#Dialoghi della sedia
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marcogiovenale · 5 months ago
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oggi, 6 giugno, a livorno: chiara serani e giacomo cerrai presentano "dialoghi della sedia"
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DOGMAN
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:: Trama Dogman :: Cresciuto nel New Jersey tra le violente angherie del padre e del fratello, che lo tengono prigioniero nella gabbia dei cani da combattimento, il giovane Douglas arriva all'età adulta con enormi ferite psicologiche e fisiche, essendo confinato alla sedia a rotelle con il precario uso delle gambe. Solo i suoi adorati cani gli danno sollievo: sono addestrati a rispondere a ogni suo comando, e per conto del loro padrone aiutano i bisognosi e rubano nelle case dei ricchi.
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure può essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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Dogman 2023
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:: Trama Dogman :: Cresciuto nel New Jersey tra le violente angherie del padre e del fratello, che lo tengono prigioniero nella gabbia dei cani da combattimento, il giovane Douglas arriva all'età adulta con enormi ferite psicologiche e fisiche, essendo confinato alla sedia a rotelle con il precario uso delle gambe. Solo i suoi adorati cani gli danno sollievo: sono addestrati a rispondere a ogni suo comando, e per conto del loro padrone aiutano i bisognosi e rubano nelle case dei ricchi.
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure può essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
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dogman-regiadilucbesson · 1 year ago
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Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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Dogman ((2023))
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Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
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gammm-org · 1 year ago
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frammento da "dialoghi della sedia" / chiara serani. 2023
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marcogiovenale · 5 months ago
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livorno, 6 giugno: chiara serani e giacomo cerrai presentano "dialoghi della sedia"
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everybodywantsloveorread · 5 years ago
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"Abbiamo sempre vissuto nel castello" di Shirley Jackson
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“Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott’anni e abito con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, perché ho il medio e l’anulare della stessa lunghezza, ma mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore. Le mie passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l’Amanita Phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti.”
Questo è l’incipit di Abbiamo sempre vissuto nel castello di Shirley Jackson, romanzo che ho desiderato avere non appena ho finito di leggere L’incubo di Hill House. Premetto che della Jackson leggerei di tutto, compresa la lista della spesa, e quindi mi sono subito fatta conquistare dalla trama così accattivante e anormale del romanzo. Ma non penso di aver mai letto qualcosa di normale nato dalla sua penna.
Il romanzo si legge in poco tempo, nel giro di due serate l’ho letteralmente divorato, e si fa subito amare: è dolce, pieno di amore, leggero, semplice e allo stesso tempo cattivo e angosciante.
Il romanzo viene raccontato, come si evince dall’incipit, dalla giovane Mary Katherine Blackwood, discendente di una delle famiglie più influenti del piccolo paese in cui vivono. Ogni venerdì Merricat va a fare la spesa, prende in prestito dei libri nella biblioteca e si gode il caffè da Stella. La vita della famiglia Blackwood è scandita, quindi, da una routine che hanno costruito, con non poca fatica e che preservano gelosamente, dopo il tragico evento che si è abbattuto sulla loro casa: la morte per avvelenamento di quasi tutti i membri della famiglia e che ha lasciato lo zio Julian invalido sulla sedia a rotelle.
È grazie al personaggio dello zio Julian e al romanzo che sta scrivendo che il lettore viene a conoscenza di quanto accaduto alla famiglia e alle accuse rivolte a Constance. Mentre lo zio scrive, Connie e Merricat si prendono cura della casa, cucinano e curano l’orto.
La caduta del libriccino che Merricat aveva appeso al tronco di un albero (un vero e proprio rito magico nella mente della giovane che avrebbe dovuto proteggere la sua famiglia e la sua casa) segna l’inizio delle sciagure e la rottura dell’idillio e della routine per la famiglia: arriva l’Estraneo, il cugino Charles pieno di brio, di arroganza e avaro.
Ad essere sincera ho avuto difficoltà ad inquadrare il romanzo all’interno di un ben determinato genere letterario: il tratto horror può essere legato al motivo della morte dei membri della famiglia Blackwood ma il tutto viene raccontato come fosse una commedia e con uno stile gotico e allo stesso tempo spensierato che non permette di chiudere il libro e posarlo perché il lettore vuole sapere cosa è veramente successo in quella casa la fatidica sera di sei anni prima nonostante la scrittrice tenti in tutti i modi di disorientarlo con dialoghi che rasentano la follia ed il paradossale.
“Merricat, disse Constance, tè e biscotti, presto vieni.
Fossi matta, sorellina, se ci vengo m’avveleni.
Merricat, disse Connie, non è ora di dormire? In eterno, al cimitero, sottoterra giù a marcire”.
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lasola · 4 years ago
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[2 di 3] La Storia di Rudi
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Aveva sedici anni e aveva già un passato di cui doveva liberarsi. Era seduto su di una sedia e non solo era il meno sorridente, sembrava anche il più incazzato. Scrutava. Non si fidava. Si guardava in giro e chiedeva “e mò questo chi cazzo è?”. Da quelle parti, il colore bianco del viso e del corpo è associato al veleno dei serpenti. Vilma mi raccontava che la nonna le diceva sempre di guardarsi dai bianchi che portavano solo distruzione e problemi. Gli anni in cui i loro antenati erano stati trasportati in grosse imbarcazioni transoceaniche e poi venduti in lotti per lavorare nelle miniere e nelle piantagioni di canna da zucchero o di tabacco erano ormai lontani, ma in quelle loro terre li facevano ancora sentire in prestito. Nel Barrio il bianco aveva diverse tonalità. Non era netto come quello della nonna di Vilma. Era associato alla parola “paisa”, che significava sí “bianco”, ma delle zone di Medellin o di quella caffetera, oppure della Polizia. C’erano delle sfumature. Non tutto il bianco era dello stesso bianco. Rudi tutto questo lo sapeva bene e voleva chiarire subito le appartenenze, senza troppi giri di parole e giochetti strani. Non era interessato ai colori o alla geografia. Calcolava utilità e possibili vantaggi o pericoli.
Lo aveva imparato dal padre che di mestiere aveva sempre fatto il barcaiolo fino a quando si trovò a vivere lontano dal mare, senza barca e senza lavoro. Lo chiamavano Panamá, perché una volta era arrivato da solo con un’imbarcazione nel Darièn in mezzo a una tempesta che quando lo videro arrivare credettero che lui non fosse Panamá ma un'incarnazione di Changó, divinità guerriera Yoruba, la cui forza e il cui coraggio erano essenziali per la liberazione da ogni schiavitù. La sua fu l’unica barca che arrivò a destinazione per molti giorni, così la sua fama iniziò a circolare nel Puerto. Raccontano che a Panamá non importava cosa ci fosse sulla sua barca. Quando lo mettevano a bordo, diventava un computer perfettamente sincronizzato con l’oceano. Anzi, c’erano momenti in cui Panamá era l’oceano.
Conobbe la moglie, Mati, proprio dopo uno dei suoi viaggi verso l’ignoto. Un amico gliela presentò una sera in un bar del molo turistico: una bellissima donna, di dieci anni più giovane che per qualche combinazione famigliare era legata ai Niches, i barcaioli dei Rodriguez-Orejuela e poi degli Scissionisti del Norte del Valle. Se ne innamorò subito, tanto che ne fece la sua unica ragione di vita. Per qualche anno furono felici, ma dopo la nascita di Rudi, le cose iniziarono a complicarsi. Il Puerto si era trasformato in un campo privilegiato delle guerre tra clan. Per muoversi in mare bisognava essere sempre più armati, così Panamá smise di lavorare in barca e cercò lavoro dal cugino di Mati, Ronny, che in quel momento, con i suoi, sembrava stesse vincendo la guerra.
Ronny era stato affiliato tramite una gang di Cali al Bloque Calima di cui racconterò meglio. Aveva scontato qualche anno in carcere come parte degli accordi per lasciare le armi. Era uscito prima di altri ed aveva ricominciato a dedicarsi al narcotraffico da Buenaventura. Panamá allestiva le case di alcuni dei suoi clienti. Intagliava ed intrecciava il bambù. Costruiva pianali per cucine, panchine, sedie e quando non riusciva a stare fuori dai guai perché aveva bisogno di qualche soldo in più, si trasformava nel Changó del Grande Oceano e pilotava ancora barche verso l’ignoto. Solo che non era più come prima.
Tra un espediente e l’altro, Rudi aveva trovato un po' di serenità nella casa di José, che lo aveva ospitato in quello strano Barrio ai confini con la Selva dove tutto sembrava lontano e pareva che ci si potesse riposare e pensare ad altro. Forse nel suo sguardo, in quella calda giornata di ottobre, c’era tutto questo. O forse non gliene fregava niente di vedermi. In ogni caso la sua domanda “e mò questo chi cazzo è?” catturò da subito i miei favori. Mi era piaciuto fin dall'inizio. Non temeva le verità della sua terra.
Passammo quella serata a bere Viche (acquavite estratto dalla canna da zucchero) nella cantina di Maria, salsa in sotto fondo, balli e risate miste alle stesse ondate improvvise di disperazione e malinconia di sempre, quelle che arrivano quando l’alcol fa saltare fuori storie di cui si parla solo in certi momenti, con gli amici di una vita. Rudi parlò dei tempi in cui aveva lavorato con il cugino della madre a Cali, di come aveva visto cose indicibili e di come voleva con tutta la sua forza trovare una via di fuga. Finii a trascorrere molto tempo assieme a lui. I nostri incontri si perdevano dentro dialoghi improbabili animati dalla marijuana e dai suoi racconti sul mondo che viveva. Lunghe ore passavano mentre inscenava scontri a fuoco tra bande rivali o descriveva le donne mozzafiato che un giorno avrebbe voluto possedere. Giorni interi scorrevano tra racconti improvvisati, lavori nella “Riserva” e nell'attesa di qualcosa che non arrivava mai.
Quando non era con me o alle prese con la “Riserva”, insieme agli altri ragazzi se la passava nell'esquina (angolo) della strada che collegava il Barrio alla via principale, l'Avenida Bolivar, che spaccava Buenaventura da est a ovest in due parti quasi simmetriche, il lato Nord e il lato Sud. Pareva che fossero tutti iscritti ad una qualche immaginaria lista di collocamento di un Capo che, prima o poi, sarebbe apparso per una commissione o per un lavoretto di qualche giorno. Il tempo passava raccattando spiccioli alla buona: a volte proponendo servigi alle vecchie del Barrio o avventurandosi in perquisizioni improvvisate di passanti o di giovani malcapitati, altre volte semplicemente chiedendo “una cosa di soldi” (dame algo pues) a qualcuno. I pochi quattrini messi in saccoccia venivano prontamente spesi per acquistare un grammo o due di marijuana che serviva per mantenere vive le conversazioni ed alto il morale. Improvvisavano ritmi rap e danze per catturare l'attenzione delle giovani che sondavano ammiccanti l'ambiente della esquina e lasciavano immaginare giochi amorosi da consumarsi nella “Riserva”.
L'adrenalina era vissuta a distanza, attraverso i racconti di gente come l’Altro Josè, che nella sua vita aveva attraversato tutto lo spettro belligerante di Buenaventura ed era sopravvissuto. Si era fatto le ossa insieme agli amici di una vita rubando cibo dai camion che rifocillavano i ristoranti “Michelin” del Puerto. Aveva poi avuto l’idea di “mettere ordine” in città prima opponendosi e poi tassando il passaggio di mercanzia di contrabbando dalle acque del suo Barrio che era lo stesso di Panamà. Per questo pare lo avessero fatto capitano Guerrigliero e che Panamà fosse uno dei suoi e, come lui, quando la guerra si intensificò anche l’Altro Josè finì nelle mani dei clan. Nei tempi in cui lo conobbi era uno dei junky del quartiere, sempre senza soldi ma pieno di racconti. Era soprattutto lui che parlava di quello che accadeva in città, delle faide, dei trasporti andati male, delle rese di conti. Proprio per via della sua storia personale, un pò tutti lo ascoltavano. Spesso era difficile credergli ma le sue parole costruivano, comunque, immagini di un mondo in guerra che stava là fuori eppure per niente lontano. Alimentava così un senso di protezione che il Barrio invece offriva.
– Qui nessuno ci tocca. Quelli di fuori hanno paura di mettersi con noi. Lo sanno benissimo che se vengono da queste parti noi siamo in tanti e facciamo suonare i ferri.
Frasi così, in una lingua imparata sulla calle, sancivano in maniera chiara un senso di dentro-fuori su cui si articolavano le giornate. Rimanere nella esquina era un modo per affacciarsi alla città e insieme definire un confine tra tutti i mondi di Buenaventura. Costruiva un senso precario di ''noi'' che poteva durare un giorno o il tempo di rimanere nella esquina fino a quando qualche evento della città non costringeva vecchi amici a farsi nemici e a scegliere nuove alleanze e altre esquinas. Per il resto, era baldoria continua.
Poi accadde che una notte Rudi tentò di ammazzare Panamá. Fu più o meno un anno dopo il nostro primo incontro. Panamá e Mati da un pò di tempo non riuscivano più a passare insieme una normale nottata alcolica senza arrivare alle mani e a pianti strazianti. Panamá non aveva lavoro in quel periodo e Mati si era fatta assumere come donna delle pulizie nella casa di un riccone della città. In poco tempo iniziarono a circolare voci sui suoi tradimenti che non tardarono ad arrivare alle orecchie di Panamá. Da sobrio le credeva e la appoggiava anche perchè era lei che portava i soldi a casa. Da ubriaco invece qualcosa cambiava e iniziavano i diverbi e poi la violenza. L’altro José aveva addirittura sviluppato teorie Zen su come insegnare a Rudi ad affrontare la situazione evitando di diventare un assasino. Un pomeriggio, dopo l'ultima grande tragedia familiare, più o meno gli disse queste parole:
– Rudi, se tuo padre picchia tua madre, tu allora devi aiutarlo a picchiarla. In questo modo tu sei sicuro che tuo padre non la ammazzerà e forse c'è anche qualche possibilità che Panamá si risvegli. Comunque, se non si risveglia, tu la mattina dopo prendi tua madre e la porti in un posto sicuro. La vai a nascondere. Ti porti tua sorella e ve ne andate da qui. Poi torni da tuo padre e gli dici semplicemente che non lo rispetti più perché ti ha insegnato a picchiare tua madre.
Ci lasciava sempre basiti, l’altro José, quando tirava fuori queste perle di etica dell'altro mondo. Bisognava essere di ferro per seguire i suoi consigli, aver superato i normali limiti del cinismo da Barrio per sfondare da dentro la consapevolezza di essere immischiati in una sorta di lento e inesorabile nichilismo quotidiano. E la lunga storia dell’altro José forse un giorno qualcuno potrà raccontarla.
Per il momento, il tentato omicidio di Panamá rappresentò uno di quegli eventi che sancirono una sorta di prima e dopo nelle dinamiche del Barrio. All'improvviso, si misero in moto tutte le reti di significazione e tutti gli apparati narrativi disponibili iniziarono a produrre rumore su di una scampata tragedia familiare che aveva acceso in ognuno degli abitanti una sorta di necessità di riflessione. Rudi aveva svelato un qualche segreto nascosto condiviso però da molti. Panamá e Mati non erano due persone qualsiasi, erano a tutti gli effetti figli di Buenaventura, prodotti degli ultimi venti anni di guerre per il Puerto. Le loro discendenze non si radicavano in nessun mito fondativo della città, ma il loro legame che si spegneva giorno dopo giorno sotto i colpi di una quotidianità impietosa, sanciva una sorta di impossibilità di ricostruzione: lei figlia di Narcos, lui un ex guerrigliero. Panamá, il perdente della storia, Mati, vincitrice sfigurata e senza alcuna parte nella vittoria degli altri, e Rudi, il frutto dell'impossibilità di ogni tentata rivoluzione, producevano ogni giorno uno scontro senza soluzione.
Ci vollero quattro persone per fermarlo quella notte. Sembrava posseduto da uno spirito bestiale che gli aveva conferito una forza sovrannaturale, come se pulsioni castrate da secoli di catene fossero riemerse improvvise e volessero fuoriuscire tutte attraverso un unico e blasfemo gesto che avrebbe ristabilito l'ordine del cosmo. Rudi, con i suoi fantasmi, si trasformò in un Anti-Amleto che senza corona, né regno, formulò un verdetto definitivo. Forse in quegli occhi ormai ciechi, privi di ogni ripensamento e indecisione, si nascondeva la credenza che il sangue versato avrebbepotuto risolvere magicamente tutti i conti sospesi della città. Imbracciò allora il machete di suo padre, pronto, senza esitazioni, per sferrare il colpo mortale, ma quelli del combo intervennero e salvarono Panamá. La rabbia di Rudi fu fermata, però quel tentato parricidio produsse un disgusto profondo che materializzò la guerra al di là di ogni negazione o fuga. Rudi aveva mostrato senza schermi e illusioni un dramma esistenziale che toccava molti. Svelò con un semplice gesto la natura della guerra civile che si stava combattendo. Forse anche per questo atto di verità, la sua vita fu costretta verso nuovi cammini. Lui e la sua famiglia divennero ospiti sgraditi, sempre più emarginati. Dopo pochi mesi si rifugiarono altrove, nella zona di Bajamar, da dove dovettero scappare qualche anno prima e dove tre anni più tardi Rudi avrebbe trovato la morte. Già nel 2011 però i clan avevano iniziato ad osservarlo con un occhio di riguardo, probabilmente interessati alla sua rabbia, al suo passato e a quel tentato omicidio di un ex guerrigliero. Iniziarono un'altra volta brevi viaggi, piccole commissioni e i primi debiti da ripagare. Mi svegliava di soprassalto nella notte in preda al panico, bussando nervosamente alla porta metallica del vecchio magazzino in cui avevo messo un letto per dormire con la disperata richiesta di qualche soldo.
– Fumiamocene una. Ti devo raccontare questa storia. È pura follia là fuori. Qui sono tutti matti. Non si salva più niente. L'unica soluzione è comprarsi un bazuca e sterminare tutti.
Mi parlava dei grandi capi, di quelli che laggiù al Puerto gestivano affari multimilionari ma che volevano fregarlo per pochi dollari.
– Dammi dieci dollari, hermano, quando sarò diventato qualcuno ti restituisco tutto con gli interessi. Ti riempirò d'oro, hermano. Mi bastano dieci dollari per pagare quello stronzo. Sennò ha minacciato di violentare mia sorella. Capisci? Mia sorella ha 13 anni.
Di riprendere a dormire non se ne parlava. Si rullava uno spinello e si iniziavano grandi discorsi su Buenaventura, sul Puerto, sui Capi che come fantasmi onniscienti gestivano tutto, controllavano tutto e organizzavano le vite di quelli come Rudi che poco alla volta, un giorno, forse avrebbero potuto mettere le mani anche loro su una piazza, raccogliere qualche soldo e sfamare le loro famiglie. E fu proprio in quelle notti trascorse a sedare la follia che saltò fuori il nome, il presunto Capo dei Capi.
– Non dire niente a nessuno che sennò ammazzano me e tutta la mia famiglia mentre tu ci guardi con un palo di bambù che ti cresce dentro il culo.
– Rudi, non mi interessa, non dirmi niente.
– Segnati questo nome: Willy. È di Willy che ti devo parlare.
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theboyle-blog1 · 4 years ago
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         ×× ─── ᴛʜᴇ ʙᴏʏʟᴇ      🏠🌳          oh, we’re building a home with the mud          and the stones & the branches we bind          #ᴛʜᴇᴏʀɪɢɪɴᴏғᴜs            sᴜᴍᴍᴀʀʏ 📖 × in questo estratto Cameron e Arlene si incontrano per la prima volta in Scozia a casa Boyle, una sontuosa tenuta nel cuore di Aberdeen. La giovane Donovan, dopo aver avuto la possibilità di fare l'Erasmus alla St. Andrews, viene affidata alle cure della famiglia che le offrono vitto e alloggio. × Cameron fa di tutto per irritare la docile Arlene, la quale ─ nonostante tutto ─ cerca di mantenere un profilo basso, conscia del fatto che sia una pellegrina di quella terra e che è suo compito cercare di rientrare nelle grazie dei Boyle il prima possibile.     ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  Le famose voci di corridoio hanno sempre ragione e mi riferisco al cinguettare della domestica. Era in ansia, doveva essere tutto perfetto e per il suo stato dobbiamo solo incolpare mia madre! Tu devi essere la figlia dei Donovan. Piacere, Cameron. Noto però che hai anche occupato il mio posto, quindi senza troppi giri di parole: sposta le tue cose.  ᴀʀʟᴇɴᴇ Oh ─ non avevo notato che i posti erano assegnati, c'è per caso scritto il tuo nome da qualche parte? Cameron, Cameron, Cameronnn ─ no ! Non c'è, mi spiace. Io sono tua ospite, ti hanno detto anche questo? Mamma e papà non ti hanno insegnato ad essere accogliente e accomodante con i viandanti di questa casa?  ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  Non c'è perché mia madre ha fatto sostituire il tavolo ma sono certo di aver inciso il mio nome con una penna. Momento di noia, sai com'è… Non farmi spazientire, Donovan. Non rivelarti per come ti hanno descritta. Non voglio una bacchettona in casa. ᴀʀʟᴇɴᴇ   Bacchettona ─ Sono giunta in Scozia da poche ore e già si parla così tanto di me? Devo avere qualche dote particolare allora, che fortuna! ( … ) Facciamo che tu ti siedi al tuo posto, mh? In cambio la smetti di torturarmi con questo vociare irritante. Andrò a studiare in giardino, finché il tempo lo permette.  ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  Va bene, vai pure in giardino, Bacchettona. Anzi, mi correggo: andiamo in giardino! Mia madre vuole che io ti stia dietro perché “Per l'amor del cielo, Cameron! Sii cortese, è appena arrivata e non conosce nessuno!”. La voce era abbastanza stridula? No? Dovrebbero stringermi le palle, in quel caso credo di poter raggiungere lo stesso tono acuto.  ᴀʀʟᴇɴᴇ   Ti stavi battendo con onore per quella sedia e adesso mi segui in giardino? ─ Confessalo, ti sei già affezionato a me, quella di tua madre è solo una scusa. In quanto alla voce, ne convengo ─ ammesso che ci sia qualcosa da stringere.  ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ   Peccato, avrei dovuto indossare il kilt per dimostrartelo in una manciata di secondi. Ora andiamo. Ci aspetta un lungo weekend ed io ti starò col fiato sul collo come vogliono i padroni di casa. O da weekend fuori con gli amici si trasforma in weekend chiuso in camera e non mi pare il caso. ᴀʀʟᴇɴᴇ   Quindi è vero, voi scozzesi sotto il kilt non portate i boxer? Sì, sto deliberatamente ignorando la tua provocazione, ma in compenso mi dispiace tu debba farmi da balia, dirò ai tuoi che non è necessario. In fondo, viste le voci che girano sul mio conto, presumo che siate stati informati sul mio animo da lupo solitario, no? Non apprezzo la prolungata compagnia e nello studio sono molto individualista.  ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ Non stai ignorando la mia provocazione, anzi ti stai informando a riguardo ma ti lascerò col dubbio! Magari la prossima volta controlli tu stessa con una scusa incontrastabile “è per la scienza”. Comunque lascia stare i miei genitori, saranno fuori casa tutto il tempo, ci penserà la domestica a fare loro un rapporto dettagliato poiché in questa casa anche i muri hanno occhi e orecchie!  ᴀʀʟᴇɴᴇ    Certo, se hai amici in kilt perché no? Quindi mi porterai con te questo weekend?  ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  Saranno con le loro ragazze, quindi risparmiati tante cose. Visto che ci sei tu ho accettato la proposta di andare con loro.  ᴀʀʟᴇɴᴇ     Quindi ricapitoliamo: quello è il tuo posto, ma mi segui ovunque come un cane da caccia perché i tuoi genitori ─ che però non ci sono per tutto il giorno ─ vogliono che tu lo faccia. In più, quando parli del mio esperimento per “ la scienza ” in realtà offri te stesso come cavia e pretendi anche che ti accompagni nelle uscite nei weekend con i tuoi amici fidanzati come se fossimo a nostra volta una coppia?  ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  Sei proprio una bacchettona. Una di quelle in prima fila che prende gli appunti senza staccare il capo dal foglio. La tua mano scorre e chi ti guarda si domanda: quanto impiegherà quella stessa mano per staccarsi dal polso e schiaffeggiarla con tutta la potenza che possiede?  ᴀʀʟᴇɴᴇ   Non so, mi illumini tu o vuoi provare?  ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  Ci stai o no, lupo solitario?  ᴀʀʟᴇɴᴇ     Ci sto. In fondo se provi ad infastidirmi più del solito, lo schiaffo può sempre diventare un pugno. Ho due fratelli più grandi, ho allenato il mio gancio destro negli anni.  ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ   Attenta a non romperti una mano. » ᴀʀʟᴇɴᴇ     Ti preoccupi per me? Che caro. Allora, cosa vuoi che indossi per l'incontro con i tuoi amici?  ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ   Devo farti anche da costumista? Vuoi fare bella figura con loro o con me? ᴀʀʟᴇɴᴇ     Voglio ambientarmi in Scozia, io qui sono una straniera. Provo a rendere indolore la mia permanenza in questa terra per i prossimi due anni, se tutto va bene.  ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  Dammi ascolto e ci riuscirai.  ᴀʀʟᴇɴᴇ    A patto che mi insegni il Gaelico. ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ   Mi sembra un giusto compromesso.  ᴀʀʟᴇɴᴇ      È un piacere fare affari con lei, signor Boyle.  ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  Ed ora ti faccio fare un giro, bacchettona.           ᴡᴀʀɴɪɴɢs. 🍵  ᴏɪ. ai puritani sconsigliamo di leggere questi estratti.   ɪɪ.  non vogliamo vedere la nostra storia scopiazzata.   ɪɪɪ. questi sono dialoghi estratti da role vere e proprie.   ɪᴠ. anche la grafica è una nostra creazione.
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aleannanxx · 5 years ago
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Piacere, Cameron. Noto però che hai anche occupato il mio posto, quindi senza troppi giri di parole: sposta le tue cose. »   ᴀʀʟᴇɴᴇ     : « Oh ─ non avevo notato che i posti erano assegnati, c'è per caso scritto il tuo nome da qualche parte? Cameron, Cameron, Cameronnn ─ no ! Non c'è, mi spiace. Io sono tua ospite, ti hanno detto anche questo? Mamma e papà non ti hanno insegnato ad essere accogliente e accomodante con i viandanti di questa casa? »   ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  : « Non c'è perché mia madre ha fatto sostituire il tavolo ma sono certo di aver inciso il mio nome con una penna. Momento di noia, sai com'è... Non farmi spazientire, Donovan. Non rivelarti per come ti hanno descritta. Non voglio una bacchettona in casa. »   ᴀʀʟᴇɴᴇ     : « Bacchettona ─ Sono giunta in Scozia da poche ore e già si parla così tanto di me? Devo avere qualche dote particolare allora, che fortuna! ( ... ) Facciamo che tu ti siedi al tuo posto, mh? In cambio la smetti di torturarmi con questo vociare irritante. Andrò a studiare in giardino, finché il tempo lo permette. »   ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  : « Va bene, vai pure in giardino, Bacchettona. Anzi, mi correggo: andiamo in giardino! Mia madre vuole che io ti stia dietro perché "Per l'amor del cielo, Cameron! Sii cortese, è appena arrivata e non conosce nessuno!". La voce era abbastanza stridula? No? Dovrebbero stringermi le palle, in quel caso credo di poter raggiungere lo stesso tono acuto. »   ᴀʀʟᴇɴᴇ     : « Ti stavi battendo con onore per quella sedia e adesso mi segui in giardino? ─ Confessalo, ti sei già affezionato a me, quella di tua madre è solo una scusa. In quanto alla voce, ne convengo ─ ammesso che ci sia qualcosa da stringere. »   ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  : « Peccato, avrei dovuto indossare il kilt per dimostrartelo in una manciata di secondi. Ora andiamo. Ci aspetta un lungo weekend ed io ti starò col fiato sul collo come vogliono i padroni di casa. O da weekend fuori con gli amici si trasforma in weekend chiuso in camera e non mi pare il caso »   ᴀʀʟᴇɴᴇ     : « Quindi è vero, voi scozzesi sotto il kilt non portate i boxer? Sì, sto deliberatamente ignorando la tua provocazione, ma in compenso mi dispiace tu debba farmi da balia, dirò ai tuoi che non è necessario. In fondo, viste le voci che girano sul mio conto, presumo che siate stati informati sul mio animo da lupo solitario, no? Non apprezzo la prolungata compagnia e nello studio sono molto individualista. »   ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  : « Non stai ignorando la mia provocazione, anzi ti stai informando a riguardo ma ti lascerò col dubbio! Magari la prossima volta controlli tu stessa con una scusa incontrastabile "è per la scienza". Comunque lascia stare i miei genitori, saranno fuori casa tutto il tempo, ci penserà la domestica a fare loro un rapporto dettagliato poiché in questa casa anche i muri hanno occhi e orecchie! »   ᴀʀʟᴇɴᴇ     : « Certo, se hai amici in kilt perché no?          Quindi mi porterai con te questo weekend? »   ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  : « Saranno con le loro ragazze, quindi risparmiati tante cose. Visto che ci sei tu ho accettato la proposta di andare con loro. »   ᴀʀʟᴇɴᴇ     : « Quindi ricapitoliamo: quello è il tuo posto, ma mi segui ovunque come un cane da caccia perché i tuoi genitori ─ che però non ci sono per tutto il giorno ─ vogliono che tu lo faccia. In più, quando parli del mio esperimento per " la scienza " in realtà offri te stesso come cavia e pretendi anche che ti accompagni nelle uscite nei weekend con i tuoi amici fidanzati come se fossimo a nostra volta una coppia? »   ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  : « Sei proprio una bacchettona. Una di quelle in prima fila che prende gli appunti senza staccare il capo dal foglio. La tua mano scorre e chi ti guarda si domanda: quanto impiegherà quella stessa mano per staccarsi dal polso e schiaffeggiarla con tutta la potenza che possiede? »   ᴀʀʟᴇɴᴇ     : « Non so, mi illumini tu o vuoi provare? »   ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  : « Ci stai o no, lupo solitario? »   ᴀʀʟᴇɴᴇ     : « Ci sto. In fondo se provi ad infastidirmi più del solito, lo schiaffo può sempre diventare un pugno. Ho due fratelli più grandi, ho allenato il mio gancio destro negli anni. »   ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  : « Attenta a non romperti una mano. »   ᴀʀʟᴇɴᴇ     : « Ti preoccupi per me? Che caro.          Allora, cosa vuoi che indossi per l'incontro con i tuoi          amici? »   ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  : « Devo farti anche da costumista?          Vuoi fare bella figura con loro o con me? »   ᴀʀʟᴇɴᴇ     : « Voglio ambientarmi in Scozia, io qui sono una straniera. Provo a rendere indolore la mia permanenza in questa terra per i prossimi due anni, se tutto va bene. »   ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  : « Dammi ascolto e ci riuscirai. »   ᴀʀʟᴇɴᴇ     : « A patto che mi insegni il Gaelico. »   ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  : « Mi sembra un giusto compromesso. »   ᴀʀʟᴇɴᴇ     : « È un piacere fare affari con lei, signor Boyle. »   ᴄᴀᴍᴇʀᴏɴ  : « Ed ora ti faccio fare un giro, bacchettona. »          ᴡᴀʀɴɪɴɢs. 🍵  ᴏɪ. ai puritani sconsigliamo di leggere questi estratti.   ɪɪ.  non vogliamo vedere la nostra storia scopiazzata.   ɪɪɪ. questi sono dialoghi estratti da role vere e proprie.   ɪᴠ. anche la grafica è una nostra creazione.
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italianaradio · 5 years ago
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Thor: 10 momenti che dimostrano la grande umanità del Dio del Tuomo
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/thor-10-momenti-che-dimostrano-la-grande-umanita-del-dio-del-tuomo/
Thor: 10 momenti che dimostrano la grande umanità del Dio del Tuomo
Thor: 10 momenti che dimostrano la grande umanità del Dio del Tuomo
Thor: 10 momenti che dimostrano la grande umanità del Dio del Tuomo
Di tutti e sei i Vendicatori originali, Thor è senza dubbio il personaggio ad essere cambiato di più durante tutto l’arco narrativo della “Saga dell’Infinito”. Lo abbiamo visto davvero in tutte le sale: marmocchio viziato, guerriero invincibile e Dio in attesa di reclamare il suo trono. Alla fine di Avengers: Endgame, però, ha perso tutto, inclusa la sua famiglia e i suoi amici.
Heimdall, il guardiano di Bifrost, è sempre stato il migliore amico di Thor. E il Dio del Tuono ha sempre avuto una relazione di amore/odio con suo fratello adottivo Loki. Di seguito abbiamo raccolto i 10 migliori momenti che nel MCU hanno visto protagonista l’eroe interpretato da Chris Hemsworth al fianco di Heimdall (Idris Elba) e Loki (Tom Hiddleston):
“Quando sei pronto, Heimdall.” (Thor: The Dark World)
In Spider-Man: Homecoming, Ned Leeds dice a Peter Parker di aver bisogno di un “uomo della sedia”, ossia di un “genio del computer”. Apparentemente, ogni supereroe ha il proprio “uomo della sedia”, che fa tutto il necessario quando si tratta di aiutare qualcuno. In un certo senso, possiamo affermare che Heimdall era l’ “uomo della sedia” di Thor, molto prima che Peter lo diventasse per Ned.
L’unica differenza è che Heimdall è una figura mitologica onniveggente che non ha certo bisogno della tecnologia per avere il controllo della situazione. Thor si fida così tanto del suo “…”, che nel bel mezzo di una battaglia può tranquillamente esclamare, con estrema disinvoltura: “Quando sei pronto, Heimdall.”
“Chiamate aiuto!” (Thor: Ragnarok)
Nonostante anche nei precedenti due film di Thor sia stata affrontata la storia di Thor e Loki attraverso intensi dialoghi e flashback sui momenti più cruciali del loro rapporto, è stato in realtà Thor: Ragnarok di Taika Waititi a dare un vero significato al passato di Thor e Loki attraverso aneddoti e battute.
Durante una scena del film, i due si stanno preparando per affrontare alcuni degli scagnozzi del Gran Maestro su Sakaar. A quel punto Thor rispolvera una delle loro vecchie battute: “Chiamate aiuto!”. Thor prende Loki e finge di essere ferito: chiede aiuto per poi lanciare suo fratello contro gli scagnozzi, approfittando della loro distrazione. A quanto pare quella frase funziona sempre!
Compiere alto tradimento insieme (Thor: The Dark World)
All’inizio Heimdall è abbastanza riluttante quando Thor gli chiede di aprire Bifrost nonostante gli ordini di Odino, nella speranza di impedire un attacco da parte degli Elfi Oscuri.
Alla fine Thor lo convince, dicendogli che si tratta di agire in nome di un bene più grande: può sembrare un tradimento, ma in realtà eviterà un attacco potenzialmente fatale per Asgard. È quindi la cosa giusta da fare! La più grande prova di amicizia è quella di Heimdall, che sarebbe disposto anche a compiere tradimento per volere di Thor.
Il funerale di Frigga (Thor: The Dark World)
La morte di Frigga in Thor: The Dark World è un momento straziante tanto per Thor quanto per Loki, come dimostra la scena in cui la sua bara si appresta a lasciare Asgard e suoi volti dei due fratelli c’è spazio soltanto per la tristezza. A differenza di Odino, che non ha mai nascosto di preferire Thor, Frigga amava entrambi i suoi figli allo stesso modo; di conseguenza, la sua morte è stata una dolorosa perdita per entrambi.
Thor: The Dark World è stato sempre etichettato come uno dei peggiori film del MCU, soprattutto a causa della trama confusionaria, delle banali sottotrame, della pessima caratterizzazione del villain, e per tanti altri motivi che l’hanno reso un capitolo facilmente dimenticiabile… nonostante tutto, l’emozione scaturita dalla scena del funerale di Frigga è innegabile.
“Morirai per questo!” (Avengers: Infinity War)
Questa è la promessa che Thor fa a Thanos subito dopo che il Titano Pazzo ha pugnalato al petto Heimdall, uccidendolo. Il Dio del Tuono non ci pensa due volte: il suo migliore amico dovrà essere vendicato. Ci riuscirà – dopo un paio di tentativi falliti – solo quando abbandonerà il suo ego e si riunirà agli altri Vendicatori.
Almeno Heimdall non sarà morto invano. Thanos lo uccise soltanto perché resuscitò Hulk e si servì del Bifrost per andare da Doctor Strange e Wong e avvertirli dell’arrivo del Titano Pazzo. Senza Heimdall, Thanos probabilmente non avrebbe vinto alla fine.
“Devi essere veramente molto disperato per chiedermi aiuto.” (Thor: The Dark World)
Questa battuta potrebbe essere stata introdotta per rendere il trailer del film ancora più intrigante, ma in realtà non fa altro che darci un ulteriore interessante informazione circa la rivalità fra Thor e Loki.
Anche dopo tutto quello che Loki ha fatto – autoproclamarsi re di Asgard, rifiutarsi di far tornare Thor a casa da Midgard, terrorizzare New York con un’invasione aliena, scendere a patti con Thanos -, il Dio del Tuono crede ancora di poter contare su suo fratello, proprio per il legame di sangue che li unisce. I fratelli possono sempre contare l’uno sull’altro… non importa di quante invasioni aliene si siano resi responsabili.
Raggiungere Thor sullo Statesman (Thor: Ragnarok)
In Thor: Ragnarok, la battaglia che dà il titolo al film sta letteralmente mettendo in ginocchio Asgard, mentre Hela inizia a porre le basi del suo regno del terrore. Nel frattempo, Thor è bloccato su Sakaar in veste di gladiatore, e non può fare nulla per fermare la guerra. Il Dio del Tuono sa di poter contare su Heimdall per proteggere gli asgardiani quando lui non c’è: ed è proprio questo che il suo migliore amico fa, portando i sopravvissuti in un’antica casa sicura nascosta tra i boschi.
Allo stesso modo, Heimdall sa di poter contare su Thor e sa che quando sarà possibile il Dio del Tuono tornerà ad Asgard per liberarla dal dominio di Hela. Quando si ritrovano alla fine del film sullo Statesman, la loro reunion è un momento particolarmente emozionante.
“D’accordo, fermati!” (Avengers: Infinity War)
In una delle prime storyline del MCU, Loki era un assassino a sangue freddo a cui non importava nulla della sua famiglia, ma bramava soltanto il potere. A mano a mano che il suo personaggio si sviluppa, diventa chiaro che questo era proprio ciò che il Dio dell’Inganno sperava di diventare, anche se in realtà è molto più sensibile e premuroso di quanto egli stesso non pensi.
Nella scene iniziale di Avengers: Infinity War, quando Thanos arriva sullo Statesman, Loki continua a mentire a se stesso. Il Titano Pazzo chiede a Loki di consegnarli la Gemma dello spazio in cambio della vita di suo fratello. A quel punto Loki afferma: “Uccidilo pure!”. Ma proprio quando Thor sta per essere eliminato, le emozioni del Dio dell’Inganno hanno il sopravvento, così alza la testa e urla: “D’accordo, fermati!”.
“Ho bisogno del tuoi aiuto. Aiutami.” (Thor: Ragnarok)
Quanto Thor è intrappolato su Sakaar, teme che Hela riuscirà ad uccidere gli asgardiani e a dare inizio al suo regno del terrore. Ma il Dio del Tuono sa che esiste qualcuno che lo può aiutare e di cui si può fidare, e questo qualcuno è proprio Heimdall: “Heimdall, so che puoi vedermi. Ho bisogno del tuo aiuto. Aiutami.”, dice Thor.
Heimdall può percepire Thor, ma ad una grande distanza. Lo rassicura e gli dice di aver trovato una roccaforte costruita dagli antichi asgardiani e che l’ha trasformata in un rfiiuto per i sopravvissuti, che sono già stati portati lontano dall’ira di Hela. Ma non sono ancora usciti dal bosco!
“Pensavo che il mondo fosse tuo.” (Thor: Ragnarok)
Questa scena di Thor: Ragnarok racchiude perfettamente il senso del rapporto tra Thor e Loki, forse meglio di qualsiasi altra scena del MCU. In un ascensore su Sakaar, i due fratelli hanno un rarissimo momento di confronto, anche molto intimo. Loki è sorpreso quando Thor gli dice: “Pensavo che il mondo fosse tuo.”
Tutto quello che Loki ha sempre desiderato era l’approvazione di suo fratello, essendo stato geloso di lui fin da ragazzo per il fatto che sarebbe stato il vero erede del trono di Odino. Il rimpianto ovviamente prende il sopravvento, soprattutto perché Thor – prima dei comportamenti nefandi del fratello – aveva sempre mostrato ammirazione verso di lui. Si tratta di un grande punto di svolta nell’arco narrativo del personaggio di Loki… e ovviamente il merito è stato ancora una volta di suo fratello.
Fonte: ScreenRant
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Thor: 10 momenti che dimostrano la grande umanità del Dio del Tuomo
Di tutti e sei i Vendicatori originali, Thor è senza dubbio il personaggio ad essere cambiato di più durante tutto l’arco narrativo della “Saga dell’Infinito”. Lo abbiamo visto davvero in tutte le sale: marmocchio viziato, guerriero invincibile e Dio in attesa di reclamare il suo trono. Alla fine di Avengers: Endgame, però, ha perso tutto, […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Stefano Terracina
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tmnotizie · 6 years ago
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di Antonio De Signoribus
SAN BENEDETTO – “E’ indubbiamente vero, per dirla con Alfonso Di Nola, che i tempi correnti, le forme nuove assunte dal vivere sociale hanno distrutto quel focolare che fu al centro della umanità e socialità dei tempi antichi….”.Ebbene, eccone uno immaginario, accanto al quale, vi invito a sedervi per ascoltare la parola  di un tempo, di quel tempo ormai lontano, di cui, però, non dobbiamo perdere la memoria, mai! Ascoltate! In campagna una antica leggenda diceva che nella notte di Natale i buoi parlassero tra di loro di cose arcane, ma era proibito a orecchio umano ascoltare i loro dialoghi. Un curioso, che si era nascosto nella mangiatoia per capire quello che si dicevano, fu ucciso e divorato.
Per questo motivo i contadini si tenevano lontani dalle stalle, almeno in quella notte santa. Una credenza popolare molto sentita nelle Marche, diceva, invece, che il ceppo di Natale, acceso durante la vigilia, dovesse ardere giorno e notte, fino alla Epifania. Si credeva, infatti, che sarebbe passata la Madonna a riscaldare pannolini e fasce di Gesù bambino. Bisognava quindi stare attenti e vigilare che il fuoco non si spegnesse. La cenere e i carboni del Ceppo di Natale venivano conservati a lungo in quanto si attribuivano loro proprietà magiche: si credeva che favorissero il raccolto, l’allevamento, la fertilità delle donne, degli animali e la salute, e che proteggessero dai fulmini.
Si spargevano, poi, per i campi, e più spesso per la vigna, perché essendo benedetti, uccidevano i vermi, nemici del terreno e delle piante. Un’altra storia popolare diceva che la notte che precedeva la festa di sant’Antonio Abate, molto attesa e sentita dai contadini, scendeva in campo addirittura  il Santo, che passava in tutte le stalle dove c’erano animali domestici, di cui è protettore, e con loro s’intratteneva per chiedere se i padroni li maltrattassero. Per questo motivo le stalle erano tenute pulite e a tutti gli animali, indistintamente, veniva fatto un trattamento speciale con doppia razione di mangime e di becchime. C’era, poi, una usanza particolare.
Eccola. Le zitelle desiderose di prendere marito, durante la processione con la statua del Santo, dal cui braccio destro pendeva un campanello, si mettevano bene in vista, dove si snodava la processione, tutte occhi e orecchi, verso il campanello, poiché se avesse suonato, era segno che avrebbero trovato marito entro l’anno…Un re chiamò sant’Antonio, per guarire una regina, in preda al maligno, poiché si diceva, che avesse sconfitto il demonio. Per farla breve, la regina fu guarita subito; mentre avveniva il miracolo, apparve, all’improvviso, una scrofa, che depositò, davanti al Santo, uno dei suoi piccoli, senza occhi e senza zampe. Anche in questa occasione il maialino fu miracolato, tanto che si mise a girare attorno al suo benefattore, che da quel giorno non lo abbandonò più. Nemmeno nelle statue, dove c’è sempre, e nei quadri. Insomma,  “Sant’ Antonio benedetto guarda l’asino e il porchetto, furti, mali e malattia manda fuori dalla via”.
Adesso si cambia musica. Ascoltate questa. Pasquale dormiva in camera con la madre, poiché aveva altri fratelli e la casa era troppo piccola per avere una camera tutta sua. Una notte, sua madre, in sogno, si lamentava cosi forte che lo svegliò. Appena aprì gli occhi vide sul suo petto un gatto nero cosi grosso che lo spaventò; la chiamò, allora, con tutto il fiato che aveva in gola e il gatto cadde a terra facendo un rumore bestiale; cosa strana per i gatti che si muovono in genere con passo felpato. Pasquale, cercò il gatto, ma non lo trovò. La cosa era inspiegabile. E, ancora oggi, dopo tanti anni non si capacita della cosa, e ripete spesso agli amici:<<Come ha fatto ad uscire se la porta e la finestra erano chiuse?>>.
E quest’altra. Ogni notte di luna piena, una donna, vedeva sbucare dalla porticina riservata al gatto, un braccio totalmente coperto di lunghi peli neri; era convinta che si trattasse del lupo mannaro; così, una sera, quando quell’orribile braccio sbucò di nuovo da quella porticina e fuori si sentivano strani ululati, la donna, coraggiosa, prese un coltello e cominciò a colpirlo fino a quando non lo vide sanguinare. Dopo qualche minuto sentì una voce che le diceva:<<Grazie amica, colpendomi mi hai fatto uscire il sangue malato, ed ora sono guarito per sempre>>.La donna, allora, aprì la porta ma l’uomo scappò subito via per non farsi riconoscere.
Il patrimonio di credenze negative, come sottolinea Alfonso Di Nola, appartenente a questo animale ha certamente origine nella società pastorale nella quale il lupo rappresentava un reale rischio per la vita e la sicurezza delle greggi e delle mandrie, rischio che ha comportato progressivamente la quasi sparizione della specie nelle montagne italiane. Pensiamo anche al lupo cattivo descritto nelle fiabe popolari . Lo conoscete? Era un modo  per scoprire una strega nella notte di Natale….Si metteva un pettine nell’acquasantiera…Se fosse stata una strega la donna non poteva intingervi la mano. E tutti l’avrebbero riconosciuta…
E adesso qualche curiosità. Nei nostri paesi era cosa di tutti i giorni prestarsi tra famiglie pane, farina di grano e di granturco, o cose da mangiare, che immancabilmente venivano restituiti; solo il sale non veniva restituito, pena qualche disgrazia. Nella tradizione popolare si riteneva che acqua e sale rendessero fecondo ciò che era infecondo. Per il suo uso sacro, per la sua importanza nel cibo e per il suo alto costo, il cadere del sale a terra, così come l’olio, era sempre considerato un pronostico di disgrazia. Quando ad una persona cadeva un oggetto e un’altra glielo raccoglieva, era credenza, invece, che per questo atto di gentilezza, si salvava un’anima dal purgatorio.
Se una persona, però, avesse fatto cadere a terra, anche solo poche molliche di pane senza raccoglierle, sarebbe stata condannata al purgatorio, così si diceva,  per gli anni corrispondenti alle molliche fatte cadere. E, nell’aldilà, avrebbe poi dovuto raccoglierle a una a una, con le palpebre degli occhi. Guai, poi, posare sul tavolo il pane dalla parte rigonfia, ovvero dalla parte dove c’era la croce, simbologia molto antica, che si faceva sul pane. Era come se si voltasse la faccia a Gesù; si condannasse un’anima di casa a soffrire in Purgatorio…
E si facesse addirittura cadere la Madonna dalla sedia. Alla madia si attribuivano questi poteri: se un bambino avesse avuto dolori di pancia, o sofferto d’insonnia, le donne di casa, subito dopo aver fatto il pane, lo chiudevano nella madia per una decina di minuti recitando alcune litanie perché guarisse dai mali. Quando un bambino, invece, non cresceva, o cresceva poco, le persone di casa lo chiudevano nella madia per alcuni minuti accompagnando l’azione con le seguenti parole: ” Se possa lievitare come la massa del pane”. Quando, poi, si sognavano i numeri da giocare al lotto non si dovevano dirli a nessuno perché altrimenti non sarebbero usciti. Adesso qualcuno si morderà i gomiti per averli rivelati e penserà tra sé e sé: ”Ecco perché non ho mai vinto…”.
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itsnerdpool-blog · 6 years ago
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Il sacrificio del cervo sacro VS Kubrick
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Il sacrificio del cervo sacro VS Kubrick
La sensazione che passa per la testa dello spettatore durante la proiezione de: “Il sacrificio del cervo sacro” è una sola: Lanthimos ce stai a provà.
Era preannunciato che la “citazione” al lavoro di Kubrick di questo nuovo Thriller era lampante.
Musiche, riprese, stacchi e durata dei piani sequenza ricordavano molto alcuni delle peculiarità delle produzioni di Kubrick.
Gli esempi potrebbero essere quasi infiniti se ci si mettesse ad esaminare ogni scena del film. Ma la spiegazione fotogramma per fotogramma potrebbe sembrare un pochino tediante.
In questo articolo andremo dunque ad elencare i 5 riferiment, citazioni, plagi che dir si voglia che Lanthimos ha inserito nella produzione del suo ultimo flm al cinema in questi giorni.
  Schermo nero. Ciack si proietta
La primissima schermata proiettata prima dell’inizio di qualsiasi film, che sia Topolino o che sia “2001 Odissea nello spazio” di Kubrick è in genere uno fotogramma nero.
Nel primo esempio lo schermo nero è semplicemente una pausa di assestamento, un richiamo all’attenzione che sussurra ai commensali di prestare attenzione all’inizio della pellicola.
Nel secondo invece ha già del mistico, ha già significato è già opera.
Alla base della riflessione di Stanley Kubrick per il film “2001 Odissea nello spazio” c’è la riflessione sull’inizio. L’inizio della vita, l’inizio dell’evoluzione e l’inizio della presa di coscienza dell’essere umano. Perché dunque non gettare già nello scompiglio lo spettatore. Perché non aspettarlo al varco già da subito chiedendogli di apprendere fin dalla prima visione quando effettivamente il film è iniziato?
Scenario tipico:
Si spengono le luci, schermo nero.
Pop corn con tanto di sfiorata di mano sfuggente alla compagna di sedia.
Lo schermo è ancora nero, da secondi.
Finalmente si sente qualcosa, un brusio.
Il brusio cresce e cresce ogni istante di più. Il brusio finalmente sboccia e diventa opera, Atmospheres di György Ligeti per la precisione.
La ragazza non capisce più niente e vi stampa un bacio in bocca a risucchio.
Ne “Il sacrificio del cervo sacro” Lanthimos fa lo stesso, cita alla lettera. Lo spettatore non capisce subito. Non sa se il film è iniziato da tre o trenta secondi, si sente già spaesato.
Non ha introduzione, non è preparato e inizia a prendere coscienza di essersi già perso qualcosa.
La colonna sonora
La colonna sonora specialmente nei thriller e negli horror è elemento fondamentale per la creazione di suspense e di aspettativa nello spettatore.
Archi, fiati e compagnia, tutto quello che serve per creare una colonna sonora che diventa protagonista.
Nei momenti di maggiore pathos anche ne “Il sacrificio del cervo sacro” entrano in campo striduli violini che suonando le note più alte del registro costringono gli ospiti in sala a coprirsi le orecchie.
Senza richiamare allo spoiler. In una scena in cui uno dei protagonisti si ferisce al braccio, un momento di calma assoluta con dialoghi a malapena sussurrati, parte una musica assordante a sottolineare l’avvenimento. Senza troppi sforzi di memoria balza subito in mente l’accompagnamento di uno degli attacchi di Shining del piccolo Danny nel film omonimo.
Bob Danny Murphy
È solo un’impressione personale, o è una telefonata gigante la somiglianza tra il piccolo della famiglia Murphy, protagonista della pellicola, e Daniel Torrance il bimbo dotato dello Shining.
Ragazzino con una faccia da paggetto, otto massimo nove anni e soprattutto caschetto cutaneo da fare invidia ai migliori anni di Caterina Caselli.
La somiglianza tra i due attori non è poi così lampante, ok. Uno ha i capelli castani, l’altro biondissimi. Uno ha occhi chiari, l’altro li ha scuri.
Quello che più li fa assomigliare e fa richiamare alla citazione è l’utilizzo dei primissimi piani.
Durante tutta la durata del film il regista ha utilizzato parecchio le inquadrature ravvicinate ai volti degli attori principali per sottolineare certe situazioni. La somiglianza fisica ed espressiva di Bob (Sunny Suljic) con il giovane Danny Lloyd è alquanto impressionante, non me la bevo. Di fortuito ci vedo pochissimo.
Velocità narrativa
La durata dei piani sequenza, la velocità con il quale si stacca da diverse situazioni e quanto spesso lo si fa definiscono in primis la percezione della fluidità di un film.
Kubrick usava a suo favore piani sequenza lunghissimi atti quasi a cullare lo spettatore nella sicurezza della tranquillità. Dietro l’angolo di ogni piano sequenza faceva presagire l’incombenza dell’ignoto. Creava suspense.
La critica che più si sentirà e si è sentita riguardo “Il sacrificio del cervo sacro” riguarda proprio questo, la lentezza. Sembra quasi non succedere niente. Per la prima parte della prima metà del film non si riesce a capire. Non si capiscono le relazioni interpersonali tra i protagonisti, non si capisce l’ambiente nel quale si è calati e non si capisce se tutto è normale. Ovviamente non è tutto a posto, qualcosa dovrà pur succedere. Ma la speranza è sempre l’ultima a morire.
Steadicam come se camminasse
Gli anni settanta furono campo fertile per le innovazioni in campo cinematografico. Il cinema Europeo si stava riprendendo dalla grande macchia della seconda guerra e iniziavano gli anni d’oro della commedia italiana.
Un operatore di camera, Garrett Brown, ideò un nuovo sistema di ripresa: la steadicam. Lo scopo era disporre di un congegno in grado di lasciare l’operatore agile di aggirarsi sul set unendo la precisione della ripresa col Dolly alla maneggevolezza della camera a mano.
L’utilizzo iniziale era un’importante innovazione che arrivò a completa maturazione con le riprese di Shining.
Chi non ricorda le famose scene del piccolo Danny che gira indisturbato col suo triciclo per i corridoi dell’Overlook Hotel praticamente desolato. Indisturbato tranne che per la presenza del fantasma di due gemelle morte trucidate sessanta anni prima ovviamente. Tutte quelle famose riprese, diventate simbolo della potenza con il quale lo spettatore viene immerso dentro la visione dello spettacolo, furono possibili grazie l’utilizzo della steadicam.
Lanthimos ci ricasca ancora e non solo in una fugace occasione ripropone la scena cambiando soggetto e mezzo di locomozione, ovviamente.
In questo caso è Colin Farrell che viene ripreso da dietro, come fossimo dei segugi, mentre serpeggia a memoria tra i vicoli del labirinto costituito dai vari reparti dell’ospedale dove lavora. Corridoi, svolte strette e moquette per terra e la citazione/plagio è servita.
        Conclusioni
È pleonastico ricordare che quelle riportate sono per lo più sensazioni personali, idee di una mente fervida ed estremamente complottista.
Siete d’accordo anche voi? Mi sono perso qualcosa? Fatemelo sapere qua sotto nei commenti 😊
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tempi-dispari · 7 years ago
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Prima assoluta per Saved di E. Bond dal 29 novembre al Teatro Vascello
dal 29 novembre al 10 dicembre 2017 | PROSA
dal martedì al sabato h 21 domenica h 18
La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello
Saved di Edward Bond
traduzione di Tommaso Spinelli con Francesco Biscione, Manuela Kustermann, Lucia Lavia, Gianluca Merolli, Marco Rossetti e con Antonio Bandiera, Carolina Cametti, Michele Costabile, Marco Rizzo e Giovanni Serratore
Movimenti Marco Angelilli scene Paola Castrignanò costumi Domitilla Giordano luci Valerio Geroldi consulenza musicale Fabio Antonelli scenografo collaboratore Paolo Ferrari aiuto regia Maddalena Serratore e Antonio Bandiera foto Pino Le Pera
regia di Gianluca Merolli
Saved (Salvati) è una denuncia contro quel capitalismo che ha generato una politica colpevole di aver consapevolmente diseducato una società ormai vittima e carnefice di se stessa. La storia narra le vicende di una famiglia e parallelamente di un gruppo di giovani, tutti in qualche modo colpevoli della morte di un neonato, tutti alle prese con la loro desolata vita quotidiana. Una vita ai margini, in un mondo alienato.  Nel 1965 Bond ritrae uno spaccato della periferia londinese, che non sembra distante dalle dinamiche presenti tra le strade e i vicoli delle nostre città, dove non ci sono  buoni  o cattivi, ma uomini e donne che non hanno ereditato gli strumenti per attuare una scelta positiva. Si è smarrita l’innocenza e l’unico mezzo che si conosce per trovare un posto nel mondo è la crudeltà. L’innocenza potrebbe ricordarci ciò che siamo stati da bambini e, dunque, non ci rimane che lapidarla. Saved è quel momento preciso in cui ti accorgi che “la pietra” scagliata è passata per le tue mani. 
Per alcune scene particolarmente crude si consiglia lo spettacolo a un pubblico adulto.
SAVED. Note di regia   Un neonato viene lapidato in carrozzina per mano del padre e dei suoi amici. Qualcuno disse che un’opera teatrale, per essere memorabile, debba avere una trama riducibile a poche parole. Saved di Edward Bond sta alla regola e ne esalta   il principio, lasciando attorno a questo nucleo drammaturgico il vuoto più desolato. Non è un testo psicologico, in cui rintracciare i processi mentali che portano al delitto efferato, tanto meno un testo morale, in cui ricercare le ragioni del singolo in relazione alla comunità. E’ una tragedia le cui domande hanno una matrice fortemente politica. Non ci sono buoni e cattivi, ma uomini e donne che non hanno ereditato gli strumenti per attuare una scelta positiva. Abbiamo smarrito l’innocenza e l’unico mezzo che conosciamo per trovare il nostro posto nel mondo è la crudeltà. Confrontarci con l’innocenza ci farebbe ricordare ciò che siamo stati e che ora non siamo più e, per questo, la lapidiamo. Si può distruggere facilmente qualcosa che non ci appartiene, che non ha storia nè nome. Come, ad esempio, quel bambino appena nato da Pam, che nessuno chiama mai per nome e che ha voce solo per piangere, non ancora per parlare. Usiamo la violenza per continuare a sentirci umani, vivi. L’instancabile denuncia di Bond contro il capitalismo ha un incipit feroce : questo suo secondo testo, il resoconto di un atto disumano che è solo l’apice del percorso di disgregamento dell'”umanezza”. Letteratura della crudeltà che, in quanto assolutamente nera, possiede intrinsecamente il suo contrario. Le porte delle tenebre sono state spalancate, l’agguato è stato teso, eppure l’uomo viaggia col suo fagotto d’umanità. Mostrando anche quella tenerezza che nasce dalla desolazione, dal mancato tendere alla Beatitudine, all’Ordine, alla Bellezza.   Questi personaggi non appartengono al museo degli archetipi greci, ma discendono da essi. Come la rabbia moderna discende dalla tragedia classica.  Non sono re o regine e non nascono predestinati, ma monchi sì. Poveracci che percorrono distanze sterminate, senza mai muovere un passo, ciascuno nel suo abisso. Quell’agire è vuota passività che si autodistrugge, è l’indomabile vitalità   del branco, che induce gli uomini a deresponsabilizzarsi e a pompare   aggressività, grazie all’anonimato che il gruppo promette. Ma non è tempo di mantenere promesse. Alienati, siamo tutti a rischio di essere vittime di un carnefice che ha il nostro stesso profilo. Quel branco non ha segreti da svelare, non ha percezione del futuro e quindi nulla da costruire. Nella Londra di Bond, prima del thatcherismo, i ragazzi del branco non superavano i venti anni. Oggi la cronaca  ha alzato la loro età media, quei non-ancora-uomini hanno trent’anni, spesso  anche quaranta. Saved è scritto in cockney, il “dialetto” della periferia londinese, della classe operaia più umile. In una lingua fatta di dialoghi fitti, di battute brevissime e spesso sgrammaticate, si intravedono personaggi che invertono il mito edipico. Non un figlio che uccide il padre ma un padre che uccide il figlio, appena nato. E il ruolo della malasorte, degli dei, è assegnato al potere mancante: i genitori. I figli hanno “bruciato” la casa paterna, per cercare un’ipotesi di giustizia tra le rovine, ma madri e padri non hanno insegnato loro come ricostruirla. Harry e Mary, nonni negligenti del bimbo ucciso, avrebbero dovuto indicare alla figlia Pam una strada possibile per il riscatto, mutare le incapacità in risorse e non instillare il terrore dei rapporti familiari. Avrebbero dovuto essere un esempio anche per Len e Fred. Ma giocano la parte dell’autorità inadempiente, che non ha i mezzi per assolvere al proprio ruolo etico. I genitori come i politici, i militari, la scuola, i giornalisti, i teatranti dovrebbero guidare le nuove generazioni perchè si rinasca, perchè ci si salvi. Ci si salvi da un’imminente apocalisse fatta di cose e cose, di tutto e subito, di immemori e dimenticati, di io e io, di illegalità, di solo presente senza futuro e passato. Credere per ripartire, col naso in su, per cercare tracce di un dio disperso e direzioni nuove da intraprendere. Saved, del ’65, ha contribuito a sancire la fine della censura teatrale inglese. Saved è, dunque, un punto di non ritorno nella storia del teatro. Saved è quel momento preciso in cui ti accorgi che “la pietra” scagliata è passata per le tue mani. Non c’è compassione, solidarietà, giustizia. Neppure rimorso. Non c’è neppure un finale tipico, se non una scena di muta quotidianità, che lascia un senso di incompiutezza, uno spiraglio qualunque per spingere il pubblico a chiedere, a mettere in discussione. Ecco forse la speranza. Sin dal titolo è chiaro: qualcuno o qualcosa si salva. Chi? E dove scovarlo? Nell’incontro sincero? Nel silenzio che produce pensiero? Nel congedo da una prospettiva letale? Nelle instancabili domande di Len? Nell’atto di aggiustare qualcosa, una sedia rotta ad esempio, e ripartire da lì, dall’agire? Nel teatro che pone domande?  Gianluca Merolli
Ora gli uomini della vita di oggi, i giovanotti dalle braccia come querce,ingegneri rotti all’elettronica e all’automazione, non hanno tempo nè voglia di muoversi per un morto. Non fanno una piega per l’uccellino strangolato, nè per il gatto spalmato come burro sull’asfalto dai pneumatici del camion, nè per il bambino succhiato dalla gora, neppure per il padre e la madre se la prendono poi tanto, nel caso.  (Dino Buzzati-Generale ignoto)
Il Teatro Vascello si trova nello splendido quartiere di Monteverde vicino al Gianicolo sopra a Trastevere a Roma, con i suoi 350 posti, la platea a gradinata e il palcoscenico alla greca permette un’ottima visibilità da ogni postazione.
Il Teatro Vascello propone spettacoli di Prosa, Spettacoli per Bambini, Danza, Drammaturgia Contemporanea, Eventi, FestivaL, Rassegne, Concerti, Laboratori
Come raggiungerci con mezzi privati: Parcheggio per automobili lungo Via delle Mura Gianicolensi, a circa 100 metri dal Teatro. Parcheggi a pagamento vicini al Teatro Vascello: Via Giacinto Carini, 43, Roma; Via Francesco Saverio Sprovieri, 10, Roma tel 06 58122552; Via Maurizio Quadrio, 22, 00152 Roma, Via R. Giovagnoli, 20,00152 Roma
  Con mezzi pubblici : autobus 75 ferma davanti al teatro Vascello che si può prendere da stazione Termini, Colosseo, Piramide, oppure: 44, 710, 870, 871. Treno Metropolitano : da Ostiense fermata Stazione Quattro Venti a due passi dal Teatro Vascello
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