#Racconti dalla tomba
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VENEZUELA DIMENTICATO
Sono trascorsi decenni dal mio soggiorno lavorativo in Venezuela, ma da allora ho seguito sempre con interesse le sorti di quel paese. Ho lasciato una terra ricca di risorse, che nonostante certi difetti da attribuire in generale all’America Latina, che si manifestavano già a quel tempo, mostrava il volto di una nazione in crescita, il cui sviluppo industriale sociale e culturale in atto faceva sperare in un futuro prospero. Il Venezuela si avviava a diventare una sorta di locomotiva per gli altri stati dell’area.
Invece non è stato così. Un giorno è tutto cambiato. E’ salito al potere, eletto peraltro dal popolo, un rappresentante della sinistra più spinta, simpatizzante del sistema cubano. A partire da Chavez, poi grazie al suo successore Maduro, il regime di stampo comunista si è consolidato. Il rapporto con i capi cubani si è fatto sempre più stretto e il Venezuela è precipitato nel periodo più buio della sua storia.
La dittatura ha imposto condizioni terribili alla popolazione. Nei primi anni, quando si stava affermando, ascoltavo, collegandomi con gli amici locali tramite Skype, le loro lamentele. Erano preoccupanti quei racconti, da stentare a crederci se non fossi stata convinta della loro buona fede.
Il regime, dichiarando paradossalmente che il suo intervento era volto al benessere della popolazione, al riscatto delle masse più disagiate, non ha fatto altro invece che appiattire nella povertà e nell’ignoranza un intero popolo. Si è avvalso naturalmente di tutti i mezzi classici usati dalle dittature. L’opposizione ha avuto vita difficilissima ed è sempre stata schiacciata e soffocata anche nei momenti apparentemente democratici riservati alle elezioni, che si sono svolte in un clima terroristico.
La povertà dilagante e quindi l’impossibilità di ricavare ricchezza dalla popolazione, ha fatto sì che il regime abbia iniziato da subito a svendere le sue materie prime agli stranieri, prima fra tutte il petrolio, il cui sfruttamento era il perno dell’economia negli anni precedenti la dittatura.
L’impoverimento è stato tale che i beni di consumo si sono sempre più rarefatti, ricordo quando un’amica mi comunicava allarmata che non si trovava più neanche la carta igienica.
La corruzione dilaga. Anche l’apparato della salute pubblica è venuto meno, altro che sistema socialista, solo chi ha denaro riesce ad accedere alle cure. L’istruzione è distrutta. La stampa è imbavagliata, come pure il sistema giudiziario.
Il disastro si è maturato nel giro di pochi decenni, e non c’è speranza di cambiamento per ora.
Dal paese sono usciti non solo dissidenti del regime, ma tanti cittadini comuni in cerca di lavoro, di un futuro decente, per sfuggire alla miseria più nera.
Tanti italiani, gran parte dei quali discendenti di persone che si sono affermate negli anni in cui vigeva la democrazia, se ne sono dovuti andare. Ma l’Italia non è stata per niente generosa nei loro confronti. Non si sono sentiti appelli perché venissero accolti a braccia aperte nel paese d’origine dei loro antenati. Tutt’altro. Si parla della necessità impellente di ripopolamento dell’Italia, ma i governi italiani non hanno preso neanche in considerazione l’accoglienza e l’aiuto di persone che potevano rappresentare risorse importanti per la nostra nazione.
Come se non bastasse, è calato un silenzio di tomba su quella realtà troppo scomoda. Nessuno parla più della tragedia venezuelana.
Isabella M.
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Il suo paesaggio cambiò. Se aveva vissuto a Parigi come un estraneo e a Roma come un ospite, ora la sua vera casa era la pineta di Roccamare, presso Castiglione della Pescaia. In qualche modo, ripeteva il paesaggio ligure. Anche qui, tutto era limitato: una striscia di sabbia chiusa tra due promontori, una pineta, una macchia, un piccolo giardino dove tutto sembrava miniutarizzato. Scriveva nel cuore della casa, in alto, in uno studiolo raggiunto da una scala pericolosissima, come in un pollaio aereo o in una colombaia. Sotto i suoi piedi, la moglie parlava con le amiche o con la domestica, entravano i fornitori, arrivavano gli amici; e lui continuava a scrivere, immerso nel rumore dell'esistenza, vegliando sulla casa come una cicogna. Non diceva mai di no alle cosa. Ma si era ormai allontanato profondamente dalla realtà, chiuso nel suo mondo di ombre leggere. Sulle soglie tra lui e la vita, tra lui e gli altri, aveva disposto la moglie, che doveva riferirgli tutto: che volti avessero gli altri uomini, cosa accadesse nella pineta, che ombre gettassero gli alberi, che odori attraversavano il prato, che sapori avevano i cibi, che suoni la musica. Lassù in alto, come un'ape riceveva il miele che la moglie aveva raccolto, e lo depositava nella delicatissima arnia della sua mente. (…)
Poi sulla pineta scesero, troppo rapidamente gli ultimi anni. Volgendo le spalle a qualsiasi idea generale, Calvino si accontentava di contemplare un'onda, un ciuffo d'erba nel giardino, un uccello che cantava (…) L'ultima estate fu difficile. Scriveva le sue Lezioni americane: un libro bellissimo, l'Ars poetica della nostra fine di secolo, dove la letteratura antica e moderna si riflettono in un limpido specchio. Non era di buon umore: non usciva più di casa, chiuso nell'alta colombaia, non faceva il bagno. Pensava di perdere tempo: era uno scrittore, doveva dar forma alle decine di racconti che gli gremivano il capo, non riflettere sulla letteratura. Ai primi del settembre 1985 le Lezioni erano quasi finite: ma, per lui appartenevano già ad un tempo passato. In quegli ultimi giorni lo vidi due volte; e fu tenero, affettuoso, divertente, quasi felice. (…) Poi non ci fu più niente. Ci fu la caduta al suolo, la cosa dell'autoambulanza fino a Siena, l'orribile ospedale dove avevo conosciuto altre morti, i visi stravolti dei medici, l'operazione inutile, i discorsi inutili, le attese inutili, il capo bendato, la piccola tomba sul mare di Castiglione. Una mattina i medici ci dissero, per consolarci, che tutto era andato benissimo. Quella di Italo era una malformazione cerebrale congenita. Avrebbe dovuto morire a venticinque o trenta anni al più tardi. Quanto tempo aveva guadagnato; quanti libri aveva scritto, col suo passo da marinaio-contadino che si inoltrava nei gerbidi. Come era stato accorto nel sottrarre tempo - l'unica ricchezza che importa - alle divinità che si prendono gioco di noi. E mi dissi che nemmeno lui, forse, sapeva di essere così fragile. Aveva eluso la propria fragilità colla pazienza, il lavoro, la discrezione e quella terribile maga, che trasforma ogni fragilità in forza, ogni forza in fragilità: la letteratura.
Non sogno mai. Due anni più tardi, Italo mi apparve in sogno. Aveva ancora la fronte bendata, ma il sorriso era quello, luminosissimo, dell'ultima sera. Mi diceva: «Sai, è stato tutto uno sbaglio. I medici non hanno capito. Non sono morto».
Pietro Citati in ricordo di Italo Calvino
#ciaoitalo
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"La leggenda di Atiya" - S. Bakr
Libro davvero carino e veloce, finito durante la terapia di cortisone (e vi assicuro: leggere in ospedale/casa della salute/quel che è non è così semplice come vogliono farvi credere).
All'inizio ero scettica. È un libro che mi è capitato per caso tra le mani diversi anni fa, pagato la modica cifra di un euro, svenduto per colpa probabilmente della sua copertina un po' triste (è davvero bruttina) e del nome da noi sconosciuto di Bakr.
Inutile dire che vorrei facessero un corso universitario per analizzare i racconti della giornalista. I racconti non sono solo ben scritti, tanto che sentivo quel bisogno di leggere ogni pagina con avidità come non mi capitava da tanto (e badate bene, non è così semplice che una raccolta di racconti faccia questo effetto), ma il bisogno di continuare a leggere di scontra con la necessità di fare ricerche per andare più a fondo alla situazione descritta. Si sente dal suo stile che è una giornalista (non perché si "veda" dalla narrazione, quanto più dalla sua abilità di incuriosire i lettori. E se traspare in lingua tradotta non oso immaginare in originale quanto sia meraviglioso il suo stile; sicuramente la traduttrice ha fatto un lavoro ottimo). Volevo anche portare alla luce un aspetto di questo libro, che mi sta particolarmente a cuore. Recentemente mi sono dedicata alla decostruzione dell'aspetto religioso e spirituale della mia (dell'occidente?) educazione. Questo percorso è nato anche grazie a questo libro, che si apre con il suo racconto più lungo: un'inchiesta fittizia sulla tomba di Atiya (da cui il titolo), da molti ritenuta una santa, ma il cui sepolcro, forse, nasconde qualche segreto inconfessabile. Il racconto, sebbene non credo fosse l'intento dell'autrice, mi ha fatto porre diverse domande in merito a cosa credo sia vero o falso, reale o meno. Soprattutto, mi sono domandata: chi sono io per dire a queste persone di non credere ai propri occhi e al proprio istinto. Se capitasse a me? Come reagirei? E da qui una serie di lunghe riflessioni che continuano anche oggi in merito alla religiosità, che però non starò a descrivere qui. Vorrei passasse solo questo messaggio: il libro è di una potenza inaudita, nonostante le poche pagine. Porta a riflettere sugli aspetti più disparati della vita e a volersi informare a livello storico di ogni avvenimento.
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Johanna Heusser Spyri
Johanna Heusser Spyri è stata la scrittrice svizzera diventata famosa in tutto il mondo per aver creato il personaggio letterario di Heidi, uno dei libri più letti al mondo che, tradotto in oltre 55 lingue, continua a ispirare film, cartoni animati, spettacoli teatrali, musical e molto altro.
Sebbene scrivesse storie per l’infanzia e l’adolescenza, le sue opere forniscono uno sguardo critico delle condizioni di vita durante la prima fase della rivoluzione industriale in Svizzera.
Il sottotitolo di molti suoi libri, infatti, è Eine Geschichte für Kinder und auch für Solche, welche die Kinder lieb haben (Una storia per bambini e anche per coloro che amano i bambini).
Anche se ha iniziato a scrivere dopo i quarant’anni, ha pubblicato quarantotto pubblicazioni tra romanzi e opuscoli.
Nata col nome di Johanna Louise Heusser, il 12 giugno 1827 a Hirzel, nella campagna vicino a Zurigo, era la quarta di sei figli e figlie del medico Johann Jacob e della poeta e scrittrice Meta Heusser-Schweizer, la cui Cronaca familiare è stata una preziosa fonte di informazioni sui primi anni della vita della figlia.
Durante la sua giovinezza aveva studiato lingue, letteratura e preso lezioni di pianoforte. Era anche stata in un collegio per perfezionare il suo francese, ma il rigore e la disciplina mal si adattavano alla sua indole vivace e irriverente.
Nel 1852 ha sposato l’avvocato e giornalista Johann Bernhard Spyri, amico di Richard Wagner, da cui ebbe un figlio, Bernhard Diethelm, morto a soli 32 anni, nel 1884, nello stesso anno in cui aveva perso anche il marito.
A Zurigo svolgeva un’attiva vita sociale, partecipava a serate letterarie e eventi mondani, ma la sua indole, che mal si adattava alla città, ne soffriva molto.
Nel 1871, all’età di 44 anni, ha pubblicato, sotto pseudonimo, il suo primo racconto, Ein Blatt auf Vronys Grab (Un foglio sulla tomba di Vrony).
Nel 1878 ha scritto il suo primo libro per l’infanzia.
Amante della natura, aveva soggiornato più volte con l’amica Anna Elisa von Salis-Hössli a Jenins, nel distretto di Maienfeld, dove amava fare escursioni. È stato in quei luoghi e ascoltando i racconti delle persone del posto, che le era arrivata l’ispirazione per la sua storia di Heidi, tratta dalla storia vera di una bambina vivace e allegra che viveva in cima a un monte.
La storia di Heidi, pubblicata in due raccolte nel 1880 e nel 1881, Heidis Lehr- und Wanderjahre (Gli anni di formazione e di peregrinazioni di Heidi) e Heidi kann brauchen was es gelernt hat (Heidi può servirsi di ciò che ha imparato), ebbe da subito un grande successo. È stata la prima opera pubblicata col suo vero nome.
Molto attiva anche nel sociale, si è dedicata, fino alla fine ad aiutare le persone bisognose e malate.
Prima di morire, decise di bruciare gran parte dei suoi scritti e documenti personali. La sua biografia, infatti, si basa oggi, in gran parte sugli scritti della madre e dei personaggi del mondo della cultura che l’hanno conosciuta.
Si è spenta a Zurigo il 7 luglio 1901.
La sua eredità è gestita dall’Istituto Svizzero Media e Giovani, associazione che promuove nelle giovani generazioni la lettura e lo studio.
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Il 19 gennaio del 1809, nasceva Edgar Allan Poe. E già il suo nome, forse, avrebbe dovuto far sospettare qualcosa circa il futuro che, di lì a breve, quel ragazzino minuto e solitario si sarebbe costruito. I suoi genitori, infatti – David Poe Jr. ed Elizabeth Arnold – erano entrambi attori, e, al momento della nascita del bambino, stavano portando in scena la tragedia Re Lear, di William Shakespeare. Tragedia che vede tra i propri personaggi, per l’appunto, un uomo di nome Edgar. E forse quel nome gli è stato d’aiuto nel corso della sua esistenza – o almeno, così ci piace sperare – dandogli forza, consolazione, ricordandogli le sue origini e la sua vera natura, stando lì come un monito, un presagio, quasi. Un’esistenza tormentata, dolorosissima, che ha inevitabilmente formato il cuore e la mente di quel ragazzino, poi diventato uomo, e poi morto a soli a quarant’anni. Anche se, a distanza di secoli, possiamo tranquillamente affermare che quelle quattro decadi sono state sufficienti per provocare un effetto preciso: l’effetto Edgar Allan Poe. Il motivo per cui ognuno di noi, alla luce dei suoi racconti, non può che fermarsi di fronte alla figura e scura e maestosa di un gatto dal pelo nero. Il motivo per cui, una volta letti i suoi libri, si rimane tormentati dal ticchettio inesorabile e costante di un cuore che doveva essere morto – e invece continua a battere. Il motivo per cui ci riesce difficile non credere agli spiriti, ai mondi che abitano le infinite prospettive della mente umana, alle discontinuità. A tutto ciò che non è superficie. All’età di sedici anni, Edgar Allan Poe si innamorò di una donna, una donna adulta, molto più grande di lui, madre di un suo compagno di studi. Si chiamava Jane, e morì precocemente, forse a causa di una malattia. Il giovane – e futuro – scrittore, nonostante la giovane età, rimane sconvolto da quanto accaduto. E ogni notte, per mesi, cominciò a uscire dalla sua stanza per recarsi alla tomba di lei, non riuscendo a spiegarsi il perché di quella morte. La donna, a cui Edgar Allan Poe dedicherà decine e decine di componimenti, compare nei suoi scritti con il nome di Helen. E la forza di questo amore mai realizzatosi sarà il motore propulsivo di molte delle sue opere e delle sue riflessioni. Chissà cosa penserebbe adesso, quella donna, delle migliaia di persone che la ricordano attraverso le lente dell’amore di un sedicenne disperato. E innamorato. L’amore, la paura, il buio, l’immaginazione, la poesia. Tutto ciò fa parte – farà per sempre parte – di ciò a cui pensiamo quando pensiamo ad Edgar Allan Poe. Di ciò di cui parliamo quando parliamo di un uomo giovane e inquieto, che ci ha regalato, forse, la cosa che più gli apparteneva: un cuore incredibile che non smette mai di battere.
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La Tredicina di Sant’Antonio di Padova
Quando si dice semplicemente il santo molti ricordano la figura di sant’Antonio di Padova, la cui memoria cade il 13 giugno. La basilica di Padova che custodisce le sue spoglie vede ogni anno l’afflusso di oltre cinque milioni di pellegrini, che affollano la sua tomba e chiedono la sua intercessione, dove prevalgono quelle relative alla salute e al lavoro, mentre al secondo posto ci sono i ringraziamenti per la protezione in occasione di un incidente. La più antica devozione relativa a sant’Antonio è il cosiddetto Breve, che si racconta sia legato a una donna che, decisa a suicidarsi, si addormentò nella chiesa francescana di Santarem, in Portogallo, e sognò il santo che le diceva «Alzati, figlia, tieni questo foglio e sarai libera dalle incursioni del maligno». Al risveglio la donna si ritrovò fra le mani un foglietto con un testo in latino, che il Papa francescano Sisto V fece incidere nel 1590 sull’obelisco in piazza San Pietro e dice «Ecco la croce del Signore! Fuggite, o nemici. Il leone della tribù di Giuda, il germoglio di Davide, ha vinto. Alleluia». Oggi è molto diffusa è la novena detta Tredicina, perché si svolge normalmente nell’arco di tredici martedì, che era il giorno in cui vennero celebrati i funerali del santo. Probabilmente la preghiera più nota in onore di sant’Antonio è il Si quaeris, composto da fra’ Giuliano da Spira nel 1233 che dice «Se cerchi i miracoli, fuggono la morte, l’errore, le calamità, il demonio e la lebbra; gli ammalati si alzano risanati. Mare e catene si aprono, i giovani e i vecchi chiedono e ritrovano le forze e le cose perdute. Scompaiono i pericoli, terminano le difficoltà: racconti chi lo ha sperimentato, lo dicano i padovani». Inoltre Sant’Antonio fu l’unico Santo ad essere proclamato tale a nemmeno un anno dalla sua morte, avvenuta il 13 giugno 1231, infatti il 30 maggio del 1232 fu consegnata a Spoleto, alle Autorità civili ed ecclesiastiche padovane presenti, la Bolla Pontificia per la canonizzazione del grande francescano. Dal giorno successivo ci furono 13 giorni per tornare a Padova e preparare la solenne festa di Antonio divenuto Santo, che ancora adesso sono giorni importantissimi per i fedeli e per i pellegrini. La Tredicina inizia il 30 maggio con il Pellegrinaggio delle Arciconfraternite e le Associazioni della Basilica, per rievocare la prima predicazione di frate Antonio avvenuta proprio a Forlì nel 1222 e termina il 13 giugno con la messa solenne in onore del santo di Padova. Read the full article
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Milano: Domenica 2 aprile al Monumentale cerimonia di svelamento del restauro della tomba dell'architetto Carlo Maciachini
Milano: Domenica 2 aprile al Monumentale cerimonia di svelamento del restauro della tomba dell'architetto Carlo Maciachini. L’opera di restauro della tomba dell'architetto Maciachini, patrocinata dal Comune di Milano, è stata promossa dall’Associazione Amici del Monumentale con il contributo di Fondazione di Comunità e del Comune di Induno Olona, dove l'architetto nacque il 2 aprile 1818. Carlo Maciachini progettò per sé e per la sua famiglia un’edicola con uno stile sobrio ed essenziale: i colombari, posti lungo le pareti delle Gallerie Inferiori di Ponente sono delimitati da un cancello in ferro battuto, impreziosito da foglie d’acanto che formano i bracci di una croce, a sua volta affiancata alla rappresentazione di alcuni nodi di Salomone. I nomi degli appartenenti alla famiglia Maciachini sono incisi su lastre marmoree, ornate dalla presenza di stelle a otto punte. “Creare un luogo di riposo che racconti la memoria collettiva di una città è un’impresa ardua – afferma l’assessora Gaia Romani – un obiettivo ambizioso e affascinante che l'architetto Maciachini, mediante la sua opera più imponente e importante, ha realizzato pienamente. Il Monumentale è un posto speciale che ha bisogno di tanta cura ed è molto bello che questa nasca anche su spinta dei cittadini e delle cittadine e di un'Associazione che nei dieci anni di sua attività ha fatto molto per questo luogo. Come Amministrazione siamo davvero grati agli Amici del Monumentale e alla presidente De Bernardi per il lavoro di restauro della tomba di un cittadino illustre che ha dato così tanto alla nostra città, portato avanti insieme alla Direzione del Cimitero. Un intervento che, sono certa, darà ulteriore valore al tesoro culturale, artistico e storico che è il Monumentale”. "Con questo restauro – aggiunge la Presidente Carla De Bernardi – gli Amici del Monumentale festeggiano il proprio decennale e, in collaborazione con il Comune di Milano e la Soprintendenza, proseguono nella loro missione di tutela, promozione e valorizzazione di questo luogo straordinario, scrigno della memoria storica e artistica della città". L’architetto Maciachini (1818-1899), nato in una famiglia di umili origini a Induno Olona, ottenne l’incarico per la realizzazione del Cimitero Monumentale nel 1863, dove progettò al suo interno diverse edicole per le famiglie più in vista dell'allora contemporaneità milanese. Tra le molte, spiccano le sepolture Turati, Sonzogno, Calegari e Keller. Dei suoi interventi nella città di Milano, invece, si ricordano le facciate delle chiese di Santa Maria del Carmine, San Simpliciano e San Marco. La cerimonia sarà preceduta da un intermezzo musicale della Banda di Affori, che si esibirà alle ore 10.30 nel Giardino segreto adiacente alla Sala Convegni.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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La nascita di Dracula
L’autore affermò che l’idea per scrivere il suo libro gli venne da un incubo causato da una cena, con lo studioso ungherese Arminius Vambery, a base di gamberi e insalata.
Addormentandosi, lo scrittore sognò un vampiro che sorgeva dalla tomba per recarsi a compiere i suoi misfatti.
Ma l’incubo di Stoker di certo non bastò per costruire la trama di questo capolavoro della narrativa gotica. È noto infatti che l’autore, sotto la guida di Vambery, si documentò scrupolosamente trascorrendo molte ore al British Museum a consultare libri e mappe fino a quando non riuscì a trovare tutto ciò che gli occorreva per scrivere il romanzo. Fece tesoro di quanto apprese sul folklore e sulle tradizioni sui vampiri e su un sanguinario personaggio realmente vissuto nel XV secolo, Vlad Tepes l’Impalatore re di Valacchia, il cui nome deriva da “Dracul”, usato dai suoi contemporanei per designare il padre, Vlad II, della principesca famiglia dei Basarab. Ma sull’origine di questo soprannome di Vlad vi sono due interpretazioni: la prima associa il nome “Dracul” con il diavolo, giacchè “drac” in romeno significa “diavolo” mentre il suffisso “ul” è l’articolo determinativo che viene aggiunto alla fine della parola; la seconda sostiene invece che il nome derivi dalla parola “drago”, l’emblema della famiglia di Vlad.
Perchè la Transilvania?
Stoker scelse la terra dove era vissuto Vlad per ambientare in modo attendibile il suo racconto, la Transilvania, “la terra oltre la foresta”, uno dei luoghi più selvaggi d’Europa. Per descrivere tali luoghi, che non aveva avuto modo di vedere, egli ricorse all’aiuto di Arminius Vambery, insegnante di lingue orientali all’Università di Budapest. Si noti che Arminius è il nome dell’amico del medico Van Helsing, uno dei personaggi del libro.
I vampiri del folklore rumeno
La storia del romanzo di basa su una credenza molto diffusa, quella dell’esistenza dei vampiri, creature terrificanti già menzionate nella letteratura greca ed egizia. Tuttavia per la creazione del conte Dracula, Stoker attinse soprattutto alle credenze del folklore rumeno. Secondo la Chiesa ortodossa orientale, la religione dominante in quel paese, chi muore maledetto o scomunicato diventa un morto vivente, o moroi, finchè non ottiene l’assoluzione da parte del sacerdote. La superstizione locale si associa a creature denominate strigoi, demoniaci uccelli notturni, affamati di carne e sangue umani. La tradizione popolare attribuisce ai vampiri la causa di epidemie e pestilenze.
Secondo le leggende rumene, alcune persone, bambini illegittimi o non battezzati, streghe e il settimo figlio di un settimo figlio, sono destinati a diventare vampiri. Questi ultimi possono assumere le sembianze di animali come il lupo e il pipistrello.
In certi villaggi, chi non mangia aglio è sospettato di essere un vampiro e infatti la miglior difesa contro di essi è quella di strofinare con l’aglio porte e finestre.
Stoker ottenne queste informazioni facendo delle ricerche al British Museum e avvalendosi delle preziose informazioni fornitegli dall’amico Vambery ma sicuramente fu fortemente influenzato dai misteriosi omicidi compiuti, in quel periodo, da “Jack lo Squartatore” e dagli 11 racconti indù sull’argomento “vampiri” tradotti da Richard Burton, altro suo amico, esploratore e letterato.
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#Racconti dalla tomba#art#detail#skull#skeleton#artwork#painting#Illustration#skeletonization#dead#death#vintage pulp art#pulp art#1972#70's#70s#supernatural#terror aesthetic#horror aesthetic
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Tales from the Crypt (1972)
#tales from the crypt#ralph richardson#peter cushing#joan collins#anthology#horror#1972#racconti dalla tomba
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“ Gettando manate di cavoli nella pentola che bolliva Filomena silenziosamente piangeva, piangeva la sua croce di avere un marito che non credeva né a Dio né ai Santi. - Piangi sulla tua ignoranza, che è più nera della morte. - I miracoli - insorse Filomena - ci sono i miracoli: i miracoli non li può negare nessuno… - Questo è il bello della storia: che ci sono i miracoli… Io mi ricordo quando tua madre vide in sogno santa Filomena, e aveva tre numeri in mano: e la vecchia li giuocò e vinse il terno. Santa Filomena che porta i numeri del lotto, già la cosa era da ridere… Ma c'è di peggio: c'è che un prete, che aveva visioni di santa Filomena, per queste visioni è diventato quasi Santo; un prete francese, non ricordo come si chiamasse… - Lo vedi che santa Filomena c'è? - Caspita, che testa! Santa Filomena non c'è, bestia che sei: ed è il Papa stesso che te lo dice… E che interesse può avere il Papa, in questo caso, a dirti una cosa per un'altra: per far nascere cagnara?… Santa Filomena non esiste: e basta… Ed il bello è che pur non essendo mai esistita quel prete francese e tua madre, e tanti altri preti, e tante altre donne l'hanno vista così come io vedo te. - C'è - disse Filomena, ferma come una roccia. - Non c'è, non c'è mai stata - disse Michele - e la caleranno giù dall'altare: e al posto di santa Filomena metteranno un'altra Santa e tu continuerai a portare i ceri in chiesa, a far dire messe, a votare secondo il consiglio dell'arciprete… E tua madre vincerà qualche altro terno, coi numeri che le darà la nuova Santa… Finché non verranno a dirvi che un tizio aveva sbagliato ancora a leggere una lapide… Uscì dalla cucina e sedette a tavola, aspettando che Filomena gli portasse i cavoli e l'uovo bollito. Tirò dalla tasca il giornale come ogni sera; lo aprì. Se ne era dimenticato: invece di fare quella discussione inutile, ché discutere con una donna è come lavare la testa all'asino, avrebbe potuto leggersi in pace «L'Unità». Il suo occhio corse per i titoli: Registrata dagli osservatorii di tutto il mondo Esplosa nella Nuova Zemlija la «superbomba» sovietica Disarmo generale! «Quando ci vuole ci vuole: ora lo sanno che la nostra bomba è più forte della loro.» Al XXII Congresso del PCUS Decisa la rimozione di Stalin dal mausoleo. - Gli occhiali - gridò - portami gli occhiali - che per lo scritto piccolo ne aveva bisogno. Filomena portò subito gli occhiali. Michele si immerse nella lettura. Il piatto dei cavoli gli fumava davanti. Continua a p. 9 col. 3. Squassò freneticamente il giornale in cerca della pagina nove, della terza colonna. Eccola: «se accaduto per colpa di Stalin… che sia riconosciuto come irrazionale conservare la tomba di Stalin nel mausoleo… La risoluzione è messa ai voti. I delegati alzano il mandato rosso. La proposta di rimozione della salma di Stalin è approvata alla unanimità.» Violentemente la mano di Michele Tricò lanciò il giornale verso il soffitto; i fogli planarono parte sul pavimento, parte sulla macchina da cucire. - Che c'è? - domandò Filomena. Michele affondò la forchetta nel piatto dei cavoli. La moglie lo guardava, preoccupata che si riprendesse la questione della Santa. - Niente - disse Michele - niente. “
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Leonardo Sciascia, La rimozione, racconto contenuto in:
Id., Il mare colore del vino, Einaudi (collana Nuovi Coralli, n° 82), 1980⁵; pp. 86-87.
NOTA: La terza raccolta di scritti brevi dell'autore siciliano comparve dapprima nel 1966 col titolo Racconti siciliani, pubblicata in appena 150 copie impreziosite da una acquaforte di Emilio Greco, edite dall’ Istituto statale d'arte per la decorazione e la illustrazione del libro di Urbino. Nel 1973 Einaudi ripropose l’opera ampliata e commentata da una nota dello stesso Sciascia che la considerò quasi un sommario della propria attività letteraria.
#Leonardo Sciascia#Il mare colore del vino#citazioni letterarie#letteratura italiana del XX secolo#illusioni#superstizione#fede#culto della personalità#verità#fanatismo#religioni#religione#letteratura siciliana del '900#comunismo#L'Unità#anni '60#raccolte di racconti#letture#leggere#narrativa#creduloneria#Prima Repubblica#Sicilia#Chiesa Cattolica#P.C.I.#santità#intellettuali italiani del '900#razionalismo#razionalità#ragione
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Il suo paesaggio cambiò. Se aveva vissuto a Parigi come un estraneo e a Roma come un ospite, ora la sua vera casa era la pineta di Roccamare, presso Castiglione della Pescaia. In qualche modo, ripeteva il paesaggio ligure. Anche qui, tutto era limitato: una striscia di sabbia chiusa tra due promontori, una pineta, una macchia, un piccolo giardino dove tutto sembrava miniutarizzato. Scriveva nel cuore della casa, in alto, in uno studiolo raggiunto da una scala pericolosissima, come in un pollaio aereo o in una colombaia. Sotto i suoi piedi, la moglie parlava con le amiche o con la domestica, entravano i fornitori, arrivavano gli amici; e lui continuava a scrivere, immerso nel rumore dell'esistenza, vegliando sulla casa come una cicogna. Non diceva mai di no alle cosa. Ma si era ormai allontanato profondamente dalla realtà, chiuso nel suo mondo di ombre leggere. Sulle soglie tra lui e la vita, tra lui e gli altri, aveva disposto la moglie, che doveva riferirgli tutto: che volti avessero gli altri uomini, cosa accadesse nella pineta, che ombre gettassero gli alberi, che odori attraversavano il prato, che sapori avevano i cibi, che suoni la musica. Lassù in alto, come un'ape riceveva il miele che la moglie aveva raccolto, e lo depositava nella delicatissima arnia della sua mente. (…)
Poi sulla pineta scesero, troppo rapidamente gli ultimi anni. Volgendo le spalle a qualsiasi idea generale, Calvino si accontentava di contemplare un'onda, un ciuffo d'erba nel giardino, un uccello che cantava (…) L'ultima estate fu difficile. Scriveva le sue Lezioni americane: un libro bellissimo, l'Ars poetica della nostra fine di secolo, dove la letteratura antica e moderna si riflettono in un limpido specchio. Non era di buon umore: non usciva più di casa, chiuso nell'alta colombaia, non faceva il bagno. Pensava di perdere tempo: era uno scrittore, doveva dar forma alle decine di racconti che gli gremivano il capo, non riflettere sulla letteratura. Ai primi del settembre 1985 le Lezioni erano quasi finite: ma, per lui appartenevano già ad un tempo passato. In quegli ultimi giorni lo vidi due volte; e fu tenero, affettuoso, divertente, quasi felice. (…) Poi non ci fu più niente. Ci fu la caduta al suolo, la cosa dell'autoambulanza fino a Siena, l'orribile ospedale dove avevo conosciuto altre morti, i visi stravolti dei medici, l'operazione inutile, i discorsi inutili, le attese inutili, il capo bendato, la piccola tomba sul mare di Castiglione. Una mattina i medici ci dissero, per consolarci, che tutto era andato benissimo. Quella di Italo era una malformazione cerebrale congenita. Avrebbe dovuto morire a venticinque o trenta anni al più tardi. Quanto tempo aveva guadagnato; quanti libri aveva scritto, col suo passo da marinaio-contadino che si inoltrava nei gerbidi. Come era stato accorto nel sottrarre tempo - l'unica ricchezza che importa - alle divinità che si prendono gioco di noi. E mi dissi che nemmeno lui, forse, sapeva di essere così fragile. Aveva eluso la propria fragilità colla pazienza, il lavoro, la discrezione e quella terribile maga, che trasforma ogni fragilità in forza, ogni forza in fragilità: la letteratura.
Non sogno mai. Due anni più tardi, Italo mi apparve in sogno. Aveva ancora la fronte bendata, ma il sorriso era quello, luminosissimo, dell'ultima sera. Mi diceva: «Sai, è stato tutto uno sbaglio. I medici non hanno capito. Non sono morto».
Pietro Citati in ricordo di Italo Calvino
#ciaoitalo
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Questa sera sono andato a cucinare a casa di persiani un po’ perché avevo un sacco di roba buona e se non la condividi per diffondere il bene sei uno stronzo e un po’ perché loro hanno i fornelli a gas e mi manca un casino cucinare con la fiamma perché possiamo dire quello che vogliamo, ma le piastre elettriche fanno schifo al cazzo, senza se e senza ma. Una cosa semplice, spaghetti con poca roba in più. Mentre spiegavo i segreti per la cottura della pasta, ovvero che devi seguire le indicazioni dei minuti dato che se li scriviamo un motivo c’è e che non la butti nell’acqua se non sta prima bollendo, non la lasci lì in ammollo in attesa della propria truce fine (poi possiamo dissentire sul quando versare il sale ma su questo no). Finito di cenare arriva il momento topico, quando spiego l’importanza della scarpetta. Racconto la storia che in Italia se non fai scarpetta poi la mamma si arrabbia perché vede il piatto sporco e pensa non ti sia piaciuto. A casa mia la tradizione vuole che puliamo il piatto con il pane così che il nonno possa dire sempre la stessa battuta “Ah ma come, non ti ho dato da mangiare? È così pulito! Guarda come è pulito stu piatto!” e anche se è la millesima volta che glielo senti dire tu ridi lo stesso. Il mio amico si alza in piedi e prende la padella e si mette a pulirla col pane e io mi sento orgoglioso del mio lavoro e gli scatto una foto perché la devo mandare a mio nonno e raccontargli del successo della serata e di come ho insegnato alla antica Persia quello che ho imparato da lui. Guardo l’ora, cazzo è tardi. Lo chiamo domani. Poi non so che è successo ma mi è salita la tristezza pensando che adesso lo posso ancora fare, ma tra un po’ a chi diavolo racconterò del mio farmi valere con la scarpetta quando non ci sarà più? Sarà perché oggi facevo due calcoli sulla mia vita, dove voglio passare la terza fase, perché la prima è andata, la seconda la sto vivendo ma la terza ho tutto il tempo per pensarla ed idealizzarla. Vorrei per una volta vivere al mare. Le montagne le ho fatte. La metropoli pure. Voglio una conclusione decente. Ho pensato alla casetta minuscola di Positano. Ecco lì mi ci vedrei bene. Ok in inverno si muore di freddo perché il riscaldamento non esiste e forse sarebbe un casino in caso di malattia (e con me è sempre dietro l’angolo, al mio matrimonio farò dire solo “prometti di amarlo in malattia e più malattia” perché cara mia meglio giocare a carte scoperte), ma pensarmi lì, con una connessione internet decente, un kindle facilmente aggiornabile (voi che amate i libri cartacei siete stupendi ma provate a fare traslochi portandovi dietro quintali di libri e poi mi capirete) (tranne @spaam che trasloca tra continenti portandosi dietro la collezione di vinili e una libreria di perle rare), qualche videogioco, qualcosa per scrivere, a camminare su e giù per le scale tutti i giorni, dimenticando l’ultima volta in cui mi sono accorciato la barba, diventando amico di tutte le case con orto così da potermi fare offrire di tutto, ecco, mi sono visto felice. Grazie al cazzo direte voi. Ma la tristezza vera è pensare che per realizzare questo dovrò passare attraverso un’improbabile eredità. Aspettare che qualcuno crepi per prendere un po’ di denaro e poi praticamente mettere in piedi la mia tomba. Naturale passaggio generazionale forse. Non so se avrò mai dei figli ma anche con loro sarò chiaro “Ragazzi, abbiamo poco tempo da passare insieme, fate il cazzo che volete con i miei soldi ma se li spendete in droga almeno sia buona e restateci secchi”. Cristo se sto invecchiando. Parlo di matrimoni e figli e fine dell’esistenza. Cosa cazzo sto diventando. Ok si tratta di racconti di fantasia perché niente di questo è realizzabile, ma è l’inizio della fine. Ogni tanto quassù mi fido delle segnalazioni di tumblr e vado alla ricerca di persone nuove da seguire e mi rendo conto sempre di più che non si trova più una cosa che prima c’era. Cioè il perché cazzo uno scrive. Leggo un sacco di frasi altamente condivisibili ma che altro non sono che constatazioni. “Stare male fa male”. Poi una foto sexy. Poi un racconto esplicito dell’ultima esperienza sessuale. Poi io vorrei davvero togliermi sti anni in più e gioire o almeno capire oppure sentirmi parte del tutto ma no, non ci riesco. Il mio tempo è andato e mi accontento delle piccole gioie. Tipo tramandare la tradizione della scarpetta o pensare al momento in cui farò ridere mio nonno mentre glielo racconto. O l’ammorbidente nuovo di cui ho parlato qualche post fa. Ecco vedete. Anche se quello che ho scritto non vuol dire un cazzo almeno c’è continuità. Se leggi sto tumblr dall’inizio alla fine puoi capire l’evoluzione del personaggio. L’ascesa. La caduta. La caduta ancora. La caduta ulteriore e tutto il frantumarsi delle ossa per proseguire sempre più verso il basso fino a scoprire che un fondo non c’è e va bene così. Manca continuità oggigiorno signora mia. Io continuerò ad invecchiare e riempirmi di rimpianti stupendi con cui accoccolarmi la sera. Poi mi verrà voglia di scrivere e rimanderò il momento per giorni. Poi mi accenderò una canna e dilaterò il tempo. Mangerò della cioccolata e dilaterò lo spazio, della cintura. Cliccherò posta ed ecco un altro capitolo che probabilmente non leggerò mai più, o che farò leggere a qualcuno per farmi conoscere. “Ciao sono Matteo, questo è il mio tumblr, credo nell’importanza della scarpetta e tra poco sparirò dalla tua vita per andare a vivere al mare. Forse. Non lo so”.
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Ciao! Quando hai tempo, ci racconti altri aneddoti dell' università, esami, studenti, prof? Sono molto divertenti e rilassanti. Per piacere. 😙 Ciao!
Ciao Anon,
beh, come si fa a dire di no ad una richiesta simile? Ben volentieri! E, direi, di calare a questo punto il jolly (anche se ne ho altri di racconti, ma questo è stato il TOP del drammatico e dell’apocalittico).
Nel mio gruppo, del quale oggi ogni tanto posto gli screen di Whatsapp, il famoso Circolo Ansia & Strunzat, c’è ovviamente colui che si laureò per primo, oggi titolare di cattedra a Napoli (non posso rivelare la materia e il corso di laurea per motivi di privacy).
Tutti insieme andammo alla sua seduta di laurea. In quella stanza grande c’erano due sessioni in parallelo, entrambe visibili, con due commissioni, per impiegare meno tempo. Durante la discussione del mio amico, nello stesso istante si svolgeva la sessione di un altro ragazzo che non conoscevamo. Ovviamente presenti anche parenti e amici non ingegneri, l’altro aveva portato pure il fotografo, pensa un po’.
Questo tizio portò dei tomi ma tipo tutta la Bibbia rilegata in un solo libro, saranno state migliaia e migliaia di pagine (che è molto atipico, la mia, decurtati i grafici, saranno state meno di 100 pagine). Sai, non so perché, ma il nostro istinto napoletano innato della paura ci fece raddrizzare tutti i peli, e sembrava che qualcosa sarebbe accaduto in quella sessione. E così fu. Ci spostammo a sentire l’altra, abbandonando il nostro amico, e il nostro intuito non ci tradì. Tanto quella del nostro amico sarebbe stata una palla garantita, lui era un 110 e Lode con tanto di bacio accademico anche se avesse fatto scena muta, sai che palle. Mentre il ragazzo discuteva la sua tesi, il Presidente fece tipo questa domanda:
Quindi lei, col suo lavoro, ha dimostrato una cosa che sapevamo già da secoli, ovvero che la Terra è un Conduttore Elettrico Perfetto?
Silenzio di tomba. Secondi interminabili. Il Presidente incalzò:
Scusi, ma quale era l’obiettivo del suo lavoro di tesi?
Di nuovo silenzio di tomba. Nemmeno gli assistenti della sua tesi intervennero. Al che il Presidente perse le staffe, iniziò ad urlare che questa era una cosa inammissibile, mesi e mesi a studiare senza capire cosa si stava studiando, né il perché, insomma davanti ai suoi genitori e ai suoi amici ne disse di tutti i colori. Il ragazzo prese i suoi tomi e se ne andò al suo posto.
E mica è finita qui, il bello deve ancora venire. Infatti non alzammo i nostri culi dalla sedia.
Arrivò il momento della proclamazione, il Presidente recitava i voti finali di tutti quelli che si erano presentati. Ovviamente il nostro amico 110 e Lode, te pareva. L’altro Presidente, quello della lite, (per ragioni ignote), insieme al voto di laurea consegnava ad ogni candidato una busta, non sapevamo cosa contenesse. Embe’, questo ragazzo la prese e gliela tirò in faccia. Panico assoluto, l’imbarazzo lo potevi toccare con le mani. San Gennaro secondo me ci mise la sua mano e fece in modo che nessuno parlasse, e tutti fecero finta che nulla fosse accaduto.
Finito il tutto, raggiungemmo il nostro amico per congratularci, e alla domanda “Allora, ragazzi, come sono andato?”, esclamammo “Gianmari’, ma chi cazz se l’e’ cagata la tua laurea, di là stavano arrivando alle mani, u steven mettenn e man ‘ncull o’ President, un LAGO DI SANGUE!”.
Immagina che questo episodio finì sulle cronache universitarie, fino a scalare al Preside di Ingegneria, che decise che, da quel giorno, nessun Presidente avrebbe dovuto più permettersi di fare delle uscite del genere, anche a ragion veduta. In primis perché è un giorno di festa e di celebrazione, con i parenti presenti, secondo, perché la laurea è un bonus, non può essere negata, una volta superati tutti gli esami. Al più puoi ricevere zero punti, ma anche in presenza di madornali puttanate, il Presidente avrebbe dovuto limitarsi ad un semplice “Grazie, si accomodi, prego”, e finita lì, non può bocciarlo come ad un normale esame.
Ormai sono passati quasi 15 anni, ma questo ragazzo non l’ho più dimenticato. E non sapremo mai il mio amico che cazz ha detto alla sua tesi di laurea :D
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In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera prescelta è “Il decimo clandestino” di Giovannino Guareschi.
Il decimo clandestino è la terza raccolta di racconti (o romanzo a episodi) del giornalista e scrittore italiano Giovannino Guareschi pubblicata postuma da Rizzoli nell'ottobre del 1982. L’ambientazione si allarga dalla bassa padana alle città del nord come Milano. Compaiono il parroco di campagna don Camillo e il sindaco comunista e meccanico del paese Peppone, in un paio di racconti ma di sfuggita, ombre di contorno ai fatti dei contadini, operai, commendatori, industriali, professori, ricchi e poveri e persino un americano.
Il romanzo è composto da 17 racconti:
Il decimo clandestino: (racconto che dà il titolo al volume) una vedova con 9 figli decide di rifarsi una vita trasferendosi in città e per trovare un alloggio con l'affitto è costretta a dichiarare di essere sola. I bambini dovranno entrare e uscire silenziosamente al mattino presto e alla sera tardi quando gli altri dormono.
Una famiglia rovinata: una famiglia di contadini avari si disperano quando il figlio in un attimo di "pazzia" acquista una motoretta che si rivela un vero affare.
Il cero: un affitto non pagato, un contratto non rispettato, una sentenza del tribunale e un cero di ringraziamento alla Madonna, peccato che non si riesca a farlo stare acceso.
Residuati di guerra: ogni anno la tedesca torna per pregare sulla tomba del marito morto in guerra in Italia e alloggia da Milca che è stato per il marito un vero amico... forse...
La parte di Diego: per un padre tutti i figli sono uguali, nei diritti, anche un morto. E se non c'è il rispetto dei vivi, ci può pensare il fiume.
Il cancello chiuso: a volte le strade di campagna passano nei posti più impensati e pericolosi e un carattere iroso può avere conseguenze disastrose.
Viaggio di nozze: in guerra sono accadute anche cose brutte e antipatiche a chi si è trovato in veste di civile, di fronte a dei soldati. Pur cercando di non portare rancore è un'occasione troppo ghiotta per un oste, ritrovare il comandante inglese di anni fa.
La notte dei miracoli: non avere un lavoro e avere degli suoceri ricchi che ti odiano non è facile: si rischia di perdere la famiglia, ma la vigilia di Natale i miracoli possono accadere nei modi più impensati.
Vita con la madre: il presidente di un'industria non ha tempo per cosucce come l'acquisto dei regali per la moglie e il suo bambino, ma una letterina a Gesù Bambino per Natale del figlioletto può chiarire e cambiare molte cose.
Grazie dei fiori: il professor Tabacci insegnava latino ma il suo segreto era il pallino per i fiori, tanto che la moglie lo iscrive al famoso gioco televisivo (probabilmente Lascia o Raddoppia) per vincere una grossa cifra.
L'alba del commendatore: il tema del figlioletto può essere motivo di riscatto anche dopo tanti anni.
Affari di borsa: cosa può accadere se padre e figlia si scambiano la borsa.
L'uomo più ricco del mondo: racconto americano che dimostra alcuni valori universali.
Carcere di provincia: quando sei carcerato ti preoccupi per ciò che ti sei lasciato fuori (questo racconto, pur non parlando di sé, è uno dei pochi scritti dove si trova Guareschi in carcere, periodo del quale lo scrittore non parlava mai).
L'investimento: può un'auto ferma investire un ciclista? a furor di popolo pare di si
Un pranzo da signori: la dignità di una famiglia sull'orlo del fallimento.
Cavalli e donne: la nostalgia di un vecchio ai tempi passati e alle avventure di gioventù.
Giovannino Oliviero Giuseppe Guareschi (1908–1968) è stato uno scrittore, giornalista, umorista e caricaturista italiano. È uno degli scrittori italiani più venduti nel mondo (con oltre 20 milioni di copie) venendo persino plagiato in Vietnam. La sua opera più nota, anche per via delle trasposizioni cinematografiche e per il significato politico che assunse in quegli anni, è don Camillo, un parroco che ha come antagonista un sindaco comunista, Peppone, e le cui vicende si svolgono in un paese della bassa padana emiliana.
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L'incredibile Avvistamento del Berkshire del 1969 - Stato di Emergenza
L’incredibile Avvistamento del Berkshire del 1969: incontri di massa con UFO e numerosi rapimenti in una piccola città del Massachusetts. E’ un articolo tratto da uno scritto di Vichy Verna.
Il Berkshire UFO Sightings è un evento storico che ha avuto luogo nel Massachusetts nel 1969. Rapporti di massa sugli UFO e gli eventi di rapimento hanno reso questo caso intrigante negli Stati Uniti. La contea di Berkshire ha una storia di incontri UFO documentati oltre l’incidente del 1 settembre 1969. Sebbene circa 40 persone abbiano affermato di aver assistito all’avvistamento, la storia condivisa da Thomas Reed, che all’epoca aveva solo nove anni, attirò l’interesse di molte persone.
Il testimone principale Thomas Reed.
Sfortunatamente, nessuna Agenzia di stampa e nessun giornale hanno coperto l’incidente, accaduto la notte del 1 settembre 1969. Solo l’ospite della stazione radio WSBS Tom Jay ha raccolto informazioni dai testimoni, ha ricevuto chiamate e ha condiviso le loro esperienze, ma nessuno ha pensato di salvare la trasmissione per prove future. I racconti forniti dai testimoni hanno avuto un ruolo importante negli avvistamenti UFO del Berkshire.
L’incidente ha comportato il rapimento di quattro famiglie, che hanno affermato di essere state prese dagli UFO. Thomas Reed è il testimone oculare più importante in questo caso. Reed ha detto che la notte dell’incidente, la sua famiglia, compreso lui, suo fratello, sua madre e sua nonna, stavano attraversando lo Sheffield Bridge in auto e tornando a casa.
Schizzo dell’incredibile Avvistamento UFO del Berkshire, disegnato da Thomas Reed nel 1966.
Egli ha detto, che sua nonna ha visto una luce salire su di loro da dietro gli alberi, mentre era impegnato a dare le caramelle al fratello minore.
“L’abbiamo guardato tutti perché era una specie di bagliore autonomo. Si è alzato un po’. Sembrava che seguisse la strada sterrata, cosa di cui non sono sicuro, ma sembrava così, perché potevamo vederlo attraverso gli alberi. La luce ha iniziato a filtrare quando siamo entrati in una piccola radura. Potevamo vedere all’interno dell’auto, quindi la luce si stava inondando all’interno di essa”.
Thomas Reed
Thomas Reed (a sinistra) e suo fratello.
Il video a seguire, ricorda molto l’UFO visto da Thomas Reed nel bosco, almeno per le dinamiche
Egli ha aggiunto, che la sua famiglia ha visto emergere un bagliore ambrato su entrambi i lati della strada. C’era un silenzio di tomba, come se fossero nell’occhio di un uragano. Poi si ricordò di essere stato portato in un luogo simile a un hangar. Ha detto che hanno incontrato qualcosa che non era di questo mondo.
“Avevamo una televisione in bianco e nero all’epoca e le immagini che abbiamo visto su questa cosa erano incredibili. C’erano luci che sembravano tubi fluorescenti all’interno di questo hangar. Questo corridoio che avevamo visto era circolare con una configurazione a Y quasi per controllare il flusso del traffico. Questa stanza aveva un muro ad arco che era arrotondato. Questo non era qualcosa che avresti visto nel 1969 da nessun’altra parte. Non ho idea di dove fossi, ma so che quello che ho visto era molto diverso da qualsiasi cosa abbia visto oggi 50 anni dopo”.
Thomas Reed
Il link al Tweet originale
Prima che potesse capire cosa fosse successo, erano tornati all’interno dell’auto. Presto, si sono resi conto che erano stati via per 2 ore.
L’incredibile Avvistamento del Berkshire e i suoi precedenti casi
Non era il primo incontro UFO di Reed. Prima del rapimento del 1969, ha ricordato di essere stato portato a bordo di un’astronave aliena con suo fratello minore Mathew nel 1966 e poi di nuovo nel 1967 dalla sua camera da letto.
Un altro testimone di nome Tom Warner ha anche detto di aver perso diversi minuti dopo che: un raggio di luce lo ha colpito. Inoltre, ha affermato di aver visto una giovane ragazza di nome Melanie Kirchdorfer salire a bordo di un UFO. La giovane ragazza all’epoca aveva solo 14 anni. Nella sua intervista, Melanie ricorda di aver visto Reed nella sua nave.
Il testimone Tom Warner.
Ancora un altro testimone dell’incredibile Avvistamento del Berkshire
C’è un altro testimone di nome Kevin Titus, che ha condiviso un’altra storia interessante di quella notte. È andato a cercare due mucche scomparse con il suo amico quella notte a Great Barrington e ha trovato i loro cadaveri, ma non c’era sangue sulla scena. Poi i due furono colpiti da luci intense e videro un UFO a forma di piattino che stava volando silenziosamente. Ne hanno parlato ai genitori che hanno visto anche delle luci e un UFO sopra la loro fattoria. Hanno anche informato la radio locale e la polizia. I militari hanno negato di aver inviato uno dei loro aerei, ma hanno registrato qualcosa di strano sui loro radar.
La testimone Melanie Kirchdorfer.
Uno degli schizzi realizzati dai bambini che hanno assistito all’UFO è in mostra al Roswell Museum. Nel 1992, questo caso è stato discusso alle Nazioni Unite, dove l’organizzazione ha pensato di creare un’unità di studio sugli UFO. Secondo Reed, suo padre è morto in circostanze misteriose. Aveva intenzione di scrivere un libro sulle esperienze della sua famiglia.
La Great Barrington Historical Society ha riconosciuto ufficialmente gli avvistamenti del 1969 nel 2015 e ha deciso di aggiungere la storia di Reed nei propri archivi dopo aver trovato numerosi testimoni che condividevano storie simili e documenti scritti forniti da WSBS. The Unsolved Mysteries ha pubblicato un episodio su Berkshire UFO Sightings a luglio 2020 su Netflix.
Vi consiglio anche di vedere questi video del corso di ufologia:
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