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#Nulla dies sine linea
albannikolaiherbst · 8 months
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Das Arbeitsjournal des Montags, den 29. Januar 2024. Mit Rückblick auf den dritten Bamberger Lehrauftragssonnabend, bahnstreikbegründet diesmal in Zoom. Norbert W. Schlinkerts Blogbuch und Sappholieder 11 darin. Außerdem Rumiz' Europa, Zitate 2.
[Arbeitswohnung, 10.16 Uhr] Schlinkerts gestrigem Geburtstagsbrunchs halber noch nicht so richtig arbeitsfähig; am “Brunch” an sich liegt’s aber nicht — doch gab es gute Whiskys … Sie und meine Raucherei selbstverständlich bescherten mir, von draus’ vom Walde komm ich her, eine schwierige Nacht. (Nulla dies sine linea, ff). Klar, daß ich immer noch nicht essen kann, also heute, und dummdas. Aber…
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elucubrare · 7 months
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The first part of a Latin tag popped into my head, as often happens - nulla dies sine…, no day without something, but I couldn’t for the life of me remember what that something was, so I googled it & found that it was nulla dies sine linea, no day without a line (without writing), and Pliny the Elder had somehow found a way to guilt-trip me from beyond the grave.
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fabiansteinhauer · 4 months
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Kurosawas kurvigster Film
RAN (Tumult/ seditio) ist nicht der erste und nicht der letzte Film von Kurosawa, er ist der kurvigste Film. Kein Zug, der keine Kurve macht - die Truppen und Formationen lässt Kurosawa fast in jeder Einstellung in Kurven durch das Bild ziehen. Er spannt das Trajekt wie einen Bogen, wie Warburg die Züge im iota von Tafel 79, dem Scharnier, fasst.
Der Krieg bringe die Leute zusammen, das Recht sei Streit und bringe auseinander: Das legt Carl Schmitt in einer Passage mit einer Übersetzung von Heraklit nahe. Krieg und Recht seien Streit, die Kunst bringe zusammen, das wiederum erzählen Anwendungen des Dogmas großer Trennung und funktionsgerechte Fragmentierungslegenden.
Kurosowa lese ich wie Warburg, als jemand, der Kontraktion und Distraktion durchdenkt und durcharbeitet, an allen Stellen und in allen Details. Kurosawa und Warburg lassen mich nicht an Fragmentierung glauben. An Kontraktion und Distraktion muss ich nicht glauben, die nehme ich auch so wahr. Man muss Fragmentierung nicht widerlegen, in ihrem Bezug zur Totalität ist die Vorstellung von Fragmentierung eine Technik, Referenzen groß zu machen. Man bricht Berichte ab schneidet Zusammenhänge - und so lädt man etwas vor Augen, wo es absolutiert erscheint. Wo Fragmentierung sein soll, da sind neue Systeme und neue Verfassungen nicht weit. Dem gilt meine Forschung nicht. Nulla dies sine linea: Kein Tag und Nacht ohne Linie, keine Linie ohne Welle, keine Welle ohne Kippen, keine Kippen ohne Schlingen, kein Schlingen ohne Falten.
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Da: SARA’ DIPINGERE! - di Gianpiero Menniti 
L'URLO
Una frase, tratta dal “Libro della sapienza”, ripresa in un fregio del Museo Casa Giorgione, a Castelfranco Veneto, consciamente o inconsciamente sembra essere stata assunta da Maria Casalanguida come motto di vita: 
“Umbrae transitus est tempus nostrum”, “Il passaggio di un’ombra è il tempo che ci è concesso in questa vita”.
La qualità dell’atto estetico “finito” è interamente concentrata in un bagliore d’infinitezza raccontata dalla forma. Questo è il profondo senso “religioso” che scaturisce dalle opere dell’artista. Se è così, come avrebbe potuto Maria Casalanguida accettare l’angustia dell’espressione figurativa?  No, quello era un luogo insufficiente per aprire varchi verso l’infinito, una gabbia che fin dall’inizio l’artista tendeva a superare attraverso una visione sintetica delle relazioni tra gli oggetti, liberandosi del fardello realistico per giungere direttamente fino alla chiarezza del sentimento, fino alla parola sfrondata dal velo dei dettagli e delle digressioni. Un esempio mirabile è “Commiato” del 2010. Il dipinto evoca una perdita.  Grave, definitiva. Si tratta di una persona assai cara all’artista. La perdita si risolve in un urlo che devia la simmetria delle linee, un urlo che non può superare la barriera del tempo, la sua manifestazione attraverso geometrie di flussi marcatamente in contrasto. Flussi che operano all’infinito.  Dinamismo della separatezza. Dinamismo della necessità. Senza che possa escludersi, tuttavia, la traccia del dolore. Nella sua finitezza. Nel suo essere atto improvviso. Nel suo risolversi nella finitezza di un transito. Ecco la domanda: quale forma figurativa potente (qui si può pensare solo a Edvard Munch con il suo “Urlo” conservato nella Galleria Nazionale di Oslo) avrebbe potuto emergere da un sentimento così profondo, al quale la stessa autrice non avrebbe saputo dare parole? Ed è in questo modo di trattare l’oggetto astratto che, a mio giudizio, Maria Casalanguida supera l’aporia tra la rappresentazione figurativa e la presentazione della forma-sentimento, della forma-infinito. Quello che Picasso rifiutò, il darsi completamente all’astrattismo, l’abbandonare definitivamente la forma in figura, in Maria Casalanguida è passaggio guidato dall’inconscio che permette all’opera di farsi essa stessa presentazione di un inconscio proprio, forse inappellabile, perennemente nascosto.
- Maria Casalanguida: "Commiato", 2010, collezione privata
- Sulla copertina del libro: Maria Casalanguida, "Nulla dies sine linea", 2010, collezione privata
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her-moth · 2 years
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‘The Writer’s Technique in Thirteen Theses’, Walter Benjamin, 1928
Anyone intending to embark on a major work should be lenient with himself and, having completed a stint, deny himself nothing that will not prejudice the next.
Talk about what you have written, by all means, but do not read from it while the work is in progress. Every gratification procured in this way will slacken your tempo. If this regime is followed, the growing desire to communicate will become in the end a motor for completion.
In your working conditions avoid everyday mediocrity. Semi-relaxation, to a background of insipid sounds, is degrading. On the other hand, accompaniment by an etude or a cacophony of voices can become as significant for work as the perceptible silence of the night. If the latter sharpens the inner ear, the former acts as a touchstone for a diction ample enough to bury even the most wayward sounds.
Avoid haphazard writing materials. A pedantic adherence to certain papers, pens, inks is beneficial. No luxury, but an abundance of these utensils is indispensable.
Let no thought pass incognito, and keep your notebook as strictly as the authorities keep their register of aliens.
Keep your pen aloof from inspiration, which it will then attract with magnetic power. The more circumspectly you delay writing down an idea, the more maturely developed it will be on surrendering itself. Speech conquers thought, but writing commands it.
Never stop writing because you have run out of ideas. Literary honour requires that one break off only at an appointed moment (a mealtime, a meeting) or at the end of the work.
Fill the lacunae of inspiration by tidily copying out what is already written. Intuition will awaken in the process.
Nulla dies sine linea [‘No day without a line’] — but there may well be weeks.
Consider no work perfect over which you have not once sat from evening to broad daylight.
Do not write the conclusion of a work in your familiar study. You would not find the necessary courage there.
Stages of composition: idea — style — writing. The value of the fair copy is that in producing it you confine attention to calligraphy. The idea kills inspiration, style fetters the idea, writing pays off style.
The work is the death mask of its conception.
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languagestoday · 4 months
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"Nulla dies sine linea" is a Latin phrase meaning "no day without a line." It originates from Pliny the Elder's "Natural History" where he describes the Greek painter Apelles, who would not let a day pass without drawing at least one line. This phrase has been adopted by various artists and writers as a metaphor for daily practice and discipline in their craft.
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afnews7 · 5 months
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"NULLA DIES SINE LINEA!" - Cit. Plinio il Vecchio
“NULLA DIES SINE LINEA!” Stamane, ciancicando la rubrica “ricordi” di FB mi sono imbattuto in un disegno del 2012 che redassi in uno stile leggermente diverso dal mio solito… ——- Mi piace tuttora e ve lo ripropongo in guisa di memento, assieme ad un mio disegno nel solito stile, acciocché ricordiate che – in caso di necessità – pure il mio “modus fumettandi” può variare ( tenendo fermi humor &…
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lunamarish · 5 months
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Circa la scrittura
Continuo a scrivere le mie storie sul quaderno a righe.
C’è un’andatura lenta della scrittura a penna che si è adattata al ritmo delle frasi. Mi aiuta il suo fruscìo che va a brevi scatti, come la lucertola nell’erba. La successiva stesura dattiloscritta è una ricopiatura, mai potrebbe essere la prima stesura.
Anche questa pagina è ribattuta da quanto uscito dall’inchiostro a penna, nell’ora buia che precede il giorno.
“Nulla dies sine linea”, nessun giorno senza una linea: sembra il motto di chi scrive. Non è il mio caso, non mi prescrivo dosaggio di righe quotidiane. Ma la frase riportata da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, non si riferisce a uno scrittore. L’avrebbe detta Apelle, pittore greco del quarto secolo a.C.
La frase si addice alla pittura e anche alla musica, arti che necessitano di esercizio quotidiano.
Chi scrive righe può stare senza, che non è aspettare l’ispirazione, ma è distogliersi, mettersi di lato a far passare un giorno e un altro pure senza aprire il quaderno.
Quanto ad Apelle, ritenuto eccelso, delle sue opere non è rimasto nulla. Solo le lodi scritte su di lui si sono tramandate.
In questo riconosco una più solida consistenza della scrittura rispetto all’immagine.
Erri De Luca
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l8totheparty · 9 months
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More linocut practice from a few days ago. 2x4", scrap denim.
"Nulla dies sine linea", "not a day without a line drawn"-- apparently the motto of ancient Greek artist Apelles, according to Pliny the Elder (and Wikipedia). I was just looking for something cool to print, but the phrase has really stuck with me. Remembered to flip my design this time.
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silviascorcella · 10 months
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Antonio Marras a/i 2017: elogio dell’ornamento che narra l’identità oltre il tempo
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Un flâneur singolare, squisitamente unico nel suo genere, viaggiatore che vaga irrequieto e insaziabile in mondi sospesi sulla realtà, affollati di storie che attendono solo di essere narrate. Storie racchiuse in oggetti riemersi e ritrovati dal tempo che fu, in ricordi antichi ed ancora limpidi tramandati giù per lo scorrere delle generazioni, in racconti che appartengono alla terra propria, quella dell’isola sarda, e a quelle lontane ma mai estranee: storie accovacciate in punta di una penna mai stanca di tradurre sul foglio le immagini plasmate dalla fantasia; in punta di mani sapienti, sempre immerse nell’opera sartoriale di dar loro concretezza tattile nella stoffa viva e nei decori accumulati, perciò inconfondibili.
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Antonio Marras, rigattiere istintivo e sofisticato della materia e della memoria, che mescola al richiamo forte dell’arte come via prediletta d’espressione, ed impasta assieme alla moda come linguaggio fondamentale di bellezza: non appartiene ad un’unica categoria, bensì al fascino irresistibile ed intenso dello sconfinamento tra le arti e alla profondità della passione a plasmarne le contaminazioni in creazioni di stile da indossare. E tale alchimia accade nuovamente e felicemente con la collezione a/i 2017-2018!
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Ogni collezione da sempre racconta una storia diversa: come fosse un gioco di specchi e riflessi da caleidoscopio, quella dedicata al prossimo inverno, come suggerisce il titolo “Haunted”,si compone di varie presenze, ovvero narrazioni che han preso vita in tableaux-vivants in bilico perfetto tra performance teatrale, installazione d’arte e, per l’appunto, presentazione di moda. Scene interpretate da modelli e attori che hanno abitato le ampie stanze della Triennale di Milano. Proprio quelle che, fino allo scorso 21 gennaio, hanno ospitato la mostra antologica dedicata allo stesso Marras: “ Nulla dies sine linea. Vita, diari e appunti di un uomo irrequieto”.
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Sullo sfondo, un fil-rouge che dalla vita artistica dello stesso Antonio Marras, già in mostra, si apre in un abbraccio alla vita creativa del regista ed artista armeno Sergej Iosifovic Paradžanov, anche lui custode dell’arte di mescere le discipline per sublimarne le realizzazioni in opere che agganciano lo sguardo con la forza pittorica mentre rapiscono il pensiero con la potenza evocativa.
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L’ispirazione parte da qui: da una mostra parigina dedicata al regista che Antonio Marras visitò dieci anni fa, e la cui folgorazione s’innesta nell’immaginario visionario fino a declinarsi, generosa, in un carosello di creazioni maschili e femminili che sintetizzano nella bellezza il penchant di entrambi per quell’approccio da cantastorie di realtà, fatta di oggetti della quotidianità passata, di suggestioni pittoriche, di memorie intime eppur collettive che sfumano nella fiaba sognante, ma con le radici ben aggrappate alla terra madre.
Ed ora, prendiamo l’ensemble appena illustrato e decliniamolo nel linguaggio di poesia stilistica che di Marras è tratto d’identità inconfondibile: ed in un’atmosfera sospesa tra allure retrò e contemporaneità d’intenti si riconoscono le sovrapposizioni di tessuti opulenti e le incrostazioni di decori preziosi, i brandelli di materiali recuperati che prendono una vita nuova, le applicazioni e i ricami che si posano frementi ovunque, dai cappelli alle décolleté, sui colli ampi dei cappotti da uomo e i bomber, sui giubbotti di pelle e sui pizzi sensuali dei vestiti di lei.
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Ed ancora, gli accostamenti inusuali che diventano affinità elettive: i completi maschili da uniforme di soldati e gendarmi d’antan e la fluidità lasciva degli abiti femminili, il rigore delle camicie e le trasparenze suggerite, le fantasie floreali che dalla delicatezza man mano esplodono in collage eclettici, gli ori metallici e e i jacquard solenni, i kilt scozzesi e lo chiffon cosparso di ornamenti, le ruches, le balze, i fiocchi. L’ornamento che è segno d’identità, di dichiarazione salvifica d’eccentricità!
Silvia Scorcella
{ Pubblicato su Webelieveinstyle }
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ainavisa · 10 months
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THE WRITER’S TECHNIQUE IN THIRTEEN THESES. By Walter Benjamin.
Anyone intending to embark on a major work should be lenient with himself and, having completed a stint, deny himself nothing that will not prejudice the next.
2. Talk about what you have written, by all means, but do not read from it while the work is in progress. Every gratification procured in this way will slacken your tempo. If this regime is followed, the growing desire to communicate will become in the end a motor for completion.
3. In your working conditions avoid everyday mediocrity. Semi-relaxation, to a background of insipid sounds, is degrading. On the other hand, accompaniment by an etude or a cacophony of voices can become as significant for work as the perceptible silence of the night. If the latter sharpens the inner ear, the former acts as a touchstone for a diction ample enough to bury even the most wayward sounds.
4. Avoid haphazard writing materials. A pedantic adherence to certain papers, pens, inks is beneficial. No luxury, but an abundance of these utensils is indispensable. 
5. Let no thought pass incognito, and keep your notebook as strictly as the authorities keep their register of aliens.
6. Keep your pen aloof from inspiration, which it will then attract with magnetic power. The more circumspectly you delay writing down an idea, the more maturely developed it will be on surrendering itself. Speech conquers thought, but writing commands it.
7. Never stop writing because you have run out of ideas. Literary honour requires that one break off only at an appointed moment (a mealtime, a meeting) or at the end of the work.
8. Fill the lacunae of inspiration by tidily copying out what is already written. Intuition will awaken in the process.
9. Nulla dies sine linea [‘No day without a line’] — but there may well be weeks.
10. Consider no work perfect over which you have not once sat from evening to broad daylight.
11. Do not write the conclusion of a work in your familiar study. You would not find the necessary courage there.
12. Stages of composition: idea — style — writing. The value of the fair copy is that in producing it you confine attention to calligraphy. The idea kills inspiration, style fetters the idea, writing pays off style.
13. The work is the death mask of its conception.
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albannikolaiherbst · 8 months
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Nulla dies sine linea. Das Bahnstreiksjournal des Freitags, den 26. Januar 2024.
[Ndsl — auch → dafür dienen die Arbeitsjournale. Mir das stets vor Augen halten. Gechmeidig bleiben im Ausdruck. Und aber daran denken, daß nur das „Nur das Schwierige (…) anregend (ist); nur der Widerstand, der uns herausfordert, kann unser Er- kenntnisvermögen geschmeidig krümmen, es wecken und in Gang halten.“ (→ José Lezama Lima)] [Pettersson, Fünfte (Ich hör mich grad von der Sechsten…
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tsukisdiary · 2 years
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my dad reads every night like one line of something and he said to me "nulla dies sine linea" and tbh ive had champagne okay so not my brightest moment but i deadpanned and looked him in the eye before motioning snorting coke and he stared back at me confused for a couple of seconds while i sat there, horrified, before he burst out laughing. im never drinking with my dad again.
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fabiansteinhauer · 2 years
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Tafel A
Nulla dies sine linea. Mehr noch: Kein Tag und Nacht ohne Linie, keine Linie ohne Wellen, keine Wellen ohne Scheitelpunkte, keine Scheitelpunkte ohne Kehren und keine Kehren ohne Schichten und Falten. Auf drei Tafeln (A, B, C) legt Aby Warburg für den Atlas eine Einführung an, die etwas zur Methode der Bilder sagt. Sie liegen auf Bahnen oder Wegen, sie kommen von da und gehen nach dort. Sie verkehren im Raum und in der Zeit, sie sind insoweit im Raum logistische und in der Zeit genealogische Objekte. Dafür präsentiert Warburg auf Tafel A eine astronomische/astrologische Darstellung mit Sternenbildern/ Konstellationen, eine sog. Wanderstraßenkarte und einen Stammbaum. Diese Bilder sind Bilder von etwas (Sternen, Europa, Familien etc.), aber auch Bilder davon, was Bilder sind, indem sie wie Bilder vorgehen. Das Vorgehen ist auf Tafel ein Wandern oder eine Bewegung durch Räume und Zeiten.
Bilder wandern. Mehr noch: Was wandert, das ist ein Bild. Bilder bewegen (sich). Mehr noch: was (sich) bewegt, das ist ein Bild. Diese Bewegungen macht Warburg durch Protokolle fest, das sind immer Bewegungsprotokolle, nicht nur auf Tafel 78, wo er diese Vorstellung in aller Bildlichkeit und aller Wörtlichkeit gleichzeitig vorführt. Die Konstellationen und die Stationen, die Warburg ausmacht, das sind streng genommen alles Pole. Jede Station und jede Konstellation kann einen Pol bilden, denn überall kann sich die Spannung sammeln, erhalten, entladen oder invertieren.
In Warburgs Atlas taucht kein Bild isoliert, vereinzelt, für und an sich auf. Jedes Bild taucht über Verkehrswege mit Bildern davor und/oder Bilder danach auf. Kein Bild, dass nicht ein anderes Bild vor sich oder hinter sich hätte. Kein Bild, dass nicht Teil einer Verkettung oder Assoziation wäre. Warburg legt sogar offen, dass die Bildgebung über Objekte läuft, die nicht nur Bilder sind und nicht nur aus bildlichen Elementen bestehen. Allen voran die Tafel (tabula), die auch im römischen Recht sorgfältig von Pictura und Imago abgegrenzt wird, ist auch Teil der Verkettung, aus der heraus ein Objekt als Bild erscheint.
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SENSI DELL’ARTE - di Gianpiero Menniti 
TRACCE DI MONDO
Egon Schiele (1890 - 1918) è uno dei molti artisti banalmente interpretati da una critica “patografica” che riduce la libertà d’espressione a riflesso della psiche. Così, quest’originale e geniale pittore è stato inteso alla luce delle sue presunte turbe di uomo irrisolto, ossessionato dalle pulsioni, immerso in una soggettività patologica. Ha ragione Massimo Recalcati: letta in quest’ottica, l’arte diventa misera cosa. Ma qui, la sua critica a un forzato psicologismo e la sua visione dell’inconscio dell’opera, proposta d’origine lacaniana, non è sufficiente: conduce fino a una soglia e non l’attraversa. Non può varcarla. Scrive Lacan: 
«Il reale è ciò che resiste al potere dell’interpretazione. Il reale non coincide con la realtà poiché la realtà tende a essere il velo che ricopre l’asperità scabrosa – «inemendabile» – del reale.» 
La sensibilità, estrema, di un artista, corrisponde alla sua capacità di scorgere oltre la realtà delle cose: la sua personalità altro non è che l’espressione di un’epoca intrecciata con una storia personale, crogiolo vivente di molteplici fonti, variamente assorbite, costitutive di una dimensione culturale e sentimentale, infine stagliate su una tela. Anche se l’interpretazione artistica fosse cosciente, questo non implica l’emergere di stati profondi nei quali fonti misteriose abbiano messo radici. Scrivo nel mio “Sarà dipingere!”:  
«L’urto lacaniano è un risveglio che tende ad annullare lo scenario artificioso dell’io: questo risveglio non è più una forma che riflette il soggetto ma un apparire concreto e insormontabile che in un tratto di colore o in un oggetto o in un luogo, rifondano la percezione, la svuotano per fare spazio all’imprevedibile.»
Proseguendo, nello stesso testo aggiungo:  
«La parola manca. Ma non all’arte. Che possiede il fragore di un fulmine muto. Non risponde alla domanda. Ma rende “visibile” il “pensabile”. Un pensabile vagheggiato nel processo creativo e che, poi, all’improvviso, appare. Ed ecco la ragione di un inconscio dell’opera che trascende l’autore. Di qui, il motivo per il quale un’opera d’arte, un dipinto, una poesia, è un enigma che non si lascia mai spiegare fino in fondo, ma può solo essere compreso, solo interpretato. Entro un limite invalicabile. Come il punto ombelicale di un sogno che lo stesso Freud volle risarcire di una muta barriera che nessun acume può violare.»
Se tutto questo è vero, allora neanche Schiele, pur conducendo l’osservatore sul culmine della soglia, può accompagnarlo oltre.  Ma lo lascia attonito al cospetto di una visione sostenibile per tracce: “Il cieco”, tela del 1913 (collezione privata) recupera una rappresentazione simbolica di straordinaria inventiva: la figura di un essere umano senza la vista intorno al quale sorge l’immaginario infinito della sua mente, la proiezione di forme create dal tatto, dall’odorato, dal gusto, dall’udito.  Immagini interpretate, vissute come analogia di memorie conservate, intrise di una sensualità più acuta, di una percezione più complessa. Tracce di mondo. Di un mondo nascosto.  Impetuose e tragiche per l’anelito a una visione impossibile. “Il cieco” reclina il capo.  Come ciascuno di noi di fronte alla soglia che ci separa dal mistero.
- In copertina: Maria Casalanguida, “Nulla dies sine linea”, 2010, collezione privata
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stay-magnetic · 5 years
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[ NULLA DIES SINE LINEA ]
< pas un jour sans une ligne >< 1283 >
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