#Nella sua ombra
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“Nella sua ombra” di Mark Edwards: un thriller psicologico che vi terrà con il fiato sospeso. Recensione di Alessandria today
Segreti, ossessioni e una verità sconvolgente: il nuovo romanzo di Mark Edwards
Segreti, ossessioni e una verità sconvolgente: il nuovo romanzo di Mark Edwards Mark Edwards, maestro del thriller psicologico, ci regala con “Nella sua ombra” una storia avvincente che esplora i lati più oscuri della fiducia e dell’amore familiare. Con un intreccio narrativo serrato e personaggi profondamente complessi, il libro si rivela un viaggio inquietante e coinvolgente verso la scoperta…
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Il postino dei messaggi in bottiglia viveva solo in cima ad un’altura con un albero soltanto a fargli ombra. Tutto il tempo teneva gli occhi fissi sulle onde, in cerca di un luccichio di vetro». Quello del postino è un lavoro che conduce nell’intimità delle persone, bisogna saperlo fare con discrezione e rispetto: si entra nelle vite degli altri ed è necessario farlo in punta di piedi, a maggior ragione se il messaggio è contenuto in una delicata bottiglia di vetro. Grazie ad un retino il postino raccoglie messaggi che sembrano venirgli incontro e poi parte, affinché ogni parola giunga a destinazione. Perché, sapete, chi manda un messaggio in bottiglia spesso sa che il destinatario è molto lontano: «A volte doveva viaggiare finché la bussola non arrugginiva e la solitudine diventava tagliente come una squama di pesce». Ma la fatica è tutta ripagata perché i messaggi che consegnava («il più delle volte») «rendevano le persone piuttosto felici». Che raro e meraviglioso lavoro il suo!
Quotidianamente assisteva a piccole schegge di luminosa felicità: era lui a portarle nella sua tracolla, lui le aveva delicatamente raccolte tra i flutti, lui le affidava gratuitamente a colui al quale erano destinate.
Sarà stato forse contagiato da quelle schegge, perché «tutte le volte che apriva una bottiglia, sperava di vedere il proprio nome campeggiare in cima al foglio», ma puzzava di pesce lui, di sali, «di sogni di marinaio». «Nessuno gli avrebbe mai scritto un messaggio. Però gli sarebbe piaciuto». Finché un giorno nel retino rimane impigliata una bottiglia un con messaggio, ma senza destinatario: «Questo invito potrebbe non arrivare in tempo, ma sto organizzando una festa. Domani alla marea della sera in riva al mare. Per piacere, verrai?».Il postino percorre in lungo e in largo la sua città, interroga i destinatari abituali delle missive, tutti esprimono rammarico e stupore di fronte una lettera così compita, ma nessuno riconosce il mittente. Il postino è addolorato: è la prima volta che non riesce a svolgere il suo lavoro e forse gli pare di aver sbriciolato quella scheggia di felicità che qualcuno gli aveva affidato. Così la sera dopo, stringendo tra i guanti rossi una manciata di conchiglie, si presenta all’invito, per scusarsi. E quando arriva «Eccoti!». L’abbraccio degli amici a cui il postino tante volte aveva regalato la felicità sono tutti lì: erano loro i mittenti della lettera? Hanno solo colto l’occasione? Non lo sappiamo. Sappiamo però che la felicità è contagiosa e non si può fare a meno di chiedere che riaccada:«alla fine quando sorsero le prime stelle e poi la luna, il postino raccolse la bottiglia che non era riuscito a consegnare. “Forse” si disse con la bocca piena di torta, “sì, forse riproverò a consegnarla domani”
Michelle Cuevas
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Sbilanci
C´é un sacco di silenzio, adesso, ancora. Ho sentito mia mamma al telefono e non mi sono riconosciuta in questo mio nuovo tono sempre adulto, nella sua voglia di volare oltre la paura che le porto, che é anche la paura che le faccio. Ho paura perché non funziona più niente, o almeno così a me sembra e sono stanca, mamma, sono così stanca di essere viva. Pensavo di esserlo stata tante volte in passato e non avevo ancora la misura del macigno reale che é la depressione che arriva quando non la puoi imputare proprio a niente, quando la guerra é finita - almeno per me. Non ho più problemi reali, lo vedo. Questo dipende anche dal fatto che il senso del problema nella mia vita da vecchia bambina é una roba del tutto nuova, ed io mi rifiuto di riconoscere il peso di una scadenza di lavoro, di un altro aereo prenotato, delle voci di indifferenza nel sottobosco della vita che ho lasciato in Italia, degli amici che vorrei sentire e che non chiamo, che non mi chiamano. Sono sopravvissuta all´inferno, mamma. Sono sopravvissuta alla fine e al nuovo inizio.
Sabato notte, per esempio, sono andata a ballare. Qui adesso ho una amica, la promessa di una amicizia, con la tenerezza abbacinante di scoprirne le fragilità e farmi dire le mie, la prima di una serie instancabile di you are not bothering me. Ballare mi piace mille volte di più, ora che sono vecchia. Non mi ferma più niente: la solitudine, i mezzi pubblici, avere o non avere soldi e cellulare. Poi ad un certo punto mi addormento, mi risveglio, e sono stanca. Domani devo presentare un lavoro che non ho fatto, e sono stanca. Ho questo appuntamento inutile con l´Università Federico II di Napoli, e mi sale il vomito. Non so se é normale - non so se questa é la norma in casi come il mio, non so molto di cosa succede agli altri quando sopravvivono e non gli frega poi molto di non essere morti, ma gli frega di dovere ancora vivere, stanchi e disgustati.
Giovedì viene a trovarmi la mia migliore amica da Bologna, resta qui da me per quattro giorni. Se ne va il giorno prima che me ne vada via anche io, potenzialmente per sempre, ma non ci crede nessuno (nemmeno io). Il mio contratto scade il ventotto Febbraio, ho preso tutte le ferie che rimanevano per essere a Napoli il ventisette, giorno in cui la sacrosantissima commissione si arrogherà il diritto di darmi qualcosa che é già mio. Forse suona presuntuoso, forse lo é, o magari lo sarebbe se fossimo in un mondo giusto, ma questo mondo non é giusto manco per il cazzo ed io non ho più rispetto da devolvere in favore di chi non ha essenza, di chi non ha cuore da mettersi nella bocca prima di far partire lo sputo. Siamo esseri umani e possiamo odiarci, dobbiamo amarci, ma se proprio devo vivere, allora che stiano fuori dal mio vivere tutti quelli che non si interrogano mai sulla banalità del male.
Ci sono delle cose di cui mi accorgo di vergognarmi. Io la vergogna non me la tollero, quando ne annuso l´ombra parto in una ispezione marziale, e se la trovo la espongo istantaneamente in piazza, per il pubblico ludibrio. You are so kind with other people but you are mean to yourself. Ci volevi tu, dopo due mesi, ci volevate voi a ricordarmelo qui, nella mia vita nuova. Certo che hai ragione. Certo che avete tutti ragione, quando fate pulsare il sangue fin su nello sputo, e allora vi posso amare e vi amo tutti. Ma questa vita nuova, questa vita bella, la amo? No. Non amo la vita. Se la amo adesso non lo vedo, ma devo averla amata, no? Altrimenti averei potuto scivolare quando se lo aspettavano tutti, quando era legittimo. Se scivolassi adesso sarebbero tutti stupiti, non ci sarebbe nessuno a tenermi. Non ci sarebbe stato nessuno neanche allora, ma che importa? Chissà se, annusando l´ombra di una mano ferma dietro alla mia schiena, chissà se a quel punto sarei caduta, chissà come é brutta e bella la pazzia, chissà se morirò presto anche io. Stasera l´idea di essere dimenticata da morta mi é dolce, più aspro é invece il sapore delle mezze misure, e degli amici che mi mancano, verso cui mi sento in colpa, verso cui provo una rabbia smorzata in partenza da una lista di giuste ragioni, una rabbia che non mi serve a niente. Alla fine non mi é mai servito niente, mia mamma lo ha raccontato sempre. Marcella dove la metti la ritrovi, se vuole una cosa non la chiede, lo sa che non deve lamentarsi. Che poi quando sono cresciuta é stato un progressivo ti lamenti sempre, ma ho scoperto che era una bugia, perché lamentarsi fa male all´altro ed io sono so kind with other people.
Ho vinto uno dei progetti che ho presentato al ministero dell´educazione e della ricerca tedesco. Sugli altri due non si sa ancora niente. Questo significa un nuovo contratto, tra una manciata di mesi. Tutti mi dicono che mi vogliono qui stabilmente, che stanno lavorando per concretizzare una proposta adeguata. Io pensavo che non avesse molto senso, ma a quanto pare altri sono passati per questa isola felice e non si sono dimostrati in grado di sostenerne i ritmi e la cultura organizzativa. Io non mi riesco a lamentare di un posto dove una volta al mese sono invitata ad un club organizzato dal mio capo dove mi offrono bibite e manicaretti per riflettere insieme su potere ed appartenenza. Non posso lamentarmi perché si può dire tutto, o almeno io nella mia ingenuità da bambina vecchia dico tutto e mi sento libera. E´ divertente anche perché questo é davvero il mio capo - assunzione diretta - mentre la persona che si attribuiva il ruolo analogo in Italia doveva essere il mio tutor, e le parole sono importanti tanto quanto i contratti e, che lo dico a fare, il punto é sempre la cultura organizzativa e tutto quanto di marcescente si trascina dietro, compreso un meccanismo di resistenza totale ad ogni riflessione che possa favorire il cambiamento. Se c´é una cosa per cui vorrei essere ricordata, da morta, é l´aver promosso quel cambiamento, ma la mia psicoterapeuta me lo aveva chiarito da subito che questo non sarebbe successo. Infatti, non é successo, ma li ho spaventati senza avere mai alzato la voce, e se vi va potete ricordarmi per questo, quando sarà il momento.
Nel frattempo, la depressione, che é depressione nel momento in cui é altro da me - dentro di me - e non posso farci proprio niente, non basta andare a ballare o pensare ad altro. Ho sentito mia mamma al telefono ed ho provato a dirglielo, poverina, é passata subito a commentare le canzoni di Sanremo di questo mio primo festival da italiana all´estero: l´ho guardato tutte le sere che non ho passato fuori a ballare, sul mio divano in prestito mentre su Berlino nevicavano fiocchi bellissimi e mi sono fatta una tenerezza gentile, dolce. Allora a mia mamma ho provato a dire cosa penso a livello musicale dei brani in gara quest´anno, ma le é venuto in mente della tintura per capelli che giorni fa le ho chiesto di spedirmi e si é fatta prendere da questa urgenza. Mamma, sei irraggiungibile. Forse sono io, non lo so, ma mi sembra di non riuscire mai davvero a parlare con te. Forse sono io, mamma, di sicuro sono io che non sono lucida. Scusami, devo andare. Ti abbraccio.
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QUADRI DI CORRADO FRATEANTONIO (http://corradofrateantonio.it/) - Uomini del Sud
Li ricordo da sempre così, con i loro pantaloni scuri, la coppola tenuta bassa per fare ombra, la camicia immacolata e le scarpe grosse, più volte risuolate. Fumavano sigarette senza filtro, MS, le Nazionali verdi o bianche, o le disgustose Sax. Le fumavano lentamente, osservando da dietro le spire del fumo, il mondo che si riassumeva nella piazza principale del paese o nella sua strada più importante, quella dove tutti passeggiavano una volta che il sole calava e il caldo si attenuava. Oppure, in primavera, con il primo sole che scaldava i gradini di marmo della chiesa, o le panchine in pietra chiara della villa comunale, li vedevi arrivare e sedersi sulla pietra calda, dopo un inverno freddo e ventoso. Io, che accompagnavo mio nonno a prendere il suo posto in piazza, in mezzo a parenti ed amici, li osservavo curioso. Studiavo la loro pelle che sembrava cuoio, la barba lunga, le rughe seccate dal sole, i loro sguardi da lupo, i loro sorrisi appena accennati per giudicare, commentare la battuta o la storia di qualche vicino; imparavo da loro quei silenzi con cui pesavano quel mondo che iniziava dove la fiumara finiva e tutte quelle cose straordinarie o strane che lo riguardavano. Valutavano tutto con il loro metro, quasi fossero re col diritto di giudicare senza dar conto a nessuno, perché loro erano la legge, la norma che pesava il mondo. Vi era anche il matto del paese, in un angolo della piazza non perché era un diverso ma in quanto il mondo in cui viveva era troppo grande e spaventosamente straordinario per condividerlo con gli altri. Stava lì con lo sguardo rivolto ad un luogo che esisteva solo dentro di lui, per essere poi richiamato alla realtà da un passante, finendo coinvolto in uno scherzo, in uno sfotto, in una storia da paese. Il nonno conosceva di tutte le persone che sedevano con lui, tutte una vite, fatte di una dignità che nasceva dalla fatica infinita nei campi, da dolori vinti e rinchiusi dentro la loro anima, dai desideri domati, dai sacrifici quotidiani, dalla loro cordialità, dall’ironia con cui si difendevano dalla fatica del vivere. Mai sconfitti, mai vincitori, conoscevano per necessità la natura che dava loro vita e forza e vivevano rispettando solo chi meritava il loro rispetto. Sembravano vecchi come antichi ulivi di cui richiamavano la saggezza, Li osservo ancora, curioso ma ormai per le improbabili magliette firmate, i pantaloni di cotone, i mocassini di moda che portano. Sembrano diversi da quelli di allora anche se adesso usano il computer o motozappe invece di portare i panieri di limoni, od usare falci affilate. Parlano dei viaggi che hanno fatto, dei figli che lavorano all’estero e sono sempre di meno nei paesi svuotati. Se li senti parlare, se osservi i loro occhi curiosi e ascolti le loro battute salaci, capisci che sono sempre loro, chi non s’arrende alla vita e non ha paura a soffrire, i re senza regno, gli schiavi della famiglia, la quercia che il vento non sdradica.
I have always remembered them like this, with their dark trousers, their flat caps kept low to provide shade, their immaculate shirts and their large shoes, resoled several times. They smoked unfiltered cigarettes, MS, the green or white Nazionali, or the disgusting Sax. They smoked them slowly, observing from behind the coils of smoke, the world that was summed up in the main square of the village or in its most important street, the one where everyone walked once the sun went down and the heat subsided. Or, in spring, with the first sun warming the marble steps of the church, or the light stone benches of the municipal villa, you would see them arrive and sit on the warm stone, after a cold and windy winter. I, who accompanied my grandfather to take his place in the square, among relatives and friends, watched them curiously. I studied their skin that looked like leather, their long beards, their wrinkles dried by the sun, their wolfish looks, their barely visible smiles to judge, comment on a joke or a story of some neighbor; I learned from them those silences with which they weighed that world that began where the river ended and all those extraordinary or strange things that concerned it. They evaluated everything with their own yardstick, almost as if they were kings with the right to judge without giving anyone an account, because they were the law, the norm that weighed the world. There was also the village madman, in a corner of the square not because he was different but because the world he lived in was too big and frighteningly extraordinary to share with others. He stood there with his gaze turned to a place that existed only inside him, to then be called back to reality by a passerby, ending up involved in a joke, in a tease, in a village story. Grandpa knew all the people who sat with him, all one life, made of a dignity that was born from the infinite toil in the fields, from pains conquered and locked inside their soul, from tamed desires, from daily sacrifices, from their cordiality, from the irony with which they defended themselves from the toil of living. Never defeated, never winners, they knew by necessity the nature that gave them life and strength and lived respecting only those who deserved their respect. They seemed old like ancient olive trees whose wisdom they recalled. I still observe them, curious but now for the unlikely designer t-shirts, the cotton trousers, the fashionable moccasins they wear. They seem different from those of then even if now they use computers or motor hoes instead of carrying baskets of lemons, or using sharp sickles. They talk about the trips they have made, of the children who work abroad and are fewer and fewer in the emptied countries. If you hear them talk, if you look into their curious eyes and listen to their witty jokes, you understand that they are always the ones who do not give up on life and are not afraid to suffer, the kings without a kingdom, the slaves of the family, the oak that the wind does not uproot.
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Oggi la si chiama "resilienza", una volta la si chiamava "forza d´animo", Platone la nominava "tymoidés" e indicava la sua sede nel cuore.
Il cuore è l´espressione metaforica del "sentimento", una parola dove ancora risuona la platonica "tymoidés".Il sentimento non è languore, non è malcelata malinconia, non è struggimento dell´anima, non è sconsolato abbandono. Il sentimento è forza. Quella forza che riconosciamo al fondo di ogni decisione quando, dopo aver analizzato tutti i pro e i contro che le argomentazioni razionali dispiegano, si decide, perché in una scelta piuttosto che in un´altra ci si sente a casa. E guai a imboccare, per convenienza o per debolezza, una scelta che non è la nostra, guai a essere stranieri nella propria vita.
La forza d´animo, che è poi la forza del sentimento, ci difende da questa estraneità, ci fa sentire a casa, presso di noi. Qui è la salute. Una sorta di coincidenza di noi con noi stessi, che ci evita tutti quegli "altrove" della vita che non ci appartengono e che spesso imbocchiamo perché altri, da cui pensiamo dipenda la nostra vita, semplicemente ce lo chiedono, e noi non sappiamo dire di no. Il bisogno di essere accettati e il desiderio di essere amati ci fanno percorrere strade che il nostro sentimento ci fa avvertire come non nostre, e così l´animo si indebolisce e si ripiega su se stesso nell´inutile fatica di compiacere agli altri. Alla fine l´anima si ammala, perché la malattia, lo sappiamo tutti, è una metafora, la metafora della devianza dal sentiero della nostra vita. Bisogna essere se stessi, assolutamente se stessi.
Questa è la forza d´animo. Ma per essere se stessi occorre accogliere a braccia aperte la nostra ombra. Che è poi ciò che di noi stessi rifiutiamo.
Quella parte oscura che, quando qualcuno ce la sfiora, ci sentiamo "punti nel vivo". Perché l´ombra è viva e vuole essere accolta. Anche un quadro senza ombra non ci dà le sue figure. Accolta, l´ombra cede la sua forza.
Cessa la guerra tra noi e noi stessi. Siamo in grado di dire a noi stessi:
"Ebbene sì, sono anche questo". Ed è la pace così raggiunta a darci la forza d´animo e la capacità di guardare in faccia il dolore senza illusorie vie di fuga.
"Tutto quello che non mi fa morire, mi rende più forte", scrive Nietzsche.
Ma allora bisogna attraversare e non evitare le terre seminate di dolore.
Quello proprio, quello altrui. Perché il dolore appartiene alla vita allo stesso titolo della felicità. Non il dolore come caparra della vita eterna, ma il dolore come inevitabile contrappunto della vita, come fatica del quotidiano, come oscurità dello sguardo che non vede via d´uscita. Eppure la cerca, perché sa che il buio della notte non è l´unico colore del cielo.
Di forza d´animo abbiamo bisogno soprattutto oggi perché non siamo più sostenuti da una tradizione, perché si sono rotte le tavole dove erano incise le leggi della morale, perché si è smarrito il senso dell´esistenza e incerta s´è fatta la sua direzione. La storia non racconta più la vita dei nostri padri, e la parola che rivolgiamo ai figli è insicura e incerta.
Gli sguardi si incontrano solo per evitarsi. Siamo persino riconoscenti al ritmo del lavoro settimanale che giustifica l´abituale lontananza dalla nostra vita. E a quel lavoro ci attacchiamo come naufraghi che attendono qualcosa o qualcuno che li traghetti, perché il mare è minaccioso, anche quando il suo aspetto è trasognato.
Passiamo così il tempo della nostra vita, senza sentimento, senza nobiltà, confusi tra i piccoli uomini a cui basta, secondo Nietzsche: "Una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte, fermo restando la salute".
Perché ormai della vita abbiamo solo una concezione quantitativa. Vivere a lungo è diventato il nostro ideale. Il "come" non ci riguarda più, perché il contatto con noi stessi s´è perso nel rumore del mondo.
Passioncelle generiche sfiorano le nostre anime assopite. Ma non le risvegliano. Non hanno forza. Sono state acquietate da quell´ideale di vita che viene spacciato per equilibrio, buona educazione. E invece è sonno, dimenticanza di sé. Nulla del coraggio del navigante che, lasciata la terra che era solo terra di protezione, non si lascia prendere dalla nostalgia, ma incoraggia il suo cuore. Il cuore non come languido contraltare della ragione, ma come sua forza, sua animazione, affinché le idee divengano attive e facciano storia. Una storia più soddisfacente.
Umberto Galimberti
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Un sogno che sembrava troppo reale
PARTE QUARTA
Valgono le stesse avvertenze descritte nella parte prima.
Ebbi una notte molto tormentata, non facevo altro che girarmi e rigirarmi nel letto. Arrivò la mattina, e il mio primo pensiero fu per Dicky e di quello che mi aveva fatto la notte precedente, non mi ero mai sentita così posseduta, mai così femmina. Aveva preso quello che voleva e il peggio era che io gli avevo lasciato fare. Mi ero promessa che quello che era successo non sarebbe più accaduto. “Farò finta che non sia mai accaduto”. Cercai con tutte le forze di scacciare quei ricordi, mentre di contro fui pervasa da una vampata di calore. La cosa che dovevo fare era una doccia, scesi dal letto, andai in bagno e iniziai a farmi una doccia fredda, volevo punirmi e allo stesso tempo scacciare dalla mente quei pensieri caldi. Mi lavai in modo compulsivo, ma non riuscivo a lavarmi dentro, lavarmi la colpa di averglielo lasciato fare e aver goduto immensamente. Mi rivestii rapidamente, uscii dalla camera e nervosamente mi diressi in cucina. Dicky mi vide entrare e saltò in piedi, scodinzolando avidamente. Lo ignorai, gettai giù del cibo e dell'acqua e mi diressi alla porta e uscii. Avevo bisogno di schiarirmi le idee e di trascorrere una giornata normale. Dopo aver fatto alcune commissioni, tornai a casa per fa uscire la bestia. Appena mi vide iniziò a fare le feste, lo ignorai, gli agganciai il guinzaglio al colletto e lo portai fuori a far le sue cose, non appena finito i suoi bisogni lo riaccompagnai a casa. Mi sentivo come se mi stessi nascondendo, mi proposi di tornare a casa e di comportarmi normalmente. Dicky mi seguiva ovunque nella casa, era la mia ombra. Gli intimai di smetterla, ma lui era refrattario a qualsiasi rimprovero. Giacché non me lo toglievo di dosso, andai in camera chiudendogli la porta sul muso. Era chiaro che mi volesse ancora, rabbrividii. Cominciò a graffiare la porta, mi sentivo prigioniera, ero terrorizzata e allo stesso tempo emozionata. Sapevo perfettamente che cosa volesse. Approfittando di un momento di pausa uscii dalla camera, appena mi vide Dicky mi s’incollò addosso e non mi lasciò mai sola, se solo mi fermavo un momento il suo muso mi sondava subito l’inguine, anche se indossavo pantaloni della tuta spessi, mi ritrovai a spingergli costantemente via il muso. Era tutto sconcertante e allo stesso modo conturbante. Il mio sguardo andava a finire sempre su quella punta rosa, e questo mi produceva un’eccitazione irrefrenabile, ero costantemente umida. Man mano che continuavo a spingerlo la mia resistenza ai suoi attacchi era sempre più debole, lasciavo che il suo muso indugiasse ogni volta un po’ più a lungo. Tutto era inquietantemente erotico. Ormai si era insinuato nella mia mente, era il mio chiodo fisso e il cane diventava sempre più fuori controllo.
Tutto questo durò per alcuni giorni ancora. Ormai sapevo che non sarei riuscita a resistere ancora per molto, sapevo che Dicky voleva scoparmi ancora e avevo paura che alla fine glielo avrei permesso. Lo respingevo senza troppo convinzione, le mie difese stavano venendo meno. Per calmarmi i nervi bevevo qualche bicchierino di scotch. Alla fine esausta di quella situazione cercai di trovare qualcosa che calmasse il suo stato di eccitazione continua. Cominciai a strofinargli la pancia, cosa che apprezzò molto, si sdraiò e mi fece fare. Fui incoraggiata dalla sua collaborazione. Proseguii fino ad accarezzare la sua erezione. Era perversamente piacevole sentirlo pulsare e crescere nella mia mano. Sentii il suo respiro accelerare, mentre le prime gocce di pre-sperma cominciavano a fluire sulla sua punta rosa e appuntita. Ero eccitatissima mentre sentivo l’animale rispondere, ma improvvisamente Dicky si alzò e mise la sua zampa sul mio seno e spinse fino a farmi cadere all’indietro. L’animale fu immediatamente tra le mie gambe e con il muso sondò rendendosi conto di quanto fossi eccitata, mi sentii avvolta in una nebbia di lussuria. Ero come un automa in preda a qualcun altro che agiva per me, mi tolsi i pantaloni e le mutandine, così ero completamente accessibile. La lingua spessa del cane mi stava lambendo e mi senti i esplodere in un orgasmo strabiliante e duraturo. Ero completamente sopraffatta dalle sensazioni. Dopo che sono venuta Dicky smise di leccarmi e aveva spostato la testa di lato, dandomi un colpetto sul fianco. Pensai: "Vuole che mi giri, così può scoparmi", gemetti, "come una cagna ." Mi ritrovai a obbedire, rotolando e alzandomi in ginocchio. Sentì il suo peso, arrampicarsi sulla schiena, spinsi la testa e le spalle verso il pavimento. Sentii la sua forza mentre mi afferrava per i fianchi e strisciava verso di me. Sentii la punta affilata e umida del suo cazzo mentre si faceva strada tra le mie gambe, forzando, sondando. Dicky trovò il punto e scivolò dentro, mi sentivo presa, presa come una cagna. Il cane spingeva con impazienza mi sentivo inorridita e allo stesso tempo emozionata, sconvolta ed elettrizzata. Senti qualcosa di grande... che spingeva al suo ingresso, era il suo nodo che si faceva strada, a quel punto esplosi in un orgasmo spaventosamente intenso e sentii il suo sperma caldo iniziare a ribollire dentro di me. Dick si immobilizzò, riuscivo a sentire il suo calore pulsare dentro di me, mentre riuscivo ad avere una serie di orgasmi più piccoli, ma comunque intensi, sentendo i fluidi iniziare a fuoriuscire e gocciolare lungo le mie cosce, venni di nuovo. È stato spaventoso ed estremamente erotico allo stesso tempo. Ho provato ad allontanarmi e non ci sono riuscita. Mi sono sentita impazzire e sono venuta di nuovo. Era così intenso essere così fuori controllo. Dicky era incastrato in me con il suo nodo e non potevo farci niente, dovevo aspettare finché non avesse finito. Fu molto umiliante ma straordinario. Sembrava che la scopata continuasse all'infinito ero attaccata a Lui e sentivo che mi stava, riempiendo e mi sentivo perdermi nella pura sensualità animale. Mi sentivo totalmente posseduta dall'insistente forza animale, presa come una vera cagna. Alla fine tutto finì, Dicky scivolò fuori e se ne andò. Sentì i suoi succhi fluire fuori di me lungo l'interno delle mie cosce, innegabilmente. Sentì i graffi sui miei fianchi quando venivo posseduta. Sapevo nel mio cuore che per me non sarebbe più stato lo stesso, non potevo annullare ciò che avevo fatto. Quell’animale mi aveva portata in un luogo sessuale che non sapevo di avere dentro di me. E lei glielo avevo permesso. E sapevo... che glielo avrei permesso di nuovo.
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Non accorrerò quando chiamerà
anche se mi dirà ti amo,
specialmente se lo dirà,
anche se giura
e non promette altro
che amore amore.
La luce in questa stanza
copre ogni
cosa allo stesso modo;
neanche il mio braccio fa ombra,
anch’esso consumato dalla luce.
Ma questa parola amore…
questa parola s’oscura,
s’appesantisce e si scuote, comincia
a farsi strada coi denti, con brividi e convulsioni
su questo foglio
finché anche noi scompariamo quasi
nella sua gola trasparente e siamo ancora
separati, lucidi, fianchi contro coscia, i tuoi
capelli sciolti che non conoscono
esitazioni
1972
Raymond Carver, da Il nuovo sentiero per la cascata, 1988
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Il cuore di una donna spesso è attratto dall'enigmatica intensità che vibra negli occhi di certi uomini. C'è una forza bruta, un'energia primordiale che li avvolge come un mantello di tempesta. Non è la violenza fisica a chiamarla, ma quel tumulto interiore che agita le acque profonde dell'anima maschile. È come se un fuoco ardesse silenzioso dietro ogni gesto, ogni parola non detta, e lei ne percepisce il calore, ne è affascinata e spaventata allo stesso tempo. C'è una danza antica tra il rischio e la passione, un filo sottile che la spinge ad avvicinarsi al bordo dell'abisso. L'uomo che porta in sé questa tempesta la intriga, rappresenta l'ignoto, la sfida. Nei suoi occhi vede riflessi mondi inesplorati, sentieri impervi che promettono emozioni forti e verità nascoste. È l'attrazione per l'intensità della vita, per le emozioni che bruciano e consumano, lasciando però tracce indelebili nel cuore. La donna sente di poter essere colei che placa quella furia, che calma le acque agitate. Si illude di poter entrare in quel caos e portare luce, di poter trasformare la forza distruttiva in creativa. È un desiderio profondo di connessione, di comprensione, di trovare nell'altro una parte di sé stessa che ancora non conosce. Ma questa attrazione ha un prezzo. Navigare in acque tempestose richiede coraggio e può portare a perdersi. La linea tra passione e dolore è sottile, e spesso ci vuole forza per riconoscere quando allontanarsi. Eppure, nonostante i rischi, l'eco di quella forza continua a chiamarla. Perché in fondo, è nell'incontro tra due anime intense che si creano le storie più profonde, quelle che lasciano un segno indelebile nel tessuto del tempo. La bellezza di questa attrazione sta proprio nella sua complessità. Non è semplice, non è banale. È un viaggio attraverso le sfumature dell'animo umano, un'esplorazione dei confini tra amore e distruzione, tra luce e ombra. E in questo viaggio, la donna scopre non solo l'altro, ma anche parti sconosciute di sé, accendendo nuove scintille nel proprio spirito.
Empito
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
La donna è l'Eden della vita,
fonte sacra, tenerezza ardente.
Sulla sua pelle sbocciano sogni silenziosi, nel suo petto arde un sole straripante.
È la fiamma che brilla nella notte buia, la brezza che bacia con dolce tenerezza.
È un fiume che scorre cercando la sua stella, è una luna d'argento, è una sentinella luminosa.
Nella sua risata danzano le note del vento, nel suo grido crescono lenti oceani.
Le sue mani sono ali che guariscono le ferite, la sua voce è un tubare di calma infinita.
Tu sei la forza,e il vulcano, universo, fuoco, calma, verso e bacio.
È terra fertile, è pioggia ed è grido, è guerra ed è pace, è amore benedetto.
Quando ami, il suo amore infiamma i cieli, non c'è paura o ombra che possa spegnere il suo fuoco.
Se soffri, lascia sbocciare nel suo petto una stagione, perché nel suo dolore nasce una sfida.
È una madre, è una sorella, è una musa ispiratrice e un'amante, è una dea sulla terra, uno spirito errante.
Le sue labbra sono petali rossi di vita, la sua anima, un rifugio che non sarà mai dimenticato.
La donna è fuoco, tempesta e calma, sangue e gloria, pelle e anima.
È un grido nella storia, è un'eco ed è grana, è un bacio in guerra, è la pace nella tua mano.
La luce del domani brilla nei miei occhi, è un faro di notte, è un fiore sulla spiaggia.
È un infinito che non finisce mai.
È dolce, è eterno, è forza divina.
Benedetta sia la donna, sublime ed eterna!
Quello che dà tutto, quello che non si rompe mai.
Colei che ama senza paura, colei che sogna senza fretta, colei che cambia il destino con una sola risata.
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“contraflow driving without control” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram) Erano circa le undici di una mattina come molte altre. Con la testardaggine di chi è convinto di sfidare il destino potendolo battere, Raymon pedalava senza mani, nel senso opposto a quello di marcia, mentre il suo volto esprimeva una smodata sicurezza.
Ogni pedalata era un atto di puro coraggio, un inno alla vulnerabilità di chi decide di andare alla deriva senza mappe.
Le automobili che lo sfioravano suonavano il clacson, ma lui continuava la sua sciocca cavalcata, come se la sua visione distorta del mondo lo proteggesse da ogni pericolo.
Si infilò in un vicolo all'ombra, dove la luce stessa pareva troppo timida per seguirlo.
Chissà se in quel momento, mentre il suono di una sirena di un'ambulanza si faceva sempre più vicino, Raymon capì l'assurdità delle sue scelte. La vita, come una strada al crepuscolo, non fa sconti a chi trascura il buon senso per inseguire una libertà priva di significato.
La città, con le sue strade illuminate come palcoscenici e gli angoli in ombra a fare da sipario all'ordinarietà, assisteva impotente alla tragedia di un uomo. Convinto di attraversare indenne l'oscurità, finì per smarrirsi per sempre nella sua stessa incoscienza.
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Il giudizio degli altri ha sempre a che fare con i nostri confini interni, e con l'importanza che diamo a chi ci giudica.
Infatti, se io non do importanza all'altro, il suo giudizio non mi tocca.
Se l'altro mi giudica, mi critica, mi insulta, ma per me egli non rappresenta nulla, le sue critiche non scalfiscono il mio orgoglio, non feriscono la mia sensibilità, non toccano una mia ferita passata.
Se viceversa l'importanza che do alla sua persona è elevata, ogni suo gesto o parola sono pugnali che aprono uno squarcio nella mia carne.
I confini si fanno labili perché egli, essendo per me importante, acquisisce un potere tale nei miei confronti da riuscire a sfondare le mie difese interne, i miei confini protettivi.
La sua forza, nel giudicarmi, è così grande da manipolare i miei stati d'animo e comportamenti.
Ma in realtà il suo potere su di me dipende sempre da me, dalla mia capacità di mettere un argine alla percezione amplificata che io ho di lui.
E dipende anche da quanto i miei confini interiori sono forti, solidi, concreti.
Quanto e fino a che punto nutro rispetto nei miei confronti, da non farmi trattare a pesci in faccia da qualcuno che, per altro, a volte, neanche merita il mio rispetto?
In qualsiasi lavoro di crescita personale riguardante la sensibilità nei confronti del giudizio altrui, si procede nell'indagine del perché si dà tanta importanza alle parole dell'altro, quali parti di noi egli va a toccare, e al tempo stesso si approfondiscono i motivi che stanno alla base di confini troppo labili.
Si decostruisce l'importanza dell'altro, e si rafforzano i confini interni.
Quando Alessandro Magno decise di andare a trovare il grande filosofo Diogene di Sinope, pensando di onorarlo regalandogli qualsiasi cosa egli volesse, gli chiese cosa desiderasse di più dalla vita.
Il filosofo, per nulla intimorito dalla figura di Alessandro, gli rispose in questo modo:
"Mi fai ombra, spostati dal mio sole".
Omar Montecchiani
#armaturainvisibile
#quandolosentinelcorpodiventareale
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"Nella sua ombra" di Mark Edwards. Recensione di Alessandria today
Il thriller psicologico che rivela i segreti più oscuri del passato
Il thriller psicologico che rivela i segreti più oscuri del passato Recensione “Nella sua ombra” di Mark Edwards è un thriller psicologico intenso, che cattura il lettore fin dalla prima pagina. Jessica, la protagonista, vive un’esistenza che viene sconvolta da un dettaglio inaspettato: la sua giovane figlia sembra conoscere segreti legati alla defunta zia Isabel, morta in circostanze…
#Alessandria today#autori di successo#fiducia e tradimento#Google News#intrighi psicologici.#italianewsmedia.com#lettura coinvolgente#lettura di qualità#Letture avvincenti#Libri bestseller#Libri gialli#Mark Edwards#Mark Edwards libri#misteri#mistero#Narrativa avvincente#narrativa contemporanea#narrativa inglese#narrativa moderna#narrativa psicologica#Nella sua ombra#personaggi complessi#Pier Carlo Lava#romanzi avvincenti#romanzi bestseller#romanzi con protagonisti femminili#romanzi consigliati#romanzi drammatici#romanzi internazionali#romanzi per appassionati di mistero
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TRINITY BLOOD
RAGE AGAINST THE MOONS
(Storia: Sunao Yoshida // Illustrazioni: Thores Shibamoto)
Vol. 1 - From the Empire
FROM THE EMPIRE - CAPITOLO NOVE
Traduzione italiana di jadarnr dai volumi inglesi editi da Tokyopop.
Sentitevi liberi di condividere, ma fatelo per piacere mantenendo i credits e il link al post originale 🙏
Grazie a @trinitybloodbr per il suo prezioso contributo alla revisione sul testo originale giapponese ✨
“Area di combattimento: libera ─ Riscrittura del programma di combattimento da 'Modalità Genocidio' a 'Cerca e Distruggi'.”
Tra le macerie crollate, non c'era ombra o traccia dell'uomo dai capelli lunghi. Sembrava che fosse stato letteralmente disintegrato dai più di trecento colpi di proiettili da 20 millimetri.
“Rapporto sui danni, Duchessa di Milano.”
“Sto bene... Ben fatto, Padre Tres.”
Di fronte al ringraziamento della sua padrona, Tres si inchinò leggermente, impassibile. Poi gettò a terra la mitragliatrice Gatling completamente scarica.
A quanto pare era stato proprio quell'uomo ad attaccare la diga. Sarebbe stato necessario esaminare il corpo nei dettagli e indagare sulle connessioni che si celavano dietro di esso. Per il momento, tuttavia, la priorità era guidare l'evacuazione.
“La Iron Maiden sta aspettando nei cieli. Duchessa di Milano, vi consiglio di imbarcarvi il prima possibile.”
“Lasciate che le sorelle salgano a bordo prima di me, per favore... A proposito, come sta Vostra Santità?”
“Crusnik e la Viscontessa di Odessa sono in posizione. Non appena apparirà l'obiettivo, lo intercetteranno e lo distruggeranno.”
“Eccellente. Un'esecuzione magnifica.”
Al suono di applausi esagerati, tutti, tranne Tres, si voltarono.
“Tu...!”
Questa volta, anche la voce di Caterina era soffocata dalla paura. Ammutoliti, tutti erano paralizzati e con lo sguardo fisso davanti a loro.
“Davvero, è una situazione terribile che non mi abbiate permesso nemmeno di salutarvi come si deve... Eppoi il mio vestito ha finito per sporcarsi, vedete?”
Kämpfer fece un sorriso amaro e si passò elegantemente una mano tra i capelli neri. Sul suo volto sottile non c'era nemmeno un graffio o una traccia dei trecento proiettili sparati.
“Ah, padre Tres. Aggiungetelo al rapporto. Il conte di Zagabria è già stato arrestato. In questo momento, probabilmente, sta...”
Al suono della voce pacata si sovrappose il suono inquietante di uno sparo.
Tres, che dava ancora le spalle al gruppo, sparò improvvisamente.
La canna da 13 mm del Jericho M - Dies Irae - era stata puntata sotto il braccio del sacerdote, direttamente sulla fronte del nemico, la cui testa, colpita da due proiettili, avrebbe dovuto trasformarsi in una massa di carne frantumata. Eppure...
“È un giocattolo rozzo. Non ha un briciolo di eleganza.”
Davanti ai suoi occhi, come se fossero bloccati in aria, fluttuavano due proiettili di piombo, che Kämpfer guardò con disprezzo. Alzando la mano guantata con un gesto agile, i proiettili caddero a terra con un piccolo rumore.
“Padre Tres, tu sei un uomo capace. Ma purtroppo non avete ancora capito il vero significato di un massacro... Molto bene. Permettetemi di insegnarvi qualcosa.”
Il pentacolo ricamato sui guanti del mago iniziò a lampeggiare, emettendo una sinistra luce rossa.
“Davanti a me, Yunges. Dietro di me, Teletalkae. Nella mia mano destra, la spada. Nella sinistra, lo scudo. Intorno a me brilla il pentacolo e all'interno della pietra l'esagramma... Vieni, 'Spada di Belzebù'!”
Kämpfer si limitò a stringere leggermente le mani. Non c'era nulla in esse. Tuttavia, un attimo dopo, la testa della giovane suora che stava tremando accanto a Caterina, scomparve.
“Suor Anna!”
Un viso che conservava ancora tratti infantili, con gli occhi spalancati dalla sorpresa, ora riposava in silenzio tra le mani della collega accanto a lei.
“NO!”
“Non si muova, sorella Rachele.”
Ma la suora gettò a terra la testa decapitata della collega e si voltò rapidamente con un grido stridulo e disperato. Come se non avesse sentito la richiesta di moderazione da parte di Tres, inciampò correndo verso la porta.
“...Amen.”
Nel momento in cui Kämpfer, ancora di spalle, sollevò le labbra in un sorriso sarcastico, suor Rachele esplose in pezzi ─ come un manichino rotto, i suoi arti smembrati assieme a pezzi di carne e organi interni finirono disseminati sul pavimento.
Con la morte delle loro due colleghe, le suore sopravvissute non riuscirono più a emettere un solo grido. Si limitarono ad aggrapparsi tremando a Caterina, che, come previsto, era pallida per la situazione.
“La paura della morte è più terrificante della morte stessa - Schiller.” Declamò l’uomo dai capelli lunghi. "Ah, non muoverti, Padre Tres. Le bambole sono così noiose. Dopo tutto, probabilmente non possiedi nemmeno un'emozione nobile come la paura, vero?”
Senza nemmeno voltarsi, Kämpfer fermò il sacerdote alle sue spalle.
“Non è divertente distruggere una bambola meccanica. Paura, orrore, tristezza... Non credi che dovresti anche cercare di imitare un po' del fascino degli esseri umani?”
“Negativo... Non abbiamo tempo.”
Il volto di Tres rimase inespressivo come sempre, mentre fissava i corpi stesi a terra. Tuttavia, nel sottofondo di quella voce che suonava sempre senza alcuna intonazione, qualcosa vacillava leggermente.
“I rinforzi arriveranno tra circa trecento secondi. Prima di allora, devo eliminarti: non abbiamo tempo.”
“....Oho!”
Quando Kämpfer si voltò, nei suoi occhi apparve una luce apparentemente divertita. Mentre aggiustava meticolosamente i guanti su entrambe le mani disse:
“Hai detto... che mi vuoi eliminare?”
“Affermativo──”
Gli occhi di Tres, che avevano annuito, si mossero rapidamente. Spostò lo sguardo da Caterina, alle suore tremanti e poi al corpo che giaceva orribilmente a terra, continuando con voce monotona.
“Vi sterminerò ── non rimarranno nemmeno le ossa.”
“Provaci pure.”
La rivincita iniziò bruscamente.
Il dito di Kämpfer si alzò rapidamente. Quando il dito fu puntato contro il suo avversario, l'ombra di Tres era già scomparsa. Invece, ciò che apparve sul terreno dove si trovava un attimo prima fu una sottile fenditura. La 'spada' invisibile inseguiva l'ombra della preda che era balzata verso l'alto, e questa volta si conficcò nel soffitto aprendo un buco profondo.
“Sei certamente veloce. Ma è tutto qui?”
Le dita di Kämpfer si muovevano come un ragno. Al ritmo di movimenti che sembravano premere su una tastiera invisibile, la crepa nel muro si espanse come una creatura bizzarra, estendendo il suo dominio. Serpeggiando su lunghe distanze, la crepa avanzò rapidamente e, nell'istante successivo, catturò tra le sue fauci il sacerdote che stava risalendo la parete.
“È la fine, Gunslinger.”
”0,03 secondi di ritardo.”
La mano destra di Tres si spezzò improvvisamente, non appena ebbe finito di parlare.
Per essere più precisi, il polso che reggeva la pistola si staccò improvvisamente. Da esso emerse la bocca di una canna spessa e robusta.
L'ugello ─ da cui il lanciafiamme esplodeva una fiamma di magnesio che raggiungeva migliaia di gradi ─ tracciava un cerchio. All'interno dell'anello di fuoco bianco-blu, qualcosa che assomigliava a lunghe ciocche di capelli brillarono d'argento per un istante prima di scomparire.
“Fili di fibra di carbonio monomolecolare!”
Caterina gridò con voce soffocata.
Parte della tecnologia perduta con l’avvento della Grande Catastrofe, l'Armageddon: la Fibra di Carbonio Monomolecolare era la fibra di carbonio più sottile e più forte, fatta di particelle di carbonio C con strutture gemelle multiple. Nonostante la sua poca resistenza al calore, questo filo, capace di tagliare con facilità persino i diamanti, poteva diventare un'arma davvero invincibile, a seconda di come veniva utilizzata.
“Oh, quindi... questa era la Spada di Belzebù... Non male. Ma in fin dei conti, era solo una marionetta.”
Le labbra di Kämpfer si aprirono a mezzaluna.
L'M13 di Tres era puntata dritto verso di lui. La canna dell'arma mirava esattamente sulla sua fronte.
Ma anche sparando un proiettile 512 dall’M13, ci sarebbe comunque stato uno scudo che non avrebbe potuto essere penetrato. Il proiettile esploso sarebbe stato riflesso e avrebbe colpito la fronte della persona che lo aveva sparato...
Davanti allo sguardo sarcastico di Kämpfer, le due canne della pistola ruggirono come animali feroci: le mascelle d'acciaio mostravano le loro zanne di tredici millimetri.
“È inutile, i proiettili non possono colpirmi.”
“Io ti ho colpito.”
Le parole di entrambi erano corrette.
A casa dello Scudo di Asmodai il proiettile, la cui traiettoria era stata deviata dal forte campo elettromagnetico, aveva compiuto una precisa inversione di 180 gradi. Tuttavia, Tres non si trovava sull'asse del colpo. Al momento dello sparo, il proiettile aveva sfiorato la testa del sacerdote che si era abbassato, per poi colpire la parete di acciaio della caldaia dietro di lui con un angolo poco profondo. Il proiettile, ora trasformato in un colpo di rimbalzo, aveva colpito la lama della spada di una guardia conficcata nel terreno. E poi, il punto successivo in cui era rimbalzato era stato…
Quando Kämpfer fece un passo indietro, con i capelli neri che oscillavano, entrambe le sue mani, insieme ai guanti, erano scomparse. Guardandole spazzate via senza nemmeno una goccia di sangue, disse:
“Davvero, sei un uomo incredibile.”
Sbalordito ── o meglio, profondamente stupito, Kämpfer scosse la testa.
Sparare calcolando il riflesso e persino il rimbalzo successivo...
“Il titolo di Pistolero non è solo una facciata, quindi. Proprio come il mio di Mago.”
“Che... che cos'è...?”
Un grido soffocato di panico si levò dalle monache.
Il corpo del Mago sembrava essersi improvvisamente rimpicciolito. No, non era così. Non si era rimpicciolito. La parte inferiore delle gambe era scomparsa.
“Sarebbe un peccato perdere una tale abilità... Hai avuto una buona idea.”
Mentre veniva inghiottito dalla sua stessa ombra che si apriva da terra, la voce di Kämpfer rimase completamente calma. Guardava alternativamente il volto inespressivo di Tres e quello pallido di Caterina.
“Ci rivedremo presto, signori. Quando il ciclo del destino si chiuderà. Diventerete sacrifici eccezionali...”
Quando Caterina, che fino a quel momento aveva osservato la situazione in stato di stordimento, tornò in sé, la figura di Kämpfer era già immersa nell’oscurità fino al collo.
“Cosa stai facendo? Spara, Gunslinger!”
Ma Tres non reagì. Lentamente fece un passo indietro, mentre qualcosa scivolava via dal suo corpo cadendo a terra.
“Padre Tres!”
Ciò che era caduto a terra con un suono pesante erano le sue due braccia amputate dalle spalle. La figura del suo sottoposto inginocchiato, con il liquido circolatorio sottocutaneo che sgorgava come una cascata, fece sgranare gli occhi a Caterina.
“Con questo siamo pari. Senza rancore, padre Tres... Beh, signore e signori, ora vi dico Auf Wiedersehen.”
Poi, dall'ombra del ‘mago’ che aveva completamente inghiottito l'immagine reale, risuonò una bassa risata.
“... Questo conclude il mio rapporto. Inoltre, il conte di Zagabria è attualmente sotto scorta. Crediamo che arriverà tra un giorno o due.”
<Ottimo lavoro.>
Dal trono fluttuante, l'Imperatrice Augusta espresse la sua gratitudine alla giovane donna inginocchiata dall'altra parte della tenda. La sua voce, convertita elettronicamente, si diffuse nella sala del pubblico accompagnata da un suono basso, profondo e imponente.
<A proposito, Viscontessa di Odessa... che mi dice del collaboratore proveniente dall’Esterno di cui parla nel suo rapporto? Com'è andata?>
“Quando mi chiedete com'è andata, cosa intendete?”
Il volto della viscontessa, dall'altra parte della tenda, era nascosto sotto i capelli bianchi e non poteva essere visto. Tuttavia, l’Imperatrice Augusta non mancò di notare che le sue spalle si erano irrigidite leggermente.
<Vi sto chiedendo se vi é stato utile, signora. Dopo tutto, avete fatto un rapporto notevolmente positivo, non è così?>
“No… non esattamente! Ho solo pensato che, per essere un Terran dalla vita breve, si sia dimostrato competente. Vuole che aggiunga altri dettagli al rapporto?”
<No, non sarà necessario. Mi dispiacerebbe imporle ulteriori sforzi, signora. Ben fatto. Può andare a riposare.>
“Ah! La ringrazio, allora vado.”
<Si riposi con calma... Hmm, quindi pare che lui stia come sempre eh…?>
Non appena la viscontessa di Odessa, con la sua alta statura, scomparve dalla sala delle udienze, la tenda di bambù si sollevò delicatamente. Nella stanza, dove ora non c'era nessun altro, una piccola figura seduta su un trono era illuminata da una luce soffusa. Si stiracchiò ampiamente e, con una voce completamente diversa da quella che aveva usato fino a poco prima, mormorò nel suo tono naturale e chiaro.
“È ancora dalla parte degli umani... In questo caso, penso che sia meglio non combattere con il Vaticano ora… Affrontare entrambi i nemici allo stesso tempo, a prescindere da tutto, sarebbe troppo problematico.”
Sul trono, con i suoi occhi verde chiaro che brillavano maliziosi, c'era una ragazza che non sembrava aver superato l'adolescenza. Il suo viso era straordinariamente bello sotto i capelli neri e un po’ spettinati. Sebbene le sue lunghe braccia e gambe fossero davvero sottili, la sua espressione piena di vitalità ricordava in qualche modo una bestia felina non abituata agli esseri umani.
La ragazza ─ l’ “Imperatrice Augusta” Vladika ─ si tolse il grande cappello e si sdraiò su un fianco in modo rilassato sul trono fluttuante.
“Però non lo capisco proprio. È rimasto fedele a una donna del suo passato e si allea ancora con i Terrestri. Tuttavia, è inspiegabilmente popolare, quindi perché non si cerca un'altra donna...? Astharoshe ad esempio, sarebbe un ottimo partito. Se fossi un uomo, non me la lascerei scappare. Non lo farei davvero.”
Il sistema di aria condizionata all’interno della stanza ricreò la nostalgica immagine delle foreste di inizio estate del Canada, prima della ‘Grande Catastrofe’. La brezza fresca, con il suo profumo di clorofilla, e il canto degli uccelli liberi di volare tra i rami erano indescrivibilmente piacevoli.
“Cosa dovrei fare d'ora in poi? Sembra sempre che tutti i problemi finiscono per venire da me. Davvero, non ce la faccio più.”
La voce brontolante della ragazza si abbassò a metà frase e scomparve.
Invece, quello che le sfuggì dalle labbra leggermente aperte fu un respiro tranquillo e assonnato. Sul suo petto che si alzava e si abbassava dolcemente, si posò delicatamente un mughetto.
“Sono venuto per lei, Graf.”
Il vecchio vampiro guardò implorante l'uomo che stava dall'altra parte della porta di ferro. Dov'era finito il carceriere? Di lui non si vedeva né l'ombra né la figura.
“Sei venuto a salvarmi, vero? Ben fatto!”
“È un onore. Vi prego di accompagnarmi sul ponte. Il dirigibile ci sta aspettando.”
“Sì, sì!”
Alzandosi in piedi e gonfiando il petto, Endre uscì dalla stiva della nave e si guardò intorno. Su quella nave di scorta ci dovevano essere circa cinquanta membri dell'equipaggio, ma l'interno era completamente silenzioso.
“Cos'è successo all'equipaggio?"
Kämpfer si limitò a scrollare le spalle. L'atteggiamento compiaciuto del Terran, che aveva preso il comando e aveva iniziato a camminare, lo aveva un po' irritato.
... Beh, pazienza
Endre si trattenne.
Se fossie stato scortato nell'Impero, avrebbe sperimentato qualcosa di peggio della morte.
Almeno prenderò per buono il fatto di essermi salvato.
“Tuttavia... sono un po' indebolito...”
Nel momento in cui aveva provato sollievo, la sete era tornata. Non pretendeva il lusso. Qualsiasi cosa sarebbe andata bene, anche un marinaio straccione, ma non c'erano esseri umani in giro? A parte l'uomo dai capelli lunghi che camminava davanti a lui, non c'era traccia di nessuno a bordo.
...Dovrei accontentarmi di questo tipo?
Con gli occhi affamati fissi sulla schiena dell'uomo, Endre sorrise segretamente.
A pensarci bene, non aveva più bisogno di quest'uomo.
Per il momento, dovrò nascondermi. In questo caso, meno persone sanno della mia esistenza, meglio è. Mi è stato utile in molti modi, ma lasciare in vita un uomo insignificante e far sì che i miei piani vengano disturbati sarebbe problematico...
“A proposito, Eccellenza...”
Come se leggesse la mente di Endre, la persona che camminava davanti a lui parlò senza voltarsi.
“Congratulazioni per questa occasione. Le sue capacità sono state splendide, non crede?”
“Di cosa stai parlando?”
Nascondendo le zanne, Endre forzò un sorriso - dentro di sé, si dovette mordersi la lingua per la frustrazione, fingendo ignoranza.
“È successo qualcosa di degno di essere celebrato?”
“Non faccia l'incompreso. Naturalmente sto parlando dell'incidente di Venezia... È stato uno splendido successo.”
“Smettila di prendermi in giro!”
Questo tizio mi sta davvero prendendo in giro?
Ma Kämpfer, sempre dando le spalle al vampiro, che stava sollevando le labbra in un gesto di stizza, si limitò a scuotere la testa con calma.
“Prendere in giro? Non è affatto così. Il piano è stato un grande successo. In conseguenza a quanto é accaduto, l'Impero e il Vaticano hanno stretto un rapporto temporaneo di cooperazione. È un risultato di cui dovremmo essere abbastanza soddisfatti, non crede?”
“Cosa!? Che cosa significa?”
“Non si possono distruggere le cose che non esistono, ma quelle che esistono si possono rompere... questo è il punto. Questo incidente sarà una buona opportunità per la loro cooperazione. Anche un pervertito la cui unica abilità è tormentare i deboli, a seconda di come viene usato, può essere utile, no?"
“Tu... insolente!”
Il suo bel viso si distorse in modo grottesco.
“Terran! Maledetto, hai osato sfidarmi!”
Endre ruggì, mostrando le gengive, e allungò gli artigli affilati verso la schiena dell'insolente Terran dalla vita breve...
“...Ah?”
Tuttavia, gli artigli del vecchio vampiro fendettero l'aria invano. Qualcosa lo aveva ostacolato... no, non era quello. Qualcosa gli aveva afferrato le gambe.
“Che... che cos'è?”
Endre abbassò gli occhi sui suoi piedi e gemette.
La lunga ombra di Kämpfer si allungava sul corridoio ── e lì i suoi piedi stavano affondando.
“Le mie gambe...!”
Era come se fosse sprofondato nel catrame o in una palude senza fondo. Il corpo del ragazzo, che si dibatteva disperatamente, stava lentamente affondando nel terreno ─ o meglio, nell'ombra che fuoriusciva dal mago.
Guardando la scena da sopra le spalle, Kämpfer accese la piccola sigaretta e la tenne in bocca.
“È problematico, sai? Essere disturbati da esseri insignificanti, per di più... Prima che il protagonista vada in scena, il palcoscenico deve essere riordinato a dovere, non crede?”
“Chi.... Chi diavolo sei?”
Il corpo del ragazzo era già immerso nell'ombra fino al petto. Con ogni muscolo del viso contorto dal terrore, Endre emise un grido ansimante.
“Kämpfer! Bastardo, chi...”
Ma le domande non continuarono. Il volto, distorto fino a non lasciare traccia della sua forma originale, fu inghiottito dall'oscurità. Solo una piccola mano, allungandosi a terra, cercò di chiudere le dita come per afferrare qualcosa per l'ultima volta, ma anche quella fu rapidamente inghiottita dalle ombre.
“Anche stanotte, c’è una bella luna... Tenera è la notte, e chissà, forse la Regina Luna è sul suo trono, circondata da una miriade di Fate stellate; però qui non c'è altra luce... - Keats.”
Come se nulla fosse, Kämpfer alzò gli occhi al cielo. A sud brillava una grande luna piena, e accanto ad essa, leggermente più piccola e distorta, brillava la ‘luna vampiro’.
Sicuramente, la notte in cui il mondo finirà, ci sarà una luna bellissima come questa. E quella notte non è troppo lontana.
“È una notte bellissima... Davvero una bella notte.”
Il Mago gettò il suo sigaro in mare e, infilandosi le mani in tasca, riprese a camminare nell’oscurità.
#trinity blood#abel nightroad#sunao yoshida#rage against the moons#trinity blood novels#traduzione italiana#thores shibamoto#tres iqus#astharoshe aslan#from the empire#caterina sforza#isaak fernand von kampfer#endre kourza#augusta imperatrice vladika
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"Ciacco è senza ombra di dubbio uno dei personaggi per me più belli dell'Inferno, più di Francesca o Paolo, più di Farinata, quasi più dell'accorato Cavalcanti (forse Ugolino e Ulisse e Brunetto stanno insieme a lui tra i preferiti). Ciacco è stato il mio primo amore dantesco, tanto che ricordo lo stupore quando leggendo un brano di Se questo è un uomo ritrovai le parole "e alla pioggia mi fiacco", che mi portarono subito in mente Inf VI.
Per me egli è l'emblema dell'umano nella Commedia. In Ciacco, nella sua nostalgia, nel suo stare zitto, nel suo accorato appello finale, nel suo starsene nel fango permane qualcosa di così profondamente umano, e genuinamente creaturale che si concentra nelle sue espressioni "lo dolce mondo" e "l'aria serena". La grandezza dello stile Dantesco sta in queste due espressioni semplici, limpide, umane, pronunciate appunto da una persona qualsiasi, uno di quelli che trovi al bar, con cui scambi due parole, che ti fa sorridere, che ti colpisce per l'arguzia, per il suo amore smodato per il cibo, uno che ama vivere appieno le gioie della vita, una specie di Falstaff prima di Falstaff e che proprio come l'eroe di Shakespeare si strugge di nostalgia e si dispera non tanto per la condanna infernale quanto perché non vedrà il dolce mondo, e l'aria serena: Ciacco è un uomo a tutti gli effetti, la grandezza di Dante sta nell'avercelo mostrato completamente."
Demetrio Paolin
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LATINA, FEUDO DELLA MELONI, IN GALERA LA PALADINA ANTIMAFIA DELLA DESTRA DI SALVINI
Nel silenzio totale dei tigì nazionali una paladina della legalità organica alla Lega di Salvini e al partito della Meloni, è stata condannata alla bellezza di 8 anni di carcere per auto riciclaggio, circonvenzione d’incapace, falso e abuso edilizio. Si tratta di Maricetta Tirrito, paladina dell’antimafia che per anni ha fatto da ombra a Matteo Salvini, ma anche al parito di Giorgia Meloni, nonché amica della presidente della commissione antimafia Chiara Colosimo con cui faceva i video da portavoce di una scatola vuota chiamata Comitato dei collaboratori di giustizia.
Ebbene, Maricetta Tirrito gestiva un ospizio abusivo ad Ardea, nella patria dell’ex rapinatore Franco marcucci, già capogruppo proprio della Lega di Salvini in Comune, e lì per anni ha depredato almeno 4 anziani affetti da demenza senile, approfittando del loro stato di debolezza e di non autosufficienza. In 2 anni, tra gioielli, biglietti aerei, auto a noleggio, feste di compleanni, pranzi e cene di rappresentanza in tutta Italia in veste di paladina, sedicenti corsi antiviolenza, hotel di lusso, vestiti costosi, tatuaggi a sua figlia e pure 30 mila euro per farle rifare il seno, la Tirrito ha sciallato 385.000 euro non suoi. I poliziotti di Anzio l’hanno ammanettata e rinchiusa in cella prima che partisse in crociera da Genova su mandato di arresto della procura di Velletri.
"Il laboratorio una donna lotta contro rivolgiti a noi ti accompagneremo"
Forte della sua nomea di donna integerrima che spacciava la sua casa degli orrori per struttura protetta, Maricetta Tirrito era riuscita per un po’ a far sembrare tutto normale ai parenti delle vittime. C’erano i 2 bodyguard pagati in nero coi soldi degli anziani che nelle intercettazioni chiamava “gioiellini che c’hanno casa” e poi capitava pure che li rimbambisse con siringhe di tranquillanti per calmarli e guidarli nella firma delle carte per intestarsi proprio la loro casa. E poi voleva far chiudere l’ospedale di Pomezia perché aveva avvertito i parenti di un 72enne che era morto, ma che alla Tirrito interessava tenere in qualche modo vivo per continuare a spennarlo. E’ da quello che i magistrati chiamano “delirio di onnipotenza” che iniziano i primi sospetti e le prime segnalazioni. Insomma, tutto il contrario di quel che la Tirrito diceva mentre guidava le visite di Salvini a Palermo per la campagna elettorale del candidato sindaco Ismaele Lavardera...
Nel governo Meloni tacciono tutti di questa storiaccia. Meglio non ricordare quando la Tirrito era candidata sindaco a Pomezia in una lista di estrema destra che sui manifesti aveva la faccia di Mussolini. A portarla in palmo di mano ci andò pure l’allora berlusconiana governatrice del Lazio Renata Polverini…
E che dire di quando la Tirrito si spese personalmente per convincere la madre di una bimba coinvolta nella vicenda di Bibbiano di esibirla sul palco leghista di Pontida! Salvini inventò la balla che fu la bimba a chiederglielo..
E poi ancora con Salvini a commemorare Falcone e Borsellino…
Maricetta Tirrito non ha fatto tutto da sola eh. Con lei nei guai anche il medico Marina Endrievschi che firmava i certificati di falsa autosufficienza, la sua collega Silvana Loconte, il suo ex compagno Fabio Corbo poi scagionato dall’accusa di omicidio e Silvana Di lorenzo, nipote complice di una delle vittime anziane.
8 anni! Salvini e Meloni! Niente da dire?
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Oggi la si chiama "resilienza", una volta la si chiamava "forza d´animo", Platone la nominava "tymoidés" e indicava la sua sede nel cuore.
Il cuore è l´espressione metaforica del "sentimento", una parola dove ancora risuona la platonica "tymoidés".Il sentimento non è languore, non è malcelata malinconia, non è struggimento dell´anima, non è sconsolato abbandono. Il sentimento è forza. Quella forza che riconosciamo al fondo di ogni decisione quando, dopo aver analizzato tutti i pro e i contro che le argomentazioni razionali dispiegano, si decide, perché in una scelta piuttosto che in un´altra ci si sente a casa. E guai a imboccare, per convenienza o per debolezza, una scelta che non è la nostra, guai a essere stranieri nella propria vita.
La forza d´animo, che è poi la forza del sentimento, ci difende da questa estraneità, ci fa sentire a casa, presso di noi. Qui è la salute. Una sorta di coincidenza di noi con noi stessi, che ci evita tutti quegli "altrove" della vita che non ci appartengono e che spesso imbocchiamo perché altri, da cui pensiamo dipenda la nostra vita, semplicemente ce lo chiedono, e noi non sappiamo dire di no.
Il bisogno di essere accettati e il desiderio di essere amati ci fanno percorrere strade che il nostro sentimento ci fa avvertire come non nostre, e così l´animo si indebolisce e si ripiega su se stesso nell´inutile fatica di compiacere agli altri. Alla fine l´anima si ammala, perché la malattia, lo sappiamo tutti, è una metafora, la metafora della devianza dal sentiero della nostra vita. Bisogna essere se stessi, assolutamente se stessi.
Questa è la forza d´animo. Ma per essere se stessi occorre accogliere a braccia aperte la nostra ombra. Che è poi ciò che di noi stessi rifiutiamo.
Quella parte oscura che, quando qualcuno ce la sfiora, ci sentiamo "punti nel vivo". Perché l´ombra è viva e vuole essere accolta. Anche un quadro senza ombra non ci dà le sue figure. Accolta, l´ombra cede la sua forza.
Cessa la guerra tra noi e noi stessi. Siamo in grado di dire a noi stessi:
"Ebbene sì, sono anche questo". Ed è la pace così raggiunta a darci la forza d´animo e la capacità di guardare in faccia il dolore senza illusorie vie di fuga.
"Tutto quello che non mi fa morire, mi rende più forte", scrive Nietzsche.
Ma allora bisogna attraversare e non evitare le terre seminate di dolore.
Quello proprio, quello altrui. Perché il dolore appartiene alla vita allo stesso titolo della felicità. Non il dolore come caparra della vita eterna, ma il dolore come inevitabile contrappunto della vita, come fatica del quotidiano, come oscurità dello sguardo che non vede via d´uscita. Eppure la cerca, perché sa che il buio della notte non è l´unico colore del cielo.
Di forza d´animo abbiamo bisogno soprattutto oggi perché non siamo più sostenuti da una tradizione, perché si sono rotte le tavole dove erano incise le leggi della morale, perché si è smarrito il senso dell´esistenza e incerta s´è fatta la sua direzione. La storia non racconta più la vita dei nostri padri, e la parola che rivolgiamo ai figli è insicura e incerta.
Gli sguardi si incontrano solo per evitarsi. Siamo persino riconoscenti al ritmo del lavoro settimanale che giustifica l´abituale lontananza dalla nostra vita. E a quel lavoro ci attacchiamo come naufraghi che attendono qualcosa o qualcuno che li traghetti, perché il mare è minaccioso, anche quando il suo aspetto è trasognato.
Passiamo così il tempo della nostra vita, senza sentimento, senza nobiltà, confusi tra i piccoli uomini a cui basta, secondo Nietzsche: "Una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte, fermo restando la salute".
Perché ormai della vita abbiamo solo una concezione quantitativa. Vivere a lungo è diventato il nostro ideale. Il "come" non ci riguarda più, perché il contatto con noi stessi s´è perso nel rumore del mondo.
Passioncelle generiche sfiorano le nostre anime assopite. Ma non le risvegliano. Non hanno forza. Sono state acquietate da quell´ideale di vita che viene spacciato per equilibrio, buona educazione. E invece è sonno, dimenticanza di sé. Nulla del coraggio del navigante che, lasciata la terra che era solo terra di protezione, non si lascia prendere dalla nostalgia, ma incoraggia il suo cuore. Il cuore non come languido contraltare della ragione, ma come sua forza, sua animazione, affinché le idee divengano attive e facciano storia. Una storia più soddisfacente.
Umberto Galimberti
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