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#Scuola Teologica di Base
dontresal · 7 years
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“Laici, Chiesa e teologia” se ne parlerà a Ragusa alla presenza di Mons. Cuttitta | Ragusa Oggi
“Laici, Chiesa e teologia” se ne parlerà a Ragusa alla presenza di Mons. Cuttitta | Ragusa Oggi
di Redazione  31 ottobre 2017 La Scuola Teologica di base promossa dalla Diocesi di Ragusa, che ha preso avvio lo scorso 10 ottobre, inaugura l’anno accademico 2017-18 con un momento di grande rilievo. Presso la Chiesa di “S. Giuseppe Artigiano” a Ragusa, venerdì 3 novembre alle ore 19.00, sarà celebrata la messa presieduta da S. E. Mons. Carmelo Cuttitta alla quale seguirà la prolusione “Laici,…
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camminidiliberta · 4 years
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Riflessioni sull’educazione: Jacques Verger, Le università nel Medioevo
Nel presente libro Verger delinea lo sviluppo dell'università quale istituzione sociale e politica. Durante il dodicesimo secolo le scuole cattedrali si stavano diffondendo, richiamando un crescente numero di studenti. Tale crescita era una risposta all'aumento della domanda di persone colte. La grande diffusione dei testi tradotti dal greco e dall'arabo, e il diritto romano, diedero autonomia all'insegnamento di alcune discipline secolari, come legge e medicina. Il rapido successo della dialettica stabilì un nuovo tipo di pedagogia; la teologia fu profondamente riesaminata. Particolari circostanze storiche fecero sì che alcuni centri  come Parigi, Bologna, Oxford, divennero estremamente  influenti. Attorno  a queste città cominciarono a prendere forma le prime corporazioni di studenti e maestri. Il monopolio della Chiesa sull'insegnamento cominciò a venir meno. Il quindicesimo secolo fu un epoca di cambiamento: nuove fondazioni, un corpo di insegnanti e di studenti in continua espansione. Tuttavia allo stesso tempo le istituzioni subivano un cambiamento diventando secolarizzate; la precedente autonomia era in declino davanti alle nuove pressioni statali.
Il saggio di Verger non si occupa di storia delle idee, privilegia una lettura sociale e politica della storia dell'università. Per quanto l'argomento sia molto complesso, perché deve tenere conto delle diverse realtà di numerose università disseminate in varie regioni dell'Europa, dall'esame storiografico emergono tre fenomeni costanti dal Medioevo ai giorni nostri: l'interesse dei potenti ad avvantaggiarsi del sapere e dei professionisti prodotti dalle università, la tendenza dei potenti ad esercitare un controllo sulle università indirizzandone le attività attraverso l'elargizione di finanziamenti, la costituzione spontanea di classi sociali colte e privilegiate all'interno dell'università. Verger inizia il suo studio esaminando la situazione delle scuole in Occidente nel XI-XII secolo. Solo in Italia  erano presenti scuole laiche di arti liberali, di elementi di notariato, di diritto pratico e, a Salerno, di medicina. Si trattava comunque di realtà private e poco note; la massima parte dei centri di cultura era sotto il controllo della Chiesa, presso un monastero o una cattedrale. Ogni scuola era diretta da un magister scholarum  direttamente  subordinato  al  vescovo o all'abate.  Queste scuole  erano destinate in primo luogo agli oblati dei monasteri e ai giovani chierici, la maggior parte impartiva solo un'istruzione elementare, pochi centri potevano definirsi di educazione superiore. I monasteri, luoghi del sapere per eccellenza nell'alto Medioevo, erano in una fase di decadenza. Al contrario le cattedrali, per via della riforma gregoriana, iniziarono ad essere i nuovi centri della cultura. L'insegnamento era ancora quello stabilito in epoca carolingia da Alcuino: alla base c'erano le sette arti liberali, al vertice la teologia. L'unica innovazione, peraltro molto importante, fu la riscoperta della dialettica aristotelica che portò al rinnovamento della teologia fornendo uno strumento razionale di interpretazione della Sacra Scrittura. I testi di Aristotele furono accessibili grazie ai contatti di Venezia con l'impero bizantino, grazie alla conquista normanna della Sicilia e soprattutto grazie all'incontro tra la cultura islamica e latina in Spagna. Da questi  apporti della cultura  greca dipenderà in  larga  misura l'orientamento dell'attività intellettuale delle università fino alla fine del Medioevo. Inoltre, negli ultimi anni del XI  secolo,  la lotta per  le investiture   comportò  un  risveglio dell'attività giuridica; di qui un intenso lavoro di ricerca, di critica e di riordinamento delle fonti del diritto. Parallelamente  vi fu lo sviluppo   delle città,  conseguenza del generale sviluppo demografico dell'Occidente.   Senza città non sarebbe stata possibile la nascita dell'università; la città infatti comportava la divisione del lavoro, le persone dedite ad uno stesso mestiere tendevano spontaneamente ad associarsi in comunità di uguali, dando vita ad una corporazione, spesso chiamata “universitas”. Nelle città di tutta Europa si moltiplicarono le scuole. All'inizio del Duecento solo le classi sociali più ricche potevano permettersi di pagare l'istruzione ai propri figli, verso la fine dello stesso secolo anche le classi medie erano in grado di fare altrettanto. Nel 1179 il III concilio Lateranense stabilì che ogni cattedrale era obbligata a tenere una scuola e che gli  scolastici  dovevano concedere gratuitamente la licentia   docendi  a chiunque la chiedesse, purché in possesso dei requisiti necessari. La licentia docendi conferiva il diritto di insegnare soltanto entro i confini della diocesi. All'inizio del Duecento il Papato istituì la licentia ubique docendi, riconosciuta ovunque, così facendo la Chiesa affermava il suo diritto a controllare tutta l'attività dell'insegnamento. Nonostante il forte controllo della   Chiesa l'istruzione iniziò  a non essere più considerata semplicemente come   formazione del clero, l'intellettuale cominciò a prendere coscienza della specificità sociale del suo lavoro, che non si lasciava ricondurre a quello del chierico. Verger cita il caso emblematico dell'università di Parigi: è probabile che una prima forma di associazione corporativa dei maestri parigini sia avvenuta nella seconda metà dell'undicesimo secolo, periodo in cui si assistette alla laicizzazione degli insegnanti, nel 1194 Celestino III concesse ai maestri e agli allievi di Parigi i privilegi goduti dai chierici, nel 1231 con la  bolla  Parens   scientiarum  Gregorio IX sancì l'autonomia dell'università rispetto all'autorità vescovile. Complessivamente il governo  delle università presentava nel   Duecento tratti democratici ed era esercitato in modo autonomo: non c'erano ancora funzionari statali incaricati di occuparsi degli affari universitari, solo i legati pontifici svolgevano un ruolo importante concedendo gli statuti e arbitrando nelle dispute. L’università nel Duecento non avevano edifici. I privilegi degli universitari comprendevano l'esenzione dal  servizio militare, dal pagamento delle tasse, e il godimento di rendite ecclesiastiche senza l'obbligo di prendere gli ordini e di servire alcun incarico. In un primo momento le università conferivano un solo titolo, la licentia docendi, inseguito si aggiunse un titolo minore, quello di bacceliere, e un titolo superiore, il dottorato, quest'ultimo era   utile a chi intendeva dedicarsi all'insegnamento e si trattava di una semplice formalità da un punto di vista scolastico, ma costava molto caro e fungeva da sbarramento sociale nei confronti degli studenti meno abbienti. Gli studenti ricchi erano frequenti soprattutto nelle facoltà di diritto, per il resto gli studenti provenivano da tutti gli stati sociali definibili classe media: piccola nobiltà, borghesia, contadini benestanti. Per molti di questi l'università offriva una speranza di promozione sociale. L'insegnamento doveva essere gratuito, i maestri potevano vivere grazie ad una prebenda ecclesiastica, diventando così chierici condizionati dalla Chiesa. Tuttavia, specialmente nelle università italiane era uso che gli studenti versassero delle collette ai docenti. Lo sviluppo delle corporazioni universitarie fu promosso per tutto il XIII secolo dai papi. Per i papi l'università doveva fornire anzitutto del personale idoneo ai compiti peri quali l'impreparazione intellettuale era un pericolo: vescovi, predicatori, teologi e canonisti. L'unico studio utile ai predicatori era la teologia. Per prima cosa studiavano la dialettica a fini propedeutici, per poi dedicarsi al lungo studio della teologia, per completare il quale erano necessari ben 15 anni. La quasi totalità degli studenti di teologia erano frati domenicani. I domenicani disponevano dei   propri studia conventuali, tuttavia si inserirono nelle università, e dove mancava l'insegnamento della teologia lo studium domenicano veniva spesso inglobato nell'università fungendo da facoltà teologica. Per tutte le altre figure clericali gli studi preponderanti erano quelli di diritto. L'importanza del diritto aumentò nel XIV e XV secolo. La realtà universitaria cambiò parecchio: si passò dalla quindicina di università del 1300 alle settanta e più del 1500. La fisionomia universitaria cambiò altrettanto: risalgono a quest'epoca i sontuosi edifici universitari, parallelamente l'insegnamento si sclerotizza, le università non sono più un luogo di fermento intellettuale, diventano centri di sapere standardizzato che producono professionisti al servizio dello stato e della Chiesa. Aumentò la componente laica fra i maestri e gli studenti, soprattutto in Italia. Per quanto concerne la teologia l'ultima figura originale fu Guglielmo di Occam. I maestri successivi si attestarono sui metodi scolastici tradizionali, che però la critica occamista  aveva  svuotato  di  ogni  sostanza.  Il  nominalismo  non incoraggiava  gli universitari a costruire nuove sintesi teologiche, promuoveva invece l'interesse per i problemi particolari. Nel Tre-Quattrocento le università svolsero la funzione di custodi dell'ortodossia. In realtà molti universitari ambivano a contare nel governo stesso della Chiesa, il Grande Scisma (1378-1417) fornì l'occasione di esercitare un'influenza sulla Chiesa durante i concili di Costanza e Basilea, influenza che fu solo momentanea. In sintesi la teologia dell'epoca non contribuì né alla politica né alla storia delle idee, solo   il   misticismo tedesco di  matrice monastica riportò vita alla teologia tardo-medioevale. Diverso discorso per i giuristi, che compongono buona parte dell'alto clero dell'epoca. Lo  scopo primario della  Chiesa  era  infatti  quello di organizzare, amministrare e dirigere. La Chiesa doveva essere un'istituzione ben organizzata ed efficace, la religione si era risolta nella morale e la morale nelle regole e nelle obbligazioni. Nel Trecento il diritto canonico ha conosciuto un forte sviluppo. La politica universitaria dei papi di Avignone fu tesa a sviluppare le facoltà di diritto. Verger cita dei dati: dalla matricola dell'università di Avignone si apprende che dal 1430 al 1478 gli iscritti alla facoltà di diritto sono stati in media 3418 contro i 271 di teologia, i 61 di arti liberali e i 13 di medicina. Molti professori di diritto concludevano la propria carriera come vescovi; il giudice ecclesiastico delegato dal vescovo e il vicario generale avevano la licenza in diritto; i canonici cittadini erano spesso degli ex-universitari. Il rapporto tra università e stati è simile a quello tra università e Chiesa: le università potevano essere pericolosi focolai di agitazione sociale, ma portavano prestigio e benessere alle città che le ospitavano, e ai governi potevano fornire giuristi qualificati, formati sul diritto romano, fonte della sovranità dello stato. Lungo il Trecento si assiste ad una evoluzione amministrativa, le burocrazie diventano assai complesse, il che porta ad una domanda molto più forte di giuristi ben preparati. Pertanto molti principi fondarono le proprie università: nel Trecento le università non erano più corporazioni spontanee. Questo fenomeno ebbe il vantaggio di colmare delle lacune geografiche, tutta l'Europa dell'est era stata   priva di importanti centri di cultura prima di quest'epoca. Gli stati hanno quindi favorito la moltiplicazione delle università, tale atteggiamento rispondeva ad un reale bisogno di funzionari. Le facoltà di diritto del tardo Medioevo furono all'altezza del compito che gli stati affidavano loro. Fu invece dalle facoltà di arti e di teologia che vennero gli interventi politici. Queste facoltà rappresentavano gruppi più dinamici socialmente e non erano orientate alla formazione professionale o al servizio dello stato. I delegati dell'università partecipavano agli stati generali e molte volte i pareri dei maestri erano tenuti in notevole considerazione. Durante la guerra dei Cento Anni l'università di Parigi divenne   una delle basi del partito borgognone, filo-inglese, e durante il periodo di occupazione inglese si impegnò in un'attiva propaganda a favore del nuovo regime. Nel complesso le università del tardo Medioevo hanno svolto una funzione politica limitata, tuttavia tale da impensierire i governi e persuaderli a uno stretto controllo dell'autonomia delle università, le quali si difesero male perché smisero di appoggiarsi al papato. Così il re di Francia Luigi XI intervenne continuamente e senza scrupoli nella vita interna dell'università di Parigi, facendo espellere personale, proibendo l'insegnamento del nominalismo e via dicendo. In maniera analoga nel 1407 Venezia proibì ai sudditi di studiare altrove che a Padova. Le città presero in mano anche il reclutamento e il pagamento dei professori: poiché li pagavano, le città potevano sceglierli. Agli inizi del Duecento le università erano corporazioni autonome, focolai di ricerca e di insegnamento; alla fine del Quattrocento erano diventati dei centri di formazione professionale al servizio degli stati. Per quanto riguarda la classe sociale, in molte matricole si segnala l'esistenza di studenti poveri, esonerati dal pagamento dei diritti universitari, frequenti soprattutto in area tedesca e nell'Europa settentrionale, assai meno numerosi al sud. Il salario dei professori prova che la diseguaglianza era la norma e che la situazione economica di parecchi maestri era mediocre, solo una piccola parte disponeva di salari altissimi, tali da permettere uno stile di vita nobiliare. Tra costoro nasce una “nobiltà di toga”, si assiste ad una chiusura sociale. L'esclusione dei poveri nelle università italiane del Quattrocento ne è un esempio. La tendenza si nota soprattutto nelle facoltà di diritto e medicina: i diritti d'esame, già alti, furono aumentati ancora. L'accettazione di un nuovo dottore, spesso figlio di un altro dottore, avveniva con una cerimonia che seguiva da vicino quella della vestizione del cavaliere. Studiando le liste dei professori di molte università si nota che il figlio succedeva al padre, per facilitare la successione si decise di esentare dai diritti d'esame i figli e i nipoti dei maestri. Il gusto disinteressato per la scienza, la fede nel valore del dialogo, per le quali si erano battuti i maestri del XII e XIII secolo, ormai erano tramontate. Il sapere era diventato un patrimonio di famiglia, garanzia della posizione personale.  Logica conclusione di questo atteggiamento è stata l'equivalenza giuridica tra dottorato e cavalleria. Dal 1533 infatti Francesco I re di Francia conferirà il titolo di cavaliere ai maestri dell'università.
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pangeanews · 5 years
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“Gli esorcisti vogliono eliminare Harry Potter dalle scuole? Sciocchezze. Per capire il maghetto bisogna leggere il Vangelo di Giovanni”. Intervista a Marina Lenti, la biografa della Rowling
La notizia ha sentore di rogo. Il “Guardian” titola così: “Harry Potter book removed from Catholic school ‘on exorcists’ advice’”. Pare che alcuni esorcisti, titillati da eccessiva prudenza, abbiano scovato il demonio tra i libri del ‘maghetto’, ragion per cui i tomi del ciclo ideato da J.K. Rowling sono interdetti agli studenti di una scuola cattolica. La scuola è la St. Edward Catholic School di Nashville, Tennessee, la città della musica, la sede della Gibson, quella del film di Robert Altman. La notizia è stata divulgata in origine dal “Nashville Tennessean”, che ha registrato lo zelo del Rev. Dan Reehil, il quale, leggendo Harry Potter – l’ha letto davvero? – si è accorto che “maledizioni e incantesimi adottati nel libro sono maledizioni e incantesimi reali… rischiano di evocare gli spiriti maligni in chi legge”. Il ciclo fantasy è giudicato “un inganno riuscito”. Stando a quanto riporta la giornalista del quotidiano di Nashville, “Reehil ha consultato diversi esorcisti, negli Stati Uniti e a Roma, che gli hanno consigliato di rimuovere i libri”. A Roma, insomma, qualcuno ha paura di Harry Potter. Ogni commento è tautologico: a questo punto anche il Faust di Goethe, il Macbeth di Shakespeare, le Baccanti di Euripide, Il Signore degli Anelli, i libri di Lovecraft, di Philip K. Dick, di Ursula Le Guin, e sostanzialmente l’intera letteratura fantasy, rischiano il rogo del fanatismo. Una religione che ha paura, in effetti, fa paura. La notizia, va da sé, ha fatto il giro del globo, inondando anche le pagine della stampa nostra. Per dare profondità alla polemica, abbiamo interpellato Marina Lenti, esperta di letteratura fantasy, ma soprattutto del ciclo di “Harry Potter”, a cui ha dedicato svariati saggi. Tra l’altro, è l’autrice della prima, ragionata biografia di J.K. Rowling in Italia, “L’incantatrice di 450 milioni di lettori”, pubblicata da Ares. Un editore cattolico.
Harry Potter censurato dai tradizionalisti cattolici. Come mai? Davvero le storie del ‘maghetto’ implicano una solidarietà con il demonio?
Certo che no, sono sciocchezze che possono sostenere solo coloro che non hanno letto i libri e/o che prestano fede al ‘sentito dire’. Purtroppo a questi ultimi appartengono anche alcuni vertici della Chiesa. Ad esempio, nel 2003, l’allora cardinale Joseph Ratzinger, sollecitato a esprimersi in merito dalla saggista Gabriele Kuby, autrice di un volume intitolato Harry Potter – Gut oder Bose (“Harry Potter — Buono o Cattivo”) le rispose: “È una buona cosa che lei abbia spiegato i fatti di ‘Harry Potter’, perché si tratta di una seduzione sottile, che ha profondi effetti, diretti e non evidenti, nel minare l’anima della cristianità prima che essa possa crescere adeguatamente”. Ora, Ratzinger sarà anche un pozzo di cultura, nessuno ne dubita, ma in questo caso ha preso uno svarione clamoroso basandosi probabilmente su come la Kuby aveva prospettato la questione nel suo saggio, ma senza conoscere direttamente i romanzi. Fortunatamente, suggerì alla Kuby di scrivere anche a monsignor Peter Fleetwood, del Pontificio Consiglio per la Cultura, il quale le spiegò i punti dove, a suo avviso, ella aveva frainteso i romanzi o dove vi aveva letto troppi significati. Fleetwood peraltro si era già espresso in passato in favore della Rowling, dichiarando che “Il modo più appropriato per giudicare ‘Harry Potter’ non e su base teologica, ma secondo i criteri della letteratura d’infanzia”. In seguito, il Vaticano si è di nuovo occupato del maghetto nel 2008, attraverso l’Osservatore Romano, consultando due saggisti, entrambi esperti di letteratura britannica, ma di opposto avviso: Paolo Gulisano, già noto al pubblico fantasy principalmente per le sue pubblicazioni sugli scritti di J.R.R. Tolkien ed estimatore della Rowling, ed Edoardo Rialti, professore universitario che ha mosso le solite, trite critiche incentrate sul fatto che propugnare l’idea di un apprendistato stregonesco, anche solo in un ambito fantastico e a prescindere dal fine benevolo, è in ogni caso contro la Bibbia poiché questa condanna la stregoneria. Per fortuna poi Rialti è tornato in seguito parzialmente sulle proprie posizioni, mostrando un’apprezzabile onestà intellettuale. Del resto, se fossero fondate le accuse di collusione con il ‘Lato Oscuro’, per usare un termine da un’altra famosa saga del Fantastico, come avrebbero potuto essere scritti ben due saggi dal titolo Il Vangelo secondo Harry Potter, il primo dall’americana Connie Neal, esperta in materia di relazione fra Cristianesimo e cultura popolare, e il secondo dall’italiano Peter Ciaccio, pastore metodista laureato alla Facoltà Valdese di Teologia? A queste critiche ridicole la Rowling ha sempre risposto senza peli sulla lingua affermando “Non credo assolutamente nell’occulto, non lo pratico… Ho incontrato letteralmente migliaia di bambini ormai. Nessuno di loro mi ha detto ‘Mi hai davvero introdotto all’occulto’, non uno di loro”. È il caso di sottolineare poi che non è solo l’osservazione sul campo a dare ragione alla scrittrice, ma anche la teoria: gli studi degli esperti (ad esempio le psicologhe Rebekah Richert ed Erin Smith) hanno dimostrato che persino bambini dell’età di 4 anni sono in grado di distinguere personaggi reali da quelli di fantasia e di comprendere come fingere che qualcosa esista non rende comunque reale quel qualcosa. Gli adulti sottovalutano sempre i più piccoli!
L’unica ‘vera’ magia che la Rowling ha utilizzato è quella messa in luce da studi antropologici come ad esempio Il Ramo d’Oro. È innegabile che abbia usato alcune credenze primitive, come quella che considera il sangue un simbolo dell’anima o che sia possibile nascondere quest’ultima in un oggetto per scampare alla morte, ma questo va solo a suo credito: dare una veste coerente alla magia del proprio mondo letterario utilizzando concetti antropologici, piuttosto che limitarla a due casuali scintille e a uno svolazzare di bacchette da cartone animato, dimostra uno scrittore che ha fatto molto bene i compiti casa. Anche altri ottimi autori lo hanno fatto: ad esempio Ursula Le Guin (non a caso figlia di un antropologo) ha usto per la saga di Terramare il concetto di magia del nome, secondo cui per i primitivi conoscere il vero nome di una persona significa ottenerne il controllo.  E nessuno le ha mai rotto le scatole per questo! Ma usare questi punti di riferimento è ben diverso dal sostenere di crederci e di voler fare proseliti. Sarebbe come sostenere che un giallista che si informi minuziosamente sui rituali di un serial killer e li utilizzi in un romanzo sia egli stesso un serial killer o desideri diffonderne i rituali psicotici.
In profondità: qual è (se c’è) il sottofondo ‘religioso’ della saga?
Il sottofondo c’è ma si svela solo nel settimo volume, dove tutte le trame e sottotrame si riannodano (anche se non sempre in modo convincente). Anzitutto c’è un parallelismo evangelico, espressamente dichiarato dalla stessa Rowling, nel senso che anche Harry si sacrifica per il bene della comunità (poiché morire è l’unico modo per distruggere l’ultimo pezzo di anima di Voldemort che alberga in lui e che gli garantisce l’immortalità), mettendo quindi in pratica il più grande amore concepibile secondo il Nuovo Testamento (“nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”, Gv 15,13). Dall’altro lato abbiamo invece un mago oscuro che, oltre ad aver ucciso innumerevoli vite, ha avuto l’arroganza estrema di voler dominare la Morte con metodi che sovvertono le leggi di Dio e degli uomini. Così, si compie ciò che è affermato nel Vangelo (Gv 12,25): “Chi ama la sua vita la distrugge, ma chi odia la sua vita in questo mondo, la salvaguarderà per la vita eterna”. Pertanto Harry, che non ha subìto il richiamo ammaliante dei Doni della Morte (come invece ha fatto in gioventù Silente, l’altro grande mago della saga) e che ha offerto altruisticamente la propria vita per il bene altrui, diventa suo malgrado il Signore della Morte, mentre Silente ha perso gli affetti più cari e Voldemort – che ha cercato con ogni mezzo di violare le leggi naturali a spese altrui, cercando di rubare la Pietra Filosofale per distillare l’Elisir di Lunga Vita senza aver compiuto la purificazione alchemica dell’anima e creando gli horcrux – subisce una dipartita repentina e ingloriosa.
A che professione di fede appartiene la Rowling? Mi pare abbia accennato, anni fa, alla sua fede cristiana…
Sì, la Rowling si professa credente, anche se ha dichiarato di vivere i confitti che questo può comportare. Del resto non è facile conciliare gli insegnamenti cristiani con ciò che accade nel mondo.
Perché a suo avviso continua a esserci un dissidio tra il genere fantasy e una certa cristianità?
Per ignoranza su cosa sia il fantasy. Come dice sempre provocatoriamente la nostra migliore scrittrice di questo genere, Silvana De Mari, per la maggior parte delle persone “il fantasy è una cosa per bambini o per adulti semi-deficienti”. E fa l’esempio della gag di Aldo, Giovanni e Giacomo dove Aldo e Giacomo sono padre e figlio, barbari in un’antichità imprecisata, che si recano sul monte a incontrare la divinità (impersonata da Giovanni): questi si presenta loro come “Pdorr, figlio di Kmerr della tribù di Istarr… Colui che è sceso nelle sacre acque del lago Ffnirr, tra le ninfe Pfgnugherals…”. Ecco, nell’immaginario di chi non conosce il genere, il fantasy è questo, una parodia della cosmogonia di Esiodo o di altri antichi poemi mitologici. L’idea poi che un adulto non possa leggere libri considerati per ragazzi, a meno di essere un po’ ritardato (o, nella migliore delle ipotesi, afflitto dalla sindrome di Peter Pan), è un altro pernicioso fraintendimento nei confronti della letteratura rivolta a questo pubblico. Come ha affermato lo scrittore Philip Pullman “Ci sono degli argomenti, troppo grandi per la narrativa adulta. Possono essere trattati adeguatamente solo nei libri per l’infanzia. Il motivo è che nella narrativa per adulti le storie sono in sofferenza. Altre cose sono avvertite come più importanti: tecnica, stile, conoscenza letteraria”. E come dichiarava C. S. Lewis, “A 10 anni non vale la pena di leggere nessun libro per cui non valga egualmente la pena di leggerlo a 50 e oltre”. Quest’ultima frase fotografa perfettamente lo spartiacque fra libro per ragazzi che diventerà un classico e quello che non lo diventerà. La verità è che sotto le metafore scintillanti di incantesimi e creature fantastiche è possibile sviscerare il dualismo dei grandi temi della vita che ciascuno di noi prima o poi affronta in quel viaggio di formazione che è la vita: l’amore e l’odio, il coraggio e la codardia, la pietà e la crudeltà, il guadagno e la perdita, spesso definitiva col sopraggiungere della morte. E naturalmente la lotta del Bene contro il Male. Esattamente tutto ciò che J.K. Rowling ha messo nella saga di Harry Potter. Spesso poi si aggiunge l’idea che il fantasy, poiché ricorre spesso al soprannaturale (una declinazione di quel ‘senso del meraviglioso’ che caratterizza un buon libro di questo tipo), sia veicolo per concetti ‘new age’. Una definizione che però non vuol dire alcunché, perché è usata indistintamente per racchiudere sia concetti metafisici e trascendenti serissimi, che trucchi da ciarlatani con la pretesa di prevedere i numeri del lotto. Il paradosso è che i cattolici che danno contro alla Rowling sono poi gli stessi che portano in palmo di mano J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis, paradossalmente punte di diamante del genere fantastico. Una contraddizione evidentissima che non può avere altra ragione che un preconcetto: mentre è arcinoto che Tolkien e Lewis fossero credenti e quindi si dà per scontato che i loro scritti siano approvabili, non è altrettanto noto per la Rowling. Bisognerebbe invece vedere sempre i reali contenuti, leggendoli veramente e non, come troppo spesso è accaduto per Harry Potter, fidandosi di ciò che hanno affermato altri. L’esempio più eclatante è quello di Laura Mallory, una casalinga della provincia di Atlanta, madre di quattro figli, che conduce da anni un’instancabile attività antipotteriana dopo aver visto un documentario dal titolo Harry Potter: witchcraft repackaged. Making Evil look innocent’ (“Harry Potter: stregoneria riconfezionata. Far apparire innocente il Male”) e che non ha alcuna reticenza a confessare di non aver mai neanche letto i romanzi. Disonestà intellettuale e chiusura mentale allo stato puro che scioccamente priva i suoi di una delle serie più godibili e intelligenti mai scritte.
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70tre · 6 years
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I papi del XX secolo (parte III)
I papi del XX secolo (parte III)
ARCIDIOCESI DI PALERMO
Scuola Teologica di Base
“S. Luca Evangelista”
—-
CORSO DI APPROFONDIMENTO
Anno accademico : 2012-2013
MATERIA  :
I PAPI DEL XX SECOLO
 (docente:  Prof. Giuseppe PUCCIO)
3^ LEZIONE:
– PIO XII
(Testo non rivisto dal docente)
3^ LEZIONE
Papa Pio XII
260º papa della Chiesa cattolica Elezione 2 marzo 1939Insediamento
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dontresal · 7 years
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Torna in Cattedrale l’antica Icona di Guglielmo II della Madonna “Odigitria” | FiloDiretto
Torna in Cattedrale l’antica Icona di Guglielmo II della Madonna “Odigitria” | FiloDiretto
15 Set 2017 Per l’occasione Mons. Chrysostomos Savatos, Metropolita di Messina, terrà una Lectio Magistralis inaugurale   Monreale, 15 Settembre 2017 – Martedì 26 Settembre 2017 alle ore 17.30, presso la Basilica Cattedrale, si terrà la Prolusione dell’Anno accademico 2017-2018 della Scuola Teologica di Base ed il ritorno in Cattedrale dell’antica Icona di Guglielmo II della Madre di Dio…
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70tre · 6 years
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I papi del XX secolo (parte II)
I papi del XX secolo (parte II)
ARCIDIOCESI DI PALERMO
Scuola Teologica di Base
“S. Luca Evangelista”
—-
CORSO DI APPROFONDIMENTO
Anno accademico : 2012-2013
MATERIA  :
I PAPI DEL XX SECOLO
 (docente:  Prof. Giuseppe PUCCIO)
2^ LEZIONE:
– BENEDETTO XV…..
– PIO XI………………..
(Trascrizione integrale di registrazione su nastro magnetico – Testo non rivisto dal docente)
2^ LEZIONE
Papa Be…
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70tre · 6 years
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I PAPI DEL XX SECOLO (parte I)
I PAPI DEL XX SECOLO (parte I)
ARCIDIOCESI DI PALERMO
Scuola Teologica di Base
“S. Luca Evangelista”
—-
CORSO DI APPROFONDIMENTO
Anno accademico : 2012-2013
MATERIA  :
I PAPI DEL XX SECOLO
 (docente:  Prof. Giuseppe PUCCIO)
1^ LEZIONE:
– INTRODUZIONE
– LEONE XIII
– PIO X
(Trascrizione integrale di registrazione su nastro magnetico – Testo non rivisto dal docente)
1^ LEZIONE
INTR…
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