#San Giovanni della croce
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«Vi spiego l’influenza di san Giovanni della Croce su Wojtyła»
«Il lavoro giovanile di Karol Wojtyła sulle opere di san Giovanni della Croce durò circa otto anni», e culminò nella tesi di dottorato dedicata alla dottrina della fede nel santo spagnolo. La Bussola intervista don Andrzej Dobrzyński. Continue reading Untitled
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#Dottore della Chiesa#Giovanni Paolo II#Karol Wojtyla#San Giovanni della Croce#santi carmelitani#santi e beati
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La notte oscura dell’anima
‘Il viaggio contemplativo, implicando la purificazione dell’inconscio, non è un tappeto magico verso la beatitudine. È l’esercizio di lasciare andare il falso sé, un processo che lo umilia, perché è il solo sé che conosciamo. Niente è più utile, a ridurre l’orgoglio, della reale esperienza del conoscere se stessi. Se ci facciamo scoraggiare da tale esperienza, non ne abbiamo capito il significato.’ (Padre Thomas Keating)
Conoscenza di sé nella notte dell’anima
Abbiamo considerato la prima notte sotto il punto di vista del conosci te stesso. La relazione tra conoscenza di Dio e conoscenza di sé è resa molto evidente da San Giovanni della Croce quando parla della seconda notte, ma prima vediamo come ha inizio. Mentre tutto sembra proseguire bene, e l’anima ‘con grande facilità trova subito in sé una contemplazione serena e piena d’amore’, può raggiungere un picco nella pratica mai avuto prima. Come per la prima notte, questo picco rappresenta l’inizio di un processo di purificazione e trasformazione. La maggior vicinanza alla coscienza pura non può che scatenare una purificazione più profonda della precedente. In alcuni avviene ‘a briciole’, senza grandi sconvolgimenti, in una sorta di altalena tra alti e bassi nella pratica. In rarissimi casi, invece, in cui Dio vuole elevare l’anima all’unione con sé, si attraversa questa notte. Dopo il picco, saliranno al conscio cose fino ad allora nascoste e questo turberà non poco l’aspirante.
Dio ‘strappa dalle tenebre i segreti e porta alla luce cose oscure’, cita San Giovanni dal libro di Giobbe. L’anima ‘deve penare e soffrire come campo di combattimento in cui si confrontano due opposti che lottano l’uno contro l’altro, dal momento che la contemplazione va purificando l’anima dalle sue imperfezioni’. La luce della coscienza pura è uno di questi opposti e l’altro sono le impurità dell’ego. La grande luce ‘fa uscire tutte le sue brutture’. ‘Precedentemente non le scorgeva perché non illuminata da quella luce soprannaturale’. ‘Questa purificazione rimuove gradualmente tutti gli umori cattivi e viziosi che l’anima non riusciva a vedere perché profondamente radicati in lei. Non si rendeva conto di quanto male avesse dentro; ora, invece, perché li possa buttare fuori e distruggere, le vengono posti davanti agli occhi e li vede benissimo, illuminata dalla luce della contemplazione divina’.
Il dolore non è dovuto alla contemplazione di per sé, dunque, ma al conflitto che prova l’anima: ‘si sente talmente impura e miserabile da avere la sensazione che Dio le sia contro’. ‘Poiché riesce a vedere dentro di sé ciò che prima non vedeva, ha la sensazione chiara, non solo di non essere guardata da Dio, ma addirittura di essere aborrita da lui.’ ‘Questo è il motivo per cui all’inizio non sente che tenebre e dolore’. È inoltre ‘oggetto del medesimo abbandono e disprezzo anche da parte delle creature’. Anche a livello esperienziale, quindi, si dovranno affrontare prove che mirano a far guadagnare, in futuro, un ben maggiore distacco interiore e che scatenano, nell’immediato, reazioni da purificare e trascendere. Il povero praticante non deve far altro che perseverare nella prova, non fermarsi mai, continuare a praticare a prescindere dai risultati e senza farsi scoraggiare da ciò che sale al conscio.
Povertà di spirito
Un altro dei motivi per cui la notte provoca dolore è che, qualora prima si sperimentassero, qui, comunicazioni, estasi, consolazioni, visioni e locuzioni si interrompono. Non solo i sensi ma anche i gusti spirituali, ai quali soprattutto i mistici sono dolcemente abituati, subiranno una grande aridità. Questo rende la notte più penosa per i mistici che per chi segue le vie introspettive. San Giovanni rende chiaro se c’è attaccamento o un senso di proprietà verso queste grazie spirituali, deve essere purificato e ciò accade grazie a questa notte. L’aspirante deve procedere nel cammino per ‘fede pura’ e non per ricevere grazie o consolazioni. Distaccandosi anche dai gusti spirituali, la parte sensitiva si purificherà più profondamente e quella dell’anima arriverà alla famosa ‘povertà di spirito’. ‘Qui i sensi e lo spirito vengono completamente spogliati di tutte le percezioni e i gusti sensibili’. Dio svuota l’anima e la lascia nell’oscurità della contemplazione, la purifica e la illumina. ‘Non solo l’intelletto viene purificato del suo lume e la volontà dei suoi affetti ma anche la memoria dei suoi discorsi e delle sue conoscenze’. Questo è essenziale, poiché basta che affiori un affetto o un attaccamento ad un oggetto particolare, perché l’aspirante non senta il ‘delicato sapore dello spirito’. ‘Occorre che l’anima sia nel vuoto e nella povertà di spirito, purificata da ogni attaccamento, conforto e percezione naturale di cose divine e umane.’
Ci sono delle pause di sollievo che donano coraggio e perseveranza all’aspirante. Queste pause produrranno un effetto molto netto, senza via di mezzo: ci si sente o pienamente nella luce e per sempre redenti oppure totalmente persi nell’oscurità. ‘Quando ci sono le sofferenze le sembra di non uscirne più e di aver perduto tutti i beni, quando al contrario le vengono accordati beni spirituali pensa siano finiti tutti i suoi mali’. Mi fermerei un attimo a parlare proprio di questa altalena che caratterizza, anche se molto più lievemente, tutto il percorso spirituale. O si è nella luce o nel purgatorio della mente e delle sue impurità. Questa è esattamente la differenza tra samadhi e meditazione o tra samadhi e vipassana, per i buddhisti. Il mistico direbbe che ‘o si conosce Dio o la propria miseria’. Infine, i non duali direbbero che ‘o si conosce se stessi o ciò che non si è’. Questa dualità nella pratica, soprattutto quando giungiamo al samadhi, può essere penosa per tutti, ma è bene abituarsi poiché persisterà finché ci sarà dualità in noi. È da accettare quanto prima in quanto è la natura stessa del cammino spirituale. Se gli scarti inconsci non salissero, non potrebbero essere trascesi, e se non fossimo dalla parte della consapevolezza, non salirebbero. Luce e oscurità sono due facce della stessa medaglia. Sebbene il processo di svelare l’inconscio sia meno piacevole della pace del silenzio è inevitabile, sano e porta alla guarigione finale che tutti vogliamo. Ad accettare questo andirivieni possono aiutare molto gli insegnamenti sull’impersonalità di ciò che viene a galla e, sicuramente, anche gli insegnamenti non duali. Dobbiamo capire quanto prima che i contenuti che salgono sono comuni, collettivi, impersonali. Mentre affrontiamo un attaccamento o una tentazione o una reazione, stiamo trascendendo un contenuto della psiche umana, poco importa se in noi ha preso una particolare forma o un particolare oggetto. La dinamica rimane collettiva. Tutto è impersonale anche quando ‘sembra’ personale. Sarà proprio quando capiremo questo errore di percezione, tanto bene da non ripeterlo più, che smetteremo di soffrire. Ci arrenderemo alla pratica, senza resistenze, senza conflitti e senza ricreare l’illusione che ciò che vediamo è nostro. Ovviamente, parlando della notte dell’anima, non ci stiamo riferendo a dei praticanti normali; la sensibilità raggiunta da un aspirante tanto puro da essere introdotto nell’ultima notte è talmente raffinata da rendere quest’ultima fase molto più penosa. L’amore che nutre una tale anima per Dio, o per la realizzazione, rende angoscioso il sacro timore di smarrirsi. È giusto allora essere preparati e consolati da San Giovanni e capire che, per mezzo di questa notte contemplativa, l’anima, che sente di aver fatto innumerevoli passi indietro, sta, in realtà, solo prendendo la rincorsa per il salto finale, per giungere alla pace interiore che ‘sorpassa ogni intelligenza.’
Proprietà della notte
Questa notte ha delle proprietà protettrici notevoli. La contemplazione è, di per sé, celata e sicura. Tiene l’aspirante al riparo da eventuali errori e deviazioni che si potrebbero prendere se non comunicasse solo in spirito, cioè solo in silenzio, ma con visioni, locuzioni e quant’altro. La notte distrugge il desiderio dei gusti spirituali e di tutte le cose create, facendo spiccare il volo verso l’unione permanente. Ha inoltre la capacità di fortificare l’anima, poiché la purifica nella sofferenza, nella prudenza e nel sacro timore. Fa aumentare lo zelo nella conoscenza di sé, perché l’anima ‘esamina e scruta mille volte se stessa’ per non offendere Dio. Queste proprietà ‘mirano tutte alla sua sicurezza e salvaguardia perché ormai è molto vicina a Dio.’ L’aspirante durante questa notte è ben sicuro, nascosto e protetto dagli attacchi dell’ego e degli altri.
Frutto
Dopo aver vissuto una buona parte di questa purificazione, verso la fine della notte dell’anima, accade qualcosa di simile alla prima notte ma molto più profonda. Nasce una veemente passione d’amore per Dio o un desiderio inarrestabile per la realizzazione. L’incendio d’amore questa volta si accende nella parte più intima dell’anima. San Giovanni fa notare che la differenza principale con la prima è che, ora, l’anima non dà più ‘alcun peso alle sofferenze dei sensi’, è ‘senza rispetto per niente’, procede ‘senza tener conto di quello che fa’, è determinata e coraggiosa e, pur sentendosi indegna, diventa ardita e inarrestabile, perché ‘l’amore le dà la forza’. ‘Quest’amore trova tanto più spazio e accoglienza nell’anima’ quanto più distacco da tutto il resto si è raggiunto nella purificazione. In queste fiamme Dio ‘lo illumina riempendolo d’amore e di afflizione finché tale fuoco d’amore non lo spiritualizza e lo raffina, perché purificato, possa partecipare all’unione’. In questo stato ‘non si può durare a lungo: o si ottiene ciò che si desidera o si muore’. Questo stato ricorda, non a caso, il vjakulata di cui parla Sri Ramakrishna Paramahamsa, uno stato parossistico che precede la realizzazione finale. Una descrizione di tale stato è data dalla metafora per cui si deve desiderare la liberazione come un uomo tenuto sott’acqua desidera una boccata d’aria. L’anima arrivata qui è a un passo dall’unione.
Morte dell’ego
Come sempre, la fine del percorso, nelle vie di verità, coincide con la morte dell’ego. Nel cristianesimo si parla della morte dell’uomo vecchio e la nascita dell’uomo nuovo. L’anima ‘una volta svuotata di tutto è veramente povera di spirito e spoglia dell’uomo vecchio’. Una purificazione così profonda per l’anima, in cui ‘Dio la distacca naturalmente in questo modo da tutto ciò che non è lui, per rivestirla a nuovo, una volta spogliata e liberata della sua vecchia pelle’, è assolutamente necessaria. È un passaggio essenziale, in quanto ‘occorre che l’anima in certo modo si annichili e si distrugga, tanto è assimilata alle passioni e imperfezioni’. Se sostituiamo la parola ‘anima’ ad ‘ego’, e ‘assimilata’ a ‘identificata’, è facilissimo capire di cosa sta parlando il santo: ‘occorre che l’ego in certo modo si annichili e si distrugga, tanto è identificato alle passioni e imperfezioni’. Il punto centrale è sempre perdere l’identificazione con i contenuti, le passioni e le imperfezioni, che così vengono trascese con grande facilità, in modo da giungere finalmente all’unione naturale e perenne. La notte, allora, non è affatto un momento di depressione spirituale, sebbene sia un processo doloroso, ma è l’apice della pratica, in cui ‘Dio umilia profondamente l’anima ma per poi esaltarla’. ‘Le conviene passare per questa tomba di oscura morte per arrivare alla risurrezione spirituale che l’attende.’ La trasformazione completa ci darà un nuovo grande illuminato, un grande santo, ‘quest’anima appartiene ormai al cielo, è celestiale, più divina che umana’. Una sorte fortunata per l’intero pianeta.
Conclusione
San Giovanni propone poi un’accurata descrizione della scala d’unione a Dio ed altri interessanti approfondimenti sugli effetti della notte. Qui trovate il testo. Finirei aggiungendo, come al mio solito, un’avvertenza. Ce la facciamo suggerire dai due più grandi maestri non duali recenti, per ricordare quanto tutto questo processo di purificazione sia presente anche nella non dualità, i cui concetti, purtroppo, sempre più spesso vengono strumentalizzati da narcisisti senza scrupoli. Anche persone ben motivate spesso tendono a denigrare la parte della pratica in cui i contenuti che emergono non possono che essere testimoniati ed io lo trovo pericoloso. Non dobbiamo aumentare il conflitto con questa parte della pratica ma diminuirlo per renderlo più fluido possibile. È un bene che vengano alla luce tutte le impurtià, dice Sri Ramana Maharshi poiché ‘la jnana non può divenire stabile se ci sono vasana’. Occorre dunque continuare a praticare perché divenga stabile. Eccovi infine una considerazione di Sri Nisargadatta Marahaj, che distingue i risultati della prima notte con quelli della seconda, mettendo in guardia l’aspirante orgoglioso, così: ‘sono tanti quelli che confondo l’alba con il mezzogiorno […], per eccesso di orgoglio distruggono quel poco che hanno raggiunto. Umiltà e silenzio sono essenziali all’aspirante, per quanti progressi abbia fatto. Solo uno jnani maturo può concedersi la completa spontaneità. Il frutto interiore deve maturare. Fino a quel momento si deve continuare con la disciplina, vivendo nella consapevolezza. Gradualmente la pratica si fa sempre più sottile finché non diventa senza forma’.
La pratica senza forma è il sahaja samadhi di Sri Ramana, o l’unione con Dio di cui parla San Giovanni. Fino ad allora, che sia notte o giorno, scegliamo sempre di offrirci alla consapevolezza!
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Amante del Crocifisso
Quando vediamo il crocifisso proviamo spesse volte sgomento e paura e per tale motivo, evitiamo di riversare il nostro sguardo su di Lui perché ci spaventa. Eppure ci sono stati santi che hanno amato il crocifisso, lo hanno contemplato. Uno di questi è San Giovanni della Croce, conosciuto per le eroiche tribolazioni sopportate e per le numerose opere mistiche scritte, dove egli si erge quale vero…
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Revolt in Aspromonte - An early 20th century's tale of hopeless poverty in Southern Italy's Calabria
Gente in Aspromonte (which was translated in English as Revolt in Aspromonte) written in 1930 by Italian journalist and novelist Corrado Alvaro, is a short but powerful novel of peasant life in Southern Italy's Calabria and is recognized by Italians as one of the classics of their modern literature.
Gente in Aspromonte is the story of the shepherd Argirò and his family––of their struggle for survival, and some shred of dignity, against the degrading oppression of the feudal family which controls their village. In his despair, Argirò believes that if only he can educate his youngest son, Benedetto, to be a priest he will achieve status and revenge on those who have wronged him. To this end, he sacrifices himself and the gentle older brother, Antonello. A simple tale––but told with a poetry of style which gives it a somber beauty.
Corrado Alvaro (San Luca, 15 April 1895 – Rome, 11 June 1956) was an Italian journalist and writer of novels, short stories, screenplays and plays. He often used the verismo style to describe the hopeless poverty in his native Calabria.
Gente in Aspromonte, which examined the exploitation of rural peasants by greedy landowners in Calabria, is considered by many critics to be his masterpiece.
He was born in San Luca, a small village in the southernmost region of Calabria. His father Antonio was a primary school teacher and founded an evening school for farmers and illiterate shepherds. Alvaro was educated at Jesuit boarding schools in Rome and Umbria. He graduated with a degree in literature in 1919 at the University of Milan and began working as a journalist and literary critic for two daily newspapers, Il Resto del Carlino of Bologna and the Corriere della Sera of Milan.
He served as an officer in the Italian army during World War I. After being wounded in both arms, he spent a long time in military hospitals. After the war, he worked as a correspondent in Paris (France) for the anti-Fascist paper Il Mondo of Giovanni Amendola. In 1925, he supported the Manifesto of the Anti-Fascist Intellectuals written by the philosopher Benedetto Croce.
In 1926 he published his first novel L'uomo nel labirinto (Man in the Labyrinth), which explored the growth of Fascism in Italy in the 1920s. A staunch democrat with strong anti-Fascist views, Alvaro's politics made him the target of surveillance of Mussolini's Fascist regime. He was forced to leave Italy and during the 1930s he travelled widely in western Europe, the Middle East, and the Soviet Union. Journeys he later recounted in his travel essays. L'uomo è forte (1938; Man Is Strong), written after a trip to the Soviet Union, is a defence of the individual against the oppression of totalitarianism.
Alvaro is noted for his realistic, epic depictions of the Italian poor. His later work portrayed the contrasts between a yearning for the simple, pastoral way of life, and the aspiration to achieve material success that attracts people to the city. He died in Rome in 1956.
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“I momenti brutti che ho avuto nella mia vita sono stati solo di natura cosmologica. Una volta durante la notte mi sono alzato, sono venuto in questa stanza e ho guardato in faccia la mia paura, con attenzione, e la crisi si è risolta. Non è facile, perché in quel momento ti senti un essere sbattuto nel nulla, non hai legami con niente. È la notte oscura di San Giovanni della Croce, sofferenze che sembrano insormontabili, insopportabili, e che invece puoi superare in un batter d'occhio. Basta ricordare che siamo impermanenti. Noi pensiamo di essere eterni, questa è la nostra disgrazia. A scuola non ci insegnano a morire; sulla morte invece gli antichi egizi hanno costruito una civiltà.”
Franco Battiato (1945-2021), dall'intervista di Giuseppe Videtti su Repubblica.it, 27 novembre 2011
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO PRIMO - di Gianpiero Menniti
CADONO LE UTOPIE DELL'UMANESIMO - Prima Parte
Cielo plumbeo che scolora nel violaceo saldandosi con un paesaggio di sfondo annerito dalle tenebre, la luce che scolpisce con durezza, trattando la materia con modalità plastiche, delineando volti e corpi nel segno di una sintesi espressiva netta, tagliente, definitiva. La croce, che colma l’asimmetria della scena, ha una consistenza architettonica monumentale, centro di un movimento che scaturisce dalla Maddalena inginocchiata e contratta in uno spasimo scomposto diretto verso la Vergine, risparmiata dalla luce in un corpo che si abbandona cadente, retto da due pie donne, ad un muto disperato dolore. Mentre poco sopra il movimento, realizzato con l’uso delle scale, si riavvita nello stagliarsi di muscoli contratti in un dinamismo esasperato che ascende, s’infervora brutalizzando i volti ed i gesti in una bassa manovalanza da cadaveri ed infine, a compimento di una parabola che segue il disegno della carpenteria della pala, si conclude nell’umanissima costernazione di un fanciullo che regge una delle scale mentre in primo piano un “masaccesco” San Giovanni, in analogia con la postura della Vergine, china il capo lasciandone il volto alle mani che coprono alla vista l’inesprimibile disperazione. Non è un caso che i volti colpiti dal dolore siano occultati: quello della Madonna in ombra, quello della Maddalena di scorcio e poi quello di Giovanni. L’iconografia classica misurata sui protagonisti della scena sacra ne viene sconvolta, ribaltata a favore di comprimari senza nome, contriti (le donne) o affannati ed eccessivi (le figure che si dibattono intorno al corpo del Cristo). Questo contrasto anima di pathos profondo la scena che pur essendo scarna ed essenziale, appare satura di convincente ricerca espressionistica. Il Cristo di questa deposizione, risalente all’anno 1521 e conservata a Volterra dove fu dipinta da Giovan Battista di Jacopo di Gasparre, al secolo Rosso Fiorentino (1494 - 1540) è davvero un corpo che possiede l’inerzia e la pesantezza di un cadavere, è trattato come tale in un coacervo di grida e di trambusto. Eppure, la sua maestà è evidente: il volto è sereno, quasi sorridente. Lo spasmo terrificante che coglie nell’istante della morte cruenta non ha lasciato segni: il suo spirito è già asceso mentre nessuno degli astanti se ne accorge. Le scale degli uomini sono misera materia nel confronto con la levità del trascendente. La materia è come schiacciata, racchiusa nello spazio angusto del supporto, spinta verso il basso dalla figura di un vecchio satiro appollaiato sulla sommità della croce. Il corpo di Cristo è attratto verso la terra ma il suo volto è l’unico a protendersi, in un’involontaria torsione del capo, verso il cielo, verso la salvezza, verso la pace celeste.
- In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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“Conoscere te stesso è il principio di tutta la saggezza" (Aristotele)
“Per conoscere in qualche modo la natura della vita dovete conoscere fino in fondo è senza alcuna riserva voi stessi” (Buddha)
“Chi conosce gli altri è sapiente chi conosce se stesso è illuminato” (Lao Tzu)
“Non uscire da te stesso, rientra in te. Nell’intimo dell’uomo risiede la verità" (Sant’Agostino)
“Oh uomo! Viaggia di te stesso in te stesso” (Rumi)
“Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si risveglia” (Jung)
“Chi conosce se stesso conosce il mondo” (J.Krishnamurti)
“Chi agisce per gli altri senza approfondire la conoscenza di se stesso, non avrà niente da dare agli altri” (Thomas Merton)
“L’anima deve rientrare in se stessa” (Santa Teresa D’Avila)
“Non è ignoranza conoscere tutto, ma non il sé che tutto conosce?” (Sri Ramana Maharshi)
“Trovi la pace e la quiete solo conoscendo te stesso” (Nisargadatta Maharaj)
“Chiunque conosce se stesso, conosce il suo Signore” (Maometto)
“Quando conosci te stesso, conosci Dio” (Sri Ramakrishna Paramahamsa)
“Il regno di Dio è dentro di voi” (Gesù Cristo)
“Quello che stiamo cercando è ciò che sta vedendo” (San Francesco d’Assisi)
“Dio si nasconde nel fondo del fondo di noi stessi.” (Marguerite Porete)
“Nessuno conosce Dio se prima non conosce se stesso” (Meister Eckhart)”
“La conoscenza di sé è il fondamento della conoscenza di Dio” (San Giovanni della Croce)
“Colui che non conosce se stesso è privo di ogni cosa ed è lui stesso privazione” (San Tommaso)
“Dovremmo conoscere noi stessi sempre” (Ajahn Chah)
“Non vi affannate a cercare Dio fuori di voi, perché egli è dentro di voi, è con voi” (San Padre Pio)
#conosci te stesso
#citazioni
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La Settimana santa a Molfetta
Pasqua - Settimana Santa a Molfetta
La Settimana Santa a Molfetta è caratterizzata da tre processioni che si svolgono durante la settimana che precede la Pasqua dove si avverte nelle persone che partecipano, un sottile strato di emozione, malinconia e tristezza.
La processione più antica è quella del Venerdì Santo dei Misteri dell’Arciconfraternita di Santo Stefano, durante la quale sono portate in spalla cinque statue rappresentanti i Misteri dolorosi.
Queste statue, realizzate nella seconda metà del XVI secolo da autore ignoto, si muovono lente per le strade del centro sulle note delle marce funebri.
Anche la processione della Beata Vergine Addolorata, che si svolge il venerdì che precede la domenica delle Palme, è molto suggestiva e il rito ha inizio nel pomeriggio alle 17,00 sul sagrato della chiesa del Purgatorio, dove è posto un baldacchino nero sollevato e sulla soglia della chiesa appare la statua dell'Addolorata.
Questa processione, accompagnata dalla banda cittadina che intona "La Sventurata" .
Le statue portate in spalla dai confratelli dell’Arciconfraternita della Morte, sono San Pietro, la Veronica, Maria di Cleofe, Maria di Salomè, Maria Maddalena, San Giovanni e infine la bellissima “Pietà”.
Le pregiatissime statue sono in cartapesta, opere realizzate dallo scultore molfettese Giulio Cozzoli.
la Settimana Santa a Molfetta è un'esperienza intensa e coinvolgente per tutti i partecipanti.
**NON TUTTI SANNO CHE …**
Durante la processione dei cinque misteri a Molfetta, si narra che un tempo, le donne si sporgevano dai balconi per toccare la croce di Gesù al Calvario e per strappare un rametto d'ulivo dall’albero di Gesù nell'Orto.
Questo antico rito era considerato propiziatorio per la salute e la prosperità delle famiglie, purtroppo è andato perduto nel tempo.
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100 ANNI DALLA GRANDE GUERRA
Tutti avevano la faccia del Cristo nella livida aureola dell'elmetto.
Tutti portavano I'insegna del supplizio nella croce della baionetta.
E nelle tasche il pane dell'ultima cena.
E nella gola il pianto dell'ultimo addio.
Non più la guerra, non più la guerra! La Pace, la Pace deve guidare le sorti dei popoli e dell'intera umanità!
(1915-2015)
Foto monumentale a San Giovanni in Croce
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Lo Struscio Fiorentino tra Il Bandino e San Marcellino
Fotografia di Gianni Degl'Innocenti Balsicci Nel pomeriggio dell'ultimo sabato settembrino, sotto un sole ancora caldo e gradevole, la compagnia dello struscio si è riunita presso Villa Il Bandino, in quel di Gavinana. Sono molti gli strusciaioli che hanno deciso di ascoltare le parole del Maestro Luciano Artusi e di Lorenzo Andreacci che hanno illustrato la storia della Villa Il Bandino e della Grotta del Bandino. Storie antiche che percorrono il tempo sino ad oggi, famiglie e modifiche che hanno trasformato il volto della villa e della grotta. Aneddoti lontani ed esoterici riferimenti. Fatto sta che ancora oggi il fascino del luogo è vivo e la grotta si espone in tutta la sua antica bellezza.
Fotografia di Gianni Degl'Innocenti Balsicci
Fotografia di Gianni Degl'Innocenti Balsicci
Fotografia di Gianni Degl'Innocenti Balsicci
Foto di Carlo Alberto Manetti Dopo una breve introduzione del Maestro Artusi e poi di Lorenzo Andreaggi sulla storia di Gavinana e di Villa Il Bandino è intervenuto anche il Narrator Cortese Franco Ciarleglio per spiegare lo stemma della famiglia Bandini. In seguito gli strusciaioli sono stati accompagnati, da due madonne, un messere e un frate munito di grossa croce in legno, tutti vestiti di abiti medioevali, alla grotta. Varcati due cancelli ci ritroviamo in un piccolo giardino, purtroppo piuttosto trasandato, sul cui fondo è presente la grotta.
Fotografia di Gianni Degl'Innocenti Balsicci Qui Lorenzo, fine conoscitore della storia della grotta, ne ha raccontato il percorso nel tempo, le trasformazioni, l'architettura, la funzione ed infine le allegorie rappresentate, ed anche l'aspetto esoterico nascosto in queste allegorie.
Fotografia di Gianni Degl'Innocenti Balsicci In origine semplice fontana costruita nel 1100 ed appartenne alla famiglia Baroncelli, passata poi nelle mani della famiglia Bandini fino alla morte dell'ultimo discendente Giovanni Bandini si trasforma poi in grotta ad opera della famiglia Niccolini. Prima a cielo aperto e poi chiusa da un soffitto affrescato come oggi si mostra. Un luogo dove rifugiarsi nelle torride giornate estive per trovare sollievo nel refrigerio dell'acqua nella vasca. .
Alfeo e Aretusa
Fotografia di Gianni Degl'Innocenti Balsicci Nella grotta sono raffigurate le 6 arti, tre per ogni parete laterale, mediante delle sculture di nani. Manca la statua che centralmente si ergeva sul basamento. Statua realizzata da Battista di Domenico Lorenzi, raffigurante Alfeo e Aretusa. Spostata, venduta, ed oggi esposta al Metropolitan Museum of Art di New York. Ed infine allegorie di sapore massonico rappresentanti l'evoluzione dell'apprendimento nell'esoterismo al cangiare del colore della pelle dei protagonisti.
Fotografia di Gianni Degl'Innocenti Balsicci Tutto il gruppo si è poi spostato per raggiungere la chiesa di San Marcellino sita nell'omonima via facendo una breve sosta all'inizio della via dove c'è il tabernacolo a Santa Brigida. Qui il maestro Artusi ha spiegato la genesi, distruzione e rinascita dello stesso tabernacolo. Non sono mancati aneddoti tra cui quello dei brigidini di cui presto vi parleremo. .
Fotografia di Gianni Degl'Innocenti Balsicci La chiesetta di San Marcellino è molto piccola e sconosciuta ai più. Una chiesetta che è sopravvissuta al vandalismo della guerra, mantenendo la sua architettura unica in tutta Firenze, intatta. La chiesetta è privata e mantenuta in buono stato dalla famiglia che la possiede. Qui sia il Maestro che Lorenzo hanno raccontato la sua storia e le sue caratteristiche architettoniche.
Fotografia di Gianni Degl'Innocenti Balsicci
Fotografia di Gianni Degl'Innocenti Balsicci Infine, prima di chiudere questa bellissima esperienza Lorenzo Andreaggi si è esibito per tutti noi in una vecchia canzone fiorentina dal titolo: "IN RIVA ALL'ARNO". Canzone che potete ascoltare qui sotto grazie al video di Carlo Alberto Manetti:
Lo Struscio Fiorentino Read the full article
#fiorentino#Firenze#FrancoCiarleglio#IlBandino#JacopoCioni#LorenzoAndreaggi#LucianoArtusi#SanMarcellino#Struscio
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Il divino silenzio della notte
Il divino silenzio della notte
Riformatore del Carmelo, esimio Dottore della Chiesa, san Giovanni della Croce delinea e incarna la sua spiritualità del “puro amore” nella sua stessa esperienza. Di croce in croce ci si eleva e purifica, fino alle vette della santità: questo il suo insegnamento e la sua testimonianza vissuta. (more…)
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Il passero solitario
Consigli ai contemplativi di San Giovanni della Croce
‘Le proprietà del passero solitario sono cinque. Prima: si porta più in alto possibile; seconda: non sopporta la compagnia di altri uccelli neppure della stessa specie; terza: tende il becco verso il vento; quarta: non ha un colore determinato; quinta: canta soavemente. L’anima contemplativa deve avere queste cinque proprietà, e cioè deve elevarsi al di sopra delle cose transitorie, non facendo di esse alcun caso come se non esistessero, e deve essere così amica della solitudine e del silenzio da non sopportare compagnia di altra creatura. Deve inoltre tendere il becco al soffio dello Spirito Santo, corrispondendo alle sue ispirazioni, affinché comportandosi in tal modo si renda maggiormente degna della sua compagnia. Non deve avere un colore determinato, non lasciandosi determinare da alcuna cosa, ma solo da ciò che è volontà di Dio; deve infine cantare soavemente nella contemplazione e nell’amore del suo Sposo.’
‘Ci sono delle anime che, come alcuni animali, si rivoltano nel fango, ed altre che volano come gli uccelli i quali nell’aria si purificano e si puliscono.’
‘Lo spirito molto puro non si distrae in estranee attenzioni né in considerazioni umane ma, solo, nella solitudine di tutte le forme, con saporosa quiete interiore comunica con Dio, la cui conoscenza avviene soltanto nel silenzio divino.’
‘Non ti conoscevo, o Signore mio, perché volevo ancora conoscere e gustare le cose’.
‘Scegliti invece uno spirito robusto, distaccato da tutte le cose e troverai dolcezza e pace in abbondanza.’
‘Se vuoi giungere al santo raccoglimento, devi avanzare non accettando ma rifiutando.’
‘L’anima la quale esamina spesso i suoi pensieri, le sue parole e le sue opere, che sono i suoi capelli, facendo ogni cosa per amore di Dio, avrà i suoi capelli molto lisci. Lo Sposo le guarderà il collo, ne rimarrà rapito’
‘Noi rubiamo a Dio qualsiasi pensiero che non sia diretto a Lui’
‘Rinnega i tuoi desideri e troverai quello che il tuo cuore desidera’
‘Come colui che tira un carro su per una salita, così cammina verso Dio l’anima che non respinge la preoccupazione e non spegne l’appetito.’
‘Ricordati che Dio regna solo nell’anima pacifica e disinteressata.’
‘Abbia un interno distaccato da tutte le cose e non ponga il gusto in nessuna cosa temporale e l’anima sua raccoglierà beni inaspettati.’
‘Abbia in cuore la forza contro tutte le cose che vorrebbero condurla a ciò che non è Dio e sia amica della passione di Cristo.’
‘Procuri sempre che le cose siano un niente per lei ed ella un niente per esse ma, dimentica di tutto, rimanga nel suo raccoglimento con lo Sposo’
da ‘Parole di amore e di luce’ San Giovanni della Croce
fonte: Monastero Virtuale
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