#Napoleone romanzo
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pier-carlo-universe · 11 days ago
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L’Idolo dei Templari: un viaggio tra storia, mistero e indagini mozzafiato. Recensione di Alessandria today
Un romanzo avvincente di Barbara Frale che intreccia storia e suspense, tra antiche maledizioni e intrighi politici.
Un romanzo avvincente di Barbara Frale che intreccia storia e suspense, tra antiche maledizioni e intrighi politici. Recensione dettagliata: storia e mistero si fondono in un’indagine senza tempo Barbara Frale, con “L’Idolo dei Templari”, ci regala un thriller storico che cattura per la profondità delle sue ricerche e per la trama avvincente. Ambientato nel 1814, in una Londra cupa e avvolta…
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gregor-samsung · 2 years ago
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“ «Dio ci dia forza» disse padre Paolino. Era sconfortato. «Ci cacciano» spiegò amareggiato. «I francesi. Vogliono i beni della chiesa e chiudono conventi e vescovadi.» «Vi preparo una minestra di erbe con qualche cicerchia.» Gli baciò le mani devota, triste per le sciagure della chiesa. Le parve quasi villania chiedergli della sorte di Raffaele Arcangelo. Fu padre Paolino a parlargliene. I carmelitani erano stati più fortunati, perché un nobile di Acerenza li aveva ospitati nelle sue terre e forse domani, appena passata la tempesta, li avrebbe aiutati a trasferirsi in vescovado. Il paese era povero e fuori mano, appeso a una montagna di rocce, e i francesi lì non ci avrebbero messo piede, perché battevano solo paesi ricchi, ramazzando denari per costruire un’armata immensa. «Napoleone, grande imperatore, vuol dimostrare che Dio ha creato un mondo imperfetto e solo con la forza delle armi lo si perfeziona. Ma le reclute non ne vogliono sapere di combattere in Siberia e fuggono sui monti, come gli ebrei dinanzi al faraone.» Ecco dunque cos’erano i fuochi che brillavano di notte nella pianura e sul Vulture, fuochi di ribellione, segnali di disertori. «Don Paolino, volete dire che i briganti fanno la guerra contro il diavolo e in nome di Cristo?» «Io dico che il mondo s’è guastato, perché una volta contavano l’amicizia e il rispetto e oggi contano il denaro e la forza. E tutti vogliono tutto. Allora si genera la guerra, e il castigo che abbiamo è di due maniere, il flagello dei briganti e la sciagura degli invasori.» “
Raffaele Nigro, I fuochi del Basento, Camunia (collana Fantasia & Memoria), 1987¹; pp. 136-137.
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diceriadelluntore · 5 months ago
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Padronanza e Linguaggio
La campagna di trasformazione dei miei pomodori e pomodorini quest'anno, complice la variabile meteorologica (inverno mite, primavera anticipata) è partita esattamente 40 giorni prima del 2023. Lo scrivo perchè mi ha un po' impedito di dedicarmi appieno al blog, soprattutto riguardo le mie ultime letture.
Vorrei segnalarvi, en passant, due libri tra le ultime letture: uno, magnifico, è la ristampa con nuova traduzione di un romanzo, Qui Il Sentiero Si Perde di Peskè Marty, che Adelphi ha pubblicato di recente: il nome dell'autore è uno pseudonimo di una coppia di scrittori francesi, Antoinette Peské e il marito Pierre Marie André Marty. Scritto negli anni '50, ambientato tra la Mongolia e la Siberia, il romanzo racconta le avventure leggendarie dello zar Alessandro I, vincitore di Napoleone, che nel 1825 avrebbe messo in scena la sua morte. Una diceria, quella della fuga dello zar e delle sue successive metamorfosi, che aveva intrigato anche Tolstoj, il quale vi dedicò un racconto (Memorie Postume dello Starets Fëdor Kuzmìč).
L'altra segnalazione è un piccolo saggio scritto da uno dei massimi esperti di Storia Della Musica Classica, Giorgio Pestelli, che ne Il Genio di Beethoven (Donzelli) percorre, attraverso l'analisi non solo tecnica ma anche emozionale, delle nove leggendarie sinfonie del maestro, un ritratto unico e profondo del grande compositore.
Ma approfitto per parlarvi anche dell'ultima, stranissima ma indimenticabile lettura che è questo libro:
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Adam Thirlwell fa parte dell'ultima generazione di scrittori britannici, e per due volte è stato inserito nella Lista dei Migliori Autori Emergenti dalla prestigiosa rivista Granta, le cui segnalazioni negli anni mi hanno sempre fatto conoscere autori niente male (Tibor Fisher o Scarlett Thomas, i primi nomi che mi vengono in mente). In Il Futuro Futuro (Feltrinelli) Thirlwell immagina un mondo distopico, dove succedono in maniera non lineare avvenimenti storici che somigliano moltissimo a quelli avvenuti negli anni appena precedenti la Rivoluzione Francese. Qui Celine, Marta e Julia sono tre giovanissime ragazze che, in maniera misteriosa, sono vittima di anonimi pamphlet dove vengono descritte con pruriginosa minuzia di particolari le abitudini sessuali delle nostre giovani protagoniste. Celine, Marta e Julia si confrontano quindi con un problema: come si gestisce il rapporto tra linguaggio, arte e potere? e tra potere e genere? Per controbattere, hanno un'idea geniale: organizzano delle feste, a cui piano piano partecipano intellettuali, scrittori, impresari teatrali, miliardari, persino una potentissima Antoniette (che sappiamo a chi si riferisca). Diventano il momento più importante delle sere cittadine. I libri anonimi scompaiono, le ragazze si faranno nuovi nemici ma soprattutto rimangono in Celine e le sue amiche dubbi profondi sui massimi sistemi, in primis sul grande e a tratti inestricabile problema del linguaggio:
Si poteva immaginare un mondo senza linguaggio, o che il linguaggio diventasse una cosa intima e diversa. Era come se nelle conversazioni vere arrivasse sempre il momento in cui emergeva una voce che non era quella di nessuna delle persone che stavano parlando, ma era la voce della conversazione stessa, e quando accadeva era come se si accendesse una piccola lampada, inondando di luce calda un angolino. Altri se lo immaginavano come un dio che si manifestava o parlava attraverso un'altra persona, ma Celine la vedeva diversamente. Era la voce della conversazione, pensava lei, che apparteneva a tutti e a nessuno […] (p. 67-8)
Celine, Marta e Julia hanno anche un problema con il potere dei maschi: sebbene vivano una sessualità libera, sono spesso vittime del potere che è legato ai maschi. Un potere legato ai soldi e al sesso, che Celine tenta spesso di scardinare:
-Come è che uno crede di sapere qualcosa di qualcun altro? disse Celine
-Una volta ci andavo a letto, disse Lorenzo.
-E questo che cazzo vuol dire? fece Celine. - Vuol forse dire che Julia ti conosce, solo perchè sa quanto ti piaceva leccarle il buco del culo?
Lorenzo rimase ancora in silenzio, un silenzio stavolta più greve. Visto? disse Celine. - Tutti odiano sentir parlare di sè. Panico Puro (208).
Celine avrà una figlia, Saratoga, viaggerà, verrà costretta dalla Rivoluzione a scappare via in America. Lì farà degli incontri particolari. Ritornerà, nel modo più strambo, a ricongiungersi con la figlia, cercando di capire cosa sia il futuro:
Ogni volta che si incontravano, gli scrittori non facevano che discutere ossessivamente del futuro, chi avrebbe avuto ancora un pubblico di lettori o come sarebbe stato il futuro - ma non si rendevano conto di quanto fosse limitato il loro modo di pensarlo, il futuro. II vero futuro, diceva Saratoga, non era ciò che sarebbe accaduto di lì a un mese o a un anno, ma il futuro futuro: alieno e incomunicabile. Ma loro non lo vedevano, perché non erano capaci di scatenare il pensiero (150).
Un libro che attraverso una trama fantasiosa, una scrittura asciutta ma implacabile, una serie di eventi di natura fantasiosa ma forse con salti troppo giganti, con pochissimi particolari sui personaggi che non siano le loro conversazioni o i loro pensieri, spazia dal saggio filosofico al fantasy, dalla semiotica al pulp, senza dimenticare i numerosi incontri delle nostre protagoniste non solo con alcuni grandi della Storia, ma persino extraterrestri (non vi anticipo nulla). Un libro strano, pazzo ma che scalda il cuore, non solo per la sua originalità, ma anche per i temi che affronta, tra cui l'amicizia, i rapporti di potere, la comunicazione. Che stuzzica ed estremizza:
Era uno dei problemi di vivere fra la gente - si pensava di sapere un sacco di cose sui propri amici, ma quasi sempre ci voleva una catastrofe perchè le persone si parlassero a cuore aperto. La natura umana era terribile (100-101).
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libriaco · 1 year ago
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Inintelligenza Artificiale
Se a fare il riassuntino di un breve racconto di Suzette Haden Elgin, We Have Always Spoken Panglish, noto a me e a pochi altri (presumo), l'Inintelligenza Artificiale non ha dato una prova brillante di sé, nel senso che con un copiaincolla se l'è cavata e, purtroppo, ha scritto due righe assolutamente corrette, quando le ho chiesto di riassumere Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo che, vuoi per motivi scolastici, vuoi per interesse personale qualcuno si è letto nell'adolescenza, l'Inintelligenza Artificiale ha dato miglior prova: ha attribuito, infatti, al 'povero' Jacopo l'essere stato un ufficiale napoleonico che, dopo la firma del trattato di Campoformio tra Napoleone e gli Austriaci, ha abbandonato Venezia per rifugiarsi sui colli Euganei. Che dire? Un riassunto si fa dopo aver letto un libro, non prendendo frasi a caso e giustapponendole, magari mescolando la storia narrata da uno scrittore con la vita privata dello scrittore stesso, come è avvenuto in questo caso.
[Nota: Jacopo Ortis era uno studente universitario; fu Ugo Foscolo a essere ufficiale. Inoltre il trattato di Campoformio fu firmato il 17 ottobre 1797, mentre la prima lettera presente nel libro è dell'11 ottobre e proviene dai Colli Euganei, quindi l'Ortis aveva lasciato Venezia prima della firma del trattato.]
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Testo della risposta:
“Le ultime lettere di Jacopo Ortis” è un romanzo epistolare di Ugo Foscolo, pubblicato nel 1798. La storia è raccontata attraverso le lettere che il protagonista Jacopo Ortis scrive all’amico Lorenzo Alderani tra il 1797 e il 1799. Jacopo Ortis è un ufficiale napoleonico che, dopo la firma del trattato di Campoformio fra Napoleone e gli Austriaci, lascia Venezia e si rifugia sui colli Euganei. Il suo unico sfogo, oltre alla lettura, è scrivere delle lettere all’amico Lorenzo. In breve tempo Jacopo conosce Teresa. Se ne innamora, ma scopre che è promessa in sposa a un tale Odoardo, giovane di alta estrazione sociale. Resta, finché può, dove si trova. Dopo aver vagato per l'Italia, Jacopo decide di togliersi la vita, lasciando le sue lettere a Lorenzo, che le pubblica con una prefazione e una conclusione.
L'Inintelligenza Artificiale in questo caso è quella di Bing.
S. Haden Elgin, We have always spoken Panglish, 2004. Online QUI.
U. Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis [1802]. Scaricabile da LiberLiber.
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frabooks · 2 years ago
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Appunti su Delitto e castigo, di Dostoevskij
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Romanzo pubblicato nel 1866 da Fëdor Dostoevskij. Ambientato a San Pietroburgo. Letto a marzo 2023, per me è stato il secondo romanzo di Dostoevskij, dopo Il giocatore.
Struttura
È diviso in due parti, più un epilogo. Ogni parte ha 3 sezioni, quindi abbiamo in totale 6 sezioni più l’epilogo. È lungo circa 620 pagine.
Trama
Porta avanti una sola trama e riguarda l’assassinio compiuto dal protagonista.
Raskol'nikov è un 22-23enne ex studente universitario, disoccupato, angosciato dalle ristrettezze economiche e dall’impossibilità di realizzarsi nella vita. È intelligente, un po’ indolente, generoso ma malato: ha pensieri ossessivi, è depresso.
Ha scritto un articolo in cui esponeva una sua intuizione. Secondo lui ci sono due categorie di uomini, la prima è vastissima e comprende la maggior parte degli uomini; essi devono sottostare alle regole, alle leggi e devono, eventualmente, essere puniti se le infrangono; non fanno avanzare la società e l’umanità. La seconda categoria di uomini comprende una piccolissima élite di uomini straordinari che, con la promessa di far progredire l’umanità intera grazie alle loro iniziative, possono non sottostare alle leggi comuni. L’esempio è Napoleone, che per far grande la Francia ha mandato al massacro milioni (?) di soldati.
Con questa convinzione filosofica a supporto, Raskol'nikov decide di uccidere una vecchia, cattiva, atroce usuraia. Così farebbe del bene all’umanità e potrebbe lanciare la sua carriera grazie ai soldi rubati. Non sarebbe, quindi, un peccato.
Nel frattempo viene a conoscenza della famiglia Marmeladov, con il capofamiglia fallito e ubriacone, la moglie fragile mentalmente ma che regge la famiglia e la tiene unita, la figlia maggiore Sonja, che per portare a casa soldi, fa la prostituta.
Raskol'nikov ha una madre e una sorella che lo idolatrano e che lo mantengono. La sorella è rimasta vittima di serie molestie da parte di un nobile della cittadina dove abitavano,  Svidrigajlov, che tornerà nella seconda parte.
Per poterlo mantenere e farlo realizzare, la sorella Dunja decide di sposare un ricco avvocato viscido. Raskol'nikov si sente in colpa ed è contrario a questa decisione.
Dopo l’omicidio, Raskol'nikov, si strugge sia per la paura di essere catturato, sia per i sensi di colpa, sia per la sua incalzante malattia mentale che lo vede sempre più ossessivo, depresso e autoriferito.
Raskol'nikov, una volta morto Marmeladov, fa conoscenza anche della figlia Sonja e ne rimane affascinato. 
Nel frattempo, le vite attorno a lui continuano a muoversi ma il fulcro è il suo spaesamento, la sua paura di essere catturato, il pensiero di dover rivelare il tremendo peccato ai suoi affetti.
Passa diversi momenti con il grande amico Razumichin, generoso, forte e buonissimo d’animo; Razumichin sarà sempre di supporto e sempre disponibile a farsi in quattro per aiutare sia Raskol'nikov che la sua famiglia. 
A un certo punto scopre che Svidrigajlov sa il suo segreto e viene ossessionato da questo personaggio oscuro, turpe e disturbante.
C’è una svolta finale, ovviamente, ma che non mi sento di scrivere qui, non tanto perché sarebbe uno “spoiler” (Delitto e castigo è bello così, trama o non trama), quanto perché io non sapevo il finale e non ho mai voluto sapere il finale e forse me lo sono goduto meglio.
Personaggi
Famiglia del protagonista.
Rodion Romanovič Raskol'nikov. Protagonista assoluto. Intelligente, carismatico, poverissimo e costantemente malato e al limite della follia. Depresso e ossessivo, ad esempio lo si vede spesso camminare parlando ad alta voce tra sé e sé, tanto che Dostoevskij mette i suoi pensieri in forma di dialogo.
Avdot'ja Romanovna Raskol'nikova. Sorella del protagonista che lui tanto ama e che tanto da lei viene amato. Bella, affascinante e intelligente. Farebbe di tutto per il fratello, anche accordarsi di sposare Luzin, un ricco e viscido avvocato.
Pulcherija Aleksandrovna Raskol'nikova. Madre di Raskol'nikov. Lo venera. 
Collegati alla famiglia del protagonista.
Pëtr Petrovič Lužin. Ricco avvocato che vuole prendere Dunja, Avdot'ja Romanovna, come moglie. Gli serve che la pretendente sia povera così da esercitare il massimo potere. È arrogante e pieno di sé. Litigherà con Raskol'nikov e il matrimonio andrà a monte.
Arkadij Ivanovič Svidrigajlov. Il personaggio più oscuro e inquietante. In gioventù era un criminale e uno scommettitore; pieno di debiti, prende come sposa una ricca nobile che, nonostante tutto, farebbe di tutto per lui. Praticamente viene “comprato” da Marfa, sua moglie. Vive per 7 anni nel villaggio dove abitano anche i Raskol'nikov. Prende come domestica Dunjia, la sorella di Raskol'nikov; se ne invaghisce perdutamente e la molesta. Viene scoperto e umiliato anche dalla moglie. Si vocifera che abbia ucciso la moglie e un maggiordomo; gli piacciano le ragazzine (il peccato peggiore in assoluto per Dostoevskij è la violenza sui bambini). È depravato, cattivo, manipolatore. Si ucciderà.
Dmitrij Prokof'evič Vrazumichin (Razumichin). Amico fidato di Raskol'nikov, lo conosce all'università. È generoso, altruista, sempre attivo, intraprendente ed entusiasta. Sarà sempre di supporto a Raskol'nikov e sarà, sostanzialmente, il suo contrario in tutto.
Famiglia Marmeladov
Sof'ja Semënovna Marmeladova. Figlia primogenita di Semën e acquisita da Katerina Ivanovna; buona d’animo, estremamente credente. Si prostituisce per portare a casa dei soldi.
Katerina Ivanovna Marmeladova. Madre di tre figli piccoli, vuole molto bene anche a Sof'ja (scritta anche Sonjia). È malata e sempre allo stremo delle forze; a un passato vicino alla nobiltà che la tormenta. Regge la casa e la famiglia da sola, ci tiene alle prime impressioni. Perderà il senno in modo tragico.
Semën Zacharovič Marmeladov. Marito degenerate perché alcolizzato. È un male che conosce e che odia ma che non riesce a togliersi. Si dispiace fino allo struggimento perché i soldi che butta nell’alcol non li porta a casa e quindi costringe Sonjia a prostituirsi. Morirà in un incidente. 
Altri
Porfirij Petrovič. Detective che si confronta con Raskol'nikov per tutto il romanzo. Ha grande esperienza e profonde e complesse teorie psicologiche sul comportamento degli assassini, e quindi anche di Raskol'nikov.
Alëna Ivanovna. Usuraia. A dire il vero, Dostoevskij non la descrive tantissimo. Non è, di per sè, LA cattiva del romanzo (che secondo me è Svidrigajlov). Rappresenta, però, la perfetta vittima sacrificale per un bene superiore. 
Lizaveta Ivanovna. Sorella dell’usuraia e il suo opposto. È buona, dolce, mansueta. Morirà insieme alla sorella sorprendendo Raskol'nikov.
Impressioni e opinioni
È un romanzo per nulla impegnativo, molto asciutto e con una trama quasi da thriller classico, tanto che ci sono colpi di scena, momenti di suspance e cliffhanger. 
I personaggi non sono moltissimi e si riesce abbastanza agevolmente a stare dietro ai nomi. Solo all’inizio della seconda parte ho avuto un vuoto di memoria in merito a Svidrigajlov, citato nella lettera della madre di Raskolnikov.
La scrittura è eccezionale, scorrevolissima, non c’è neanche un capitolo lento o che interrompa il flusso della trama. Credo sia il romanzo più ben scritto che io abbia mai letto. Ogni pagina è densa e preziosa, ogni riga merita attenzione. 
È stato il mio secondo incontro con Dostoevskij, avevo già letto Il giocatore. È stato però il primo Dostoevskij letto con più attenzione, con il senso delle cose, con tatto per le sfumature e volontà di esserne coinvolto.
Mi ha impressionato in positivo l’incredibile tridimensionalità dei personaggi: sono persone vere e proprie, ognuna con le sue specificità originali, ognuna è credibile, ognuna potrebbe essere una persona che conosco. Si dice spesso che Dostoevskij parla a noi, perché ci legge dentro, legge l’animo umano, i suoi comportamenti, i suoi vizi, le sue meschinità, i suoi istinti: ne ho avuto una prova chiarissima.
Ho provato fortissima inquietudine in più di un passaggio. I due episodi peggiori e che mi sono rimasti più addosso sono il sogno della cavallina che muore di botte e l’incontro con Svidrigajlov, con le sue devianze, meschinità e cattiverie (è pedofilo, manipolatore, cattivo in un senso quasi assoluto). Mai provata un’inquietudine di tale portata, mi sentivo quasi oppresso e schiacciato e facevo fatica a continuare a leggere. 
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antennaweb · 1 month ago
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Il Rosso e il Nero - Stendhal “Il rosso e il nero di “Stendhal” è un romazo pubblicato nel 1830 ed ispirato ad un fatto di cronaca relamente accaduto: l’uccisione della figlia di un notaio da parte dell’amante. Questo comunque non è soltanto un romano d’amore, ma attraverso i suoi protagonisti diventa una cronaca storica. Il protagonista è Julien Sorel, figlio di un carpentiere, che viene assunto come precettore dei figli del sindaco, una figura molto importante all’epoca, nella città. Julien è un ragazzo ambizioso, con la passione delle gesta militari di Napoleone ma il periodo per esprimere certi sentimenti è sbagliato, in quanto a quel tempo Napoleone in Francia è molto odiato. Julien è anche un ipocrita, in quanto per raggiungere i suoi scopi passa dalla carriera militare alla tonaca in quanto è l’unica via per avere vantaggi sotto tutti i punti di vista, pur non avendo fede. Grazie alla sua mente portentosa, alla sua ipocrisia, agli studi teologici, entra nella casa del sindaco e tra presunzione e ingenuità, inizia la sua scalata sociale. E’ molto orgoglioso e questo lo porterà a vedere tutti quelli che gli stanno intorno come nemici Crede e pensa di essere furbo, ma cade spesso in contraddizione perché quello che fa non è ciò che pensa. Nonostante i suoi sforzi per non sembrare provinciale e la sua voglia di adeguarsi agli ambienti che frequenta, viene sempre e comunque considerato meno di quello che è, pur riconoscendogli i suoi meriti accademici. Questo è un grande romanzo di ambientazione storica e politica. Stendhal fa una critica alla società francese del diciannovesimo secolo; una Francia che voleva ritrovare un'antica monarchia maledicendo Napoleone, con la paura che con l’insinuarsi della repubblica si sarebbero persi i titoli nobiliari e i vantaggi del clero. Lo stile di Stendhal mi ha conquistata, mi è piaciuto il suo modo di farci entrare nei pensieri di Julien, nei suoi tormenti, nelle sue lotte interne, perché per lui ogni cosa è una battaglia… e saranno proprio i suoi sentimenti a portarlo a fare un gesto molto importante. Ma quale sarà questo gesto e quali conseguenze avrà l’amore di Julien in quel particolare periodo storico? Ascolta la recensione play_arrow IL ROSSO E IL NERO SERENELLA MARIANI Read the full article
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chez-mimich · 3 months ago
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LA NAISSANCE DES GRANDS MAGASINS
L’ascesa della borghesia francese, durante il cosiddetto Secondo Impero, favorita da Napoleone III, ( che ricordiamolo è colui che diede il compito al barone Haussman di ridisegnare completamente Parigi) crea le condizioni ideali per la nascita del “grande magazzino”, come centro del commercio al dettaglio. Quell’evento, quasi prodigioso, simbolo per eccellenza della modernità, celebrato nella pittura, nella fotografia e nella letteratura, segnerà la storia del costume europeo prima e mondiale poi. La culla del grande magazzino è Parigi e proprio qui, al Musée des Arts Decoratifs, è allestita una mostra che raccoglie, manifesti, maquettes, oggetti, costumi, fotografie e molti altri materiali del rutilante mondo dei grandi magazzini, soprattutto parigini, della fine del XIX secolo (mostra aperta fino al prossimo 13 ottobre). I grandi magazzini sono all’origine di una rivoluzione commerciale che farà entrare la Francia in un nuovo ordine sociale ed economico, ovvero quello del consumismo. La mostra, attraverso nove documentatissime sezioni, segna le tappe, più concettuali che cronologiche, di questo percorso. Per dare la misura di questa rivoluzione del costume e dell’economia, ricordiamo che Émile Zola nel 1882 realizza una sorta di reportage presso i Grands Magasins du Louvre per la preparazione del suo romanzo “Au Bonheur de Dames”. Da un punto di vista meramente commerciale e del costume, i grandi magazzini, rivoluzionano il concetto di commercio a partire dall’abbigliamento della persona (soprattutto della donna), aprendo le porte al concetto stesso di moda. È qui infatti che in uno stesso reparto si trovano tutte, e tutte insieme, le componenti dell’abbigliamento, ma anche della toilette. Anche le "ventes spéciales", che noi chiamiamo oggi "saldi", nascono in seno ai grandi magazzini parigini e gli “affiches” di queste vendite sono quanto di più gustoso offra la mostra del MAD. La trionfante società borghese consente, all’epoca, una rapida crescita demografica e, soprattutto per le classi sociali più agiate, fa strada il giocattolo come strumento ludico-educativo. Anche i giocattoli, su produzione in larga scala, fanno la loro comparsa proprio nei grandi magazzini già dal 1870, così come le più raffinate strategie pubblicitarie che cercano di far leva sulle giovani mamme attraendole verso il prodotto dedicato al bambino. Ma le innovazioni del grande magazzino non finiscono qui; la mostra infatti dedica una ampia sezione alle vendite per corrispondenza, attraverso un apparato fotografico e supporti video. Amazon in fondo non ha inventato niente di nuovo: attraverso accuratissimi cataloghi, esposti in mostra, gli acquirenti potevano scegliere il prodotto anche per corrispondenza. Nel 1912 “Au Printemps” si inaugura l’atelier “Primavera” (curioso l’uso del termine italiano che richiama il nome originale del grande magazzino), un atelier che produrrà mobili e oggetti d’arte in serie, una produzione seriale insomma, che sarà qualche decennio dopo, con altre basi ma con la stessa intenzionalità, la grande novità del Bauhaus di Weimar e Dessau. A Parigi atelier saranno aperti presso le “Galeries Lafayette (Atelier “La Matrise”), Le “Bon Marché” (Atelier “Pomone”) e ancora nel 1923 “Les Grands Magasins du Louvre” (“Studium Louvre”). Tra le gli oggetti esposti, quelli che stimolano maggiormente l’immaginazione sono a mio avviso le affiches, alcune compositivaente e, perché mo, artisticamente pregevolissime, come per esempio il manifesto per “Samaritaine” di Emilio Vila del 1929 o la fantasmagorica litografia de i “Magasins Crespin-Dufayel (manifesto di proprietà del MAD), così cime deliziose sono le litografie di Jules Cheret per “Aux Buttes Chaumont”, i magazzini del Boulevard de la Vilette. L’apparato fotografico di tutto rispetto, ha certamente il suo pezzo migliore nell’album fotografico, diviso per reparti di vendita, dell’organigramma completo del personale (direttori, capi, impiegati, commessi) de “Le Bon Marché Rove Gauche” del 1887. Una mostra insomma strabiliante in una città sempre strabiliante.
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aki1975 · 5 months ago
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Villa Voglina a Valenza che accolse Napoleone sulla via di Marengo
Inghilterra e Francia procedono parallelamente non solo lungo la storia, ma anche lungo la storia della letteratura.
Vivono infatti contemporaneamente i periodi dell’epica cavalleresca, della narrativa medioevale, del teatro rinascimentale e barocco, della saggistica illuminista, del romanzo moderno, della poesia contemporanea.
Ecco le principali tappe della storia e della storia della letteratura francese.
Merovingi (457 - 751)
732 - Carlo Martello ferma i Saraceni a Poitiers
Carolingi (751 - 987)
778 - Battaglia di Roncisvalle
800 - Incoronazione di Carlo Magno
987 - Ugo Capeto re di Francia
seconda metà del XI sec. - Chanson de Roland in cui sono presenti i personaggi delle Chansons de geste: Orlando, il traditore Gano di Maganza, Angelica, Bradamante.
1214 - Filippo Augusto, insieme a Federico di Svevia, sconfigge Ottone IV e Giovanni Senza Terra a Bouvines.
1242 - Luigi IX fa erigere la Sainte Chapelle
1280 - Roman de la rose
1296 - Nonostante l’opposizione di Bonifacio VIII, Filippo IV il Bello tassa il clero francese
1303 - Filippo IV il Bello dà la figlia Isabella in moglie al figlio di Edoardo I Plantageneto, Edoardo II, per sospendere la Guerra dei Cento Anni. Schiaffo di Anagni.
1313 - Il papato ad Avignone
Valois (1328 - 1594)
1328 - Alla morte di Carlo IV Capeto senza eredi, Edoardo III Plantageneto rivendica la corona, ma viene eletto Filippo VI di Valois.
1346 - Edoardo III sconfigge Filippo VI a Crecy
1356 - Giovanni II preso in ostaggio dagli inglesi a Poitiers
1358 - Rivolta della Jacquerie
1377 - Fine della cattività avignonese
1420 - Carlo VI concede in moglie la propria figlia Caterina di Valois ad Enrico V dopo la sconfitta di Azincourt
1431 - Giovanna d’Arco arsa sul rogo a Rouen
1475 - Con il Trattato di Picuigny termina la guerra dei Cento Anni. Mentre in Francia Carlo VI pone le basi dell’accentramento riducendo il potere dei feudatari anche grazie a cannoni che richiedono investimenti più ingenti, in Inghilterra si scatena la Guerra delle Due Rose fino all’avvento, nel 1485, di Enrico VII Tudor.
1494 - Carlo VIII in Italia, poi sconfitto a Fornovo
1525 - Francesco I sconfitto a Pavia e preso in ostaggio da Carlo V. Poiché Papa Clemente VII aveva supportato Francesco I, i lanzichenecchi saccheggiano Roma nel 1527
1542 - Gargantua e Pantagruel (Rabelais)
1559 - Pace di Cateau Cambresis fra Enrico II e Filippo II. A Enrico II succede Francesco II che sposerà Maria Stuart e Carlo IX, reggente la madre Caterina de’ Medici, nipote di Lorenzo il Magnifico
1572 - L’ugonotto Enrico di Navarra sposa Margherita di Valois, figlia di Enrico II e Caterina de’ Medici. Notte di San Bartolomeo
1574 - Muore Carlo IX. Gli succede Enrico III
1576 - I saggi della repubblica (Bodin)
1580 - Saggi (Montaigne) in cui traspare il senso del declino del Rinascimento
“Così, lettore, sono io stesso la materia del mio libro: non c'è ragione che tu spenda il tuo tempo su un argomento tanto frivolo e vano”
1588 - Enrico III fa uccidere Enrico di Guisa ed è a sua volta assasinato
Borbone (1594 - 1830)
1594 - Enrico IV di Borbone re di Francia
1598 - Editto di Nantes in cui i protestanti possono praticare il loro culto
1600 - Enrico IV sposa in seconde nozze Maria de’ Medici
1610 - Luigi XIII sposato ad Anna d’Austria. Fino al 1617 Maria de’ Medici è la reggente, Concini il primo ministro
1624 - Richelieu primo ministro
1642 - Mazzarino primo ministro con le conseguenti fronde della nobiltà di toga e di spada
1643 - Il Principe di Condè sconfigge gli Spagnoli a Rocroi, la battaglia più importante della fase francese della Guerra dei Trent’anni
1661 - Morte di Mazzarino. Luigi XIV assume i pieni poteri con il supporto di Colbert e della sua politica mercantilistica
1662 - La scuola delle mogli (Molière) che critica la sottomissione della donna
1664 - Tartufo (Molière), satira dello spirito religioso formalistico del tempo. Avversato dalla Chiesa, Molière intende correggere gli uomini divertendoli con un intento moralistico che sarà ripreso da Goldoni.
1668 - L’avaro (Molière), ispirato all’Aulularia di Plauto, ma più sofisticato. Per questo i personaggi delle commedie di Molière vivono nella propria solitudine disagi contemporanei e costituiscono una lezione morale per il pubblico.
1670
Pensieri (Pascal)
Il borghese gentiluomo (Molière) in cui si satireggia la corte
1673 - Il malato immaginario (Molière) recitando il quale, l’autore muore.
1677 - Fedra (Racine), rivisitazione giansenista della tragedia di Euripide
1678 - La princesse de Cleves (La Fayette), fedele al marito nonostante l’amore per un’altra persona
1682 - Trasferimento della corte a Versailles
1700 - Il Re di Spagna Carlo II muore senza eredi e designa come successore Filippo d’Angiò (poi Filippo V), nipote di Luigi XIV: inizia la guerra di successione spagnola.
1706 - Assedio di Torino
1713 - Trattati di Utrecht e Rastadt (1714): l’Austria subentra alla Spagna a Milano anche se Napoli rimarrà spagnola, i Savoia diventano Re prima della Sicilia e poi della Sardegna, l’Inghilterra consolida i suoi domini marittimi con Gibilterra. Il motto degli Asburgo è AEIOU (“Austria est imperare orbi universo”).
1720 - Falliscono le politiche monetarie di John Law
1748 - Lo spirito delle leggi (Montesquieu)
1759 - Candido (Voltaire) in cui Pangloss è la rappresentazione parodistica di Leibniz. “C'est la faute à Voltaire” è una canzone che satireggia l’accusa della Chiesa ai filosofi illuministi di aver prodotto la Rivoluzione.
1763 - Alla fine della Guerra dei Sette Anni la Francia perde tutte le colonie americane e i possedimenti in India a vantaggio degli inglesi.
1782 - Le relazioni pericolose (Laclos) con il cinico libertino Valmont
La Rivoluzione (1789 - 1815)
1789 - Presa della Bastiglia
1791 - Costituzione monarchica
1793 - Decapitazione di Luigi XVI. Costituzione democratica
1794 - Colpo di stato del Termidoro. Il potere al Direttorio
1797 - Trattato di Campoformio
1799 - Colpo di stato del 18 Brumaio. Il potere al Primo Console
1798 - Campagna in Egitto di Napoleone per bloccare i commerci fra la Gran Bretagna e l’India. Sconfitta contro Nelson ad Abukir
1804 - Napoleone imperatore
1812 - Battaglia di Borodino
La Restaurazione (1815 - 1848)
1815 - Luigi XVIII re di Francia
1819 - Constant, Le due libertà
1821 - Napoleone muore a Sant’Elena. La Rivoluzione francese e l’epoca napoleonica lasciano come eredità la politicizzazione delle masse che influenzerà l’Ottocento con la fine dell’Ancien Regime, l’ascesa dei partiti politici, dei movimenti nazionali, delle aspirazioni sociali e lo sviluppo del gusto romantico e medioevale dopo il lungo periodo neoclassico iniziato con la scoperta di Pompei (1738).
1830 - Rivoluzione di luglio in cui viene deposto l’ultimo dei Borboni, Carlo X, e viene eletto Luigi Filippo, il “re vestito da mercante”
1830 - Il rosso e il nero (Stendhal) con protagonista Julien Sorel, un arrivista che si muove nella Francia della rivoluzione del 1830 in cui i protagonisti della Restaurazione non riescono ad ottenere il consenso
1839 - La Certosa di Parma (che Stendhal dedica “to the happy few”), citata solo nell’ultima pagina, ha come protagonista Fabrizio Del Dongo, giovane aristocratico milanese che segue Napoleone a Waterloo. Ritornato a Parma, è protetto dalla zia, la Sanseverina, e dal suo amante, il Conte Mosca, vive numerose vicende d’amore e prigionia.
1844 - I tre moschettieri (Dumas sr.)
Seconda Repubblica (1848 - 1852)
1848
Rivolta contro Luigi Filippo. Comune di Parigi. Al suo termine Hausmann rivede la città per rendere inefficaci le barricate.
La signora delle camelie (Dumas jr.), alla base della Traviata di Verdi. I fiori bianchi o rossi denotavano la disponibilità della protagonista per gli incontri con i clienti.
1850 - Il visconte di Bragelonne (Dumas sr.) contenente la storia della Maschera di Ferro imprigionata alla Bastiglia durante il regno di Luigi XIV
Secondo impero (1852 - 1870)
1852 - Napoleone III imperatore
1856 - Madame Bovary (Flaubert) in cui l’antieroina Emma intende vivere in una dimensione romantica e aristocratica e per questo si indebita e tradisce il marito fino a suicidarsi. Esempio perfetto di realismo.
1857 - I fiori del male (Baudelaire), iniziatore di una poetica decadente, antiromantica ed antiborghese che ha radici romantiche, ma una lettura pessimistica della realtà e simbolista della natura, l’ideal e lo spleen. Simbolo del poeta-veggente è l’albatro, con grandi ali fatte per volare in cielo (“Elevazione”), ma che lo rendono goffo sulla terra. Anche sul piano metrico, prevale il verso libero come negli Stati Uniti in Whitman.
“E' un tempio la Natura ove viventi / pilastri a volte confuse parole / mandano fuori; la attraversa l'uomo / tra foreste di simboli dagli occhi / familiari” (Corrispondenze)
La gigantessa
Nei tempi che con impeto la Natura potentegenerava ogni giorno / qualche essere mostruoso, / avrei voluto vivere accanto a una / gigante, come ai piedi regali un gatto voluttuoso. / Vedere insieme all’anima il suo corpo fiorire / ed ingrassarsi libero in mezzo a giochi loschi; / dalle nebbie fluttuanti nei suoi occhi arguire / quali torbide fiamme il cuore attoschi; / percorrere a piacere le sue grandiose forme, / arrampicarmi in cima al suo ginocchio enorme, / e quando poi d’estate, sotto l’afa inclemente, / lei stanca si distende nella verde campagna, / all’ombra dei suoi seni dormire dolcemente, / come un quieto villaggio ai piè d’una montagna.
“Ecco giungere il tempo in cui, fremente sullo stelo, / come un incensiere fumiga ogni fiore. / Nell'aria della sera profumi e suoni danzano, / valzer malinconico e languida vertigine!” (Armonia della sera)
1858 - Attentato di Felice Orsini
1862 - I miserabili (Hugo)
1863 - Il capitan Fracassa (Gautier)
1870 - Sconfitta di Sedan. Con Napoleone III prigioniero dei Prussiani di Bismarck, gli Italiani prendono Roma.
Sensazione (Rimbaud)
Le sere azzurre d’estate andrò nei sentieri, / Punzecchiato dal grano, calpestando erba fina: / Sentirò, trasognato, quella frescura ai piedi, / E lascerò che il vento m’inondi il capo nudo. / Non dirò niente, non penserò niente: ma / L’amore infinito mi salirà nell’anima, / E andrò lontano, più lontano, come uno zingaro / Nella Natura – felice come con una donna.
Terza Repubblica (1870 - 1940)
1871 - Le bateau ivre (Rimbaud)
1873
“Piange nel mio cuore come piove sulla città. Cos’è questo languore che penetra il mio cuore?” (Verlaine)
“Scrivevo silenzi, annotavo l’inesprimibile. Fissavo vertigini” (Una stagione all’inferno, Rimbaud)
1874 - Ars Poetica (Verlaine): la poesia deve essere prima di tutto musica. Non la razionalità, ma le impressioni contano. Del resto, è l’anno della prima mostra impressionista.
1877 - L’Assommoir (Zola) in cui un’operaia onesta è vittima dell’ambiente degradato del proletariato urbano. Esempio di romanzo naturalista, urbano, frutto di un’osservazione scientifica da parte di un narratore onnisciente.
1883 - Al paradiso delle signore (Zola)
1884 - Languore (Verlaine)
Io sono l’Impero alla fine della decadenza, / Che guarda passare i grandi Barbari bianchi / Mentre compone indolenti acrostici aurei / In cui danza il languore del sole. / L’anima solitaria soffre d’un denso tedio, / Laggiù, si dice, stanno battaglie lunghe e cruente. / Oh, non potervi, così debole nelle mie lente voglie, / Oh, non volervi fiorire un po’ quest’esistenza! / Oh, non volervi, non potervi un po’ morire! / Ah, tutto è bevuto! Bathylle, hai finito di ridere? / Ah, tutto è bevuto, tutto mangiato! Più niente da dire! / Solo, una poesia un po’ sciocca da gettare nel fuoco, / Solo, uno schiavo un po’ frivolo che vi trascura, / Solo, una noia di chissà cosa che vi affligge!
Il simbolismo francese influenzerà la poesia europea, da Pascoli a Rilke, a Kavafis.
Solitudine (Rilke, 1906)
La solitudine è come la pioggia. / Si alza dal mare verso sera; / dalle pianure lontane, distanti, / sale verso il cielo a cui da sempre / appartiene. / E proprio dal cielo ricade sulla città.
Itaca (Kavafis, 1911)
Quando ti metterai in viaggio per Itaca / devi augurarti che la strada sia lunga, / fertile in avventure e in esperienze. / I Lestrigoni e i Ciclopi / o la furia di Nettuno non temere, / non sarà questo il genere di incontri / se il pensiero resta alto e un sentimento / fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. / In Ciclopi e Lestrigoni, no certo, / né nell’irato Poseidone incapperai / se non li porti dentro / se l’anima non te li mette contro. / Devi augurarti che la strada sia lunga. / Che i mattini d’estate siano tanti / quando nei porti – finalmente e con che gioia – / toccherai terra tu per la prima volta: / negli empori fenici indugia e acquista / madreperle coralli ebano e ambre / tutta merce fina, anche profumi / penetranti d’ogni sorta; / più profumi inebrianti che puoi, / va in molte città egizie / impara una quantità di cose dai dotti. / Sempre devi avere in mente Itaca – / raggiungerla sia il pensiero costante. / Soprattutto, non affrettare il viaggio; / fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio / metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada / senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio; / senza di lei, mai ti saresti messo sulla via. / Nulla di più ha da darti. / E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. / Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso / già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
1885 - Bel Ami (Maupassant) in cui l’ascesa sociale deriva dai rapporti fra giornalismo, politica ed affari.
1897 - Cyrano de Bergerac (Rostand) fra Rossana, Cristiano e il suo talento (“cos'è un bacio…”)
1898 - J’accuse di Emile Zola dopo la farsesca assoluzione di un nobile militare accusato di tradimento con i tedeschi al posto dell’ebreo Alfred Dreyfus. Esterhazy confesserà, Zola morirà per un camino manomesso dalla polizia, Dreyfus subirà un attentato.
1913 - Alla richiesta del tempo perduto (Proust) ispirato dal ricordo suscitato da una madeleine. Scopo della scrittura è redimere, ritrovare il tempo e conservarlo nella memoria.
1932 - Viaggio al termine della notte (Celine) in cui l’autore constata cinicamente la crisi della società del primo dopoguerra.
1933 - La condizione umana (Malraux) che celebra i rivoluzionari marxisti indocinesi contro i nazionalisti.
1938 - L’uomo che guardava passare i treni (Simenon). La nausea (Sartre) in cui l'autore, figura di spicco dell'esistenzialismo, si professa ateo, ma sottolinea come si offre la libertà di esistere nel rispetto dei valori più umani.
1940 - Governo di Vichy
1942
Lo straniero (Camus): un uomo tranquillo e apatico si trova all'improvviso ad assassinare due uomini ed è testimone del fatalismo che dispiega esistenzialisticamente la scelta libera del da farsi.
"Su i quaderni di scolaro / Su i miei banchi e gli alberi / Su la sabbia su la neve / Scrivo il tuo nome / … / E in virtù d’una Parola / Ricomincio la mia vita / Sono nato per conoscerti / Per chiamarti / Libertà" (Eluard)
1943
“Bisognerebbe tentare di essere felici, non fosse altro che per dare l’esempio” (Prevert)
Quarta Repubblica (1946 - 1952)
1947 - La peste (Camus) in cui l'epidemia è metafora della guerra e del rischio che possa tornare lasciando agli uomini come reagire.
1949 - Il secondo sesso (De Beauvoir)
1951
Memorie di Adriano (Yourcenar)
“Quando gli dèi non c'erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c'è stato un momento unico in cui è esistito l'uomo, solo” (Flaubert)
Spettacoli (Prevert)
I ragazzi che si amano si baciano in piedi / Contro le porte della notte / E i passanti che passano li segnano a dito / Ma i ragazzi che si amano / Non ci sono per nessuno / Ed è soltanto la loro ombra / Che trema nel buio / Suscitando la rabbia dei passanti / La loro rabbia il loro disprezzo i loro risolini la loro invidia / I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno / Loro sono altrove ben più lontano della notte / Ben più in alto del sole / Nell'abbagliante splendore del loro primo amore
1952 - Aspettando Godot (Beckett) in cui l’attesa dei protagonisti, in un ambiente isolato e scarno, e l’incontro con altre sue persone legate ad un guinzaglio sono metafora della situazione esistenziale dell’umanità.
Quinta Repubblica (1958 - )
1958 - Semipresidenzialismo di De Gaulle
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cinquecolonnemagazine · 8 months ago
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Memorie di noi
Mi trovò così, seduta sul pavimento e persa in mille e mille pensieri. «Mamma getta via tutto, sono cose vecchie ed inutili!» Mi aveva ripetuto da giorni mio figlio. «Ricordi? Serve lo scaffale dello stanzino per riporvi le scorte ed i rifornimenti che sono nell’armadio fuori al terrazzo. Di questo passo, non ci libereremo mai di quel mobile per fare spazio al dondolo...». Rimandando, mio malgrado, l’operazione ormai da lungo tempo e, finalmente decisa ad accontentare le insistenti richieste, la mia mente aveva divagato, assorbita, pervasa, travolta da infiniti ricordi, remore e tentennamenti. Su un ripiano, dalla scatola dei vecchi cellulari, spuntava in pole position quello che mamma mi aveva regalato in occasione del viaggio di nozze, soprannominato scherzosamente da un’amica “cabina telefonica portatile”. Il dono aveva consentito alla mia mamma di trascorrere un po’ più tranquilla i giorni del mio soggiorno all’estero, fiduciosa di potermi contattare in qualsiasi momento lo desiderasse. Accanto, uno scatolino con un minuscolo Napoleone Bonaparte, una statuina in porcellana, discretamente rifinita, che in passato aveva fatto la sua figura sulla scrivania di mio padre. Non era un oggetto di valore ma, per il mio genitore, comunque un caro ricordo di suo padre, mio nonno. Poco più in là, un cofanetto di velluto rosso a costine con telaio in argento raccoglieva un certo quantitativo di bomboniere, reperti storici eredità di comunioni, cresime, matrimoni o altre occasioni. Ovviamente, costituivano la memoria viva di cerimonie e feste trascorse con parenti, amici o conoscenti. Di cristallo, acciaio, ceramica o di argento, cianfrusaglie in vero, erano anch’esse degne custodi di reminiscenze ed affetti. Dallo scaffale, in alto, sporgeva uno scatolo dai fiori sbiaditi con sopra una scritta: foto. La dicitura, in realtà, ragguagliava poco sul contenuto e, sicuramente, non lasciava prevedere l’immensa ricchezza che conteneva. Al suo interno, accuratamente raggruppate e rilegate con spaghi, vi erano fotografie dell’epoca passata. Nonni, bisnonni, trisavoli, zii, cugini e parenti d’oltralpe rivelavano, con i loro abiti, le acconciature, le case e le suppellettili d’epoca un mondo antico, certamente più semplice e meno pretenzioso dell’attuale. Per le strade, vuote ed attraversate solo da qualche nobile carrozza, da autovetture di bassa cilindrata o da qualche più povero mezzo di locomozione o carretto trainato da bestie stanche e malandate, la vita appariva calma e assai diversa da quella caotica e logorante delle odierne vie cittadine, investite da traffico e spesso assordanti rumori. Non mi sarebbe dispiaciuto appartenere a quei tempi lontani. A destra, sul terzo ripiano dello scaffale erano visibili alcune copie, le ultime dieci, del mio primo romanzo. La mia aspirazione a diventare una scrittrice di successo era rimasta sospesa, come una frase conclusa con puntini sospensivi. La voglia era stata forte, anche la dedizione, ma era mancata l’occasione e , forse, anche una manciata di buona fortuna, che in questi casi è di grande aiuto. In fondo, però, la speranza è l’ultima a morire, ci si ripete per consolazione. Un contenitore di metallo, un po’ arrugginito, conteneva un bel groviglio di chiavi; grandi e piccole, di ferro e di ottone, antiche e moderne. Di varia grandezza, dalla più piccola di appena un paio di centimetri, forse destinata ad aprire un lucchetto, alla più grande probabile strumento per sbloccare un vecchio cancello e, poi, quelle di normale amministrazione, che un tempo aprivano porte di casa e portoni, ben diverse dalle tipologie che oggi sono predisposte non tanto per far accedere i proprietari quanto, soprattutto, per scongiurare l’accesso ad estranei indesiderati. Su un altro ripiano, più in basso, uno scatolone era pieno di oggetti ed oggettini vari. Soprammobili? Piccole sfere, parallelepipedi, cubi, piramidi, eccetera; minuscoli solidi di onice e di alabastro, graziose cianfrusaglie lisce al tatto, parti di un gioco da tavolo che eravamo soliti fare in famiglia, la mia di origine; quando, tanti anni fa, ci riunivamo piacevolmente dedicando del tempo, molto prezioso, ad incontri di svago e di reciprocità. Molto in alto, sull’ultimo ripiano ritrovai i fatidici trenini di mio padre: locomotive d’epoca, locomotori, carrozze passeggeri, vagoni cisterna benzina, carri bestiame e così via, rigorosamente alloggiati nei loro scatolini. E poi, ancora, binari dritti e a curva, curve a gomito, scambi, ponti, gallerie, stazioni: quanti ricordi! Percorsi tortuosi e, ogni volta diversi, venivano predisposti da mio padre e mio fratello su un tavolo o sul pavimento, quando insieme si divertivano ad inventare nuovi scenari per far sfrecciare veloce il mezzo di locomozione approntato; verosimile scusa per trascorrere gioiosi momenti, ritagliati tra gli impegni, e sorridere e ridere anche come bambini. Per terra, più in là, avevo intravisto una cassetta di legno. Sempre più curiosa, vi avevo guardato dentro. Dai! La cassa conteneva seghe, seghetti, trapani, squadrette, saldatori, piccoli torni, scatoline di stagno e grandi quantità di pinze, giraviti, viti, chiodi e bulloni. Con essi il mio papà si era spesso improvvisato elettricista, falegname, fabbro, miniaturista, ecc. per hobby o per necessità, qualora qualche piccolo disagio domestico o richiesta di noi figli l’avessero richiesto. Testimonianze, legami con un passato antico o recente. Quanti oggetti, quante cose! Inutili certo, ma utili per ricordare.... Pregnanti di memorie, pulsanti di vita. Come liberarmene? Perché liberarmene? In fondo, chi può dire cosa è inutile e cosa è utile per un’altra persona? Risvegliata quasi dal torpore nel quale ero scivolata, e richiamata alla realtà dalle parole di mio figlio, mi sentii dapprima smarrita, poi confusa, imbarazzata e, infine, non giustamente costernata. «Mamma, non hai gettato via ancora niente!». Mi apostrofò, cercando probabilmente di incutere in me moti di pentimento o addirittura di vergogna. Neanche il tempo di rispondere alle invettive, e si udì la voce di mio marito che ci chiamava a rapporto. «Venite, sono arrivate le pizze!”». E poi ancora «Presto, o si raffreddano!». Approfittando dell’impellenza che l’occasione richiedeva, mi alzai dal pavimento, un po’ anchilosata perché alloggiata lì da qualche ora; guardai mio figlio, aveva il viso corrucciato e deluso. A disagio, ma non troppo, mormorai, proferii, sciorinai una piccola bugia: «Mi dispiace, ti prometto che lo farò domani». Foto concessa da Laurentia Mannelli per Cinque Colonne Magazine Read the full article
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out-o-matic · 9 months ago
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agrpress-blog · 11 months ago
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Verrà inaugurata mercoledì 21 febbraio alle ore 17.00 presso il Museo d’Arte Contemporanea del Piccolo Formato di Guarcino (FR) -Via San Michele Arcangelo - l’esposizione “Continenti dell’altrove, Le Città di Calvino tra invenzione rappresentazione”, a cura di Francesca Tuscano. Organizzata in occasione del centenario dalla nascita del grande scrittore, la mostra “Continenti dell’altrove” è dedicata al celebre romanzo Le Città invisibili, tra i testi letterari del secolo scorso maggiormente rappresentati e che in questa collettiva prende forma attraverso il linguaggio delle arti visive. Motivi ispiratori delle opere sono difatti le 55 città descritte da Calvino, ognuna delle quali è al centro di un’interpretazione al tempo stesso personale, perché data dalla specificità della ricerca dei singoli artisti, e contestuale, in quanto va ad estendersi e a comprendere i concetti stessi dell’abitare e del vivere collettivo. Già esposta a ottobre presso la Biblioteca Raffaello di Roma e a novembre nella sede del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di “Tor Vergata”, la mostra è stata promossa in collaborazione col Museo Civico d’Arte di Olevano Romano e con diverse gallerie, associazioni e spazi d’arte. In concomitanza con l’apertura dell’esposizione presso il MAC di Guarcino - visitabile fino a venerdì 22 marzo 2024 - sarà nuovamente allestita presso l’Aula Consiliare “Helga Rensing” del Comune di Olevano Romano - Via del Municipio, 1 - la sezione della mostra dedicata alle “città inventate” e più in generale a una rilettura del contesto urbano presso l’Aula Consiliare “Helga Rensing” di Olevano Romano, visibile da lunedì 26 febbraio fino a domenica 17 marzo 2024. La realizzazione del progetto ha visto la collaborazione di diverse istituzioni museali, di associazioni e spazi indipendenti attivi nella sperimentazione e nella promozione delle arti visive e del loro rapporto con la letteratura. Tra i musei e le altre realtà partecipanti, oltre al Museo Civico d’Arte di Olevano Romano, capofila del progetto, e al Museo d’Arte Contemporanea del Piccolo Formato di Guarcino, l’Associazione AMO, la galleria Il Torcoliere, I Diagonali, Aliud Edizioni, le gallerie Alea Contemporary Art e Storie Contemporanee, la Stamperia del Tevere, lo spazio indipendente Off1c1na, la stamperia d’arte La Linea e l’associazione Ars&Tèchne. Partecipano all’esposizione delle “città inventate” (Aula Consiliare “Helga Rensing” del Comune di Olevano Romano): Bruno Aller, Paolo Assenza, Eclario Barone, Gianluigi Bellucci, Aldo Bertolini, Marina Bindella, Ettore Consolazione, A.Pio Del Brocco, Adriano Di Giacomo, Mimmo Di Laora, Franco Durelli, Marisa Facchinetti, Giancarla Frare, Leonardo Galliano, Carlo Lorenzetti, Loredana Manciati, Giovanna Martinelli, Gianluca Murasecchi, Giulia Napoleone, Enzo Lionello Natilli, Franco Nuti, Giovanni Reffo, Mario Ricci, Pasquale Santoro, Guido Strazza, Mara Van Wees. Partecipano all’esposizione delle “Città invisibili di Calvino” (Museo d’Arte Contemporanea del Piccolo Formato di Guarcino): Bruno Aller, Rita Allescia, Arianna Angelini, Giulia Apice, Paolo Assenza, Laura Barberini, Maryam Bakhtiari, Eclario Barone, Claudia Bellocchi, Gianluigi Bellucci, Aldo Bertolini, Paolo Bielli, Francesco Calia, Virginia Carbonelli, Claudia Catalano, Malgorzata Chomicz, Valerio Coccia, Michele De Luca, A.Pio Del Brocco, Felice Del Brocco, Mimmo Di Laora, Franco Durelli, Marisa Facchinetti, Alessandro Fornaci, Francesca Gabrielli, Leonardo Galliano, Salvatore Giunta, Lucia Graser, Federica Luzzi, Loredana Manciati, Frank Martinangeli, Giovanna Martinelli, Donato Marrocco, Fausto Maxia, Elena Molena, Gianluca Murasecchi, Giulia Napoleone, Massimo Napoli, Veronica Neri, Anastasia Norenko, Isabella Nurigiani, Franco Nuti, Andrea Pacini, Vincenzo Paonessa, Lucia Sapienza, Giovanni Reffo, Marta Renzi, Rosella Restante, Anna Romanello, Azadeh Shirmast, Alessandra Silenzi, Virginia Sobrino, Massimo Spadari, Nicola Spezzano, Lello Torchia, Rosana Tuscenca, Raha Vismeh.
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Napoleon
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:: Trama Napoleon ::
A partire dalla Rivoluzione francese del 1789, Napoleon segue la parabola dell'ascesa al potere supremo di Napoleone Bonaparte da sconosciuto militare, capitano d'artiglieria, a Imperatore. Oltre alle armi, alle battaglie e alle strategie politiche, il film racconta da vicino la burrascosa storia d'amore di Napoleone con Giuseppina.
Come il vero Napoleone, due volte nella polvere e due volte sull'altare, la storia messa in scena da Ridley Scott si divide in due strade, tra straordinarie scene di guerra e una storia d'amore da romanzo d'appendice, che non s'incontrano mai.
Napoleone secondo Ridley Scott. O della sfrontatezza, marchio di fabbrica delle ultime opere del regista britannico, penso a Tutti i soldi del mondo e a House of Gucci.
Con sprezzo del pericolo, anche questa volta, alla prova del fuoco del personaggio mastodontico di Napoleone, cioè il mito che si confonde con la storia e non viceversa, Scott traduce e tradisce per i contemporanei l'ascesa al trono del mondo occidentale di Napoleone Bonaparte, politico e generale francese vissuto tra il 1769 e il 1821 cercando il film definitivo che contenga quelli precedenti, un po' anche quello sognato da Kubrick, con - tutt'insieme - il condottiero, il tiranno, il riformatore, l'imperatore, il traditore della Rivoluzione francese (d'altro canto il cartello iniziale recita che «le persone sono spinte dalla miseria alla rivoluzione» e viceversa) e l'Uomo.
E per farlo non disdegna certo la scorciatoie di una narrazione lineare e precisa nei riferimenti, come una pagina di Wikipedia, che mette in fila (seppur a volte superficialmente come per le vicende delle due isole, Elba e Sant'Elena) tutti gli snodi fondamentali della sua storia, posizionando improvvisamente Napoleone nella scena del crimine sotto la ghigliottina della regina Maria Antonietta.
Già da qui, già dalla prima scena inverosimile, è il mito di Napoleone che si confonde con la storia. Ma il mito va, ancora una volta, decostruito, riportato cioè dall'investitura mistica e divina a quella del cittadino che si autoincorona ritornando al futuro del Gladiatore di Ridley Scott d'inizio millennio con l'imperatore Commodo sempre interpretato da Joaquin Phoenix. Un uomo per di più proveniente dall'isola che fa dannare la Francia, un vero e proprio "delinquente corso" come viene apostrofato anche se il legame, fortissimo, di Napoleone con la sua terra non viene mai approfondito (peccato perché è proprio lì che il futuro sovrano aveva imparato a sparare sulla gente senza tentennamenti come vedremo nel film).
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure può essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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Napoleon 2° in classifica al Box Office
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:: Trama Napoleon ::
A partire dalla Rivoluzione francese del 1789, Napoleon segue la parabola dell'ascesa al potere supremo di Napoleone Bonaparte da sconosciuto militare, capitano d'artiglieria, a Imperatore. Oltre alle armi, alle battaglie e alle strategie politiche, il film racconta da vicino la burrascosa storia d'amore di Napoleone con Giuseppina.
Come il vero Napoleone, due volte nella polvere e due volte sull'altare, la storia messa in scena da Ridley Scott si divide in due strade, tra straordinarie scene di guerra e una storia d'amore da romanzo d'appendice, che non s'incontrano mai.
Napoleone secondo Ridley Scott. O della sfrontatezza, marchio di fabbrica delle ultime opere del regista britannico, penso a Tutti i soldi del mondo e a House of Gucci.
Con sprezzo del pericolo, anche questa volta, alla prova del fuoco del personaggio mastodontico di Napoleone, cioè il mito che si confonde con la storia e non viceversa, Scott traduce e tradisce per i contemporanei l'ascesa al trono del mondo occidentale di Napoleone Bonaparte, politico e generale francese vissuto tra il 1769 e il 1821 cercando il film definitivo che contenga quelli precedenti, un po' anche quello sognato da Kubrick, con - tutt'insieme - il condottiero, il tiranno, il riformatore, l'imperatore, il traditore della Rivoluzione francese (d'altro canto il cartello iniziale recita che «le persone sono spinte dalla miseria alla rivoluzione» e viceversa) e l'Uomo.
E per farlo non disdegna certo la scorciatoie di una narrazione lineare e precisa nei riferimenti, come una pagina di Wikipedia, che mette in fila (seppur a volte superficialmente come per le vicende delle due isole, Elba e Sant'Elena) tutti gli snodi fondamentali della sua storia, posizionando improvvisamente Napoleone nella scena del crimine sotto la ghigliottina della regina Maria Antonietta.
Già da qui, già dalla prima scena inverosimile, è il mito di Napoleone che si confonde con la storia. Ma il mito va, ancora una volta, decostruito, riportato cioè dall'investitura mistica e divina a quella del cittadino che si autoincorona ritornando al futuro del Gladiatore di Ridley Scott d'inizio millennio con l'imperatore Commodo sempre interpretato da Joaquin Phoenix. Un uomo per di più proveniente dall'isola che fa dannare la Francia, un vero e proprio "delinquente corso" come viene apostrofato anche se il legame, fortissimo, di Napoleone con la sua terra non viene mai approfondito (peccato perché è proprio lì che il futuro sovrano aveva imparato a sparare sulla gente senza tentennamenti come vedremo nel film).
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure pu�� essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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orianagportfolio · 1 year ago
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«Quando lei è felice, il nostro caffè è più buono», forse la morale è questa, ho bisogno che lo sia. Sclero di Edoardo Vecchioni il libro che fa pensare. / Il Bullone - OrianaG
Pubblicato su Il Bullone n° 59/60, dicembre 2021/gennaio 2022.
Forse perché è Natale. Forse perché ho finito di leggere il libro in treno con Michael Bublé nelle orecchie. Ma è l'ultima frase di Sclero che mi rimane in testa più di tutto il resto della rocambolesca storia scritta da Edoardo Vecchioni: «E quando lei è felice, il nostro caffè è più buono». Forse la morale è questa. O forse ho bisogno che lo sia. È la felicità che porta il buono. Non la frustrazione, non il rancore, non il bisogno di rivalsa, né la vendetta.
Cornelio, il protagonista di Sclero, è arrabbiato per la maggior parte del tempo. Vaga, per la maggior parte del tempo. Il mondo che vede intorno è distorto. Ma è questo l'effetto che fa una diagnosi cronica prima dei trent'anni. E se è degenerativa, come la sclerosi multipla, l'unica promessa che ti fa è che sarà sempre peggio. Ed è normale arrabbiarsi, sentire tutto, specialmente il negativo, amplificarsi ogni minuto che passa. Se poi la tua ragazza ti lascia perché non regge l'idea della malattia, ti cornifica col tuo migliore amico, ti trovi solo. Solo e arrabbiato. E se, per caso, ti capita di trovarti nelle mani di un altro, solo e arrabbiato più di te, che si propone come mentore, via d'uscita da quella rabbia e quella solitudine, beh, è facile che il tuo mondo si ribalti.
È difficile definire il romanzo di Edoardo. Ma è difficile sempre entrare nella testa di «uno di noi», B.Liver, ragazzi che con la malattia vanno a braccetto anche quando non te ne accorgi, quando è invisibile, quando ci ridono sopra perché faccia meno paura. Il nostro cervello diventa facilmente un labirinto intricato e impenetrabile, complesso da raccontare. Il cocktail di emozioni ha sapori strani, mai completamente felice, mai completamente arrabbiato, oppure sì, anche troppo. L'unica forma plausibile è suo fedele riflesso: un racconto strano, un'avventura che inizia romanzo di formazione, tocca lo splatter alla Tarantino, si rivela poi thriller, con romantico finale. Sembra e diventa tutto e il suo contrario.
Vi è mai capitato di sbagliare barattolo, e mettere il sale nel caffè, al posto dello zucchero? Ecco, a volte vivere con una malattia cronica, un passato orrendo, un trauma mai risolto, ha lo stesso sapore. In questo, molti personaggi di Sclero si somigliano: Angelo, affetto da nanismo e per questo abbandonato, Cornelio, neodiagnosticato con sclerosi multipla, Yayo, suo migliore amico, disorientato dai suoi cambi di rotta, Napoleone, doppiatore cinico ma con un gran bisogno di tenerezza... Tutti hanno una scelta. Rifilare per rabbia un pessimo caffè col sale a chiunque incontrino, o perdere un secondo in più, respirare profondamente e decidere di zuccherarlo.
«E quando lei è felice, il nostro caffè è più buono». Vale anche il contrario: se il caffè è buono, e me lo fai «sentire», io di riflesso torno felice. E non perché la rabbia, la frustrazione, la solitudine spariscano. Torneranno. Ma quel caffè concede una tregua, ossigena il cervello, fa dormire qualche ora in più, la visione del mondo è meno distorta.
Ed è più difficile che un nano sadico e fissato con gli imperatori romani ti usi come un burattino, usando la tua umana debolezza a suo disumano vantaggio. È il ruolo di Ambra, che da sempre lavora ad AmikaMokA, il bar dei suoi, e grazie a quel caffè non si limita a deliziare i clienti, ma li salva, in molti modi.
È difficile dire se, o a chi, consiglierei di leggere il romanzo di Edoardo Vecchioni. Non è semplice. Anzi, rasenta l'assurdo. Ma è il nostro mondo. Benvenuti tra i B.Liver. Vi va un caffè?
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frabooks · 1 year ago
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I miserabili
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Contesto
Il romanzo viene pubblicato per la prima volta in Belgio, dove Hugo si trova in esilio.
Il libro ha luogo nell’arco dei 17 anni tra il 1815 e il 1832. Giugno del 1815 vede sconfitto Napoleone nella battaglia di Waterloo,
Nel giugno del 1815 era anche appena concluso il Congresso di Vienna, iniziato nell’autunno precedente. La conferenza, a cui parteciparono le principali potenze europee, aveva come obiettivo quello di ripristinare in Europa il governo dei sovrani assoluti dopo gli eventi della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche.
Nel giugno del 1832 ci fu la fallita rivolta anti-monarchica per rovesciare il governo di Luigi Filippo di Orléans. Il suo regno viene chiamato Monarchia di Luglio in quanto lui era salito al trono dopo la Rivoluzione di Luglio, soprannominata anche “Seconda Rivoluzione Francese”, avvenuta tra il 27 e il 29 luglio e che aveva rovesciato il regno dell’ultimo sovrano Borbone di Francia, Carlo X. Il 1832 è anche l’anno in cui, finalmente, la pandemia di colera che era scoppiata in India nel 1815 raggiunse Parigi e tra i mesi di marzo e settembre uccise 18.000 persone.
Il romanticismo nella letteratura
Movimento letterario, artistico, culturale nato in Germania alla fine del 1700 che ha dominato l’Europa fino alla prima metà dell’Ottocento. Alcuni dei suoi temi sono eredità del movimento preromantico dello Sturm und Drang. Il termine “romantico” proviene dall’inglese “romantic” ovvero non reale, fittizio, immaginario. Questa parola nella metà del XVIII secolo indicava quei generi letterari, come i romanzi cavallereschi, che rappresentavano vicende fantastiche all'interno di un'ambientazione storica più o meno accurata. Questo movimento di contrappone all’Illuminismo del secolo precedente, alle sue idee di intelletto, di relazione con il mondo, e di concezione della natura. Rispetto ai philosophes illuministi, che ammettevano e accettavano l’impossibilità di raggiungere l’infinito e Dio a causa dei limiti della Ragione, e si interrogavano invece sul fine della natura, il Romanticismo rinnega una visuale teleologica del mondo. Per gli Illuministi la natura era osservata e catalogata, per i Romantici la natura è profonda e segreta. La ragione per i romantici è guidata dal sentimento. Senza il sentimento la ragione non potrebbe superare i limiti umani. Nel Romanticismo un elemento essenziale è l’INFINITO e l’anelito verso l’ASSOLUTO, la costante ricerca. Questa ricerca si traduce sia in termini spaziali che temporali. Spazialmente, i luoghi esotici e lontani offrono una fuga dalla realtà e temporalmente lo sguardo si rivolge verso epoche diverse passate, come il Medioevo e l’epoca classica antica. In questo sguardo verso il passato la STORIA non è mai intesa come storia del singolo individuo e nemmeno come della singola civiltà ma 1) come sguardo verso il passato e ricerca di un’ARMONIA perduta in tempi antichi e tutti quei valori che ora sono importanti come la fedeltà, la lealtà, il coraggio e 2) come storia universale, storia come manifestazione del progetto/disegno di una Provvidenza. La storia secondo i Romantici non è un susseguirsi di eventi concatenati e di cause e effetti, ma è una "macro manifestazione universale e sovraindividuale di una soggettività astratta”. Importante è anche l’AMORE, in quanto slancio verso l’assoluto che porta alla globalità. Dal punto di vista politico il Romanticismo è duale. Al contempo esistono i Romantici che esaltano la patria e la amano, che sono legati al concetto di popolo e di giustizia e libertà, e sognano un’autonomia nazionale mentre prendono parte ai vari moti rivoluzionari del diciannovesimo secolo e quei Romantici che, invece, vogliono conservare i legami storici con la patria del passato e la tradizione. Il Romanticismo politico stimola una coscienza nazionale che si incastona perfettamente tra le idee di Restaurazione e di Risorgimento.
Personaggi
Jean Valjean protagonista del romanzo, tanto che all’inizio il libro si sarebbe dovuto chiamare “Il miserabile”. In giovane età viene arrestato e incarcerato perché ha rubato del pane da dare alla famiglia di sua sorella. Tenta qualche evasione, la pena arriva a 19 anni. Esce ma è marchiato a vita; torna a delinquere. Conosce Monsieur Bienvenu che gli cambia la vita e si redime. E’ dotato di forza fisica quasi sovrumana, come Quasimodo de Notre Dame de Paris. E’ il centro del romanzo, sicuramente il personaggio più importante attorno a cui gira l’intero libro. Vive più vite lungo tutto il romanzo in modo da riflettere i cambiamenti dell’animo umano tormentato da ciò che gli accade, da ciò che sente di essere, dalle cose che scopre vivendo.
Fantine La incontriamo abbastanza presto nel libro. Si innamora di un ragazzo di un altro ceto sociale, rimane incinta e da lì iniziano i suoi problemi. La sua parabola dura poco ma rimane sempre impressa nel lettore anche perché sua figlia è Euphrasie “Cosette”, altra protagonista del romanzo. È bellissima, ingenua. La sua storia è una delle più struggenti. Perde la sua purezza e la sua morte riflette la sua “discesa” morale (titolo del quinto libro della prima parte).
Cosette Figlia di Fantine. La vediamo letteralmente nascere, crescere, maturare e diventare adulta. Anche lei vive sostanzialmente tre vite: dai Thénardier, con Jean e con Marius. Non ha un carattere definito e per tutto il libro Hugo la descrive invece di farla “vivere”, se non alla fine, dove prende vita davvero. È un personaggio “ideale” e angelicato.
Marius Giovanotto cresciuto dal nonno monarchico. Si ribella, conosce gli amici dell’ABC e vive per conto suo. Diventato “rivoluzionario”, conosce Cosette e se ne innamora. Anche lui è un personaggio abbastanza strano; sembra che Hugo non ce l’abbia bene in mente. Lo descrive molto ed è evidente che ci tiene a farne un personaggio di peso, eppure non gli riesce del tutto. Anche lui prende vita, peso e spessore soprattutto alla fine.
Javert Figlio di delinquenti, è un ispettore della polizia incredibilmente fedele all’idea di giustizia intesa in senso legislativo. È retto, probo, severo. È un personaggio “cinematografico”, di grande spessore e con un filo narrativo interessantissimo. Uno dei personaggi meglio scritti. La sua intera filosofia ed esistenza giusta vengono messe alla prova da Jean Valjean (il culmine di uno scontro lungo praticamente l’intero libro) e questo non lo porta ad una “conversione” ma alla sua fine.
Thénardier padre Ex locandiere caduto in miseria a causa dei debiti. Prima cresce Cosette mandando in rovina Fantine, poi si barcamena sfruttando i figli per le truffe. È un uomo scaltro ma infido, pronto a fregare il prossimo per sopravvivere. È in effetti “il cattivo” del romanzo. Personaggio molto riuscito.
Éponine Primogenita dei Thénardier, uno dei migliori personaggi del libro. È una ragazza vispa, estroversa, carismatica, intraprendente. Hugo la fa parlare e agire moltissimo, è da subito un personaggio molto vivo, credibile, che fa appassionare e empatizzare. Condannata a non poter scappare dalla sua situazione, muore per amore. Ha una gran storia e i pezzi dove c’è lei sono sempre appassionanti.
Gavroche Terzogenito e primo maschio dei Thénardier, è un “monello” che vive per strada. Anche lui è un personaggio vivissimo, sagace, ironico, intraprendente, anche coraggioso e buono (salva due bambini di strada condividendo il suo riparo e del cibo). Parla moltissimo, ha una voce chiara e precisa. Personaggio estremamente intrigante. Anche lui è un personaggio giusto, segue i rivoluzionari perché è la cosa da fare.
Gli amici dell’ABC 8-9 ragazzi che incontriamo a metà libro e che parteciperanno ai moti di Parigi del 1832. I più significativi, secondo me, sono: Enjolras, leader del gruppo e della barricata; è un simbolo dei moti della rivoluzione, è anche lui “angelicato”, ideale, perfetto esemplare di uomo di principio. Courfeyrac, amico di Marius sagace e con la battuta pronta, fin da subito ha un’ottima caratterizzazione. Grantaire, ubriacone senza particolari ambizioni, credenze o ideali, che idolatra Enjolras, ha un buon arco narrativo.
Monsieur Bienvenu Il primo personaggio in assoluto che incontriamo. Scompare presto dalla trama ma rimane fino all’ultima pagina come simbolo portatore di ideali cristiani e guida morale di Jean Valjean.
Spunti
Personaggi-simbolo e personaggi veri Simboli: Fantine, Cosette, Marius, Enjolras Veri: Jean Valjean, Eponine, Javert, Gavroche, Thénardier Hugo ritrae i personaggi in due modi distinti: i personaggi veri e i personaggi simbolo. I personaggi simbolo sono utilizzati da Hugo per rappresentare un ideale.L’esempio più immediato è Enjolras che incarna la giustizia e la rivoluzione: il suo personaggio non fa né è nient’altro che ciò che rappresenta. Un altro esempio riguarda Cosette che per tutto il libro non ha una sua propria voce, non viene mostrata fare qualcosa di specifico, non prende decisioni, insomma non è davvero nel mondo; Cosette rappresenta la donna vergine e angelicata. Altri due personaggi che, secondo me, sono più ideali che personaggi vivi, sono Fantine e Marius. Riguardo Marius addirittura Hugo si dilunga in almeno 3 parti diverse del libro nel descriverlo astrattamente, da fuori, con un diluvio di aggettivi. Ecco un esempio:” Del resto, era un ragazzo ardente e freddo, nobile, generoso, fiero, religioso, esaltato; dignitoso fino alla durezza, puro fino alla selvatichezza”. Una sfilza di aggettivi che dicono e non mostrano. Questi personaggi sono meno veri e umani, ci si può rispecchiare molto poco, anzi non hanno vere caratteristiche umane, proprio perché, essendo “ideali”, sono un connubio precisissimo e irrealistico di caratteristiche generali: “la rivoluzione, “la verginità angelicata”, i due esempi migliori sono proprio questi. Gli altri personaggi, quelli veri, hanno una loro voce, fanno cose, Hugo li mostra; al contrario degli altri, loro sono vividi, possiamo capirli molto di più. Alcuni di questi personaggi veri e vivi sono: Jean Valjean, Eponine, Javert, Gavroche, Thénardier. Spiccano in particolare Eponine e Gavroche che non vengono praticamente mai presentati né descritti, eppure sono vividi, personaggi tridimensionali e realistici. Un esempio riguardo Gavroche. La prima cosa in assoluto che dice è: p 763 “Toh, è la vecchia, -disse il bambino.- Salve, Sguscialumache. Sono venuto a trovare i miei antenati”
Religione classica Idea del raggiungimento del Paradiso solo dopo grandi sofferenze e dopo una vita intera di moralità I miserabili non hanno un biglietto gratis per il paradiso solo perché soffrono.
Tipo di scrittura di Hugo - Fluviale Hugo è stato uno scrittore molto prolisso, fluviale, esagerato: ha portato all’estremo una tendenza del romanticismo dell’800. Ne I miserabili c’è tutto l’Hugo ossessionato dall’esprimersi, anche ripetendosi più volte. Un esempio chiarissimo lo si ha nel primo libro della parte quinta, l’ultima. E’ il famoso pezzo in cui sono le barricate. Queste barricate vengono descritte più volte di fila in una pagina e mezza densa di ripetizioni. Un altro esempio di “fluvialità” sta nelle digressioni: le digressioni in quanto tali sono parte dei grandi romanzi classici, non sono un difetto. Hugo porta all’estremo il concetto della digressione con interi capitoli laterali: uno sulla battaglia di Waterloo, uno sul sistema dei conventi, uno sulle fogne, ad esempio. Sono concettualmente “giusti”, secondo me; però sono molto lunghi, prolissi, ripetitivi. Si perde in moltissimi minuscoli dettagli. Hugo aveva la chiara scelta di dire le stesse cose in metà delle pagine o dire tutto ciò che voleva senza contenersi né rinunciare a qualcosa, ha scelto la seconda. Questo stile è anche, in parte, una non-scelta di Hugo perché lui di suo è uno scrittore portato all’esagerazione, alla prolissità.
Tipo di scrittura di Hugo - Ha dei pattern (il “doppio”, il “si chiama”). Ho notato un modo molto peculiare di articolare alcune frasi, soprattutto quando Hugo non sta raccontando un’azione ma sta riflettendo oppure sta presentando delle situazioni o dei personaggi. Non so come definirlo quindi lo chiamo “il doppio”. Non so bene neanche come descriverlo: è un modo per associare le cose sempre a coppie, presentarne una vuol dire portarne sempre una d’accompagnamento. Alcuni esempi: “Aveva un pungolo? sì, certo, la sua miseria; aveva le ali sì, certo, la sua gioia.” “La cucina degenerò e diventò pessima, il vino, che era sempre stato cattivo, diventò orribile” “la guerra contro la frazione è insurrezione, l’attacco della frazione contro la totalità è sommossa” “c’è una sete sola, la pace, un’ambizione sola, essere piccoli” “Wellington era il Barème della guerra, Napoleone ne era il Michelangelo” “Esiste uno spettacolo più grande del mare, è il cielo; esiste uno spettacolo più grande del cielo, è l’interno dell’anima” “Il progresso è lo scopo; l’ideale è il tipo.”
Tipo di scrittura di Hugo - Si chiama. Hugo pur di usare qualche parola in più ha il vizio, l’ossessione, di usare il “si chiama” invece di dire quel che deve dire. Esempi: “il bambino che si chiamava Marius, sapeva di avere un padre, ma nulla di più” “Abbiamo domato l’idea, e si chiama steamer; abbiamo domato il drago, e si chiama locomotiva; stiamo per domare il grifone, già lo teniamo, e si chiama pallone” “Questa sovranità dell’io sull’io si chiama libertà” “Questa identità di concessione fatta da ciascuno a tutti si chiama Uguaglianza” “Questa protezione di tutti su ciascuno si chiama Fratellanza” “Nell'uscire da quella cosa deforme e nera chiamata galera…” Fa parte dello stile di Hugo, non credo si possa definire errore vero e proprio, è solo un modo banale e impreciso per allungare il brodo. Se nei primi capitoli non si notava neanche, alla lunga mi ha stancato.
Tipo di scrittura di Hugo - Hugo ha uno stile di scrittura che riflette, in parte, il suo tempo e il suo carattere. In alcune parti di romanzo, la sua scrittura diventa molto paternalista e forse anche didascalica e retorica. L’esempio perfetto è la domanda retorica, vuota per definizione, eppure usatissima da Hugo. “Ma di che parlavano allora, quegli amanti?” “Dove siamo in questo momento? Nel gergo. Che cos’è il gergo?” “Che cosa accadeva in quella mente tanto giovane e già tanto impenetrabile? Che cosa vi stava compiendo? Che cosa succedeva all’anima di Cosette?” “Il monello è una grazia per la nazione, e nello stesso tempo è una malattia; malattia che deve guarire; come? con la luce.” “Il progresso è lo scopo; l’ideale è il tipo. Che cos’è l’ideale? è dio.” “Che era mai? Era un luogo abitato dove non c’era nessuno.” “Era possibile che Napoleone vincesse quella battaglia? Rispondiamo di no. Perché? […] A causa di Dio.” ““Che cos’è questa storia di Fantine? È la società che compra una schiava.” E’ uno stile che ho trovato, con l’andare della lettura, sempre più pesante e posticcio. Rallenta la lettura, la rende arzigogolata e inutilmente autoriferita.
Tipo di scrittura di Hugo - Cambia stile e portata a seconda dei momenti fino a diventare frenetica e potentissima. Come i grandi autori, Hugo ha un’ottima padronanza del ritmo. Ci sono alcuni momenti in cui questa gestione è magistrale. Ad esempio, nella prima parte, c’è una scena di profonda introspezione da parte di Valjean che deve decidersi a consegnarsi alle autorità; la scrittura è lenta, filosofica, psicologica, immaginifica. Poco dopo parte l’azione, la corsa disperata di Valjean e il suo ritorno e il devastante momento di Fantine; la scrittura si fa più secca, precisa, legata agli eventi, frenetica.
Tipo di scrittura di Hugo - Cinematografica. Hugo ha uno stile tale per cui alcune scene sembrano perfette per il cinema, per un adrenalinico film d’azione tipo 007. Javert è, in questo senso, il personaggio più cinematrografico. Ha battute ed entrate in scena ad effetto. “Volete il mio cappello? - gridò una voce dalla soglia della porta. Si voltarono tutti. Era Javert. Teneva il cappello in mano e lo porgeva sorridendo”
Tipo di scrittura di Hugo - Digressioni Niente di nuovo: Hugo fa tante digressioni lungo tutto il libro. Alcune digressioni sono utili per presentare nuovi personaggi, come quella adatta a farci conoscere Fantine. Altre sono storiche, come quella che racconta la battaglia di Waterloo. Altre specifiche per il tempo e il luogo in cui è stato scritto il libro, come una piccola digressione sui “personaggi famosi” della Parigi dell’800. Poi ci sono digressioni più estreme, come quella in cui spiega nel dettaglio il sistema fognario di Parigi.
Finale Come per Notre Dame de Paris, il finale è costruito fin dai capitoli precedenti con molta cura. Hugo si prende oltre 100 pagine e moltissimi capitoli per costruire un finale emozionante in cui riesce a fare il punto e a concludere le storie dei personaggi principali alla perfezione.
Voce di Hugo Ci sono libri in cui l’autore è onnisciente ma invisibile, non lo si percepisce mai, né platealmente (non si tira mai in causa direttamente) né implicitamente. Invece ne I miserabili la voce dell’autore è molto forte, soprattutto quando Hugo si prende del tempo per analizzare dei concetti - ad esempio nelle digressioni. A un certo punto Hugo addirittura sente l’esigenza di spiegare cos’è I miserabili e cosa il lettore dovrebbe vederci dentro: “Il libro che il lettore ha sotto gli occhi in questo momento è, da un capo all’altro, nell’insieme e nei particolari, quali che siano le intermittenze, le eccezioni e le mancanze, il cammino dal male al bene, dall’ingiusto al giusto, dal falso al vero, dal buio alla luce, dall’appetito alla coscienza, dalla putredine alla vita, dalla bestialità al dovere, dall’inferno al cielo, dal nulla a Dio. Punto di partenza: la materia, punto d’arrivo: l’anima. Idra da principio, angelo della fine”. E’ una posizione molto forte e discutibile: d’altronde si potrebbe dire che l’autore non è responsabile di ciò che il lettore ne fa del romanzo. Eppure Hugo, esagerato com’è, vuol mettere mano anche su questo. Parte della voce di Hugo è anche sgradevole e maschilista, in parte perché Hugo è “figlio del suo tempo”, in parte, probabilmente, per la sua persona. Un esempio che mi ha lasciato interdetto: “Abbiamo accennato una volta per tutte al balbettio della Toussaint. Ci si consenta di non accentuarlo più. La notazione musicale di un’infermità ci ripugna”
Amici dell’ABC All’inizio presentati con mere descrizioni che rimangono sospese e poco chiare. Prendono vita nella barricata. Avrebbe potuto usarli molto di più, comunque ottimo impatto di Enjolras, Courfeyrac e Grantaire. Gli amici dell’ABC sono 8-9 ragazzi che parteciperanno alle barricate. Li conosciamo di sfuggita contemporaneamente alla storia di Marius. Hugo fa una scelta precisa che io reputo discutibile: li descrive. Tutti. Di fila. Circa 5-6 pagine di mere descrizioni. Se per un Enjolras potrebbe bastare, dato che è un personaggio simbolo (vedasi sopra), per tutti gli altri è semplicemente un muro di testo che non lascia nulla. Non li conosciamo davvero. Iniziamo a conoscerli quando prendono parola. Courtfeyrac è amico di Marius e ha qualche battuta: poche frasi bastano per caratterizzarlo molto di più di mezza pagina di descrizione. Prendono tutti vita parecchie pagine dopo con l’evento della barricata. E’ un’occasione sprecata, secondo me, perché sarebbero stati interessantissimi.
Lunghezza libro Sarebbe potuto durare 1000 pagine in più, c’era ancora sugo, potenzialmente. Non è un peso, anzi, ci permette letteralmente di accompagnare alcuni personaggi dalla nascita. Credo sia tipica dei romanzi d’appendice: hanno tanta trama, tanti personaggi, tanti ambienti. Potenzialmente non hanno una fine specifica. La storia sarebbe potuta continuare con Marius e Cosette che diventano adulti, magari fanno un figlio. Thénardier fa cose. Azelma, la figlia di Thénardier e sorella di Eponine, ha tutto lo spazio del mondo.
Questione carceraria "Scarcerazione non è liberazione. (Si esce dalla galera, ma non dalla condanna)." “la galera è “la più schifosa delle vergogne” “Jean Valjean era entrato in galera singhiozzante e fremente; ne uscì impassibile. Vi era entrato disperato, ne uscì cupo. Che era accaduto in quell'anima?” “Nell'uscire da quella cosa deforme e nera chiamata galera, il vescovo gli aveva fatto male all'anima come una luce troppo viva gli avrebbe fatto male agli occhi nell'uscire dalle tenebre.” “La galera fa il galeotto” Il tema della giustizia delle carceri, delle pena e della riabilitazione è molto cara a Hugo scrittore e poi a Hugo politico. Dentro i Miserabili c’è la storia di Jean Valjean, IL miserabile, che dopo 19 anni di galera esce trasfigurato, corrotto e deviato dalla pena. Poi poi c’è anche una scena a cui assistono Valjean e Cosette adolesce del trasporto dei carcerati: sono animali senza dignità.
Cosette Personaggio con potenzialità enormi “grazie” all’infanzia difficile, alla rinascita con Jean Valjean e al possibile triangolo (che non si realizza) con Marius ed Eponine. Eppure rimane sempre senza voce, impalpabile. Prende voce, ed è una piacevolissima sorpresa, solo alla fine, con un carattere spontaneo, fresco.
Marius Hugo lo descrive con enorme sforzo molte volte, come se temesse non sia chiaro. Infatti rimane non chiaro fino alla fine. E’ interessante il cambiamento adolescenziale da monarchico a napoleonico fino a diluirsi con la maggiore età, ma il resto del carattere è più descritto che mostrato e infatti rimane fosco. Si riprende grazie allo splendido finale. “Era realista, fanatico e austero” “Non era più Marius il sognatore entusiasta, l’uomo deciso, ardente e risoluto, l’audace provocatore del destino, il cervello che costruiva avvenire su avvenire, la giovane mente…” A pagina 654 ho fatto questa nota: Quante descrizioni di Marius! Sono capitoli che ci torna su. Ha paura di non ritrarlo bene?
Javert Uno dei personaggi migliori. Cinematografico (ha tante frasi ad effetto), devoto alla giustizia legislativa, carismatico, alla caccia di Jean Valjean per tutto il romanzo. Sembra monodimensionale e invece non lo diventa mai, tanto da mostrarsi in tutta la sua complessità nella parte finale.
Note su Hugo dal saggio Hugo era un borghese conservatore non particolarmente originale, cosa sorprendente se si pensa all’enorme impegno nel raccontare “I miserabili”; questa nota non pregiudica nulla della lettura o del romanzo in sé, ovviamente. La vita degli autori di per sé non dice nulla sulle opere (inteso come causa effetto oppure come “grande uomo-grande opera”), né c’è bisogno di vicinanza col soggetto: Tolkien non era un elfo e Capote non un assassino.
Ananke e il buio che lo accompagnerà per tutta la vita (e che gli dà tridimensionalità); come ci si aspetta, i grandi autori sono persone “rotte”. Hugo aveva una parte di sé oscura, tenebrosa che è ritornata lungo tutto la vita e ha sempre fatto da contrappeso ai suoi ideali.
Hugo era ossessivo, esuberante, strabordante. L’uso esagerato delle parole è servito anche per supporto emotivo contro l’ignoto: finché scrivo posso non ascoltare l’ignoto.
Aveva un’immaginazione visiva, vedeva i sentimenti, le emozioni, i dettagli, tutto è visivo. L’ho notato soprattutto nella difficile riflessione di Jean Valjean riguardo il consegnarsi alle autorità. In realtà tutto il libro ha bellissimi riferimenti visivi, immagini, appunto quasi cinematografiche, potenti, vaste.
Era una persona estremamente contraddittoria e ipocrita, come ci si aspetta giustamente da qualcuno di largo e grande (tutti siamo contraddittori ma i grandi artisti di più).
Un esempio della non originalità o profondità di pensiero di Hugo: p 487 “Sappiamo che esistono atei illustri e possenti. In fondo costoro, ricondotti al vero della loro stessa potenza, non sono tanto certi d’essere atei, con loro in fondo è soltanto questione di definizione e comunque, se non credono in Dio, essendo grandi spiriti dimostrano Dio”
Sono cambiato nella lettura 1300 e rotte pagine sono tante da cambiare addirittura il mio stesso approccio al romanzo. Alcune cose del romanzo, dei personaggi, della scrittura e della trama, sono passate sotto traccia per le prime centinaia di pagine. Dalle 8-900esima pagina, invece, ho iniziato a non sopportarle più. Un po’ ne ho già parlato, riassumo brevemente. La scrittura ripetitiva di Hugo; l’uso del “doppio”; le domande retoriche; le digressioni fluviali; la caratterizzazione vaga di alcuni personaggi; la voce troppo presente. Sono tutti aspetti che hanno reso la lettura, nella seconda parte, pesante. È palese che sia la descrizione plastica del rapporto libro-lettore, del fatto che un libro non è un oggetto inanimato ma vive del nostro riflesso.
E noi cambiamo con lui.
Pezzi
“Non è forse tutto? e che si può desiderare di più? Un giardinetto per passeggiare e l’immensità per fantasticare. Ai piedi quello che si può coltivare e cogliere; sulla testa quello che si può studiare e meditare; alcuni fiori sulla terra e tutte le stelle nel cielo” P.57
“Nel mondo morale non c’è più grande spettacolo di questo: una coscienza torbida e inquieta, giunta sul limitare d’una cattiva azione, che contempla il sonno di un giusto.” p. 100
p 129. “Dahlia, vedi, sono triste. E’ tutta l’estate che piove. Il vento mi fa venire il nervoso, il vento non si calma, Blachevelle è un gran tirchio, è grazia se riesci a trovare i pisellini al mercato, non si sa che cosa mangiare, ho lo spleen, come dicono gli inglese, il burro è tanto caro! e poi, vedi, è un vero orrore, stiamo mangiando in una stanza dove c’è un letto, e questo mi fa venire il disgusto della vita”.
p 145 “Una persona seduta invece di essere in piedi: i destini dipendono da questo”.
p 148 “Esistono anime gamberi che indietreggiano continuamente verso le tenebre, che retrocedono nella vita, invece di avanzare, usando l’esperienza per aumentare la loro deformità, peggiorando di continuo e impregnandosi sempre più d’una crescente nefandezza.”
p 151 “L’ingiustizia l’aveva fatta astiosa e la miseria l’aveva resa brutta. Le restavano soltanto i suoi begli occhi che facevano pena perché, grandi com’erano, sembrava di vederci una maggiore quantità di tristezza”.
p 179. “Un’anima per un tozzo di pane. La miseria offre, la società accetta”.
“Che cosa oscura l’infinito che ogni uomo porta dentro di sé e col quale misura disperatamente le volontà del suo cervello e le azioni della sua vita!”
p 235 “Tutte le cose della vita sono continuamente in fuga davanti a noi. Gli ottenebramenti e le luci ci frammischiano; dopo un abbagliamento, un’eclisse; si guarda, ci si affretta, si tendono le mani per afferrare ciò che passa; ogni evento è una svolta della strada; e d’un tratto si è vecchi.”
P 283 circa “Il parroco credette di far bene, e forse fece bene, riservando ai poveri più denaro che fosse possibile, di quanto aveva lasciato Jean Valjean. In fondo di chi si trattava? di un galeotto e una prostituta. Per questo egli semplificò la sepoltura di Fantine, e la ridusse a quello stretto necessario chiamato fossa comune. Fantine fu quindi sepolta in quella parte gratuita del cimitero che appartiene a tutti e a nessuno, e dove di sperdono i poveri. Per fortuna Dio sa dove ritrovare l’anima. Fantine fu stesa nelle tenebre, fra ossa sconosciute; ella subì la promiscuità delle ceneri. Fu gettata nella foss
pag 378 “la paura […] le faceva occupare meno posto che fosse possibile, lasciandole appena il respiro necessario”
p 449 “I grossi spropositi sono fatti spesso, come le corde grosse, di una moltitudine di fili. Prendete il cavo, filo per filo, prendete separatamente tutti i piccoli motivi determinanti, rompeteli uno dopo l’altro e dire: è tutto qui? Intrecciateli e torceteli insieme ed è un’enormità”
pag 577 “non potendo avere suo figlio, si era messo ad amare i fiori”
p 612 “Errare è umano, andare a spasso è parigino”
p 646 “ da quella specie di concentrazione risulta una passività che, se fosse ragionata, somiglierebbe alla filosofia. Si declina, si scende, si defluisce, si crolla perfino, senza quasi accorgersene. Tutto questo finisce sempre, è vero, in un risveglio tardivo. Nel frattempo pare di essere neutrali nella partita in gioco tra la nostra felicità e la nostra sventura. Noi siamo la posta, e assistiamo alla partita con indifferenza.”
p 881 “-questa poi,- esclamò Gavroche,- che roba è questa? Ripiove! Santo Iddio, se va avanti così, disdico l’abbonamento!”
p 918 “Siete voi uno di quelli che son detti felici? Ebbene, ogni giorno siete triste. Ogni giorno ha il suo gran dolore o il suo piccolo affanno. Ieri, tremavate per una salute che vi è cara, oggi temete per la vostra; domani sarà una preoccupazione di denaro, dopodomani la diatriba di un calunniatore, dopodomani ancora la disgrazia di un amico; poi che tempo fa, poi qualcosa di rotto o perduto, poi un piacere per la coscienza e la spina dorsale vi rimproverano; un’altra volta, l’andamento degli affari pubblici. Senza contare le pene d’amore. E così di seguito”
p 941 “Ma di che parlavano allora, quegli amanti? L’abbiamo visto, dei fiori, delle rondini, del tramonto, dello spuntar della luna, di tutte le cose importanti.”
p 1015 Grantaire “”Puah! ho mandato giù un’ostrica cattiva. Ecco che mi torna l’ipocondria. Le ostriche sono guaste, le serve brutte. Odio la specie umana” “c’è una sola realtà: bere” “Questa povertà di mezzi mi stupisce da parte del buon DIo. Ogni momento si deve rimettere a ingrassare la scanalatura degli avvenimenti. Si incaglia, non va. Presto, una rivoluzione” “tra gli uomini ci vogliono i geni, e tra gli eventi le rivoluzioni” “Sì, è tutto mal combinato, nulla si adatta a nulla, questo vecchio mondo è tutto sbilenco, io mi metto all’opposizione. Va tutto di traverso; l’universo da stizzire. è come coi figlioli, quelli che li vogliono non li hanno, quelli che non li vogliono li hanno. Conclusione: mi indispettisco.”
p 1133 “I bimbi poveri non entrano nei giardini pubblici; eppure bisognerebbe pensare che, come bambini, hanno diritto ai fiori.”
p 1222 “Sono troppo vecchio, ho cent’anni, ho centomila anni, da tanto tempo ho il diritto di essere morto. […] Su, è morto, proprio morto. Io me ne intendo, che sono morto anch’io”
p 1229 “Ma come fare per dare le dimissioni a Dio?”
p 1293 “Non sono di nessuna famiglia, io. Non sono della vostra. Non sono di quella degli uomini. […] Io sono il disgraziato; io sono fuori.”
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alemicheli76 · 1 year ago
Text
Review party “Napoleone” di Andrea Frediani, romanzo storico, Newton Compton Editori. A cura di Jessica Dichiara
Questo romanzo ha un solo difetto caro Andrea, è troppo corto! Ho cominciato questa lettura con un’aspettativa altissima trattandosi di un autore che conosco bene e che per me è sempre garanzia di originalità e belle sorprese. Non sono stata tradita, anzi ho avuto la conferma che questo tipo di scrittura mi appartiene sempre di più. Napoleone! Un condottiero, un abile militare, l’imperatore,…
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