#Giuseppe Longhi
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libridine 2024 allo studio campo boario: dal 24 maggio
>>> allo Studio Campo Boario, viale del Campo Boario 4/a <<< Incontri a cura di Domenico Adriano, Alberto D’Amico, Marco Giovenale Programma Ritorno, di Gabriella Pace Data: 24 maggio (ore 18.30) Edizioni il Labirinto Presentano: Barbara Carle e Domenico Adriano Aenigma di Alberto D’Amico (Ifix). Mabuya di Camilla Liconti e Ludmilla Adriano Nakaema Data: 24 maggio (ore 21) con Alberto D’Amico,…
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TÍTULO: San Juan Bautista AUTOR: Francesco del Cossa FECHA: 1470-1473 MATERIAL Y TÉCNICA: Tempera sobre tabla TÉCNICA DE TRABAJO: Tempera y oro sobre tabla DIMENSIONES: 112x55 cm INVENTARIO: 1183 Junto con la tabla de San Pedro, la pintura constituyó la tabla lateral de un gran retablo ejecutado hacia 1473 por encargo del comerciante Floriano Griffoni y destinado a la capilla familiar de San Petronio en Bolonia. El políptico, dedicado a San Vincenzo Ferrer, fue creado unos años después de la canonización del santo y fue ejecutado por el artista en colaboración con Ercole de' Roberti, quien ejecutó los paneles de la predela. La obra permaneció en la capilla Griffoni hasta 1725-1730, cuando los paneles individuales se comercializaron por separado en el mercado de antigüedades. Los paneles Braidensi fueron adquiridos por el coleccionista Giuseppe Cavalieri en 1893, por sugerencia de Adolfo Venturi, pero fue sólo gracias a las intuiciones de Roberto Longhi que en 1934 los fragmentos de Brera, la National Gallery de Londres y la National Gallery de Washington podrían identificarse como partes de un grandioso organismo unitario, entre las piedras angulares de la producción de Cossa y de la pintura renacentista de Ferrara. Los dos santos aparecen con la solidez de dos esculturas policromadas, apoyados sobre un terreno astillado que los aísla como una base tras la cual se abre un paisaje fantástico, donde arcos inseguros enmarcan llanuras atravesadas por ríos y salpicadas de edificios. La inscripción en el rollo que porta San Juan Bautista dice: “EG [OSUM]VOCES CLAMANTES IN DESERTO”.
Información e imagen de la Pinacoteca de Brera.
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Presentazione del libro "Otre nuovo per vino nuovo" sulla trasformazione del lavoro nell'era dell'AI Il 20 novembre, nella splendida cornice... #danielafumarola #EmmanueleMassagli #intelligenzaartificiale #istituzioni #lavoro #MaurizioSacconi #sindacato #trasformazione #unioncamere https://agrpress.it/presentazione-del-libro-otre-nuovo-per-vino-nuovo-sulla-trasformazione-del-lavoro-nellera-dellai/?feed_id=8181&_unique_id=673f548281554
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I mondi di Gina Lollobrigida a Roma
L’Istituto Centrale per la Grafica – Palazzo Poli a Roma ospita, fino all’8 ottobre, la mostra che celebra la vita e il talento di Gina Lollobrigida promossa dal Ministero della Cultura con Archivio Luce Cinecittà. Star del cinema internazionale, fotografa, disegnatrice, scultrice e cantante, Gina Lollobrigida è stata una vera donna dall’incredibile vena creativa che, in un’intervista, affermo che “vorrei essere ricordata soprattutto come artista e, perché no, anche come attrice”. Ideata e curata da Lucia Borgonzoni, Sottosegretario del MIC, e da Chiara Sbarigia, Presidente di Cinecittà, I mondi di Gina trasporta nello straordinario universo dell’attrice, musa di grandi registi e icona di moda con i suoi inconfondibili abiti ispirati allo stile impero. Il percorso espositivo si snoda in 120 fotografie, provenienti dall’Archivio Luce Cinecittà, dal Centro Sperimentale di Cinematografia e dal MuFoCo – Museo di Fotografia Contemporanea - e da altri archivi, filmati inediti di momenti privati, per gentile concessione di Andrea Milko Skofic, e pubblici. Nella mostra ci sono anche due abiti da sera originali realizzati da Gattinoni e due costumi di scena dei film Venere Imperiale e La donna più bella del mondo, creati da Costumi d’Arte, oltre ad alcuni gioielli Bulgari, come i magnifici orecchini con smeraldi, provenienti dall’Archivio Storico della Maison e parte della collezione personale della diva. L'Istituto Centrale per la Grafica si trova nel complesso monumentale della fontana di Trevi e comprende Palazzo Poli e il Palazzo della Calcografia costruito nel 1837 dall'architetto Giuseppe Valadier per ospitare la Calcografia camerale, di cui fu direttore per decenni, con il compito di conservare, tutelare e promuovere un patrimonio di opere che documentano l'arte grafica in tutte le sue forme. Palazzo Poli fu commissionato da Lelio dell’Anguillara duca di Ceri che, nel 1566, aveva acquistato palazzo Del Monte ed è il risultato di diverse fasi costruttive. I lavori furono eseguiti su progetto dell’architetto Martino Longhi il Vecchio nel 1573 e alla sua morte, da Ottaviano Mascherino. Dal 1834 il palazzo divenne la residenza della principessa Zenaide Wolkonsky, che nel suo salotto letterario, ospitò il poeta romanesco Belli e il romanziere russo Nikolaj Vasil'evič Gogol’. Il luogo più bello del Palazzo è la Sala Dante, nota per le sue grandi dimensioni, dove si svolgono eventi, convegni, concerti, seminari; mentre al primo piano vi sono gli spazi espositivi che ospitano mostre ed esposizioni di grafica storica e contemporanea. Read the full article
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Augusta Amalia of Bavaria - She fell in love, but Napoléon intervened and she had to marry 1808 Empress Josephine’s son Eugéne to spare Bavaria from imperial wrath.
Top left: Augusta Amalia of Bavaria, bust length, wearing tiara with pearls, pearl earring, and low dress by Paolo Caronni and/or Giuseppe Longhi (British Museum). From their Web site 1705X2000 @300 2.1Mj.
Top right: 1809 Auguste Amalie de Beauharnais, Vizekönigin von Italien, mit ihren Töchtern Josephine und Eugenie by Andrea Appiani (location ?). From Wikimedia via pinterest.com/marcellagarsia/fashion-in-painting-xix-secolo/1800s/ 771X1023 @72 378kj.
Second row: 1810 Augusta Amalia Ludovika von Bayern, Duchess of Leuchtenberg by ? (location ?). From napoleondidthat.tumblr.com/post/122145342551/augusta-amalia 800X960 @72 270kj.
Third row left: 1814 Princess Augusta Amalia of Bavaria as a Vice-queen of Italy by ? (location ?). From csfd.cz/film/1010768-napoleons-erben-in-bayern-die-herzoge-von-leuchtenberg/galerie/?page=2 1268X1766 @144 4Mp.
Third row right: ca. 1815 Augusta-Amélie de Bavière by François Pascal Simon Gérard (Versailles). From art.rmngp.fr/en/library/artworks; erased cracks & spots w Pshop & enlarged 25% 609X936 @96 140kj.
Fourth row: ca. 1816 Auguste Amalie de Baviere by Joseph Karl Stieler (Château de Malmaison - Rueil-Malmaison, Île-de-France, France). From Wikinedia; erased cracks & flaws and fixed edges w Pshop 725X925 @72 1.3Mp.
Fifth row left: 1820 (or later) Augusta of Bavaria, Duchess of Leuchtenberg by Garnier (Royal Collection RCIN 618050), From their Web site 1579X2000 @300 956kj.
Fifth row right: 1824-1825 Auguste-Amélie de Bavière by Joseph Karl Stieler (Châteaux de Malmaison et Bois-Préau - Rueil-Malmaison, Île-de-France, France). From Wikimedia 1006X1254 @72 260kj.
Sixth row: ca. 1825 Auguste Amalie, Princess of Bayern by Joseph Karl Stieler (auctioned by Ketterer Kunst) From pinterest.com/AlexyMet/ritratti-aristocratici-eleganti/; fixed flaws and spots throughout image with Photoshop. 3003X4002 @300 4.1Mj. This dress is more in keeping with the 1830s than the 1820s.
#Empire fashion#French restoration era fashion#1800s fashion#1810s fashion#1820s fashion#1830s fashion#Augusta Amalia of Bavaria#curly hair#tiara#square décolletage#neckline ruff#Empire waistline#close skirt#quarter length close sleeves#Paolo Caronni#Andrea Appiani#Giuseppe Longhi#square neckline#hair jewelry#waist band#François Pascal Simon Gérard#Joseph Karl Stieler#feathered hat#high neckline#slashing#long sleeves#Garnier#scoop neckline#turban#robes
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De’ Longhi Industrial e Giuseppe de’ Longhi hanno collocato azioni De’ Longhi pari al 4% del capitale
De’ Longhi Industrial e Giuseppe de’ Longhi hanno collocato azioni De’ Longhi pari al 4% del capitale
De’ Longhi Industrial ha venduto 4240000 azioni e Giuseppe de’ Longhi ha ceduto 1760000 azioni De’ Longhi. Il collocamento è stato realizzato attraverso una procedura di accelerated bookbuilding riservata a investitori qualificati ed è stato chiuso a un prezzo di 35,38 euro per azione. Al termine dell’operazione, a DL Industrial farà capo il 53,7% del capitale sociale e il 66,8% dei diritti di…
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Academic Study of a Male Nude. 1790-1830. Giuseppe Longhi Italian 1766-1831. black chalk on paper. http://hadrian6.tumblr.com
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The Madonna of the Veil, Giuseppe Longhi, 19th century, Harvard Art Museums: Prints
Harvard Art Museums/Fogg Museum, Gift of Belinda L. Randall from the collection of John Witt Randall
https://www.harvardartmuseums.org/collections/object/247185
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Academic Study of a Cast of a Bust of a Roman Senator, Giuseppe Longhi, 1790–1830, Smithsonian: Cooper Hewitt, Smithsonian Design Museum
Size: 56.5 × 42 cm (22 1/4 × 16 9/16 in.) Medium: Black and white chalk on brown paper
https://collection.cooperhewitt.org/view/objects/asitem/id/97454
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Johannes Kastajan mestaus, Giuseppe Longhi, 1806, Finnish National Gallery
http://kokoelmat.fng.fi/app?si=C+461
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Bust of a Man with a Fur Cap, Giuseppe Longhi, Cleveland Museum of Art: Prints
Medium: engraving
https://clevelandart.org/art/1949.106
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Treasures of the Querini Stampalia Foundation Museum
Located in the former Venetian residence of the Querini Stampalia family, the Querini Stampalia Foundation Museum is a superb example of a preserved historic house. Having been open to visitors since 1869, the museum showcases collections of rare, antique paintings, ceramics, furniture, sculptures, celestial and terrestrial globes and stucco decorations. Tickets are currently priced between 10 and 15 Euros and residents of the Municipality of Venice can visit for free on Sundays. The museum is closed on Mondays.
Images: Giovanni Bellini, Presentation of Jesus Christ at the Temple, c. 1469, tempera on wood, 80 x 105 cm, Fondazione Querini Stampalia, Venice. Wikimedia Commons.
Rezzonico Chandelier, c.1870, Murano glass, Fondazione Querini Stampalia, Venice. Wikimedia Commons.
Sebastiano Bombelli, Portrait of the Procurator Girolamo Querini, c. 1669, oil on canvas, 236 x 161 cm, Fondazione Querini Stampalia, Venice.
Vincenzo Catena, Judith, 1520-25, oil on panel, 82 x 65 cm, Fondazione Querini Stampalia, Venice. Web Gallery of Art.
Orazio Marinali, Boy in Hat, c. 1710, marble, Fondazione Querini Stampalia, Venice. Web Gallery of Art.
Andrea Schiavone, Conversion of Saul, 1540-45, oil on canvas, 205 x 265 cm, Fondazione Querini Stampalia, Venice. Web Gallery of Art.
Orazio Marinali, Old Man, c. 1710, marble, Fondazione Querini Stampalia, Venice. Web Gallery of Art.
Jacopo Palma (known as Palma Vecchio), Portrait of Francesco Querini 1527-28, oil on panel, 88 x 72 cm, Fondazione Querini Stampalia, Venice. Web Gallery of Art.
Pietro Longhi, Duck Hunters on the Lagoon, c. 1760, oil on canvas, Pinacoteca Querini Stampalia, Venice. Web Gallery of Art.
Camera degli Sposi, Palazzo Querini Stanpalia, Venice. Wikimedia Commons.
Giuseppe Salviati, The Raising of Lazarus, 1540-45, oil on canvas, Fondazione Querini Stampalia, Venice. Web Gallery of Art.
Posted by Samantha Hughes-Johnson.
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Wax Mask will be released on Blu-ray on August 27 via Severin Films. The 1997 Italian horror was supposed to be directed by Lucio Fulci (Zombie), but he died before it went into production. Dario Argento (Suspiria) produces.
Severin is carrying an exclusive two-disc edition for $28. The limited edition version includes a CD of Maurizio Abeni’s original motion picture soundtrack and the slipcover pictured above with art by Austin Hinderliter.
Fulci co-wrote the script with Daniele Stroppa (Witchery), but special effect artist Sergio Stivaletti (Opera, Cemetery Man) took over directing duties. Robert Hossein, Romina Mondello, Riccardo Serventi Longhi, Gabriella Giorgelli, and Aldo Massasso star.
Wax Mask has been scanned in 4K from the original negative, supervised by Stivaletti. It includes both English and Italian (with English subtitles) audio options with 5.1 and 2.0 audio.
Special features are listed below, where you can also see the cover art.
Special Features:
Audio commentary with director/special effects artist Sergio Stivaletti and Michelangelo Stivaletti
Beyond Fulci - Interviews with producer Dario Argento, director Sergio Stivaletti, producer Giuseppe Columbo, production designer Massimo Geleng, actress Gabriella Giorgelli, and filmmaker Claudio Fragasso
The Chamber of Horrors - Interviews with producer Dario Argento, director Sergio Stivaletti, producer Giuseppe Columbo, production designer Massimo Geleng, and actress Gabriella Giorgelli
Living Dolls - Interviews with producer Dario Argento, director Sergio Stivaletti, producer Giuseppe Columbo, and actress Gabriella Giorgelli
The Grand Opening - Interviews with producer Dario Argento, director Sergio Stivaletti, and producer Giuseppe Columbo
Interview with director/special effects artist Sergio Stivaletti
Interview with composer Maurizio Abeni
Interview with film writer Alan Jones
Behind the Scenes vintage featurette
Special Effects vintage featurette
On Set with Dario Argento vintage featurette
There’s a new attraction in town that’s not for the fainthearted. A wax museum that recreates, for the thrills of a paying audience, some of the most gruesome murders ever committed by human hands.
A young man makes a bet with his friends that he can spend an entire night in the museum but he is found dead the morning after. Who is the savage slayer? The police are unable to come up with a reason or a clue to identify the murderer. Weirdly enough, the museum starts featuring new murder scenes as the killing spree increases. Is the metal-clawed killer that haunted Paris years ago, prowling the streets of Rome, looking for fresh flesh and blood?
#wax mask#dario argento#lucio fulci#severin films#gabriella giorgelli#dvd#gift#sergio stivaletti#robert hossein#aldo massasso#romina mondello#italian horror#italian film#1990s horror#90s horror
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An Allegory of Painting. Giuseppe Nogari (Italian, 1699-1766). Oil on canvas.
From 1739 to 1742 Nogari worked for the House of Savoy in Turin, painting canvasses and decorating the Royal Palace of Turin and the hunting lodge at Stupinigi. In 1756, he became a member of the Venetian Accademia di Pittura e Scultura. Alessandro Longhi was one of his pupils.
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“In Gold We Trust”: dialogo con Marco Goldin, il Signore Grandi Mostre. Ha portato 11 milioni di persone davanti a Van Gogh, Vermeer, Monet…
L’arte è il racconto della vita e lui Marco Goldin, il Signore Grandi Mostre, emotività, pop e management ha passato la sua raccontare l’arte. Organizzando esposizioni, portando in Italia capolavori, scrivendo saggi, allestendo spettacoli teatrali. Maestri celebri, opere-icona, impressioni, Impressionisti e code impressionanti. Ogni mostra, un successo. Anni fa su Facebook spuntò un gruppo denominato «Quelli che vogliono diventare Marco Goldin». Alcuni critici contestano le sue scelte mainstream, ma lui tira dritto sulla sua linea, quella che parte da Treviso, dove è nato, nel 1961, e passa dalla laurea all’Università Ca’ Foscari di Venezia con tesi su Roberto Longhi scrittore e critico d’arte (110 e lode), lungo 400 esposizioni curate dal 1984 a oggi, attraversa la sua società di produzione di mostre – «Linea d’ombra» a là Conrad – e arriva dove vuole. Alla fine Goldin è l’unico che può ottenere certe opere da musei stranieri e certi finanziamenti dai privati. Di lui si fidano sindaci, direttori, collezionisti, prestatori, sponsor e pubblico. In «Gold» we trust.
Lui ha creduto nella passione e nelle arti-star. E unendole ha creato, a suo modo, un capolavoro. Portare tutti a vedere le sue mostre. Perché prima di essere le mostre su Van Gogh, su Gauguin, su Monet, le mostre curate da Goldin sono un modo di presentare se stesso attraverso i quadri di Van Gogh, di Gauguin, di Monet… Non sono mostre su. Ma mostre di. Marco Goldin. Uno che ti vien voglia di dirgli come Dino Risi a Nanni Moretti spostati, e fammi vedere la mostra.
Lei, le mostre d’arte, vorrebbero che le vedessero tutti.
Mi piace immaginare che le opere d’arte debbano essere appannaggio di un pubblico largo. E sono convinto che la cultura sia prima di tutto racconto e emozione, abbinati all’erudizione.
I suoi avversari storcono il naso davanti alle «emozioni».
Non è una guerra. Non ci sono avversari. Qualcuno separa scientificità e popolarità. Invece per me stanno insieme. Perché una mostra non può fare 300mila visitatori? Perché – invece che allineare uno dopo l’altro dei quadri – non creare un racconto?
Con le sue mostre ha raccontato i grandi temi del viaggio, dello sguardo, del paesaggio e della notte. Cosa sceglie?
Forse il paesaggio. Sono una grande sportivo, da quando avevo 15 anni. Mi alleno molto. Ciclismo, sci d’alpinismo, fondo. Discipline che ti preparano alla fatica e che ti permettono di stare a contatto con la natura. Amo talmente tanto stare all’aperto da ricercarlo anche al chiuso. Ho una passione per la raffigurazione della Natura. Ecco perché ho curato tante mostre sul paesaggio. Collego lo spirito e il lavoro.
Quando inizia per lei il racconto dell’arte?
Mia nonna dipingeva. A otto anni facevo il modello nel suo atelier, in un’altana veneziana di Treviso. Sono cresciuto respirando olio e trementina.
Da allora è stata una linea retta?
No, al liceo i miei interessi erano di tipo letterario. Scrivevo, leggevo poesia. Poi, iscritto a Lettere a Ca’ Foscari misi nel piano di studi Storia dell’arte contemporanea perché all’epoca con quell’esame potevi insegnare alle superiori, non si sa mai. Lì incontrai Giuseppe Mazzariol. Un professore molto particolare: entrava in aula un quarto d’ora dopo e andava via un quarto d’ora prima, ma le sue lezioni erano indimenticabili.
Il tipo di insegnante che ti affascina raccontando.
Ecco. Il suo corso era su Paul Klee, artista che peraltro oggi non amo particolarmente. Ma è lì che è iniziato tutto. Poi ho cominciato a scrivere per un settimanale di Treviso, città dove negli anni ’80 c’erano moltissime gallerie private: ogni settimana s’inaugurava una mostra. Ho iniziato così, frequentando i vernissage e i pittori. Poi ho cambiato piano di studi.
E la vita.
Sì, anche se in quel momento non lo sapevo. Comunque da allora l’arte è vita, passione, lavoro.
E business.
Nel mio lavoro ha avuto qualche successo, certo. In ogni caso non sono mancate perdite, anche pensati a volte.
Prima mostra curata?
Ottobre 1984, avevo 23 anni. In 35 anni di attività ho curato 400 mostre, cioè 11-12 all’anno, una al mese. Ma la media è così alta perché quando ero più giovane e lavoravo soprattutto sulla pittura italiana del ’900 tenevo un ritmo di 30-35 mostre all’anno, contemporaneamente su più sedi, pubblicando anche il catalogo. Me ne rendo conto: era una follia. Da tempo ne faccio una, al massimo due all’anno.
Curriculum?
Dal 1988 al 2002 ho diretto la Galleria comunale di Palazzo Sarcinelli a Conegliano. Dal 1988 al 2003 ho curato molte esposizioni per la Casa dei Carraresi di Treviso. Dal 1998 ho iniziato un ciclo di grandi esposizioni nel Veneto, Torino, Brescia, Bologna, in particolare sulla pittura francese dell’Ottocento. Ho insegnato allo IULM di Milano. Dal ’91 al ’95 ho scritto recensioni per il Giornale, con Montanelli e con Feltri.
Nel 1996 fonda «Linea d’ombra».
È la mia società che si occupa di organizzare mostre sia di ambito nazionale che internazionale.
Quanti visitatori, da allora?
In 23 anni 11 milioni di persone in tutto. Ho ottenuto prestiti da 1.200 fra musei, Fondazioni e collezioni private di tutti i cinque Continenti, per un totale di oltre 10mila opere portate in Italia, di 1.054 artisti diversi. Per nove anni una delle mie mostre è stata la più visitata d’Italia. E per quattro volte si è classificata tra le prime dieci più viste al mondo.
Numeri record, ma che non le sono stati perdonati.
Invidia? Chissà, qualcuno mi ha fatto passare come quello che ha banalizzato l’arte, ma ci sono in giro tante mostre pessime eppure nessuno ha avuto critiche così feroci.
Ci soffre?
No. Mai fatto mostre per calcolo, solo quelle che mi piacevano.
Il suo secolo d’elezione è il ’900.
In ambito italiano sì. Ma le più note restano quelle su Monet, gli Impressionisti, Van Gogh…
Alla Gran Guardia a Verona ha appena inaugurato “Il tempo di Giacometti da Chagall a Kandinsky”.
È l’esempio di quanto la passione prevalga sul business. Così come quella su Rodin lo scorso anno. Organizzare una mostra su Giacometti è antieconomico. Produrre questa mostra costa due milioni. C’è uno sponsor privato, che abbassa il rischio di impresa, pagando un quinto dei costi. Il resto dovrebbe arrivare dai biglietti di ingresso. Ci perderò…
Perché?
Perché tradizionalmente le mostre sulla scultura non funzionano. La gente ama guardare i quadri, non le statue.
Però la fa lo stesso.
È una mostra che sognavo da quando andavo all’università. Giacometti è il primo artista internazionale del ’900 che ha attirato la mia attenzione. È stato uno dei miei primi “amici” artisti, fin dagli anni dell’università quando giravo i musei di tutta Europa, e vedevo i suoi disegni prima ancora che le sue sculture. Di lui mi ha sempre colpito la sua forza della verità. Lui diceva: “L’arte mi interessa molto, ma la verità mi interessa infinitamente di più”.
Cosa significa?
Che prima devi essere una persona vera di fronte alle persone, agli oggetti, al paesaggio che vuoi ritrarre. E dopo, verso l’arte. Il risultato sono le sue sculture uniche. Le guardi, eccole qui: la Grande femme debout, L’Homme qui marche. Quella è la Femme de Venise che fu esposta nel 1956 alla Biennale di Venezia e che riscosse un successo incredibile.
Di critica. Ma perché al grande pubblico le sculture non piacciono?
Perché la gente ama il colore. E nelle sculture non c’è. Tutto qui. È il motivo per cui Van Gogh è stra-amato dal grande pubblico e Giacometti nonostante le valutazioni stellari resta poco conosciuto. Da una parte un colore urlato, dall’altra una forma che fa pensare. Tra le due cose, dal punto di vista dell’empatia dello spettatore medio, non c’è gara.
E infatti nel 2020 farà un’altra mostra su Van Gogh.
A Padova, su Van Gogh e il suo tempo. Per farle capire come si può intercettare l’interesse del pubblico prima di aprire una mostra, le racconto questo. Sulla pagina Facebook di Linea d’ombra stiamo postando alcune foto delle opere che porteremo in mostra. Bene. L’autoritratto col cappello di feltro, stranoto, è stata la prima immagine pubblicata. Poi abbiamo messo in rete un paesaggio di Arles con i mandorli in fiore. La seconda opera ha avuto il doppio dei like rispetto alla prima. Cosa significa? Che tra un ritratto, anche iconico, e un paesaggio, suscita più emozioni il paesaggio.
È per questo che gli Impressionisti fanno sempre boom?
Certo. Perché gli Impressionisti hanno dipinto il paesaggio al suo grado massimo di bellezza.
“L’impressionismo e l’età di Van Gogh” del 2003 a Treviso totalizzò 600mila visitatori. Un record.
Nel 2005 presentai poi 80 Van Gogh e 70 Gauguin tutti insieme, una cosa da Metropolitan. Risultato: 541mila biglietti. A Brescia…
Per fare una mostra di successo cosa serve?
Primo: studiare.
Secondo?
Le relazioni internazionali. Spesso servono più dei soldi».
La sua prima conoscenza “giusta”?
Tanti anni fa. Un giovane curatore del Musée d’Orsay di Parigi, conosciuto qui in Italia, Radolphe Rapetti, che poi andò a lavorare a Strasburgo. Fu lui a presentarmi il direttore dell’Orsay, Henry Loyrette. Io stavo organizzando una mostra dedicata a Roberto Tassi, un grande critico dell’arte e grande scrittore, al pari di Longhi e Testori. Avevo in mente una grande mostra, con prestiti internazionali: tra l’altro Tassi, morto nel 1996, era molto apprezzato in Francia. Quando spiegai a Loyrette il progetto, mi disse: cosa ti serve? Prendi questo, un Cézanne, e questo, un Degas, e questo, un Monet… Tutti artisti sui quali Tassi aveva scritto molto. E così, io, piccolo provinciale di Treviso, me ne andai dal museo d’Orsay con in tasca la promessa di prestiti eccezionali. Successivamente Loyrette divenne direttore del Louvre…
E visto il successo della mostra su Tassi, fu più facile ottenere altri prestiti anche da lì.
All’estero ti giudicano anche sui numeri che fai. Portare a una mostra 200mila visitatori non è come portarne 50mila. Per i musei è un investimento in termine di immagine.
Eravamo arrivati al secondo fattore di successo. Il terzo?
Assolutamente la qualità delle opere: a volte si annunciano mostre con nomi altisonanti ma con quadri modesti.
E poi?
Certo, i grandi nomi aiutano, quelli che la gente riconosce. Monet, Van Gogh, Cézanne, Gauguin, Renoir, Degas, Manet, Courbet… O Picasso, o Vermeer…
Vermeer. Goldin è «quello» che portò “La ragazza con orecchino di perla” in Italia.
Grazie alle relazioni internazionali costruite negli anni. Era il 2011. Mi chiama il direttore del museo Kröller-Müller di Otterlo, con il quale ho rapporti di amicizia da vent’anni. Mi dice: Lo sai che chiudono il museo Mauritshuis all’Aia per restauri? Per due anni faranno viaggiare una selezione delle opere in giro per il mondo. Ti interessa? Immaginati se non mi interessava! Faccio di tutto. Vado all’Aia. Mi dicono che la Ragazza andrà solo in Giappone e negli Usa. Occasione persa, mi dico. Poi però nel 2012 il direttore del Mauritshuis mi ricontatta dicendomi che hanno deciso di aggiungere una tappa, ma le richieste sono tantissime, però ricordandosi che ero stato il primo a farsi avanti mi offre la possibilità, a patto che la città fosse importante. E mi dà tre giorni di tempo. Sufficienti per accordarmi con Bologna. Dove l’ho portata.
A Palazzo Fava, nel 2014. Fu la «mostra delle mostre».
Battuto ogni record. In media abbiamo avuto 3200 entrate al giorno, e mai un giorno sotto i 2mila, nemmeno al lunedì. Fu la mostra più visitata nel 2014 con 342mila visitatori in soli cento giorni. E sì che gli ingressi erano contingentati per via delle dimensioni di Palazzo Fava.
Qualità, grandi nomi. E Il resto?
Il resto è comunicazione.
Campo in cui Lei è il numero uno.
Non lo sono, davvero. Però ho capito presto che la sola comunicazione istituzionale non basta. L’arte va raccontata al pubblico, e le mostre ai giornalisti.
Lei è stato il primo a non fare le conferenze stampa seduto, ma nelle sale con la stampa al seguito.
Se è per quello nel 2001 e 2002 per due mostre alla Casa dei Carraresi a Treviso noleggiai un aereo e portai cento giornalisti nei musei di Oslo e Edimburgo per vedere le collezioni da cui sarebbero arrivate alcune delle opere esposte. Da allora lo faccio spesso. Prima di aprire la mostra su Van Gogh a Padova, l’anno prossimo, porto tutti a Otterlo, in Olanda, al museo Kröller-Müller dove si trova una delle maggiori collezioni di Van Gogh al mondo.
Ripeteranno che sarà la solita mega mostra blockbuster. Molto d’effetto e poco scientifica.
E io ripeterò che invece si possono tenere insieme emozione e scientificità. Tra me e un erudito l’unica differenza è il modo in cui raccontiamo la stessa materia. E comunque, prima di criticare senza avere visto, meglio vedere e poi parlare. A Padova si vedranno prestiti assolutamente sorprendenti, altro che mostra blockbuster.
Dicono che Lei si prepara in maniera maniacale sia per curare una mostra sia per scrivere un saggio.
Per questa mostra su Giacometti ho preso centinaia di pagine di appunti. E poi vado sempre nei luoghi in cui gli artisti hanno creato, per provare a capirli meglio, per vedere le cose come le vedevano loro, per cercare un’empatia. Mentre preparavo la mostra sono stato al passo del Maloja tra la Val Bregaglia e l’Engadina: volevo camminare sui sentieri sui quali aveva passeggiato Giacometti, guardare i paesaggi che ha dipinto: il Lago di Sils, il ghiacciaio del Forno, i picchi coperti di abetaie… Solo se vedi quegli alberi snelli e slanciatissimi capisci da dove arrivano gli uomini e le donne filiformi delle sculture di Giacometti. È con questo spirito che nasce la mostra. E che la rende diversa da tutte le altre.
Oggi invece dicono che le mostre siano tutte uguali. Anzi: che l’Italia è diventata un mostrificio.
Un po’ è vero. E poi negli ultimi anni la qualità si è abbassata decisamente. Gli enti pubblici hanno sempre meno soldi, gli sponsor privati sono in fuga, portare grandi opere e grandi nomi in Italia costa troppo, si offre sempre meno, si fanno esposizioni con cinque opere belle e 50 modeste, il pubblico è meno invogliato, si riduce il numero di biglietti e l’intero circuito delle mostre va in crisi.
La sua mostra più bella?
Forse “America! Storie di pittura dal Nuovo Mondo” al Museo di Santa Giulia a Brescia, 2007-08. Tre anni di lavoro, venti viaggi negli Usa: per raccontare il mito della Frontiera, degli spazi immensi, della vita degli indiani e dei cowboy, esposi 250 quadri prestati da 40 musei americani, più altrettanti pezzi fra fotografie d’epoca e oggetti rituali dei nativi. Una cosa mai fatta prima da noi. A una settimana dall’apertura della mostra c’erano già 80mila prenotazioni. Abbiamo chiuso a 205mila. La Tate di Londra e Amsterdam, sullo stesso tema, erano arrivati a 100mila biglietti.
Allora lei attivò una micidiale macchina di eventi per attirare pubblico: reading, film, concerti, testimonial: Mike Bongiorno, Dan Peterson, Battiato, Salvatores, Volo…
La comunicazione è importante. Ma non puoi comunicare il niente. Se hai qualcosa di bello, lo devi raccontare al meglio, tutto qui.
Luigi Mascheroni
*La presente intervista è la versione integrale di quella apparsa il 16 dicembre 2019 su ‘il Giornale’, in quel caso tagliata per ragioni di spazio, e pubblicata col titolo: “Posavo per mia nonna pittrice. Ora curo mostre da record”.
L'articolo “In Gold We Trust”: dialogo con Marco Goldin, il Signore Grandi Mostre. Ha portato 11 milioni di persone davanti a Van Gogh, Vermeer, Monet… proviene da Pangea.
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