#notte oscura
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sophiaepsiche · 2 years ago
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La notte oscura dell’anima
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‘Il viaggio contemplativo, implicando la purificazione dell’inconscio, non è un tappeto magico verso la beatitudine. È l’esercizio di lasciare andare il falso sé, un processo che lo umilia, perché è il solo sé che conosciamo. Niente è più utile, a ridurre l’orgoglio, della reale esperienza del conoscere se stessi. Se ci facciamo scoraggiare da tale esperienza, non ne abbiamo capito il significato.’ (Padre Thomas Keating)
Conoscenza di sé nella notte dell’anima
Abbiamo considerato la prima notte sotto il punto di vista del conosci te stesso. La relazione tra conoscenza di Dio e conoscenza di sé è resa molto evidente da San Giovanni della Croce quando parla della seconda notte, ma prima vediamo come ha inizio. Mentre tutto sembra proseguire bene, e l’anima ‘con grande facilità trova subito in sé una contemplazione serena e piena d’amore’, può raggiungere un picco nella pratica mai avuto prima. Come per la prima notte, questo picco rappresenta l’inizio di un processo di purificazione e trasformazione. La maggior vicinanza alla coscienza pura non può che scatenare una purificazione più profonda della precedente. In alcuni avviene ‘a briciole’, senza grandi sconvolgimenti, in una sorta di altalena tra alti e bassi nella pratica. In rarissimi casi, invece, in cui Dio vuole elevare l’anima all’unione con sé, si attraversa questa notte. Dopo il picco, saliranno al conscio cose fino ad allora nascoste e questo turberà non poco l’aspirante. 
Dio ‘strappa dalle tenebre i segreti e porta alla luce cose oscure’, cita San Giovanni dal libro di Giobbe. L’anima ‘deve penare e soffrire come campo di combattimento in cui si confrontano due opposti che lottano l’uno contro l’altro, dal momento che la contemplazione va purificando l’anima dalle sue imperfezioni’. La luce della coscienza pura è uno di questi opposti e l’altro sono le impurità dell’ego. La grande luce ‘fa uscire tutte le sue brutture’. ‘Precedentemente non le scorgeva perché non illuminata da quella luce soprannaturale’. ‘Questa purificazione rimuove gradualmente tutti gli umori cattivi e viziosi che l’anima non riusciva a vedere perché profondamente radicati in lei. Non si rendeva conto di quanto male avesse dentro; ora, invece, perché li possa buttare fuori e distruggere, le vengono posti davanti agli occhi e li vede benissimo, illuminata dalla luce della contemplazione divina’.
Il dolore non è dovuto alla contemplazione di per sé, dunque, ma al conflitto che prova l’anima: ‘si sente talmente impura e miserabile da avere la sensazione che Dio le sia contro’. ‘Poiché riesce a vedere dentro di sé ciò che prima non vedeva, ha la sensazione chiara, non solo di non essere guardata da Dio, ma addirittura di essere aborrita da lui.’ ‘Questo è il motivo per cui all’inizio non sente che tenebre e dolore’. È inoltre ‘oggetto del medesimo abbandono e disprezzo anche da parte delle creature’. Anche a livello esperienziale, quindi, si dovranno affrontare prove che mirano a far guadagnare, in futuro, un ben maggiore distacco interiore e che scatenano, nell’immediato, reazioni da purificare e trascendere. Il povero praticante non deve far altro che perseverare nella prova, non fermarsi mai, continuare a praticare a prescindere dai risultati e senza farsi scoraggiare da ciò che sale al conscio.
Povertà di spirito
Un altro dei motivi per cui la notte provoca dolore è che, qualora prima si sperimentassero, qui, comunicazioni, estasi, consolazioni, visioni e locuzioni si interrompono. Non solo i sensi ma anche i gusti spirituali, ai quali soprattutto i mistici sono dolcemente abituati, subiranno una grande aridità. Questo rende la notte più penosa per i mistici che per chi segue le vie introspettive. San Giovanni rende chiaro se c’è attaccamento o un senso di proprietà verso queste grazie spirituali, deve essere purificato e ciò accade grazie a questa notte. L’aspirante deve procedere nel cammino per ‘fede pura’ e non per ricevere grazie o consolazioni. Distaccandosi anche dai gusti spirituali, la parte sensitiva si purificherà più profondamente e quella dell’anima arriverà alla famosa ‘povertà di spirito’. ‘Qui i sensi e lo spirito vengono completamente spogliati di tutte le percezioni e i gusti sensibili’. Dio svuota l’anima e la lascia nell’oscurità della contemplazione, la purifica e la illumina. ‘Non solo l’intelletto viene purificato del suo lume e la volontà dei suoi affetti ma anche la memoria dei suoi discorsi e delle sue conoscenze’. Questo è essenziale, poiché basta che affiori un affetto o un attaccamento ad un oggetto particolare, perché l’aspirante non senta  il ‘delicato sapore dello spirito’. ‘Occorre che l’anima sia nel vuoto e nella povertà di spirito, purificata da ogni attaccamento, conforto e percezione naturale di cose divine e umane.’
Ci sono delle pause di sollievo che donano coraggio e perseveranza all’aspirante. Queste pause produrranno un effetto molto netto, senza via di mezzo: ci si sente o pienamente nella luce e per sempre redenti oppure totalmente persi nell’oscurità. ‘Quando ci sono le sofferenze le sembra di non uscirne più e di aver perduto tutti i beni, quando al contrario le vengono accordati beni spirituali pensa siano finiti tutti i suoi mali’. Mi fermerei un attimo a parlare proprio di questa altalena che caratterizza, anche se molto più lievemente, tutto il percorso spirituale. O si è nella luce o nel purgatorio della mente e delle sue impurità. Questa è esattamente la differenza tra samadhi e meditazione o tra samadhi e vipassana, per i buddhisti. Il mistico direbbe che ‘o si conosce Dio o  la propria miseria’. Infine, i non duali direbbero che ‘o si conosce se stessi o ciò che non si è’. Questa dualità nella pratica, soprattutto quando giungiamo al samadhi, può essere penosa per tutti, ma è bene abituarsi poiché persisterà finché ci sarà dualità in noi. È da accettare quanto prima in quanto è la natura stessa del cammino spirituale. Se gli scarti inconsci non salissero, non potrebbero essere trascesi, e se non fossimo dalla parte della consapevolezza, non salirebbero. Luce e oscurità sono due facce della stessa medaglia. Sebbene il processo di svelare l’inconscio sia meno piacevole della pace del silenzio è inevitabile, sano e porta alla guarigione finale che tutti vogliamo. Ad accettare questo andirivieni possono aiutare molto gli insegnamenti sull’impersonalità di ciò che viene a galla e, sicuramente, anche gli insegnamenti non duali. Dobbiamo capire quanto prima che i contenuti che salgono sono comuni, collettivi, impersonali. Mentre affrontiamo un attaccamento o una tentazione o una reazione, stiamo trascendendo un contenuto della psiche umana, poco importa se in noi ha preso una particolare forma o un particolare oggetto. La dinamica rimane collettiva. Tutto è impersonale anche quando ‘sembra’ personale. Sarà proprio quando capiremo questo errore di percezione, tanto bene da non ripeterlo più, che smetteremo di soffrire. Ci arrenderemo alla pratica, senza resistenze, senza conflitti e senza ricreare l’illusione che ciò che vediamo è nostro. Ovviamente, parlando della notte dell’anima, non ci stiamo riferendo a dei praticanti normali; la sensibilità raggiunta da un aspirante tanto puro da essere introdotto nell’ultima notte è talmente raffinata da rendere quest’ultima fase molto più penosa. L’amore che nutre una tale anima per Dio, o per la realizzazione, rende angoscioso il sacro timore di smarrirsi. È giusto allora essere preparati e consolati da San Giovanni e capire che, per mezzo di questa notte contemplativa, l’anima, che sente di aver fatto innumerevoli passi indietro, sta, in realtà, solo prendendo la rincorsa per il salto finale, per giungere alla pace interiore che ‘sorpassa ogni intelligenza.’
Proprietà della notte
Questa notte ha delle proprietà protettrici notevoli. La contemplazione è, di per sé, celata e sicura. Tiene l’aspirante al riparo da eventuali errori e deviazioni che si potrebbero prendere se non comunicasse solo in spirito, cioè solo in silenzio, ma con visioni, locuzioni e quant’altro. La notte distrugge il desiderio dei gusti spirituali e di tutte le cose create, facendo spiccare il volo verso l’unione permanente. Ha inoltre la capacità di fortificare l’anima, poiché la purifica nella sofferenza, nella prudenza e nel sacro timore. Fa aumentare lo zelo nella conoscenza di sé, perché l’anima ‘esamina e scruta mille volte se stessa’ per non offendere Dio. Queste proprietà ‘mirano tutte alla sua sicurezza e salvaguardia perché ormai è molto vicina a Dio.’ L’aspirante durante questa notte è ben sicuro, nascosto e protetto dagli attacchi dell’ego e degli altri.
Frutto
Dopo aver vissuto una buona parte di questa purificazione, verso la fine della notte dell’anima, accade qualcosa di simile alla prima notte ma molto più profonda. Nasce una veemente passione d’amore per Dio o un desiderio inarrestabile per la realizzazione. L’incendio d’amore questa volta si accende nella parte più intima dell’anima. San Giovanni fa notare che la differenza principale con la prima è che, ora, l’anima non dà più ‘alcun peso alle sofferenze dei sensi’, è ‘senza rispetto per niente’, procede ‘senza tener conto di quello che fa’, è determinata e coraggiosa  e, pur sentendosi indegna, diventa ardita e inarrestabile, perché ‘l’amore le dà la forza’. ‘Quest’amore trova tanto più spazio e accoglienza nell’anima’ quanto più distacco da tutto il resto si è raggiunto nella purificazione. In queste fiamme Dio ‘lo illumina riempendolo d’amore e di afflizione finché tale fuoco d’amore non lo spiritualizza e lo raffina, perché purificato, possa partecipare all’unione’. In questo stato ‘non si può durare a lungo: o si ottiene ciò che si desidera o si muore’. Questo  stato ricorda, non a caso, il vjakulata di cui parla Sri Ramakrishna Paramahamsa, uno stato parossistico che precede la realizzazione finale. Una descrizione di tale stato è data dalla metafora per cui si deve desiderare la liberazione come un uomo tenuto sott’acqua desidera una boccata d’aria. L’anima arrivata qui è a un passo dall’unione.
Morte dell’ego
Come sempre, la fine del percorso, nelle vie di verità, coincide con la morte dell’ego. Nel cristianesimo si parla della morte dell’uomo vecchio e la nascita dell’uomo nuovo. L’anima ‘una volta svuotata di tutto è veramente povera di spirito e spoglia dell’uomo vecchio’. Una purificazione così profonda per l’anima, in cui ‘Dio la distacca naturalmente in questo modo da tutto ciò che non è lui, per rivestirla a nuovo, una volta spogliata e liberata della sua vecchia pelle’, è assolutamente necessaria. È un passaggio essenziale, in quanto ‘occorre che l’anima in certo modo si annichili e si distrugga, tanto è assimilata alle passioni e imperfezioni’. Se sostituiamo la parola ‘anima’ ad ‘ego’, e ‘assimilata’ a ‘identificata’, è facilissimo capire di cosa sta parlando il santo: ‘occorre che l’ego in certo modo si annichili e si distrugga, tanto è identificato alle passioni e imperfezioni’. Il punto centrale è sempre perdere l’identificazione con i contenuti, le passioni e le imperfezioni, che così vengono trascese con grande facilità, in modo da giungere finalmente all’unione naturale e perenne. La notte, allora, non è affatto un momento di depressione spirituale, sebbene sia un processo doloroso, ma è l’apice della pratica, in cui ‘Dio umilia profondamente l’anima ma per poi esaltarla’. ‘Le conviene passare per questa tomba di oscura morte per arrivare alla risurrezione spirituale che l’attende.’ La trasformazione completa ci darà un nuovo grande illuminato, un grande santo, ‘quest’anima appartiene ormai al cielo, è celestiale, più divina che umana’. Una sorte fortunata per l’intero pianeta.
Conclusione
San Giovanni propone poi un’accurata descrizione della scala d’unione a Dio ed altri interessanti approfondimenti sugli effetti della notte. Qui trovate il testo. Finirei aggiungendo, come al mio solito, un’avvertenza. Ce la facciamo suggerire dai due più grandi maestri non duali recenti, per ricordare quanto tutto questo processo di purificazione sia presente anche nella non dualità, i cui concetti, purtroppo, sempre più spesso vengono strumentalizzati da narcisisti senza scrupoli. Anche persone ben motivate spesso tendono a denigrare la parte della pratica in cui i contenuti che emergono non possono che essere testimoniati ed io lo trovo pericoloso. Non dobbiamo aumentare il conflitto con questa parte della pratica ma diminuirlo per renderlo più fluido possibile. È un bene che vengano alla luce tutte le impurtià, dice Sri Ramana Maharshi poiché ‘la jnana non può divenire stabile se ci sono vasana’. Occorre dunque continuare a praticare perché divenga stabile. Eccovi infine una considerazione di Sri Nisargadatta Marahaj, che distingue i risultati della prima notte con quelli della seconda, mettendo in guardia l’aspirante orgoglioso, così: ‘sono tanti quelli che confondo l’alba con il mezzogiorno […], per eccesso di orgoglio distruggono quel poco che hanno raggiunto. Umiltà e silenzio sono essenziali all’aspirante, per quanti progressi abbia fatto. Solo uno jnani maturo può concedersi la completa spontaneità. Il frutto interiore deve maturare. Fino a quel momento si deve continuare con la disciplina, vivendo nella consapevolezza. Gradualmente la pratica si fa sempre più sottile finché non diventa senza forma’.
La pratica senza forma è il sahaja samadhi di Sri Ramana, o l’unione con Dio di cui parla San Giovanni. Fino ad allora, che sia notte o giorno, scegliamo sempre  di offrirci alla consapevolezza!
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ideeperscrittori · 4 months ago
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HO UN LINFOMA E FARÒ DEL MIO PEGGIO
Fra un mese compio 51 anni e pochi giorni fa ho scoperto di avere un Linfoma Non Hodgkin. È una patologia abbastanza aggressiva ma è stata presa in tempo. Ed è ben curabile, perché la scienza sta facendo passi da gigante nella cura dei linfomi.
Vivo a pochi passi di distanza da un ospedale all'avanguardia che mi ha preso in carico. Sotto molti aspetti, sono davvero fortunato e privilegiato rispetto a molte persone.
Quale sarà il mio atteggiamento di fronte alla malattia? Mi conosco bene e posso prevederlo, perché c'è una parola che lo definisce con precisione. È una parola significativa, addirittura emblematica, che riguarda il mio tasso di maschitudine alfa. Come potete intuire, non mi riferisco a "guerriero", quindi le metafore belliche possiamo tranquillamente metterle da parte.
La parola misteriosa è "mammoletta". Sì, sarò una mammoletta. Questo vuol dire che non vi darò lezioni filosofiche. Non diventerò un maestro di vita pronto a snocciolare grandi verità come "quello che non ci uccide ci rende più forti", "le sofferenze fanno parte dell'esistenza", "l'importante è apprezzare le piccole cose".
Sarò una mammoletta perché lo sono sempre stato, per esempio quando ho scoperto di avere una massa all'inguine. Era un rigonfiamento, duro come un sasso, grande come una pallina oblunga. La mia reazione? Due settimane senza far nulla. Mi sono detto: "Magari passa. Vuoi vedere che fra qualche giorno non ci sarà più? Non ho voglia di affrontare visite ed esami per un falso allarme. Odio gli ospedali".
Questo mio atteggiamento nasce anche da un'idea completamente sbagliata e irrazionale: la paura che gli esami possano creare malattie dal nulla. In pratica una zona oscura del mio cervello ragiona (si fa per dire) più o meno così: sei perfettamente sano, fai l'esame e ti trovano qualcosa. Lo so, non c'è niente di logico in questa convinzione, ma la mia mente non è mai stata fatta di pura logica.
Per quasi due settimane ho cercato di non pensarci anche perché ero in preda all'imbarazzo. Tra tutti i posti, proprio all'inguine doveva capitarmi? Ma la massa non ha dato cenni di sparizione e alla fine mi sono attivato.
Ho riscritto cinquanta volte il messaggio su WhatsApp prima di inviarlo alla mia dottoressa per fissare una visita, perché ogni volta il testo mi sembrava una molestia sessuale: "Buona sera, dottoressa, ho questa massa dura all'inguine e vorrei chiederle un appuntamento per mostrargliela". "Buona sera, dottoressa, ho un rigonfiamento...". Dopo un numero incalcolabile di tentativi, ho trovato le parole giuste e ho scritto un messaggio asettico, inequivocabilmente sanitario, con un perfetto stile burocratico ospedaliero.
Sono stato una mammoletta nei tre mesi e mezzo necessari per giungere alla diagnosi.
Sono stato una mammoletta nel giorno della TAC con mezzo di contrasto. Quella mattina sono giunto all'ospedale in autobus, dopo una notte insonne. Alla fermata ho controllato la cartella che conteneva i documenti. C'erano referti di ecografie, pareri medici e soprattutto l'impegnativa da presentare per svolgere l'esame. Ho controllato perché sono una persona molto precisa, di quelle che tornano indietro mille volte per verificare di aver chiuso il gas. "Non manca nulla", mi sono detto. Ho rimesso i documenti nella borsa. Ho raccolto le forze, mi sono alzato dalla panchina e ho raggiunto l'accettazione dell'ospedale. Senza la borsa. Vi lascio immaginare questa sequenza di eventi: imprecazione, insulti molto pesanti rivolti contro me stesso, corsa a perdifiato verso la fermata. La borsa era ancora lì. Nessuno me l'aveva fregata.
Per fortuna scelgo solo borse brutte.
Sono stato una mammoletta in occasione della PET, che ha rispettato un copione simile a quello della TAC. Venivo da una notte insonne e non ero in grado di comprendere istruzioni elementari, perché la mia intelligenza svanisce quando affronto esami medici. Mi chiedevano di porgere il braccio sinistro e porgevo il destro. Mi chiedevano il nome e recitavo il codice fiscale.
Sono stato una mammoletta quando mi hanno comunicato il risultato della biopsia. Per un considerevole lasso di tempo non ci ho capito nulla. La mia coscienza era come una trasmittente che passava una musica di pianoforte triste sentita mille volte in TV: quella che certi telegiornali usano per le notizie strappalacrime.
Ora guardo al futuro e la mia ambizione non ha limiti: raggiungerò nuove vette nel campo del mammolettismo. So di essere fortunato per molti motivi: l'ematologo, un tipo simpatico, mi ha rassicurato. Le terapie esistono e sono molto efficaci.
Ma mi lamenterò tantissimo, perché non voglio correre il rischio di essere considerato una persona ammirevole da qualcuno. Non lo ero, non lo sono e non lo sarò mai. Rivendico il diritto di essere fragile e fifone. Lasciatemi libero di essere una mammoletta. Per citare un motto di Anarchik, il mio piano è questo: farò del mio peggio.
[L'Ideota]
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canesenzafissadimora · 7 days ago
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Oggi la si chiama "resilienza", una volta la si chiamava "forza d´animo", Platone la nominava "tymoidés" e indicava la sua sede nel cuore.
Il cuore è l´espressione metaforica del "sentimento", una parola dove ancora risuona la platonica "tymoidés".Il sentimento non è languore, non è malcelata malinconia, non è struggimento dell´anima, non è sconsolato abbandono. Il sentimento è forza. Quella forza che riconosciamo al fondo di ogni decisione quando, dopo aver analizzato tutti i pro e i contro che le argomentazioni razionali dispiegano, si decide, perché in una scelta piuttosto che in un´altra ci si sente a casa. E guai a imboccare, per convenienza o per debolezza, una scelta che non è la nostra, guai a essere stranieri nella propria vita.
La forza d´animo, che è poi la forza del sentimento, ci difende da questa estraneità, ci fa sentire a casa, presso di noi. Qui è la salute. Una sorta di coincidenza di noi con noi stessi, che ci evita tutti quegli "altrove" della vita che non ci appartengono e che spesso imbocchiamo perché altri, da cui pensiamo dipenda la nostra vita, semplicemente ce lo chiedono, e noi non sappiamo dire di no.
Il bisogno di essere accettati e il desiderio di essere amati ci fanno percorrere strade che il nostro sentimento ci fa avvertire come non nostre, e così l´animo si indebolisce e si ripiega su se stesso nell´inutile fatica di compiacere agli altri. Alla fine l´anima si ammala, perché la malattia, lo sappiamo tutti, è una metafora, la metafora della devianza dal sentiero della nostra vita. Bisogna essere se stessi, assolutamente se stessi.
Questa è la forza d´animo. Ma per essere se stessi occorre accogliere a braccia aperte la nostra ombra. Che è poi ciò che di noi stessi rifiutiamo.
Quella parte oscura che, quando qualcuno ce la sfiora, ci sentiamo "punti nel vivo". Perché l´ombra è viva e vuole essere accolta. Anche un quadro senza ombra non ci dà le sue figure. Accolta, l´ombra cede la sua forza.
Cessa la guerra tra noi e noi stessi. Siamo in grado di dire a noi stessi:
"Ebbene sì, sono anche questo". Ed è la pace così raggiunta a darci la forza d´animo e la capacità di guardare in faccia il dolore senza illusorie vie di fuga.
"Tutto quello che non mi fa morire, mi rende più forte", scrive Nietzsche.
Ma allora bisogna attraversare e non evitare le terre seminate di dolore.
Quello proprio, quello altrui. Perché il dolore appartiene alla vita allo stesso titolo della felicità. Non il dolore come caparra della vita eterna, ma il dolore come inevitabile contrappunto della vita, come fatica del quotidiano, come oscurità dello sguardo che non vede via d´uscita. Eppure la cerca, perché sa che il buio della notte non è l´unico colore del cielo.
Di forza d´animo abbiamo bisogno soprattutto oggi perché non siamo più sostenuti da una tradizione, perché si sono rotte le tavole dove erano incise le leggi della morale, perché si è smarrito il senso dell´esistenza e incerta s´è fatta la sua direzione. La storia non racconta più la vita dei nostri padri, e la parola che rivolgiamo ai figli è insicura e incerta.
Gli sguardi si incontrano solo per evitarsi. Siamo persino riconoscenti al ritmo del lavoro settimanale che giustifica l´abituale lontananza dalla nostra vita. E a quel lavoro ci attacchiamo come naufraghi che attendono qualcosa o qualcuno che li traghetti, perché il mare è minaccioso, anche quando il suo aspetto è trasognato.
Passiamo così il tempo della nostra vita, senza sentimento, senza nobiltà, confusi tra i piccoli uomini a cui basta, secondo Nietzsche: "Una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte, fermo restando la salute".
Perché ormai della vita abbiamo solo una concezione quantitativa. Vivere a lungo è diventato il nostro ideale. Il "come" non ci riguarda più, perché il contatto con noi stessi s´è perso nel rumore del mondo.
Passioncelle generiche sfiorano le nostre anime assopite. Ma non le risvegliano. Non hanno forza. Sono state acquietate da quell´ideale di vita che viene spacciato per equilibrio, buona educazione. E invece è sonno, dimenticanza di sé. Nulla del coraggio del navigante che, lasciata la terra che era solo terra di protezione, non si lascia prendere dalla nostalgia, ma incoraggia il suo cuore. Il cuore non come languido contraltare della ragione, ma come sua forza, sua animazione, affinché le idee divengano attive e facciano storia. Una storia più soddisfacente.
Umberto Galimberti
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gelatinatremolante · 1 year ago
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Pensando a Natalia Ginzburg che scriveva: "Odio l'estate. Odio il mese d'agosto fino al giorno di ferragosto. Passato il ferragosto, mi sembra di uscire da un incubo. Mi sembra che tutto lentamente migliori per me. Cominciano i temporali d'autunno. Amo l'autunno." e "Io non trovavo il mondo triste, lo trovavo bellissimo, solo che a me per qualche ragione oscura era vietato di celebrarne le radiose giornate, così non potevo che cercare e amare l’autunno, l’inverno, il crepuscolo, la pioggia e la notte."
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occhietti · 1 month ago
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La buona notizia siamo noi.
Noi che guardiamo gli orrori del mondo e decidiamo di entrare in scena lo stesso, di agire, di seminare, di condividere le nostre esperienze, le nostre conoscenze, la nostra voglia di trasformare ogni dolore in amore.
Noi che possiamo essere la vera alternativa vivente al presente, abbiamo una responsabilità storica di portata straordinaria.
Noi tutti possiamo organizzare mille e mille incontri di qualsiasi portata, da una stretta di mano e un sorriso, dall'ascolto di chi soffre, alla mostra, al concerto, al convegno, dall'abbraccio personale all'evento dietro casa nostra.
Siamo noi la sola buona notizia possibile,
il solo faro che splende nella notte.
Certo, io credo di volerlo essere, ma anche tu che mi leggi puoi fare lo stesso, tu che forse non sai ancora se annuire o se dire di no, tu che vorresti assentire, ma ti chiedi "E io che cosa posso fare?".
Certo, là, fuori dalla porta di casa il mondo è feroce, le grida di odio e di guerra sommergono ogni nostro tentativo di respirare pace, amore, bellezza, bontà, coraggio.
E allora? Noi lo vediamo tutto questo?
Benissimo, ecco la buona notizia allora.
Se la verità viene uccisa ogni giorno davanti ai nostri occhi, non ci resta che essere noi ad affermarla di nuovo.
Se la bontà non viene più praticata dal mondo che abbiamo attorno a noi, ammesso che sia proprio così, dobbiamo essere noi a mostrare bontà, cose buone, lì dove viviamo.
Se la bellezza muore nel "mi piace o non mi piace" che rende bella una buccia di banana incorniciata, dobbiamo essere noi a ridipingere il bello, suonare il bello, parlare il bello, danzare il bello, aiutare a far sì che si veda il bello.
La buona notizia siamo noi.
Solo noi possiamo essere la luce della "speranza attiva" di un futuro migliore. Noi siamo la reale luce nella notte oscura del presente.
Noi che ad esempio possiamo "aiutare in pratica" i ragazzi che non ce la fanno, o quelli che non sanno le cose, o che non hanno alternative, o la forza.
Siamo noi che possiamo mostrare l'esempio delle nostre vite, insegnare ciò che conosciamo, dare tutto di noi stessi, risorse, tempo, denaro, idee per seminare un mondo migliore di questo.
Chi vede il mondo nuovo
è la sola buona notizia che esista.
Io che faccio?
Incontro le persone, mi spendo come posso, scrivo, come in questo momento, che mi sveglio con questi pensieri un'ora prima dell'alba, perché si getti un seme vero, bello, buono nel mattino di chi sta per leggermi.
Perfino, mi metto a recitare parole spirituali, strano ma vero, per far passare i concetti, per dare vita a certi sublimi semi della bellezza interiore.
È poco? È una goccia nell'oceano? È solo un ideale?
L'alternativa sarebbe "rinunciare", darsi per vinti, lasciarsi andare a credere di non essere capaci, di non avere il talento o le forze per cambiare il mondo.
No grazie, io non smetterò di incarnare la buona notizia che posso fare agire attorno a me.
La buona notizia siamo noi.
Noi. Io, tu, loro, voi. Chi altri sennò?
Noi possiamo impegnarci a dare noi stessi. Possiamo farlo. Possiamo fare tantissimo. Possiamo fare tutto.
Possiamo aiutare così tanto, possiamo seminare, offrire opportunità, diffondere conoscenza, se solo vogliamo farlo, se solo capiamo che la trasformazione del mondo non verrà mai da fuori, dall'alto, che sia dal Cielo, dal Comune, dallo Stato, dall'amico, dal padre o dalla madre, o dall'altro.
La vera, vivente, reale, attiva e presente
buona notizia siamo noi.
- Matteo Gazzolo - da "La vita continua"
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angelap3 · 3 months ago
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Una delle più note leggende greche ci rivela la più oscura natura dell’amore, e lo fa tramite il racconto di una fanciulla di nome Psiche, talmente bella da far ingelosire Venere stessa, che ordinò a suo figlio Cupido, il dio dell’amore, di scoccare una delle sue frecce e di farla innamorare dell’uomo più brutto della terra.
Cupido però sbagliò mira e si colpì un piede, avvampando subito d’amore per la bella Psiche. Per non incorrere nelle ire della madre, non gli restò che incontrarla in segreto, al buio, senza che lei potesse riconoscerlo.
La fanciulla però cominciò a essere curiosa e avrebbe voluto vedere in volto il suo amante, quindi, una notte, mentre Cupido le dormiva accanto, accese una lampada, scorgendo i lineamenti perfetti di Amore in persona. Sussultò per l’emozione e una goccia d’olio schizzò via, colpendo il dio e scottandolo. Svegliatosi e compreso che Psiche aveva trasgredito al divieto, Cupido dovette andarsene.
Psiche però non si diede per vinta, e affrontò le dure prove a cui Venere la sottopose, suddividendo una gran quantità di semi in una singola notte, portando alla dea il mitico Vello d'Oro e recuperando persino in uno scrigno un frammento della bellezza della dea infera Proserpina, dopo una lunga e complessa discesa nell'oltretomba.
Infine, stanca e afflitta, decise di aprire lo scrigno per recuperare un poco della bellezza che aveva perduto affrontando tutte quelle ardue imprese, ma nello scrigno non vi era ciò che si aspettava, bensì il terribile sonno dello Stige.
Psiche cadde in un sonno profondo, e non si sarebbe più ridestata, se solo Cupido non avesse avuto pietà di lei. Colpito dalle prove che aveva affrontato pur di ritrovarlo, comprese che il suo amore era sincero e le offrì dell'ambrosia, il nettare degli dèi, rendendola immortale.
I greci sono famosi per la loro capacità di trasporre il pensiero sotto forma di immagini, infatti questo mito ha un significato molto profondo: l’amore è un sentimento ammantato di mistero, e colui che cerca di analizzarlo e imbrigliarlo entro i lacci della razionalità, finirà solo con il farlo volare via.
Alla favola si è ispirato Antonio Canova nella creazione del gruppo scultoreo"Amore e Psiche
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volumesilenzioso · 18 days ago
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per me sei sempre stato l'unico, ormai dovresti saperlo. non importa con chi o con quante persone vado a letto, non importa se provo interesse per un'altra persona e non importa se io e te non ci vedremo mai più. per me sarai sempre e comunque l'unico, mi hai tolto la capacità di amare così intensamente altre persone che non siano te. ti cerco in ogni persona che incontro, cerco in loro particolari che mi ricordino te, è come se stessi cercando una brutta copia per potermi sentire, almeno in parte, più vicina a te. ma, sai, non funziona mai. posso trovare in altre persone l'oscurità da cui sei pervaso, ma non sarà mai la tua. ho sempre amato la parte oscura di te, quella triste e malinconica che mi ha attirata come una calamita perché si adattava perfettamente alla parte oscura di me. ti ho amato perché mi ricordi la notte, così scura ma allo stesso tempo luminosa, grazie alla luna e alle stelle. ecco, tu mi ricordi la notte, la luna e le stelle, perché la tua anima è in gran parte nera, ma c'è qualche spiraglio di luce e solo chi si avvicina realmente a te può vedere quanto sia forte quella luce che, da lontano, sembra così piccola. di te ho amato tutto e amarti è stato facile, la parte difficile è stata, anzi, è smettere. vorrei che tu sapessi quanto mi manchi e quanto conoscerti abbia cambiato e condizionato in modo irreversibile la mia vita. ancora spero che in futuro riusciremo a far funzionare le cose, ancora spero in un tuo messaggio e, nonostante tutto, non smetterò mai di sperare. non ho mai amato nulla e nessuno come ho amato te. la cosa che mi distrugge è che non posso più dirtelo, almeno non adesso
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ma-pi-ma · 24 days ago
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Che cosa illumina la notte oscura? Una
parola. Che cosa
ravviva la notte
oscura? Una parola.
Una misura del mondo.
Una parola che
ha bevuto le ombre per risplendere
bruciando. Una
polvere di stelle sfiora
l'amore di una
parola che
ricuce la strappo.
Juan Gelman, da Mundar, 2008
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oscuroio · 3 months ago
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Con le ali tagliate nel sangue, spazzate via dal vento crudele e cinico della vita, così ti ho trovata, esanime in terra, indifesa e tremante nella notte oscura. Come un Dio in terra, ti ho raccolta, accolta e protetta tra le mie braccia, potenti e sicure, E così nel tempo, ti ho donata il mio amore è tutta la vita. Ti ho creato e forgiato nuove ali per volare libera e felice Verso nuovi orizzonti, senza catene. Ed ora è giusto il momento, non indugiare oltre, e ti prego, non voltarti mai indietro. Ciao piccolo angelo mio…..
OscuroIo
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me-soltanto-me · 2 months ago
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Tutte le mille fragranze che promana la tua bocca sono nubi profumate che uccidono di dolcezza.Il mio corpo e' come un anfora fatta di notte oscura che versa la sua essenza in te,pazza divina!
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saayawolf · 3 months ago
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«Odio l’estate. Odio il mese di agosto fino al giorno di ferragosto.
Tutti partono e ci chiedono se anche noi partiremo. Impossibile rispondere, quando siamo nel numero di quelli che non hanno voglia né di partire né di restare.
Io non trovavo il mondo triste, lo trovavo bellissimo, solo che a me per qualche ragione oscura era vietato di celebrarne le radiose giornate, così non potevo che cercare e amare l’autunno, l’inverno, il crepuscolo, la pioggia e la notte. Scopersi, in seguito, che una simile sensazione non ero io sola a provarla, che era una sensazione comune a molti, perché molti come me in qualche istante della loro esistenza si sono sentiti esclusi e mortificati dall’estate, giudicati per sempre indegni di raccogliere i frutti dell’universo. Molti come me allora hanno odiato lo splendore abbagliante del cielo sui prati e sui boschi. Molti come me ai primi segni dell’estate si sentono in angoscia come all’annuncio di una disgrazia, perché in essi risorge lo spavento del giudizio e della condanna.»
Intervista de La Stampa in data 11 luglio 1991 dal titolo “Maledette vacanze” Natalia Ginzburg
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canesenzafissadimora · 3 months ago
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Odio l’estate. Odio il mese di agosto fino al giorno di Ferragosto.
Tutti partono e ci chiedono se anche noi partiremo. Impossibile rispondere, quando siamo nel numero di quelli che non hanno voglia né di partire né di restare.
[...] io non trovavo il mondo triste, lo trovavo bellissimo, solo che a me per qualche ragione oscura era vietato di celebrarne le radiose giornate, così non potevo che cercare e amare l’autunno, l’inverno, il crepuscolo, la pioggia e la notte. Scoprirsi, in seguito, che una simile sensazione non ero io sola a provarla, che era una sensazione comune a molti, perché molti come me in qualche istante della loro esistenza si sono sentiti esclusi e mortificati dall’estate, giudicati per sempre indegni di raccogliere i frutti dell’universo. Molti come me allora hanno odiato lo splendore abbagliante del cielo sui prati e sui boschi. Molti come me ai primi segni dell’estate si sentono in angoscia come all’annuncio di una disgrazia, perché in essi risorge lo spavento del giudizio e della condanna.
Natalia Ginzburg
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la-scigghiu · 4 months ago
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Oggi sono fra le cose rare del pianeta che può dare alla vita quel che di luce la vita ha Fiore che aperto avrebbe dell’acqua oscura il polline, la frutta. Giorno che leverebbe da dentro la notte il lato oscuro della luna
.🦋.
🔸Alice Ruiz
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smokingago · 4 months ago
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Riverso nel letto nel cuore della notte, sento che sto per svegliarmi, è il solito dolore sul dorso che mi richiama penso, ma non riesco ad aprire gli occhi ne a muovermi, qualcosa me lo impedisce, o forse qualcuno, ho paura.
Sono avvolto dall'oscurità, non so ancora se è sogno o realtà, sono come paralizzato, il dolore aumenta, ho coltelli infilati tra le costole, li ho sempre, anche di giorno, ma ora li sento muoversi dentro la carne.
Sento un fiato sul collo, una grigia entità sta rigirando i coltelli, non riesco a voltarmi ma so che è dietro di me, sopra la mia schiena, il suo peso mi schiaccia nel letto.
Spingo con tutta la mia forza, con i pugni piantati nel letto, riesco a divincolarmi e a liberarmi, mi giro di scatto e per un istante lo vedo, vedo i suoi contorni, il suo viso oscuro vedo i suoi occhi... ma sono  i miei di occhi! sono io! ma non sono io! è la mia metà oscura, è la parte di me che ho rinnegato.
Un Incubo, è solo un incubo, ma sto tremando, sono sudato, ho il cuore in gola... terrorizzato respiro a fatica.
Le gambe mi tremano mentre cerco di raggiungere il bagno.
Acqua fredda sul volto, mi sta passando, sto respirando, anche il dolore al costato sembra affievolirsi,
ma ho ancora paura.
È stato il dolore alla schiena a creare l'incubo mi ripeto, è stato il dolore, non c'è altra spiegazione, devo crederci, devo crederci... devo crederci.
Cit. Smokingago
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ma-pi-ma · 8 months ago
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Ti amo, come se fossi
la preda indifferente, la più oscura
delle amanti. Amo il tuo volto
di bianche stanchezze, le tue mani
che esitano, ciascuna delle parole
che senza volere mi hai dato. Voglio
che mi ricordi e dimentichi come io
ti ricordo e dimentico: su uno sfondo
in bianco e nero, spogliata come
la neve mattinale si spoglia della notte,
fredda, luminosa,
voce incerta di rosa.
Nuno Júdice, Poesia d'amore per uso topico, Poesia riunita
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pygian-weapon · 3 months ago
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