#Strategie di specializzazione
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campadailyblog · 7 months ago
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Diventare Esperto nel Tuo Settore: Strategie di Specializzazione
Essere un esperto settore è fondamentale per chi vuole emergere. La specializzazione professionale ti aiuta a spiccare e apre nuove possibilità di crescita. Questo articolo mostra come diventare un professionista di alto livello, con un focus su formazione e aggiornamento. Punti chiave La specializzazione è fondamentale per ottenere vantaggi competitivi nel mercato del lavoro. Essere esperti…
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io-rimango · 1 year ago
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Avevi ragione, sai? Su di me intendo. D'altronde, come ti piace tanto sottolineare, mi conosci meglio di chiunque altro, no? Ebbene, avevi ragione. Ti ricordi quando mi hai detto che secondo te il mio cuore non era davvero di pietra come ero solita dirti? Che il mio restarmene in disparte, al sicuro, al confine dei miei sentimenti, era solo una difesa per non soffrire? Che il mio sogno di trovare un amore che davvero fosse fatto apposta per me, non l'avevo davvero abbandonato? Che il mio concentrami su me stessa, rifiutando qualsiasi altra cosa, che non implicasse il portare avanti la mia specializzazione e la mia carriera, erano solo delle strategie per non pensare a quanto mi sentissi inevitabilmente vuota? Vedi, era vero, era tutto vero. Avevi ragione. Non ho mai rinunciato a quella parte di me, nonostante, bada bene, io stia benissimo anche da sola eh, anzi, direi che sto alla grande. Eppure, la verità è che in me c'è anche quella parte che vuole di più, quella che sogna ancora, quella dell'inguaribile romantica, che si commuove vedendo Orgoglio e Pregiudizio, (nonostante conosca sia il libro che il film praticamente a memoria), quella che si aspetta di poter costruire qualcosa con qualcuno, (eventualmente, un giorno, se dovessi mai incontrare la persona giusta). Quella parte di me è ancora lì, io sono ancora lì, nonostante tutto, che imperterrita non mi arrendo, che ancora ci spero che esista da qualche parte qualcuno a cui potrò dare tutto l'amore che ancora ho da dare.
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ombrafurtiva · 6 months ago
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Se ai tempi avessi continuato a frequentare medicina anziché passare a fisica (poi anche quella abbandonata dopo due anni lol), avrei sicuramente provato una specializzazione in cardiochirurgia; quelle fisiologie comparate fatte sessione scorsa sono state di un fascino spettacolare. Siamo mollicci e rivoltanti, ma anche delle macchine organiche frutto praticamente del caso, di una sofisticazione pazzesca; e non solo noi come esseri umani ma anche molte strategie di adattamento del mondo animale.
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Danilo Larini condivide consigli per scegliere il giusto agente immobiliare
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Nel mondo in continua evoluzione del settore immobiliare, trovare la proprietà perfetta è solo metà dell’opera. La scelta del giusto agente immobiliare è altrettanto fondamentale per garantire una transazione fluida e di successo. Il rinomato esperto immobiliare Danilo Larini, con anni di esperienza nel settore, trasmette generosamente la sua saggezza nella selezione dell'agente immobiliare ideale. Approfondiamo i preziosi suggerimenti che condivide per guidarti attraverso questo fondamentale processo decisionale.
L'esperienza conta:
Danilo Larini sottolinea l'importanza dell'esperienza di un agente nel settore. Professionisti esperti apportano un patrimonio di conoscenze, una vasta rete e una profonda comprensione delle tendenze del mercato. Cerca un agente con una comprovata esperienza di transazioni di successo nella località desiderata.
Competenza nel mercato locale:
Comprendere le sfumature del mercato immobiliare locale è fondamentale. Un agente esperto come Danilo Larini conosce bene le caratteristiche specifiche, le tendenze e le potenziali sfide dei diversi quartieri. Questa esperienza può fare una differenza significativa nel trovare la proprietà giusta o nel vendere la tua casa al miglior prezzo.
Credenziali professionali:
Danilo Larini consiglia di verificare le credenziali professionali dell'agente. Cerca certificazioni, affiliazioni con organizzazioni immobiliari rispettabili e qualsiasi formazione o specializzazione aggiuntiva. È più probabile che un agente autorizzato e ben istruito fornisca consigli affidabili e aggiornati.
Abilità comunicative:
Una comunicazione efficace è fondamentale nelle transazioni immobiliari. Danilo Larini sottolinea l'importanza di scegliere un agente che ascolti attentamente le tue esigenze, comunichi con chiarezza e sia reattivo. Ciò garantisce un flusso continuo di informazioni e riduce al minimo i malintesi durante il processo di acquisto o vendita.
Riferimenti clienti:
La ricerca di referenze da parte dei clienti precedenti è un passo prezioso consigliato da Danilo Larini. Un agente affidabile dovrebbe fornire prontamente referenze, permettendoti di valutare la sua reputazione e le sue prestazioni. Parlare con i clienti passati può offrire approfondimenti sulla professionalità, sulle capacità di negoziazione e sulla soddisfazione generale del cliente di un agente.
Capacità di negoziazione:
Il successo delle transazioni immobiliari spesso dipende da una negoziazione efficace. Danilo Larini consiglia di selezionare un agente con spiccate capacità di negoziazione. Ciò implica non solo garantire l’accordo migliore, ma anche superare i potenziali ostacoli che potrebbero sorgere durante il processo.
Strategie di marketing:
Per i venditori Danilo Larini suggerisce di valutare le strategie di marketing dell'agente. Un approccio proattivo e innovativo al marketing può avere un impatto significativo sulla visibilità della tua proprietà sul mercato. Nell'era digitale di oggi, una forte presenza online e l'uso dei contenuti multimediali possono fare una differenza sostanziale.
Compatibilità e fiducia:
Danilo Larini sottolinea infine l'importanza della compatibilità e della fiducia personale. Scegli un agente con cui ti senti a tuo agio, poiché lavorerai a stretto contatto durante tutta la transazione immobiliare. Fidati del tuo istinto e assicurati che l'agente comprenda e rispetti le tue priorità.
Conclusione:
Selezionare il giusto agente immobiliare è un passo cruciale per raggiungere i tuoi obiettivi immobiliari. Seguendo gli approfonditi consigli condivisi da Danilo Larini, potrai orientarti nel mercato immobiliare con sicurezza, sapendo di avere al tuo fianco un professionista fidato ed esperto. Che si tratti di acquistare o vendere, l'agente giusto può fare la differenza nel trasformare i tuoi sogni immobiliari in realtà.
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vjchiani · 3 years ago
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Architectural Logos. A handbook of architectural marks of identity. Compiled & Edited by @counterprintbooks📚 Una piccola e molto stimolante selezione di marchi e simboli a tema architettura: case, palazzi, finestre, scale e porte… e qualche castello! Oltre 100 pagine di meravigliosi segni in bianco e nero, molto caratterizzati e soprattutto disegnati bene, corredati di nome, anno ed autore/website (non i soliti noti). Un piccolo libro con un grande potenziale, molto utile da consultare ed impaginato perfettamente. Un gioiellino. Può un libro così piccolo diventare uno strumento di lavoro prezioso? Penso di sì. Molto interessante la sua nicchia di specializzazione, l’architettura, nelle sue molteplici forme e funzioni. Tutti dicono che bisogna specializzarsi ma poi in pochi lo fanno, preferendo competenze generiche (a volte addirittura approssimative) per fare di tutto un po’ con le solite persone. Ecco, questo piccolo libretto invece rappresenta il mio modo di intendere lo studio ideale: piccolo, agile, altamente specializzato ed “impaginato” perfettamente… perché anche il contesto architettonico è importante. Un gioiellino. #booklover #bookstagram #everymonday ••• #chiani #artdirection #illustration #creativedirection #graphicdesign #brandidentity #branding #design #visualdesign #strategy #advertising #packaging #communication #concept #photography #managers & #designers #myartismydirection #designthinking @chianidesign #designboutique #vierijacopochiani #freelance #dontwasteyourpixels #palazzoschio #creativecollective #2022 #vicenza (presso Chiani) https://www.instagram.com/p/CbpIDnjA70M/?utm_medium=tumblr
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fondazioneterradotranto · 5 years ago
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Nuovo post su https://is.gd/XKRrS4
Biodiversità nell’oliveto del Salento, agli inizi del XX secolo
di Gianpiero Colomba
In Terra d’Otranto, tra la fine del XVIII° e per tutto il XIX° secolo, come conseguenza dei continui dissodamenti dovuti alla nascita di nuovi impianti con piante che per la prima volta colonizzavano il territorio (olivo, gelso, fichi, tabacco, ecc.), c’era poca disponibilità di nuovi terreni coltivabili. Una chiave per l’equilibrio produttivo fu l’intensificazione del livello di coltivazione nei terreni in genere ma soprattutto negli oliveti, con cereali e legumi spesso in rotazione tra loro. La parcellizzazione del territorio salentino e la coesistenza di colture diverse nello stesso fondo è stata una caratteristica delle comunità tradizionali che ha garantito nel tempo l’autosussistenza delle famiglie.
L’olivo quasi sempre era all’interno di possedimenti nei quali condivideva lo spazio con coltivazioni come i cereali, la vite, gli ortaggi e altre colture arboree come il gelso, il mandorlo o il fico. La distanza tra le piante di olivo permetteva di intercalare colture che consentivano al contadino di avere un reddito diversificato e quindi pressoché costante nel tempo.
Alla fine del XVIII° secolo il medico e agronomo salentino Giovanni Presta, indicava una distanza conveniente tra le piante di olivo di circa 65 «palmi», il che corrispondeva a poco meno di 50 piante per ettaro, la stessa densità indicata un secolo dopo dal cavaliere Gennaro Pacces, il quale si riferiva al dato medio dell’intera provincia di Terra d’Otranto. Intorno agli anni trenta del XX secolo si stima con maggior precisione una densità media di 62 piante per ettaro. Per fare un confronto: in Andalusia, regione leader nel mondo in quanto a produzioni di olio, nello stesso periodo potevano esserci tra le 90 e le 100 piante per ettaro. Per inciso, attualmente nella provincia di Lecce si stimano 112 piante per ettaro e un minimo livello di consociazione.
Per avere un riscontro rispetto alla reale condizione delle colture intercalate nell’oliveto in epoca preindustriale, prendiamo come rappresentativo il classico lavoro del professore Attilio Biasco di inizio XX secolo:
Gli oliveti specializzati, se non mancano del tutto, sono sicuramente molto rari. La consociazione arborea è abitualmente con la vite, la mandorla e il fico. La consociazione è talmente rilevante che l’olivo si considera la coltivazione secondaria.
Esiste dovunque una rotazione in cui spesso figurano le cereali e scarseggiano le leguminose: le prime sono rappresentate dal frumento, dall’avena, dall’orzo; le seconde dal lupino, dalla fava e il trifoglio incarnato.
Ma quali colture erano intervallate nell’oliveto e in quale proporzione? I dati che permettono un’analisi più precisa sono quelli in calce al Catasto Agrario del 1929. Per la prima volta in Italia nel su indicato Catasto, si descrivevano le aree coltivate differenziandole tra superficie cosiddetta «integrante» ovvero specializzata e superficie «ripetuta» ovvero associata ad altre coltivazioni prevalenti. L’oliveto integrante, a sua volta, era definito «esclusivo» laddove non vi era alcuna promiscuità con altre coltivazioni, o «prevalente» laddove la coltivazione associata occupava non oltre il 50% della superficie dell’oliveto.
Secondo la definizione data nel Catasto Agrario quindi, all’interno della categoria integrante potevano ricadere oliveti con all’interno fino al 49% della superficie occupata da altre colture. Per semplificare, poteva esserci un ettaro di oliveto con intercalati 3 mila metri quadri di mandorlo. Quindi, non solo esisteva una quota parte di olivi associati in altre coltivazioni, ma, vi era anche un certo livello di promiscuità colturale all’interno dell’oliveto definito integrante.
L’analisi dei dati permette un’interessante ed inedita valutazione: poco più del 33% dell’oliveto specializzato (50.591 ettari su 149.947 ettari nel 1930) aveva al suo interno coltivazioni in rotazione (principalmente, grano duro, avena, orzo, fave e lupini). Questo significa che esisteva ben un terzo dell’oliveto specializzato al cui interno vi era un certo livello di promiscuità, ed era quello che si definiva come oliveto prevalente. Di queste colture, il 44% erano cereali, il 21% piante da foraggio (trifoglio, veccia, …), il 13% fave, il 7% lupini e il 13% altri legumi. Si avverte che questa è una fotografia sul territorio in un dato momento storico e che, secondo quanto enunciato nel catasto, queste rilevazioni erano dati medi riferiti al sessennio 1923/28. Data inoltre la ciclicità annuale delle coltivazioni, l’analisi che ne può derivare riveste un significato di sola tendenza.
A questo punto se consideriamo la totalità della superficie dell’oliveto, cioè sia la superficie di associato che di specializzato, osserviamo che in percentuale l’oliveto esclusivo «puro» senza alcuna associazione, rappresentava in Provincia una quota poco più alta della metà di tutto l’oliveto ossia il 54%. Per altro verso, era pari al 18% la superficie occupata dagli olivi in associazione ma, se includiamo la categoria prevalente, non indicata nelle statistiche ufficiali ma qui calcolata, vediamo che la percentuale sale al restante 46%. Quindi, in poco meno della metà della superficie totale dell’oliveto (associato + specializzato), esisteva una qualche forma di associazione colturale. Riassumiamo il tutto nella figura sotto.
Tipologia dell’oliveto in Terra d’Otranto nel 1930. (Ettari). Fonte: propria elaborazione.
  Alcune riflessioni. In alcune zone d’Italia e in particolar modo nel Salento, c’era poca disponibilità di territorio supplementare per le nuove colture. Infatti, già nel 1929 la quota di terra forestale (pascoli permanenti e boschi) si era progressivamente ridotta a poco meno del 10% su tutto il territorio della provincia di Lecce. Inoltre, l’alta densità di abitanti obbligava a rendere altamente efficienti tutti i terreni disponibili. Una chiave per l’equilibrio produttivo per tutto il XIX secolo e anche nei primi decenni del XX, fu l’intensificazione del livello di coltivazione nella stessa area con cereali e legumi, a dimostrazione di una più compiuta razionalità ed efficienza contadina, e rappresentando quindi un esempio di land-saving strategy. Le consuete rotazioni tra fave o lupini da un lato e avena, grano duro o orzo dall’altro, consentivano il soddisfacimento dei bisogni familiari in condizioni di sostenibilità per l’oliveto. L’associazione tra colture è uno dei segnali che rafforza l’idea di una strategia agraria basata sull’autoconsumo.
Questa tendenza si sarebbe poi evoluta nel giro di alcuni decenni in direzione della monocoltura e della specializzazione. Nel 1980 l’Istat riportava circa 1 milione di ettari d’olivo in consociazione su tutto il territorio italiano, circa 1,4 milioni di ettari nel 1950 e a circa 1,7 milioni nel 1910. Secondo stime più recenti del progetto europeo di agro-selvicoltura Agforward (2014-17), in Italia circa 200.000 ha di olivo sono attualmente gestiti in consociazione. Il trend quindi è in calo. Assistiamo a una lenta evoluzione in direzione della specializzazione colturale.
Sebbene quindi intorno al 1930, abbiamo calcolato un consistente livello di diversità colturale negli oliveti, verosimilmente questa quota era in diminuzione e con esso diminuiva progressivamente la biodiversità al loro interno. Ed è altrettanto plausibile che per l’oliveto, il quale per chi scrive ha rappresentato il classico esempio di coltura promiscua in epoca contemporanea, l’uscita dalla crisi produttiva iniziata alla fine del XIX° secolo fu rappresentata proprio dal percorso di avvicinamento alla specializzazione. Tutto ciò coincise anche con la globalizzazione dei prodotti e il conseguente ingresso di cereali a basso costo provenienti da altre parti del mondo. Tutta questa complessa e simultanea concomitanza di eventi, condizionò l’abbandono delle tradizionali strategie contadine, le quali consideravano l’associazione tra le colture come sistemi agronomici efficienti e in ultima analisi, forzò il percorso di semplificazione degli agro-ecosistemi. Negli ultimi decenni, l’utilizzo massivo di agro-chimici negli oliveti si sta realizzando senza controllo, contaminando il suolo e le acque, e originando, da un lato una forte perdita di sostanza organica e dall’altro una minaccia alla biodiversità.
Bibliografia
Biasco A., L’olivicoltura nel basso leccese, Napoli 1907.
Casella O., L’Ulivo e l’olio: manuale pratico ad uso degli agricoltori e dei proprietari, Napoli 1883.
Cimato A., Il germoplasma olivicolo in provincia di Lecce: recupero, conservazione, selezione e caratterizzazione delle varietà autoctone, Matino (LE) 2001.
COLOMBA G., Transición socio-ecológica del olivar en el largo plazo. Un estudio comparado entre el sur de Italia y el sur de España (1750-2010), Tesi di dottorato, Siviglia 2017.
Pacces G., Inchiesta agraria sulle condizioni della classe agricola in Italia, Monografia circa lo stato di fatto dell’agricoltura e della classe agricola dei singoli circondari della provincia di Terra d’Otranto, Lecce 1880.
Presta G., Degli ulivi, delle ulive e della maniera di cavar l’olio, Napoli 1794.
Tombesi A. et al., Recommendations of the working group on olive farming production techniques and productivity, «Olivae», 63, Madrid 1996.
  Colomba Gianpiero, indirizzo mail: [email protected]
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carmenvicinanza · 3 years ago
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Paulina Kamakine
https://www.unadonnalgiorno.it/paulina-kamakine/
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Paulina Kamakine è una delicata poeta e traduttrice che porta avanti la tradizione della lingua d’Oc, attraverso progetti letterari che danno voce alla poesia contemporanea femminile e ripropongono la lingua come fonte di interesse e di cultura.
Nata a Tolosa nel 1989, ha un master in Scienze Umane e Sociali con specializzazione in Strategie Culturali, poliglotta e appassionata di dialettologia, si interessa di molte lingue regionali.
Con lo pseudonimo di Lou Pètit Aousèt, che significa l’uccellino, scrive e diffonde poesie tra Belgio, Italia, Francia, Guascogna, Linguadoca, Provenza.
Il suo lavoro Paraulas de femnas, la prima antologia femminile occitana, raccoglie un’ampia selezione di poesie, canzoni e prose di scrittrici contemporanee, dai 16 ai 96 anni, provenienti da tutto lo spazio linguistico fra la Val d’Aran nei Pirenei catalani e le Valli alpine occitane d’Italia.
Le oltre 70 autrici coinvolte, con composizioni spesso inedite, illustrano ognuna, con i propri versi, l’estrema varietà dialettale presente nella lingua occitana.
Liriche di donne che hanno attraversato il millennio, superato guerre, delusioni, traslochi e lutti senza perdere tenerezza, ancora capaci di entusiasmarsi davanti allo spettacolo della natura, di commuoversi al ricordo del tempo passato e di sperare nel futuro. Ma anche versi di una nuova generazione di autrici che, nuove trobairitz, cantano la passione carnale.
Paulina Kamakine, attiva su numerosissimi fronti artistici, compresi il canto e la scultura, vive la scrittura in Oc con un forte senso di responsabilità culturale e sociale.
I suoi scritti traggono la loro essenza dalla dolcezza e dalla bellezza. Imbevuti di verità, danno al mondo una nuova visione, un altro sguardo sincero sulla donna, della sua forza e delle sue debolezze.
Ha vinto numerosi concorsi letterari.
Con l’intento di documentare la presenza femminile nel mondo, partecipa attivamente alla difesa del patrimonio culturale e linguistico sostenendo il mantenimento e il ritorno della segnaletica bilingue nelle regioni occitane e animando vari siti web tra cui Lengas & culturas.
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tarditardi · 3 years ago
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Michele Piagno tiene un master sul bartending a Portogruaro (VE)
Il 22 aprile 2022 dalle 19 il barman internazionale friulano Michele Piagno tiene un master dedicato a professionisti del bancone, a sommelier e pure semplici appassionati. Lo fa presso I-Flow, a Portoguaro (Viale Treviso 74 30026 Portogruaro VE Italia - info: 331 8228720), hub creativo on oltre 600 mq di possibilità per sviluppare strategie e progetti multicanale.
Il master formativo di Piagno, che è un vero ambasciatore della sua terra, il Friuli è dedicato a all'arte del bartending è intitolato "La storia, le origini e l'evoluzione del bartending ad I-Flow". Piagno sa come coinvolgere chi ha voglia di imparare e i suoi corsi professionali spesso sono sold out
Il 22 aprile presso I-Flow Michele Piagno, oltre raccontare alcuni dei suoi trucchi, spiegherà con attenzione come  preparare 4 famosi cocktail, che poi i partecipanti degusteranno insieme. E soprattutto, con il suo sorriso e il suo entusiasmo, farà capire quanto è bello regalare felicità preparando qualcosa di buono da bere.
La storia, le origini e l'evoluzione del bartending - informazioni
https://i-flow.business.site/posts/2440005545287356643?hl=it
CHI E' MICHELE PIAGNO
Originario di San Vito al Tagliamento (PN), Michele Piagno è un barman esperto di mixologia molecolare. Classe 1981, è figlio d'arte: con la sua famiglia di ristoratori, tra un impegno e l'altro gestisce l'Enoteca Vecchia Pretura, a Codroipo (UD).
Mixologist molecolare di livello internazionale, Piagno è anche Ispettore Nazionale della Federazione Baristi Italiani / Qualità Italiana. Brand Ambassador Mixò Italy, nel 2019 ha pubblicato "El Señor Mojito", un libro di 51 ricette in cui, mentre racconta l'origine del cocktail a base di lime e rhum, svela i segreti del barman perfetto. Nel 2021 lancia poi Barancli, Gin Originale Friulano, legato a doppio filo con la sua terra e inizia scrivere con il giornalista / blogger Lorenzo Tiezzi "Consumazione compresa", un libro dedicato alla magia della notte, a tanti suoi protagonisti e al buon bere.
"Barista, barman, bartender… in fondo sono tutti sinonimi. Chi sta dietro a un bancone deve soprattutto saper ascoltare e regalare un po' di serenità a chi viene a rilassarsi in un locale", spiega Michele Piagno, un professionista che punta da sempre su creatività ed eccellenza senza prendersi troppo sul serio.
Nel 2011 ha ideato Glow Sweet & Sour Mix, un liofilizzato divenuto brevetto mondiale per cocktail fluorescenti e si occupa da tempo anche di formazione: già dal 2007 è master trainer e collabora con Flair Academy Milano e con la Federazione Baristi Italiani.
Nel 2013 ha curato con il giornalista Claudio Burdi il libro "100 cocktail light e contemporanei", mentre nel 2014 ha collaborato con il celebre chef Terry Giacomello de l'Inkiostro a Parma (già al fianco di Ferran Adria a El Bulli) per la specializzazione e lo studio del concetto "Drink & Food".
Successivamente, ecco un progetto di food pairing con Norbert Niederkofler, lo chef tristellato del St. Hubertus di San Cassiano (BZ) e poi un altro progetto con Nicola Pepe, vincitore di Hell's Kitchen Italia 2018.
Tra le collaborazioni con i brand, ecco Redbull (Canambassador) e San Bitter, per cui ha creato drink abbinati ai finger food della campagna pubblicitaria "Intervalli Italiani". Suoi anche i drink studiati per Brouwerij Van Steenberg, uno dei più rinomati birrifici delle Fiandre che lo ha scelto per esaltare la sua birra più prestigiosa, la Gulden Draak. Infine, nel 2012 è stato Brand Ambassador Perrier.
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vjchiani · 3 years ago
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Voi siete qui. City Branding: lo scenario italiano e i progetti di Edenspiekermann per Amsterdam, Santa Monica e Parma. @electaeditore 📚 Un gran bel libro decisamente unico nel suo focus: l’identità visiva ed il branding delle città. Specializzazione poco conosciuta e documentata, bravi! Oltre 250 pagine per un lungo viaggio che parte da Parma (Capitale Italiana della Cultura 2020), passa per l’identità di Milano, Napoli, Venezia, il bel progetto Roma di Inarea purtroppo usato fino al 2009, Mantova, Cagliari, il stranamente “bruttino” Salerno di Vignelli, Firenze (che ho avuto modo di applicare per dei poster), Genova, il molto interessante Bologna, Treviso (complimenti Ferena!), Fano, Madonna di Campiglio e molti altri per poi fare un salto ad Amsterdam e a Santa Monica. WOW! Che viaggio incredibile! Ma dov’è esattamente questo “Qui”? Bella domanda! Che ne genera almeno altre quattro: 1. Nel 2020 c’era proprio bisogno di andare in uno studio internazionale per farsi progettare l’identità di Parma? Capisco la presenza del mitico Erik Spiekermann però Berlino o Amsterdam non sono proprio dietro l’angolo! 2. Quanti dei progetti pubblicati resisteranno alle prossime Elezioni Amministrative? Ho come l’impressione che in Italia a volte si confonda il “Personal Branding del Sindaco” con il City Branding. 3. Quanti progetti pubblicati sono stati effettivamente applicati ed utilizzati nella vita reale? 4. E tutti i Comuni che si ostinano ancora nel 2022 ad usare solo il polverosissimo stemma araldico, che fanno, dormono?! Bah! Forse si sono solo persi per strada in cerca di uno studio internazionale… #booklover #bookstagram #everymonday ••• #chiani #artdirection #illustration #creativedirection #graphicdesign #brandidentity #branding #design #visualdesign #strategy #advertising #packaging #communication #concept #photography #managers & #designers #myartismydirection #designthinking @chianidesign #designboutique #vierijacopochiani #freelance #dontwasteyourpixels #palazzoschio #creativecollective #2022 #vicenza (presso Chiani) https://www.instagram.com/p/CbFLqCuAXdK/?utm_medium=tumblr
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lasola · 4 years ago
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[2.1] - Una Storia Breve
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Per capire cosa è accaduto e forse sta ancora accadendo a Buenaventura occorre osservare diversi processi simultaneamente. Ho alcune ipotesi che potrebbero spiegare le traiettorie seguite dallo sviluppo della città ma, prima di proporle, vorrei delinearne meglio il contesto. Buenaventura, fin da subito, mi parve una realtà avvitata su se stessa, che apparteneva ad altre leggi, volutamente isolata mentre stava accadendo qualcosa di molto grande, tanto grande che in molti non erano completamente consapevoli degli eventi che vivevamo. Il suo Puerto era ed è una turbina che dà energia al movimento del mondo delle cose. E’ un orgoglio ingegneristico nazionale, capace di scaricare e ricaricare enormi navi cargo in tempi al passo con i più grandi porti mondiali. Ma per fargli spazio, negli ultimi venti anni, Buenaventura, la città, in cui circa l’88% della popolazione è di origini africane, ha sofferto cambiamenti strutturali di tale profondità e portata da far immaginare che vi fosse una non-strategia precisa che sosteneva le pratiche locali di governo: creare le condizioni per ricollocare 30.000 persone dall’isola del Cascajal (in foto) nell'entroterra. Osservando le fasi costruttive del suo polo logistico si ha infatti l’impressione di assistere alle iniezioni di improvvise dosi di "progresso e modernità" su di un corpo urbano completamente impreparato e che, poco alla volta, si è ritrovato spossessato dei suoi spazi. L’innesto non è stato indolore da qualsiasi punto di vista lo si voglia osservare. C'è stata una convergenza di eventi, alcuni dei quali numerabili e quantificabili, che non lasciano spazio a troppe fantasticherie.
Sul fronte dell'impiego, l'automazione dei tre terminali logistici ha ridotto drasticamente la forza lavoro direttamente impiegata nel settore portuario. Si parla di circa 6000 posti di lavoro che sono stati persi in 10 anni e che sono stati sostituiti solo parzialmente dagli impieghi nel settore edilizio o dai lavori “a progetto” nell’indotto portuario attraverso agenzie interinali (1). A questo va aggiunta la crescita dei costi di gestione per mantenere in acqua barche di piccolo e medio cabotaggio. Come sostenuto anche da alcuni sindacalisti e da piccoli imprenditori locali, con l’espansione delle aree adibite ai porti, l’accesso al mare di imprese locali di pesca e delle cooperative di trasporto sono diventate sempre più difficoltose. Nel 2013 i dati sulle condizioni economiche della città confermavano questo cammino involutivo. Il 29% della popolazione in età lavorativa era disoccupata. L'81% viveva al livello di sussistenza e il 44% aveva un reddito inferiore alla soglia di povertà (UNDP 2013). Vivere di espedienti era l'unica soluzione disponibile per la grande maggioranza degli abitanti.
Questa condizione faceva da sfondo ad un ambiente che era diventato sempre più violento e pericoloso (1). Ci sono dati che confermano che la città ha vissuto per almeno 20 anni dentro livelli sostenuti di violenza armata. Il numero di morti per arma da fuoco in 15 anni sfiora le 7.000 persone. I tassi di omicidio fino al 2015 furono ampiamente superiori alla già alta media colombiana (oltre i 70 morti per 100.000 abitanti con anni in cui si toccarono i 136 morti). Oltre al numero degli assassinati, un recente articolo su “El Espectador” conferma che dal 1997 al 2021 la Fiscalia ha registrato ufficialmente 1128 casi di sparizioni forzate in città. Ma quando vivevo da quelle parti le cifre di cui parlavano le ong per i diritti umani erano molto più alte. Altrettanto significativi sono i dati sui movimenti migratori che hanno piegato definitivamente le già precarie strutture di accoglienza cittadine. Secondo dati gestiti dall’agenzia dell’ONU, OCHA, cui ho potuto avere accesso nel 2009, il 20% della popolazione, circa 63.000 persone, apparteneva ad un’indefinibile categoria di abitanti fluttuanti, non esistenti, fantasmici che erano i rifugiati interni del conflitto armato scoppiato all’inizio del nuovo millennio nella regione pacifica.
Le ragioni di questa nuova\vecchia guerra hanno certamente bisogno di maggiori spiegazioni. Lo scontro ha si radici nella crescita dal Puerto e in generale nell'accresciuta importanza strategica della regione Pacifica nell'economia nazionale (1). Ma l'escalation bellica è dovuta anche alle dinamiche messe in moto dall’industria del narcotraffico. Tutta la storia recente colombiana non può ormai prescindere dalla comprensione dei processi bellici e socio-economici messi in moto dall'industrializzazione della produzione di cocaina. Su questo tema, come è chiaro, esistono ancora molte divergenze ed omissioni. Rispetto all'esperienza di polo logistico di Buenaventura vorrei però proporre una tesi che ho sviluppato leggendo gli archivi disponibili raccolti attraverso una rassegna di ricerche di altri studiosi e le storie messe insieme nei quartieri in cui ho vissuto per 4 anni.
Seguendo lo schema teorico proposto nel post precedente, conclusosi con un elenco delle maggiori formazioni storiche che operano in città, cercherò ora di mostrarne delle altre, più locali, di natura informale e decisamente fluida, che hanno esercitato nel corso degli anni un’influenza altrettanto decisiva sulle vicende urbane. Data la loro dimensione molecolare rispetto agli aggregati già descritti, utilizzerò ancora Deleuze ed uno dei suoi testi “giovanili” (1) ma questa volta per definirle come istituzioni con le quali si organizzano localmente “i mezzi per soddisfare una tendenza”, dove le azioni collettive di piccoli gruppi di persone non sono da considerarsi limitate dalla legge ma al contrario trovano uno sbocco positivo e una capacità di articolarsi nel corpo sociale. Si tratta di forme “organizzate” di abitare la città la cui osservazione permette di delineare elementi delle strutture politiche che sostengono le strategie di sopravvivenza dei quartieri ed alcune fondamentali tattiche degli abitanti per gestire, controllare ma anche di agire la crisi di Buenaventura.
Vorrei allora provare ad analizzare i cosiddetti combo o gruppi di ragazz* attraverso la loro fluidità; non seguendo i processi di identificazione ed appartenenza che li segnano ma osservando le potenzialità che creano e le tendenze che catturano. Durante il mio lavoro di campo ho notato con una certa costanza che la capacità di eseguire mansioni, di muoversi in città o di lavorare per conto di qualcuno non riguardava mai l’individuo ma sempre un gruppo che si organizzava cambiando in base alle necessità ed alle disponibilità del momento. Un caso che conobbi più da vicino era quello della quadrilla, un’istituzione di base spontanea e tradizionale che ordinava il lavoro nelle miniere di 4 massimo 7 persone e che espletava compiti di diverso tipo sul posto di lavoro ma non solo, tra cui vi era anche quello di autodifesa quando le condizioni lavorative lo rendevano necessario. La stigmatizzazione di micro-istituzioni come queste e la loro associazione a gang o pandillas se non direttamente a gruppi armati ha avuto un impatto decisivo sulle relazioni tra diversi barrios, esquinas o calles della città. In molti casi le fratture imposte da “maldicerie” o da vere e proprie operazioni di criminalizzazione hanno ridotto la capacità di opposizione civica e di resistenza ad alcune scelte di politica economica che venivano prese per la città o attraverso di essa. Non vi è dubbio che, per circa 50 anni, la formazione di istituzioni così definite abbia dovuto sviluppare forme di convivenza e relazioni con l’industria del narcotraffico. Tuttavia è mia convinzione e cercherò di spiegarne le ragioni, che queste relazioni dipesero in maniera sostanziale dal modus operandi di un’istituzione dello Stato, la Polizia Nazionale, il cui obiettivo sarebbe dovuto essere quello di “mostrare la legge” ma che nella Valle del Cauca e a Buenaventura ebbe un ruolo fondamentale nel far attecchire il narcotraffico nei quartieri. In questo modo la leva narcotica venne sfruttata militarmente per silenziare il dissenso in base alle necessità che via via venivano identificate per permettere l’espansione portuaria e l’accaparramento di terre. Seguendo questa linea interpretativa, quello che avvenne nella regione di Buenaventura potrebbe allora essere sintetizzato in questo modo.
Una delle maggiori fonti di reddito ed attività economiche del Puerto, oltre alla pesca ed al trasporto via mare, fu storicamente il contrabbando di prodotti che per qualche ragione non potevano essere commerciati da tutti o su cui occorrevano permessi speciali: dall'alcol, ai medicinali, a una vasta gamma di altri prodotti come gli schiavi venduti nel XIX secolo fino alle adidas fasulle cinesi di quando vivevo lì. Tuttavia, dalla fine degli anni '70, si andò affermando una rete di contrabbando più specifica che concentrò le sue attività sul commercio di cocaina. Questa rete originariamente era composta per lo più da membri della guardia costiera, della polizia nazionale e dagli ufficiali di dogana. Quando negli anni ottanta iniziò il boom narcotico di Cali la rete ebbe il potere di accentrare il contrabbando locale insieme a tutta una serie di attività commerciali legittime, quasi di forzarle dentro il traffico di un unico prodotto. Alla fine degli anni 90 esisteva una flotta di almeno 200 imbarcazioni ormeggiate intorno alla città che smerciavano unicamente cocaina e che, insieme ai grandi porti, avevano reso sempre più costoso il mantenere barche in mare per occuparsi di tutt’altro. Anche loro erano parte di una struttura logistica, ma capillare e diffusa, che faceva atterrare aerei tipo Cesna ed arrivare autoarticolati provenienti dalle maggiori regioni in cui si processava la pasta base della Colombia. In altre parole, la specializzazione del contrabbando e la diffusione di eserciti privati per sostenerlo fu il risultato evidente della creazione di uno campo politico oltre che di una prassi con cui si impose l’accettazione su vasta scala dei traffici illegali del Puerto. Localmente ciò si manifestò soprattutto grazie alla duratura e quasi trasparente partecipazione nel business narcotico delle agenzie preposte al suo controllo. Proverò allora a ricomporre una breve storia locale della cocaina per tentare una dimostrazione più convincente di tutto questo.
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lavoroconstile · 4 years ago
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Trova il lavoro che desideri: come diventare seo copywriter e social media manager
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Claudia Moreschi ci racconta come ha trovato il lavoro dei suoi sogni
Sono solita dividere la mia vita in due momenti: la mia vita prima del 2014 e quello che è venuto successivamente. Il 2014 è stato per me un anno a dir poco cruciale: nel maggio di quell’anno ho dato un taglio netto alla mia vita, lavorativa ma non solo, licenziandomi in tronco. Arrivavo sì da nove anni di lavoro dipendente con contratto a tempo indeterminato, tredicesima e quattordicesima e tutto il resto, ma ero profondamente, terribilmente infelice. Troppo infelice. Il lavoro da ufficio era diventato per me troppo stretto (da anni era ormai chiaro che il lavoro da ufficio non faceva proprio per me), le vessazioni del mio datore di lavoro insopportabili, stavo male psicologicamente e fisicamente. Insomma, non potevo pensare di continuare così. Poi un bel giorno di primavera, dopo aver toccato il fondo, ho capito: perché farmi del male in questo modo? Chi me lo fa fare? Si cambia!
Il percorso fino alla decisione di diventare freelance
Il mio sogno era quello di essere autonoma e indipendente, finalmente padrona del mio tempo e della mia vita, “capo di me stessa”, ma soprattutto libera di fare quello a cui tenevo più di ogni altra cosa: occuparmi di scrittura e comunicazione, la mia vera vocazione. Prima di lanciarmi di petto nel mondo dei freelancer, ho voluto però prendermi una pausa ristoratrice da dedicare a una mia altra grande passione: viaggiare. Per leccarmi le ferite, ritrovare me stessa e fare luce su quello che volevo veramente fare, ma anche per mettermi alla prova e valutare se potevo davvero farcela come freelancer.A novembre del 2014 sono partita per il Sud-est asiatico, sola e con uno zaino da dieci chili sulle spalle, da brava backpacker, con un biglietto aereo “aperto”: sapevo quando sarei partita (il 12 novembre) ma non sapevo con esattezza quando sarei tornata. Durante quello che è stato il viaggio più memorabile e intenso della mia vita, da cui sono tornata rinata e con un bagaglio di immenso di esperienze, mi sono spostata via terra esplorando Thailandia, Laos, Vietnam, Cambogia e quindi Singapore, da cui sono ripartita.Sono rientrata dal mio viaggio in solitaria cinque mesi dopo, nell’aprile del 2015, rilassata e piena di energie e speranze, pronta a lanciarmi a capofitto in una nuova fase della mia vita. Il mio sogno più grande era diventare libera professionista e la vita non è fatta di rimpianti: quindi perché non provare? Prima di buttarmi a capofitto nel mio nuovo lavoro ho però voluto consacrare la mia esperienza e raccontare della mia decisione di cambiare vita e di viaggiare in solitaria con un biglietto di sola andata: nell’autunno del 2015 è uscito Clamore in Asia, il mio primo libro, un racconto di viaggi, riflessioni e stimoli per chi vuole cambiare vita.
Da quando ho aperto la partita iva
Il passo successivo è stato altrettanto decisivo. Era arrivato il momento ufficiale: a gennaio 2016 ho finalmente trovato il coraggio di fare una cosa che rimandavo da tempo, ovvero aprire la mia partita IVA. Sono quindi diventata a tutti gli effetti una libera professionista specializzata in SEO Copywriting, Social Media Marketing e articoli per il web, con una predilezione (non poteva non essere così) per il mondo del turismo.Un aiuto fondamentale nel mio processo di cambiamento professionale è arrivato dal mio blog di viaggi: aperto nella primavera del 2012, il mio blog mi ha aiutata fin da subito a farmi conoscere sul web e a stringere le prime collaborazioni di scrittura, collaborazioni che con il tempo si sono consolidate fino a darmi una base solida di clienti da cui partire. Negli anni il mio blog di viaggi è diventato anche fonte di ispirazione per tanti che come me, cercavano di dare un taglio alla propria vita ma magari tentennavano o temevano di non farcela.Essere di aiuto e stimolo per loro è stato, e lo è tuttora, un aspetto molto gratificante, che mi riempie di gioia, qualcosa che faccio volentieri, così come hanno fatto altri con me quando ero nella loro stessa situazione.Cosa fa un SEO Copywriter e Social Media Manager professionistaUn SEO copywriter è uno specialista della scrittura (soprattutto web ma può anche occuparsi di scrittura offline): i contenuti che realizza sono sempre in ottica SEO, cioè ottimizzati per i motori di ricerca. Per diventare SEO copywriter serve quindi un’ottima padronanza della lingua, creatività e abilità nella scrittura a cui si aggiunge una buona conoscenza della SEO. Spesso – come nel mio caso – un SEO copywriter può occuparsi anche di social media marketing, quindi creazione di contenuti e strategie per la comunicazione sui social media. In questo caso, in più, serve una conoscenza approfondita del mondo dei social media (mondo in evoluzione quotidiana) e delle dinamiche del web marketing: saper gestire la stesura di piani editoriali e la creazione di post, ma anche la creazione di campagne pubblicitarie e analisi dei dati statistici.Come mi sono formata per lavorare nel copywritingNel frattempo mi sono dedicata alla specializzazione: già prima di aprire partita IVA ho frequentato un corso intensivo di social media marketing per la gestione degli eventi, quindi un corso internazionale di travel writing e mi sono dedicata ad approfondire l’ambito del copywriting con letture a tema, webinar e corsi di scrittura.Per il copywriting sono state per me illuminanti le letture di Luisa Carrada e Annamaria Testa, ma ci sono stati anche altri libri “esistenziali” che hanno segnato il mio ingresso nel mondo dei freelancer: ne ho letti tantissimi, ma tra i primissimi che mi vengono in mente ci sono “La mucca viola” di Seth Godin, “4 ore alla settimana” di Timothy Ferriss e “Adesso basta” di Simone Perotti. Leggere, leggere, leggere, leggere tanto è tra le primissime cose che consiglio a chi vuole intraprendere la strada del copywriter. La formazione è qualcosa che deve essere costante non solo in una fase preliminare di costruzione del proprio lavoro, ma anche durante, a maggior ragione per chi, come è, è anche social media manager: i social media sono un mondo in fermento e in evoluzione quotidiana (e questo è uno dei motivi per cui li amo così tanto), per cui non si può mai restare indietro. A distanza di anni, ormai nel sesto anno della mia attività come freelancer, non c’è mai stato un giorno in cui non sia stata felice della mia scelta. Probabilmente questo è proprio il posto giusto in cui avrei sempre dovuto essere, perché non ho mai avuto difficoltà particolari o momenti di crisi. Da inguaribile ottimista quale sono, penso che se davvero vogliamo una cosa con tutta la nostra forza, se davvero facciamo di tutto per ottenerla, il premio poi arriva. E con esso la felicità. Come recita una delle frasi-mantra che preferisco, “fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita”.Come iniziare a lavorare come SEO Copywriter e Social Media Manager professionistaCome dicevo sopra, le mie prime collaborazioni sono arrivate grazie al mio blog, che è stata ed è tuttora una vetrina importante per farmi conoscere. Agli inizi mi sono iscritta a portali internazionali dedicati al lavoro dei freelancer: le tariffe in genere sono basse ma può essere un buon trampolino di lancio da cui partire per farsi conoscere e trovare i primi clienti. Oltre a questo serve un sito professionale ben posizionato per farsi trovare da chi cerca servizi di SEO copywriting e social media, dove creare anche una sezione portfolio per mostrare i propri lavori e le proprie collaborazioni. Sullo stesso argomento puoi leggere su Lavoro con Stile: Come diventare copywriter da zero! Trovare lavoro come blogger... Come diventare social media manager. Come entrare in contatto con Claudia MoreschiChi vuole sapere di più su chi sono e quello che faccio può trovarmi qui: https://www.claudiamoreschi.it/ http://www.travelstories.it/ il mio blog di viaggi. e infine i miei canali social: https://www.linkedin.com/in/claudiamoreschi/ https://www.instagram.com/clamore_travelstories/ https://www.facebook.com/TravelStories.it https://www.facebook.com/ClaudiaMoreschi.it Un ringraziamento speciale a Claudia Moreschi per essersi raccontata con generosa e genuina autenticità! Ti aspettiamo come sempre nei commenti se ti va! Read the full article
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purpleavenuecupcake · 4 years ago
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Abi: le banche operanti in Italia puntano su sicurezza e innovazione
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Le banche operanti in Italia accelerano su sicurezza e innovazione, con strategie e programmi di investimento ancora più a misura del cliente.   Investimenti in sicurezza Dall’ultimo studio di ABI Lab sulla sicurezza emerge che la maggior parte delle realtà analizzate ha indicato per il 2020 un aumento degli investimenti per la protezione dei canali remoti utilizzati dalla clientela: i volumi di spesa previsti per la sicurezza IT rispetto al totale del budget IT passano dal 7% riscontrato durante il 2019 al 12% per il 2020. Il budget di sicurezza IT si divide tra interventi per incrementare i livelli di sicurezza dei servizi (31%), interventi per l’evoluzione del servizio offerto alla clientela, anche in ottica di business (30%) e interventi per l’adeguamento alle normative di sicurezza (39%). Investimenti in Internet e Mobile Banking La forte attenzione del mondo bancario per Internet e Mobile Banking trova conferma anche nelle previsioni di spesa formulate per il 2020: l’87% delle banche rispondenti ha segnalato un aumento o un forte aumento degli investimenti sul Mobile. Anche l’Internet Banking vede il 65% delle banche aumentare lo sforzo economico. Le aree di maggiore attenzione sui canali digitali sono la cybersecurity, l’efficientamento dei sistemi e la specializzazione del personale. È quanto emerge da un’indagine contenuta nel Rapporto annuale realizzato da ABI Lab, il Consorzio per la Ricerca e l’Innovazione per la banca promosso dall’Abi, che fa il punto sul Read the full article
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stefanopisoni · 4 years ago
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Guida LinkedIn Per Social Media Manager (Parte 1)
Sei un Social Media Manager e stai cercando una guida LinkedIn?
Vediamo insieme perché è importante investire sui social (e su LinkedIn) e qual è il ruolo del SMM
Stai cercando una guida LinkedIn?
Probabilmente perché anche se non lavori con i social media, sai bene che le piattaforme social sono attive 24 ore su 24, 7 giorni su 7.
I social non dormono mai, dicono. Dovresti aver già sentito una frase simile da qualche parte ed è proprio questo che spaventa le aziende, i reparti marketing e i dirigenti.
L’impossibilità di dominare i ritmi di un mondo che corre veloce: i social media.
Perché mai un’azienda dovrebbe investire sui social?
Perché dovrebbe farsi supportare da un buon social media manager?
Teoricamente, il compito del SMM è quello di comunicare in modo autentico i valori e la visione dell’azienda.
Fare in modo che il brand sia culturalmente rilevante e agire come un responsabile dell’immagine del brand davanti al pubblico online. Farlo in 150 caratteri – o poco più – a volte è un compito difficilissimo. 
(Se te lo stai chiedendo, 150 è il numero massimo di caratteri che LinkedIn suggerisce per un aggiornamento sulla pagina aziendale LinkedIn). 
A pensarci bene, la presenza del tuo brand sui social media è come una tela bianca.
Tutto dipende da quello che ci dipingi sopra!
E, come ogni altra competizione, vince solo solo chi pubblica contenuti audaci, entusiasmanti, coinvolgenti.
Essere un ottimo social media manager non è un’impresa da poco. Per avere risultati concreti è necessario studio, preparazione e dedizione. 
I bravi social media manager riescono a esercitare un grande potere. Sono maestri di un mezzo comunicativo che pochi capiscono e da cui molti sono intimiditi.
Per questo motivo i SMM stanno diventando professionisti sempre più preziosi nel guidare un reale cambiamento in azienda e apportare il loro contributo anche a livello commerciale. 
Detto questo, come un social media manager dovrebbe introdurre nella quotidianità dell’azienda le giuste attività di digital marketing sui social?
Come può trovare il giusto equilibrio tra essere accattivanti, interessanti e autorevoli allo stesso tempo?
Come può scegliere le giuste piattaforme social per amplificare l’esposizione del brand che gestisce e dare la giusta visibilità dell’azienda agli occhi dell’audience corretta?
Queste sono tutte domande che affronterò in questa guida LinkedIn per SMM.
Un approfondimento dedicato a tutti i professionisti che lavorano con i social network – in particolare LinkedIn – e che sono responsabili spesso di condividere parte della digitalizzazione dell’azienda tra i colleghi.
Avendo lavorato per importanti multinazionali, conosco bene quali possono essere i principali punti critici che deve affrontare un social media manager.
— ATTENZIONE: sicuramente tante aziende sottovalutano l’importanza e le responsabilità di chi lavora nel marketing, ma c’è anche da dire che spesso tanti Social Media Manager e digital marketer sono troppo influenzati da vanity metrics e poco focalizzati sul portare risultati reali in azienda.
In questa guida LinkedIn condividerò con te alcuni dei migliori suggerimenti per aumentare l’efficacia in azienda come social media manager. 
Faccio ricorso alla mia esperienza di personal branding e di posizionamento su LinkedIn, e sui social in generale, nella speranza di poterti aiutare ad aumentare l’impatto dei tuoi sforzi nel creare il Marketing Funnel della tua azienda.
Usa questa guida come una roadmap. 
Un supporto che ti assiste verso il successo delle tue comunicazioni sui social media. 
Se non sei un social media manager, ma stai comunque valutando di investire risorse sui social, mi piace pensare che il mio contributo di questa guida LinkedIn ti aiuti a capire perché dovresti dedicare più tempo per la tua azienda su LinkedIn o che possa permetterti di valutare correttamente l’operato del tuo Social Media Manager.
Pronto? Iniziamo!
Ti stai ancora chiedendo se ha senso investire sui social? O forse “hai già debuttato”, ma vorresti ottenere performance migliori?
Ecco perché è importante per un’azienda utilizzare i Social Media (e LinkedIn)
Sono passati quasi 20 anni (in Italia un po’ meno) da quando i social media sono entrati nelle nostre vite. E da allora il mondo non è più stato lo stesso. I social hanno cambiato anche il nostro modo di fare business. 
Hanno aumentato la necessità di affidarsi a figure esperte per fare social media marketing.
In genere, i professionisti utilizzano i social per:
connettersi con colleghi e amici
ottenere consigli sulla carriera professionale
costruirsi una reputazione
tenere il passo con le tendenze del settore
controllare fornitori e prodotti
Ma soprattutto, i professionisti hanno capito che i social media possono aiutarli a raggiungere più persone, migliorare le loro conoscenze, stabilire una presenza online ed entrare in connessione con migliaia di potenziali Clienti!
In poche parole? Vendere di più! 
Cosa può fare il social media manager per i professionisti? 
Il SMM gioca un ruolo fondamentale di connessione tra il tuo brand, la tua azienda e i professionisti là fuori interessati ai tuoi prodotti o servizi.
Sei un SMM? Ecco di cosa dovrebbe preoccuparsi il tuo capo
So bene quanto sia faticoso trasmettere l’importanza di una corretta presenza sui social per un’azienda. Molto spesso piani strategici e calendari editoriali non sono sufficienti.
Per questo, in questa guida LinkedIn ti porto alcune statistiche da stampare e far trovare al tuo capo sulla sua scrivania (o nella sua casella email).
3,48 miliardi Il numero di persone che utilizzano i social media in tutto il mondo. Rappresenta il 45% della popolazione mondiale! (Hootsuite & We Are Social Digital 2019 Analysis)
2,5 Le ore che i consumatori digitali trascorrono ogni giorno sui social network e sulle app di messaggistica. (GlobalWebIndex Q1 Report, 2018)
54% La percentuale di utenti social che utilizzano i social media per cercare prodotti. (GlobalWebIndex Q1 Report, 2018)
71% La percentuale di consumatori che hanno avuto un’esperienza positiva con un brand sui social e che probabilmente consiglieranno questo brand ad amici o parenti. (Forbes Report, 2018)
Qui sorge una domanda a cui dobbiamo dare subito una risposta. “La mia azienda vende prodotti B2B, vale lo stesso ragionamento?” Assolutamente si, ne parlo qui!
In che modo i social possono aiutare un’azienda ad avere successo
La crescita vertiginosa dei social ha portato alla specializzazione del ruolo di social media manager. 
Essere efficaci sui social richiede più di una semplice creazione di un account Instagram o una pagina aziendale LinkedIn.
Se dirigi un’azienda, e hai messo sotto stipendio una risorsa solo per rispondere ai commenti o ai messaggi online, molto probabilmente stai sprecando tempo e soldi. 
Il tuo SMM non sarà molto stimolato da questa attività (che comunque è importante e deve essere fatta) ma soprattutto non sarà per niente produttivo per il tuo business. È necessaria una certa esperienza, curiosità e abilità per svolgere il lavoro in modo efficace. 
Un buon SMM deve:
Riflettere su ciò che sta accadendo nel più ampio mondo dei social media e verticalmente nella sua attività. Ad esempio, in che modo i social si stanno trasformando per permettere alle aziende di aumentare il fatturato. Ciò significa anche colmare il divario tra il pubblico della tua azienda e la sua fiducia nel brand. (Quest’ultima in calo sui media tradizionali, il 59% delle persone si fida dei social media di un brand, mentre solo il 41% si fida della sua pubblicità.)
Agire con strategia. Diventare una punto di riferimento per tutto ciò che accade relativamente all’attività dell’azienda per cui lavora. Un buon social media manager è  un punto di contatto fondamentale che coinvolge il tuo pubblico target. Un SMM sa quando e come rendersi disponibile ogni volta che il tuo pubblico ne ha bisogno.
La buona notizia è che oggi possiamo contare su un accesso senza precedenti alla tecnologia. Ciò ti aiuta a portare a termine il lavoro utilizzando una content strategy sempre attiva, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. 
Inoltre, hai anche accesso a diverse piattaforme social. Facebook, Twitter, LinkedIn, Instagram, TikTok.
Come scegliere quella giusta per la tua azienda?
Ha senso investire risorse in mezzi e professionisti che ti aiutano a raggiungere e coinvolgere il pubblico giusto per la tua azienda?
Decisamente si! E quando le aziende B2B devono decidere quale piattaforma usare spesso la scelta ricade sull’unica scelta logica possibile. Quale? LinkedIn!
I Social sono davvero così utili nel B2B?
Voglio sfatare un mito. 
Quello che i social sono fatti solo per le aziende B2C. Non è assolutamente così e lo voglio dimostrare anche con questa guida LinkedIn.
Sì, ormai quando si parla di social non ci si può limitare più esclusivamente al B2C. La trasformazione digitale delle aziende ha rivoluzionato i metodi di vendita anche per il business-to-business.
Prova a chiedere quanto sono cresciute nel corso del lockdown le aziende che sviluppano piattaforme online di collaboration. Oppure a quelle di e-learning. O ancora a quelle di virtualization degli eventi. I Social Media sono canali che nessuna azienda può più sottovalutare.
Qual è il motivo?
Prima di tutto, qualsiasi prospect o cliente ha almeno un account social attivo (vedi le statistiche sopra). È sui social che passa gran parte del suo tempo e sui social deve essere intercettato. 
È ormai appurato che LinkedIn è l’ “habit social” ideale per i professionisti.
È su LinkedIn che le aziende, attraverso il lavoro congiunto di un reparto marketing e di un social media manager, devono intercettare bisogni e preferenze dell’utente.
Il social selling e LinkedIn
Il Social Selling è un approccio relativamente nuovo e particolarmente efficace per il marketing di una azienda. Lo scopo – generale – è quello di aumentare le vendite grazie ai canali social. In particolare, l’obiettivo di qualsiasi guida LinkedIn deve essere quello di generare contatti qualificati.
Da un punto di vista concettuale, il Social Selling è l’insieme delle strategie di social media marketing per trovare, costruire e stabilire relazioni con i clienti in un’ottica di vendita.
Da un punto di vista tecnico, si tratta di ricercare, collegarsi e interagire con potenziali clienti sulle piattaforme social mediante la condivisione di contenuti che permettono di creare, costruire e consolidare relazioni in grado di aumentare le vendite.
Quel che è importante che tu capisca, è che il Social Selling NON è una moda passeggera.
Di fronte a una concorrenza sempre più agguerrita – e che continua ad aggiornarsi per farlo meglio – sfruttare i social per creare e coltivare relazioni commerciali può essere decisivo.
Entra in contatto con il contatto chiave di un’azienda e ottenere un incarico importante è un risultato che puoi ottenere su LInkedIn grazie al social selling.
Una vera e propria leva di vendita da accostare alle tecniche che il tuo reparto commerciale già mette in pratica offline.
Hootsuite stima che entro 2 anni l’85% delle interazioni tra buyer e seller avverrà online. Il vettore di queste interazioni saranno i social media tramite video e contenuti digitali. 
Un approfondimento di Forrester Consulting rivela che quasi la metà delle imprese B2B US ha già sviluppato un piano operativo di social selling. Il 28% di queste ha già iniziato ad attuare strategie di social selling. Solo il 2% sostiene di non avere in previsione nessuna attività di social selling.
Chi fa social selling in azienda?
Social media manager VS Sales manager. A chi spetta l’attività di social selling?
Per sua natura, una risorsa del reparto commerciale di un’azienda, è il profilo perfetto per portare ad attuazione una strategia di social selling. Sai bene come un sales manager riesce a districarsi e muoversi con agilità quando si tratta di approcciare un contatto e “lavorarlo a più riprese”.
Nel caso del social selling però, è importante dismettere gli abiti del venditore puro e indossare quelli del consulente qualificato. E soprattutto, supportato da un social media manager o da un reparto marketing adeguato.
È fondamentale che il seller interagisca direttamente con i prospect. Soprattutto con il decision maker o il responsabile dell’ufficio acquisti dell’azienda. 
Ma per arrivare a questo, è necessario saper intercettare i bisogni e anticipare le domande che un potenziale lead porrebbe in fase di aggancio. È necessario offrire tutte le informazioni di cui ha bisogno un contatto importante su LinkedIn.
E in questo, un social media manager è il professionista più indicato per supportare il reparto commerciale in una strategia congiunta di social selling. 
Come ti ho accennato, il social selling è un approccio alla vendita innovativo. Meno orientato alla vendita diretta e molto più basato sul lead nurturing, sulla condivisione di informazioni e sulla creazione di fiducia. 
Per tale motivo, risulta fondamentale all’interno dell’azienda, una collaborazione diretta tra la forza vendita e chi si occupa di marketing per la produzione di contenuti adeguati, l’engagement sui social e l’ascolto dei bisogni del pubblico di riferimento.
Continua la lettura della Guida LinkedIn per SMM nel capitolo 2 (in arrivo tra pochi giorni!) – “Perchè un SMM dovrebbe spendere più tempo su LinkedIn“ A presto, Stefano
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iltermostato · 5 years ago
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Definirsi esperti senza esserlo
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Oggi con l’avvento di Internet, siamo esposti a migliaia di informazioni che ci sommergono, alcune delle quali sono “fake news”. Questa facilità di reperire informazioni si è rivelata dannosa per i professionisti, poiché facendo ricerche su Google si possono reperire anche informazioni errate. In questo modo, tutti pensano di essere medici, tecnici riparatori, psicologi, avvocati, ecc. In particolare, segnalo il precedente articolo in questo volantino sulle competenze che dovrebbe avere un tecnico riparatore. Spesso ci troviamo di fronte a parrucchieri, estetiste o semplici amici che si definiscono “un po’ psicologi” per il semplice fatto di ascoltare gli sfoghi dei loro clienti e amici. Allora io vi chiedo se avete mai sentito dire: “Sai che anch’io sono un po’ cardiologo?” Nessuno si sognerebbe mai di fare una affermazione del genere senza aver avuto alle spalle anni ed anni di studio e competenze specialistiche. Questo pregiudizio sullo psicologo è dovuto alla banalizzazione di questa professione, a causa dei media e del senso comune che riducono la psicologia alla semplice capacità di ascoltare, comprendere l’altro e dare consigli. Ebbene, molti resteranno sconvolti nel sentirsi dire che lo psicologo, oltre alla valutazione e alla diagnosi, si occupa di prevenzione, riabilitazione, rieducazione e sostegno. Inoltre non dà soluzioni preconfezionate ma, grazie alla costruzione di una relazione con il paziente, fornisce strategie e strumenti per ragionare da sé. Nella mia esperienza da (quasi) psicologa, ho incontrato gente senza alcuna formazione, che si professava esperto in una qualche branca della psicologia. L’ Ordine Nazionale degli Psicologi definisce lo psicologo come “un professionista iscritto nell’apposito albo professionale e abilitato in psicologia mediante l’esame di Stato dopo aver conseguito la laurea magistrale in psicologia e un tirocinio pratico”. Inoltre il Codice Deontologico afferma che “lo psicologo contrasta l’esercizio abusivo della professione e segnala al Consiglio dell’Ordine i casi di abusivismo o di usurpazione di titolo di cui viene a conoscenza”. Purtroppo quest’ultimo provvedimento non è sempre applicabile, in quanto i soggetti abusanti del titolo hanno adottato un nome che non sempre è regolamentato, così ci possiamo trovare davanti a diplomati, insegnanti, pedagogisti, filosofi, educatori che svolgono professioni (tecnici ABA, tutor DSA, counselor, life coach, ecc) che richiedono competenze in ambito psicologico. Inoltre, la responsabilità non è solo di chi svolge questi di chi svolge questi incarichi, ma anche di formatori che propongono corsi brevi per “abilitare” queste persone a svolgere queste funzioni. Di male in peggio, ci sono anche corsi online brevi di psicoterapia cognitivo-comportamentale, una professione che in realtà richiede a psicologi e medici quattro anni di specializzazione dopo l’iscrizione all’apposito albo. Un altro esempio di svalutazione di una professione è il pregiudizio secondo cui, se un lavoro non ti impegna a livello fisico, non è un lavoro. Penso ad esempio a chi lavora sui social network che è costantemente criticato perché non svolge un vero lavoro, eppure percepisce uno stipendio per le competenze che ha acquisito in questo ambito. Infatti, lo youtuber, l’influencer, il social media manager sono lavori che, essendo nati nell’era del digitale, non sono considerati seri. Eppure non basta solo scrivere un post e pubblicarlo, girare un video e caricarlo sul proprio canale per svolgere questo lavoro, altrimenti saremmo tutti un po’ youtuber, influencer e social media manager.
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