#Il piatto rosso
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Luciano Ventrone Il piatto rosso
a cura di Vittorio Sgarbi
Allemandi, Torino 1999, 64 pagine, 21 x 30 cm, ISBN 9788842208945
euro 50,00
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Mostra Ancona, Mole Vanvitelliana 9 Luglio - 3 Settembre 1999
Una mostra dedicata a Luciano Ventrone (Roma, 1942), un vero maestro dell'arte contemporanea conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, definito da Federico Zeri "il Caravaggio del ventesimo secolo" per il suo "iperrealismo" e la sua tenacità nel perseguire fino all'estremo l'imperativo di "mimesis".
Luciano Ventrone, grande maestro dal virtuosismo eccezionale che per “ricostruire” scompone le forme. Nella sua tecnica la fotografia è un punto dal quale parte l’astrazione del soggetto, che si priva del suo essere materia per essere vissuto solo attraverso la luce. Lavorando direttamente sulla fotografia, Ventrone è in grado di cogliere quei dettagli non visibili all’occhio umano e che meravigliano sempre lo spettatore.
22/05/23
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Aveva fame. Non una fame banale, quel languore che prende chi non fa niente e che si risolve in un antipastino o un aperitivo. Lui aveva molta fame, di quella che per soddisfarla bisognava cuocere almeno un “quaddaruni” di pasta, equivalente a circa duecento, duecentocinquanta grammi di pasta, magari con il sugo di maiale o una marea di cozze, di quelle grandi e carnose. Ma in quel momento avrebbe mangiato la qualsiasi: gnocchi, tortellini al burro o con il ragù bolognese, la pasta “cuccuruzzu” con il bollito di castrato, i maccheroni fatti in casa con il sugo di coniglio, i maltagliati con le “poverelle”, le pappardelle con il ragù di cinghiale, una bella carbonara, un cacio e pepe o le lasagne con i funghi porcini appena colti. Apri la dispensa: vuota. Guardò in frigo: vuoto. Neanche un uovo , una crosta di formaggio, il barattolo semivuoto di pesto alla Genovese o alla Trapanese. La fame aumentò. Cercò delle patate ma nel cesto dove le conservava c’erano solo dell’aglio e due peperoncini rossi, raggrinziti e tristi. “Ci siamo – si disse – una bella : aglio, olio e peperoncino”. Mise su l’acqua e quando bolli verso dentro duecento grammi di pasta perché si disse che aveva fame. In una padella mise un dito d’olio e tutto l’aglio che aveva. (Cosa lo lasciava a fare?). Tagliuzzo il peperoncino e lo versò nell’olio caldo. Per la cucina si propagò un odore intenso, forte, che già da solo avrebbe fatto sturare il naso a chi aveva il raffreddore. Quando la pasta fu pronta la versò direttamente nella padella aggiungendo quella che rimaneva di una vaschetta di pecorino pepato che emanava un odore di ovino intenso e stordente. Mischiò il tutto e versò nel piatto la montagna di spaghetti e lo osservò con devozione e amore. Era consapevole che il pecorino era un di più, ma voleva sapori forti e poi, aveva fame. La prima forchettata sparì come se non vi fosse mai stata. La seconda gli regolò il gusto del pecorino, alla terza si accorse che stava sudando. Forse il peperoncino era troppo, perché la pasta pizzicava, la fronte si era imperlata di gocce di sudore ed il naso si era sturato ed ora respirava come un bambino. Continuò imperterrito, come che più che un nutrirsi, la sua era una prova di virilità, una ordalia in onore della buona tavola. Continuò forchettata dopo forchettata, mentre sentiva il calore dentro di se aumentava tanto che si sentiva quasi un forno che emanava calore su calore come quando si doveva mettere la carne di castrato e bisognava fare andare il fuoco nel forno un ora per ogni capra stivata li dentro. Apri una bottiglia di birra e la bevve di un fiato, complimentandosi con se stesso con un enorme rutto. Attaccò di nuovo il piatto, che ormai era quasi mezzo vuoto. Continuò forchettata dopo forchetta, ma visto che il calore era insopportabile, ogni due forchettate si scolava una bottiglia di birra e si incoraggiava con un altro rutto che faceva tintinnare la raccolta di bomboniere posta nella credenza della cucina. Quando fini, con la pancia che fuoriusciva abbondantemente dal pantalone dove la cintura era già stata slacciata verso la quinta o sesta forchettata. Prese una crosta di pane semidura e la fece girare nel piatto per ammorbidirla e raccogliere con l’olio i pezzi di peperoncino rimasti. Si congratulò con se stesso e finì l’ultima bottiglia di birra, ormai rosso come un pomodoro per il calore del peperoncino e con alito all’aglio che faceva appassire anche le tende della camera. Tra una russata e l’altra sgassava la pancia emettendo terrificanti scoregge. Quando sua moglie entro nella camera da letto sentì un odore così terribile che svenne. Ma lui continuò a dormire felice della mangiata..
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Fan fiction sul personaggio di Alastor di Hazbin Hotel .
La storia inizia all'Inferno: attraverso una serie di flashback che si susseguono come interferenze radio nella mente di Alastor.
L'ho scritta per fare luce sul suo passato e sul perchè abbia perso il senno e sia finito all'inferno.
Radio Frequencies
Il pugno aveva mandato in frantumi lo specchio: mille schegge di vetro erano esplose sul pavimento. La pelle del guanto si era lacerata ed il sangue nerastro colava lungo la mano. Le tenebre della stanza permeavano ogni angolo, accalcate simili ad una folla soffocante. Sciolse la stretta della mano e ticchettò con la punta rossa delle dita guantate i profili in frantumi dello specchio ancora appeso alla parete.
Il dolore era piacere, amava vederlo pervadere le sue vittime poteva sentirlo, ma questa volta scivolava in lui lungo le nocche fino al braccio, la cosa lo contrariava: si chiese come poteva aver perso il controllo .
Si appoggiò alla parete con l'avambraccio, mentre con l'altra mano continuava ad accarezzare morbosamente quello che restava dello specchio: tamburellava lento poi frenetico, in modo incontrollato. Tra le schegge osservò il flash rosso sangue del suo sguardo, in quella tenebra nera come pece vacillava come un neon.
Sentì nuovamente quella fitta alla testa, come una sintonizzazione radio sovrapposta, un'interferenza direttamente sparata nel cervello, strinse i denti in un sorriso folle: non amava perdere il controllo del suo show.
La fitta alla testa divenne insopportabile, si piegò all'indietro fino a sfiorare il pavimento, strinse gli artigli alla testa, si sarebbe cavato il cervello dal cranio AH AH AH
Davanti agli occhi le interferenze sfarfallavano come onde radio multicolore, un carosello di immagini senza senso, stava perdendo la sua mente, dannazione, era come se qualcosa si stesse frammentando dentro la sua testa.
Spostò nuovamente lo sguardo verso il suo riflesso su una delle schegge dello specchio, la luce dei suoi occhi rossi dalla pupilla a valvola erano spariti.
Un'altro sfarfallio, un'altra interferenza e per un attimo un uomo dai capelli castani e gli occhiali gli rimandò lo sguardo dalla superficie riflettente.
"Tutto sotto controllo" si disse, aveva controllo su tutte le sue piccole pedine, sulle sue vittime, le sue adorate prede, era all'Inferno, era il suo territorio di caccia, ma in quel momento si senti disorientato e non era......piacevole.
Riportò alla memoria tutti i volti di chi aveva ucciso: il mortale nel riflesso non era nessuna delle sue vittime, nessuno dei demoni della sua lunga lista di "signori supremi".
Un'altra fitta, più intensa di quelle precedenti stavolta non avrebbe retto, le comunicazioni si interruppero definitivamente su brusio piatto
NO SIGNAL brrzt brzzt...
Quando il segnale radio si fu risintonizzato era in ginocchio sull'erba umida, sulle lenti degli occhiali crepate in più punti gocciolava del sangue rosso ( rosso?), il dolore era insopportabile, ma si cavò a forza in gola le urla e strinse i denti fino a sentirli stridere.
"Allora stronzetto con il pedigree, la mettiamo una bella firmetta?"
Due scagnozzi lo tenevano per le braccia mentre quello più grosso che lo aveva pestato fino a quel momento, gli sventolava davanti un foglio scritto a macchina ed una penna ad inchiostro.
Lo guardò da sotto gli occhiali con un misto di sufficienza e divertimento, il sangue gli annebbiava la vista con una velata nebbia solferina.
"Pretenzioso chiedere una firma da chi non sa neppure graffiare il foglio con una X" la ginocchiata allo stomaco arrivò senza preavviso, il fiato gli si spezzò in gola, ma non aspettò neppure di riprendersi del tutto dal colpo
" Il mio programma non è in vendita, non vi cederò i diritti! E' stato un vero piacere verbalizzare con voi Signori" la voce spezzata dalle percosse era roca ma sicura, non chiara e sensoriale come quando era alla radio.
Quello più grosso sbuffò con disappunto, ripose il foglio e la penna nella valigetta di pelle, si schiarì la voce in modo che potesse sentirlo chiaramente e si avvicinò minaccioso alla faccia del conduttore radiofonico
"Ascoltami bene, tu pensi di essere una star, ma l'unica cosa che sai fare è creare rogne a chi non dovresti"
lo prese per il colletto della camicia ed inizio a stringere
"A breve ci saranno le elezioni e tu sei una spina nel fianco"
strinse ancora, l'aria iniziava a passare a fatica attraverso l'esofago.
" Il tuo programma deve terminare o qualcuno ci lascerà le penne!"
Strinse ancora ed ancora: non riusciva neppure a deglutire, iniziò a tossire tentando di cacciare dentro un pò d'aria.
La trasmissione sfarfallò davanti ai suoi occhi, sentiva nelle orecchie il gracchiare delle frequenze, ci fu un altro black out.
Un brusio indistinto, un lungo fischio ed il suono esplose dolorosamente nelle sue orecchie, un nuovo canale si era sintonizzato: in lontananza c'erano fumo ed urla, la torre della stazione radio era in fiamme, i vigili del fuoco cercavano di spegnere l'incendio, ma pezzo dopo pezzo la struttura stava crollando.
Corse verso tutto ciò che aveva: il suo programma radiofonico, la sua verità per la società... Venne fermato da una stretta inopponibile: Husk lo teneva stretto per il braccio, lo guardava muto con un misto di rassegnazione e comprensione.
"Lasciami andare ubriacone da strapazzo!"
Husk lo guardò torvo:"Non c'è più niente da fare, ti ammazzerai se ti butti lì dentro"
"Tu non capisci, c'è tutto il mio lavoro lì dentro! Tutte le prove! Tutto!"
Ci fu un crepitio poi un lungo suono metallico, la torre venne giù franando tra le fiamme.
Gli occhi dorati del conduttore erano sgranati, completamente inespressivi, si afflosciò a terra, strinse la polvere della strada con le dita esili fino a farsi sanguinare le unghie.
Tutto il suo mondo era sprofondato.
Husk gli posò la giacca sulle spalle per nasconderlo alla vista dei curiosi che sembravano averlo riconosciuto e lo rimise in piedi.
Si allontanarono tenendosi a debita distanza dalla folla.
Teneva con entrambe le mani i lembi della giacca sulle spalle,gli occhiali ancora chiazzati di sangue dopo il pestaggio.
"Non è finita qui, non mi arrenderò! La verità verrà a galla, contano di avermi tappato la bocca, ma non mi fermerò. Ci starà giustizia, New Orlean merita di conoscere la verità su quel pezzo di merda. "
Riorganizzò i pensieri: avrebbe dovuto ricostruire il suo studio da zero, raccogliere nuovamente tutto il materiale delle indagini e realizzare tutto prima delle elezioni.
Stava per girarsi verso Husk, ma di colpo tutto divenne nero, il canale era saltato di nuovo, uno pezzo jazz gracchiava in sottofondo, poi silenzio, qualche brusio.......
Fu colpito da una luce bianca abbagliante ed era di nuovo in onda.
Gli occhi erano doloranti per la luce improvvisa, pian piano passarono dalla sfocatura a rendere nitidi i contorni dell'ambiente, cercò gli occhiali sul comodino, li infilò e si diede uno sguardo intorno: si trovava presumibilmente in un ricovero all'interno di un ospedale, altri lettini erano posti in sequenza per la stanza: lenzuola bianche e coperte verde tenue.
Aveva la testa che gli scoppiava, si guardò le mani: la pelle pallida e tirata delle dita gli suggerì che doveva essere ricoverato da un pò.
Chiuse gli occhi e si rimise a letto cercando di ricordare come si trovasse in quel luogo.
Sentì il personale dell'ospedale muoversi tra i ricoverati, poco distante la sua attenzione fu catturata da due infermiere che parlottavano tra loro bisbigliando:
"Davvero una tragedia"
"Io seguivo sempre il suo programma, riusciva a rapirti con le sue storie di cronaca" disse una delle due.
"Dopo l'incidente della torre radio, aveva ripreso il programma in un nuovo studio, si dice che abbia pestato i piedi a chi non doveva" confessò l'altra
"Certo! A quel farabutto che ha perso le elezioni, grazie al suo programma radiofonico lo hanno arrestato!"
"Ma ne è valsa la pena? La sua carriera è rovinata! Non potrà più condurre il programma alla radio" la voce dell'infermiera era amareggiata
"Cosa hanno detto i medici?"
"E' fortunato se potrà tornare a parlare, gli hanno bruciato la gola con l'acido" sussurrò l'altra tenendo il palmo della mano alzato accanto alla bocca in segno di confidenza.
Fu percorso da un brivido, lo shock lo aveva paralizzato: non parlavano di lui, non potevano, non poteva essere..
Provò a parlare, ma la gola era bloccata, si sforzò di urlare per richiamare l'attenzione dell'infermiera, ma nulla era completamente afono, riuscì ad emettere solo un sibilo rantolante.
Si tirò a sedere e si tastò la gola, appena le dita strinsero leggermente un dolore lancinante lo percorse.
Sentì montare la disperazione: la sua voce! Strinse i pugni, la rabbia stava esplodendo dentro di lui come non l'aveva mai sentita in vita sua, avrebbe voluto spaccare tutto.
Ogni cosa che aveva costruito in quegli anni: la sua carriera, la sua passione, il suo programma, erano tutta la sua vita!
Per la prima volta si sentì sprofondare in un baratro senza ritorno.
Lo sguardo sotto gli occhiali era febbricitante: neppure la crisi del 1929 lo aveva stroncato, ma adesso? Non gli restava più niente.
Il bicchiere sul comodino era così invitante, luccicava ai leggeri raggi del sole. non si accorse neppure di averlo preso, fu un istante ed il bicchiere era andò in frantumi, come la sua vita. Mentre stringeva le schegge nella mano rivide la sua stazione radio in fiamme, ripercorse tutte le difficoltà che aveva dovuto affrontare per mettere in piedi il suo programma, tutte le volte che avevano tentato di tappargli la bocca, il volto orgoglioso di sua madre quando aveva iniziato a lavorare in radio.
Le dita si mossero da sole lasciando scivolare via tutte le schegge di vetro, trattennero solo quella più lunga, il suo sguardo era piantato nel vuoto, le pupille strette in una fessura.
Il frammento di vetro si fece largo affondando nel sottile strato di pelle dell'avambraccio, poi più in profondità fino alla carne, come se non percepisse dolore, tagliuzzava freneticamente, il sangue schizzò ovunque, sulle lenzuola immacolate, sul profilo metallico del letto.
Urla lontane lo raggiunsero, era tutto ovattato nella sua testa, qualcuno prese a scuoterlo per le spalle, una mano stava provando a togliergli il frammento di vetro dalla mano.
Davanti ai suoi occhi un'infermiera terrorizzata gli gridava qualcosa, non riusciva a capirla, accorsero i medici, i volti contratti dalla preoccupazione tenevano in mano delle cinghie di cuoio ed una siringa.
L'infermiera si era allontanata, aveva il volto e le mani sporche di sangue e continuava ad urlare. I medici lo bloccarono, uno di loro si avvicinò al suo collo tenendo la siringa: non sentì nulla, non sentiva più niente già da un pò..
Lo legarono al letto con le cinghie, le guardò strette al suo corpo e lungo le braccia, lo sguardo si posò sugli avambracci:erano un miscuglio indistinto di sangue e carne.
Si chiese di chi fossero quelle braccia...
Poi il ronzio disturbato di una comunicazione radio si frappose tra i suoi pensieri, le frequenze saltarono nuovamente in un brusio frastornante, le tenebre erano un sudario, in quel vuoto sinistro si fecero largo due occhi rossi come l'inferno, erano due fanali inquietanti che lo scrutavano e sorridevano
Li vide per un breve istante, poi sparirono, qualche distorsione radio e la trasmissione riprese, era nuovamente ON AIR.
Si lasciò cadere con slancio sulla sedia facendola girare su se stessa per spostarsi alla console, fece scivolare le agili dita sulla valvola del volume e con l'indice slittò la levetta della diretta verso l'alto, strinse tra le mani il microfono a condensatore: un gentile omaggio della Bell Labs in anteprima, non molti studi potevano vantarne uno, ma nulla gli era precluso, non più...
Accarezzò il microfono con eleganza e lasciò scivolare la voce al suo interno
" Salve carissimi per il vostro intrattenimento è un piacere ritrovarvi qui all'Hazbin Show" il timbro era caldo ed inebriante, si perse nel suo suono, le belle parole fluivano. Aveva un indice di ascolti come non se n'era mai visto a New Orleans, il format era assoluto e non lasciava spazio ad altri concorrenti, ma non era solo questo, da quando dopo un brutto incidente aveva perso la voce per alcuni anni il famoso conduttore era sparito dalla piazza, ma tre anni dopo era misteriosamente riapparso dal nulla, con la sua voce inconfondibile che appassionava alla cronaca gentiluomini e faceva sospirare le signore. Ma c'era qualcosa di più chi lo ascoltava restava ipnotizzato dal suo timbro, quella tonalità resa leggermente bassa aveva assunto una sfumatura sinistra ed irriverente, consciamente nessuno ci aveva fatto caso e gli ascoltatori venivano irretiti come da un incantesimo, sedotti e legati al suo programma radiofonico. In città il tasso di omicidi era spaventosamente aumentato e la trasmissione era schizzata alle stelle.
Si alzò dalla sedia tenendo tra le mani il microfono da postazione, arrotolò il cavo di alimentazione attorno all'indice
"Oggi voglio solleticare la vostra attenzione con un nuovo caso"
danzò nello studio con rapidi passi di swing facendosi largo tra i cadaveri sul pavimento.
"C'è un nuovo assassino in città"
con un passetto di danza qua ed uno là fece attenzione a non macchiare le derby col sangue, saltellò oltre le braccia senza vita di una vittima.
"Sembra proprio che le autorità non sappiano che pesci prendere! Ahi Ahi molto male, abbiamo un cannibale e pluriomicida a piede libero, la polizia dovrebbe impegnarsi seriamente" canzonò sorridendo da un orecchio all'altro inclinandosi sul microfono.
Normalmente un programma radiofonico del genere sarebbe stato chiuso: deliberatamente provocatorio verso il potere costituito e alle prese con tematiche scomode di cronaca nera trattate con tanta disinvoltura, eppure il pubblico nel momento stesso in cui accendeva la radio era come rapito, l'oscuro umorismo del conduttore era diventato il suo marchio di fabbrica e per qualche oscura ragione il pubblico lo adorava.
La sintonizzazione iniziò a vacillare, il suo campo visivo fu interrotto nuovamente da onde radio orizzontali ad intermittenza, le frequenze sfrigolavano nel suo cervello in modo insopportabile: la trasmissione si stava rimodulando fino a stabilizzarsi sul suo ultimo canale.
Quando si riprese aveva le braccia immerse fino ai gomiti nel sangue: la vasca ne era piena , il tanfo alcalino dei liquidi organici era nauseante.
Alle sue spalle incombeva un'ombra tremolante: era in attesa, un'attesa famelica e malata, i suoi occhi scarlatti come fanali lo fissavano con impazienza, come un predatore fissa la sua preda messa all'angolo:
"Oh Caro, è il momento di concludere il nostro patto" il tono era mellifluo ed inquietante.
Quella presenza era Male puro, il conduttore non sapeva come era arrivato a quel punto, ma iniziava a capire: aveva stretto un accordo con quell'Ombra, l'aveva vista sgusciare dalla sua mente quel giorno in ospedale, tra le crepe della disperazione e della rabbia, lo scrutava con quei suoi occhi sulfurei. Poi un giorno aveva parlato: "un patto lo chiamava", la sua anima in cambio di tutto ciò che aveva perso ed il potere di piegare l'attenzione del pubblico a suo piacimento.
Pensò che era diventato pazzo a parlare con un ombra partorita dalla sua mente, ma avrebbe barattato qualunque cosa pur di vendicarsi per ciò che gli avevano tolto e riavere la sua voce, strinse l'accordo senza pensarci due volte.
Non avrebbe mai immaginato cosa poteva comportare: un piccolo passo alla volta quella voce oscura si insinuò nei suoi pensieri, l'ombra aveva fame e non bastava mai: all'inizio erano piccole stranezze come ridere davanti ad una sciagura altrui o mangiare carne cruda, ma poi le cose cominciarono a sfuggire al suo controllo quando iniziò a desiderare di infliggere dolore agli altri e nutrirsene. Più di una volta il pensiero di uccidere chi casualmente lo intralciava lo aveva sedotto, si era sempre trattenuto, ma stava perdendo man mano il controllo scivolando in quel baratro nel quale si era cacciato da solo.
Ed ora si trovava lì, non ricordava come ci era arrivato e cosa stava facendo davanti a quella vasca.
L'Entità doveva aver percepito il suo disorientamento, alle sue spalle sentì la sua presenza sovrastarlo gli enormi occhi cremisi si avvicinarono al suo orecchio:
"La parte della donzella disorientata non ti si addice " sussurrò divertito
"Hai fatto un ottimo lavoro, adesso mangia"
Senza che potesse rendersene conto le braccia si mossero da sole tremando, emersero dal pantano di sangue rivelando il coltello che aveva nella mano.
Cosa aveva fatto?
La mano prese a tremargli, la presa vacillò e si allentò, il coltello cadde nuovamente nella polla rossa.
Il conduttore radiofonico alzò lo sguardo sulla sua vittima: capelli corvini, una donna ormai matura ma dai lineamenti raffinati.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime
"Non posso" la voce era inudibile e gracchiante, l'acido l'aveva resa irriconoscibile.
"A questo punto credo tu non abbia scelta" canticchiò l'Ombra scoprendo un sorriso affilato.
Mosse una mano fatta di tenebra e nell'aria apparvero dei vèvè* incandescenti: dal nulla una catena della stessa energia si strinse al collo ed ai polsi dello speaker.
Ci fu un breve silenzio i simboli galleggiavano a mezz'aria nell'oscurità, il senso di oppressione era palpabile, i fanali scarlatti dell' Ombra si spalancarono pronti a divorare la loro preda:
"ED ORA MANGIA!"
Quelle catene impalpabili lo tenevano soggiogato, erano terribilmente pesanti, provò ad opporsi con tutte le forze che aveva in corpo, ma oramai non aveva più controllo sui suoi movimenti.
Da dietro gli occhiali mise a fuoco il viso della vittima che giaceva nella vasca, sgranò gli occhi in preda al terrore: davanti a lui sua madre era ormai priva di vita.
La sua sanità mentale andò in pezzi: l'unico affetto che aveva mai avuto, la sua famiglia, l'unica che nel 29 nonostante la crisi aveva creduto nel suo progetto alla radio.
Il viso della donna era coperto di capelli, il corpo esangue giaceva in una posa scomposta all'interno della vasca di porcellana.
Il giogo a cui era incatenato gli sollevò la mano, il sangue colò lungo i bordi bianchi della vasca rigandola di rosso.
Avvicinò il palmo al petto di sua madre, leggermente a sinistra: lentamente le dita si fecero largo con le unghie nella carne attraverso lo squarcio che aveva aperto con il coltello, in profondità, fino a stringerle il cuore.
La sua mente collassò
Le lacrime bruciavano.
Urlò ma le corde vocali ormai bruciate non risposero.
La mano si strinse e tirò forte, si sentì un rumore viscido e sordo di ossa frantumate, avvicinò alle labbra il cuore di sua madre.
Vide quella scena come proiettata lentamente su una pellicola in bianco e nero, come se fosse lo spettatore di quell'orrore. Doveva vomitare, scappare, abbracciare sua madre e rimettere tutto a posto.
Sentì i denti affondare nella carne cruda, umida, il sapore ferroso del sangue si appiccicava alla lingua.
Provò un conato di vomito.
Poi si ritrovò a leccarsi le dita con gusto.
L'ultima parte sana della sua anima urlò. Era andata
Le urla arrivarono alla gola, questa volta spinse fuori tutto il suo dolore, erano così strazianti e forti che gli squassarono il petto.
"Ora il patto è concluso, goditi la tua voce e.... tutto il resto"
l'Ombra fece un gesto plateale verso il macabro banchetto che stava consumando e poi svanì alle sue spalle schioccando le dita.
Adesso erano una cosa sola.
Alastor alzò la mano viscida di sangue e si accomodò gli occhiali sul naso, un bagliore rosso balenò nei suoi occhi, il suo viso era piegato in un sorriso innaturale.
" Non si è mai completamente vestiti senza un sorriso"
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LUCƎ di D1S7OP1A: pt. II (con Dario De Pol, ƎᴅᴠⒶᴙᴅ project)
Il tramonto in scala di grigi, voi, non mi crederete, ne ora ne poi
perchè nemmeno io me lo sarei mai aspettato dai miei neuroni (che figata)
l'ho vista e quasi ne percepivo, i colori... quanti colori:
lilla, giallo pastello, verde acido e militare, bianco distopico
azzurro marcio, rosa salmone fluo, viola shock, rosso elettrico
apparsa in un riflesso di luce tra nelle mie dimenticanze
e diventata 'na nuvola nera, questa, nostra, in ciclostilo, stampa mentale
che solo tu potevi trasmetter col pensiero, amante, la mia miseria
pensata seria, su carta forata e oscurata come specchi, di ossidiana,
o gli schermi, spenti, dei nostri telefoni, androide, replicante:
la nostra assurda connessione, nei, nostri assurdi corridoi
(e ne faccio necessità di virtù)
La voglia di tamburellare coi polpastrelli e gli artigli
su qualcosa di matrice, superfice di strato duro ma dal sonor tonfo
per ascoltarne il micro-profondo, come il capitombolo tuo,
resisti, cipiglio terrorizzato, lungo la parete vertiginosa
dello scapicollo della mia ossessione per te.
e lasciartici ruzzolare, è come il lasciare
il proprio cibo preferito nel piatto,
per voglia di alzarsi da tavola
per il sonno e andare a stordire e svenire, in quella sensazione
di cader nel vuoto lasciando che ci inganni il cervello
con immagini random e frasi sconclusionate,
poi scriverci questo, scriverci un pezzo, scrivere un sogno
Rit.
sulle orbite atrofizzate, che graffiano l'interno-palpebra
cavità oculari con iridi del colore impressionate
ormai toccate, apatiche nella riccorrente distopia
Luce di distopìa, nella tua gravità: orbite atrofizzate
come nervi bluacei, d'un blu elettrico, in luce di distopìa
mi fa male non averti fra le mie braccia,
faccio per distrarmi in mille diavolerie che studio
per far passare il tempo come fosse una botta.
un livido che guarisce lento come il mio bacino
che spinge la mia eccitazione dentro le tue pupille,
per rompere la stasi del rimanere incantati tra noi
e spaccarsi in un imprinting impossibile da 'solvere,
poi veloce come il nostro infarto, e quanto ti amo
tanto forte lo respirerò sul tuo viso, canterò un rantolio,
isolandolo dal mio udito, per dar spazio, al tuo dolce, (dolce... dolce. dolcissimo) lamento
orgasmo, che sfocia, in un singhiozzo disumano pianto,
cui ogni lagrima, ogni mia, sintassi intridono, mi rassomiglia
(e ne faccio necessità di virtù)
scivolando lungo, i muri di tutto, ciò che d'esser m'illudo
truce, giù mi ci ammollo, se tra le rughe, delle lenzuola, ti cerco
viepiù, non scriverò, il solito banal iglù, sulla mia perdita di te,
anzi stretta ti terrò, a costo di legarti alla spalliera del letto.
Stai con me, tutta la vita, dillo, dillo di nuovo, ripetilo, ripetilo
ancora, ripeti. che questa frase mi fa impazzire, e lo, sai.
Non rinuncerò a questa mia nuova versione di perfezione,
che è la tua esistenza su sto pianeta, perfetta, non sei, mai,
ma ogni ora, sei, 'na ferita che brucia e scopro idratarsi in diletto,
Di nuovo, ripetilo ancora... ogni giorno, ogni giorno.
(Ogni mese) di ogni vi... (ta) intro, a cui son rassegnato a far storno
crepuscolare assillo, d'una cosa mai iniziata: parte 2, senza parte 1
Rit.
sulle orbite atrofizzate, che graffiano l'interno-palpebra
cavità oculari con iridi del colore impressionate ormai toccate, apatiche nella riccorrente distopia Luce di distopìa, nella tua gravità: orbite atrofizzate come nervi bluacei, d'un blu elettrico, in luce di distopia
2/8/'24
#poetry#poets on tumblr#poetic#true love#true loyalty#poesia#poesie#poems on tumblr#original poem#love poem#distopic
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Rivoglio indietro i miei nonni. I miei nonni ancora giovani e in salute e le tate che lavoravano in casa per nonna e che mi volevano bene. E le infinite commari della nonna che mi riempivano sempre di biscotti e complimenti per come ero buona ed educata e per quanto leggevo bene a messa la domenica. Voglio indietro la nonna che mi aspettava sulla porta della cucina quando tornavo la sera dopo essere stata tutto il pomeriggio a giocare con i figli dei contadini, tra i campi, le stalle, i pagliai, i cortili, le conigliere e i pollai, le cucine delle donne del paese dove si rimediava sempre un dolce o il rosso dell' uovo fresco con un po' di vino cotto "perché vi fa crescere bene", e mi metteva nella vasca da bagno con tutti i vestiti, perché se mi avesse spogliato fuori dalla vasca poi avrebbe dovuto pulire tutto il bagno. E che quando mi mette a letto mi dice "Fatti il segno della croce nonnì, che la Madonna ti protegge sempre". Rivoglio indietro il nonno che mi fa stare con lui quando prepara le cartucce per la caccia e poi mi porta a spasso per la campagna con i cani e mi insegna a sparare con il fucile a piombini mirando alla frutta. Così poi nonna s'arrabbia che trova i piombini nelle pere. Voglio indietro la famiglia che mi proteggeva da tutti i mali del mondo, dove si trovava sempre una soluzione, un piatto caldo, un sorriso (o un rimprovero) e un abbraccio. Voglio indietro il mio rifugio.
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Syrah quel che Syrah
Cortona è nota per un codice musicale del Duecento conosciuto come Laudario di Cortona Ms. 91 e conservato all'Accademia Etrusca. È un laudario, cioè un libro che contiene delle laude, canzoni a tema sacro con testo in volgare e di uso non liturgico. Il repertorio laudistico del Duecento ci è arrivato principalmente grazie a due codici: il Magliabechiano Banco Rari 18 di Firenze, che ha delle bellissime miniature ma è pieno di errori di notazione, e il Laudario di Cortona. Mi trovo con Raffaele in un'auto a noleggio sulla Modena-Brennero quando chiamo la bibliotecaria dell'Accademia Etrusca per vedere il codice: mi dice che non è visionabile, cioè, non oggi, forse se arrivassimo prima dell'una, d'altronde ogni giorno qualcuno chiede di vederlo, poi c'è il figlio da prendere a scuola, magari scrivendo per e-mail, o presentandoci come piccolo gruppo... comunque sarebbe meglio rimandare. Dopo quindici minuti di conversazione circolare riaggancio il telefono. Stiamo andando in Toscana per un convegno sul Syrah coordinato da Raffaele, a cui mi ha chiesto di accompagnarlo non so bene perché. La scusa del Laudario era stata buona fino all'uscita dell’autostrada di Affi, poi anche quella era crollata e di lì in poi mi sarebbero aspettati soltanto tre giorni di chilometri di corsa, vino biodinamico e cene a base di chianina (oltre a essere vegetariano, Chiani è il cognome di mia mamma e solo l'idea di mangiare una così bella mucca, che per di più porta il nome di mia madre, mi provoca orribili dolori enterici).
Cortona si trova su una collina affacciata sulla Val di Chiana, più o meno ad equa distanza tra Siena, Arezzo e Perugia. È un classico borgo medievale da "Borgo più bello d'Italia" (ogni borgo italiano è "il più bello d'Italia"). Una rocca sulla cima, qualche chiesa, dei cipressi, un grazioso cimitero e tutte quelle cose inequivocabilmente italiane: l'alimentari, l'enoteca, il bar (da leggersi i' barre, con raddoppiamento sintattico). Turismo, a marzo, poco, e comunque tutto anglofono e interessato solo a due cose: Cortona DOP (principalmente Syrah e Merlot, e in minor parte Sangiovese) e tagliata di chianina. La campagna sotto alla città e la strada regionale che porta in Umbria sono misurate dalle insegne delle centinaia di cantine e dai cartelli con gli orari delle degustazioni. Da Trento a Cortona si impiegano circa quattro ore e così, svincolati anche da quell'unica incombenza presso la Biblioteca Etrusca, a circa metà strada usciamo a Castiglione dei Pepoli, sull'Appennino Bolognese, in cerca di un piatto di fettuccine.
Il lago Brasimone è un bacino artificiale costruito nel 1911. Dal lago attinge acqua una delle uniche due centrali nucleari attive in Italia. Leggendo dal sito ufficiale dell'ENEA: "Il Centro del Brasimone è uno dei maggiori centri di ricerca a livello nazionale e internazionale dedicato allo studio e allo sviluppo delle tecnologie nei settori della fissione di quarta generazione e fusione nucleare a confinamento magnetico. Rilevanti sono le competenze disponibili sulla tecnologia dei metalli liquidi, sui materiali innovativi per applicazioni in ambienti severi, sulla prototipazione di sistemi e componenti per applicazioni ai sistemi energetici anche nucleari." Attraversando in auto la diga, verso la trattoria, Raffaele mi racconta che il referendum sul nucleare del 1987 bloccò la produzione di energia nucleare ma non la ricerca. La centrale nucleare del Brasimone (anche se non è una vera centrale) ricorda vagamente Chernobyl: il camino bianco e rosso, la cupola di cemento del reattore e i boschi tutto attorno, non ci sono invece i classici camini di raffreddamento, dandole un'aria più domestica. Accanto al lago c'è una trattoria sgarrupata per gli operai della centrale. Come in tutte le bettole per operai e camionisti, si mangia divinamente ma non leggero, segno premonitore dell'imminente cena.
L'albergo a Cortona è un quattro stelle e per aperitivo ci offrono cantucci e Vin Santo. Le quattro sciure che ci lavorano sono fin troppo disponibili e ci ammorbano parlandoci dei biscotti. Una volta arrivati in albergo io e il Raffa facciamo una corsa di acclimatamento attorno al paese che mi apre una voragine in pancia, rendendomi sempre più insofferente per quella cena. Restiamo per un po' nella hall dell'albergo ad aspettare Giorgia, una delle relatrici del convegno. Ho l'impressione di essere lì da delle mezzore quando finalmente Giorgia scende dalla camera.
La cena è alla Marelli, una cascina in mattoni rossi di proprietà della famiglia Marelli della famosa Magneti Marelli, e per metà affidata a Stefano Amerighi Vignaiolo in Cortona (da leggersi tutto insieme, di fila, senza virgola), amico e cliente di Raffaele e organizzatore del convegno. Mi aspetto una cena formale in cui mantenere un contegno istituzionale ma si tratta di tutt'altro. La tavola non è apparecchiata e anzi la stanza è alta e semivuota. Ci sono un grande caminetto al centro, un divano, due poltrone, una grande credenza piena di bottiglie vuote di Syrah francese e nient'altro. Siamo in dodici a cena ma arriviamo presto e ci sono ancora solo tre vignaioli francesi già piuttosto avanti col vino e coi trigliceridi, un broker di borsa collezionista di bottiglie d'annata e Francesco, un dipendente di Stefano. Come me, neanche Giorgia conosce nessuno e mi sento meno solo, inoltre lei è un'ingegnere: di vino ne sa più di me ma è comunque fuori contesto. Così ci mettiamo in fondo alla tavola, separati dagli altri commensali da Raffaele, che emana sapienza anche per noi. Il broker stappa una magnum di Champagne e così inizia una serata destinata a durare ore e inframmezzata da un'innumerabile sequela di portate e bottiglie di vino (in realtà, per scopi puramente antropologici, le ho contate: undici, di cui una magnum). L’ospite arriva solo al terzo bicchiere di Champagne: Stefano è sulla cinquantina, capelli e barba brizzolati e occhiali da vista Celine con montatura nera. Neri anche il maglione, i pantaloni e le scarpe. Sulla credenza ci sono dischi di Paolo Conte e qualche cd generico di musica classica, di quelli che si trovavano una volta in edicola e che contenevano qualche grande classico come Tchaikovsky e Beethoven, più qualche russo un po' più ricercato ma meno sofisticato, che ne so, Mussorgsky. Stefano è un melomane, ha scoperto l’opera da adolescente col Così Fan Tutte e poi da Mozart è arrivato a Verdi. Da giovane frequentava il Regio di Parma, che dice fosse il suo teatro preferito (mah), apprezzava anche l’orchestra del Maggio mentre non trovava nulla di eccezionale nella Scala (ancora: mah). Era talmente appassionato d’opera che chiese a sua moglie di sposarlo durante una Boheme, che però raccontandolo attribuisce erroneamente a Verdi. Io mi irrigidisco ma evito di farlo notare, i lapsus capitano a tutti e io non voglio fare quello che alza il ditino per correggere il padrone di casa, così annuisco e continuo ad ascoltarlo. Insieme a lui arrivano anche altri tre vignaioli biodinamici siciliani. Il più anziano, un distinto signore sulla settantina (che avrei scoperto essere l'unico altro vegetariano nella stanza) e i suoi due collaboratori, non molto raffinati in realtà. Alla terza bottiglia di bianco sono iniziati i rossi e, insieme ad essi, un simpatico giochetto in cui gli ospiti dovevano indovinare il vino. Raffale sembrava particolarmente bravo a questo gioco e per un po' ho avuto l'impressione che i due siciliani non facessero che ripetere quello che diceva lui. Anche il broker sapeva il fatto suo e la cosa aveva iniziato a prendere una piega deliziosa. In queste cene, mi ha spiegato Raffaele, ognuno porta qualche bottiglia e il cibo diventa più che altro un modo per continuare a bere. Dividendo una bottiglia in tanti, nessuno riesce a bere più di un paio di dita di ogni bottiglia, per cui il tasso alcolemico, una volta raggiunta una certa soglia, non si alza ulteriormente ma resta più che altro stazionario per tutta la durata della cena, facendo più che altro i suoi peggiori effetti il giorno dopo.
Quando chiedo a Raffaele se in quell'ambiente ci siano problemi di alcolismo, lui mi risponde che "da un punto di vista patologico, probabilmente no, o almeno non diffusamente, ma in una forma latente sì. Tra cene, presentazioni e fiere, i vignaioli bevono tutti i giorni. Inoltre, durante le cene come questa, si è diffusa sempre di più l'abitudine di aprire la bottiglia tanto per aprirla, spesso finendola in fretta per passare a quella dopo, o buttandone via metà, nella sputacchiera, passata di mano in mano con la scusa di gettare i fondi, e per far spazio alla bottiglia appena aperta. Così non ci si prende il tempo per lasciar evolvere il vino e per vedere come cambia nel corso della sera. È un atteggiamento bulimico e anche poco rispettoso nei confronti di una bottiglia che un povero vignaiolo ha impiegato un anno per produrre. Ogni volta che qualcuno prova a parlare di alcolismo in questo ambiente il gelo tronca ogni possibile discorso, e d'altronde nessuno è interessato a farlo, perché vorrebbe dire mettere in discussione l'intera economia del settore: quando dieci anni fa crollò definitivamente l'idea del vino come alimento centrale per la dieta mediterranea e si capì finalmente che berlo fa male, la comunicazione dell'industria vitivinicola si spostò sul suo valore culturale. Cosa di per sé anche vera, se non che la cultura del vino non sta nella bottiglia ma nel territorio; mentre l'esperienza enologica si ferma sempre alla degustazione e non si spinge mai alla vera scoperta del territorio e della sua storia, soprattutto in Italia." Insomma, quello che dovrebbe essere il pretesto diventa lo scopo.
Durante la cena apriamo una bottiglia di Cornas del 2006, l'ultima annata del vignaiolo che l’ha prodotta, un tale Robert Michel, prima che andasse in pensione. Raffaele mostrandomi la bottiglia mi fa notare che la parola più grande sull'etichetta non è il nome del vignaiolo, che invece è scritto piccolo in un angolo, né dell'uva, Syrah, anche questa scritta in piccolo, ma il nome del vitigno, cioè il posto in cui è stato fatto. Ed è scritto al centro, a caratteri cubitali: Cornas. In Francia il brand non è il nome di fantasia dato al vino dal vignaiolo, ma il nome del posto. Questo fa sì che le denominazioni siano molto più piccole e controllate che in Italia, e che attorno a queste denominazioni si costruisca un'identità più profonda. Lungo il Rodano francese, ad esempio, si trova questo paese, Cornas, dove si coltiva solo Syrah. Il cliente finale sa in partenza che non sta comprando tanto una cantina, ma un territorio, e una storia. Dopo il Cornas, aprono una bottiglia di Pinot Nero del 1959 (puoi avere il palato di una pecora come il sottoscritto, ma l'idea di bere un intruglio fermo in una cantina da 65 anni esalterebbe chiunque). Beviamo qualche altra bottiglia di Syrah di Stefano e in fine un Marsala perpetuo prodotto secondo il metodo tradizionale di produzione del Marsala, prima che gli inglesi lo trasformassero in una specie di liquore aggiungendoci alcol e zucchero per farlo arrivare sano in patria, e che viene prodotto con un sistema che ricorda quello del lievito madre.
Sopravvissuti alla cena, verso le 2 rientriamo in albergo per cercare di dormire prima del giorno successivo. Come accade le rare volte che bevo, il sabato mi alzo prima della sveglia. Devo rendermi presentabile per il convegno, a cui Raffaele mi ha incaricato di registrare gli accrediti per giustificare la mia presenza in albergo. Il convegno si tiene in una bella sala del Museo Etrusco di Cortona in cui sono conservate cose random: sarcofagi egizi, spade rinascimentali, accrocchi di porcellana settecenteschi di rara inutilità, collezioni numismatiche, mappamondi e altre cose. Una volta assolto il mio unico dovere, ritorno in albergo e mi cambio, metto le scarpe da corsa e imbocco la provinciale che porta al Lago Trasimeno.
Micky mi ha programmato un weekend di carico con un lungo lento il sabato e una gara la domenica (vero motivo della trasferta) che farò con Raffaele a Reggio Emilia. Si chiama Mimosa Cross ma non si tratta di un vero cross, è più che altro una 10 chilometri su asfalto, seguita da una salita sterrata sui colli di 500 metri di dislivello e da un'ultima discesa in picchiata stile Passatore. 23 chilometri scarsi e 500 metri di dislivello. Tornando da Cortona, il pomeriggio del sabato, passiamo per Firenze ad accompagnare un’oratrice del convegno, e per uno sperduto paesino sui colli bolognesi per accompagnare Giorgia, che sospettiamo ancora in hangover dalla sera prima. Infine: Reggio nell'Emilia. A cena io e Raffaele riusciamo comunque a bere una birra.
La mattina dopo diluvia, a Reggio fa freddo e tira vento. Albinea, da cui parte la gara, è invasa di persone e dimostra l'indomito podismo di queste lande. Dopo aver tergiversato per qualche quarto d'ora in macchina, per cercare di digerire una brioches troppo dolce, decidiamo finalmente di scaldarci. Poi partiamo: primo chilometro 3'41'', secondo chilometro 3'40''. Passo al quinto chilometro 40 secondi più lento del mio personale sulla distanza, ma non sto malaccio. Poi la strada gira e inizia a salire. La pendenza è impercettibile alla vista ma il passo crolla di 30'' al chilometro. Sono isolato e quelli davanti a me prendono qualche metro, sono attorno alla quindicesima posizione. Inizio a cercare scuse: sono alla fine di una settimana di carico, ho il lungo del giorno prima sulle gambe e il Cornas del 2006 sullo stomaco, poi inizia la salita. Quando inizia lo sterrato cambio gesto e inizio a rosicchiare metri a quelli davanti: via uno, via un altro, come saltano gli altarini, bastardi. In salita un tale dietro di me inizia a urlare grida di dolore, la prima volta fa ridere ma poi inizia a diventare fastidioso, così lo stacco per non sentirlo più. Il maledetto in discesa mi riprende e rinizio a raccontarmi scuse. Valuto seriamente di fermarmi al ristoro per aspettare Raffaele e penso ad altre cose ridicole a cui generalmente mi aggrappo quando mi trovo in una zona di effort in cui non sono abituato a stare. Ragiono sul fatto che è la prima volta che faccio una gara sull'ora e mezza: le campestri sono simili come tipo di sforzo ma sono molto più corte. Nel frattempo i chilometri passano e finalmente inizio a vedere il paese. Sull'ultimo strappo riprendo un tipo e lo stacco sul rettilineo finale. Traguardo, fine, casa.
Quando racconto al Micky che un paio di persone mi hanno superato in discesa mi dice che dobbiamo diminuire il volume e aumentare la forza: mi dimostro poco interessato alla cosa. Cerco di spiegargli che la priorità non sempre è migliorare e che non a tutti i problemi bisogna cercare delle soluzioni, e che preferisco divertirmi e godermi il processo senza chiedere di più alla corsa. Roby allora mi ha chiesto a cosa serva un allenatore: a migliorare, certo, ma non significa che questa sia la priorità. Non sono disposto a togliere tempo alla cosa che mi piace fare di più, e cioè correre, per fare degli esercizi orribili solo per non farmi superare da due stronzi in discesa o per correre in un'ora in meno la 100 miglia "X". Cerco di fare del mio meglio ma senza bruciare il percorso. Ho sentito spesso amici fare frasi del tipo "quest'anno voglio dare tutto quello che riesco a dare". No, non me ne potrebbe fregare di meno; preferisco arrivare tra 20 anni ancora con la voglia di correre e con qualcosa da scoprire. Non vincerò mai una 100 miglia e non sarò mai un campione, e questo è uno dei più grandi regali che il destino potesse farmi. Non devo impegnarmi a vincere niente perché semplicemente non posso farlo, così posso godermi il processo senza riempirmi la testa di aspettative e di puttanate, senza fare un wannabe e senza dover attendere le aspettative di nessuno. Posso semplicemente dare quello che ho voglia di dare nel momento in cui voglio darlo. Al 13 marzo 2024, nel TRC, sono quello che ha corso più chilometri di tutti, e forse sono l'unico che non ha ancora deciso che gara fare quest'anno. Perché non ha importanza, l'unica cosa che conta è uscire a correre, per il resto, Syrah quel che Syrah.
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Passeggiare per Camden Street è sempre molto piacevole. Una strada capace di incarnare in pieno lo spirito del suo quartiere, Portobello: intenso, originale, innovativo, mai banale. Negozi, ristoranti, locali di ogni genere. E pub. Tra questi è da menzionare senza dubbio il Ryan’s. Pub di lunga data, fondato nel 1872, ha mantenuto il suo carattere popolare e un’atmosfera decisamente accogliente. Come tutti i pub dell’isola verde, apparentemente tranquillo fino al pomeriggio, piacevolmente caotico la sera e nel weekend. Esterno accattivante dove spiccano i colori rosso e nero, l’interno si apprezza per semplicità e ospitalità. È possibile ascoltare buona musica tradizionale il martedì, il mercoledì e la domenica e godere dell’ambiente “tutto dublinese” durante gli eventi GAA, in primis gaelic football e hurling. L'eterogenea clientela composta da Dubs, turisti e irlandesi di ogni dove, può beneficiare delle tante spine che spuntano dal lungo bancone e magari gustare qualche piatto in attesa dell'ennesima pinta da ingurgitare. 🇮🇪🍻🥘🎻
© Irish tales from Rome
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti
L'AUTONOMIA DELLA FAVOLA
Il primo sguardo riporta a un mondo di favola: avverto il senso vitale dell’affabulazione, l’estraniarsi dal quotidiano per accedere a un improvviso “fantastico” che, attraverso la libera contaminazione del colore, irrompe e assorbe ogni dramma riaprendo porte dimenticate dell’infanzia perduta dove tutto è netto, semplice, comprensibile, giustificato. Le immagini dell’infanzia, coltivate nel tempo come intuizione primigenia, sono il simbolo del carattere solare ed aperto con il quale si guarda la realtà dalla singolare e non più ripetibile prospettiva dei primi anni di vita, quando la consapevolezza dell’essere si trasforma in curiosità sull’essere. Quando conoscere significa interrogarsi. Quando le figure e gli oggetti sono sfumati, appena identificabili in tratti sintetici che colgono un atteggiamento, un ruolo, una funzione, l’essenza. Il ricordo ha colori forti ma morbidi, mischiati, irreali e tuttavia carichi di senso espressivo in una transizione che appare naturale dal blu al rosso al giallo al verde al nero ed al bianco, uniti e disuniti, affiancati senza ricercatezza di tonalità ma ispirati dalla densità e dalla prolungata applicazione delle pennellate di colore puro, piatto, senza sfumature… Ho detto pennellate parlando di ricordi. Ecco il lapsus che mi fa riemergere: parlavo dei ricordi ma ero entrato nel dipinto. Avrei desiderato essere lì. I "Fauves" utilizzarono il colore per distorcere il reale applicandolo agli scenari naturali, alle figure, agli oggetti, senza alcun rigore accademico. Era il loro modo di protestare l’assoluta libertà dell’artista e l’autonomia della creazione artistica. In senso più ampio, quella dei "Fauves" fu una forma di Espressionismo che trascendeva l’atto di ribellione identificando nell’uso spregiudicato del colore un nuovo significato, una nuova regola, un nuovo modo di comunicare. La tavolozza dei colori, paradossalmente, si semplifica, unitamente al segno sintetico che non ha più bisogno di modelli o della tecnica dell’en plein air perché, come in Gauguin, scaturisce dal ricordo delle immagini, da ciò che è frutto di una creazione interiore che la tela deve incaricarsi di rappresentare. Ed è il colore a colpire subito l'osservatore: possiede un’armonia, una musicalità che supera ogni distrazione verso il reale. Anzi, la realtà non esiste più perché è quella di una dimensione nuova, una dimensione nella quale l’opera pittorica è identità autonoma, distinta dai canoni tradizionali della visione e della rappresentazione. Ecco: la tela di Derain è una favola.
- Andrè Derain (1880 - 1954), “Curva della strada. L’Estaque” - 1906, Houston, Museum of Fine Arts
- In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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POLPETTE DI TACCHINO ALLA MEDITERRANEA .🦃.
Dosi per 4 persone:
Per le polpette
tacchino polpa 500 gr
patate 200 gr
aglio 1 spicchio
uovo medio 1
formaggio grattugiato 50 gr
prezzemolo 1 ciuffo
basilico 5 foglie
farina 0 75 gr
sale & pepe q.b.
Per il sugo
pomodorini ciliegino 200 g
olive tipo taggiasche o nere 60 g
capperi sott’aceto 25 g
origano q.b.
basilico 10 foglie
vino bianco secco 100 g
brodo vegetale 200 g
peperoncino rosso ½
aglio 1 spicchio
olio extravergine d’oliva 50 g
sale q.b.
Preparazione
Lava le patate intere e mettile a bollire in abbondante acqua salata con tutta la buccia. Una volta pronte, scolale, elimina la pelle e schiacciale con uno schiaccia patate. Tienile da parte e falle raffreddare.
Nel frattempo, alla polpa di tacchino macinata , aggiungici il prezzemolo e il basilico tritati, l’uovo, il formaggio grattugiato e l’aglio schiacciato. Mischia il tutto e aggiungi le patate schiacciate ormai fredde. Amalgama bene il composto e aggiungi sale e pepe a piacere.
Forma delle polpette tonde del peso di 30 g circa l’una, passale nella farina eliminando quella in eccesso e tieni da parte.
Cuoci le polpette in una padella dal fondo largo fai scaldare l’olio assieme all’aglio tagliato a metà e privo della sua anima, i capperi sgocciolati e fai rosolare il tutto per qualche istante. Aggiungi le polpette, cuocile a fuoco basso fino a renderle belle dorate. Sfuma con il vino bianco e lascialo evaporare, aggiungi le olive e il brodo vegetale. Fai addensare il sugo un paio di minuti, nel frattempo taglia in 4 i pomodorini, aggiungili alle polpette e cuoci il tutto qualche minuto, giusto il tempo di amalgamare i sapori. Non cuocere troppo le polpette altrimenti risulteranno asciutte e stoppose.
Aggiusta di sale e pepe a piacimento, aggiungi l’origano secco e le foglie di basilico spezzettato. Mescola il tutto e traferisci ora le tue polpette su di un piatto da portata.
Buon appetito!
@la-scigghiu 🦋
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Il peposo dell'Impruneta, gusto per duri!
Peposo Gli operai che lavoravano ai forni (fornacini) nella produzione del cotto non erano certo persone abbienti, anzi, al lavoro duro non corrispondeva certo un salario alto. Approvvigionarsi di proteine era quindi difficile dato il costo della carne. Spesso il denaro non bastava neanche per le carni meno pregiate, come il muscolo o lo zampetto, quindi ci si accontentava si di questi tagli, ma di quelli avanzati che avevano molti giorni ed erano andati oltre la normale frollatura sfociando in un inizio di putrescenza. Mangiare questa carne non doveva essere gustoso, l'olezzo era sicuramente disappetente e quindi solo la spezia poteva rendere questa carne accettabile. Nacque quindi il peposo per questa ragione, eliminare il tanfo di vecchio; e cosa meglio del pepe, dell'aglio del rosmarino e della salvia il tutto in abbondanza. In pratica i fornacini tagliavano a grossi tocchi la carne, la mettevano in un coccio di terracotta aggiungevano abbondante pepe, aglio in camicia, rosmarino e salvia, poi ricoprivano il tutto con del vino rosso. Il coccio veniva poi, alla mattina presto, all'inizio del turno di lavoro, posizionato alla bocca dei forni dove si cuocevano i mattoni e alla mezza il pranzo era pronto. Oppure veniva posizionato nei forni alla sera, come mi suggerisce Filippo Caroti riportandomi voci di ricordi di vecchi imprunetani. Tutte le ore di cottura avevano asciugato il vino concentrandolo e reso la carne del muscolo tenera e succosa. Uno stracotto altamente speziato. Ecco nato il peposo dell'Impruneta, un piatto che oggi sarebbe immangiabile da chiunque se utilizzata la carne passata di allora.
Preparazione del peposo. Oggi la carne che viene usata è sempre il muscolo, più fresco ovviamente, ma il procedimento non cambia, tanti spicchi d'aglio in camicia, rosmarino, salvia e pomodoro (spesso usato il concentrato o dei pelati). Devo far notare che il pomodoro è aggiunta moderna, all'epoca non si conosceva ed è entrato in cucina nell'800. Anche il pepe non viene più aggiunto in abbondanza come allora, anzi spesso il pepe macinato viene sostituito da pepe in grani che lascia il suo splendido aroma ma può essere allontanato per aggredire meno le papille gustative moderne. Anche qui un appunto, il pepe oggi macinato, all'epoca era quasi certamente usato in grani probabilmente perchè riutilizzato più volte. Ricordiamoci che era caro, addirittura usato come merce di scambio non deperibile. La leggenda vuole che questo piatto sia arrivato anche in piazza del Duomo a Firenze durante la costruzione del cupolone assieme ai mattoni necessari al Brunelleschi. Lo stesso Brunelleschi sembra abbia utilizzato questo piatto per nutrire i manovali. In pratica si racconta che all'ora del desinare fra far scendere gli operai e poi farli risalire dopo mangiato la perdita di tempo era notevole. Il Brunelleschi si inventò la prima mensa aziendale facendo salire insieme ai mattoni anche il peposo, il pane e il vino in modo da far mangiare gli operai direttamente sulle impalcature. Oggi possiamo gustarci il peposo in qualche ristorante oppure lo possiamo fare in casa con i pochi ingredienti ma con tanto tempo di cottura. Utilizzate un tegame di coccio, il forno a 120-150 °C, copritelo avendo l'accortezza di lasciare da un lato leggermente sollevato il coperchio in maniera che il vino possa lentamente evaporare. La cottura è lunga, almeno 3-4 ore, ricordate di mescolare periodicamente. Una variante interessante può essere aggiungere un paio di bacche di ginepro schiacciate e un paio di chiodi di garofano, gusto personale. Insomma la ricetta è già scritta su, non vi rimane che scegliere se essere aggressivi con il pepe macinato oppure più aggraziati con il pepe in grani. Servitelo su fette di pane toscano abbrustolito.
Jacopo Cioni Read the full article
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Come scegliere il miglior vino per accompagnare i piatti estivi
Con l'arrivo dell'estate, il desiderio di gustare un buon bicchiere di vino fresco, leggero e versatile aumenta. Tuttavia, scegliere il giusto vino per accompagnare i piatti estivi non è sempre facile, poiché la leggerezza e la freschezza richieste da questo periodo dell'anno possono essere facilmente compromesse dalla scelta sbagliata della bottiglia. Ecco alcuni suggerimenti per scegliere il miglior vino per accompagnare i piatti estivi. Vino bianco per piatti leggeri Il vino bianco è spesso la scelta preferita per i piatti estivi, specialmente per gli antipasti, le insalate e i piatti a base di pesce. Tuttavia, è importante scegliere un vino che sia leggero e fresco, cioè con una bassa gradazione alcolica e una buona acidità. Il Vermentino, il Pinot Grigio, lo Chardonnay e il Sauvignon Blanc sono tra i bianchi più adatti a questa stagione. Vino rosato per la carne Il vino rosato è un'altra soluzione perfetta per l'estate. Può essere abbinato a molti piatti, ma in particolare alla carne bianca e alle insalate di frutta. Il rosato può avere diverse sfumature, dalla più chiara alla più intensa, e la scelta dipende dal tipo di piatto che si vuole accompagnare. Il rosato del Bardolino, il Cerasuolo d’Abruzzo, il Rosé dei Colli Berici e il Rosé dell'Oltrepò Pavese sono solo alcuni dei numerosi vini rosati che si possono trovare sul mercato. Vino frizzante per gli aperitivi Il vino frizzante, come il Prosecco, lo Spumante e il Cava, è sicuramente la scelta migliore per gli aperitivi estivi. La loro freschezza e leggerezza fa di questi vini la scelta ideale per accompagnare i cracker, l'insalata di mare e i formaggi freschi. Inoltre, il vino frizzante si presta bene anche all'abbinamento con i dessert, soprattutto quelli a base di frutta fresca. Vino rosso per le grigliate Molti pensano che il vino rosso sia inadatto alla calura estiva, tuttavia, si sbagliano. Il vino rosso si può abbinare a molti piatti estivi, in particolare grigliate di carne e pesce. È importante scegliere un vino rosso leggero e fresco, con una buona acidità e tannini delicati, così da poter essere accompagnato a piatti come hamburger, salsicce e bistecca alla griglia. Tra i vini rossi estivi, consigliati il Lambrusco, il Sangiovese, il Pinot Noir e il Dolcetto. Vino dolce per i dessert Il vino dolce, come il Moscato, è il compagno ideale per i dessert estivi. La sua dolcezza equilibrata e l'aroma fruttato si sposano perfettamente con il gusto di frutta fresca e con le torte. Inoltre, i vini dolci possono essere abbinati anche ai formaggi stagionati, come il Gorgonzola, o ai dessert a base di cioccolato. Se volete provare una vera rarità potreste cercare il "Mufii" un vino muffato prodotto da uve bianche autoctone ( alias Erbaluce... ) sulle colline di Barengo, piccolo paese in provincia di Novara a 250 mt slm. Affinato un anno in barrique di acacia a tostatura lieve, presenta colore paglierino/dorato, è vivo, lucente, di bella consistenza. Naso intenso, di grande impatto con note iniziali di scorza di agrumi, mandarino, cedro che evolvono in sentori di pesca, albicocca, frutta tropicale, canditi, miele. In bocca magnifica acidità, grande salivazione che bilancia perfettamente il tenore zuccherino. Persistente, elegante si può quasi definire un vino contemporaneamente da tavola e da meditazione. Proprio per questo si può prestare ad abbinamenti poliedrici. Fois gras, formaggi erborinati e mediamente stagionati, tartare di salmone con salsa di soia, riso con curry e uva passa, dolci con ricotta e canditi. In conclusione, la scelta del vino giusto per accompagnare i piatti estivi non è affatto complicata. La leggerezza e la freschezza sono le caratteristiche principali da tenere a mente, ma anche il tipo di piatto da accompagnare e le preferenze personali giocano un ruolo fondamentale nella scelta. Ricordate infine, che il vino è un complemento del cibo, quindi la scelta dipende sempre da come si vuole gustare il proprio pasto. Fonti: 1. https://www.gamberorosso.it/notizie-consigli/abbiamo-chiesto-agli-esperti-i-vini-rossi-da-provare-questestate-e-non-solo/ 2. https://www.dovevivo.it/magazine/vino-e-cibo-estate-5-accordi-vincenti-per-le-tue-serate-al-fresco/ 3. https://www.gruppomontenegro.com/it/cosa-beviamo/con-quale-vino-accompagnare-i-piatti-estivi 4. https://blog.dekaro.it/scopriamo-i-migliori-vini-da-abbinare-ai-piatti-estivi/ 5. https://www.mufii.it/az.-la-passitaia.html Read the full article
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Un sabato di ottobre, ore 12:30
Ieri sera sono uscita dal lavoro e sono tornata a casa, volevo passare una serata tranquilla, ma ero agitata al pensiero della sera dopo, così per calmarmi sono stata costretta a masturbarmi un paio di volte con il vibratore che le mie amiche mi hanno regalato quando sono andata a vivere da sola.
Stamattina mi sono dedicata alla ricerca di quello che mi serve, in modo da aver tempo di prepararmi.
Ieri sera, mentre rincasavo avevo pensato a cosa mettermi. Dovevo andare in un club privé, quindi non era necessario che l’abbigliamento nascondesse quello che c’era sotto, era fin troppo evidente cosa andavamo a fare. Lungo la strada mi era venuto in mente che da qualche parte dovevo avere un paio di stivali che arrivavano subito sopra al ginocchio e con un vertiginoso tacco, che non avevo mai messo perché non li trovo adatti a me. Dopo colazione sono scesa in cantina e in effetti li ho trovati. Sono perfetti.
Poi sono uscita e sono passata in un negozio di intimo che conosco, dove ho trovato quello che cercavo: avendo già un’idea di quello che voglio indossare sopra ho scelto un completo bianco, con reggiseno e perizoma; ho preso anche due paia di calze autoreggenti anch’esse chiare, ma con una bellissima balza di pizzo nero in contrasto.
Un sabato di ottobre, ore 20:30
Ho passato il pomeriggio a rilassarmi sul divano, finché non è venuto il momento di prepararmi. Ho già scelto come vestirmi. Ho pensato che non mi interessa molto se avrò un aspetto da troia, anzi, forse è meglio così. Ho optato per una camicia bianca piuttosto stretta (sono abbastanza minuta nella parte superiore del corpo, seno piccolo e ventre piatto) e una gonna nera che evidenzia le mie curve.
Ho finito di preparami, mi sono truccata, mi sono sistemata e ho aspettato Filippo, che è arrivato dopo poco. Gli ho mostrato il mio abbigliamento e l’ho visto trasalire e ho capito di aver fatto centro.
Un sabato di ottobre, ore 22:30
Siamo partiti subito, anche se Bologna da Firenze si raggiunge in meno di un’ora, mi ha detto che saremmo andati a cena prima e comunque il posto è in provincia e quindi serve un po’ di tempo per raggiungerlo.
Abbiamo girato attorno alla città e ce la siamo lasciata alle spalle, inoltrandoci nella pianura a nord. Abbiamo mangiato qualcosa in un locale carino ma senza troppe pretese e ne ho approfittato per mandare giù un po’ di alcool. Ho detto che mi fido di Filippo ed è vero, ma la situazione mi sta comunque innervosendo. E’ tutto nuovo per me e sono agitata. A casa mi sono preparata un paio di spinelli, sapevo che mi sarei agitata e avrei avuto bisogno di calmarmi.
Siamo usciti nel freddo della sera autunnale, la campagna piatta inizia da essere avvolta dalle prime nebbie dell’autunno. Ho tirato fuori uno spinello e me lo sono acceso, dopo essermelo fumato stavo decisamente bene. Ho guardato Filippo e gli ho detto che ero pronta, potevamo andare.
Un sabato di ottobre, ore 23:00
Siamo arrivati. Da fuori non si capisce molto, ma dentro è chiaro di che genere di locale si tratta. Moltissimi uomini da soli, diverse coppie, nessuna donna non accompagnata. Beviamo qualcosa, intanto mi guardo attorno. In diversi mi hanno messo gli occhi addosso. Mi si nota. Non sono molto alta (con i tacchi arriverò si e no a 1,73), e non c’è molta luce, ma il mio abbigliamento, adesso che ho tolto la giacca e sono rimasta solo con la camicetta bianca aderente e la gonna, fa un certo effetto. Ho lasciato i capelli sciolti che mi cadono sulle spalle, ho messo un rossetto rosso acceso, un trucco piuttosto leggero e mi sono messa lo smalto nero sulle unghie. Ho adocchiato uno sgabello davanti al banco del bar che potrei usare per mettermi in vista, non ho ancora deciso cosa voglio fare, ma credo che non me ne andrò senza fare nulla. Mi alzo e vado a sedermi, accavallo le gambe in modo che si vedano le calze. Filippo mi raggiunge e mi chiede se ho deciso cosa fare. Avvicino la bocca al suo orecchio e gli dico che vorrei scopare con lui e altri due uomini. Mi dice di rimanere lì e farmi vedere, mentre lui fa un giro per vedere se trova qualcuno di adatto.
Una domenica di ottobre, ore 00:00
Uno l’ho trovato. E’ alto, forse oltre 1,90, bel fisico, capelli castani chiari tagliati corti. Gli ho fatto segno di avvicinarsi e lui mi ha raggiunto. Si chiama Paolo. ha 30 anni e un accento stranissimo. Nel frattempo è tornato Filippo. Il suo ospite è un uomo di circa 60 anni, con una pancia piuttosto prominente e i capelli radi. Mi fa un po’ schifo da vedere, ma decido di fidarmi di lui. Andiamo al piano di sopra dove ci sono le stanze. Filippo ne sceglie una con delle finestre che danno sul corridoio e mi chiede se mi va di farmi vedere. Accetto ed entriamo.
Una domenica d’ottobre ore 00:15
Siamo tutti e tre nella stanza. Filippo mi fa inginocchiare e lentamente inizio a slacciargli i pantaloni. Gli altri due guardano, ma vedo che si stanno nervosamente toccando il pacco. Inizio a succhiarlo, mentre con le mani li tocco. I due si spogliano in fretta e in breve tempo, per la prima volta in vita mia mi trovo con tre membri maschili a mia disposizione. Sinceramente non so come muovermi. Tenendo in bocca quello di Filippo, inizio a masturbare gli altri due. L’anziano (che nel frattempo ho scoperto chiamarsi Maurizio) si toglie i vestiti e poi si sposta alle mie spalle, presto imitato da Filippo; davanti a me rimane solo il gigante che mi porge il suo membro da succhiare. Sento quattro mani che mi abbassano la zip della gonna e me la sfilano, scoprendo il mio sedere. Poi Maurizio inizia a toccarmi la figa, mentre Filippo si dedica alla mia camicetta che dopo poco vola via. Mi hanno lasciata con solo l’intimo addosso. Filippo si avvicina al mio orecchio e mi chiede se va tutto bene. Rispondo di si e lui mi slaccia il reggiseno, mentre Maurizio mi sfila il perizoma. Ora sono sono in una stanza con tre uomini, quasi completamente nuda, con indosso solo le calze e gli stivali. La situazione si sta decisamente scaldando. Filippo guida il gioco e questo mi fa sentire sicura. Mi dice di sdraiarmi supina su una specie di pouf. Lancia a Paolo, il gigante, un preservativo; lui lo indossa, mi apre le gambe e inizia a scoparmi. Filippo mi mette un dito in bocca, mentre le mie mani stanno masturbando altrettanti cazzi. Il dito viene rapidamente sostituito dai sessi turgidi di Maurizio e Filippo, che si infilano alternativamente nella mia bocca. Filippo si avvicina di nuovo al mio orecchio e mi dice che adesso avrebbe aperto le tende delle finestre sul corridoio. Ho un brivido. Dopo pochi secondi sono in vetrina. Paolo mi scopa e sto succhiando Maurizio, mentre tutti possono vedermi. Filippo si avvicina con un preservativo e mi dice di metterlo a Maurizio. Lo incappuccio per bene e lo perdo di vista quasi subito. Dopo pochi minuti davanti alle vetrate c’è una piccola folla di avventori che guardano l’orgia nella stanza, orgia della quale sono la protagonista assoluta.
Per un attimo penso di fermarmi, poi intravedo un uomo piuttosto grasso, sulla cinquantina che, davanti alle finestre, ha iniziato a masturbarsi. Mi sento troia più che mai. Tre uomini mi stanno prendendo e un gruppo di dimensioni imprecisate mi guarda attraverso i vetri. Filippo si avvicina e dice a Paolo di sdraiarsi a terra, poi mi guida sopra di lui. Lascio partire un sospiro di piacere e inizio a cavalcare. Filippo si avvicina e mi prende il viso tra le mani, mi guarda e non dice nulla. Poi capisco tutto quando sento il sesso di Maurizio che cerca di farsi strada nel mio culo.
A Marco il sesso anale non piaceva e lo abbiamo fatto pochissime volte. Di fatto il mio culo era vergine o quasi quando ho conosciuto Filippo, che si era rivelato fin dall’inizio un estimatore dell’articolo e se lo era preso più volte. Maurizio sputa sul mio buchetto, ci infila un dito e poi inizia a penetrarmi, prima piano, poi sempre più a fondo. Filippo è in un angolo guarda i due che mi stanno prendendo e quelli fuori che mi guardano. Il suo membro è duro ed eretto, lo tiene in mano e non so cosa voglia fare. La situazione è eccitante oltre ogni mia immaginazione. Maurizio mi ha spinto il busto in avanti e adesso si è messo alle mie spalle e sento il suo sesso che mi possiede il culo. Godo. Un forte orgasmo mi squassa, mentre i due continuano a prendermi in tandem.
Filippo bussa con la nocca contro il vetro e fa segno a due fuori di avvicinarsi e guardare. Con la coda dell’occhio vedo che il pubblico è aumentato, ora ci sono almeno 4 o 5 uomini appoggiati ai vetri con i loro membri turgidi in mano che mi guardano. Dopo pochi secondi anche la mia bocca è occupata dal membro di Filippo che succhio avidamente. Gli altri due continuano a possedermi assieme. L’occhio mi cade sulle vetrate e mi accorgo che il pubblico aumenta, ora c’è anche qualche donna.
Ora Filippo toglie il suo membro dalla mia bocca, si avvicina, mi bacia e mi chiede se sono pronta per il finale. Dico di si. Va davanti alla vetrata, guarda una donna fuori, bionda, capelli lunghi, sui 40 anni e le fa segno se vuole entrare. Solo lei, niente uomini. La bionda accetta e dopo poco è dentro la stanza con noi. Vedo Filippo sussurrarle qualcosa all’orecchio e lei fare cenno di si con il capo. E’ vestita solo con una guepiére nera, delle calze e un perizoma. Nel frattempo i due porci sono riusciti a procurarmi un nuovo orgasmo.
Filippo gli dice di fermarsi, quelli escono da me e lui mi prende per mano e mi porta davanti alla vetrata. Vedo quelli fuori che mi guardano, mi appiccico al vetro per qualche istante per farmi vedere e poi, come ordinatomi da Filippo mi metto alla pecorina davanti al vetro, in modo che tutti possano vedermi bene. Ho già goduto due volte, ma quella sensazione di essere lì, esposta alla vista di tutti mi eccita ancora. I due ospiti si sono tolti il profilattico e i loro membri sono davanti alla mia bocca, che inizia a succhiarli. Filippo va alle mie spalle e senza alcuna difficoltà me lo mette in culo. La bionda è di fianco a me e mi accarezza la schiena e il seno. Adesso sento i colpi decisi di Filippo, che mi dice di far venire nella mia bocca i due tizi. Li succhio uno alla volta, muovo la pelle avanti e indietro, mentre la penetrazione anale mi sta facendo impazzire e la bionda ogni tanto mi bacia tra una leccata e l’altra.
Maurizio è il primo a venire, gorgoglia qualche parola senza senso, mi mette una mano dietro alla testa e la sua crema calda inonda la mia bocca. La bionda raccoglie con la lingua le gocce che cadono e dopo pochi istanti è la volta di Paolo che mi afferra con decisione per i capelli e mi riempie la bocca e il viso con il suo sperma. Godo di nuovo mentre la bionda, come prima, ripulisce quello che esce dalla mia bocca, anche perché in tutto questo Filippo sta continuando a scoparmi il culo. Infine tocca a lui. Lo sento che sta per venire e improvvisamente un getto di sperma caldo riempie il mio ano, poi ancora e ancora. Si toglie e la bionda va rapidamente a raccogliere lo sperma che esce dal mio buchetto, mentre Paolo e Maurizio le toccano la figa e i seni. Lecca accuratamente il mio ano e il cazzo di Filippo e raccoglie tutto lo sperma, finché stimolata dalle mani dei due e dalla situazione anche lei non ha un orgasmo . Io mi sono accasciata con i gomiti sul pavimento, sono esausta, quando lei arriva e mi bacia. Non ho più la percezione della realtà le nostre lingue si attorcigliano scambiandosi i sapori di quei tre uomini. Poi guardo fuori e vedo che almeno tre uomini si sono masturbati guardandoci.
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E voglio giocare a nascondino e darti i miei vestiti e dirti che mi piacciono le tue scarpe e sedermi sugli scalini mentre fai il bagno e massaggiarti il collo e baciarti i piedi e tenerti la mano e andare a cena fuori e non farci caso se mangi dal mio piatto e incontrarti da Rudy e parlare della giornata e battere a macchina le tue lettere e portare le tue scatole e ridere della tua paranoia e darti nastri che non ascolti e guardare film bellissimi e guardare film orribili e lamentarmi della radio e fotografarti mentre dormi e svegliarmi per portarti caffè brioches e ciambella e andare da Florent e bere caffè a mezzanotte e farmi rubare tutte le sigarette e non trovare mai un fiammifero e dirti quali programmi ho visto in tv la notte prima e portarti a far vedere l’occhio e non ridere delle tue barzellette e desiderarti di mattina ma lasciarti dormire ancora un po’ e baciarti la schiena e carezzarti la pelle e dirti quanto amo i tuoi capelli i tuoi occhi le tue labbra il tuocollo i tuoi seni il tuo culo il tuo
e sedermi a fumare sulle scale finché il tuo vicino non torna a casa e sedermi a fumare sulle scale finché tu non torni a casa e preoccuparmi se fai tardi e meravigliarmi se torni presto e portarti girasoli e andare alla tua festa e ballare fino a diventare nero e essere mortificato quando sbaglio e felice quando mi perdoni e guardare le tue foto e desiderare di averti sempre conosciuta e sentire la tua voce nell’orecchio e sentire la tua pelle sulla mia pelle e spaventarmi quando sei arrabbiata e hai un occhio che è diventato rosso e la’ltro blu e i capelli tutti a sinistra e la faccia orientale e dirti che sei splendida e abbracciarti se sei angosciata e stringerti se stai male e aver voglia di te se sento il tuo odore e darti fastidio quando ti tocco e lamentarmi quando sono con te e lamentarmi quando non sono con te e sbavare dietro ai tuoi seni e coprirti la notte e avere freddo quando prendi tutta la coperta e caldo quando non lo fai e sciogliermi quando sorridi e dissolvermi quando ridi e non capire perché credi che ti rifiuti visto che non ti rifiuto e domandarmi come hai fatto a pensare che ti avessi rifiutato e chiedermi chi sei ma accettarti chiunque tu sia e raccontarti dell’angelo dell’albero il bambino della foresta incantata che attraversò volando gli oceani per amor tuo e scrivere poesie per te e chiedermi perché non mi credi e provare un sentimento così profondo da non trovare le parole per esprimerlo e aver voglia di comperarti un gattino di cui diventerei subito geloso perché riceverebbe più attenzioni di me e tenerti a letto quando devi andare via e piangere come un bambino quando te ne vai e schiacciare gli scarafaggi e comprarti regali che non vuoi e riportarmeli via e chiederti di sposarmi e dopo che mi hai detto ancora una volta di no continuare a chiedertelo perché anche se credi che non lo voglia davvero io lo voglio veramente sin dalla prima volta che te l’ho chiesto e andare in giro per la città pensando che è vuota senza di te e volere quello che vuoi tu e pensare che mi sto perdendo ma sapere che con te sono al sicuro e raccontarti il peggio di me e cercare di darti il meglio perché è questo che meriti e rispondere alle tue domande anche quando potrei non farlo e cercare di essere onesto perché so che preferisci così e sapere che è finita ma restare ancora dieci minuti prima che tu mi cacci per sempre dalla tua vita e dimenticare chi sono e cercare di esserti vicino perché è bello imparare a conoscerti e ne vale di sicuro la pena e parlarti in un pessimo tedesco e in un ebraico ancora peggiore e far l’amore con te alle tre di mattina e non so come non so come non so come comunicarti qualcosa dell’assoluto eterno indomabile incondizionato inarrestabile irrazionale razionalissimo costante infinito amore che ho per te.
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RED VELVET! ❤️
Potevo solo fare una torta rossa amore per dimostrarvi tutta la mia gratitudine!🫶
🟢 𝚂𝙰𝙻𝚅𝙰
🎶 𝙲𝙰𝙽𝚃𝙰 &
🍳 𝙲𝚄𝙲𝙸𝙽𝙰!
#𝘳𝘪𝘤𝘦𝘵𝘵𝘢 𝘱𝘦𝘳 𝘶𝘯 𝘪𝘮𝘱𝘢𝘴𝘵𝘰 𝘨𝘳𝘢𝘯𝘥𝘦 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘭𝘢 𝘭𝘦𝘤𝘤𝘢𝘳𝘥𝘢 𝘥𝘦𝘭 𝘧𝘰𝘳𝘯𝘰 😋
👇 𝕀ℕ𝔾ℝ𝔼𝔻𝕀𝔼ℕ𝕋𝕀 👇
☺︎ 260 g di albume;
☺︎ 120 g di tuorli;
☺︎ 175 g di zucchero;
☺︎ q.b. di colorante rosso in gel;
☺︎ 95 g di farina 00;
☺︎ 10 g di cacao;
☺︎ ½ bustina di lievito per dolci (8 g);
☺︎ 90 g di olio di semi;
☺︎ un pizzico di sale;
👇 ℙ𝔼ℝ 𝕀𝕃 ℝ𝕀ℙ𝕀𝔼ℕ𝕆 👇
☺︎ 400 g di mascarpone;
☺︎ 85 g di zucchero a velo;
☺︎ 250 g di panna fresca;
☺︎ 1 vaschetta di lamponi;
☺︎ 1 cestino di fragole;
👇 ℙℝ𝕆ℂ𝔼𝔻𝕀𝕄𝔼ℕ𝕋𝕆 👇
1. Montiamo gli albumi con lo zucchero e a metà aggiungiamo il colorante rosso: mettetene un bel po’ se no viene rosa maiale!!!;
2. Continuiamo a montare fino a farla diventare soda;
3. Uniamo i tuorli sbattuti con la forchetta e giriamo a mano con calma per non smontare tutto;
4. Adesso mettiamo le farine setacciate e le incorporiamo sempre con calma!;
5. Infine l’olio;
6. Mettiamo l’impasto nella leccarda ricoperta da carta forno e cerchiamo di stenderlo in modo uniforme;
7. Inforniamo a 190° statico per 15 minuti;
8. Intanto prepariamo la crema: montiamo la panna con lo zucchero a velo;
9. Incorporiamo sempre con calma il mascarpone;
10. Aspettiamo che si raffreddi la base, poi decidiamo se fare una torta tonda, un rotolo, quadrata, insomma come volete ma almeno 3 strati;
11. Assembliamo la torta mettendo il primo strato sul piatto da portata, poi spalmiamo la crema e sul profilo la mettiamo con la sac à poche a pallotte;
12. Poi sovrapponiamo il 2° strato, poi il 3° e concludiamo con la crema messa tutta a pallotte;
13. Ora decoriamo con fragole e lamponi;
E la candelina con il 50 per dirvi GRAZIE ad uno ad uno!!!🙏❤️
Mai fatta una torta così bella e sicuramente buona: grazie @_lucake_ 🔝🫶
𝘙𝘪𝘤𝘦𝘵𝘵𝘢 𝘪𝘯 𝘭𝘦𝘨𝘨𝘦𝘳𝘦𝘻𝘻𝘢. 𝘋𝘢 𝘯𝘰𝘯 𝘤𝘰𝘯𝘧𝘰𝘯𝘥𝘦𝘳𝘦 𝘤𝘰𝘯 𝘴𝘶𝘱𝘦𝘳𝘧𝘪𝘤𝘪𝘢𝘭𝘪𝘵𝘢̀.
𝘌̀ 𝘱𝘳𝘦𝘻𝘪𝘰𝘴𝘢, 𝘮𝘢𝘯𝘦𝘨𝘨𝘪𝘢𝘳𝘦 𝘤𝘰𝘯 𝘤𝘶𝘳𝘢 🤗
_________😉❤️👩🍳💋________
#elisacuorecucinaechiacchiere #elisaccc #popolofelice #leggerezza #buonumore #racconti #risate #ricette #torta #redvelvet #festa #50k #instagood #instafood #cake #lucake #cucinaitaliana #food #foodblog #foodblogger #foodlover #cucina #passione
.....
Eu traduzo para as #pessoasfelizes! 😂:
VELUDO VERMELHO! ❤️
Eu só poderia fazer um red love cake para mostrar a vocês toda a minha gratidão! 🫶
🟢 𝚂𝙰𝙻𝚅𝙰𝚁
🎶 𝙲𝙰𝙽𝚃𝙰𝚁 &
🍳 𝙲𝙾𝚉𝙸𝙽𝙷𝙾𝚄!
#𝘳𝘦𝘤𝘦𝘪𝘵𝘢 𝘥𝘦 𝘶𝘮𝘢 𝘮𝘢𝘴𝘴𝘢 𝘥𝘰 𝘵𝘢𝘮𝘢𝘯𝘩𝘰 𝘥𝘦 𝘶𝘮𝘢 𝘱𝘪𝘯𝘨𝘢𝘥𝘦𝘪𝘳𝘢 𝘥𝘦 𝘧𝘰𝘳𝘯𝘰
👇 𝕀ℕ𝔾ℝ𝔼𝔻𝕀𝔼ℕ𝕋𝔼𝕊 👇
☺︎ 260 g de clara de ovo;
☺︎ 120g de gemas;
☺︎ 175 g de açúcar;
☺︎ a gosto de corante gel vermelho;
☺︎ 95g de farinha 00;
☺︎ 10 g de cacau;
☺︎ ½ saqueta de fermento para sobremesa (8 g);
☺︎ 90 g de óleo de semente;
☺︎ uma pitada de sal;
👇 ℙ𝔸ℝ𝔸 𝕆 ℝ𝔼ℂℍ𝔼𝕀𝕆 👇
☺︎ 400 g de mascarpone;
☺︎ 85 g de açúcar em pó;
☺︎ 250 g de natas frescas;
☺︎ 1 tabuleiro de framboesas;
☺︎ 1 cesta de morangos;
👇 𝕄𝔼́𝕋𝕆𝔻𝕆 👇
1. Bater as claras em castelo com o açúcar e juntar a meio o corante vermelho: juntar bastante senão fica rosa!!!;
2. Continuamos a bater até virar refrigerante;
3. Vamos juntar as gemas batidas com um garfo e virar lentamente com a mão para não desmontar tudo;
4. Agora colocamos as farinhas peneiradas e incorporamos sempre aos poucos!;
5. Por fim o óleo;
6. Coloque a massa na assadeira forrada com papel manteiga e tente espalhar bem;
7. Assamos a 190° estático por 15 minutos;
8. Enquanto isso, vamos preparar o creme: bata o creme com o açúcar de confeiteiro;
9. Incorporamos sempre lentamente o mascarpone;
10. Esperamos que a base esfrie, então decidimos se fazemos um bolo redondo, um rolo, um quadrado, enfim, o que você quiser, mas pelo menos 3 camadas;
11. Monte o bolo colocando a primeira camada no prato de servir, depois espalhe o creme e coloque no perfil com o saco de confeiteiro;
12. Depois sobrepomos a 2ª camada, depois a 3ª e finalizamos com o creme todo em bolinhas;
13. Agora vamos decorar com morangos e framboesas;
E a vela com 50 para agradecer um a um!!!🙏❤️
𝘙𝘦𝘤𝘦𝘪𝘵𝘢 𝘤𝘰𝘮 𝘭𝘦𝘷𝘦𝘻𝘢. 𝘕ã𝘰 𝘤𝘰𝘯𝘧𝘶𝘯𝘥𝘪𝘳 𝘤𝘰𝘮 𝘴𝘶𝘱𝘦𝘳𝘧𝘪𝘤𝘪𝘢𝘭𝘪𝘥𝘢𝘥𝘦.
É 𝘱𝘳𝘦𝘤𝘪𝘰𝘴𝘰, 𝘮𝘢𝘯𝘶𝘴𝘦𝘪𝘦 𝘤𝘰𝘮 𝘤𝘶𝘪𝘥𝘢𝘥𝘰 🤗
_________😉❤️👩🍳💋________
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DINOBOT SLUDGE ( Core ) Legacy EVOLUTION
Quando nella recensione di Slug mi riferivo al fatto che i nuovi Dinobot Core di Legacy Evolution ad una prima occhiata parevano quantomeno sgraziati, diciamo che ce l'avevo sopratutto con uno in particolare, ovvero il buon SLUDGE, il quale per via della sua natura di Combiner del piccolo Volcanicus, sacrifica non poco l'estetica per una soluzione davvero... interessante delle sue modalità principali! ^^'
Il ROBOT cerca infatti ovviamente di essere fedele all'iconografia classica del personaggio, e la scultura in generale è buona, sopratutto la testa, così come anche qui la colorazione è essenziale ed azzecata, col petto rosso, bacino, pugni e pannello centrale del torso neri, piedi dorati e faccia argentata... MA fa specie davvero le braccia così allargate rispetto al busto, per far posto praticamente alle zampe posteriori del dinosauro che di norma sono appese ai lati delle gambe ma che qui invece le sostengono proprio, come collegamento fra loro ed il bacino!!
Una scelta ovviamente basata sulla sua modalità combiner, quantomeno innovativa ma che sgrazia non poco la figura del robot, con ste zampone enormi sui fianchi, e fa davvero strano che appunto le cosce siano letteralmente staccate dal bacino, ma le gambe possano comunque muoversi classicamente, con tanto di pannello delle "mutande" sollevabile!
La posabilità è la stessa del collega Slug, quindi, con le braccia rigide ai gomiti ma con balljoint sulle spalle, la possibilità di ruotare testa e bacino ( questa diciamo necessaria per il gestalt ) e per le gambe ho già detto sopra.
Tornando ai, uhm, lati positivi, a parte i difettoni estetici di qui sopra, ribadisco che il robot assomiglia assai al G1 classico, con tanto di testone del brontosauro dietro la schiena, così come ci sono le classiche ali, praticamente, solo che sono fuse alle braccia! ^^' "Interessanti" pure le gambe, che non sono vuote viste da dietro ma solo nelle parti interne verso il piede, per via della TRASFORMAZIONE.
Questa è praticamente identica al G1, a parte le braccia che non diventano zampe anteriori, ma che seguono lo schema delle "ali" andando a chiudersi verso il petto, con le zampe che poi appaiono comunque dopo quest'azione; il bacino anche qui ruota e le gambe si ripegano classicamente, andando ad inglobare le braccia in un movimento che di primo acchito pare sia innaturale ma poi si infilano senza difficoltà.
Il BRONTOSAURO robotico ... beh, da un lato è più compatto rispetto al triceratopo di Slug Core, giusto per paragonarlo doverosamente al collega, ma in pratica è solo una statuina che ricorda una versione di Bronto con didietro sproporzionato rispetto alle parti anteriori! ^^'
Ok, carina la scultura ed i dettagli anche sulle ali argentate, e testa dorata, ma appunto perde del tutto il confronto col compagno Tricex, anche a livello di massa risultando più piccino del sauro coi corni. Avrebbe aiutato, chessò, magari la coda un po' più lunga, e magari come accessorio a parte / arma, visto che il nostro ne è del tutto sprovvisto.
Poco altro da dire, insomma, e passiamo quindi direttamente al piatto principale, ovvero alla modalità combinata che lo rende STOMACO, BACINO, COSCE e financo parte esterna del petto di VOLCANICUS. Per farlo, bisogna partire dal robot e semplicemente alzare le braccia e ruotare le gambe all'infuori di 90° e piegarle poi in sù, attaccando infine il pannello della coda di Slug sul foro nel petto, per poi agganciarlo al collega tramite le spine di questo sui fori fra testa e braccia di Bronto, così come si saldano assieme le braccia dei due.
L'aggancio è davvero bello solido, non c'è che dire, e i due diventano un corpo unico, con Sludge che fa il grosso del lavoro, non solo come parte inferiore con tanto di cosce del piccolo gestalt, come dicevo, ma anche parte esterna del petto con i fori appositi che poi serviranno per agganciare i due Dinobot che diverranno le braccia. Grazie a ciò viene quindi giustificata la bruttezza del nostro Bronto nelle sue modalità principali, sacrificate alla grande per quella portante di Volcanicus.
Il torso del gestalt Dinobot si presenta ora quindi completamente, esibendo articolabilità alle cosce e la rotazione del bacino, anche se il retro di Tricex sulla schiena è ancora una signora zainata ingombrante.
Peccato per le gambe inferiori di Sludge ai lati delle cosce di Volcanicus, che danno un po' fastidio sia esteticamente sia quando c'è da attaccargli gli arti del Junkion Scraphook, dato che il novello modello di Weaponizer sulla carta nasce apposta anche per interagire con il piccolo gestalt, solo che appunto per le gambe c'è questo summenzionato intralcio ( risolvibile ruotando il bacino di Volcanicus, ma rovinando così l'estetica ), così come i fori per le braccia sono un po' infossati, rendendo un po' sprecato metterci gli arti di un Deluxe.
Volcanicus, per quanto piccino, a occhio sarà alto quasi quanto un Voyager, quindi, in attesa degli altri Dinobot o in sostituzione degli stessi, per renderlo meno ridicolo ci vorrà semmai un Junkion di quella classe, cosa che al momento pare ancora confusa a livello delle liste ufficiosa trapelate dai soliti leak.
Ma disquisizioni junkionane a parte, tornando al nostro Sludge, diciamo che preso così non lo consiglierei manco al fan più sfegato del Dinobot dal collo lungo, ma nell'ottica della collezione del team e della composizione di Volcanicus, è ovviamente imprenscindibile, salvo mettere per forza di cose le mani avanti sulle motiviazioni della sua resa estetica tutt'altro che eccelsa.
#transformers#sludge#bronto#generations#core#legacy#evolution#dinobot#dinorobot#volcanicus#combiner#autobot#autorobot#hasbro#review#recensione
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China is sending a fleet of dangerous air balloons to the United States?! Nah, just some cool lanterns to celebrate the lantern festival
The post is machine translated
Translation is at the bottom
The collective is on telegram
⚠️ BUON FESTIVAL DELLE LANTERNE, ACCOGLIERE IL NUOVO ANNO CON SPERANZA ⚠️
😂 Nel mentre gli aquilotti americani sono ancora terrorizzati dal pericolosissimo (❗️) palloncino cinese, il Popolo Cinese festeggia il Festival delle Lanterne, che "chiude" il Capodanno Cinese🐰
🥰 Le Lanterne Cinesi simboleggiano il lasciar andare l'anno passato, per accogliere il nuovo anno ❤️
🇨🇳 Con una Storia di oltre 2.000 anni, il Festival delle Lanterne è molto popolare in Cina, ecco come viene celebrato:
🏮LANTERNE OVUNQUE: in ogni città, in ogni villaggio, vengono accese lanterne di colore principalmente rosso. Si possono ammirare nelle vie delle città, nei parchi e nelle case delle persone - la Lanterna Rossa invoca la Fortuna e una Lanterna Accesa simboleggia un futuro luminoso 🍀
🎨 Oltre alle tradizionali Lanterne Rosse, vi sono delle vere e proprie opere d'arte, lanterne con all'interno illustrazioni di simboli della Tradizione Cinese, principalmente fiori e animali 🐼
🏮RISOLVERE GLI INDOVINELLI: come da tradizione fin dai tempi della Dinastia Song, indovinare e risolvere gli enigmi inscritti nelle Lanterne è una delle attività più importanti e popolari della festa. Proprietari delle lanterne scrivono indovinelli ed enigmi logici sulla carta, e li attaccano alle lanterne colorate. Chi riesce a risolvere l'indovinello ottiene un piccolo premio 🎁
🏮MANGIARE TANGYUAN: si tratta di un piatto tradizionale della Cina, palline di riso bollite in una brodo caldo e dolce. Tangyuan (汤圆) ha una pronuncia simile a 团圆 (tuanyuan), che significa "riunione - il Popolo Cinese crede che la forma rotonda delle palline di riso e delle ciotole simboleggi i valori di Integrità ed Unione 😘
🏮OSSERVARE LA DANZE DEL DRAGO E DEI LEONI: si tratta di due delle più popolari danze tradizionali in Cina - è molto comune la Danza del Drago, così come quella del Leone, durante il Festival. Il Drago è un simbolo di buona fortuna, e mentre il Leone un simbolo di coraggio, capace di scacciare il male 🦁
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⚠️ HAPPY LANTERN FESTIVAL, WELCOMING THE NEW YEAR WITH HOPE ⚠️
😂 While the American eaglets are still terrified by the very dangerous (❗️) Chinese balloon, the Chinese people celebrate the Lantern Festival, which "closes" the Chinese New Year🐰
🥰 Chinese Lanterns symbolize letting go of the past year, to welcome the new year ❤️
🇨🇳 With a history of over 2,000 years, the Lantern Festival is very popular in China, here's how it's celebrated:
🏮 LANTERNS EVERYWHERE: in every city, in every village, mainly red lanterns are lit. They can be seen in city streets, parks and people's homes - the Red Lantern invokes Luck and a Lit Lantern symbolizes a bright future 🍀
🎨 In addition to the traditional Red Lanterns, there are real works of art, lanterns with illustrations of symbols of the Chinese tradition inside, mainly flowers and animals 🐼
🏮 SOLVING THE RIDDLES: As has been the tradition since the days of the Song Dynasty, guessing and solving the riddles inscribed in the Lanterns is one of the most important and popular activities of the festival. Lantern owners write riddles and logic puzzles on paper, and attach them to the colored lanterns. Whoever solves the riddle gets a small prize 🎁
🏮 EATING TANGYUAN: it's a traditional Chinese dish, rice balls boiled in a hot and sweet broth. Tangyuan (汤圆) has a similar pronunciation to 团圆 (tuanyuan), meaning "gathering - Chinese People believe that the round shape of rice balls and bowls symbolize the values of Integrity and Union 😘
🏮 WATCH DRAGON AND LION DANCES: These are two of the most popular traditional dances in China - Dragon Dance is very common, as well as Lion Dance, during the Festival. The Dragon is a symbol of good luck, and while the Lion is a symbol of courage, capable of driving away evil 🦁
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