#Poesia del nostro tempo
Explore tagged Tumblr posts
pier-carlo-universe · 1 month ago
Text
Lucio Zaniboni: La voce poetica che illumina la condizione umana. Una vita dedicata alla poesia e alla cultura
Lucio Zaniboni: La voce poetica che illumina la condizione umana
Il Professor Lucio Zaniboni, originario di Modena e residente a Lecco, è uno dei più apprezzati poeti e critici letterari italiani. Con una carriera che abbraccia decenni, Zaniboni ha saputo conquistare l’attenzione di lettori e critici grazie a una produzione poetica di straordinaria profondità, capace di esplorare i temi più intimi dell’esistenza e i grandi interrogativi della società…
0 notes
gianlucadandrea · 11 months ago
Text
Nuovo inizio - Recensione di Gisella Blanco per Poesia del Nostro Tempo
Gisella Blanco su Nuovo inzio, l’Arcolaio editore. Nota di Gisella Blanco Con il Nuovo Inizio, Gianluca D’Andrea (L’Arcolaio) celebra il rituale affascinante e macabro del movimento di condizioni esistenziali opposte, tipico dell’esistenza terrena. E lo fa proprio a partire dalla fine (o dalla sua ipotesi), spettacolare e ironicamente magnificata.Il paesaggio prettamente industriale e…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
ilpianistasultetto · 8 months ago
Text
Anche se sorpassato, seguito ad amare il mondo "analogico" d'un tempo. Lo trovo poetico. Quella poesia piena di riconoscenza, di euforie e ricordi andati. Confesso che provo tanta tenerezza per quei televisori a tubo catodico che vedo avviarsi, mesti mesti, verso la discarica o per quei giradischi che hanno finito la voce. Come ho provato un colpo al cuore quando ho visto la serranda chiusa di quel negozietto storico nel quartiere Prati. Avevano rimosso anche quell'insegna anonima che campeggiava sopra la serranda: Assistenza HI-FI. Per tanti come me era il negozio dove si riparavano gli “stereo”. Ma certo, chiamiamolo ancora una volta così, come quando ce lo regalavano al liceo. Quell’insieme di giradischi, amplificatore, piastra e casse acustiche, che collegato da cavetti, ci ha fatto sentire la musica che ci piaceva e che ha formato il nostro gusto, come mai più niente ci è riuscito. Li' dentro si riparavano oggetti meravigliosi di un’altra era tecnologica. Entravi e sentivi Mario che parlava, eppure era da solo. Parlava con i condensatori, i transistor, i circuiti integrati, le cinghie, i cursori, piegandoli alla sua volontà. Mi piaceva quel suo modo sempre carico di speranza: "Dai, lascialo li e vediamo che si puo' fare. Chiamami la prossima settimana!”. Riparare..Riparare..mi piace da matti questa parola. Riparare a un torto, a un errore, riparare oggetti che hanno molto da raccontare. Ah, se potessero parlare!! Racconterebbero di come, sconquassati da acne giovanili, mettevamo trepidi il braccetto su un disco dei Pink Floyd, sperando che in 5 minuti la biondina del “I A” ci notasse, o di quando il nostro Galactron da 100 watt per canale sparò tutta la sua potenza al massimo dalle ESB100 sulla nostra versione di Tacito, uccidendola, poveretta. Ebbene si! Ancora amo quel tempo! @ilpianistasultetto
youtube
33 notes · View notes
susieporta · 8 months ago
Text
La verità è che nessuno si regge più in piedi da solo, sulle proprie gambe. Nessuno regge più il dolore, la perdita, la frustrazione, l’attesa.
Insomma, le cose della vita.
Abbiamo bisogno di normalizzare i processi della vita: nascere, crescere, ammalarsi, ferirsi, invecchiare, morire.
Un tempo si moriva sazi di vita, appagati, senza rimpianto alcuno, in modo del tutto naturale.
Oggi si muore insoddisfatti, delusi e stanchi.
Il lutto non rientra più nelle categorie del vivente.
Abbiamo inventato questa parola: “elaborazione”, dimenticando che i lutti non si elaborano, ma si accolgono, come parti integranti dell’esistenza, tutt’al più si contemplano come espressioni mutevoli del flusso continuo della vita.
“Sii paziente verso tutto ciò
che è irrisolto nel tuo cuore
e cerca di amare le domande,
che sono simili a
stanze chiuse a chiave
e a libri scritti
in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte
che possono esserti date
poiché non saresti capace
di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa.
Vivere le domande ora.”
Aveva ragione Rilke.
Abbiamo disimparato il valore del piangere insieme, di condividere il pasto, dono gentile e premuroso gesto della vicina di casa, la sera, quando si raccontava ai bambini dove sta il nonno adesso, e si passava la carezza della mano piccola sul suo viso freddo e immobile, disteso sul letto.
I sogni facevano il resto, perché si aveva tempo per dormire e per sognare. E al mattino, appena svegli, per raccontare.
Così chi non c’era più continuava ad esserci, a contare, a suggerire, a consolare.
I morti stavano insieme ai vivi.
Complicato allora non è il lutto, ma il modo di viverlo, di trattarlo, come se fosse una malattia in cerca di una cura. Ma la vita non è un problema da risolvere.
Ancora Rilke. Piuttosto un mistero da sperimentare. Una quota di ignoto inevitabile che spinge lo sguardo oltre la siepe.
Chi ha ancora desiderio di quell’infinito che solo l’esperienza del limite può disvelare?
Oggi tutti reclamano il diritto alla cura della psiche, forse perché i medici del corpo non riescono a guarire certe ferite dell’anima.
Ma così si sta perdendo il valore della psicoterapia. Così si confonde la patologia con la fisiologia dell’esistente, che contempla nel suo lessico le voci: malattia, solitudine, sofferenza, perdita, vecchiaia, morte.
Qual è l’immagine del nostro tempo, che rappresenta il senso estetico dominante? Una enorme superficie levigata, perfetta, specchiante.
In questo modo, privata delle increspature, delle imperfezioni, del negativo, della mancanza, l’anima ha smarrito il suo luogo naturale, la sua origine, il respiro profondo della caducità, della provvisorietà, della fragilità del bene e del male.
Perché alla fine, tutto ciò che comincia è destinato a finire e l’unica verità che rimane è questo grumo di gioia che adesso vibra ancora nel cuore, qui e ora, in questo preciso istante, nonostante la paura, il disincanto, la sfiducia.
Non c’è salute dunque che non sia connessa alla possibilità di salvezza.
Alle nostre terapie manca quel giusto slancio evolutivo, che spinga lo sguardo oltre le diagnosi, i funzionamenti, i fantasmi che abitano nelle stanze buie della mente.
Un terapeuta non può confondere la luna con il dito che la indica.
Può solo indicare la direzione e sostenere il desiderio di raggiungerla.
Per questo ogni sera mi piace chiudere gli occhi del giorno con una poesia, ogni sera una poesia diversa, per onorare la notte con il canto dei poeti.
Perché la notte sa come mantenere e custodire tutti i segreti.
Perché le poesie assomigliano alle preghiere.
Dicono sempre cose vere.
Stanotte per esempio ho scelto questa:
“Si è levata una luna trasparente
come un avviso senza minaccia
una macchia di nascita in cielo
altra possibilità di dimora. E poi.
Siamo invecchiati.
Il volume di vecchiaia
è pesato sul tavolino delle spalle,
sugli spiccioli di salute.
Cos’è mai la stanchezza?
Le cellule gridano
chiamano l’origine
vogliono accucciarsi
nel luogo prima del nome
nello spazio che sta tra cosa e cosa
e non invade gli oggetti
li accarezza e li accalora.
Non smettere di guardare il cielo
ti assegna la precisa misura
fidati della vecchiaia
è un burattino redentore.
Dopo tanta aritmetica
la serenità dello zero.”
Chandra Candiani
Testo di Giuseppe Ruggiero
foto dal seminario " In Quiete". Introduzione alle costellazioni Familiari con Anna Polin
Gloria Volpato
27 notes · View notes
annegatasstuff · 1 year ago
Text
🌅🌹 E ti bacio la bocca bagnata di crepuscolo... Passione che brucia come il sole che tramonta, il mio cuore si scioglie come la cera di una candela accesa. In questo momento magico, il tuo sguardo mi avvolge come un abbraccio caloroso, e il desiderio si fa ardente dentro di me. Le tue labbra, dolci come il miele, sono l'essenza stessa del piacere. Il nostro amore è un fuoco che non si spegne, una fiamma che danza nel buio della notte. Ti amo oltre le parole, oltre i confini del tempo. Siamo due anime che si cercano, che si trovano e si perdono in un abbraccio infinito. E ti bacio, con tutto il mio amore, con tutta la mia passione. Tu sei il mio sole, la mia luce, il mio tutto.❤️🔥
#PassioneInfinita #AmoreEterno #BacioAppassionato #poesia
Tumblr media
Foto Pinterest
25 notes · View notes
shinynymph · 8 months ago
Text
Ho aperto una bottiglia di vino, non lo facevo da settimane.
Ho aperto una bottiglia di vino perché scrivere questa consegna m’irretisce: che ne so, io, del futuro? Che ne so, io, del mio, di futuro?
La mia psicologa m’ha detto di pormi domande anche fuori dalla stanza delle parole; allora, mi chiedo: sarà sempre così? Avrò sempre bisogno dell’ausilio di uno stato psicofisico alterato per guardarmi dentro? Per scovarmi?
Dove sono finita?
Non sarà poesia questa volta, se poesia possiamo definire quelle masse informi delle volte scorse. Non sarà logico, razionale, non seguirà un andamento lineare: questa sono io che scrivo di getto un flusso di coscienza che odierò dover rileggere per editare.
Probabilmente lo lascerò così: grezzo, magmatico, inusuale.
Io non so neanche cosa sia, il futuro. Treccani m’informa: futuro è
s. m. Il tempo che verrà o gli avvenimenti che in esso si succederanno.
Il tempo che verrà. Quando verrà?
Io procrastino il mio futuro, lo faccio da anni: congelata per decenni nello stato della studentessa che non vuole crescere, divenire adulta.
Il tempo che verrà, gli avvenimenti che in esso si succederanno:
allora il futuro è anche questo momento? Questo preciso ed esatto istante?
Il mio futuro di oggi prevede la sopravvivenza a questa giornata logorante, solitaria, alcolica, per poter andare a lavorare, poi, alle 23, staccare alle 3, andare a dormire.
È questo il mio futuro? È questo quello che mi aspetta una volta uscita dal nido sicuro, limbo lenitivo, che è la Holden?
Per anni ho procrastinato la mia laurea perché l’idea di lasciare la calda certezza dell’Università mi dilaniava.
Ora mi sono laureata, ma non l’ho fatto prima d’aver trovato già un morbido rimpiazzo.
Questa scuola.
Con le sue pareti dai colori caldi, i divanetti nei corridoi. Le consegne che ti obbligano a guardarti allo specchio. Mi viene in mente Elisa, di Menzogna e sortilegio:
E mi aggrappo agli specchi per ritrovarmi. Per non dissolvermi.
            Come Elisa
            Medusa
            Fluttuo nell'aria e
            L'avvolgo
            Questa stanza è piena di me;
           In me
           L'aria. -
si guardava allo specchio e lo specchio le rifletteva l’immagine informe di una medusa incorporea. Questo sono anch’io: non ho contorni, non ho definizioni, non mi lascio incasellare: sono magma, come lo è la mia scrittura schizofrenica; sono fluido, informe e scrosciante, flusso che pretende di divenire, vento che soffia frusciante.
L’eterno ritorno.
Futuro, il tempo che verrà o gli avvenimenti che in esso si succederanno. Io, nel mio futuro, voglio vivere. Nel mio futuro è la vita che voglio: è la tenacia, l’ostinata, imperitura, tenacia di vivere che voglio, nel mio futuro.
Sarebbe troppo semplice scrivere il manifesto politico e indignato: oh, sì, il pianeta va in fiamme; le disuguaglianze? Non c’è modo alcuno di eliminarle; il lavoro è precario, il lavoro fa schifo – sono una fiera anti-lavorista impenitente – come si può metter su famiglia in uno scenario apocalittico tale? Apocalittico ‘sto cazzo: questo è il nostro presente. Ma, poi, io voglio davvero mettere su famiglia?
Io,
nel mio futuro,
voglio vivere.
E nel mio presente io mi domando, mi imploro persino: Federica, risolvi te stessa, perché sei dipendente da ogni dipendenza, e cerchi costantemente la sofferenza perché altrimenti non senti niente; e tu devi sentire, devi sentire di esistere e non solo esistere;
Federica tu vuoi vivere e non semplicemente esistere.
Come si fa, allora, ad immaginare un futuro se è già il presente ad essere così precario?
Futuro. Il tempo che verrà o gli avvenimenti che in esso si succederanno. Talvolta ho desiderato non ci fosse alcun futuro per me. Talvolta, guidando, un pensiero intrusivo ha tentato d’ammaliarmi: non frenare, continua così, col pedale schiacciato sull’acceleratore, ai 100 all’ora contro quell’albero: in fondo, che hai da perdere?
Niente.
Sono qui.
Quel pensiero intrusivo sono sempre riuscita a riporlo in un cassetto.
Chiuso a chiave,
due mandate,
per sicurezza. Quanto m’ha spaventato, quanto ancora mi spaventa quando tenta, con le sue lunghe dita affusolate, d’aprirsi un varco nel mio conscio.
Ma io è vivere che voglio.
Nel mio futuro, è vivere che voglio
Fanculo al mondo che cade a pezzi: non riesco a tenere insieme neanche me stessa.
Fanculo al mondo che brucia: io ho bisogno del fuoco per sentirmi esistere.
Fanculo alle ingiustizie: di cosa scriverei, se questo mondo indecente fosse perfetto?
E, poi, di cosa parlerei, se io fossi una persona risolta?
Futuro: Il tempo che verrà o gli avvenimenti che in esso si succederanno.
Io nel mio futuro voglio succedermi.
11 notes · View notes
thegianpieromennitipolis · 1 year ago
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
LA VIOLENZA DELLA TRADIZIONE
Non è mai semplice, per il nostro tempo, comprendere l’opera d’arte che risale nei secoli, la sua origine, la sua ragione, la sua finalità. Si dimentica che l’artista solo tra Ottocento e Novecento ha realizzato la propria libertà d’espressione e soprattutto di scelta dell’oggetto rappresentato. E si tralascia anche la sottile distanza che ha sempre connotato il contenuto, frequentemente richiesto e riproposto, dallo stile della composizione: il medesimo “oggetto” muta attraverso pochi cenni delle figure, la scena, lo sfondo, la luce, i colori. Così, l’oblio della memoria consuma anche il vero significato della tradizione: non pedissequa ripetizione dell’immutabile ma sempre il riflesso di un’interpretazione. L’interpretazione configura il tradimento: la stessa etimologia del tardo latino lascia scivolare la “consegna” in un passaggio che altera di per sè la cosa rimessa. Si tratta di un tradimento necessario, pena la fine stessa dell’espressione d’arte. Ma un tradimento che poggia le sue radici su un’interpretazione che precede: ermeneutica di un’ermeneutica. Non importa che sia un testo letterario o un testo pittorico: lo sguardo abbraccia sempre un’immagine. L’origine scompare. Così, al “Parnaso” (1495 - 1497, Louvre, Parigi) di Andrea Mantegna (1431 - 1506) che trasuda esibita regalità, si contrappone il “Festino degli dei” (1514, National Gallery of Art, Washington) di Giovanni Bellini (1429 - 1516) dal quale emerge il riflesso sorprendente di una nascosta “ricreazione” delle figure divine: appartate, finalmente lontane dagli occhi mortali, abbandonano la loro funzione regale, la partecipazione alle vicende umane fino a raccogliersi nella modestia dei gesti. Pochi anni dividono questi due dipinti. Eppure, lo spazio temporale non giustifica l’abisso della dissonanza. Tra i due, il “Parnaso” (1510 - 1511) della Stanza della Segnatura (Musei Vaticani), l’affresco realizzato da Raffello (1483 - 1520) che mostra dei e mortali uniti nella celebrazione della poesia. Ecco l’anello di congiunzione. Ma è di nuovo un tradimento. Ancora la violenza dell’interpretazione. Il trascendimento della tradizione è, infine, il segno di un passaggio d’epoca. Che fa violenza al passato. A similitudine del processo naturale di nascita e di morte. Nulla permane. Niente è mai assoluto. Nella vita come nell’arte.
24 notes · View notes
abr · 1 year ago
Text
Un fatto straordinario, ha detto Walter Veltroni commentando il Papa entrato e uscito dalla camera ardente di Napolitano senza nemmeno un segno della croce. Lo dico anch'io: è proprio un fatto straordinario. E però in senso opposto: a differenza del Veltroni gongolante su RaiTre lo giudico un fatto straordinariamente negativo. (...) Un tempo lo facevano tutti e adesso non lo fa nemmeno il Papa. Non mi piace fare la parte dell'apocalittico, è un ruolo ingrato, ma se quanto accaduto nella camera ardente del Senato non evidenzia lo stato agonico del cattolicesimo romano ditemi voi. Per Veltroni la fissità bergogliana testimonia il «grande rispetto del pontefice nei confronti delle istituzioni di questo Paese». L'ex capo del partito democratico sembra dunque confondere il segno della croce con la pernacchia. (...) Un Papa così inerte è sconfortante per tutti i fedeli. Starsene impalato davanti a una bara è un venir meno alla propria missione, assegnata da Gesù a Pietro (e dunque ai suoi successori) durante l'Ultima Cena: «Conferma i tuoi fratelli». Un Papa che davanti alla morte si mostra senza parole né gesti non conferma: smentisce. Forse è stato ultra rispettoso verso l'ateo morto, di sicuro è stato poco riguardoso verso i cristiani vivi (...). In ogni tempo i grandi pensatori cristiani hanno assegnato grande valore al segno della croce. Per Tertulliano bisognerebbe farselo «ad ogni passo, quando si entra e quando si esce, nell'indossare i vestiti, a tavola, nell'andare a letto...». Per Ratzinger è nientemeno che «la sintesi della nostra fede». Invece il video del Papa immoto e silenzioso al Senato mi è sembrato una sintesi dell'agnosticismo costituzionale. E mi ha fatto venire in mente una poesia poco allegra di Cesare Pavese, quella che finisce così: «Scenderemo nel gorgo muti». Vade retro! Gesù nel Vangelo di Matteo ci esorta a fare l'esatto contrario: «Gridatelo sui tetti!». Lui che da quindici secoli fa il segno della croce nel mosaico di Sant'Apollinare in Classe.
definitivo Langone si staglia a 20 mila metri di altezza sopra al pensiero poverissimo dei poveri Veltroni, via https://www.ilgiornale.it/news/politica/com-triste-vedere-francesco-inerte-davanti-morte-esultano-ex-2215492.html
ps.: sul papa mezzo buja nen mezzo arghentino e non solo su di lui, il severo ma giusto giudizio di sintesi lo offre il nostro Javier MILEI.
23 notes · View notes
beneconsiglia · 8 days ago
Text
Tumblr media
"Somigli al cielo all’alba. Questa è la tua essenza."
Lo dicevi con parole che fiorivano sul silenzio.
Le tue dita tracciavano costellazioni
sulla pelle della mia schiena
e il tuo sguardo mi attraversava come un’onda
senza tempo, senza fine.
Mi raccontavi di te
ma ogni frase sembrava nascere lì
tra le curve del nostro abbraccio.
“Io sono adesso,” dicevi
mentre il tuo respiro si fondeva nel mio.
E mentre il tuo corpo cercava il mio
sentivo il tuo essere diventare radice
terra che mi cresceva dentro.
Tu eri l’origine
io il tuo primo battito
la tua poesia mai scritta.
©Consiglia
3 notes · View notes
princessofmistake · 22 days ago
Text
Tumblr media
"La poesia più breve è un nome." Che pensiero curioso. Considerare che un nome, una sola parola, può racchiudere così tanto — eppure così poco. Forse è la forma più pura di poesia, distillata alla sua essenza. Un nome è un segno, un simbolo, un suono. Ma in quel suono fugace si nasconde l'intera storia di una persona, di un luogo, di un'idea. Prendiamo, ad esempio, le opere senza tempo di Shakespeare. Si potrebbe sostenere che Shakespeare, in tutto il suo genio, abbia compreso il potere di un nome meglio di chiunque altro. Romeo e Giulietta: quei due soli nomi, pronunciati nel silenzio di un teatro, suscitano emozioni. La faida tra i Montecchi e i Capuleti non è semplicemente una faida di famiglie, ma di identità, di nomi che racchiudono in sé generazioni di significati, amore e dolore. Giulietta dice: “Cosa c'è in un nome? Quella che chiamiamo rosa con un altro nome avrebbe lo stesso profumo”. Eppure, nonostante la sua protesta, il nome Montecchi ha ancora un peso. Non è solo una parola; è un lignaggio, un fardello, un'eredità. Lei lo sa, Romeo lo sa. E ad ogni pronuncia dei loro nomi, sentono sia l'attrazione del destino che il peso della storia. L'etimologia stessa della parola nome è affascinante. Dall'inglese antico nama, derivato dal protogermanico namô, risale ancora più indietro al protoindoeuropeo nomen, che significa “nominare” o “chiamare”. Il nome, nella sua forma più antica, era un richiamo, un modo per evocare qualcuno o qualcosa. Era un potere, e con il potere arrivava l'identità. Diventava un legame, un filo che collegava gli individui alle loro comunità, ai loro antenati, al loro destino. Che cos'è allora un nome? È molto più che un accozzaglia di lettere. È una rivendicazione. Un nome è un dono, ma a volte sembra più una condanna. Nei nostri nomi ereditiamo eredità di amore, ma anche di conflitti, di aspettative. Dal momento in cui ci viene dato un nome, esso inizia a plasmarci. Diventa parte del nostro paesaggio emotivo. Ci cresciamo dentro, o a volte ci ribelliamo ad esso, cercando di ridefinire chi siamo a prescindere da esso. In un certo senso, i nomi sono uno specchio. Ci riflettono chi siamo e chi siamo destinati a essere. Ma sono anche in continua evoluzione, perché il modo in cui ci chiamiamo, in cui ci rivolgiamo, definisce il modo in cui siamo visti. Considerate le emozioni che si provano intorno a un nome: l'emozione di sentire qualcuno pronunciare il vostro nome con amore, il dolore quando viene pronunciato con rabbia. C'è potere in un nome che viene sussurrato, che viene gridato, che viene scritto in una lettera, che viene inciso nella pietra. Ma forse il vero peso di un nome deriva dal suo legame con qualcun altro. Quando chiamiamo un altro per nome, lo riconosciamo. Convalidiamo la sua esistenza. Il semplice atto di pronunciare il nome di qualcuno ci lega in un modo che le parole da sole non possono fare. E cosa c'è di più poetico di questo? Un nome, la più breve delle poesie, è un ponte tra i cuori, un riconoscimento di chi siamo in relazione gli uni agli altri. Le grandi tragedie di Shakespeare ce lo ricordano. I nomi Amleto, Ofelia, Macbeth, Lear: ognuno è un filo di un complesso arazzo di emozioni, legami e conseguenze. Ma forse, alla fine, ciò che conta davvero è il nome che ci lasciamo alle spalle. Non perché durerà per sempre, ma perché è stata la poesia che abbiamo vissuto, quella che abbiamo portato con noi, che abbiamo sussurrato sulle labbra di chi abbiamo amato e che abbiamo impresso per sempre nel mondo che abbiamo toccato. Quindi, sì, la poesia più breve è un nome. È una poesia che, una volta pronunciata, può riecheggiare attraverso il tempo, attraverso le generazioni, attraverso i cuori.
5 notes · View notes
amore-perso · 1 year ago
Text
Era una sera invernale come tante, fuori era innevato e lui, un ragazzo che per tanti, troppi anni, aveva fatto parte della mia vita, a intermittenza s'intende, mi invitò a casa sua, accettai. Non è mai stato uno che soffriva il freddo, girava a maniche corte e pantaloncini, io, invece, rimasi con il cappotto anche una volta entrata al caldo, ero congelata. Voleva alleggerirmi e mi accese la stufa al massimo, mi riscaldai subito e appena appesi il cappotto alla sedia notai il suo sguardo addosso: mi guardava come non faceva da tanto, si sorprese della mia bellezza, che io percepivo sempre come minima. Quella sera ero struccata e scompigliata dopo una lunga giornata di lavoro, mi percepivo come orrenda, ma il suo sguardo mi mise a mio agio, mi calmai e non pensai più a nient'altro. Parlammo, ridemmo e scherzammo, si fece tardi, un po' troppo per tornare a casa, io ero così stanca che mi si chiudevano gli occhi, motivo per cui mi offrí il suo letto, uno di quelli piccoli, per gli ospiti, in una cameretta che forse una volta era stata la sua, piena di orsacchiotti e peluche. Lo ringraziai e cominciai a disfarlo, pronta per mettermici dentro per stare calda e morbida. Dietro di me vidi un'ombra, era lui, appoggiato alla porta che mi fece segno di mettermi a letto, "forse ricorda dei miei problemi ad addormentarmi e cerca di farmi rilassare il più possibile" pensai. Era solito venire a casa mia per farmi addormentare nelle notti in cui non riuscivo ad affrontare l'insonnia: mi abbracciava, mi raccontava una storia e andava via, lasciandomi dormire tranquilla. Pensai che quella sera il suo intento fosse lo stesso perché si mise accanto a me e mi abbracciò da dietro, gesto che ho sempre amato dato che mi faceva sentire protetta. Non parlò, allora mi preoccupai e gli chiesi il motivo di tanto silenzio, lui amava parlare, non dei suoi pensieri, sentimenti o emozioni, ma di molte cose in generale sì. Mi rispose che si stava concentrando su ciò che sentiva "e cosa senti?" -gli chiesi pronta- "cerchi sempre di indagare su ciò che pensano gli altri, perché non me lo dici tu?". Rimasi di pietra, io non provavo nulla. Non provavo nulla perché avevo provato troppo per lui in passato ed era sparito spesso ogni volta che io mi ero lasciata andare nei suoi confronti, ritornando poco dopo cercando di riconquistarmi. Era il suo intento ogni volta, per cui poteva funzionare massimo due volte, non di più, motivo per cui ogni volta rimanevo disponibile per lui senza mai farmi coinvolgere totalmente, perché mi piaceva passare il tempo in quel modo, a flirtare con lui, sentirmi desiderata e sfidarlo in continuazione senza sentirmi oggetto del suo piacere, ma giocando al suo gioco.
Si schiarí la voce- "non ti sembra pazzesco questo nostro stuzzicarci? Continuiamo a corteggiarci come il primo giorno a distanza di 10 anni" -rimasi sorpresa ma ancora in silenzio, ero troppo stanca per avere la mia solita capacità di rispondere a tono anche a qualcosa di così semplice e continuò- "quando ho saputo che eravamo nella stessa città ho fatto di tutto per vederti perché sentirti è l'unico regalo che voglio". Approfittai di questo appiglio per fargli notare che un regalo è qualcosa che si dona totalmente perché poi appartiene a quella persona, di risposta "e tu a chi vuoi appartenere?". Cominciò a diminuire il sonno e in tono dissi "a chi mi sappia tenere", ed ecco che cominciava il nostro flirt fatto di botta e risposta in tono di sfida quando lui disse "ho dei lacci morbidi, meravigliosi fatti di rispetto, eros, feeling, fiducia e poesia...". Era tutto vero, lui era tutto quello, la fiducia mancava da parte mia, ma quelle erano le sue qualità, mi accendeva un fuoco dentro e la mente si fermò subito all'aggettivo morbido. Quanto mi conosceva, ricordava del mio tenere senza stringere, lacci morbidi, appartenere senza togliere libertà, poesia, pensieri... La conversazione, l'intimità di parlare a letto abbracciati, la tranquillità della notte e del sonno che mi cullava, tutto mi stava inebriando e lui lo notava "non è meraviglioso che dopo anni tu ti sorprenda ancora delle mie frasi?" - "è solo perché sono attenta ai dettagli, sono quelli che mi sorprendono" - "ed è questo che ti rende speciale"- cominciò con il suo essere classicista- "sai cosa significa speciale?" - "so che vuoi spiegarmelo tu con le tue parole" - "ma le mie parole hanno un effetto particolare su di te". Anche qui aveva ragione, le parole avevano un potente effetto su di me, mi davano un input da cui partire con la fantasia e la mia mente ci lavorava a più riprese rendendole eterne. "Non vorrei sprecare tutto ora" -continuò- "puoi considerarlo come l'amo che mi farà abboccare anche questa volta" -gli dissi- "peccato che resto infilzato io" -rispose. Non avevo mai notato la sua fragilità, in quella frase si mise a nudo, è come se avesse gettato la sua armatura fatta di flirt, sfide e risposte a tono per parlare seriamente.
Continua...
11 notes · View notes
pier-carlo-universe · 1 month ago
Text
Michail Jur’evič Lermontov: Il Poeta del Romanticismo Russo e della Solitudine Eterna.
Michail Jur’evič Lermontov (1814-1841) è una figura centrale nella letteratura russa, considerato il successore naturale di Aleksandr Puškin.
Un genio tragico della letteratura russa del XIX secolo.Michail Jur’evič Lermontov (1814-1841) è una figura centrale nella letteratura russa, considerato il successore naturale di Aleksandr Puškin. Le sue opere riflettono profondamente le complessità dell’animo umano, la solitudine esistenziale e il desiderio di libertà, rendendolo una delle voci più distintive del Romanticismo. L’infanzia e la…
0 notes
gianlucadandrea · 1 year ago
Text
SPECCHI E SPIRALI: UN DIALOGO TRA GIANLUCA D’ANDREA E LUCIANO MAZZIOTTA
Su Poesia del nostro tempo un dialogo tra me e Luciano Mazziotta partendo da Nella spirale e Sonetti e specchi ad Orfeo. Immagine di Alexey Titarenko Gianluca: Ciao Luciano, stavo rileggendo i tuoi sonetti-specchio e più mi inoltro più penso che la tua voce mi risuoni dentro. E non credo sia solo la Sicilia, penso alla dimensione convulsiva del pensiero, al ribollire del logos e al conseguente…
Tumblr media
View On WordPress
1 note · View note
mucillo · 1 year ago
Text
Lettera di Natale di Franco Arminio
Tumblr media
Natale e i giorni che lo circondano sono una spina feroce per i dolenti. Il Natale dei vecchi nelle case di cure, il Natale dei carcerati, il Natale negli ospedali. Ma questi giorni sono feroci anche per chi sta a casa e ha la stanza del figlio vuota, il figlio morto a Natale diventa un ferro rovente che ti rovista il cuore. Il Natale di chi sta a casa e sente che è passato troppo tempo e non hai più venti anni e nemmeno quaranta. Il Natale dei bambini circondati da merci più che da da persone, il Natale degli scapoli, quelli che quando tornano a casa la sera sentono il vento che fischia dietro la porta e non ti viene voglia di spostare un bicchiere, di lavare un piatto. Il Natale degli amori sgretolati, delle diffidenze, delle bugie che diciamo agli altri e a noi stessi. Il miserabile Natale di chi ha successo e ne vuole avere ancora di più, il Natale dei delinquenti che prima o poi saranno scoperti, il Natale di chi è stato lasciato e di chi non è stato mai trovato, il Natale del fegato malato, del dente guasto, il Natale degli occhi gonfi, il Natale delle rughe, dei capelli caduti, il Natale di chi non si ama più e di chi non ha amato mai.
Una festa così dovrebbe essere una grande occasione di federare le nostre ferite, dovrebbe essere la festa della verità su chi siamo e su chi vorremmo diventare, da soli e assieme agli altri. E invece abbiamo delegato il nostro dolore ai dolciumi, come se un torrone potesse essere l’avvocato della nostra ansia, un panettone il muro contro l’angoscia.Natale dovrebbe essere il tempo della poesia. La poesia al posto della tombola, la terna di Leopardi, la quintina di Dante. La poesia serve a spiegare la disperazione e a far fiorire la gioia, tutte e due le cose assieme. La poesia serve a lasciare un poco di vuoto dentro di noi, serve a tenere spazio per il ritorno dei miracoli.Nella giostra orrenda delle merci ci siamo dimenticati che in fondo Natale è la festa dei miracoli.
19 notes · View notes
susieporta · 2 months ago
Text
Dieci di Spade
"L'imperativo categorico: -Si fa così!-".
L'impotenza è acquisita.
Nessuno nasce "ferito".
Nessuno vorrebbe ritrovarsi a vivere la propria vita "per qualcun altro", tentando di allentare, dominare, alleggerire il dolore, la paura, la morte di chi lo circonda.
Ma le memorie familiari e i codici di alleanza antichi sono potenti nel nostro Corpo. Ci direzionano, ci strattonano, ci avvolgono nella pesante sensazione di non essere liberi.
Su questo piano di Coscienza, l'individuo è schiavo, è inerme, è impotente. E si sacrifica per amore. Senza nemmeno averlo consciamente scelto.
Il "potere volitivo" è annullato. Non abbiamo una terra, un luogo fisico e spirituale, non abbiamo diritto all'esistenza se non in funzione dell'obbedienza e del sacrificio estremo.
E se proviamo a "sottrarci", il cappio ci riporta indietro. E rischiamo di morire "strangolati".
Per noi è tutto reale. Noi davvero "funzioniamo" in rappresentanza di queste credenze. Anche se è un illusione. Anche se è una credenza. Anche se è puro sortilegio.
L'Amore muove il Mondo.
Non il Dolore.
Ed è per questo che sentiamo l'incongruenza degli schemi del Passato. E' per questo che soffriamo.
Perché ciò che stiamo vivendo, se genera dolore, ansia, disagio o terrore, non è sano. Non è allineato alla naturalità dell'Essere, alla sua condizione originaria, al suo reale funzionamento interiore.
La "naturalità" è la Libertà.
Nessuno è schiavo di nessuno. Nessuno si sostituisce a nessuno. Nessuno si immola per nessuno.
Ciò che è rotto nell'altro, non si ripara. Non è nostra responsabilità farlo. Non è il nostro sacrificio che porterà un cambiamento nella condizione dell'Altro.
Non si perde più tempo a "spiegare".
Nel nostro Cuore oggi c'è un nuovo monito interiore da portare nella Materia e nelle Relazioni: "Si fa così".
Ed è un atto volitivo sentito, autonomo, originale, unico e allineato con la nostra origine.
"Si fa così".
Non c'è un altro modo.
"Perché?" - potrebbero chiedere gli altri -
"Perchè questa è la mia autentica volontà e questo è il mio territorio".
La Spada.
L'atto perentorio nella Materia.
Non ci sono più: "Ma... però".
Non sono contemplati nella Verità del Cuore i "però".
Ci sono solo "scelte allineate ed energicamente coerenti".
Novembre ha ristrutturato e maturato la nostra Struttura vibrazionale.
Non dobbiamo più spiegazioni a nessuno.
Non serve più discutere, colludere o patteggiare con chi non vuole sentire.
Seppur la vista è buona, nell'Altro il Cuore potrebbe essere chiuso e le orecchie tappate.
Non è necessario spendersi energeticamente per "farsi comprendere" o "ricevere benedizione" per i prossimi movimenti di scelta e di azione.
E' già stato detto tutto.
Ora si può andare. Con o senza chi credevamo volesse crescere insieme a noi, amarci e vederci felici e realizzati.
Oggi il timone della "Direzione emozionale" è nuovamente nelle nostre mani.
Nessuno potrà farci più sentire "meno".
Oggi il Cuore della Vita ritorna a battere "per noi".
L'Autunno caldo sta esaurendo la sua sconvolgente e potente spinta alla trasmutazione.
L'Inverno bussa alle porte del Cuore, a sedimentare e proteggere l'immenso movimento energetico di Rivoluzione interiore.
Saranno mesi profondi, commoventi.
Di sentita e definitiva chiusura.
Di commiato con il nostro Antico Mondo.
Non più espresso attraverso la negazione, la condanna, il rancore, la rabbia o il conflitto. Ma con sincera gratitudine e riconoscenza.
Il Passato oggi finalmente si illumina di "sacralità".
E può riposare in pace. Nello struggente silenzio della Terra degli Avi, sepolto ai piedi degli alberi di pesco sfioriti, nella delicata poesia della brezza invernale.
Mirtilla Esmeralda
4 notes · View notes
vento-del-nord · 3 months ago
Text
Tumblr media
La poesia serve a regolare il battito del nostro polso con il battito che la luce fa sulle foglie, sulla cresta del mare, negli occhi di chi dorme, sul sorriso che porta l'alba.
La poesia serve a fare il giro del mondo in una parola, a scrivere quello che i centimetri dicono.
La poesia serve a misurare la distanza che il tempo crea.
La poesia serve a fare leva con una piuma.
La poesia non serve a niente fino a quando non ti salva la vita.
(Giuseppe Semeraro)
6 notes · View notes