GIORNO DEL CENTENARIO MONOLOGO SULLA VIOLENZA DOMESTICA CON LA REGIA DI NICOLA ZAVAGLI
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lamilanomagazine · 10 months
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Trieste, mostra "più o meno positivi" del Dipartimentale Dipendenze dell'ASUGI
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Trieste, mostra "più o meno positivi" del Dipartimentale Dipendenze dell'ASUGI. Da anni, in occasione della "Giornata Mondiale per la Lotta all'AIDS", l'Area Dipartimentale Dipendenze dell'ASUGI organizza una serie di incontri d'interesse scientifico e culturale in coorganizzazione con il Comune di Trieste, con il patrocinio della Regione Friuli Venezia Giulia, con il contributo delle cooperative sociali La Collina, Duemilauno Agenzia Sociale, Amico, CLU, La Quercia e dell'Associazione ALT, con il supporto di Trieste Trasporti SpA e in collaborazione con Gruppo78, HeadMadeLab, Officina Samos, Radio Fragola, SISM (Segretariato Italiano Studenti in Medicina), Arcigay, CDCP (Comitato per i diritti civili delle prostitute). La manifestazione, che affronta i molteplici aspetti dell'infezione da HIV e delle altre infezioni a trasmissione sessuale, si rivolge a tutta la comunità, ma dedica un'attenzione particolare ai più giovani. Il 1° dicembre alle ore 12 ci sarà l'inaugurazione della manifestazione nella Sala "Umberto Veruda" di Palazzo Costanzi, con presentazione della mostra di arti visive "più o meno positivi", giunta alla sua tredicesima edizione. La mostra si inserisce nell'ambito delle iniziative di sensibilizzazione, informazione, prevenzione e lotta alla discriminazione in tema di AIDS e malattie emo/sessualmente trasmissibili. L'esposizione di quest'anno affronta il tema della terapia antiretrovirale con lo slogan internazionale "U = U/Undetectable = Untransmittable, with ART-AntiRetroviral Therapy/Non rilevabile = Non trasmissibile, con la Terapia Antiretrovirale", ma tratta anche il tema del corpo, del doppio e dell'autorappresentazione attraverso i meditativi quadri e gli enigmatici autoritratti del pittore veneziano David Dalla Venezia. La mostra presenta infine la campagna di prevenzione "Face au Sida" (Di fronte all'AIDS) pensata dall'artista Oreste Zevola e promossa dall'Istituto Pasteur in Africa Centrale. Inoltre, presenti nella mostra, alcune tavole infografiche che analizzano in forma visiva i più recenti numeri e dati sulla malattia. Nel pomeriggio del primo dicembre, sempre in Sala Veruda, Claudia Colli, responsabile del Centro per le malattie a trasmissione sessuale di Trieste, dialogherà con alcuni noti infettivologi dei servizi specialistici regionali: Andrea Misin, Camilla Negri e Angela Londero approfondiranno infatti gli effetti importanti delle terapie anche sul piano della prevenzione del contagio col virus HIV. Nel Teatro dei Fabbri a partire dalle 18.30 ci sarà la performance teatrale del gruppo Beta e il concerto di Stee JayJay. La settimana di eventi si snoda fra Trieste e Gorizia e prevede un fitto calendario di appuntamenti di approfondimento con esperti dal mondo sanitario, culturale e scientifico, con conferenze ed incontri, ma anche con presentazioni di libri e film, spettacoli teatrali e musica, con la tradizionale partita amichevole di calcio tra la squadra del Real Androna e quella della Polizia Locale del Comune di Trieste, con il presidio sanitario mobile per effettuare il test HIV e ricevere informazioni preventive personalizzate e con il messaggio informativo viaggiante sugli autobus cittadini. Come ogni anno, molo spazio verrà dedicato ai più giovani, così il 4 dicembre mattina gruppi di studenti avranno a loro disposizione lo specialista infettivologo Jacopo Monticelli con cui dialogare. La personale dell'artista veneziano David Dalla Venezia rappresenta il cuore della manifestazione "più o meno positivi" di quest'anno, trattando il tema del corpo, del doppio e dell'autorappresentazione. In esposizione tre raffinatissimi cicli pittorici pervasi di mitologia classica e sue relative elaborazioni psicoanalitiche, di filosofia ma anche di cultura pop. Un intenso immaginario pittorico che parte da una rigorosa ricerca sulla possibile rappresentazione del corpo umano che va dal nudo all'autoritratto, accarezzando così anche tutti i vizi e le virtù dell'uomo. La mostra si apre con una serie di quadri dal forte impatto epidermico che ci fanno riflettere sul tema della frammentazione del corpo. Pallide membra affiorano dal buio e vengono isolate sotto il riflettore della luce di un ritratto a loro dedicato, denunciando così tutta la loro caducità terrena. Si passa poi al potente mito del giovane Narciso in cui i candidi e narcotizzanti fiori dipinti velano lo sguardo dell'artista e attraverso un sottile gioco di trasparenze restituiscono allo spettatore l'immagine del pittore trasfigurata dal narcisismo, mettendo così il pubblico in guardia dai pericoli dell'autocompiacimento, della vanità e dell'egocentrismo. Da fondali profondissimi infine emergono figure di algide danzatrici vestite solo di lucida e trasparente organza che sembrano celebrare una novella danza della vita prima di ritornare nell'Ade, proprio come la ninfa Euridice del mito greco. Una mostra che celebra dunque il corpo e la vita ma che allude anche alla dualità della ricerca della luce nelle tenebre, del bene nel male, e che riecheggia allusioni alla Vanitas e al Memento mori, da sempre chiari moniti dell'effimera condizione dell'esistenza e della caducità della vita. INFO: [email protected] e su facebook... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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fueradefocomagazine · 3 years
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Ironía pop en el nuevo single de Manu Hattom:“Cumpleaños”
Después del romance fugaz de “Ojos de Planeta”, la canción que publicó junto a la actriz y cantante Julieta Zylberberg en enero 2021, MANU HATTOM estrena un  nuevo single en el día de su natalicio. “Cumpleaños” se puede interpretar de distintas formas: una crítica social  desde las periferias de la Ciudad de Buenos Aires –"ahora festejas tu cumple en boliches en la capital" dice la letra–, una confesión autobiográfica o el  disfraz popero que oculta un corazón dañado. “Habla sobre esta celebración tan maravillosa que sucede una  vez al año y sus distintas maneras de abordar el festejo a través del tiempo. Hay nostalgia por los años que se van y alegría por sentirse querido y mimado por este  acto simbólico”, cuenta con ironía Manu acerca de la letra. Mientras “Cumpleaños” se transforma en lo que decida interpretar cada oyente, Manu Hattom continúa trabajando en canciones que marcarán una nueva etapa de su carrera. Un repertorio cargado de sorpresas que se irán revelando en los próximos meses, con colaboraciones estelares y composiciones sensibles.
Más acerca de Manu Hattom Músico desde la adolescencia y con más de quince años de trayectoria artística, Manu Hattom es un artífice de melodías melancólicas. Con letras sensibles que condensan lo más  sincero del amor y la amistad, su estilo navega por el pop con destellos de rock e influencias  latinoamericanas. Oriundo de la Zona Oeste del Gran Buenos Aires, publicó cuatro discos  de estudio como solista: Benalmádena Despierta (2013), Autopistas (2016), 10 Formas de  Transportarse por el Aire (2017) y Temporada Alta (2019), además del microdisco Soledad (2016). Ha trabajado como productor musical y también ha compuesto bandas de sonido  para obras de cine y teatro, como Congreso (2013), del director Luis Fontal, y Mi Primera  Hiroshima, de Camila Fabbri, entre otras en las que se encuentra trabajando actualmente.  Durante el último tiempo ha estado explorando una nueva faceta como actor, con papeles  en las películas Tan perdida como convencida, de Mariana Sanguinetti y Los restos fósiles,  de Jerónimo Quevedo, ambas nominadas a festivales nacionales e internacionales como  BAFICI, Festival de cine de Las Palmas, Message 2 man en San Petersburgo, Valdivia y San  Sebastián.  Su último álbum Temporada Alta es su material más optimista, con canciones sensibles que  condensan lo más sincero del amor y la amistad. Producido por Yago Escrivá, cuenta con la  participación de Esmeralda Escalante en “Arcoiris” y de la leyenda de la música Fito Páez “El Herido”, con quienes además ha compartido escenario en varias ocasiones. Seguí a Manu Hattom en las RRSS y en las plataformas digitales: Instagram - Facebook - Twitter Spotify - Apple Music - Deezer - YouTube - Tidal
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chez-mimich · 5 years
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VERTIGINE DELLA LISTA, OVVERO COSA HO VISTO, LETTO, ASCOLTATO NEL 2019.
“Cold War" di Pawel Pawlikowski, Anteo Milano, 01.01.19
“Racconti parigini” a cura di Corrado Augias, 03.01.19
“La bestia che mi porto dentro” di Francesco Piccolo, 09.01.19
“Il gioco delle coppie” di Olivier Assays. 12.01.19
“Haruna kuyateh & Ararata Ensemble Orchestra”, caserma Passalacqua Novara Jazz Winter, 26.01.19
“La Favorita” di Yorgos Lanthinos, 27.01.19
“L’arte sopravviverà alle sue rovine” di Anselm Kiefer, 27.01.19
"Orchestra Sinfonica Cantelli" Teatro Coccia. Mozart, Haydn, Beethoven, Liszt, 30.01.19
“Green Book”, di Peter Farrely, 01.02.19
“Col Hakolot” coro ebraico, Broletto di Novara, 03.02.19
"My River runs to thee”, Taste of Jazz, Opificio, 07.02.2019
"Santiago, Italia" di Nanni Moretti 09.02.19
"Masahisa Fukase", Fondazione Sozzani, 09.02.19
“The Gumbos”, Taste of Jazz, 21.02.19
“Cuore di cane” di M. Bulgakov, Teatro Grassi Milano,23.02.19
“Shades of Freedom”, Taste of Jazz, Opificio, 28.02.19
“Roma” di Alfonso Cuaròn, 02.03.19
Giorgio Andreotta Calò “Cittadimilano”, Hangar Bicocca 09.03.19
“Capri Revolution” di Mario Martone, 15.03.19
"Broken Nature: Design Takes on Human Survival, Triennale Milano 23.03.18
"Una giusta causa" di Mimi Leder, 30.03.19
"Surrogati. Un amore ideale" Osservatorio prada, Milano, 31.03.19
“Ibrahim Mahama, Firend”, Porta Venezia Milano, 06.04.19
“Design Week-Fuorisalone”. Statale, Meravigli, Cairoli, Brera, Garibaldi. 10.04.19
“Design Week-Fuorisalone”. Centrale Ventura, Via popoli Uniti, 12.04.19
“Design Week-Fuorisalone”, Via Tortona, Base, Vie Bergognkne, 13.04.19
“Musica in scena: Irene Veneziani”, pianoforte, Teato Faraggiana, 24.04.19
“Dilili a Parigi” di Michel Ocelot, 25.04.19
“Christian Marclay”, White Cube Mason’s Yard, Londra, 07.05.19
“Phyllida Barlow, Cul de Sac”, Royal Accademy, Londra, 07.05.19
“Prahabavathi Meppayil, PACE”, Royal Accademy, Londra, 07.05.19
“Dorothea Tanning”, Tate kdern, Londra, 08.05.19
“Franz West”, Tate Modern, Londra, 08.05.19
“Jenny Holzer” Artist Room, Tate Modern, Londra, 08.05.19
“Magic Realism”, Tate Modern, Londra, 08.05.19
“Kaleidoscope”, Saatchi Gallery, Londra, 09.05.19
“Artic New Frontier”, Saatchi Gallery, Londra, 09.05.19
“Ara Güler, Gallery 12”, Saatchi Gallery, Londra, 09.05.19
“Johnnie Cooper” Saatchi Gallery, Londra, 09.05.19
“Boilly, Scenes of Parisian Life”, National Gallery, Londra, 10.05.19
“Sean Scully, Sea Star”, National Gallery, Londra, 10.05.19
“Emme Kunz, Visionary Drawings”, Serpentine Gallery, Londra, 10.05.19
“Hito Steyler, Power Flowers”, Serpentine Sakler Gallery, Londra 10.05.19
“Sylvie Felury, Hypnotic Poison”, Galerie Thaeddeus Ropac, Londra, 10.05.19
“Gerwald Rokenschaub”, Thaeddeus Ropac, Londra, 11.05.19
“Munch” di Steffen Kaverneland, 15.05.19
“The Repetitition (s) Histoire (s) du Theatre” di Milo Rau Teatro Streheler Milano, 11.05.19
“Piano City Milano: Marta Meszaros”, Casa Melis, Milano, 19.05.19
“World Press of the Year 2019”, Fondazione Sozzani, 19.05.19
“People of Tamba”, Fondazione Sozzani Milano, 19.05.2019
“Matteo Bortone solo” Novara Jazz, 25.05.19
“Ariel Tessier & Severin Morfin” Novara Jazz, 25.05.19
“Three Days of Forest” Novara Jazz 25.05.19
“No Tongues” Novara Jazz 25.05.19
“Severin Morfin e Ronan Coutry” Novara Jazz 26.05.19
“Ronan Prual & Matthieu Prual” Novara Jazz, 26.05.19
“Giulio Corini, Libero Motu” Nivara Jazz, 30.05.19
“Elephank Project” Novara Jazz, 30.05.19
“Ill Considered” Novara Jazz, 31.05.19
“Khalab Feat. Tamar Collocutor e Tommaso Cappellato” Novara Jazz, 31.05.19
“Francesco Bigoni Solo” Novara Jazz, 01.06.19
“Italian String Trio” Novara Jazz, 01.06.19
“Olmo”, Novara Jazz, 01.06.19
“Animanz & Juanita Euka”, Novara Jazz, 01.06.19
“Sanne Huijbregts Solo”, Nivara Jazz, 02.06.19
“Erios Junior Jazz Orchestra+Michael Steinman”, Novara Jazz, 02.06.19
“Marco Remondini+Banda Filarmonica di Oleggio”, Novara Jazz, 06.06.19
“Roberta Brighi L.W. 6TET”, Novara Jazz, 06.06.19
“Workshop de Lyon+Trio Impro+L’Effet Vapeur”, Novara Jazz, 07.06.19
“Simone Graziano Frontal”, Novara Jazz, 07.06.19
“Ben Van Gelder” Novara Jazz, 08.06.19
“Jeuselou du Dimanche” Novara Jazz, 08.06.19
“Reiner Baas & Ben Van Gelder” Novara Jazz, 08.06.19
“Marmite Infernale”, Novara Jazz, 08.06.19
“Barre Phillips Solo”, Novara Jazz, 09.06.19
"Serotonina" di Miche Houellebecq, 30.06.19
"Miro, au delà de la peinture" Fondation Maeght, St. Paul de Vence, 06.07.19
"Koln Duo", Ramatuelle, 10.07.2019
“Un mondo in parole” di Paul Auster, 11.07.19
“Edison, l’uomo che illuminò il mondo” di Alfonso Gomez-Dejon, 25.07.19
“Mirò parle” di Joan Mirò, 25.07.19
“Sheela Gowda, Remains”, Hangar Pirelli Bicocca, 31.08.19
“Yossi Rakover si rivolge a Dio” di Zvi Kolitz. 05.08.19
Roger Ballen "The Body, the Mind, the Space", Fondazione Sozzani, 18.08.19
“Anna Maria Maiolino”, Pac Milano, 19.08.19
Gilbert & George,“There were two Young Men”, 25.08.19
“Laurent Hasley,“Too Blessed 2 Be Stressed”, Fondation Vuitton, Parigi, 25.08.19
“Sally Mann, a thousand crossing”, 24.08.19
Marc Pataut, “de proche en proche”, 24.08.19
“Nous les Arbres”, Fondation Cartier Parigi, 26.08.19
“Préhistoire, un enigme moderne”, Centre Pompidou, 27.08.19
"Takesada Matsutani", Centre Pompidou, 27.08.19
"Bernard Frioeze", Centre Pompidou, 28.08.19
"Cao Fei", Centre Pompidou, 28.08.19
“Champs d’Amours”, Hotel de Ville, Parigi, 27.08.19
“Berthe Morisot”, Musée d’Orsay Parigi, 29.08.19
“À la plume, au pinceau, au crayon” Ima, Parigi, 29.08.19
“Hella Hongeriujs”, Lafayette Anticipation, Parigi, 30.08.19
“Ernst Macoba: I shall dance in a different society”, Centre Pompidou Parigi, 27.08.19
“Eloisa Manera, Duende”, Piccolo Coccia EJC, Novara, 11.09.19
“WE3 di Francesco Chiapperini”, Piccolo Coccia, EJC, Novara 12.09.19
“Raffaele Casarano, Mirko Signorile”, Piccolo Coccia, EJC, Novara, 12.09.19
"Piero Bittolo Bon, Bread & Fox”, Sala Borsa Novara, EJC, 13.09.19
"Roberto Ottaviano con “Eternal Love”, PIccolo Coccia Novara, NJC, 13.09.19
"Marco Colonna solo", Basilica di San Gaudenzio Novara, 14.09.19
“Filippo Vignato Quartet”, Teatro Coccia Novara, EJC ,14.09.19
"Andrea Grossi, Songs and Poems", Teatro Coccia. EJC, Novara, 14.09.19
“Crossing Quartet”, Teatro Coccia Novara, EJC, 14.09.19
"Federica Michisanti, Horn Trio", Chiostro della Canonica Novara, EJC, 15.09.19
"L'incredibile viaggio delle piante" di Stefano Mancuso , 20.09.19
"5 E'il numero perfetto" di Igort, 23.09.2019
Alex Prager, "Silver Lake Drive" Fondazione Sozzani Milano, 23.09.19
"C'era una volta a Hollywood" di Quentin Tarantino, 30.09.19
"Danie Steegmann Mangrané, A Leaf-Shaped Animal Drawn the Hand", Hangar Bicocca Milano, 31.09.19
"Joker" di Todd Phillips, 05.10.19
"Anastasiya Pteryshak e Enrica Savigni, suonano Paganini", Chiesa di San marco, 07.10.19
“Training Hunans” Osservatorio Prada Milano, 12.10.19
“Yan Pei-Ming”, Galleria De Carlo Milano, 12.10.19
“Raoul” di e con James Thierrée, Teatro Strehler 12.10.19
Giulia Biagetti, organo. San Gaudenzio 13.10.19
“Romancero Gitano” di Federico Garçia Lorca, con Nuria Espert, Teatro Grassi, 22.10.19
Kevin Browyer organo, San Gaudenzio 23.10.19
"Golden Variations" con Camilla Monga, Novara Jazz, 24.10.19
"Erlend Apneseth Trio", Novara Jazz, 26.10.19
"Dontown Abbey" di Michael Engler, 27.10.19
"Lupi5" Tast of jazz, Opificio Novara 31.10.19
"Canova, Thorvaldsen, la nascita della scultura moderna", Gallerie d'Italia Molano, 01.11.19
"Ritorno a Reims" Teatro Studio Melato, 05.11.19
"Canova Trio" Taste of Jazz, 08.11.19
"Il libro di tutti i libri" di Roberto Calasso, 20.10.19
Cerith Wyn Evans "...Illuminating Gas" Hangar Pirelli Bicocca Milano, 16.11.19
"Florasia", Taste of Jazz, Opificio Novara, 22.11.19
"L'ufficiale e la spia" di Roman Polanski, 28.11.19
"Un giorno di pioggia a New York" di Woody Allen, 2.12.19
"La Belle Epoque" di Nicola Bedos
"Cité. Lieux vides, rues passantes", 05.12.19
"Simone Quatrana e Davide Rinella", Taste of Jazz, 06.11.19
"Wes Anderson, il sarcofago di Spitzmaus e altre meraviglie", Fondazione Prada Milano, 08.12.19
"Tower Jazz Composer Orchestra" recensione, 09.12.19
"Boom Collective", Taset of Jazz, 14.12.19
"Louis Armstrong. Satchmo oltre il mito del jazz", 18.11.19
"Vito Emanuele Galante in solo", San Giovanni decollato, 18.11.19
"Paolo Fabbri Jazz Ensemble" Taste of Jazz, 19.12.19
"1.15 K" Recensione, 19.12.19
"Australia, storie dagli antipodi", Pac Milano, 21.12.19
"La dea fortuna" di Ferzan Opzetek 26.12.19
“Parasite” di Bong Joo-Ho, 29.12.19
“Pinocchio” di Matteo Garrone, 31.12.19
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