#Erratici
Explore tagged Tumblr posts
Link
0 notes
Text
Ritornano i Concerti di Maggio a Berchidda
Berchidda (Sassari). Un mese, tre concerti, tre produzioni originali. In maggio il teatro “Santa Croce” a Berchidda (più un altro spazio ancora da individuare) accoglierà la terza stagione del progetto Insulae Lab, affidato alla direzione artistica di Paolo Fresu. Si comincia venerdì 3 alle 21 con l’attesissimo spettacolo “Massi Erratici” griffato Martin Mayes, sviluppato in prova e sul palco…
View On WordPress
1 note
·
View note
Text
Miracolo del Sole 2023 a Madonna di Campagna di Verbania
Ferragosto è alle porte e con lui anche uno degli eventi più insoliti del Lago Maggiore, con una storia antichissima… Ai piedi del Monterosso, tra Intra e Pallanza, due tra le storiche frazioni che formano Verbania, si trova la chiesa di Madonna di Campagna, già monumento nazionale. Segnalato più volte tra i beni più amati e come uno dei quali che necessita di essere conservato e tramandato; anche in occasione dell’ultimo censimento del FAI, ha raggiunto le 2899 segnalazioni. La Chiesa di Madonna di Campagna e il suo complesso monumentale, sono al centro di lavori ormai da oltre vent’anni, un impegno che ha portato a un esborso di circa 900 mila euro solo per la parte esterna. Nel 2014, i lavori sono stati ulteriormente finanziati per altri 80 mila euro, per recuperare il più possibile l’aspetto originale della volta, degli affreschi e dei dipinti risalenti al 500 e 600 e dell’altare in marmo, risalente al 700. Lavori terminati a maggio 2016 e ripartiti subito per altre opere urgenti. Per completare i restauri all’interno, occorrerebbe un’ulteriore cifra, quantificabile attorno al milione di euro. Madonna di Campagna è una chiesa in stile rinascimentale cinquecentesco, edificata su un preesistente edificio romanico (Sancta Maria de Egro) di cui restano oggi soltanto il campanile del XI secolo e qualche traccia muraria. Presenta il così detto Miracolo del sole dove ogni anno da secoli, il 25 marzo e il 15 agosto puntualmente alle 17, attraverso il rosone della facciata, un raggio di sole illumina un dipinto dell’Immacolata. Il nucleo primitivo della chiesa è sicuramente anteriore all’anno Mille, e il “Miracolo del sole”, non è un caso, e probabilmente nemmeno voluto dalla ricostruzione cinquecentesca, ma affonda le sue radici nella storia più antica e legata ai primi abitanti del Verbano. Per collocazione, forma e morfologia il Monte Rosso, ai cui piedi sorge l’attuale edificio di Madonna di Campagna è unico sul Verbano. La sua cima è posta a quota 692 metri, consentendo una vista libera e completa a 360°, che spazia dalla valle del Toce al Cusio, dai monti della Val Grande al bacino del lago Maggiore e ai laghi varesini. La vetta è in relazione visiva con ben 12 importanti siti dove sono state rinvenute antiche incisioni rupestri considerati sacri nell’antichità. Il villaggio di Cavandone, poco distante dall’attuale chiesa, era già un punto di riferimento nell’epoca della civiltà di Golasecca, come dimostrato dai ritrovamenti archeologici in diversi punti della zona, e tutto il territorio del Monte Rosso, doveva essere considerato un luogo sacro, dove svolgere i rituali che scandivano il ciclo naturale dell’anno agricolo-pastorale. I numerosi massi erratici erano considerati sacri nell’antichità e i vari ritrovamenti archeologici, tra cui alcune incisioni su pietra, testimoniano una presenza umana molto antica. La vetta era uno dei luoghi migliori per osservare gli astri e il percorso del sole, con molti luoghi destinati alla devozione al dio Belenus, divinità della luce e alla sua sposa la dea Belisama, figure assimilabili ad Apollo e Minerva. Sole che illumina e scalda il Monte Rosso da tutti i lati rendendolo fertile, tanto che fino a metà Ottocento si trovavano, ulivi, agrumeti e l’uva vi cresceva ancora rigogliosa, dando un ottimo vino. Componente importante della zona è anche la presenza di una forte devozione religiosa, testimoniata dalle tante piccole cappellette votive dislocate lungo le pendici della collina: tra queste la Chiesa del Buon Rimedio, situata lungo la strada per Cavandone, da cui si gode un panorama mozzafiato sul Lago Maggiore. Nulla è rimasto agli atti della chiesa romanica precedente all’attuale Madonna di Campagna, e nemmeno traccia di quello che c’era ancora prima. Certo è che questo punto è stato da sempre un luogo di culto. Per questa sua ubicazione già la preesistente chiesa aveva la definizione di campestre. Infatti, in un documento del 1341 viene indicata come Santa Maria de Egro cioè di campagna. Dell’antica chiesa conserva anche l’affresco della “Madonna del Latte”, datato come trecentesco. L’edificio attuale è stato costruito tra il 1519 e il 1527 seguendo il progetto di Giovanni Beretta da Brissago. La consacrazione della nuova chiesa risale però solo al 1547, la decorazione interna fu iniziata nel periodo, ma conclusa solo nei decenni successivi e nella prima metà del Seicento. La costruzione si presenta a tre navate di quattro campate ciascuna, divise da colonne ottagonali in serizzo locale. L’abside centrale si trova all’esterno ed è a forma poligonale. Al centro del presbiterio si trova la luminosa cupola a spicchi, rivestita da un tiburio ottagonale e da un elegante loggiato bramantesco, alla cui sommità è posta una lanterna sempre ottagonale. Negli ultimi anni del Cinquecento l’abside è stata arricchita con due vetrate dipinte che illustrano l’Annunciazione e dal coro ligneo suddiviso in 13 stalli. La facciata è a capanna con un rosone centrale, rivestita con blocchi squadrati sempre in serizzo grigio, molto semplice ma affascinante nelle sue linee lombardo-rinascimentali. Al centro si apre un bellissimo portale d’accesso in pietra calcarea con architrave la cui struttura esterna è ad archivolta sormontata da un timpano: le superfici sono suddivise in formelle con vari motivi decorativi e simbolici come l’Agnello nella chiave di volta. Il rosone e le due finestre monofore laterali sono in pietra gialla d’Angera. La data “10 ottobre 1527″ incisa sopra il portale, indica il termine dei lavori. Le prime pitture in ordine di tempo sono quelle degli spicchi della cupola; esse raffigurano i quattro Dottori della Chiesa intervallati da coppie di Angeli. Un’attenzione particolare merita la seconda cappella laterale sinistra, detta “Della Madonna delle Grazie”, con al centro il già citato affresco della Madonna del Latte, proveniente dalla chiesa più antica, un motivo pittorico che ricorre spesso nell’iconografia sacra. Fu chiamata anche Madonna dei Miracoli e più tardi delle Grazie perché i fedeli la ritenevano miracolosa; sono presenti diversi ex voto a dimostrare la devozione e le grazie ricevute. A testimoniare l’importanza del luogo, il 22 ottobre del 1578, il cardinale Carlo Borromeo decise di effettuare un pellegrinaggio di ringraziamento, per il termine dell’epidemia di peste. Nella cappella troviamo stucchi e pitture ad affresco del 1596 di Camillo Procaccini, artista, pittore d’importanza rilevante per la Lombardia e il Canton Ticino. Le sue capacità, al di sopra della norma, gli valsero il soprannome di “Vasari della Lombardia”. Le navate laterali terminano a sinistra con la Cappella di San Lorenzo e a destra con quella di San Bernardo. Sono opere della Bottega di Bernardino Lanino di Vercelli, terminate attorno al 1580. La tradizione ha sempre indicato nel volto del giullare di corte, il ritratto stesso di Bernardino Lanino. Di particolare pregio le opere in legno, il fonte battesimale e il coro, realizzate nel 1582 dai vigezzini di Craveggia, Giovanni e Domenico Merzagora. La parte più monumentale della Chiesa è il grandioso complesso architettonico dominato dalla cupola, i cui affreschi sono opera di Giulio Cesare Luini (1547). La chiesa di Madonna di Campagna, già nel 1582 possedeva un organo, costruito da Pietro Antonio, organaro di Pallanza, allievo di Giovanni Cacciadiavolo. Un inventario del 1618, custodito presso la Curia di Novara, descrive questo organo con “…dodici registri, con dentro vari e diversi singolari istromenti che lo rendono perfetto e raro…” Organo che con i secoli e i restauri è andato perso, sostituito da altri, uno probabilmente datato 1720 e poi dal maestoso impianto collocato sopra l’accesso principale, creato nel 1892 da Alessandro Mentasti e restaurato da Mascioni nel 1990. Compresi nel complesso monumentale, vi sono anche un minuscolo camposanto, che tale rimase sino all’inizio del secolo scorso, mentre a sud si trova un ossario settecentesco, con pregevoli inferriate in ferro battuto, oggi trasformato in archivio e piccolo museo che faceva appunto parte del cimitero. Sul lato nord un edificio d’inizio sec. XVII, già sede di seminario, per una ventina di chierici, dal 1606 al 1753. Fu chiuso, si crede, per la continua tensione, spesso degenerata in zuffe anche cruente, tra Pallanzesi e Sunesi. Litigavano perchè ognuna delle parti rivendicava, la chiesa come propria e questo sino al 1822. Quando si decise di costruirne una nuova a Suna. L’area attorno alla chiesa, era un luogo di vera campagna, dagli anni trenta venne destinata a zona industriale con il complesso che nel dopoguerra divenne la Rhodiatoce e ora si trova proprio davanti all’ingresso di una fabbrica di materie plastiche. Una zona a poche centinaia di metri dal lago che è diventata a forte urbanizzazione, vicina alla strada provinciale, tra supermercati, la Questura e il Tribunale di Verbania, vicinissima alla famosa Villa Taranto. Il “miracolo del sole” della chiesa di “Madonna in campagna”, che vede i raggi colpire un punto preciso, l’affresco dell’Immacolata, in date precise, rimanda all’osservazione dei fenomeni celesti, delle religioni antiche presenti sul territorio, quando i luoghi di culto venivano scelti con cura e “orientati”. L’affresco che raffigura l’Immacolata, vede al centro un viso a forma tonda, che richiama la forma splendente del sole. E’ stato poi incastonato da un lavoro di stucchi per opera di Camillo Procaccini. Il sole compie il suo miracolo due volte l’anno da secoli, ogni 25 marzo e 15 agosto alle ore 17, quando puntualmente un raggio di sole attraversa il rosone e illumina il dipinto della Madonna. E i giorni nei quali si verifica il miracolo non sono stati scelti a caso, sia dal punto di vista naturale che da quello religioso. Il 25 marzo infatti segna praticamente l’inizio della Primavera e il risveglio della natura; per la religione cattolico-cristiana è il giorno in cui l’arcangelo Gabriele diede annuncio del concepimento di Gesù a Maria. Invece il 15 agosto per la natura è il giorno in cui l’estate volta verso l’autunno, con le giornate che prendono già ad accorciarsi visibilmente e la temperatura inizia a cambiare, momento in cui la frutta arriva alla sua maturazione, così come il grano nei campi. I Celti, fedeli osservanti della sacra circolarità del tempo dell’anno e delle fasi astronomiche, celebravano in questo periodo, apice dell’estate, il Lughnasad, la quarta e ultima festa cosmico-agraria del loro calendario. La mezza estate corrisponde all’unione astronomica fra il sole e la luna, i luminari maggiori del cielo, celebrata anche dall’astrologia proprio con il segno femminile, lunare e acqueo del Cancro e quello maschile, solare e di fuoco del Leone. La quarta grande festa celtica aveva una valenza particolarmente agricola e si proponeva di garantire il favorevole andamento del ciclo con buoni e abbondanti raccolti. Per questo nell’occasione della festa di mezza estate si offrivano spighe di grano, mentre i festeggiamenti registravano fiere, con ricchi banchetti, grandi bevute e molti divertimenti. Per la religione cattolico-cristiana, si festeggia invece l’assunzione della Beata Vergine, il momento nel quale, terminata la vita terrena, Maria viene accolta in Paradiso con l’anima e con il corpo. Intorno al VII secolo, si iniziò a celebrare l’Assunzione di Maria, il cui dogma verrà riconosciuto come tale solo nel 1950. Read the full article
0 notes
Text
“ Essenzialmente gli stupidi sono pericolosi e funesti perché le persone ragionevoli trovano difficile immaginare e capire un comportamento stupido. Una persona intelligente può capire la logica di un bandito. Le azioni del bandito seguono un modello di razionalità: razionalità perversa, se si vuole, ma sempre razionalità. Il bandito vuole un «più» sul suo conto. Dato che non è abbastanza intelligente per escogitare metodi con cui ottenere un «più» per sé procurando allo stesso tempo un «più» anche ad altri, egli otterrà il suo «più» causando un «meno» al suo prossimo. Tutto ciò non è giusto, ma è razionale e se si è razionali lo si può prevedere. Si possono insomma prevedere le azioni di un bandito, le sue sporche manovre e le sue deplorevoli aspirazioni e spesso si possono approntare le difese opportune. Con una persona stupida tutto ciò è assolutamente impossibile. Come è implicito nella Terza Legge Fondamentale [«Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un'altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita»], una creatura stupida vi perseguiterà senza ragione, senza un piano preciso, nei tempi e nei luoghi più improbabili e più impensabili. Non vi è alcun modo razionale per prevedere se, quando, come e perché, una creatura stupida porterà avanti il suo attacco. Di fronte ad un individuo stupido, si è completamente alla sua mercé. Poiché le azioni di una persona stupida non sono conformi alle regole della razionalità, ne consegue che: a) generalmente si viene colti di sorpresa dall'attacco; b) anche quando si acquista consapevolezza dell'attacco, non si riesce ad organizzare una difesa razionale, perché l'attacco, in se stesso, è sprovvisto di una qualsiasi struttura razionale. Il fatto che l'attività ed i movimenti di una creatura stupida siano assolutamente erratici ed irrazionali, non solo rende la difesa problematica, ma rende anche estremamente difficile qualunque contrattacco – come cercare di sparare ad un oggetto capace dei più improbabili ed inimmaginabili movimenti. Questo è ciò che Dickens e Schiller avevano in mente quando l'uno affermò che «con la stupidità e la buona digestione l'uomo può affrontare molte cose» e l'altro che «contro la stupidità gli stessi Dei combattono invano». Occorre tener conto anche di un'altra circostanza. La persona intelligente sa di essere intelligente. Il bandito è cosciente di essere un bandito. Lo sprovveduto è penosamente pervaso dal senso della propria sprovvedutezza. Al contrario di tutti questi personaggi, lo stupido non sa di essere stupido. Ciò contribuisce potentemente a dare maggior forza, incidenza ed efficacia alla sua azione devastatrice. Lo stupido non è inibito da quel sentimento che gli anglosassoni chiamano self-consciousness. Col sorriso sulle labbra, come se compisse la cosa più naturale del mondo lo stupido comparirà improvvisamente a scatafasciare i tuoi piani, distruggere la tua pace, complicarti la vita ed il lavoro, farti perdere denaro, tempo, buonumore, appetito, produttività – e tutto questo senza malizia, senza rimorso, e senza ragione. Stupidamente. “
Carlo M. Cipolla, Le leggi fondamentali della stupidità umana.
Original version in english HERE
NOTA: L’autore stese questo breve saggio ("che gli eruditi settecenteschi avrebbero chiamato «una spiritosa invenzione»”) in lingua inglese mentre era professore di economia alla UC Berkeley e lo pubblicò nel 1976 in edizione ristretta riservata ai soli amici. Come un suo altro scritto informale (Il ruolo delle spezie (e del pepe in particolare) nello sviluppo economico del Medioevo, distribuito in una ristretta cerchia nel 1973) anche questo pamphlet conobbe una rapida diffusione per mezzo di copie xerografiche e manoscritte. Il fenomeno assunse però proporzioni tali che, pur avendo rifiutato a lungo una traduzione in lingua italiana ritenendo che lo spirito del testo potesse essere colto solo in lingua inglese, Cipolla acconsentì nel 1988 ad una revisione e pubblicazione dei due saggi satirici in lingua italiana da parte della casa editrice Il Mulino. Da questa versione, intitolata Allegro ma non troppo, sono poi state tratte le ulteriori edizioni in altre lingue, compresa quella inglese.
#Carlo M. Cipolla#Allegro ma non troppo#leggere#letture#Le leggi fondamentali della stupidità umana#citazioni#libri#Storici italiani del '900#saggistica#saggi brevi#umorismo#intellettuali italiani del XX secolo#utilitarismo#sociologismo#cultura anglosassone#sarcasmo#felicità#società umane#irrazionalità#razionalità#intelligenza#Dickens#Schiller#sprovvedutezza#banditismo#Il Mulino#benessere sociale#etica#egoismo
25 notes
·
View notes
Photo
Piogge, nubifragi, venti e siccità: come la crisi climatica sta cambiando il Pianeta Ho cominciato a scrivere questo pezzo mentre Milano veniva frustata da un vento violentissimo, con raffiche che sfioravano quota 100 km/h. Quando sono uscito in strada, nel pomeriggio, dopo che la buriana si era placata, ho visto tegole sfracellate sull’asfalto, alberi abbattuti, ho scoperto che un asilo nido era stato evacuato a Segrate, che diverse persone erano rimaste ferite per strada, e che il vento aveva addirittura scoperchiato parte della Stazione Centrale. Lunedì 7 febbraio è stato rubricato da molti come un giorno eccezionale, uno di quelli a cui dedichiamo uno spazio nella memoria per raccontarlo negli anni a venire; ma con ogni probabilità, con il passare del tempo, venti come quelli di questa settimana saranno sempre meno rari. Una delle poche cose che sappiamo per certo, infatti, è che con la crisi climatica non cambieranno solo le temperature ma anche la frequenza e l’intensità dei fenomeni metereologici: già oggi, gli 1,2 gradi al di sopra dei livelli pre-industriali stanno causando più eventi estremi che in passato; e il trend è destinato a crescere. (...) Lo scorso ottobre, la provincia di Catania è stata flagellata da un nubifragio senza precedenti, che ha portato nel giro di 72 ore a riversarsi sulla città capoluogo quasi 270 millimetri di pioggia; praticamente un terzo di quella che di solito precipita nell’arco di un solo anno. Gli effetti sono stati devastanti: strade trasformate in fiumi, piazze allagate, alberi sradicati e auto trasportate dalla corrente. Solo pochi mesi prima, una devastazione simile si era osservata in Germania e in Belgio, quando alcune zone della Renania Settentrionale-Vestfalia erano state coperte da 148 litri di pioggia per metro quadro nel giro di 48 ore (solitamente si contano 80 litri in tutto il mese di luglio). Si è parlato di dissesto idrogeologico, ed è innegabile che a rendere devastanti questi fenomeni sia intervenuta l’imponente cementificazione che rende queste zone meno permeabili all’acqua, ciò non toglie che se questo dissesto esiste da decenni, alluvioni così diffuse e distruttive sono un fatto recente. (...) è abbastanza semplice: un aumento della temperatura media determina una maggiore evaporazione di acqua dagli oceani e dalla superficie terrestre, processo che a sua volta va ad aumentare la quantità e l’intensità delle piogge. Attenzione, però: questo non significa che semplicemente piove e pioverà sempre di più; poiché il cambiamento climatico incide anche sulle correnti a getto e su altri parametri climatici, è più probabile che le precipitazioni saranno sempre meno prevedibili, e i fenomeni intensi sempre più erratici. È quindi probabile che avremo piogge sempre più intense, circoscritte in periodi sempre più brevi. Non solo, dato che l’aumento di temperatura rende più facile la formazione di uragani, e consente all’aria di trattenere maggiore umidità (il 7% in più per ogni grado in più, circa), si pensa che il numero e la violenza degli uragani sia anch’esso destinato ad aumentare. (...) La situazione è particolarmente preoccupante nel Nord-Ovest del paese (dove la percentuale sale al 76%), e in Sardegna (al 72%). Meno piogge e nevi significa terreni più secchi, il che combinato ai venti porta ad aumentare il rischio di incendi. Non solo, meno precipitazioni significa meno neve in montagna e meno acqua nei laghi e nei fiumi: e infatti il Po è praticamente al livello che raggiunge in estate; in alcuni punti il livello è addirittura di 6 metri inferiore alla norma. Ora, viene spontaneo chiedersi: ma se temperature più alte portano a maggiori precipitazioni, cosa c’entra questo periodo di siccità con il cambiamento climatico? C’entra, perché come abbiamo detto con l’aumento delle temperature aumenta l’evaporazione, e non è detto che quell’acqua ritornerà da dove è arrivata; anzi, il più delle volte le precipitazioni tendono a concentrarsi nelle zone già tipicamente interessate dai temporali, andando ad aggravare la situazione in zone già siccitose. A questo si aggiunge il fatto che la scarsità di neve porta a una diminuzione del manto nevoso sulle montagne (una riserva idrica cruciale, per molti versi), e il fatto che il riscaldamento globale sta spostando le perturbazioni più vicino ai poli. La previsione è che nei prossimi anni gli eventi siccitosi saranno più intensi e frequenti, soprattutto nelle zone che già oggi lottano con la scarsità d’acqua. Lo scorso 3 febbraio un report pubblicato dalla European Environment Agency ha rivelato che negli ultimi 40 anni gli eventi meteorologici estremi di cui abbiamo discusso hanno causato 500 miliardi di euro di perdite e 140.000 decessi in tutta Europa; i paesi più colpiti sono la Francia, la Germania e l’Italia. I danni economici sarebbero in massima parte imputabili ad alluvioni e inondazioni, mentre le morti alle sempre più frequenti ondate di calore. (...) Insomma, il clima sta cambiando seguendo direzioni diverse rispetto a quelle a cui siamo abituati, per adattarci a ciò non dobbiamo dunque soltanto prepararci a fronteggiare eventi più violenti e improvvisi, ma anche abbandonare l’idea normalità a cui ci siamo abituati. Oltre a velocizzare una transizione ecologica fondamentale se non vogliamo che questo trend diventi ingestibile. di Fabio Deotto
7 notes
·
View notes
Text
Non ebbi legami. Mi abbandonai totalmente e andai. A godimenti, per metà reali e per metà erratici nella mia mente, andai nella notte illuminata. E bevvi vini vigorosi, come quelli che bevono i prodi del piacere.
- Konstantinos Kavafis -
10 notes
·
View notes
Text
Non ebbi legami. Mi abbandonai totalmente e andai.
A godimenti, per metà reali
e per metà erratici nella mia mente,
andai nella notte illuminata.
E bevvi vini vigorosi, come quelli che bevono i prodi del piacere.
4 notes
·
View notes
Text
past, present, future
aka mal, evie, and carlos on magic, their parents, and the isle
this is actually a repost of this bc freaking tumblr deleted all my text when i tried to change on tag on the og post so i had to delete it bc it started glitching. sigh.
*jay is getting his own fic which is why he’s not in this, more info below
***comment on the mal part i use a weird combo of the live action remake maleficent and the og one. Its like maleficent was still queen of the moors but she was actually evil and not all sympathetic like she is in the live action movies….
TW!!- obvious discussion of child abuse in semi-graphic detail for the majority of the fic, and a breif s*lf h*rm refrence. It's only a sentence or two long, a general ref/description ig, basically has to do w/ evie freaking out if ppl think she is ugly/a failure bc of her mom’s abuse.
=========================================================================================
To Mal, magic was her blood. It was her history, her lineage. She was a fae, birthed to continue her mother’s legacy. Created to reclaim the throne her mother lost in her madness and cruelty, to conquer their lost land, to live up to the expectations put upon her at birth. Her magic was but an extension of that, her birthright, everything she was supposed to be, everything she would one day become.
Using it was both terrifying, and liberating. She was evil, something she’d known for years, but she feared becoming like her mother. A fear she had admitted only once, whispered to three others in the dead of night.
There was a difference in their evil. Her mother’s was unnecessary, powered by delusions of grandeur, random cruelty brought about for her own amusement. Mal saw her own evil as practical, an armor she would use to protect herself, and later her crew. She would use it to get them food, make enemies too afraid to attack them, keep them all as well and alive as she could. She could use her evil, and the fear it caused, to get whatever she wanted, whatever they needed. It gave her power.
Evil was power.
Power was safety.
(Though, could you truly call a child seeking protection evil?)
She knew she would one day have to complete the tasks her mother set out for her, but she refused to do them like the woman herself would. She refused to turn to unneeded cruelty, to hurt those she cared for. She would reclaim their homeland on her own terms.
She would be her own kind of evil, different from her mother’s, even if they used the same magic, read the same spellbook, had the same blood. She would burn her mother's legacy and build her own, build herself from the ashes and leave her mother behind as nothing more than a faded memory, forgotten in her daughter’s shadow. And she would rise from the beaten depths of the Isle, bringing those most important with her, and give them the lives they deserved.
(That was her dream, fueled by Carlos’s invention and their new ability to steal magic from the barrier. To free them all, and give a better life to those she loved. It would come true, one day soon, different than she ever expected. Though she was right that she would reclaim her birthright on her own terms, those terms have nothing to do with the evil she now thinks she is.)
(She will learn she was never truly evil to begin with. She will make her magic truly her own, completely untainted by her mother’s wishes. She will reclaim the lost moors, and she will fill it with the love and light her mother destroyed, those she loves by her side.)
-=+=-
To Evie, magic was a tool. She had no real feelings to it, like how a writer feels no fondness for pens, nor a painter for brushes. She used alchemy books to mix beauty products for her mother, keeping the old woman preoccupied with something else, allowing Evie precious moments of freedom from her mother’s “love”. The word was so mutated in the queen’s mind, as if her unending barrage of insults was the same as Mal’s soft smile, Carlos’s beautiful rambling, Jay’s protective arms.
The best use for her magic was concocting healing brews, things she could give to her gang to save them even a bit of pain. A cream to clear the bruises on Carlos's chest, small packets for Jay to trade so he need not steal while injured, a bite of apple to save Mal’s life. Things to protect the three most important people in her life.
(Though, she had a hidden use for these healing salves too. A secret mix to hide scars, to blend discolorations in with the rest of her skin. She used it only when she truly needed, the others would easily tell if every scar she once had disappeared. But, if she ended up bleeding in the middle of the night, scratching at her skin and sobbing because her mother was right she was so ugly and useless and worthless, and said scratches disappeared before morning, well, no one would ever need to know they ever existed.
Because, truly, what right did she have to complain? What gave her the right cry and sob because her mother said something cruel? The others had parents who beat them till they bled, how could her mother’s words ever compare? Even if her mother screamed until her voice was raw, even if she repeated that Evie was ugly and worthless until the girl could do nothing but believe it herself, even if she forced her to avoid even the small amounts of food they could scrounge up, weakinging her to the point of fainting, possibly death if the others hadn't shoved food in her hands and forced her to eat, as if hurting herself would make her more beautiful.
Even if the Evil Queen, known for her own effortless beauty and even more effortless cruelty, hammered that lesson into the child’s head. That beauty is pain and the only way to have worth is to hurt and you must hurt to be loved, and if you are not in pain you are not beautiful you are not trying hard enough you are failing and they will all leave and you will be left with nothing but pain and your own ugliness.)
So, Evie was thankful for her magic, thankful she could heal those she loved, and hide things that would hurt them. Thankful she could keep her mother’s suspicion away, when the old woman’s view shifted from seeing Evie as an extension of herself to seeing her daughter as a competitor, someone who was out to betray her and take her place. A gift could appease the woman, at least for a bit, reminding her that the child before her had hair too light, skin too dark, lips too pale to be the girl the queen despised. Not that the queen wouldn't try to change that, pushing the child to look more beautiful than the girl who bested her, then punishing the child for being more beautiful than herself.
Her mother’s erraticy gave Evie some odd mix of both hatred and jealousy for her half sister. Her mother wanted her to be more beautiful than Snow White, going as far as to try and even bleach her daughter’s skin, forcing Evie to be the subject of dozens of ill advised experiments to make the girl “beautiful”. Evie hated her sister for the standard she set, for leaving her on the Isle, for their mother’s obsession. But she was desperately jealous of her, desperately wanted to be just as beautiful, partly so her mother would leave her be, but more so she would never lose the love she held so dear.
She feared that more than all, more than death itself, losing those she loved.
She’d heard tales of true love since birth, heard the idea scoffed at and hated. Told it was something for Aradon royalty, something she would never have, should never want. And yet, despite all that, despite the evil in her, the evil surrounding them, she had it. Had it with three incredible people she loved more than anything. But she knew she wasn't as beautiful as the princess in auradon, knew she wasn't as good as them. What if she lost it? What if the most important people in her life left, because she wasn't beautiful enough to be worthy of their love?
(One day, she will learn that beauty is not worth. One day she will learn her three-turned-four lovers would never leave her, least of all over something so meaningless. She will learn that she is beautiful because she is kind, and that those who love her do so for her mind not her body. And she will learn that she need not live to please them, that they will always exist as pillars of support in her life, but she will be able to go and become her own person, do what she wishes without worrying if what she wants would make them dislike her, make them want to leave. She will be able to grow and heal with them, work with them to build a life for themselves and a safe world for the other children like them. One day she will speak with her sister, using the cup bought just for her, something she will have done a thousand times before. And she won’t be cured, the memories of her mother’s voice will always haunt her, but she will have people who love her back home, and wedding rings comfortably heavy on her fingers, and kids to pick up later from school, and the knowledge that the lost children of the Isle are free, and the memories will be pushed away with ease.
One day she will use her magic to help her heal, not hide her pain.
That future may be far away, too far for her to see where she is now, trapped on the Isle, believing lies about love and herself. But it exists, and it’s waiting for her.)
-=+=-
To Carlos, his magic was inconsequential. As far as he was concerned, it didn’t exist. The only evidence of it was a flash of pain, quick, white hot burning in his chest when he pulled pure magic from his device on accident. And when he blinked the stars from his eyes, when he managed to pull breath into his lungs again, when he finally quelled the panic rising in his chest, he forced himself to ignore what had just happened. He made himself believe that the pain, the sudden surge of power, the overcoming sense of dread, was some kind of fluke, some byproduct of the barrier. Pure mortals must not handle magic well, he decided, and let the memory fade to the back of his mind.
Because it was easier. It was easier to let himself believe that he had no magic, to deny the obvious in front of him. It was easier to ignore the instinctual feeling that this magic was his, that there was something darker about it, darker than the magic of the barrier or Mal’s spells.
It was easier, because to accept it would be to face it. And to face it would mean he would have to use this magic, this magic that felt so instinctually wrong, yet so much his.
The magic felt evil, and even on this Isle of the forgotten, where evil was revealed in, evil was celebrated, he feared becoming evil himself. Because to him, there was very little true evil on the isle. The evil belonged to the adults, the ones banished for their actions. Jafar, Maleficent, the Evil Queen. His mother.
The other children may see themselves as cruel and evil, but he saw the truth. They were neutral, survivors in this abandoned wasteland. Born with evil inside them, and countering it with enough good to turn their black hearts gray. Protecting each other, caring for others, helping in the backhanded way you only understood if you grew up in a world where kindness brought pain.
And yet, despite the fact that any impartial party would tell you they were all the same, he saw himself as different from the rest. He could see the good they did, see them balance the scales to keep themselves from falling into evil. But no matter what he did, it never felt like enough. He felt as if he was teetering on the edge of a cliff, held up by nothing more than a fraying rope. And if he accepted this magic, it would slice straight through, sending him to his doom.
(He was too close to see the good he did. His mother’s screaming of how he was so horrid to her, how he brought her so much pain, how much she wished he was a good son confused him. He saw himself as bad, and saw that as an easy descent into evil, an easy descent into becoming those who had hurt him and those he loved.)
(He didn’t want to be evil, evil like Maleficent who would snap Mal’s bones with cold eyes. Evil like Jafar who’d beat Jay for bringing one to few things home. Evil like the Queen, who’d lie and scream and dim the brightness of Evie’s smile. Evil like his mother, who would hurt and hurt and hurt and never stop as long as it got her what she wanted, never feel remorse for the pain she brought.)
So he did with his magic what he did with his other problems, forget. Forcing them to the back of his mind, focusing on the immediate, focusing on surviving day to day. And you can’t blame him, not really. On the Isle every day is about making sure you live to your next, and that you can bring a handful of others with you.
And it may not have been his fault, but in doing so, in pushing aside the pain it brought and forcing himself to forget, he created more problems for himself. Because his magic would not go away, same with how pretending his mother didn’t exist didn’t simply make her disappear.
(One day, he will be forced to face this magic, to accept it as part of himself. It will bring him pain he doesn't deserve, but he will overcome it, four others by his side. He will realize that the evil he felt was nothing more than a reflection of his own fears, that he could never truly become evil. Because he didn’t want to be, won’t want to be, will never find joy in causing others pain. The things that will make him happy are bright days and small animals and unconventional dates and the laughter of children trying chocolate for the first time.
He will realize he could never be evil, never turn into those who hurt him. Never become his mother. And he will face his other problems, the ones so buried he hadn't thought of them in years, and he will overcome those too.)
-=+=-
im trash so i didn’t bother putting the italics in. it takes 20 minutes im sorry....
edit: i wnet back and added them uwu
jay’s getting his own fic which is basically one of these^^ but longer w/ fully written scenes lol. and uhhhh idr what i put in my a/n before but this is related to my other works/part of a series so please check out my ao3 ily https://archiveofourown.org/users/Blue_Pluto
edit: so i felt like i needed to give more info ig?? i gave carlos magic bc im using it as a metaphor in my d1/d2/d3 rewrites, which uhhh part of are posted but not really the magic parts yet.... trust me for rn lol,,,, ty for reading!!!
#descendants#my writing#evie descendants#mal descendants#carlos descendants#carlos de vil#mal daughter of maleficent#evie daughter of the evil queen
12 notes
·
View notes
Text
Poem 0121
A time I should not wanderIf I’m a saint or just a sinnerI am all that myself mattersLife would surely be better. I’m tired of being an optionCurse me with that opinionParanoia made me so erraticI lost all that magic. Freedom is free from harmLeaving chaos embracing charmI cannot extend an armI can’t wake from sodding alarm. Poured all my painAll out of the saneJoy is all that I aimSorrows…
View On WordPress
0 notes
Text
I 40 RANDAGI DI ROSPRUM e altre storie di Nani nel Ducato Parte 3 La nascita dei Randagi
Nani avventurieri cominciarono a diventare una cosa molto comune nelle terre del Ducato: attraversavano boschi, campagne e colline in lungo e largo per il Ducato, a volte fermandosi in qualche villaggio offrendo i propri servigi di esperti guerrieri o come conoscitori di pietre preziose. Altre volte rimanendo invece schivi e guardinghi, persi in una qualche misteriosa missione.
Per le genti del Ducato erano i Randagi. Un termine dispregiativo che però piacque a questi Nani errabondi ed erratici tanto da adottarlo come proprio.
Mithossia aveva anche lasciato delle Torri di Guardia a nord e sul confine occidetale, ai piedi delle Montagne Denti di Drago.
Si racconta che molti di questi Randagi venissero per servire come milizia nelle Torri, forse con l’intento di raccogliere informazioni sulle montagne, luogo delle perdute Rocche Leggendarie. Altre fonti sostengono che le Torri siano state costruite dai Nani stessi usando la loro conoscenza della pietra per erigere delle rocche robuste e indistruttibili.
I 40 Randagi di Rosprum
Morto l'ultima Duca senza eredi, Karadikos si attarda ad appuntare un nuovo Duca. Il castello di Mithossia rimane vacante e il controllo del Ducato passa alle Baronie di Confine (i sette stati cuscinetto che Mithossia creò come confine artificiale tra il Regno di Karadikos ed il Ducato a ulteriore protezione del Castello di Mithossia).
Passati gli anni la situazione non sembra migliorare e le aree settentrionali del Ducato rimangono di fatto abbandonate a se stesse.
Così accadde che sei anni fa, 40 nani entrano a Rosprum chiedendo di essere ascoltati dal Priore del Tempio di Veliandir, il Priore Kerren. Con grandissima gioia di Ostric, oste della Locada del Goblin Impennato, i Nani si fermano per 3 settimane prima di ripartire dividendosi in piccoli gruppi e prendendo direzioni differenti.
Il priore non fece mai parola con nessuno dell'accaduto e i pettegolezzi nel villaggio si sprecarono. Nessuno seppe mai cosa stessero cercando i 40 Randagi o perché fossero passati di lì. L’evento rimase famoso come i 40 Randagi di Rosprum.
0 notes
Text
Custodi di arte e fede: La Madonna Nera
Le rappresentazioni mariane dall’incarnato scuro sono parte della storia del cristianesimo ed ancora oggi si dedica alla Madonna Nera una forte devozione in tutto il mondo. Solitamente una Madonna Nera è una rappresentazione della Vergine accompagnata dal Bambin Gesù i cui volti e le mani hanno un colorito scuro e ci sono 745 rappresentazioni mariane dall’incarnato scuro in Europa. Una delle più note è la Madonna di Loreto, o Vergine Lauretana, che era una statua del secolo XVI, con il volto annerito dal fumo delle lampade a olio, oltre che dall’alterazione dei pigmenti originari. Quando nel 1921 un incendio ridusse in cenere la statua originale si decise di farne un’altra mantenendone il colore, e per questo fu scolpita nel legno di un cedro del Libano preso dai Giardini Vaticani. Nel Santuario di Oropa, presso Biella, dalla prima metà del Trecento c’è la statua gotica della Madonna nera, le cui origini si perdono nei culti precristiani dei celti. Infatti l’intero santuario sorge presso dei massi erratici, che erano luoghi di culto pagani legati alla fecondità e la statua della Madonna Nera non mostra tracce di tarlatura e di logoramento, inoltre la polvere non si posa mai sul suo volto. Il Santuario della Madonna Nera di Tindari ospita una statua bizantina della Madonna giunta dal mare per sfuggire alla persecuzione iconoclasta in Oriente che, realizzata in cedro del Libano, raffigura la Madonna come Basilissa, cioè Regina seduta in trono, su uno scranno che riporta incisa la citazione dal Cantico dei Cantici che è Nigra Sum Sed Formosa, cioè Sono nera ma bella. Invece la Madonna Nera di Czestochowa, o Vergine Nera è un’icona medioevale bizantina che rappresenta la Madonna col Bambino e, come altre immagini, è stata attribuita a San Luca Evangelista. Profanata a colpi d’ascia nel XV secolo, questa statua è diventata un simbolo della resistenza dei polacchi alle invasioni. La Vergine della Candelaria è patrona delle Isole Canarie, dove fu ritrovata in riva al mare nel 1392 da due pescatori autoctoni, che inizialmente pensarono rappresentasse uno spirito per il colore nero del volto, e poi iniziarono a venerarla. A Saintes-Maries-De-La-Mer, in Francia, ci sono tre Marie giunte dal mare dalla Palestina, in fuga dalle persecuzioni dopo la crocifissione di Gesù. Una di loro era Maria Maddalena, o Maria di Betania, sorella di Marta e di Lazzaro, amici di Gesù, le altre Santa Maria di Cleofa e Maria Salomé, due delle pie donne testimoni della morte di Cristo. La venerazione per queste donne si mescolò con il folklore gitano, legando a questa la figura di Sara, la Kali, la nera, una regina rom che comandava le tribù del delta del Rodano, che predisse l’arrivo delle Pie donne. Anche Sara ha il volto nero e nei secoli prese il posto di Maria Maddalena nell’immaginario e nella devozione popolare. Read the full article
1 note
·
View note
Photo
Sentieri, laghetti alpini, boschi: un ambiente ancora molto selvaggio è quello in cui si immerge chi, appassionato di escursionismo, visita la zona dei Laghi del Parco del Mont Avic e Gran Lago in Val d’Aosta. All’interno di questo parco dal grande fascino si possono percorrere diversi itinerari, più o meno brevi e uno più suggestivo dell’altro, tra laghi alpini e rifugi di montagna. Il percorso più breve è quello che parte da Champorcher, mentre quello più lungo da Champdepraz. Proprio partendo da quest’ultimo si incontra un bellissimo specchio d’acqua: è il Lago della Serva, a 1.801 metri di altitudine, circondato dal bosco di pini uncinati più esteso e affascinante di tutta la Regione. Nella conca in cui giace il lago sono presenti dei grossi massi sparsi: questi sono dei massi glaciali erratici trasportati dalle masse glaciali nel corso dei secoli e deposti nella posizione attuale al ritiro dei ghiacci. Dalla frazione di Chateau, nei pressi di Champorcher, invece, l’itinerario segue la strada per Dondena superando il villaggio del Grand Mont Blanc. Quando la strada diventa sterrata, si imbocca a piedi l’itinerario n. 10 che immette all’interno del parco del Mont Avic. Inizialmente si sale sul ripido sentiero che, tenendosi lungo il torrente, conduce per bei pascoli fino all’Alpe Grand Cort a 1.944 metri, quindi al lago e all’alpeggio di Muffé a poco più di duemila metri e infine al Col del Lago Bianco, a 2.300 metri, dal quale ci si affaccia sul Vallone di Champdepraz. Da qui si scende sul sentiero n. 5, passando vicino a due piccoli laghi e ci si abbassa, in direzione del Lago Vallette, fino al rifugio Barbustel. Imboccando l’itinerario n. 5C, dopo aver attraversato un ponte il collegamento tra il Lago Bianco e il b, il sentiero continua in diagonale sul Lago Cornuto a 2.172 metri per raggiungere, con un ultimo tratto ripido, il Gran Lago fino ai 2.492 metri. I laghi che si incontrano lungo l’itinerario rappresentano il cuore del Parco regionale del Mont Avic. La bellissima gita si svolge in ambienti ancora selvaggi e di grande fascino nonostante d’estate siano tra i più frequentati della Valle di Champorcher e di Champdepraz. Il Parco del Mont Avic fu istituito nel 1989 ed è il primo parco regionale valdostano, nato con lo scopo di tutelare la parte alta del vallone di Chalamy. Nel 2003 è stato ampliato fino a comprendere anche parte del vallone di Dondena e il Lago Miserin. Si è così creata un’unica area di protezione che confina direttamente con il Parco Nazionale del Gran Paradiso, il più antico parco nazionale in Italia. Il Lago della Serva @Ufficio stampa https://ift.tt/3czdiND Laghi, sentieri e radure: il paradiso italiano dell’escursionismo Sentieri, laghetti alpini, boschi: un ambiente ancora molto selvaggio è quello in cui si immerge chi, appassionato di escursionismo, visita la zona dei Laghi del Parco del Mont Avic e Gran Lago in Val d’Aosta. All’interno di questo parco dal grande fascino si possono percorrere diversi itinerari, più o meno brevi e uno più suggestivo dell’altro, tra laghi alpini e rifugi di montagna. Il percorso più breve è quello che parte da Champorcher, mentre quello più lungo da Champdepraz. Proprio partendo da quest’ultimo si incontra un bellissimo specchio d’acqua: è il Lago della Serva, a 1.801 metri di altitudine, circondato dal bosco di pini uncinati più esteso e affascinante di tutta la Regione. Nella conca in cui giace il lago sono presenti dei grossi massi sparsi: questi sono dei massi glaciali erratici trasportati dalle masse glaciali nel corso dei secoli e deposti nella posizione attuale al ritiro dei ghiacci. Dalla frazione di Chateau, nei pressi di Champorcher, invece, l’itinerario segue la strada per Dondena superando il villaggio del Grand Mont Blanc. Quando la strada diventa sterrata, si imbocca a piedi l’itinerario n. 10 che immette all’interno del parco del Mont Avic. Inizialmente si sale sul ripido sentiero che, tenendosi lungo il torrente, conduce per bei pascoli fino all’Alpe Grand Cort a 1.944 metri, quindi al lago e all’alpeggio di Muffé a poco più di duemila metri e infine al Col del Lago Bianco, a 2.300 metri, dal quale ci si affaccia sul Vallone di Champdepraz. Da qui si scende sul sentiero n. 5, passando vicino a due piccoli laghi e ci si abbassa, in direzione del Lago Vallette, fino al rifugio Barbustel. Imboccando l’itinerario n. 5C, dopo aver attraversato un ponte il collegamento tra il Lago Bianco e il b, il sentiero continua in diagonale sul Lago Cornuto a 2.172 metri per raggiungere, con un ultimo tratto ripido, il Gran Lago fino ai 2.492 metri. I laghi che si incontrano lungo l’itinerario rappresentano il cuore del Parco regionale del Mont Avic. La bellissima gita si svolge in ambienti ancora selvaggi e di grande fascino nonostante d’estate siano tra i più frequentati della Valle di Champorcher e di Champdepraz. Il Parco del Mont Avic fu istituito nel 1989 ed è il primo parco regionale valdostano, nato con lo scopo di tutelare la parte alta del vallone di Chalamy. Nel 2003 è stato ampliato fino a comprendere anche parte del vallone di Dondena e il Lago Miserin. Si è così creata un’unica area di protezione che confina direttamente con il Parco Nazionale del Gran Paradiso, il più antico parco nazionale in Italia. Il Lago della Serva @Ufficio stampa Sentieri, laghetti alpini, boschi: le più belle escursioni nel Parco del Mont Avic e Gran Lago in Valle d’Aosta.
0 notes
Photo
Tra i cercatori d'Oro @white.rabbit.event in preparazione del Tour alla Riserva Naturale della Bessa (Bi) previsto per il 10 Novembre 2019, Un luogo misterioso tra antichi altari, massi erratici, natura incontaminata e le famose rocce con le coppelle... https://www.instagram.com/p/B4KQIwmoOHg/?igshid=1gnmucqe4euwz
0 notes
Text
Una semplice rotonda, come tante altre costruite negli ultimi anni sulla strada provinciale, che da Belluno conduce a Feltre, nasconde un tesoro nascosto, un luogo dove cultura e natura, antico e moderno si incontrano, armonizzandosi in un paesaggio suggestivo da lasciare senza fiato il visitatore. Lasciato alle spalle il centro di Limana e diretti in Valpiana, ci si immerge nella magia dei “Miracoli di Val Morel”, ed è facile lasciarsi ammaliare dall’atmosfera, creata dalla penna di Dino Buzzati. Il grande scrittore e poeta lasciò detto che “il paese di Valmorel esisteva ancora, tale e quale. Esistevano i colli, le ripe scoscese, le vecchie casere, le modeste rupi affioranti, il Col Visentin, esisteva ancora intatto l’incanto del tempo dei tempi”; intuendo qualcosa che solo le moderne indagine storico archeologiche hanno cominciato a far emergere. La fascia collinare della Valpiana ha conosciuto una lunga frequentazione umana, che affonda le sue radici nelle popolazioni dell’Età del Ferro provenienti dalla pianura, per culminare nei Cavalieri dell’Ordine Teutonico di San Pietro in Tuba.
Tra le testimonianze lasciate dall’uomo vi è quella, che, i cartelli dell’itinerario turistico de “I Miracoli di Val Morel”, ricordano come il “Villaggio fortificato della Madonna di Parè”, situato nella frazione di Giaon, lungo la strada verso la Valpiana. Verso la fine degli anni ’70, a pochissima distanza della chiesetta dedicata alla Madonna di Parè, un piccolo edificio dall’incerta datazione originaria, degli appassionati dell’Associazione “Amici del Museo” di Belluno, i quali si trovarono a perlustrare un’altura, le cui caratteristiche e, soprattutto, i racconti dei locali facevano ben sperare di trovare qualcosa di interessante.
Dopo una semplice ricerca di superficie furono individuate delle murette, che legavano i massi erratici presenti, creando una sorta di cinta fortificata ovale di circa duecento metri con un’area circoscritta di circa 2400 metri quadri. L’accesso al villaggio era posto a meridione e si costituiva di una rampa ricavata da una sovrapposizione di pietre disomogenee a secco. Difeso dalla scarpata a nord ovest, i lati sud-est, più vulnerabili, il sistema difensivo era costituito da mura in laterizio ancorato da malta; ed era anticipato da una trincea. All’interno si poterono osservare delle murature basamentali, che furono indentificate come fondazioni di abitazioni e di un ambiente di notevoli dimensioni privo di pavimentazione (7 X 15 m.), interpretato come un ricovero per animali o come un edificio di culto. Agli inizi del 1994 venne compiuta una nuova ricognizione, che, in linea di massima, confermò quanto evidenziato nella precedente, compreso la datazione attribuita all’alto medioevo.
Il sito appare provvisto di un sistema fortificatorio – la cui realizzazione risulta piuttosto disomogenea e la stessa esecuzione figura qualitativamente scarsa – che rileva da parte della popolazione circostante l’urgenza di erigerlo in presenza di una minaccia incombente. Inoltre, la planimetria delle murature rilevate non sembra delineare un abitato rurale arroccato, all’interno del quale di norma le dimore e i stallaggi trovavano disposizione sull’intera superficie senza alcun schema preordinato e senza un’ottica di lungo termine. L’insediamento, invece, sembra ricalcare il genere dei “refugia” in altura tardo antichi, che si caratterizzano per la presenza di recinti, coperti o meno, per gli armenti e la quasi assenza di edifici abitativi, dal momento che erano riservati ad alloggiare per un tempo limitato le persone e gli animali, in vista di un pericolo. Le strutture identificate potrebbero delineare dei vani seminterrati, nei quali venivano conservate le granaglie e gli utensili, sopra dei quali vi erano delle capanne di legno. Una struttura del genere presuppone un latente stato d’incertezza vissuto da questa popolazione, il che offrirebbe qualche indizio sulla sua stessa datazione, rimandando al V secolo, al collasso del sistema difensivo imperiale, allorché per la difesa si fece ricorso a soluzioni locali.
Curiosa a questo proposito la tradizione, non supportata da alcuna evidenza archeologica, sulla fondazione della vicina chiesa della Madonna del Parè, che la farebbe risalire al V secolo. Comunque sia, ogni proposta interpretativa potrà essere avanzata solo alla luce di un ampliamento delle indagini. Tutto dovrà attendere il vaglio di approfondite campagne di ricerca, ma, data la consonanza cronologica e culturale con altre esperienze similari vicine, non sorprenderebbe molto se il piccolo colle, all’apparenza privo di un significato particolare e lasciato alla vegetazione, rivelerà una storia lunga di secoli, per lo più sconosciuta.
IL RECINTO FORTIFICATO DI GIAON DI LIMANA Una semplice rotonda, come tante altre costruite negli ultimi anni sulla strada provinciale, che da Belluno conduce a Feltre, nasconde un tesoro nascosto, un luogo dove cultura e natura, antico e moderno si incontrano, armonizzandosi in un paesaggio suggestivo da lasciare senza fiato il visitatore.
0 notes
Quote
M5S è pura quantità. Quando dicono Uno vale Uno è vero. Per loro le persone, inclusi gli aderenti e gli stessi dirigenti, sono numeri. Uno vale l’altro. I grillini sono monadi intercambiabili. Non ce n’è uno più bravo e uno meno. Chi sgarra viene fatto fuori e basta. Il mondo dei grillini è il futuro orwelliano delle cellule di Matrix. La loro classe dirigente è mediocre perché non è selezionata sulla base del merito, ma a caso. I loro contenuti e le loro politiche sono erratici perché non sono il frutto di un ragionamento, ma di un algoritmo. I loro principi sono vuoti – e le relazioni umane che intrattengono tra loro, come si è visto nel caso di Roma, feroci – perché non sono basati su affinità e su valori, ma su dati (per quanto big…).
G da Empoli via https://voltaitalia.org/it/2017/02/13/la-rabbia-e-lalgoritmo/
come sempre i piddini fan belle analisi molto centrate. Peccato che fingano di non capire che questi qui sono i figli diretti non tanto dei loro fallimenti come adesso ammettono, ma si tratta esattamente della materializzazione dei loro sogni egalitari. Come diceva Marx, lo Stato è lo strumento per mezzo del quale la “classe egemone” (a) sottrae il capitale alla borghesia e (b) esercita il suo potere totalitario. E chi più “classe egemone” dei “cittadini” tutti? E chi più egalitario di chi propugna il decrescismo e la redistribuzione spinta, in modo che uno sia uguale a uno, cioè fame per tutti tranne chi comanda? E chi più statalista pro-manopubblica si questi maduro de’noantri?
Ergo, contrariamente a quanto sostiene costui, combattere m5s significa combattere la sinistra. L’uno è la mutazione dell’altra.
14 notes
·
View notes
Text
Gli strani capricci del campo magnetico terrestre
Gli strani capricci del campo magnetico terrestre
I movimenti erratici del polo Nord magnetico, che si è allontanato dal Canada e sta puntando verso la Siberia, hanno costretto gli esperti a modificare il modello usato per gestire tutti i sistemi di navigazione a livello globale.
La migrazione del polo Nord magnetico.
Qualcosa di strano sta succedendo in cima al mondo. Il polo magnetico Nord della Terra si è allontanato dal Canada e si è…
View On WordPress
0 notes