#RADICAMENTO E TRADIZIONE
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dominousworld · 1 year ago
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RADICAMENTO E TRADIZIONE
di Martin Heidegger “Secondo la nostra esperienza e la nostra storia umana, so che ogni cosa essenziale e grande è potuta nascere solo per il fatto che l’uomo aveva una patria ed era radicato in una tradizione”. RADICAMENTO E TRADIZIONE
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Livolsi: Innovazione, Tradizione e Ambiente, Il Successo Globale del Made in Italy. Roma
L’incontro tra Livolsi & Partners e una delegazione di giovani imprenditori cinesi evidenzia come l’Italia riesca a coniugare eccellenza tecnologica e radicamento territoriale, divenendo un esempio di sostenibilità e innovazione nel panorama globale.
L’incontro tra Livolsi & Partners e una delegazione di giovani imprenditori cinesi evidenzia come l’Italia riesca a coniugare eccellenza tecnologica e radicamento territoriale, divenendo un esempio di sostenibilità e innovazione nel panorama globale. Roma – L’Italia continua a essere una delle nazioni più apprezzate al mondo per la sua capacità di fondere innovazione, tradizione e rispetto per…
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paoloamoretti · 2 years ago
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(via Arte e tradizioni) Nuovo articolo nel mio blog. Arte e Tradizioni
L’arte e le tradizioni sono il radicamento della cultura, come le radici di un albero che attingono dalla terra l’energia necessaria per farlo crescere e prosperare.
La cultura ha le sue radici nel passato, nelle tradizioni e nella storia, ma si proietta verso il futuro attraverso l’arte e l’espressione artistica. Come gli alberi che hanno radici profonde, anche la cultura ha bisogno di radicamenti forti per sopravvivere ai tempi moderni e alle sfide del mondo odierno.
Preservare le tradizioni attraverso l’arte ci permette di mantenere viva la fiamma della cultura, come ha detto Gustav Mahler:
“La tradizione non è la venerazione delle ceneri, ma la custodia del fuoco”.
Come gli alberi crescono e si evolvono con il tempo, anche le tradizioni devono essere reinterpretate e adattate alle esigenze del presente per continuare a essere pertinenti e significative.
L’arte e le tradizioni ci permettono di connetterci con le nostre radici culturali e di creare un senso di appartenenza, come ha detto Maya Angelou:
“Tutti noi abbiamo radici e senza radici, senza una comprensione della storia, ci perdiamo”.
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passaggioalboscoedizioni · 2 years ago
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Gamal Abd el-Nasser
FILOSOFIA DELLA RIVOLUZIONE
Prefazione di Enrico Galoppini
Saggio conclusivo di Claudio Mutti
Militare e rivoluzionario di primo piano, capofila del panarabismo, leader “non allineato” ai diktat occidentali e strenuo difensore dell’auto determinazione delle sue genti, Gamal Abd Al-Nasser è stato considerato “il primo egiziano a governare l’Egitto dopo duemila anni”, emancipandolo dal giogo straniero e creando i presupposti per un “socialismo arabo”. La sua figura – che la vulgata mainstream liquida spesso come quella di un “tiranno” – ha indubbiamente scritto la storia del Vicino Oriente ed è rimasta indelebile nell’immaginario culturale e politico dei suoi popoli.
Nasser – infatti – ha attinto alla tradizione spirituale islamica senza scadere nel fondamentalismo, ha coltivato il laicismo senza cedere al collettivismo ateista di stampo sovietico, ha custodito le radici senza abdicare al progresso, ha difeso la sovranità senza negarsi al dialogo, ha unito pensiero e azione in una dottrina che ha saputo farsi – al tempo stesso – filosofia e prassi politica.
Questo testo – che compie, attraverso le sue memorie, una ricognizione nel cuore del Novecento – ci restituisce un’interessante fotografia delle sue idee e del suo percorso. Anzitutto, riporta alla luce la suggestione di una Rivoluzione che ha saputo realizzarsi nell’ordine di una visione del mondo organica e solidaristica, tenacemente fondata sul radicamento identitario, sul patriottismo eroico, sulla nobiltà del lavoro, sulla giustizia sociale, sulla volontà di attuare una politica estera autonoma, sull’indipendenza di un’economica nazionale sovrana e – come emerge da queste pagine – su una più alta concezione dell’Uomo e della libertà.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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lamilanomagazine · 8 months ago
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San Casciano in Val di Pesa, Firenze. Il 7 aprile torna il Carnevale Medievale Sancascianese
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San Casciano in Val di Pesa, Firenze. Il 7 aprile torna il Carnevale Medievale Sancascianese. Il Carnevale Medievale torna ad animare domenica 7 aprile vie e piazze del centro storico di San Casciano in Val di Pesa, comune del Chianti tra i più suggestivi. Un omaggio alla nascita trecentesca del castello. Programma ricco, quello della dodicesima edizione, presentata nel Media Center Sassoli di palazzo del Pegaso. Il momento più atteso sarà quello della grande parata che vedrà sfilare circa 800 figuranti in costume medievale e accenderà i riflettori sulle originali rappresentazioni teatrali, scritte, dirette e messe in scena dalle cinque contrade Gallo, Cavallo, Giglio, Leone e Torre. "Si tratta di una tradizione che è diventata un'attrazione – spiega la consigliera segretaria dell'Ufficio di presidenza dell'Assemblea legislativa Federica Fratoni – e per il Consiglio regionale è motivo d'orgoglio ospitare la presentazione di questo evento". "È una bellissima occasione di partecipazione corale della comunità, un momento irrinunciabile della vita sociale – ha proseguito la consigliera Fratoni –. Un evento importante e ben organizzato e come Consiglio regionale lavoriamo per tenere alta la forza delle nostre tradizioni e della nostra cultura". "Per noi è una grandissima soddisfazione vedere questa dodicesima edizione con un numero sempre crescente di figuranti – racconta il sindaco di San Casciano in Val di Pesa Roberto Ciappi – creando così il più grande carnevale medievale d'Italia. Avremo un alto livello artistico e di preparazione dal punto di vista teatrale, coreografico e scenografico. La sfida tra le contrade sarà a suon di teatro di strada, con costumi e allestimenti straordinari". Roberto Ciappi ha poi voluto ricordare che a volere per primo il Carnevale Medievale a San Casciano nei suoi anni da sindaco è stato il consigliere regionale Massimiliano Pescini. L'assessora alla cultura del Comune, Maura Masini, ricorre a un'immagine per fare capire l'importanza dell'evento per San Casciano in Val di Pesa: "È come un uncinetto che tiene unite le maglie della nostra comunità, creando legami e motivazioni. Il momento più suggestivo sarà quello della restituzione della chiave del castello reale che poi verrà riconsegnata alla contrada vincitrice". Ilena Cappelli, è la presidente dell'Associazione Contrade Sancascianesi: "Sono mesi che le contrade si stanno preparando per portare in scena delle vere e proprie opere teatrali e dietro c'è il lavoro di tantissimi contradaioli di ogni età. Quest'anno è stato molto arricchito anche il programma delle attività nel centro storico di San Casciano, senza dimenticare le tante attività didattiche per i più piccoli". In rappresentanza delle contrade è intervenuto alla conferenza stampa Andrea Castrucci: "Dopo tutti questi anni possiamo dire che conta il risultato, ma conta soprattutto il percorso per arrivarci. La nostra è una comunità che coopera e coinvolge persone di tutte le età. C'è un grande valore di radicamento sul territorio e a dare una mano sono sia i più giovani che le persone più anziane e questo dà il senso della nostra comunità". Di altissimo livello la giuria, come sottolineato della consigliera Fratoni, che avrà come presidente l'ex ministro Valdo Spini e che vedrà membri arrivare da tutta Italia. In quella tecnica ci saranno docenti universitari e storici, in quella popolare i rappresentanti dei carnevali più importanti da Venezia a Viareggio. Tra le novità di questa edizione la presenza e la partecipazione attiva di un gruppo di studenti delle Università Sagas di Firenze e Dams di Bologna, impegnato a realizzare a titolo formativo un progetto storico-culturale digitale sulla manifestazione sancascianese. Tra i gruppi storici e i carnevali d'Italia che la manifestazione ospiterà in apertura della sfilata ci sono le delegazioni del Carnevale di Venezia, Viareggio, San Ginesio, Castrovillari e Verona. L'iniziativa è promossa e organizzata dall'Associazione delle Contrade Sancascianesi in collaborazione con il Comune di San Casciano in Val di Pesa, il sostegno di ChiantiBanca, il contributo di Rotary San Casciano Chianti, RicciBus e la Pro Loco San Casciano in Val di Pesa.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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mypickleoperapeanut · 1 year ago
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Festeggiamenti per il 50° anniversario dell’Ente Sbandieratori Cavensi – Città di Cava de’ Tirreni
strumenti e dei nuovi costumi nel chiostro, con le esibizioni delle cinque formazioni in rappresentanza delle rispettive generazioni. ; da questa due giorni è emerso la considerazione che saranno soprattutto le formazioni folkloristiche che annualmente fanno rivivere i fasti dell’epoche passate, tra cui gli Sbandieratori Cavensi, che hanno raccolto l’importante eredità culturale storica a proiettarla verso il futuro, come parti emozionali di un vissuto e come radicamento alla comunità. I festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario dell’Ente Sbandieratori Cavensi – Città di Cava de’ Tirreni, proseguiranno questa settimana, in occasione della XLVI Disfida dei Trombonieri, sabato 1° luglio con il grande corteo storico e domenica 2 luglio 2023 con l’esibizione celebrativa allo Stadio comunale.
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notiziariofinanziario · 2 years ago
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Froneri scommette sul made Italy
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Froneri è il secondo produttore di gelati industriali al mondo. In Italia l’azienda ha raccolto un’eredità ed una tradizione d’eccellenza che parte nel laboratorio di Angelo Motta e sfocia nei prestigiosi marchi che l’azienda produce tra Ferentino e Terni: Maxibon, Antica Gelateria del Corso, Coppa del Nonno e La Cremeria, ai quali si aggiunge anche il più innovativo NUII, che con l’utilizzo di ingredienti di qualità selezionati in tutto il mondo ha dato un nuovo volto al mercato dei gelati su stecco. Non è una sorpresa dunque l’orgoglio con il quale Luca Regano, Amministratore Delegato di Froneri Italy, presenta il lavoro della sua squadra: “Siamo un’azienda di gelatai, siamo tutti appassionati del nostro lavoro e l’attenzione ai dettagli ne è una diretta conseguenza. Dalla qualità dei prodotti all’attenzione per la salute e sicurezza dei nostri lavoratori, siamo molto precisi su questi aspetti. Siamo nati come joint venture nel 2016, ma abbiamo radici molto indietro: nei nostri geni abbiamo il lancio del Mottarello alla fine degli anni ’40, primo gelato industriale in Italia. Il nostro radicamento sul territorio è molto profondo ed operiamo in Italia con due stabilimenti”. Ferentino e Terni, rispettivamente con 13 e 22 linee di produzione sono il cuore di Froneri Italy, che nel 2022 ha prodotto oltre 130 milioni di litri di gelato, pari a circa 1 miliardo e mezzo di porzioni. Con più di 100 clienti nel canale Retail e oltre 60.000 punti vendita nel canale Out-of-home, Froneri stima attualmente una quota di mercato di oltre il 26% nella GDO, tra private label e brand, e di oltre il 19% nel canale Bar. “Il fatturato di Froneri Italy si attesta a 324 milioni di euro”, aggiunge Regano.“Tra Terni e Ferentino, in stagione, operiamo con circa 1100 addetti, arrivando a 1200 con i lavoratori provenienti da aziende che collaborano con noi – prosegue Regano, che prima del passaggio in Froneri ha lavorato per 25 anni in Unilever -. Ad oggi il 75% delle materie prime ed il 94% degli imballi li acquistiamo in Italia. La nostra tradizione è italiana e questo mi rende ancora più orgoglioso di poter dire che dalla nascita di Froneri abbiamo investito circa 50 milioni di euro nel Paese, tra tecnologie e lancio dei brand. In futuro potremo investire tra i 20 ed i 30 milioni in tecnologie per l’efficienza ed il risparmio energetico”. Negli stabilimenti di Ferentino e Terni salta subito all’occhio l’attenzione ai modelli organizzativi e produttivi raccontata da Regano, che permette all’azienda di poter crescere sotto ogni aspetto. Il 2023 sarà un anno intenso anche a livello di proposta di prodotti, dove da Maxibon a NUII, passando per Antica Gelateria del Corso e Coppa del Nonno, debutteranno tante nuove proposte. Read the full article
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neroegiallo · 2 years ago
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Il Lunedì Onirico
Il Fetish
Capitolo I
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“Perché il fetish? 
Perché ci sto sotto con le parole; perché amo fare ricerche; perché questo termine, nella sua accezione puramente contemporanea, è connesso ad ambientazioni in sintonia con una grossa fetta della mia anima.
La parola italiana che traduce il termine Fetish è “Feticcio”, un oggetto; in latino il suo significato è “fittizio, artificioso”. 
Questa parola porta con sé una storia, di tradizioni e superstizione, fino a diventare, nel linguaggio corrente, il sinonimo di pratiche sessuali.
Il termine è stato coniato qualche secolo fa, per descrivere gli oggetti che le tribù africane usavano come amuleti e talismani o nei loro rituali voodoo.
Un oggetto al quale si attribuivano poteri magici e soprannaturali; spesso erano usati per causare danno a persone, conferendo loro caratteristiche umane.
Come siamo arrivati al feticismo? Perché riporre un significato strettamente sessuale a una pratica tribale?
Per istinto, mi viene da rispondere con un classico: le culture occidentali, contaminate dal cristianesimo, hanno demonizzato tutto ciò che fosse tradizione popolare, culto, prima del suo avvento, creando il connubio demonio - sesso; il sesso ti separa da Dio.
Adorare un oggetto come fosse Dio.. mi viene da sorridere pensando ai cattolici che ADORANO oggetti come le croci o le reliquie, in maniera estatica. Lo possiamo definire un feticismo?
Quello che è stato demonizzato non è il solo sesso ma la pulsione primordiale dalla quale scaturisce il sesso, che ne è una delle sue molteplici espressioni.
La creatività e non la riproduzione ma anche la paura, in termini di energia, pulsione appunto, hanno origine “lì sotto” e da lì si diffondono.
Nelle tradizioni orientali, “quel punto” viene associato al primo chakra; la spinta creativa, il radicamento e l’eros.
Perché la paura ha origine in quel luogo, dove si diffonde l’amore, la spinta creativa per eccellenza? 
Perché la paura e l’amore sono la stessa cosa, vista da lati opposti; sono entrambe le facce della stessa medaglia.. come dio e il suo antagonista (non il diavolo, ne satana “il maligno” ma “quella cosa” che risiede al centro del lago ghiacciato, dove la materia si condensa - che secondo alcune antiche tradizioni è il principio femmineo di dio, curioso - ).
Mi oppongo a una definizione legata a significati fuorvianti; ci sono oggetti che mi suscitano una tale emozione, che riproduce quella sensazione lì ma che non è finalizzata al sesso e, per me sono dei veri feticci.
Le scatole; le rotoballe (devono essere rotonde, quelle a forma di parallelepipedo non mi entusiasmano come quelle tonde) e le pale eoliche.
Quando mi trovo davanti a questi oggetti, inizio a pulsare laggiù; io le chiamo le sfregole.
Vivo la vista dell’oggetto in questione, come qualcosa di paradisiaco, di divino, estasi pura.
Come sono arrivata a considerare le sfregole per quello che sono, è una storia altrettanto lunga e la racconterò la volta successiva; le sfregole oggi sono divertenti e suscitano in me euforia e curiosità.
Per uno di questi oggetti, sono risalita alle dinamiche mentali per le quali mi emoziono così tanto; per gli altri due oggetti, non ancora.
Le scatole suggestionano il mio subconscio con il linguaggio simbolico: rendere ordinate le apparenze, sottraendo alla vista il caos. E’ una forma di controllo, che lascia una scappatoia.
Ha generato un gran conflitto, ai suoi tempi: la sensazione di non mettere mai veramente in ordine, nascondendosi, facendo finta. 
Con infinita pazienza, sto imparando a sistemare anche i contenuti delle scatole, riponendo ogni cosa al posto che merita; è più semplice fare ordine in comparti di dimensioni minori, se davanti agli occhi hai lo spazio sgombero dalla confusione totale.”
Le rotoballe e le pale eoliche restano un mistero.
Mi vuoi aiutare? Secondo te che significato simbolico possono avere?
E tu, hai dei feticismi? Quali sono?
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losguardodiunbambino · 6 years ago
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Della manifestazione dell’8 Dicembre della Lega sono almeno due le cose da considerare. La prima è che per la prima volta la Lega “scende” a Roma e riempie una piazza. La seconda è stata la massiccia presenza di gente proveniente dal Sud, ben visibile dagli striscioni con i nomi delle città esposti in prima fila. La ormai Lega Nazionale di Salvini è un format che funziona, che è riuscito a penetrare in un elettorato che fino a non molto tempo fa era visto come un vero e proprio nemico. Ma questa transizione non è ancora completata, e non è detto che ci sia la volontà di farlo. La Lega che Salvini ha costruito personalizzandone il brand è un Giano Bifronte: da un lato l’eredità della vecchia Lega Nord, quella radicata sul territorio, specialmente in Lombardia e Veneto, un vero partito come quelli del Novecento fatto di sezioni e militanti. Dall’altro lato la Lega Nazionale che cresce al Sud (i sondaggi la danno tra il 15 - 20% nel Meridione) che dal vuoto lasciato dal berlusconismo e dal renzismo poi, ne ha imbarcato il notabilato locale, quello erede della tradizione democristiana e missina da sempre radicato nel Sud. Ma non mancano le criticità. Sembrano lontani i tempi del 1996 quando il partito fondato da Bossi organizzava banchetti per chiedere la secessione da un Sud considerato una zavorra per un Nord che voleva guardare all’Europa. Al Nord la Lega ha da sempre rappresentato gli interessi della piccola - media imprenditoria, un blocco sociale che anche se ha assopito il sogno della secessione non ha certo abbandonato la rivendicazione per una maggiore autonomia, e che di certo non ama i toni di scontro con l’Europa: sarà un caso che Salvini nel giro di un anno è passato da “Italexit” a “dialoghiamo con l’Europa”? Altra criticità è rappresentata proprio dalla mancanza di una classe politica dirigente dal Lazio in giù, e dal notabilato del Sud. Molti settori all’interno della Lega sono restii all’imbarcare questi personaggi, pronti a cambiare casacca a seconda del vento e che diverse con le loro relazioni spesso legate ad ambienti mafiosi hanno creato non pochi problemi ai partiti in passato. Una Lega che manca di sezioni e radicamento ma che si serve di questi notabili, portatori di bacini di voti considerevoli. Forse ancora più che Lega Nazionale bisognerebbe parlare di due Leghe all’interno di una, dove nonostante il disorientamento di una parte dell’elettorato storico il vero collante di tutto questo è Salvini. La personalizzazione del partito, l’uso massiccio dei sociali lo rendono sicuramente un leader che ha saputo portare un partito dal 4% al 17% in cinque anni, e ora i sondaggi lo sanno addirittura oltre il 30%. Il Salvini di Facebook unisce da Nord a Sud tutti i suoi elettori, come una sorta di celebrità e sopperisce laddove il partito non ha un radicamento territoriale. Ma questa personalizzazione può essere un arma a doppio taglio. La personalizzazione del Pd fatta da Renzi insegna. Oggi è un partito da ricostruire. Accentrare tutta la figura partitica in una persona fa sì che l’eclissarsi della figura personalistica del leader porti in caduta libera anche il partito. Forza Italia ancora non ha superato la fase carismatica legata al suo leader fondatore. Un partito nato con Berlusconi e che probabilmente morirà con lui. Il M5S non riesce ad avere una propria organizzazione ed è stato letteralmente mangiato da Salvini. Una sinistra popolare fatica a nascere. Da questo punto di vista questa doppia ambiguità all’interno della Lega può rilevarsi un vantaggio. E quindi chi può fermare Salvini?
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forzaitaliatoscana · 2 years ago
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dichealtrovuoiparlare · 3 years ago
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"Vincent Van Gogh nacque il 30 marzo 1853. Lo stesso giorno di quando, un anno prima, sua madre vide morire il frutto della sua gravidanza, il suo primo figlio maschio, il più desiderato. Si chiamava Vincent, Vincent Van Gogh. Inconsolabile, ricercò la via più breve per superare lo scoglio di questo lutto impossibile da simbolizzare scegliendo per il suo secondo figlio maschio lo stesso nome del primo nato morto. [...]
La sostituzione avviene, come spesso accade, ponendo la figura di Vincent I come una figura ideale rispetto alla quale il piccolo Vincent II sarebbe, come ogni sostituto, votato a mostrare tutta la sua inadeguatezza. Il suo nome proprio non è un nome che trasmette un desiderio di vita, un’aspirazione, una memoria del passato, un radicamento nella tradizione, un augurio, una manifestazione di gioia, un entusiasmo o un debito simbolico. Il suo nome proprio è letteralmente il nome di un altro ideale rispetto al quale chi lo porta non potrà che figurare come un sostituto indegno, mai all’altezza. La data di nascita comune sembra sancire questo cortocircuito. L’uno è il sostituto dell’altro, lo rimpiazza, prendendo però indebitamente il suo posto; ma è l’altro, chi è nato prima, che cancella la vita di chi lo dovrebbe sostituire. L’altro del quale non si è fatto il lutto finisce per soverchiare, con la sua imago idealizzata, l’immagine del secondo, la quale, in quanto immagine sostitutiva, sarà sempre un’immagine di secondo grado, l’immagine di uno scarto, di una ferita narcisistica mai cicatrizzata".
Massimo Recalcati, Melanconia e creazione in Vincent Van Gogh, Torino, Bollati Boringhieri, 2014 (Nuova edizione accresciuta), pp. 23-27 [passim].
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Oleander, Vincent van Gogh, 1888
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samseminario · 6 years ago
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Seminario  6/7/8  luglio 2018
“Madre Terra ci chiama per essere suoi Ambasciatori di Pace e Amore”, questo è il titolo e l’invito per la partecipazione al seminario esperienziale residenziale con le due Donne di Medicina Tradizionale Maori, Erena Rangimarie Rere Omaki e Sam Manawa che si svolgerà nei giorni dal 6 all’8 luglio 2018 presso l’azienda agricola Selva in Fiore a Gaggio Montano, sull’Appennino Tosco-Emiliano, nella provincia di Bologna. Le attività del seminario si svolgeranno nelle meravigliose distese di lavanda della Selva in Fiore e l’ospitalità sarà in hotel nelle immediate vicinanze. I lavori del seminario termineranno con una capanna sudatoria. 
Messaggio di Madre Terra Siate i miei Ambasciatori di Pace e Amore! Toccate il mio suolo per toccare la mia pelle, toccate le piante che sono i peli della mia pelle, toccate i vostri cuori palpitanti, per sentire il suono di tutta la creazione e della vita sopra e sotto la mia pelle. Respirate uno dei sacri odori di pace, la lavanda, il profumo del mio respiro d’estate racchiuso nel corpo essiccato del fiore. Con il respiro, toccate il luogo della vostra pace interiore, per portare pace a me, Madre Terra e a tutta la creazione. Siate nella pace, siate nell’amore per fermare la guerra e la sofferenza in tutte le vostre relazioni e in tutta la creazione. Io Madre Terra sono sempre stata e sono tutt’ora in un luogo di Pace. il nostro mondo umano è completamente stressato e privo di equilibrio ed armonia. L'umanità è sull'orlo di guerre globali totali su molti livelli e perfino voi ed io siamo spinti in una posizione di perdita di sicurezza, in un punto di paura. Anch’io, Madre Terra sono stata spinta verso questo punto perché non ero in grado di giustificare l'esistenza del mondo umano con le sue creazioni distruttive. È realmente tempo per noi di stare nella nostra aura di unità di pace e di amore. Che il respiro della lavanda ci riunisca nell’ essere uno così che possiamo diventare Ambasciatori Guerrieri di Pace e Amore. Erena e Sam ci guideranno per stabilire un contatto e un contratto con Madre Terra. Invito dalla Selva in fiore È con grande emozione che ospitiamo il seminario di Erena e Sam, un lavoro a contatto con la lavanda che arriva in un momento in cui la Selva in fiore- società agricola- trova un nuovo slancio dopo un lungo periodo di stanchezza. È n onore e un piacere avere con noi due donne di guarigione Maori e tutte/i voi: insieme faremo parte di questo territorio selvatico, con i molti esseri che lo popolano. La raccolta e la trasformazione della lavanda hanno permesso alla Selva di ricominciare, così come le buone relazioni e i canti. È con questa armonia che vi accogliamo, benvenute/i, con amore Info. Per qualsiasi informazione contattate : Silvia Conzatti t. 335 5724807 e-m. [email protected] Anna Sam Manawa t. 328 1635007 e-m. [email protected] Le biografie La principessa Erena Rangimarie Rere Omaki Rhose, Dottoressa in Medicina Tradizionale Maori, docente di Ecosofia all'Università di Karlstad in Svezia e ambasciatrice dei diritti della Terra, da anni è impegnata in molti paesi del mondo per la sensibilizzazione delle persone, attraverso conferenze e seminari, sul valore e la sacralità dell'acqua e sulla riconnessione con la Madre Terra. Si deve anche al suo lavoro lo straordinario riconoscimento da parte del Governo Neozelandese dello statuto di persona al Fiume Whanganui con il quale Erena ha stretti legami familiari. Figlia di capo tribù Ngati Kahungunu (tribù del Falco), appartiene alla famiglia della Regina Maori della tribù Waikato, di cui è anche donna di medicina. Il suo nome le fu dato dagli anziani e significa: Bilanciamento, Pace, Volo attraverso la Luce. In quanto primogenita ed unica donna della famiglia, fu affidata agli anziani, che l'hanno sostenuta nello sviluppo delle sue doti e nel radicamento nella tradizione antica le cui origini risalgono al "tempo della memoria". Per potenziare la connessione profonda con Madre Terra all'età di sette anni, sotto la guida del prozio Korobush, trascorse tre notti e tre giorni sepolta sotto terra. All'età di nove anni tornò dai suoi genitori e proseguì la sua istruzione sulle cerimonie, sulle conoscenze e sui segreti tramandati da generazione in generazione. Sam Manawa, nata a Hamilton, in Nuova Zelanda, anch’essa appartiene alla tribù Waikato Tainui della famiglia reale e alla tribù Aotea – Taranaki. Vive e lavora in Italia. Manawa in lingua Maori significa cuore, luogo degli affetti. La parola è composta da “Mana” che si riferisce al potere spirituale di ciascuno di noi e “Wa" che significa spazio e tempo definiti. Mantenendo il contatto con il suo Whakapapa (genealogia) ha approfondito la sua cultura studiando con Erena, sua cugina, attraverso viaggi e seminari da 17 anni. Si è specializzata sul lavoro del corpo attraverso il massaggio. Con Atarangi Muru in Nuova Zelanda ha approfondito la conoscenza dei due principali metodi del Maori Healing, Miri-Miri e Romi-Romi. Pratica varie tipologie di massaggi e cerimonie per la persona. Porta con sé gli elementi legati alla terra di appartenenza: acqua e fuoco, uniti a pace e resistenza. Lo spirito del loro impegno Il popolo Maori è popolo guerriero la cui cultura si basa sull'amore e la pace, le più importanti conoscenze che Erena e Sam Manawa condividono sono la connessione con Madre Terra, l'Amore, la Pace, la Guarigione e la Spiritualità. Erena è stata invitata in tutto il mondo a parlare in diverse conferenze sul concetto della Terra Madre ed è stata ospite di molti leader spirituali come il Dalai Lama del Tibet, Amrita Nanda May in India, David Swallow della Nazione Lakota, Papa Elie Hien, Sciamano del Burkina Faso, Nardia Steppenova, sciamana della Mongolia. Sam Manawa conduce in vari luoghi d’Italia gruppi di ricerca spirituale a partire da una pratica attiva basata sulla tradizione del popolo maori, altre esperienze come conferenze, seminari e la guida di capanne sudatorie l’hanno negli anni vista impegnata in un lavoro di riconnessione e di rinnovato contatto con la sacralità della Madre Terra, sempre in armonia con le due radici della sua provenienza maori e italiana. Ha fondato il gruppo Kapa Haka Italia con il quale insegna la Haka Kamate e altre danze tradizionali e action songs maori in workshop e percorsi motivazionali per privati e aziende, nella convinzione che questa pratica sia un modo meraviglioso per esprimere lo spirito del popolo Maori: radicamento, forza, spiritualità, fierezza, connessione familiare e bellezza.
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samdelpapa · 4 years ago
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 Italia - Repubblica - Socializzazione
 . da  http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=47124 Intervista di Giacomo Guarini a Pietrangelo Buttafuoco L'Europa che non c'è e il lievito russo Pietrangelo Buttafuoco  Pietrangelo Buttafuoco Domenica 12 gennaio è stato presentato presso il Caffè Letterario di Roma l'ultimo libro di Pietrangelo Buttafuoco, "Il dolore pazzo dell'amore" (Bompiani, 2013). Buttafuoco, giornalista e scrittore, è stato anche conduttore televisivo, portando sulla tv italiana il primo e a oggi ultimo programma espressamente dedicato alla geopolitica ("Il Grande Gioco"). Giacomo Guarini lo ha intervistato per noi. Una prima domanda che vorrei farle è sulla Russia, come realtà antropologica. Cosa dovrebbe attingere, a suo parere, l'Occidente dalla cultura russa, anche nell'espressione religiosa del Cristianesimo ortodosso? Il lievito. La cultura russa o, meglio ancora, lo spirito russo è il lievito fondamentale che un'aggregazione continentale quale è l'Eurasia può avere attraverso meccanismi di uno sviluppo spirituale, culturale e non ultimo anche politico; è quel sentimento di radicamento in un'identità forte, che non preclude altre possibilità ma anzi apre alla possibilità universale. Molto più di quanto possa fare la Chiesa cattolica che invece è estenuata dal morbo cosmopolita, dalla fatica di dover essere considerata sempre alla stregua di un ufficio di servizio sociale e da quella malattia che una volta si chiamava filantropia e che oggi è una forma di umanismo che degenera nelle espressioni del pop. Tant'è vero che l'attuale pontefice Bergoglio non sembra più un capo spirituale ma un collega del Dalai Lama. Con i tentativi di dialogo con Teheran da parte di Washington, l'Iran sembra aver in parte perso quella connotazione mediatica di 'mostro' sullo scacchiere internazionale. Quali opportunità sul piano politico, geopolitico e culturale potrebbero derivare per l'Europa da una distensione con Teheran? L'Europa non esiste, perché se per Europa intendiamo l'Unione Europea, l'elemento fondamentale che manca all'Unione Europea è proprio l'Europa. Non esiste. Esistono singole realtà che possono invece avere interessi geopolitici diversi, ma per poterli perseguire è necessario che abbiano un margine di sovranità molto più ampio di quanto sia dato dall'attualità. Per l'Italia, con la sua storia millenaria, con la sua identità è ovvio e naturale aprire un canale di contatto, un flusso vero e proprio, perché è pur sempre la patria della Via della Seta. Il concetto di Via della Seta ci è comune, all'Italia tanto quanto alla Cina, per andare ai due poli opposti. E l'Iran di oggi non è diverso dall'Iran di ieri. Oserei dire che l'Iran della Repubblica Islamica è ancora una volta lo stesso Iran di quello precedente alla rivoluzione, che è ancora una volta uguale alla sua tradizione millenaria. Tant'è vero che non è stato cancellato niente di quella che era la presenza stessa della specificità persiana. Sono tutti elementi più che positivi, che per essere svegliati ad una consapevolezza necessitano però di una precisa volontà politica, che ancora una volta si riferisce alla necessità di un agglomerato continentale eurasiatico. Passiamo infine al Mediterraneo ed alle destabilizzazioni che lo hanno attraversato da tre anni a questa parte e che avevano preso inizialmente il nome di "Primavere". A cosa possono portare simili processi: ritiene che siano atti a dividere e a tracciare un solco ancora più profondo fra le diverse sponde del Mediterraneo oppure dagli sconvolgimenti occorsi possono nascere delle nuove opportunità per l'integrazione dell'area? Rispondo con un dato apparentemente lontano ma secondo me inequivocabile. Dobbiamo aspettare la fine dei giochi invernali olimpici, perché quello è il vero terreno dove assisteremo ad una partita a carte scoperte. Perché l'accusa precisa che Putin ha rivolto all'Arabia Saudita deve essere svelata attraverso quello che succederà ai giochi olimpici invernali. Per quanto siano distanti quelle nevi, ci portano inevitabilmente alle sabbie del Maghreb. Solo lì capiremo qual è il gioco e fino a
che punto si spinge il progetto di destabilizzazione. Perché non c'è alcun dubbio su questo, se facciamo testo della denuncia di Putin che ci sia il tentativo di foraggiare un terrorismo fondamentalista che nulla ha a che fare con l'Islam, e nulla a che fare con le esigenze, il progetto e la volontà del Mediterraneo. Pietrangelo Buttafuoco Fonte: geopolitica-rivista Condividi
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chenetlu · 4 years ago
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La Palazzago agricola del 1929
La Palazzago agricola del 1929
Il profondo radicamento agricolo dell’Italia e della Lombardia è cosa nota a tutti. Più difficile avere evidenza oggettiva di questa tradizione grazie al recupero di dati statistici storici. Un interessante documento però ci fornisce una bellissima fotografia dell’Italia agricola nel 1929 con una analisi molto dettagliata di dati: è il “Catasto Agrario” del 1929 elaborato dall’Istituto Centrale…
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lamilanomagazine · 1 year ago
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Pesaro: dal 2 luglio torna BURATTINI OPERA FESTIVAL 36° edizione 
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Pesaro: dal 2 luglio torna BURATTINI OPERA FESTIVAL 36° edizione.   Dal 2 luglio nella corte di Palazzo Mazzolari Mosca torna la rassegna ‘storica’ di Arci Pesaro Urbino che allieta l’estate dei più piccoli, e non solo, con burattini, marionette e sentimenti. E’ la rassegna estiva più amata dai piccoli - e non solo – ed è un’eccellenza pesarese che ha alle spalle una tradizione consolidatissima che giunge quest’anno alla 36° edizione. Dal 2 al 13 luglio alle 21.30, torna il Burattini Opera Festival con sei appuntamenti tutti nella corte di Palazzo Mazzolari Mosca che accoglie anche lo spazio intitolato a Dario Fo e Franca Rame. La formula - molto amata - è sempre la stessa e mette in scena rappresentazioni di grande qualità con burattini, marionette, pupazzi e sentimenti da godere con tutti i sensi. Nell’offerta, la musica con storie affascinanti, il gusto delle risate e i buoni che sbaragliano le bugie dei loro antagonisti, l’immenso piacere dello spettacolo e il teatro d’animazione sempre più linguaggio privilegiato per il pubblico delle famiglie. A proposito di Dario Fo, ecco cosa pensava di burattini e marionette: ‘…sono stati presenti e lo sono tuttora nella mia professione. In questo naturalmente devo moltissimo a Franca, alla tradizione marionettistica della sua famiglia… sin dai miei primi spettacoli mi sono avvalso di pupazzi e burattini. È un Teatro tra le espressioni più antiche della nostra cultura. Ogni civiltà ha nelle sue radici teatrali e letterarie forme drammatiche legate al Teatro d’Animazione che nei secoli si è evoluto nelle modalità più diverse e straordinarie… Tra i suoi molti incanti, ciò che mi ha sempre affascinato è la comicità dei burattini: iperbolica paradossale intelligente ed efficace”. Proprio come può essere la vita. Oltre alle 6 rappresentazioni, del programma del BOF 2023 fanno parte anche due laboratori creativi nei pomeriggi del 3 e 11 luglio (ore 17, ingresso gratuito). A disposizione di mani e fantasia dei partecipanti, una cascata di stoffe, teste, baffi, occhi paurosi, visi innamorati, unghie sporche e parole profumate; poi ognuno mischia come preferisce, colora come crede meglio e infine si porta a casa il suo personaggio che rimarrà con lui per sempre. E poi, nei giorni di spettacolo, nell’androne - la corte Dario Fo e Franca Rame - la mostra che espone una selezione di 20 manifesti storici del BOF, manifestazione attenta alla grafica fin dalla sua origine che ha visto al lavoro anche Massimo Dolcini. Alla conferenza stampa erano presenti Daniele Vimini vicesindaco e assessore alla Bellezza del Comune di Pesaro, Claudio Fiorenzo Clini presidente ARCI PESARO-URBINO APS, Renzo Guerra direttore artistico del BOF. Il neo presidente provinciale ARCI Claudio Fiorenzo Clini ha ricordato le novità dell’edizione 2023 del BOF che testimoniano il radicamento forte di ARCI nella vita culturale cittadina. La prima: ispirandosi al modo inclusivo di procedere di Pesaro Capitale Italiana della cultura 2024, il BOF ha dato vita ad un evento diffuso in provincia, precisamente a San Costanzo che accoglierà una tappa del BOF il 28 luglio, un appuntamento pilota di un percorso che potrebbe allargarsi ulteriormente nel territorio. E poi il progetto per cui ARCI PU ha vinto un bando della Regione Marche dal titolo Mi piace Spiderman…e allora? (Settenove, 2014), che parte dal libro di Giorgia Vezzoli ormai giunto alla terza ristampa che parla di una bambina e del suo sguardo sul mondo oltre il sessismo e gli stereotipi di genere, e vede come partner l’associazione Libera Musica, circolo arci anche lei.   Nella scelta degli spettacoli ho cercato di mettere quelli che per me sono dei grandi valori teatrali: così ha esordito Renzo Guerra. E poi ha ricordato l’amore di Dario Fo, che riteneva i burattini parte fondante della sua professione e il successo ormai consolidato del BOF amato dai pesaresi ma anche dei turisti che hanno rappresentato più della metà del pubblico dell’edizione 2022. Le conclusioni a Daniele Vimini. Uno dei punti di forza del BOF è la qualità davvero alta della proposta artistica ma anche del racconto di comunicazione - la mostra dei manifesti lo conferma ancora una volta -, coerente negli anni: così il vicesindaco. Il BOF è sempre una garanzia per un’ottima serata nella ricca offerta di luglio, che si tratti di un cittadino o di un turista, e questo è molto importante visto che Pesaro è una meta consolidata per il turismo familiare ormai fidelizzato che torna qui anno dopo anno. L’assessore ha sottolineato l’elemento della creatività forte che sta alla base di questo progetto e la collaborazione con San Costanzo - uno dei comuni più teatrali della provincia -, due valori perfettamente in linea con Pesaro 2024. L’anno prossimo sarà un’ulteriore sfida e anche il BOF, magari con nuove sedi, sarà lo strumento per moltiplicare i punti di interesse nella provincia e per coinvolgere il più possibile i turisti da considerare come cittadini temporanei. Il BOF è promosso da ARCI PESARO-URBINO APS con il sostegno del Comune di Pesaro/Assessorato alla Bellezza, con la collaborazione di AMAT, Coop Alleanza 3.0, Giochi di Kim. Direzione artistica: Renzo Guerra. La grafica è a cura di Up Studio  Programma: BURATTINI OPERA FESTIVAL 36° Edizione: “I burattini sono il cielo che ognuno di noi vorrebbe sopra la propria vita”. DOMENICA 2 LUGLIO ORE 21.30  Compagnia: LA CASA DEI BURATTINI (PU) Titolo: “TRE FARSE (forse) Durata: 50’, tecniche: Baracca & Burattini Il burattinaio di questo spettacolo ama particolarmente il pubblico di Pesaro, turisti compresi! È come andare a cena tutti insieme, con il divertimento teatrale come pietanza; nella prima farsa l’intrepido. Erasmo incontra un cane nervoso, e un padrone anche peggio, poi un giudice stralunato che lo condanna a morire di paura. Figuriamoci… Nella seconda, un Re piuttosto avaro ingaggia il nostro Eroe per sconfiggere il Brigante Spaccatutto. Impresa difficile, ma sai mai la fortuna… La terza farsa la faremo lì per lì, prima e dopo le altre due. LUNEDI 3 LUGLIO ORE 21.30  Compagnia: IL TEATRO DELLE DODICI LUNE (FI) Titolo: PULCINELLA IN FABULA Durata: 50’, musiche: page-plant, popolari, tecniche: burattini, attore Tutti conoscono la fiaba di Cappuccetto Rosso ma questa volta la protagonista non sarà sola a percorrere il temuto sentiero nel bosco; con lei ci sarà niente meno che Pulcinella che scambiandola per la sua innamorata Teresina, insisterà nell’accompagnarla fino a casa della nonna. Che confusione, poi, con il Cacciatore e il terribile Lupo… ma non temete, il lieto fine è garantito… anche se non sarà proprio quello che vi aspettavate… MERCOLEDI’ 5 LUGLIO  ore 21.30  Compagnia: TEATRINO AMBULANTE 1+1=3 (TO) Titolo: “CORRE VOCE NEL BOSCO” Durata: 45’. musiche: originali, popolari, tecniche: burattini, attori, musica e canto dal vivo --Hai sentito? --Cosa? --Corre voce nel bosco che il lupo perderà la sua forza quando noi smetteremo di avere paura di lui… Un teatrino di Burattini, la geometria di un fitto bosco e tre attori canterini che accompagnano il pubblico a perdersi nella narrazione. I coraggiosi personaggi dello spettacolo propongono una nuova prospettiva di realtà: più forte e più bello è chi affronta il pericolo con l’immaginazione, e che con l’aiuto dell’altro la paura diventa forza. LIBERAMENTE ISPIRATO AI RACCONTI DI MARIO RAMOS. MARTEDI’ 11 LUGLIO Ore 21.30  Compagnia: LA CASA DEI BURATTINI (PU) Titolo: “A SIVIGLIA C’E’ UN BARBIERE” Durata: 50’, tecniche: burattini Come accade da secoli, anche in questo caso i Burattini si incaricano di ‘tradurre’ un’opera lirica in puro divertimento teatrale; fedeli alle regole della commedia dell’arte, tutto diventa motivo per ridere scherzare e reinventare la lingua della gioia. Nel rispetto della storia e dei personaggi. Ospite d’onore, messer Gioachino Rossini, che istruisce in prima persona Figaro sui doveri scenici. Ah, la lingua della gioia sarebbe la risata (scoperta socio curativa che tra cinquant’anni i vostri nipoti studieranno all’università). MERCOLEDI’ 12 LUGLIO ore 21.30  Compagnia: NATA TEATRO Titolo: “DON CHISCIOTTE-Storie di Latta e di Lotte” Durata: 55’, tecniche: burattini, attori Un omaggio al capolavoro di Cervantes attraverso lo sguardo dell’Artista Teatrante che ricerca, studia, si immerge profondamente e follemente nei mondi che vuole esplorare. Con la forza della sua fantasia e degli oggetti metallici di uso comune, dove la “Latta” diviene suono e simbolo della lotta del nostro Cavaliere Errante, egli pian piano trasforma utensili in costumi, stoviglie in armatura, oggetti metallici in armi sonanti. Anche i Burattini sono stati costruiti per arricchire la suggestione del racconto, che si fa adatto anche ai più piccoli per rendere il messaggio ancora più universale. GIOVEDI’ 13 LUGLIO ore 21.30  Compagnia: VLADIMIRO STRINATI (RA) Titolo: “LA MASCHERA DI FERRO” Durata: 50’, musiche: J. Savall, S. Colombe, tecniche: burattini Un misterioso prigioniero è rinchiuso nella fortezza di Baracca guardato a vista dai due gemelli Blacho, individui al soldo dello spietato Treccia di Serpente. Nessuno può avvicinarsi o parlare con lui e per nascondere la sua identità è costretto a indossare una Maschera di Ferro. L’unica cosa certa è l’importanza di questo personaggio, servito da cuochi, barbieri e dottori. Athos Porthos Aramis e il prode D’Artagnan hanno deciso di liberare il malcapitato. Combattimenti, intrighi, complotti, tutto si svolge nella cornice di Baracca, fino allo scoppiettante sorprendente finale! Liberamente ispirato alla vicenda storica. Biglietti: ingresso gratuito fino a 3 anni - 6 € fino 10 anni - 8 € oltre 10 anni. Prevendita e biglietteria: Tipico Tips via Rossini, 41 tel 0721 34121, aperto tutti i giorni 10–13 / 16–20, 21,30-23. Info ARCI 0721 34348, [email protected]  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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paoloxl · 5 years ago
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Claudio Vercelli, Neofascismi, Edizioni del Capricorno, Torino, 2018, pp. 188, € 16.00
Claudio Vercelli, docente di storia dell’ebraismo all’Università cattolica di Milano e collaboratore dell’Istituto Salvemini di Torino, ha recentemente svolto un approfondito lavoro di ricerca sulla storia del neofascismo italiano, poi confluito in questo interessante volume. In poco meno di 200 pagine, organizzate in 6 capitoli che si snodano secondo un criterio cronologico, Vercelli affronta una materia molto complessa ed un arco temporale che copre settant’anni di storia italiana, nella convinzione che leggere e studiare le vicende della destra estrema italiana, oltre che a far comprendere quella particolare area politica, le sue idee, i suoi progetti ed il suo operato nel corso degli anni, possa contribuire anche ad approfondire in controluce momenti importanti della storia repubblicana. L’autore sceglie di limitare il più possibile il ricorso alle note e alle citazioni, in tal modo rendendo molto scorrevole ed agile la lettura del libro ed inserisce, distribuendolo in modo omogeneo nel corpo del testo, una sorta di glossario dei termini e dei concetti chiave necessari per la comprensione del fenomeno del neofascismo italiano.
La tesi che Vercelli espone fin da subito nell’Introduzione è che la storia della destra radicale e neofascista italiana sia il “reciproco inverso” della storia della Repubblica, cioè della democrazia nata dalla Resistenza e dall’antifascismo. Paradossalmente il neofascismo italiano, dopo la sconfitta del 1945, trova la sua ragion d’essere nel proprio opposto, ovverosia nella natura parlamentare, democratica, pluralista ed antifascista delle nuove istituzioni repubblicane, che prendono in mano la guida di quel paese che era stato la culla del fascismo. Pertanto, riflette Vercelli, nonostante le diverse forme assunte dal neofascismo italiano, dal 1945 – quando prevalgono ancora nostalgia per il passato prossimo e rancore contro i nemici – fino ad oggi – quando le formazioni dell’estrema destra più seguite, come Casa Pound, parlano di “fascismo del terzo millennio” – la «radice comune è la posizione antisistemica, ossia l’intenzione di mutare […] il “sistema” istituzionale, politico e finanche culturale della democrazia contemporanea. Negandone la radice egualitaria, che il neofascismo denuncia come una perversione dell’ordine naturale delle cose» (p. 9).
Nonostante la sconfitta nella guerra ed il crollo subiti tra il 1943 e il 1945, il fascismo ha continuato ad essere un soggetto politico presente nel nostro paese per tre ragioni fondamentali: in primo luogo, un’esperienza politica e poi un regime così duraturi come quelli mussoliniani non potevano scomparire improvvisamente, poiché troppo profondo era stato il loro radicamento nel paese. In secondo luogo, dopo il ’45 ciò che rimaneva del fascismo attira le attenzioni di quelle componenti conservatrici della società italiana che fasciste non sono, ma che coi reduci del fascismo intendono formare un “blocco d’ordine” capace di arginare i cambiamenti in atto nel paese. Infine, la contrapposizione tra i due blocchi della guerra fredda e la volontà, interna ed esterna al paese, di evitare lo spostamento italiano su posizioni apertamente filocomuniste, produce l’effetto della mancata epurazione e – come insegna Pavone – della netta prevalenza della “continuità” politico-istituzionale dello Stato rispetto al “cambiamento” auspicato dalle forze resistenziali partigiane. A questo si aggiunga che, come cent’anni fa, ancora oggi il neofascismo pretende di essere riconosciuto come forza politica rivoluzionaria: una rivoluzione che assume la forma della “reazione”, o meglio, si potrebbe dire, quella del “ritorno”, del “recupero” di un passato puro (in realtà mitico ed astorico) e di un presunto stato “naturale” sconvolto dalla corruzione della modernità, che avrebbe prodotto la democrazia, l’egualitarismo, il cosmopolitismo, considerati disvalori e perversioni della società. Al materialismo, al pragmatismo utilitaristico, all’economicismo, alla quantità equivalente della democrazia devono contrapporsi la qualità elitaria dell’aristocraticismo, lo spiritualismo, l’eroismo disinteressato del guerriero, la tradizione, il radicamento. Insomma una politica fatta più di evocazione suggestiva del mito e di estetica del gesto e dello stile esistenziale che di analisi razionale della realtà materiale, storica e sociale.
Nella prima parte del libro vengono considerati i primi anni dopo il crollo della Repubblica sociale e l’avvento della Repubblica e della democrazia. Per i fascisti italiani è il tempo del disorientamento, della difficoltà – per i più coinvolti con il regime di Salò – di nascondersi, di scappare, di cambiare identità o anche solo di passare inosservati, aspettando l’evoluzione della situazione interna al paese. Ma è anche il tempo della rivendicazione delle proprie convinzioni e dei primi tentativi di riorganizzazione, così come della accusa di codardia verso i “traditori” del 25 luglio e della elaborazione della figura del “proscritto”, cioè di colui che viene, ma soprattutto vuole, essere messo al margine della nuova società democratica ed antifascista che disprezza. La condizione del proscritto, rivendicata come segno distintivo ed elettivo, è quella che maggiormente accomuna i reduci di Salò e che ne rinserra le file. Figure di riferimento di quel primo periodo sono innanzi tutto Pino Romualdi, collaboratore di Pavolini e vicesegretario del Partito repubblicano fascista, che fin da subito cerca di stabilire contatti con i servizi segreti americani in funzione anticomunista e il “principe nero”, Junio Valerio Borghese, il comandante della Decima Mas. Il luogo dove il neofascismo inizia ad organizzarsi è Roma, in cui la presenza di un clero disposto ad aiutarli e a nasconderli, permette ai reduci di Salò di sfuggire alla cattura. Le prime azioni sono soprattutto atti velleitari e dimostrativi, che intendono recuperare lo spirito dell’arditismo e delle provocazioni squadriste in stile futurista del fascismo delle origini. Ma poco dopo comincia ad emergere anche un altro atteggiamento, quello che non disdegna l’idea dell’avvicinamento ai partiti conservatori del nuovo arco costituzionale e alla Democrazia cristiana in particolare; indirizzo che poi sfocerà nella fondazione del partito neofascista legalitario, il Movimento sociale italiano (MSI).
Il neofascismo italiano nasce in ogni caso dal trauma della sconfitta, che impone un processo di metabolizzazione e di ripensamento complessivo dell’esperienza del regime, che conduce i neofascisti a giudicare il fascismo regime come una “rivoluzione mancata”, soprattutto a causa delle componenti conservatrici della società italiana, che avrebbero usato solo strumentalmente il fascismo; oppure come “terza via” tra collettivismo comunista e liberismo capitalista; oppure, infine, come “rivolta” contro la modernità. Nel secondo e nel terzo caso c’è evidentemente la volontà di smarcare il fascismo dal suo passato per dargli la possibilità di rappresentare un’opzione politica per il futuro.  Tra il 1945 e il ’46 i neofascisti più disposti ad imboccare la via legalitaria individuano nell’anticomunismo la merce di scambio da offrire alle forze conservatrici in cambio di un allentamento dei provvedimenti penali e punitivi contro gli ex repubblichini. Spiega di seguito Vercelli come gli eventi del giugno 1946, il referendum istituzionale e il varo dell’amnistia Togliatti, mettano i neofascisti nella condizione di tornare ad agire più scopertamente rispetto ai mesi precedenti, separandosi definitivamente dai monarchici (che fondano un loro partito) e avvalendosi della scarcerazione di molti militanti che tornano a fare attivismo politico e si impegnano nella fondazione dell’MSI del dicembre del 1946.
Ma accanto alle iniziative politicamente legali, Vercelli richiama l’attenzione su una miriade di opuscoli, giornali, riviste, semplici fogli, pubblicazioni di ogni genere e tipo, inizialmente clandestini, a cui si aggiungono gruppi, altrettanto illegali, come l’Esercito Clandestino Anticomunista (ECA) o i FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria), fondati da Romualdi stesso.  La prolificità editoriale dell’estrema destra neofascista, che si affianca a quella dei gruppi dell’attivismo politico militante, è un tratto costante del neofascismo italiano, dalle sue origini fino ad oggi, anche nei momenti di oggettivo e netto svantaggio, quantitativo e qualitativo, politico, culturale e sociale rispetto alla sinistra parlamentare ed extraparlamentare e attesta la presenza e la permanenza nel nostro paese di un’area politica, di un pezzo di società e di una parte dell’opinione pubblica inequivocabilmente fascisti, che, pur assumendo forme parzialmente diverse a seconda del mutare dei tempi e del contesto sociale, tengono fermo il riferimento al fascismo storico e ai suoi principi fondamentali.
Fin da subito, la prima distinzione interna alla destra estrema si sviluppa sull’alternativa tra l’accettazione «almeno formale e di circostanza, del parlamentarismo e delle istituzioni repubblicane» (p. 43), salvo prefiggersi lo scopo ultimo di sovvertirle se e quando possibile e la scelta eversiva della lotta senza quartiere ed esclusione di colpi contro l’assetto democratico della Repubblica italiana. La distinzione tra “eversione” e “legalità” va poi ulteriormente dettagliandosi, anche all’interno dello stesso partito ammesso alla legalità parlamentare, per esempio nelle posizioni dei reduci veri e propri, dei nostalgici del regime e della repubblica di Salò, i quali andranno via via perdendo posizioni, sia per evidenti ragioni generazionali sia per la passività e l’inconcludenza della posizione sul piano politico. Segue poi la posizione dei sostenitori della sola via legale, che si concretizza nel partito il quale però è chiamato ad affrontare fin da subito evidenti contraddizioni: i suoi dirigenti sono prevalentemente settentrionali e reduci di Salò, mentre l’elettorato è di gran lunga più consistente al Sud e legato al ricordo del «fascismo di regime, quello dai connotati notabiliari, fortemente conservatori» (p. 57). Sul piano ideologico poi, la “sinistra”, che recupera il programma di “socializzazione” di Salò, la suggestione della “terza via” e che si colloca su posizioni “antiamericane”, si scontra con le posizioni moderate aperte all’”atlantismo”, che sfoceranno più tardi nel collateralismo alla DC. Infine si configura anche la posizione, sostanzialmente eversiva, degli “spiritualisti”, ovverosia di coloro per i quali il fascismo come “idea” trascende le sue manifestazioni storiche particolari e si presenta come una “visione del mondo” che valorizza l’aspetto “spirituale” dell’uomo di contro a quello “economico-materiale” e pertanto individua i propri principi fondamentali nella “tradizione”, nella “comunità” e nella “identità” – vale a dire nella “razza” – nel “nazionalismo”, nella “gerarchia” come ”ordine naturale” che si regge sulla “disciplina”, nel rifiuto della modernità e dell’intero suo portato politico e culturale. Si tratta di quella parte dell’estrema destra neofascista che ha gravitato per molto tempo attorno a Julius Evola e che ancora oggi continua a richiamarsi a quel bagaglio di idee e che individua l’essenza e l’eccentricità del fascismo nella figura estetico-esistenziale del “legionario”, cioè del militante disciplinato, virile e combattivo che è «pronto a trasformare la propria esistenza in una continua impresa indirizzata al combattimento» (p. 47). È il “soldato politico”, parte di una élite aristocratica che si distingue dalla massa per destino, prima ancora che per volontà.
Ai suoi esordi il programma dell’MSI si concentra sull’anticomunismo, sul nazionalismo, sul richiamo ai progetti sociali della RSI, sull’idea di Stato forte e sul rifiuto della democrazia. Dopo pochi mesi di segreteria di Giacinto Trevisonno, durante la fase di gestione collegiale del partito e non potendo Romualdi assumere incarichi per ragioni giudiziarie, è Giorgio Almirante che dal giugno del ‘47 ricopre la carica di segretario della giunta esecutiva e di seguito quella di segretario del partito. Almirante intende mantenere un forte legame con l’esperienza della RSI e ripropone i temi dell’anticapitalismo e dell’antiamericanismo. Gli ultimi anni ’40 sono quelli dell’assestamento per l’MSI e nel frattempo i governi democristiani chiudono definitivamente la fase delle comunque blandissime epurazioni. Con la fine della segreteria Almirante (gennaio 1950), che viene sostituito da De Marsanich, è la parte moderata del partito a prevalere, per poi stabilizzarsi definitivamente con la scelta della linea del collateralismo nei confronti della DC, operata tanto dallo stesso De Marsanich, fino al 1954, quanto da Michelini, che guida il partito per ben quindici anni, fino al 1969. Neppure l’ingresso e l’assunzione di incarichi nel partito da parte di Rodolfo Graziani e di Junio Valerio Borghese, salutati con speranze sia dalla sinistra sociale dell’MSI sia dalla destra tradizionalista e spiritualista evoliana, producono un cambiamento della rotta politica moderata, ed è in questo contesto che nel 1956, Pino Rauti, su posizioni di tradizionalismo evoliano, esce dal partito e fonda l’associazione politico-culturale Centro Studi Ordine Nuovo (CSON).
Per Rauti – spiega Vercelli – «si trattava di trovare nuovi riferimenti alla tradizione culturale, ai simbolismi e alla mitografia neofascista. Ne derivarono alcuni risultati, destinati a lasciare un lungo segno. Il primo fu la piena e definitiva nobilitazione dell’impostazione evoliana, quella sospesa tra aristocraticismo, tradizionalismo, ed esoterismo» (p. 75). Il materialismo, l’edonismo, il consumismo, che trovano il loro equivalente giuridico-politico nel parlamentarismo democratico, devono essere combattuti attraverso forme di militanza politica che si richiamano ai movimenti legionari di estrema destra, come quello della Guardia di Ferro di Codreanu, nella Romania degli anni Trenta e Quaranta. Per superare la logica dell’alternativa tra Oriente e Occidente, viene elaborata la teoria dell’”Europa Nazione”, che – fa notare Vercelli – riprendendo l’idea nazista della “Fortezza Europa”, sfocia in una sorta di “europeismo suprematista”, che declina l’idea nazionalistica sul piano continentale europeo. Quando nel 1969, con il ritorno di Almirante alla segreteria del Movimento sociale, Rauti decide di rientrare nel partito, la componente più intransigente di Ordine Nuovo non sposa questa scelta rautiana e fonda il Movimento Politico Ordine Nuovo (MPON). Complessivamente l’esperienza di Ordine Nuovo, riflette Vercelli, costituisce «una pietra miliare nella storia della destra estrema italiana» (p. 75), sia perché molte delle sue idee sopravvivono all’organizzazione stessa e ricompaiono in altre formazioni e gruppi del neofascismo italiano fino ad oggi, sia perché «la sua traiettoria operativa s’incrociò più volte con lo strutturarsi di quel livello parallelo e non ufficiale di attività militare, lo Stay-behind, che in Italia già dal 1956 implicò la nascita dell’organizzazione Gladio» (pp. 78-79). Pertanto Ordine Nuovo è stato parte essenziale ed attore tra i principali di quella “strategia della tensione” che si è poi concretizzata nello “stragismo”, in stretta collaborazione con servizi segreti deviati ed appartati occulti dello Stato, tra gli anni Sessanta e i primi anni Ottanta, da piazza Fontana alla Stazione di Bologna.
Gli anni Sessanta della destra eversiva italiana si aprono con la fondazione di una nuova organizzazione – Avanguardia nazionale – ad opera, tra gli altri, di un rautiano già coinvolto nelle attività di CSON: Stefano Delle Chiaie. Osserva Vercelli che «Avanguardia nazionale si rifaceva alla RSI come a diversi aspetti del nazionalsocialismo, giudicando fattibile una battaglia contro la democrazia solo attraverso la formazione di militanti tanto disciplinati quanto animati da un fideismo totale, nello “stile legionario” che doveva contraddistinguere le avanguardie della “rivoluzione nazionale”» (pp. 82-83). L’organizzazione di Delle Chiaie e poi di Adriano Tilgher è apertamente favorevole a soluzioni golpiste ed intrattiene rapporti coi regimi militari dell’America latina, di Spagna, Portogallo e soprattutto Grecia. Si impegna negli scontri di piazza e all’interno del mondo studentesco e universitario; il suo coinvolgimento nelle trame eversive e terroristiche di quegli anni è tale che nel 1976 viene dichiarata fuori legge. Altri eventi rilevanti di quel decennio sono il cosiddetto “piano Solo”, ovvero il tentato colpo di Stato ordito dal comandante dell’Arma dei Carabinieri, il generale Giovani de Lorenzo; l’uscita dall’MSI di Junio Valerio Borghese (1968), che dà vita al Fronte Nazionale, che due anni dopo sarà in prima fila nell’organizzazione del cosiddetto “golpe Borghese”. Una formazione politica dai progetti velleitari – tanto quanto il tentativo fallito di sovvertimento dell’ordine costituito – che, osserva Vercelli, ripropone vecchi cliché politici, che non vanno al di là della nostalgia del fascismo storico, proprio in un momento in cui, anche nell’area dell’estremismo di destra, sorgono nuovi fermenti e soprattutto l’esigenza di ripensare la militanza politica neofascista in modo indipendente dal passato.
Proprio per queste ragioni, in quegli anni hanno successo anche in Italia le idee di Jean-Francǫis Thiriart, fondatore nel 1962 di Jeune Europe, teorizzatore del “comunitarismo”, vale a dire di una confusa visione politica che intende proporsi come sintesi e quindi superamento dell’opposizione fascismo-comunismo, che riprende e corrobora l’idea di Europa Nazione, come “terza via” possibile nel mondo della contrapposizione tra blocchi, che, assumendo posizioni di antiamericanismo ed antisionismo, intende tanto opporsi al neoimperialismo, appoggiando i paesi non allineati o simpatizzando per il “guevarismo”, quanto rifiutare il materialismo edonistico ed il meticciato privo di radici, rappresentati dal modello statunitense. Idee che attraggono i giovani italiani cresciuti nell’area della destra radicale, in cerca di idee alternative tanto a quelle del conservatorismo legalitario dell’MSI, quanto a quelle del golpismo vecchio stampo. È da qui che iniziano a dipanarsi i fili di un percorso politico di lungo periodo, che ancora oggi è chiaramente presente nelle posizioni “rosso-brune” variamente espresse di volta in volta da Forza Nuova o da Casa Pound.
Il decennio 1969-1979, che Vercelli definisce “La stagione delle bombe”, è contraddistinto dai tentativi sempre più evidenti della destra estrema italiana di tagliare il cordone ombelicale col fascismo storico vissuto in modo nostalgico, perché «paralizzante rispetto a qualsiasi concreta azione politica» (p. 103). Da queste premesse prendono il via diverse linee di sviluppo politico: una è quella che si rifà al nazionalsocialismo e ad altre forme di fascismo di movimento e di militanza legionaria come le già ricordate Guardie di Ferro rumene o le Croci Frecciate ungheresi, perché ritenuto più capace di fornire una visione globale ed organica del mondo, il primo, e un modello valido di militanza, di fatto molto simile a quello evoliano del “soldato politico”, le seconde. Si tratta di idee che sostanziano le posizioni radicalmente eversive di Franco Freda, che con il suo “La disintegrazione del sistema”, ricorda Vercelli, diviene una figura carismatica di primissimo piano per il mondo dell’ultra destra italiana. Il passaggio successivo è quello della costituzione di nuove formazioni eversive, che prendano il posto delle ormai tramontate formazioni storiche (Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale), che rompano definitivamente – almeno nelle dichiarazioni – con l’MSI, considerato ormai come un partito di delatori, rinnegati, traditori compromessi col sistema che dovrebbero combattere e infine che, anche nel tentativo di competere con la forza superiore delle organizzazioni della lotta armata comunista, intraprendano la via dell’eversione terroristica, da interpretare nel modo più violento e duro possibile. Da queste premesse nascono sia Terza Posizione, di Roberto Fiore, Gabriele Adinolfi, Giuseppe Dimitri, sia i Nuclei Armati Rivoluzionari, gruppo eversivo esclusivamente terroristico che in Giuseppe Valerio (Giusva) Fioravanti trova l’esponente più rappresentativo della sua essenza criminale.
Sul piano ideologico Terza posizione ripropone la prospettiva “nazionalrivoluzionaria” e mescola idee vecchie e nuove del fascismo e del neofascismo italiani: allo “Stato organico” come superamento dei conflitti di classe, al fascismo come “terza via” e al “socialismo nazionale”, alla difesa della “tradizione”, al ruolo politico delle “avanguardie consapevoli”, si aggiungono la teoria dell’Europa Nazione, il rifiuto dell’atlantismo missino, il coinvolgimento popolare nella lotta rivoluzionaria, l’attenzione per le marginalità sociali e per il mondo giovanile e di conseguenza il radicamento nel territorio e nei quartieri con la promozione di iniziative dal basso di mobilitazione e protesta, il sostegno alle lotte di liberazione nazionale, ma in quanto interpretate come movimenti di salvaguardia delle tradizioni dei popoli. Delle due anime dell’organizzazione, una – precisa Vercelli – più spontaneista e una invece (quella di Fiore e Adinolfi) che ritiene «indispensabile dotarsi di una filiera gerarchica e paramilitare per garantire la continuità organizzativa» (p. 131), è la seconda a prevalere nettamente, mentre lo spontaneismo armato e violento trova nei NAR le condizioni ideologiche e pratiche per la sua realizzazione compiuta. «I NAR, quindi, si svilupparono da subito, di contro all’esperienza di Terza Posizione, come una struttura aperta e acefala, una sorta di sigla-brand sotto la quale potevano riconoscersi soggetti anche molto diversi, ma accomunati dall’identità fascista e dalla disposizione al ricorso alle armi» (p. 134). Fioravanti, la Mambro e tutti gli altri si rifanno, aggiornandola ed adattandola al contesto degli anni in cui i NAR sono operativi (1977-1982), alla tradizionale idea fascista del primato della prassi sulla riflessione, dell’azione che fonda e giustifica se stessa, della violenza come mezzo di lotta politica non solo lecito, ma assolutamente necessario, in quanto atto che permette l’affermazione della forza guerriera degli individui superiori e che pertanto ristabilisce il naturale ordine della disuguaglianza. L’esaltazione della violenza, del ricorso necessario alle armi, della spontaneità autogiustificante dell’atto di forza, da un lato e la debolezza e la labilità ideologiche, dall’altro, conducono i NAR ad intrattenere relazioni sempre più strette con organizzazioni della malavita comune, come la banda della Magliana o la mala del Brenta. Insomma, spiega Vercelli, l’esperienza politico-terroristica dei NAR si sviluppa in direzione di un nichilismo individualistico destinato a concretizzarsi in un bagno di sangue privo di alcun senso, cioè del tutto fine a se stesso. E ancora una volta sono suggestioni evoliane, quelle dell’ultima fase della riflessione del filosofo fascista, che impregnano e supportano l’agire della più violenta tra le formazioni dell’estrema destra eversiva italiana.
In quegli stessi anni, nell’area dell’estrema destra legale e in collegamento con il partito, si sviluppano però anche altre iniziative, che, di fronte alle difficoltà di conseguire concreti risultati politici, spostano l’asse della loro azione sul piano sociale e soprattutto culturale, cioè “metapolitico”, secondo l’espressione usata a destra e in questo contesto rientrano le esperienze dei tre Campi Hobbit (1977, 1978, 1980), che per la prima volta promuovono il fenomeno della musica e dei gruppi musicali di destra, oppure di esperienze e sperimentazioni artistiche, grafiche e comunicative che possano rappresentare forme nuove di aggregazione e mobilitazione per i giovani dell’estrema destra, stanchi delle modalità tradizionali missine e che in qualche modo possano emulare le forme aggregative dell’estrema sinistra, per competere con esse.
Con il passaggio al decennio successivo, in un quadro complessivo di riflusso e declino generalizzato della partecipazione e della militanza politiche, è proprio il piano “metapolitico” quello su cui a destra si lavora con più convinzione, attraverso un consistente numero di iniziative editoriali, spesso di bassissima tiratura e di effimera durata, ma che dimostrano in ogni caso una certa vivacità dell’area politica del neofascismo italiano, che si avvale anche delle idee della cosiddetta Nuova Destra di Alain de Benoist, che dalla Francia approdano in Italia. Il bagaglio ideologico rimane sostanzialmente sempre lo stesso degli anni e dei decenni precedenti, ma si lavora soprattutto sul piano “metapolitico” e “culturale”, anche attraverso il filtro della letteratura e dell’immaginario del genere fantasy e con il fine ultimo di conquistare una posizione di “egemonia culturale”, «intesa come capacità di influenzare in maniera decisiva l’opinione pubblica, orientandone gli atteggiamenti, le preferenze e, in immediato riflesso, le scelte» (p. 156).
L’ultima parte dell’interessante saggio di Vercelli è dedicata al periodo 1992-2019, dalla fine della prima Repubblica ad oggi, in cui va profilandosi lo scenario di un nuovo neofascismo, con la diffusione innanzi tutto del fenomeno dei gruppi skinhead (Azione Skinhead, Circolo Ideogramma, Veneto Fronte Skinhead, ecc) e con la loro capacità di infiltrazione delle tifoserie calcistiche ultras e poi con l’attivismo via via crescente delle due formazioni politiche più dinamiche in questi anni: Forza Nuova e Casa Pound Italia. La prima, nota Vercelli, è più evidentemente legata all’ex militanza e all’esperienza politica di Terza Posizione di Fiore ed Adinolfi e mantiene un’impostazione ideologica decisamente più dogmatica ed ortodossa che si incentra su tradizionalismo, vetero cattolicesimo, antisemitismo, omofobia, identitarismo, sovranismo, avversione per lo straniero e rifiuto del meticciato, antimondialismo, anticapitalismo, ma da intendersi non tanto come messa in discussione delle strutture del modo di produzione capitalistico, quanto piuttosto come avversione nei confronti del sistema bancario e finanziario internazionale (associato al sionismo). La seconda, seppur il suo armamentario ideologico non si discosti poi più di tanto e in modo sostanziale da quello di Forza Nuova, si propone come una formazione politica meno rigida e dogmatica, più capace di muoversi sul piano “metapolitico” e su quello del radicamento nel territorio e nei quartieri, con la promozione di iniziative dal basso di mobilitazione sociale. Nonostante che sul piano elettorale nazionale, entrambe le formazioni politiche abbiano raccolto esiti del tutto irrilevanti (diverso è il discorso riguardante le aree tradizionalmente di maggior radicamento), anche grazie alle recenti e sempre più frequenti relazioni di Casa Pound con la Lega di Salvini, gli obiettivi dei neofascisti di ottenere una posizione di maggiore visibilità e rilevanza e di “occupare” un’area dell’opinione pubblica e dell’immaginario diffuso con alcune delle idee fondamentali dell’estrema destra, sembrano purtroppo essere stati conseguiti. Ma questo è un discorso che merita maggiori approfondimenti e più accurate analisi, essendo una pagina ancora aperta e in fieri della storia “nera” italiana che dura esattamente da un secolo.
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