1) Hanno imposto controlli alla frontiera , ciao Schengen! Era quello che sosteneva AFD accusati fino a ieri di essere ….isti ! Adesso no sono piú …isti ?
2) La Van der Stronzen, ri-imposta agli europei solo 2 mesi fa, incarica Draghi di fare un rapporto sulle cause del declinio europeo…… perché lei, poverina , non le conosce pur essendone in buona parte l’artefice !
3) Draghi sostiene un massiccio piano d’investimenti finanziato da debito pubblico comune (Eurobonds) gestito da Bruxelles, ossia economia pianificata centralizzata, piani quinquennali……. ti ricorda qualcosa ? Benvenuti nell’Unione Repubbliche Socialiste SOVIETICHE Europee!
4) Ma guarda Draghi scrive anche che bisogna ripartire con l’energia nucleare ! Ma come se i KruKKI le hanno appena chiuse!
5) Nota cosa diceva il buon Draghi solo 2 anni fa….. Cambiare la parola “Russia” con la parola “Europa”!
“ Diceva Eschilo che «la prima vittima della guerra è la verità». Ma la seconda è la logica.
Putin affermava di voler «denazificare l’Ucraina», ma usava le bombe e i carri armati, cioè gli stessi metodi con cui Hitler nazificava l’Europa.
Gli atlantisti ribattevano che «non si tratta col nemico»: semmai si tratta con l’amico, ma su cosa? Boh.
Joe Biden dava del «macellaio» e del «genocida» a Putin, epiteti decisamente appropriati, soprattutto il primo. Ma un tantino indeboliti dal pulpito da cui provenivano: quello del padrone della macelleria (che ha fatto molte più guerre e molti più morti di Putin e al massimo potrebbe assumerlo come garzone).
Bill Clinton coglieva l’occasione della guerra di Putin per vantarsi di aver allargato la Nato a Est «pur consapevole che i rapporti con la Russia potevano tornare conflittuali», perché «l’invasione russa dell’Ucraina dimostra che era necessario». Che è un po’ come dire: l’ho preso a calci in culo e lui mi ha spaccato la faccia, quindi avevo ragione io a prenderlo a calci in culo.
I trombettieri delle Sturmtruppen ripetevano due mantra. 1. «La Nato è un’alleanza difensiva» (ma non spiegavano come mai nella sua storia abbia aggredito mezzo mondo). 2. «La Nato difende i valori della democrazia» (ma non spiegavano perché vanti tra i suoi soci la Turchia di Erdoğan e abbia appena fomentato un golpettino in Pakistan per cacciare un premier non gradito).
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky intimava all’Ue di rinunciare al gas russo «sporco di sangue», «finanziando il genocidio»: lui però continuava ad acquistarlo tramite Paesi vicini e società svizzere, pagandolo profumatamente, «finanziando il genocidio» e per di più incassando da Putin 1,4 miliardi l’anno «sporchi di sangue» per i diritti di transito del gasdotto russo sotto il suolo ucraino.
L’Onu espelleva la Russia dal Consiglio per i Diritti Umani, presieduto dall’Arabia Saudita (nota culla dei diritti umani, apprezzata da Matteo Renzi, ma soprattutto da Jamal Khashoggi, da ottanta giustiziati nel mese di marzo, nonché dai 370mila morti e dai venti milioni di affamati nello Yemen).
Per non dipendere dal gas e dal petrolio dell’autocrate Putin, Draghi firmava contratti per far dipendere l’Italia dall’autocrate algerino Abdelmadjid Tebboune (che reprime partiti di opposizione e sindacati, fa arrestare attivisti per i diritti umani ed è fra i migliori partner militari di Mosca) e di altri regimi autocratici che hanno rifiutato di condannare la Russia all’Onu: Qatar, Egitto (vedi alle voci Regeni e Zaki), Congo (vedi alla voce Attanasio), Angola e Mozambico. E continuava a vendere armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti (i macellai dello Yemen), all’Egitto e al Qatar.
A supporto del ribaltamento della logica, si provvedeva a ribaltare anche il vocabolario, secondo i dettami del ministero della Verità in 1984 di George Orwell: «La guerra è pace», «La libertà è schiavitù», «L’ignoranza è forza». Putin vietava di parlare di «guerra» perché la sua era solo un’«operazione militare speciale». E chi diceva il contrario finiva in galera. Ma in passato anche i buoni occidentali, quando aggredivano militarmente questo e quello, la guerra non la nominavano mai: meglio “missione umanitaria”, “esportazione della democrazia”, “peacekeeping”. A ogni strage di civili – regolarmente attribuita ai russi, anche nei casi in cui era opera delle truppe ucraine o dei loro fiancheggiatori neonazisti del Battaglione “Azov” – si ricorreva a termini impropri come “genocidio” (distruzione sistematica di un popolo, di un’etnia, di un gruppo religioso) e a paragoni blasfemi con l’Olocausto, la Shoah, la Soluzione Finale (termini finora usati da tutti, fuorché dai negazionisti, esclusivamente per quell’unicum storico che fu lo sterminio nazista degli ebrei). Ma bastava leggere i libri di Gino Strada per sapere che le stragi di civili sono una costante di ogni conflitto e si chiamano precisamente “guerra”, visto che in ciascuna il rapporto fra vittime civili e militari è invariabilmente di 9 a 1. E quella in Ucraina purtroppo non faceva eccezione, malgrado l’indignazione selettiva dei fanatici atlantisti che – per bloccare sul nascere qualunque tentativo di portare Putin al tavolo del negoziato – si affannavano a dipingere quel conflitto come diverso da tutti gli altri per le vittime civili, le fosse comuni, le torture, le violenze gratuite e le armi proibite (anch’esse caratteristiche costanti di tutti i conflitti, inclusi quelli scatenati dai “buoni”). “
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Dalla prefazione di Marco Travaglio a:
Franco Cardini, Fabio Mini, Ucraina. La guerra e la storia, Paper First, Maggio 2022 [Libro elettronico]
Superbonus, accise, Ucraina. Su alcune scelte fondamentali di politica economica ed estera più la premier si ispira all'ex presidente della Bce, tanto più il Pd insegue quella del M5s
Enrico Letta ha condotto una campagna elettorale sostenendo che Giorgia Meloni fosse un pericolo per la democrazia italiana. Forse non ha completamente cambiato idea, ma ha dovuto ammettere al New York Times che la premier “è stata meglio di quanto ci aspettassimo”, attirandosi dure critiche nel suo stesso partito a partire dal suo vice alla guida della segreteria Peppe Provenzano. Ma se le parole del segretario del Pd descrivono l’evoluzione di Meloni, la reazione alle parole di Letta mostra anche l’involuzione del Pd.
Se Meloni da un lato per poter governare il paese in un periodo di crisi e acquisire credibilità sul piano internazionale ha dovuto abbandonare le scorie populiste e molte promesse insostenibili, dall’altro lato nel principale partito dell’opposizione c’è chi nel tentativo di mostrarsi più credibile agli occhi dell’elettorato ha iniziato a rinnegare alcune posizioni prese al governo e ad abbracciare una retorica populista. È come se l’Agenda Draghi, che Enrico Letta ha orgogliosamente sventolato in campagna elettorale, sia stata abbandonata dal Pd e sia finita negli “Appunti di Giorgia”, la rubrica sui social network in cui Meloni spiega l’azione di governo. E questa inversione dei ruoli è evidente su alcune delle principali questioni di politica economica ed estera.
L’ultimo caso è il Superbonus. Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sono dovuti intervenire per tamponare la falla nei conti pubblici (all’incirca 50 miliardi più del previsto, tra Superbonus e Bonus facciate) prodotta dal mega credito d’imposta a cessione illimitata introdotto dal governo Conte II. Mario Draghi ha ripetutamente descritto le enormi distorsioni prodotte da quella misura, che ha fatto lievitare i costi perché non ha alcun incentivo alla trattativa sul prezzo e che ha prodotto truffe che il solitamente pacato ex ministro dell’Economia Daniele Franco definì “le più grandi della storia della Repubblica”. Draghi e Franco, anche con l’appoggio del Pd, ma sotto enormi critiche e resistenze di M5s centrodestra, iniziarono a chiudere il rubinetto ed eliminare le distorsioni più visibili. Draghi sarebbe andato oltre, come ha chiaramente manifestato nel suo ultimo intervento al Senato, ma la maggioranza non esisteva più.
Meloni e Giorgetti, che si sono ritrovati a gestire questa bomba a orologeria sui conti pubblici e delle imprese, hanno proseguito su quella strada in maniera più incisiva: ridurre l’agevolazione del 110 al 90 per cento (per introdurre un minimo di contrasto di interesse) e bloccare la cessione dei crediti, per limitare l’impatto sul bilancio. Il Pd, responsabile di questo disastro perché con Roberto Gualtieri guidava il Mef quando venne realizzato, è ora passato dall’Agenda Draghi all’Agenda Conte accusando Meloni di “affondare il Superbonus”.
Qualcosa di analogo era accaduto con le accise. Meloni si è rimangiata le promesse populiste di tagliare le tasse sui carburanti e, molto opportunamente, come pure sosteneva Draghi, ha tagliato lo sconto da 30 centesimi sulle accise che era molto costoso (circa 1 miliardo al mese) e generalizzato (quindi regressivo) in una fase di discesa dei prezzi dei carburanti per tenere in equilibrio i conti pubblici in una fase critica. Il Pd, che pure ha una forte vena ambientalista e anti-fossile, guidato dal responsabile economico ed ex viceministro Antonio Misiani si è lanciato in una campagna per la proroga dello sconto sui carburanti che è tecnicamente un sussidio ambientalmente dannoso (Sad) e che, peraltro, avrebbe compromesso i conti pubblici. Dannoso per l’ambiente e per il bilancio, quindi.
Un discorso simile lo si può fare sulla politica estera. Giorgia Meloni ha raccolto il testimone di Draghi e mantenuto l’Italia su una salda linea pro Ucraina, la stessa che peraltro ha assunto sin dall’inizio e in maniera convinta Enrico Letta. Ma con il passaggio all’opposizione il Pd ha iniziato a sfumare la propria posizione, rendendola più ambigua nel sostegno anche militare a Kyiv, con diversi voti in dissenso sia nel Parlamento europeo sia in quello nazionale. Pierfrancesco Majorino, leader del Pd in Lombardia, è arrivato ad attaccare il governo Meloni per “l’aumento delle spese militari secondo l’accordo farsa realizzato in sede Nato”. Evidentemente per il Pd non conta che quegli impegni siano stati presi dal Pd e che il ministro della Difesa Guido Crosetto non stia facendo altro che portare avanti il piano di investimenti del suo predecessore Lorenzo Guerini. Che è uno dei massimi esponenti del Pd e attuale presidente del Copasir.
Evidentemente dopo le elezioni nel Pdsi è diffusa la convinzione che l’Agenda Draghi non porti tanti voti, ma lasciarla a Meloni per allinearsi all’Agenda Conte non è detto che produca risultati migliori.
ROME (The New York Times) — Silvio Berlusconi, the brash media mogul who revolutionized Italian television using privately owned channels to become the country’s most polarizing and prosecuted prime minister over multiple stints in office and an often scandalous quarter-century of political and cultural influence, died on Monday at San Raffaele Hospital in Milan. He was 86.
His death was confirmed in a statement by Prime Minister Giorgia Meloni, with whom he was a coalition partner in the current Italian government. No cause of death was given, but he was hospitalized last week as part of his treatment for chronic leukemia and other ailments.
To Italians, Mr. Berlusconi was constant entertainment — both comic and tragic, with more than a touch of off-color material — until they booed him off the stage. But he kept coming back. To economists, he was the man who helped drive the Italian economy into the ground. To political scientists, he represented a bold new experiment in television’s impact on voters. And to tabloid reporters, he was a delicious fount of scandal, gaffes, ribald insults and sexual escapades.
A gifted orator and showman who sang on cruise ships as a young man, Mr. Berlusconi was first elected prime minister in 1994, after the “Bribesville” scandals, which had dismantled Italy’s postwar power structure and removed his political patron, former Prime Minister Bettino Craxi, from office. Mr. Berlusconi famously announced that he would “enter the field” of politics to deliver business-minded reforms, a move that his supporters framed as a selfless sacrifice for the country but that his critics considered a cynical effort to protect his financial interests and secure immunity from prosecution related to his business affairs...
... He built an elaborate tomb for his family and friends at his villa in Arcore, outside Milan. He had a lifetime of epitaphs to choose from, uttering one candidate on one of his TV channels in 2009.
“The majority of Italians in their hearts,” he said, “would like to be like me.”
Mario Draghi’s competitiveness report sets a political test for the EU
The report released by Mario Draghi in Brussels on 9 September, ‘The future of European competitiveness’.
The diagnosis is scathing and the medicine is strong. The report released by Mario Draghi in Brussels on 9 September, ‘The future of European competitiveness’, warns the European Union that it faces lasting sluggish economic growth – which could end up threatening Europeans’ prosperity and…
كيفية تفعيل اقتصاد المعرفة والإبداع في إفريقيا وأوروبا؟
ما هذه المجموعة من المختارات تسألني؟ إنّها عددٌ من أعداد نشرة “صيد الشابكة” اِعرف أكثر عن النشرة هنا: ما هي نشرة “صيد الشابكة” ما مصادرها، وما غرضها؛ وما معنى الشابكة أصلًا؟! 🎣🌐هل تعرف ما هي صيد الشابكة وتطالعها بانتظام؟ اِدعم استمرارية النشرة بطرق شتى من هنا: 💲 طرق دعم نشرة صيد الشابكة.
🎣🌐 صيد الشابكة العدد #145
السلام عليكم؛ مرحبًا وبسم الله؛ بخصوص العنوان فهو في قسم من الأقسام أدناه.
🎣🌐 صيد…
“ Tra l’invenzione del governo Monti e quella del governo Draghi, circa alla metà del decennio, si colloca la crisi greca del 2015. Ricordiamo la violenza, non solo verbale, e il capovolgimento della verità che caratterizzarono, nella stampa europea e nei luoghi decisionali dell'Unione, la repressione anti-greca. La decisione del governo Tsipras di procedere, nel proprio paese, ad un referendum fu definita «schiaffo all'Europa» («Corriere della Sera», 6 luglio 2015, p. 2). E tutto il seguito fu in questo stile. Soltanto tre anni più tardi ci fu l’inutile palinodia di Juncker (2 giugno 2018): «Abbiamo calpestato la dignità del popolo greco!». Era vero, ma dirlo tre anni dopo lo schiacciamento della Grecia e l’instaurazione di un governo pronto ad obbedire era offensivo.
Il caso italiano è ben più complicato. L’Italia è pur sempre uno dei paesi fondatori dell'UE (tutto partì con i Trattati di Roma del 1957), ed è quindi un pezzo al venir meno del quale crolla tutto il ‘domino’.
Perciò non si poteva che far ricorso ad un autorevole intervento dall'interno e da molto in alto. Sia nel 2011 che nel 2021 si è capito che l’ingranaggio su cui fare leva per cambiare il governo dell'Italia era la Presidenza della Repubblica. Chi ha messo in moto l’operazione ha ben studiato gli spazi di manovra offerti dal nostro ordinamento, pervenendo alla conclusione che una interpretazione estensiva dei poteri e del ruolo del presidente consentiva di procedere al ‘cambio’ e alla nascita di governi ‘consentanei’. La premessa era, ovviamente, che ci fossero, nell'ingranaggio decisivo, figure disposte ad assecondare una siffatta procedura. E non furono delusi. “
Luciano Canfora, La democrazia dei signori, Laterza, gennaio 2022. [Libro elettronico]