#Recensione La Divina Commedia
Explore tagged Tumblr posts
pier-carlo-universe · 3 months ago
Text
Il furto della Divina Commedia - Dario Crapanzano: Un’indagine di Fausto Lorenzi tra libri rari e misteri. Recensione di Alessandria today
Un giallo avvincente che mescola cultura, storia e intrighi nella Milano degli anni ’50
Un giallo avvincente che mescola cultura, storia e intrighi nella Milano degli anni ’50 Recensione: Dario Crapanzano torna con Il furto della Divina Commedia, un nuovo capitolo delle avventure di Fausto Lorenzi, un personaggio affascinante e ben delineato che si muove nella Milano degli anni ’50. Questa volta, l’ispettore Lorenzi si trova ad affrontare un caso singolare: la scomparsa di una…
0 notes
liberolibro · 1 year ago
Link
0 notes
Photo
Tumblr media
Buongiorno lettori ☀️ ~ Oggi iniziamo la giornata con un romanzo storico che ricostruisce la vita e l’amore di due personaggi indimenticabili: “Paolo e Francesca” di Matteo Strukul! ~ Nell’Italia medievale si consuma l’intensa e tormentata storia d’amore tra Paolo Malatesta e Francesca da Rimini. Destinata ad un matrimonio combinato con Giovanni Malatesta, un guerriero spietato, Francesca sembra ormai rassegnata al proprio destino. Fino all’arrivo di Paolo che sposa Francesca per procura, al posto del fratello, finendo per innamorarsi della giovane che lo ricambia. Ma il loro amore sarà destinato alla sofferenza. ~ Dopo il successo de “I Medici”, Strukul torna con un’altra ricostruzione storica che mi ha subito incuriosita. Ho da sempre amato la storia sofferta ma intensa tra Paolo e Francesca, resa celebre da Dante Alighieri nella Divina Commedia, così ho deciso di cimentarmi in questo romanzo che racconta in maniera approfondita il loro amore. Posso dirvi che il libro si colloca tra le storie da poter leggere in un giorno, perché lo stile dell’autore e l’approfondimento sul periodo storico, sui personaggi e sui loro sentimenti, conquistano l’attenzione del lettore senza far risultare la narrazione pesante o noiosa. I protagonisti sono presentati dal punto di vista più umano possibile, con pregi e difetti, ma anche con grande fedeltà alla realtà storica. Le pagine scorrono piacevolmente e vi sembrerà di far parte voi stessi di una di quelle corti che hanno nascosto così tanti segreti e amori. E fidatevi, amerete follemente il riferimento finale ♥️ ~ Vi aspetto nei commenti, se lo avete già letto o siete indecisi se iniziarlo o meno, per parlarne insieme 💬 ~ #libro #bookstagramitaly #book #leggere #reading #lettricecompulsiva #leggerechepassione #consiglidilettura #leggereésempreunabuonaidea #recensione #bookreview #letteratura #lettureconsigliate #lettrice #reader #ioleggo #booklover #bookphotography #laragazzadellibro #paoloefrancesca #matteostrukul #nordsud https://www.instagram.com/p/CpxVCR9ooaV/?igshid=NGJjMDIxMWI=
0 notes
isolaideale · 4 years ago
Text
Nel "Dantedì", la Giornata Nazionale dedicata a Dante Alighieri, sono andato a rispolverare un bellissimo volume che acquistai poco più di 10 anni fa durante la mia prima visita a una libreria qui a Modena, dopo il mio trasferimento in quella che poi sarebbe diventata la mia città. Il volume, dal titolo "L'Inferno di Dante - Una Storia Naturale", mi colpì subito per il formato e, soprattutto, per il contenuto. I Canti dell'Inferno, infatti, sono accompagnati dalle illustrazioni di Patrick Waterhouse e dalle note di Walter Hutton, che non soltanto ci spiegano i particolari disegni presenti, ma ci aiutano anche a comprendere meglio i Canti a cui sono associati... leggi
0 notes
persinsala · 7 years ago
Text
La Divina Commedia
Al Teatro Brancaccio l’opera musical La Divina Commedia torna a sedurre il pubblico a distanza di dieci anni, tra soluzioni geniali e laiche rivendicazioni umanistiche (more…)
View On WordPress
0 notes
gazemoil · 5 years ago
Text
RECENSIONE: Slowthai - Nothing Great About Britain (Method Records, 2019)
Tumblr media
di Viviana Bonura
Slowthai, da Northampton, è uno dei volti più nuovi eppure più conosciuti della scena hip-hop e grime inglese. Il suo debutto, Nothing Great About Britain, viene accolto già con tantissime aspettative da parte di pubblico e critica che dopo aver ascoltato i suoi primi singoli e le sue brillanti recenti collaborazioni con Flume e Tyler, The Creator lo hanno giustamente definito uno degli artisti più promettenti del suo paese. Non è un caso che Thai sia riuscito ad avere un certo impatto anche nella scena statunitense, infatti all’interno del primo disco vengono raccolti benissimo tutti i migliori attributi dell’artista, dal suo stile audace che non ammette compromessi, stridente ed espressivo, tinto da un’attitudine per il post-punk industriale che accoppia ad un flow crudo ed assolutamente non scontato fino al gusto per strumentali da rave sporche ed agitate, tutte caratteristiche che lo distinguono e lo rendono una fresca novità entusiasmante per tutti. 
Questa visione stilistica quadra perfettamente con la profonda connessione che Thai pone tra sè e la sua città, le sue radici inglesi, innanzitutto perché ha assimilato con naturalezza il caratterino forte dei Londinesi nei confronti della musica e poi perché si immerge a pieno tra le questioni economiche e sociali dell’isola, dando una carica politica al disco che sin dal titolo si palesa con squillante sarcasmo - per non parlare della copertina. Thai si dimostra attivo e consapevole nel parlare, sempre con amara ironia, del suo tanto odiato ma anche tanto amato paese e per questo l’immagine che ne esce è estremamente attuale e vivida, personale ma anche collettiva, una visione vicina a chiunque subisca le conseguenze delle scellerate e discutibili decisioni da parte del governo che non fanno altro che accentuare i fortissimi dislivelli del paese. Piace molto il fatto che la next-big-thing inglese si collochi nelle periferie insofferenti piuttosto che nei compiaciuti sobborghi borghesi in cui gravitano Skepta e Stormzy, piace il fatto che non sia il figlio di papà travestito da gangsta e neppure il delinquente proletario. Thai non è convenzionale, non è il prototipo del giovane rapper che si comporta in modo strano e sembra sempre un po' alticcio, ma è uno che a forza di cinismo e strofe nichiliste dal pulpito di una feroce macchietta vuole farsi spazio in un posto dove c’è ambiguità ed ambivalenza: è un ibrido sotto molto aspetti.
Nothing Great About Britan però, non è solo crisi della Gran Bretagna, Brexit, emarginazione del ceto operaio ed irriverenti provocazioni alla Royal Family, è anche introspezione nel privato di una personalità che, a primo impatto, potrebbe sembrare non voler mostrare alcun punto debole e giocare solo d’attacco, è anche messa a fuoco di un artista sfaccettato e dal grande potenziale. Per questo parla anche dell’insicurezza di non essere abbastanza, di una vulnerabilità che sfida le norme di genere, della paura che fa un mondo in cui non ti riconosci e che diventa sempre più esclusivo e cosa più interessante è che lo fa con una sfumatura inquietante di fondo che non si riesce bene a descrivere.
youtube
Nothing Great About Britain è un po' una pazzia, un debutto di cinquanta minuti diviso in due dischi che nella maggior parte dei casi si sarebbe tradotto in una pessima audace decisione. Nel caso di Thai, invece ha sufficientemente senso perché il suo è un album meditato dietro il quale ci sono anni di lavoro e tanta fame di rime che grattino l’asfalto, di crudi ritratti di provincia, di gesti - anche ingenui - che ribaltino ipocrisie ed illusioni. Il sipario si apre con l’omonima title-track che con la poca immediatezza di quei tempi sincopati scanditi da una batteria sorda ed hi-hats singhiozzati, crea subito un ritmo insolito sul quale organizzare la metrica; synth sinistri usciti da un film sci-fi sviolinano su altri accordi di tastiera che mettono l’accento sulla tensione della traccia, mentre Thai confeziona rime assurde stipandole di riferimenti ad un inglesissima sotto-cultura impossibile da comprendere per i neofiti, ma che in poche parole ritrae un paese veramente depresso ed illuso. Poi si scatena nell’accelerata Doorman con la produzione di Mura Masa, una potente deviazione per entrambi che mette in risalto la loro versatilità e la creatività che si può raggiungere pur rimanendo nel rap; l’energia punk di chitarra e batteria mangiate dalle manipolazioni si unisce a synth giocosi e voce distorta, creando una mescolanza ribelle dall’attitudine lo-fi, dove Thai da il meglio di sé mandando a quel paese un po' tutta la facciata dell’alta società inglese. Dead Leaves parla dell’ambiente stagnante in cui nulla cambia e tutto dà ai nervi, non si fa schiacciare dalle tracce più imponenti del disco pur non sforando i due minuti e servendo più che altro da ponte alla perla Gorgeous, in cui c’è da leccarsi ancora una volta i baffi per la produzione sempre molto personale, qui più curata nella melodia ma comunque sbilenca ed obliqua nei ritmi, e soprattutto bella sotto il punto di vista del testo in cui ripercorre la sua infanzia fino ad episodi dell’adolescenza legati allo spaccio di droga che lo hanno condotto al primo arresto. Thai non si compiace nel ricordare questi momenti della sua vita, ma non è neanche una persona che si piange addosso, più che altro propone un nudo spaccato fatto di povertà, razzismo e fratture, narrato dal punto di vista di un ragazzino spelacchiato nato e cresciuto nell’infame ma divina commedia della fascinosa e malata Inghilterra. 
youtube
Il disco procede bene senza troppi intoppi tra strofe e rime che suonano bene solo perché pronunciati con un sublime ed impastatissimo accento inglese, sputando in faccia immagini di una deriva assolutamente sconfortante. Ad un certo punto compare anche Skepta in Inglorious, forse l'unica traccia esportabile a livello commerciale ma solo per la presenza del “re del grime” e di certo non per ammicchi al pop - dai quali si tiene lontanissimo. Subito dopo il sesto centro con Toaster, un piccolo inciampo con il brano Missing che non sembra necessario e poi si vola al disco numero due che ci regala la superlativa Ladies che già esordendo con “Lions don't lose sleep over the opinion of sheep” ha detto tutto, ma in più ci regala tantissime strofe - anche libere da riferimenti incomprensibili - che inquadrano perfettamente l’artista e tutto il suo lavoro, insieme ad una strumentale succosissima. Chiusura in grande stile con T N Biscuits, traccia durissima e pura da grimer che manco per nulla si risparmia una musicalità affatto scontata. Ed è proprio la musica ad adattarsi a pennello a Slowthai, un mostriciattolo impertinente che ti guarda dal basso facendoti la linguaccia, ma al contrario delle apparenze si dimostra per nulla innocuo. Occhi spalancati, quindi, per una delle promesse più belle dell’anno. Bravo Slowthai.
 TRACCE MIGLIORI: Nothing Great About Britain; Doorman; Ladies; T N Biscuits
TRACCE PEGGIORI: Missing
VOTO: 85/100
1 note · View note
riccardomazzocchio · 3 years ago
Photo
Tumblr media
Ho colto l'occasione di partecipare alla lettura dell'Ulisse sulla piattaforma Goodreads Italia (Natale con Joyce). Confesso che se non fosse stato per il gruppo, avrei continuato a postporne la lettura per vari motivi... spauracchio della letteratura, caposaldo della tecnica narrativa del "flusso di coscienza"... mi sembra di sentire ancora i miei (professori d'inglese) discuterne. Suppongo ci siano molti modi di avvicinarsi all’Ulisse e studiarlo come fosse la Divina Commedia avvalendosi cioè di commenti, note, citazioni, referenze che possano renderlo intelligibile. Rimane il fatto che a me ha lasciato molto poco (Sirene, Circe e Penelope tra i capitoli più convincenti) dopo uno sforzo considerevole per portare a termine la lettura. Sicuramente non lo rileggerò, nonostante le raccomandazioni degli esperti, perché non ho provato alcun piacere nel farlo. Questo è il punto! Non credo che la ragione principale sia la difficoltà quanto la mancanza di spontaneità, di naturalezza del testo, arido e noioso in molte parti. Una scorpacciata di erudizione fine a sé stessa, un artefatto fatto ad arte, una caccia al tesoro di significati per una cerchia ristretta di studiosi delle sue stravaganze “keep the professors busy for centuries” (JJ Letters 521) in un estenuante gioco di Monopoli a Dublino. Ho trovato conforto nel giudizio altrettanto netto di due dei miei autori preferiti: Virginia Woolf e D.H. Lawrence. #autori #jamesjoyce #libri #ulysses #librisulibri #leggere #leggodiverso #librispeciali #ioleggo #recensione #letteratura #classici #flussodicoscienza #bookworm #bookaholic #bookish #bibliophile #bookaddict #booklover #reading #bookshop #blog #booknerd #bookstagram #instabook #bookbloggers #instalibri #books #literature #streamofconsciousness https://www.instagram.com/p/CZmJJuUMsGt/?utm_medium=tumblr
0 notes
recensioniyoungadult · 4 years ago
Text
Parla come Dante - Dario Pisano, RECENSIONE
Tumblr media Tumblr media
Titolo: Parla come Dante Autore: Dario PisanoEditore: Newton Compton Editori Vuoi ricevere in anteprima le nostre uscite ?
Tumblr media
Recensione
Parla come Dante – Dario Pisano Salve readers, oggi vi parlerò di un libro molto diverso dai soliti,  niente storie d’amore, nessun dramma o delitto da risolvere, oggi affronteremo Dante. Non temete non voglio interrogarvi, voglio raccontarvi come Dario Pisano spiega l’origine di molte espressioni tutt’ora in uso che sono nate dalla penna di Dante. Oggi vi racconto: Parla come Dante di Dario Pisano edito da Newton Compton Editori.Era un po’ che non cambiavo genere e questo libro è arrivato al momento giusto, Parla come Dante è diverso da qualunque cosa io abbia letto sull’argomento. Dario Pisano fa un’attenta disamina della Divina Commedia, e dell’impatto che quell’opera immensa ha ancora nella nostra lingua.Affronta versi, spiega terzine, esamina tempi e intenzioni dell’autore, regalandoci una prospettiva attraverso la quale pochi di noi hanno osservato la scrittura del sommo vate.E allora rispondiamo alla domanda di partenza. Dante è indicato come il faber, l’inventor dell’italiano per questo motivo: non è stato il primo a usare il volgare in un’opera letteraria, ma è stato colui il quale lo ha reso capace di un uso letterario senza limitazioni. I poeti e gli scrittori della tradizione anteriore avevano gettato le fondamenta di un edificio linguistico che Dante Alighieri ha elevato. E successivamente, nel corso dei secoli, gli scrittori italiani hanno, ognuno nell’ambito della propria opera, contribuito ad arredare e ad ampliare le stanze di questo edificio linguistico.Personalmente ho letto più volte la Divina Commedia negli anni, ma non avevo mai fatto alcune delle associazioni che ho potuto leggere in questo libro. Al di là dell’argomento ho trovato la scrittura di Pisano attenta, precisa e pungente. Sottolinea con grande proprietà di linguaggio ogni sfumatura dei versi che affronta rendendoli chiari per chiunque si approcci al libro. Ha la capacità di rendere chiare le intenzioni di Dante e di farti apprezzare ancora di più le immense capacità di quello che viene definito il padre della lingua italiana… in effetti Pisano ha qualcosa da dire anche su questa espressione.Per l’argine sinistra volta dienno; ma prima avea ciascuna la lingua stretta coi denti, verso lor duca, per cenno; ed elli avea del cul fatto trombetta.I commentatori, nel corso delle varie epoche, si sono domandati il senso di una simile audacia espressiva. È necessario a questo punto rammentare che Dante fu allontanato da Firenze proprio con l’accusa di baratteria (il peccato castigato in questa microunità narrativa). Aveva quindi probabilmente ragione il commentatore ottocentesco Niccolò Tommaseo, secondo il quale questa deflagrazione grottesca è «la vendetta derisoria che Dante rivolge ai suoi accusatori, ridicolizzandone l’accusa che si pretende seria».In conclusione: Dante dimostra in questo verso che per lui non esistono limiti alla poetabilità del reale.In ogni capitolo l’autore ci riporta nel mondo di Dante dimostrandoci la grandezza del poeta una volta di più, Come parla Dante, secondo me è un libro che può essere utile anche ai ragazzi che si trovano ad affrontare la “Commedia” per la prima volta, in modo da poterne fare un esame profondo e comprenderla meglio.Stanno i giorni futuri innanzi a noi come una fila di candele accese dorate, calde, e vivide.Restano indietro i giorni del passato, penosa riga di candele spente: le più vicine dànno fumo ancora,fredde, disfatte, e storte. La consapevolezza della brevità della vita umana, però, non deve essere un pensiero oppressivo, ma un invito a non sciupare la nostra più grande ricchezza: che perder tempo, a chi più sa, più spiace…Ho amato ogni riga di questo libro che mi ha permesso di apprezzare ancora di più un pezzo della letteratura italiana, un grande classico che ognuno di noi dovrebbe leggere almeno una volta nella vita, ma sia che lo abbiate fatto o che dobbiate ancora farlo, vi consiglio di leggere Come parla Dante, troverete la lettura di questo libro comunque molto interessante. Buona lettura, Jenny. SCOPRI IL NOSTRO TEAM Vuoi ricevere in anteprima le nostre uscite ?
Tumblr media
Trama
Parla come Dante – Dario Pisano A molti di noi è capitato spesso di esclamare, in qualità di invito a non perdere tempo con persone che non meritano la nostra attenzione, «Non ti curar di lor, ma guarda e passa!» (prima curiosità: la citazione è sbagliata! Dante scrive: «Non ragioniam di lor…»). E chi non conosce il verso «Amor ch’a nullo amato amar perdona», che tanta fortuna ha avuto nella musica italiana? Ma cosa significa? E quante volte abbiamo detto a un amico – pieno di guai fino al collo – «stai fresco»? Che cosa hanno in comune queste espressioni e le tante altre raccolte nel libro? La medesima paternità. Nascono tutte dalla penna di Dante Alighieri, il massimo genio linguistico della storia, il quale – con la sua Divina Commedia – ha incrementato vertiginosamente il patrimonio lessicale dell’italiano. Parla come Dante ospita una ricognizione dei più famosi ma anche dei meno noti versi di Dante entrati nella lingua quotidiana, per lo più usati da chi parla senza la consapevolezza della loro provenienza.L’ampia documentazione offerta in queste pagine è la prova del fatto che, se anche noi ignoriamo Dante, Dante non ignora noi, ed è sempre sulle nostre labbra, in ogni momento della «nostra vita»! Parla come Dante – Dario Pisano Buona lettura, Jenny. Se ti è piaciuta questa recensione ti consiglio di acquistare questo libro direttamente su Amazon  Cliccando qui Ringraziamo di cuore a tutti quelli che continueranno a sostenerci seguendoci e per chi farà una piccola donazione! Grazie di cuore! Autrice consigliata : monique vane SERVIZI ONLINE PER IL TUO LIBRO Read the full article
0 notes
matildelegge-blog · 7 years ago
Text
Tumblr media Tumblr media
Libro 14. David Foster Wallace, “Infinite Jest” (Stile Libero Einaudi)
“L’ho finito. L’ho letto in tutti i modi che ho trovato [9] e l’ho finito. Mi sento strana, un sacco, come se niente fosse più come prima o come quando ti manca l’aria e tipo vai veloce veloce da sott’acqua ed esci e prendi un sacco di aria e tossisci. Niente è più come prima” (sms Marta a Giuseppe, 18 Dicembre 2017).
Una delle mie attuali ossessioni è contare tutto. Di questo forse dovrebbe parlarne Giuseppe – che ne ha più coscienza di me - ma ad ogni modo so di aver letto un quantitativo di libri che sfugge al mio controllo e ai miei conteggi. Libri belli, libri lunghi, libri senza i quali non posso immaginarmi a vivere alcunché, libri di cui vergognarsi, libri noiosissimi, libri simpatici, libri istruttivi. Una smania consumistica che mi ha fatto passare da un libro all’altro per accrescere il mio egocentrismo culturale – la mia erudizione - e poter dire “ecco: sono nella cultura, sono nel giusto, sono nell’intelligenza e nella coscienza critica” in questa smania opprimente di investimento immaginario secondo cui la libreria è vista come luogo di culto, il libraio come un santone in quanto sempre nell’inopinabilità, l’oggetto libro come reliquia e il tempo di lettura come l’unico che valga davvero la pena vivere in quanto “arricchimento”. È molto difficile scrivere quanto detto “ad alta voce” perché sono consapevole di stare mettendo in evidenza tutta la mia miseria in modo assolutamente inassolvibile. E continuo dicendo che quando ero bambina preferivo stare ferma in un luogo a leggere Roal Dahl piuttosto che mettermi a giocare con altri bambini. A otto anni lessi Jane Eyre e m’immersi nella dimensione temporale del romanzo ed ero l’orgoglio dei più, sfoggiandomi come una me necessariamente staccata dalla realtà e dalla necessità, dunque “più” di tutti gli altri e di tutto il resto. Quando ero adolescente iniziai a frequentare le persone che non avevano niente in contrario a parlare con me con cui parlavo poco perché per parlare e per ascoltare qualcuno prendevo un libro e col senno di poi io non posso che guardare con una certo disaccordo e disappunto questo approccio di cui purtroppo la maggior parte dei lettori – convinti del proprio fondamentale ruolo all’interno della società – non si rende neanche conto. E forse è anche giusto così.
Per quanto questa mia consapevolezza sia estremamente fresca, non posso che guardarmi indietro e comprendere (e contare) tutti quei crash nel mio sistema che hanno interrotto questo vizioso trastullarsi in se stessi. Il problema reale di questi crash risiede in quello che una volta disse Deleuze: “[…] quello in cui credo sono gli incontri. E gli incontri non si fanno con le persone. Si crede sempre che gli incontri si facciano con le persone, ma è terribile, quello fa parte della cultura […]. […] gli incontri non si fanno con le persone, ma con le cose: incontro un quadro, un’aria musicale, una musica. Ecco cosa sono gli incontri”. E il 12 Dicembre 2017, in una catarsi senza rimedio, scrissi banalmente un post su Facebook in cui elencai tutti gli incontri che cambiarono il mio quotidiano (cosa significherebbe d’altronde “Vita”?) e dopo il quale mi è stato praticamente e fisicamente impossibile leggere per un lasso di tempo prolungatissimo qualsiasi altra cosa. Scrissi:
“In ordine, i motivi per cui No U Turn e rabbie e dolori sparsi: Fernando Pessoa, Il Libro dell'Inquietudine; Gilles Deleuze, Differenza e ripetizione; James Joyce, Ulisse; la Bibbia; Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra; Dante Alighieri, La divina commedia. HO DIMENTICATO L’ETICA DI SPINOZA!”
Quarantanove mesi – in un totale sezionato in parti ineguali nel tempo – in cui abbandonai la letteratura (per la vita? per la quiete?). Ma il primo libro di questo elenco (omesso appositamente nel copiato del post in quanto oggetto di questo articolo/recensione) il cui incontro ha spazzato via tutto il resto, altri titoli compresi, è Infinite Jest di David Foster Wallace.
“Un grosso libro vuol dire che il lettore passerà molto tempo a leggere […]*: 17 mesi, per l’esattezza.
Definire la struttura di Infinite Jest è estremamente difficoltoso. La storia (che può essere descritta così solo a posteriori, in quanto il libro è strutturato in un processo di presentazione dei fatti dal minuscolo al gigantesco e avvolgente tutto) si sviluppa attorno a un nucleo centrale, cioè la presenza fantomatica di un film d’intrattenimento - dal titolo omonimo – “così appassionante  e ipnotico da cancellare in un istante ogni desiderio se non quello di guardarne le immagini all’infinito, fino alla morte” (come troviamo scritto nella quarta di copertina). Il nucleo centrale snoda da sé due macrostorie a sé stanti (ma confluenti nel nucleo stesso): la vita all’interno dell’Eta, un’accademia tennistica agonistica, e la vita all’interno dell’Ennet, un centro di recupero dalla dipendenza da qualsiasi sostanza. Di fianco, quasi come collante e rimando continuo tra le due parti tra loro e tra loro col nucleo, vi è la vita sotto copertura di coloro che disperatamente cercano Infinite Jest. Da queste due macrostorie (più appendice) si sviluppano a propria volta davvero non so quante altre storie e quanti altri racconti, ognuno assolutamente indipendente dagli altri, ma rientranti necessariamente in un quadro che serve a riportarci - per intreccio, simbologia, riferimento, citazione - alla propria macrostoria di riferimento o alla seconda, per sfociare nel nucleo e chiudere un cerchio che ad una prima lettura sembra non poter aver quadratura. Potremmo persino dire che l’intrattenimento filmico Infinite Jest sia il cuore di tutto l’apparato libro, un cuore da cui parte strutturalmente una grande vena e una grande arteria e da cui le storie si diramano capillarmente ed entro cui ritornano – grazie alle valvole (le storie sottocopertura) - in un ciclo infinito dal movimento rotatorio di ripetizione senza il rischio di collasso. O ancora una struttura a piramide che dalla vetta si dirama sempre più giù, sempre più in basso, dall’ “idea filmica” Infinite Jest alla merda che tocchiamo con mano di un dato tossico cacatosi nelle mutande o alla disperazione di pori dilatati e sudore di quel giocatore ragazzino. O ancora, potremmo usare la spiegazione convincentissima tratta da una conversazione del 1996 tra Michael Silverblatt e l’autore (https://www.youtube.com/watch?v=DlTgvOlGLns):
M.S.: “Non so come, esattamente, parlare di questo libro […] ma a volte mi è venuta in mente questa idea, magari immaginaria, cioè che il libro è scritto in frattali. […] Ho pensato che il materiale sia presentato in modo da permettere a un argomento di essere introdotto in piccolo, dopodiché si apre un ventaglio di tematiche, di altri argomenti, e poi eccoli di nuovo presentati in una seconda forma che include, anche loro in piccolo, altri argomenti e poi presentati di nuovo come se quello che viene raccontato fosse…. Non sono molto pratico di questa scienza, è solo che mi sono detto che i frattali dovevano essere così”
D.F.W.: “Avevo sentito che sei un lettore in gamba. È una cosa presente a livello strutturale. In effetti è strutturato come una cosa che si chiama Triangolo di Sierpinski che è un genere di frattale piramidale anche se a essere strutturata come un Triangolo di Sierpinski era la bozza che consegnai a Michael [Pitch, editore] nel 1994 e che ha subito alcuni tagli provvidenziali e mi sa che ne è venuto fuori un Triangolo di Sierpinski un po’ sbilenco. Ma è interessante, è uno dei modi strutturali in cui bene o male dovrebbero comporsi”
[…]
M.S.: “[…] mi sembra che in questo libro - che contiene sia la banalità sia la straordinarietà di veramente molti tipi di esperienza, oltre alla banalità dell’esperienza straordinaria … -”
D.F.W.: “E alla straordinarietà dell’esperienza banale”
M.S.: “… andava trovato un modo [di organizzarsi] e mi entusiasmava il fatto che fosse strutturale, che il libro trovasse un modo di organizzarsi capace di farti sapere. Sono analogie che poi ricorrono in tutto il libro […]”
D.F.W.: “Si tratta di capire se una cosa è vera o no. […] Voglio dire che molta della struttura che c’è dentro è più o meno decisa lì per lì a seconda di cosa mi sembrava vero e cosa no. […] è solo quando arrivi all’incirca a metà [del libro] che secondo me si comincia a vedere il barlume di una struttura. Poi, certo, il grande incubo è che la struttura la vedi solamente tu mentre per gli altri è un gran casino”.
In prima istanza, arrivati come dice Wallace a metà del libro, è dunque la struttura – oltre alla grandezza/lunghezza del volume  (“I libri grossi sono più una sfida, sono intimidatori. […] Infinite Jest all’inizio non era pensato per essere così lungo. Iniziò come una narrazione frammentata, multipla, con alcuni personaggi principali e  […] a un certo punto diventò chiaro che sarebbe stato molto lungo”*) – a rendere certamente cerebrale e affascinante la lettura. Il fascino è amplificato dalla presentazione caotica di nomi di sconosciuti che raccontano la propria personalissima storia di abuso, violenza, aggressione, disperazione, gioia fittizia, quotidianità spicciola e bellezza in una frammentazione davvero difficile da digerire e tremendamente spiazzante. Le microstorie scorrono veloci (nella prima parte del libro) come sangue nei capillari fino a raggiungere i vasi sempre più grossi, sempre più grossi per arrivare al cuore (3/4 del libro) e vivere il ricircolo, tornando indietro (fino alla fine del libro, ricominciando). È questo un movimento che si percepisce non solo leggendo, ma anche fisicamente: una spinta frenetica, un trascinamento - ecco, sì - un trascinamento forzato che ostacola la parte dentro di te che continua a dire NO NO NO BASTA COSì NO NON POSSO LEGGERE PIÙ! E il perché di tutti questi no - quantomeno all’inizio, perché poi subentra una sorta di rassegnazione e abbandono totale alla lettura – è non tanto il modo in cui Wallace ironizza gli avvenimenti, rendendoli ancora più disperati, ma la normalità violenta e la violenza normalizzata che permea il quotidiano in e di ogni persona che respira in tutti i qui e in tutti gli adesso del pianeta. Per quanto Wallace abbia detto come Infinite Jest volesse essere “qualcosa che avesse la stessa densità mentale dell’America di oggi, una sorta di gigantesco tsunami di roba che ti travolge”*, questo distacco che confinerebbe tutto il travolgente agli Stati Uniti è totalmente annullato, ritrovandoci in una globalizzata impotenza che ci fa rientrare in una dimensione in cui tutto il descritto “è proprio così” e non potrebbe essere vissuto altrimenti. Credo sia corretta l’affermazione di David Lipsky secondo cui “leggere David Foster Wallace era come spalancare gli occhi sul mondo”: vediamo davvero Kate Gompert a digrignare i denti e provare pietà mai per se stessa, ma per uno psicotico depresso uguale a lei; vediamo e sentiamo davvero il respiro di Joelle sul suo velo; sentiamo davvero l’odore acido della sostanza uscire dai pori di quella prostituta senza denti, per le troppe pipe fumate, che partorisce il suo bambino morto che porterà sempre attaccato a sé e che puzzerà nella sua graduale decomposizione sotto il sole cocente dell’estate. “[…]ho provato una specie di … non lo so … tenerezza nei confronti dei personaggi e il narratore per lo straordinario sforzo impiegato a scriverlo. Non sembrava una difficoltà fine a se stessa. Sembrava come una difficoltà immensa ben spesa perché c’era qualcosa di importante da dire riguardo alla difficoltà di essere umani. Aveva bisogno di essere triste e non c’erano altre vie per raccontare ciò” (Michael Silverblatt).
Potrei scrivere moltissimo sull’intreccio della storia, sulla personalità dei personaggi, sui nove modi possibili per leggere questo libro, sulla voluta assenza di narrazioni sessuali (due sole eccezioni) ad evidenziare un’impossibilità empatica nel controsenso per cui  raccontare una storia a persone troppo prese a narrare se stesse rende ogni narrazione puro fiato. Potrei parlare delle note (la più lunga è di 19 pagine) o potrei incentrarmi sulle specifiche pedantesche e maniacali di ogni farmaco/sostanza riportati nel volume o la precisione di Wallace nella descrizione degli stati emotivi verbali di alcuni personaggi [es. Hal Incadenza: pag.3: siedo _  pag.1023: ero _  pag.1039: camminai _  pag.1076: stavo _ pag.1089: forse sonnecchiai / forse avevo sonnecchiato / pensai _ pag.1130: .... _  pag.1140-41: ricordavo/ricordo/ricordavo]. Non lo farò. Leggerlo?
Infinite Jest è un libro geniale non tanto per gli elementi descritti, non solo per gli elementi non descritti, non esclusivamente per questa enorme fatica dell’autore. Credo che lo sia perché davanti al Povero Tony (il personaggio che ho amato di più non solo per la sua storia, per la descrizione, ma soprattutto per il modo in cui è perennemente inserito in tutto il testo) e alla sua disperazione così lontana dalla mia io non posso far altro che zittirmi. Non si ride. Non si piange. Qualche volta un ghigno. Ma è il silenzio a caratterizzare ogni pagina, questo silenzio invadente, questa tenerezza sconcertante che elimina la possibilità di giudicare anche l’atto più meschino, anche la situazione più repellente, a favore di una nuda consapevolezza della miseria mia, tua, di tutti loro, di tutti noi.
“Un libro per tutti e per nessuno” è questo Infinite Jest che non lascia tregua, ti fracassa il cranio e spezza il cuore. Non leggetelo. Fatelo per voi. Perché dopo non si torna indietro. A meno che non accettiate la possibilità di non leggere alcunché, dopo, continuando a vivere questo silenzio, almeno per un po’.
M.
Ci rivedremo in Gennaio
 * THE END OF THE TOUR (tratto dal libro intervista di David Lipsky a David Foster Wallace)
*Charlie Rose intervista Wallace https://www.youtube.com/watch?v=9lVHhliP5s4
Tumblr media
#1 : "Leggo, io"
Tumblr media
#2 : "imparate"
Tumblr media
#3 : luoghi comuni
Tumblr media
#4 : "che cazzo è l'acqua?"
Tumblr media
#5 : cicloide
Tumblr media
#6 : "quando il sangue esce davvero"
Tumblr media
#7 : urlare
Tumblr media
#8 : le Cose Vere
Tumblr media
#9 : "il mondo delle arti degli Usa"
Tumblr media
#10 : la Cosa = depressione
Tumblr media
#11 : i tossicodipendenti eterosessuali
Tumblr media
#12 : credetemi
3 notes · View notes
pangeanews · 4 years ago
Text
Peter Weiss e il romanzo più importante del secolo mai tradotto in Italia (svegliatevi gente!)
L’altare al Pergamonmuseum di Berlino pare qualcosa che precede l’uomo. La Gigantomachia, in effetti, sembra profezia in marmo, dove serpe e dio, leone e tormento, gloria e punizione sono intrecciati in evidenza, appunto, disumana. È come il dispiegarsi della storia, il caos a zanne, sulla fatua volontà umana. Davanti all’altare di Pergamo, del II secolo prima di Cristo, s’innalza uno dei romanzi più clamorosi del secolo scorso, Die Ästhetik des Widerstands, “Estetica della Resistenza”, pubblicato in tre tomi (usciti rispettivamente nel 1975, 1978, 1981), scritto da Peter Weiss. Fu un evento. Sconvolgente. Di cui noi non abbiamo compreso la forza, l’impeto, l’importanza. Come se ci avessero negato, chessò, la ‘Recherche’ di Proust, i libri di Thomas Mann, quelli di Philip Roth.
*
Peter Weiss (1916-1982), presumo, lo conosciamo tutti: è il grande, contradditorio, centrale drammaturgo tedesco di La persecuzione e l’assassinio di Jean-Paul Marat e L’istruttoria. Un tempo Weiss era molto tradotto, di solito da Einaudi, da Feltrinelli, da Cronopio. Qualcosa si trova ancora. Tra i testi da tradurre, forse sfiziosi, c’è il carteggio con Hermann Hesse, che ha legato i due dal 1937 al 1962, è edito da Suhrkamp. Beh, io non ne sapevo nulla finché Giovanni Pacchiano, studioso e lettore fenomenale, non mi ha lanciato l’amo. “Sto leggendo in francese L’esthétique de la résistance… lo trovo straordinario e ricco di spunti”. Cerco. In Francia lo traduce Klincksieck, il romanzo conta quasi 900 pagine. Tre anni fa “Le Monde” lo ha inserito in una aristocratica classifica di “grandi romanzi da riscoprire”. “Questo è un romanzo di culto… una delle opere fondamentali della letteratura del XX secolo… spesso comparato alla ‘Recherche’ di Proust e all’Ulisse di Joyce”, leggo tra le note. Parole, parole, parole. Calco il giudizio di W.G. Sebald, allora: “Peter Weiss ha cominciato a scrivere Estetica della Resistenza quando aveva più di cinquant’anni, compiendo un pellegrinaggio tra gli aridi meandri della storia culturale contemporanea, accompagnato dal terrore notturno, carico di un mostruoso peso ideologico. Siamo al cospetto di un capolavoro, che non è espressione di effimero desiderio di riscatto, ma di una volontà di stare, alla fine dei tempi, dalla parte dei vinti”.
*
Mi muovo in ambito anglofono. The Aestethics of Resistance è pubblico dalla Duke University Press, dal 2005. Il secondo volume della trilogia è uscito quest’anno. In questo modo Robert Cohen cerca di centrarne la ‘trama’: “Estetica della Resistenza inizia con un’assenza. Manca Eracle, il grande eroe della mitologia greca. Lo spazio occupato un tempo dall’enorme fregio che raffigurava la battaglia dei Giganti contro gli dèi è vuoto. Più di duemila anni fa, quel fregio adornava le pareti esterne del tempio di Pergamo, in Asia Minore. Verso la fine del XIX secolo i resti dell’antico monumento furono scoperti dall’ingegnere tedesco Carl Humann, quindi spediti in Germania. I frammenti ricomposti nel Pergamonmuseum, costruito appositamente a Berlino, capitale della Germania guglielmina, sono l’emblema delle rivendicazioni del potere imperiale tedesco. Nell’autunno del 1937 tre giovani sono davanti al fregio. Due di loro, Coppi e il narratore, il cui nome non è mai menzionato, sono lavoratori. Il terzo, un sedicenne di nome Heilmann, è ancora studente. Coppi è un membro dell’illegale Partito Comunista, Heilmann e il narratore sono simpatizzanti. Tutti e tre militano nella resistenza antifascista. Durante una lunga discussione, i tre amici tentano di interpretare gli eventi raffigurati nel fregio in relazione al loro impegno nella lotta politica quotidiana. Eppure, non riescono a rintracciare Eracle. A parte un frammento del suo nome e la zampa in pelle di leone, nulla resta del condottiero degli dèi nella battaglia contro i Giganti. Il ‘capo’ del 1937, d’altronde, è una forza onnipresente, anche nelle sale del Pergamonmuseum, dove i soldati delle SS si aggirano, con le insegne naziste ben visibili, tra i visitatori. Sotto la pressione del presente, vite in perpetuo pericolo, i tre antifascisti leggono lo spazio vuoto del fregio come un presagio”. Estetica della Resistenza è un romanzo europeo, del pensare: discute Marx e Picasso, si muove tra Germania, Francia, Spagna, ragiona su alcune opere emblematiche, il tempio di Angkor Wat in Cambogia, Dürer, Géricault, il dadaismo, il ‘realismo socialista’. Le fonti letterarie principali di Weiss sono la Divina Commedia e Franz Kafka.  
*
Un frammento dalla descrizione dell’altare di Pergamo, per capirci. “Tutto intorno a noi si elevano corpi di pietra, si ammassano in turbe, si intrecciano e si spaccano in frammenti, accennando ai loro corpi con un busto, un braccio, l’anca esposta, un vortice di schegge, sempre in gesti di guerra, mentre schivano, colpiscono, si riparano, allungati e ripiegati, piedi che scattano, schiena contorta, polpacci imbragati, il tutto in un unico oceanico moto. Una lotta gigantesca, abnorme emerge dal fondo grigio, richiamando la perfezione, sprofondando nell’informe. Una mano si spalanca dal suolo accidentato, pronta ad afferrare, attacca la spalla di un corpo spiantato, viso che abbaia, crepe che sbadigliano, bocca che grida, occhi atterriti, volto accerchiato dalla barba, pieghe tempestose di un abito, ogni cosa prossima alla sua estremità, alla sua origine”.
*
Il romanzo ha una eminenza ‘politica’, agisce – perché questo è il genere romanzo – per scavare uno scandalo. In una recensione uscita su “The Nation” (ottimo titolo: Fighting the Abyss) Noah Isenberg ne scrive così: “I passi più avvincenti – i più riusciti – del romanzo sono quelli in cui Weiss offre un esame dettagliato dei capolavori di Delacroix, Goya, Géricault, Munch… e del loro rapporto con le lotte contemporanee. Così, ad esempio, scrive del Guernica di Picasso: ‘Il dipinto presentava qualcosa di assolutamente nuovo, di incomparabile. Con crudeltà, con violenza, le ombre nette e i coni di luce, arti e facce mastodontiche s’intersecano, mentre diagonali e verticali contraddicono una densità profonda, immobile. L’aria è grave del canto metallico dei grilli’. Queste e altre analisi egualmente sontuose pareggiano i proclami politici (‘Restiamo schiavi salariati che non guidano i processi di produzione’) e tradiscono l’autentico genio di Weiss per la descrizione visiva, vivida, costante nel suo lavoro”.
*
Esito. Rischiamo che Estetica della Resistenza sia il libro più importante del secolo non tradotto in Italia. Il problema, d’altronde, è di soldi, economie, salari, cultura vs. convenienza, etc. etc. Insomma, puro Peter Weiss. Olè. (d.b.)
L'articolo Peter Weiss e il romanzo più importante del secolo mai tradotto in Italia (svegliatevi gente!) proviene da Pangea.
from pangea.news https://ift.tt/3bGPDM9
0 notes
koufax73 · 5 years ago
Text
Claver Gold & Murubutu, "Infernvm": recensione e streaming
Claver Gold & Murubutu, “Infernvm”: recensione e streaming
Infernvm è il nuovo concept album di Claver Gold e Murubutu. Vestendo i panni di Dante e Virgilio, i due snocciolano brano per brano, fra le atmosfere e i personaggi più suggestivi descritti nella prima della tre cantiche della Divina Commedia. I gironi dei dannati, le pene, le figure mitologiche sono spunti da cui sviluppare metafore e suggestioni per leggere la contemporaneità e tributare la…
View On WordPress
0 notes
koufax73 · 6 years ago
Text
New Air, "Redemptio": recensione e streaming
New Air, “Redemptio”: recensione e streaming
 E’ uscito su tutte le piattaforme digitali l’ep Redemptio, secondo capitolo della “Divina Commedia in musica” del progetto New Air, anticipato dal singolo Taboo (feat. Frabolo & Oscar Nini), già sui digital-stores e in rotazione radiofonica su oltre ottanta emittenti.
L’ep è distribuito dall’etichetta algherese, ma operativa su tutto il territorio nazionale, La Stanza nascosta Records del…
View On WordPress
0 notes