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Scuola e università: vettori di uguaglianza o luoghi di esclusione?
Scuola e università: vettori di uguaglianza o luoghi di esclusione?
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#Alessandra reccia#Centro Studi Franco Fortini#Chiara Meta#Cristiano Corsini#Grazia Napolitano#Maria Vittoria Tirinato#Massimiliano Fiorucci#Mico Capasso#Niccolò Scaffai#Valeria Pinto
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“Dammi la felicità profonda e dolorosa, energia dell’odio, il potere dell’amore, ridammi la mia giovinezza!”. Liberiamo Goethe dagli ideologi: ecco perché è necessaria una nuova traduzione del “Faust”
Se il poeta, saggista e traduttore Franco Fortini lavorò per ben sei anni alla traduzione di quel caposaldo della letteratura tedesca e mondiale che è il Faust di Johann Wolfgang Goethe, il suo amico Cesare Cases (1920-2005) s’interessò di quell’opera per circa mezzo secolo (un Lebenswerk, l’opera della vita, un po’ come lo fu per il tedesco), scrivendo introduzioni, saggi, recensioni e soprattutto, accompagnando criticamente, come germanista, la versione di Fortini, ancor oggi proposta da Mondadori e ritenuta da qualcuno come “l’unica traduzione decente in italiano, l’unica” (così Roberto Fertonani).
Quodlibet è editore che, godendo di ottimo rapporto con il Centro Studi Franco Fortini, da tempo propone materiali riflessivi provenienti dalla fucina del poeta e intellettuale (a proposito del Fortini traduttore, ricordo Lezioni sulla traduzione, a cura e con saggio introduttivo di Maria Vittoria Tirinato, pubblicato nel 2011). Attingendo nuovamente all’archivio di quel Centro, sono proposti di recente in Cesare Cases, Laboratorio Faust. Saggi e commenti (ottimamente curato da Roberto Venuti e Michele Sisto), due corposi inediti di Cases: le Osservazioni dattiloscritte (101 fogli) alla citata traduzione del Faust e le note di commento, manoscritte e risalenti agli anni 1985-1988, destinate ad accompagnare la traduzione di Casalegno che sarebbe uscita poi per Garzanti, interrotte al verso 3290 del testo goethiano.
Pienamente riusciti nell’intento di rendere omaggio al germanista milanese nella ricorrenza centenaria della sua nascita, editore e curatori hanno anteposto ai due importanti inediti tutti i saggi e i commenti usciti dal “laboratorio Faust” di Cases e pubblicati in varie occasioni tra il 1957 e il 1971. Un libro che, erroneamente, si potrebbe pensare per soli addetti ai lavori: traduttori cavillosi, germanisti, marxisti ed ex-marxisti, studiosi lukacsiani (del critico György Lukács Cases fu a lungo grande estimatore, tanto da essere definito negli anni Sessanta suo “missionario” in Italia), aspiranti Faust…
In realtà, come ben sottolineato da Sisto nella sua introduzione, leggere (o rileggere) nel suo lungo percorso il continuo corpo a corpo del critico con il Faust (e Goethe) significa ripercorrere anni cruciali della storia editoriale, ideologica e politica, non solo italiana: “La repentina ripoliticizzazione del campo letterario nel ’68”, ricorda ad esempio Sisto, “farà sì che, almeno provvisoriamente, il Faust militante e comunista, o più precisamente marxista-critico, di Cases si affermi sui concorrenti”.
Non meno interessanti, e godibili per tutti, le tante osservazioni, i consigli, le correzioni (non sempre accolte dall’amico) che Cases destinò a Fortini in merito alla sua versione faustiana. Non poche, bisogna dirlo, per pignoleria e solerzia del milanese, ma anche perché, va ricordato, il poeta si autodefiniva “traduttore muto” (riconosceva cioè di non avere la padronanza attiva della lingua di partenza), ammettendo altresì di possedere il tedesco “molto mediocremente”, tanto da dover ricorrere, oltre che all’amico germanista, anche alla moglie, Ruth Leiser, madrelingua. Un esempio, utile per intendere l’importanza degli interventi di Cases: il verso è il 194 del Faust e in tedesco suona “Gib ungebändigt jene Triebe”; Fortini aveva proposto “[ridammi] l’impeto senza limiti”, ma il milanese rimarca senza fronzoli: “Tutti traducono così, ma non è giusto, perché letteralmente si dice: rendimi indomiti quegli istinti”. E il poeta-traduttore accolse la correzione, seppur non letteralmente: “Rendimi indomiti quegli impeti”.
Sollecitato dai frutti della lunga avventura goethiana condivisa da Cases e Contini, ma chiamando in gioco anche la citata e più recente versione di Andrea Casalegno, propongo di seguito una mia versione di alcuni versi dal Faust, convinto che quest’opera, variamente (e spesso ideologicamente) tradotta, celi ancora un’intera foresta di significati, più o meno coscientemente “risparmiati” al lettore italiano. Un piccolo saggio di traduzione, niente di più. Per sollecitare un confronto, in chi possedesse le versioni Fortini e Casalegno.
Per rimarcare come, per esempio, in assenza di indicazioni goethiane testuali, dunque per scelta ideologica, si sia proposto reiteratamente Natura con la maiuscola.
Per lamentare come la sostantivizzazione di werden (divenire), ein Werdender (v. 183), assolutamente centrale nella Weltanschauung goethiana, perché significante la natura metamorfica di ogni elemento, sia stata resa con i banalissimi e svianti “chi si viene formando” (Fortini) e “chi sta cercandosi” (Casalegno) e non con il semplice ed aderente “uomo in divenire”.
Per mettere in discussione tante altre “piccole” scelte. Dalla soluzione “impossibile” di Fortini per il v. 176 (“sarà commosso ora uno ora altro sentimento”, ma il soggetto di quella frase non è il “sentimento”, ma l’arcaico das Gemüte (l’anima), a quella del tutto stravolgente, per non dire sviante e riduttiva, di Casalegno per il v. 171: “molte illusioni e un pizzico di vero” per rendere “viel Irrtum und ein Fünkchen Wahrheit”. Perché confondere “errore” con “illusioni” (si potrebbe scrivere un trattato su ciò che li distingue)? Perché quel “pizzico”, così ridicolo rispetto all’immagine della “scintilla”? Perché limitarsi al “vero”, anch’esso termine caricatosi nel tempo di ben altro significato rispetto a “verità”? E così via. Buona lettura.
Vito Punzi
***
PROLOGO IN TEATRO
Il direttore, il poeta del teatro e il buffone
(versi 134-197)
POETA
Vattene e cercati un altro servo!
135 Per amor tuo il poeta dovrebbe giocarsi da scellerato
il diritto supremo, il diritto umano
che natura gli ha concesso?
In che modo commuove i cuori?
In che modo vince ogni elemento?
140 Non è forse con l’armonia che si fa strada dal petto
e che riannoda il mondo nel suo cuore?
Quando la natura indifferente avvolge al fuso
l’eterna lunghezza del filo,
quando la folla disarmonica degli esseri
145 strepita fastidiosamente:
chi suddivide la corrente e sempre identica sequenza
vivificandola, così ch’essa si muova ritmicamente?
Chi chiama il particolare alla dignità universale,
facendolo risuonare in accordi mirabili?
150 Chi scatena la tempesta delle passioni?
Chi arroventa il rosso crepuscolo nell’anima più severa?
Chi sparge tutti i bei fiori di primavera
sul sentiero dell’amata?
Chi intreccia verdi foglie insignificanti
155 facendone corona d’onore per meriti d’ogni tipo?
Chi preserva l’Olimpo? Chi aduna gli dei?
L’energia umana rivelata nel poeta!
BUFFONE
Dunque ne avete bisogno, delle belle energie,
e dedicatevi alle faccende poetiche
160 come ci si dedica ad un’avventura d’amore.
Per caso ci si avvicina, si prova qualcosa, si resta,
e poco alla volta si viene irretiti;
cresce la felicità, che poi diventa contrasto,
si è dapprima entusiasti, poi avanza il dolore
165 e quando meno ce lo si aspetta è già un romanzo.
Diamolo anche noi uno spettacolo così!
Prendete però a piene mani dall’intera vita umana!
Ognuno la vive, non a molti è nota,
e da qualsiasi parte l’afferriate è interessante!
170 Poca chiarezza in immagini variopinte,
molti errori e una scintilla di verità,
così si prepara la migliore pozione
che tutti rinfresca ed edifica.
Ecco dunque il fior fiore della gioventù radunarsi
175 per la vostra recitazione e tendere l’orecchio alla rivelazione.
Ogni anima tenera succhierà allora
dalla vostra opera malinconico nutrimento,
ne rimarranno emozionate prima l’una, poi l’altra,
ciascuna vede cosa porta in cuore.
180 Sono ancora pronti, sia a piangere che a ridere.
Onorano ancora l’estro, godono dell’apparenza;
l’uomo compiuto non c’è modo di soddisfarlo,
chi è in divenire sarà invece sempre grato.
POETA
Ridammi allora anche i tempi
185 nei quali io stesso ero ancora in divenire,
quando una fonte di canti concisi
si comportava come ininterrottamente nuova,
quando nebbie mi celavano il mondo,
il bocciolo prometteva ancora un miracolo
190 quando coglievo le migliaia di fiori
che copiosi riempivano ogni valle!
Non avevo nulla e tuttavia era abbastanza:
l’anelito alla verità e il piacere nell’inganno!
Dammi indomiti quegli impulsi,
195 la felicità profonda e dolorosa,
energia dell’odio, il potere dell’amore,
ridammi la mia giovinezza!
*In copertina: Joseph Wright of Derby, “Alchimista alla ricerca della pietra filosofale”, 1771
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Lanfranco Colombo: Una vita per la fotografia
di Etta Lisa Basaldella
-E’ con grande piacere che aderisco all’invito da parte di Gustavo Millozzi di ripubblicare questo mio articolo su Lanfranco Colombo che, uscito nell’ormai lontanissimo giugno 1975, denuncia in alcuni punti il tempo trascorso, ma è d’altresì di un’attualità sorprendente in altri.
E’ un omaggio ad un grande amico non solo personale, all’uomo che generosamente ha dedicato la sua vita alla fotografia mettendole a disposizione tutte le sue energie intellettuali, fisiche e finanziarie.
Non solo la fotografia italiana, ma la fotografia mondiale gli sono debitrici.
Grazie Lanfranco!
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Milanese, uno dei pochi rimasti, 51 anni, dirigente industriale da quando ne aveva 23, fotografo da ……sempre, Lanfranco Colombo è il personaggio più importante di quella che è oggi la fotografia italiana.
Lanfranco Colombo e Gianni Berengo Gardin (© G.M.-Rovereto 2007)
«Ho iniziato a fotografare all'età di 8-9 anni con una Voigtländer piccolina, a soffietto, regalatami da uno zio. Allora mi piaceva spigolare, prendevo degli appunti per crearmi un archivio di immagini. All'inizio dell'ultima guerra sono stato in Ungheria con due amici di Bergamo, ospite di un'università per stranieri, e qui ho fatto le prime foto a colori con la pellicola Agfa. Da quest'esperienza ne è nato un libro, il mio primo libro fotografico: "Terzetto in Ungheria", dove ho presentato delle immagini, che mi hanno entusiasmato, dell'ultima processione di S.Stefano in Buda vecchia il 15 Agosto. Al mio rientro in Italia, ho fondato a Varese, dove ero sfollato, l'associazione culturale italo-ungherese. Proprio a Varese ho iniziato la mia attività di giornalista entrando nella "Prealpina", quotidiano locale. Nel frattempo mi interessavo di una zincografia, di cui ero comproprietario e di cui curavo la parte fotografica per la riproduzione dei cliché in zinco. Durante l'ultimo periodo della Prima Repubblica di Salò, ho aderito al Partito d'Azione e con degli amici stampavamo un giornale clandestino "Gli Annunciata". A 21 anni, dopo la liberazione, presi in mano il quotidiano la "Prealpina" che diventò il "Corriere Prealpino" stampato per la prima volta in piana. Per due anni feci il caporedattore; poi intervenne la mia famiglia che non considerava il giornalismo una professione dignitosa e sono entrato, come dirigente commerciale, in un'industria siderurgica. Ho però continuato a impegnarmi nel filone culturale intrapreso perché sono persuaso che gli uomini della mia generazione del Nord Italia hanno mancato a degli appuntamenti ben precisi dopo il periodo "eroico" della Resistenza. Ad un certo punto ho lasciato la fotografia per dedicarmi al cinema. Nel '52-'53 ho realizzato due cose importanti: "La Scuola Bianca", cioè la nascita di una scuola di sci in alta montagna a Ponte di Legno e "Il Casellante", la storia del custode di uno dei caselli della ferrovia Milano-Genova, vicino a Pavia, dove quest'uomo viveva poveramente in una casa bombardata dal rumore dei numerosi treni che passavano e dagli insulti della gente ferma al passaggio a livello chiuso. Fare del cinema, per me, è sempre stata un'occasione per uscire dallo stress della vita, dal consumismo che cominciava a fagocitarci. Nel '57 ho colto l'occasione di fare la mia prima mostra circolante di fotografie sullo sci nautico. Una mostra con una sua fisionomia ben precisa in contrapposto al divagare delle immagini "smiling" della caramellosa fotografia pubblicitaria che si usava allora in America. Inaugurata a Milano, in seguito, è stata portata laddove si effettuavano gare importanti, tra cui i "Campionati d’Europa".
Nel '62 da un viaggio di piacere in Medio Oriente, sono ritornato con delle immagini significative dell'impatto e dei contatti di un viaggiatore frettoloso con un paese, con della gente, con una realtà diversa da quella che abitualmente vive. Ho mostrato le mie fotografie a Luigi Crocenzi del Centro Studi di Fotografia di Milano e con Giancarlo Iliprandi abbiamo cominciato a creare “Ex Oriente”; il testo è di Franco Fortini. Con questo libro ho vinto il premio Nadar. Giunto inaspettato, questo premio mi ha dato la carica, l'entusiasmo per fare un altro fotolibro: "Cinque Rune", viaggio nell'Europa Settentrionale. La runa è la pietra del Nord sulla quale viene scolpito un capitolo di storia; quindi cinque rune sono cinque capitoli. Per questo libro, invece, mi è stato assegnato il premio Award per il miglior libro fotografico di viaggio organizzato da Popular Photography: mai avrei pensato che pochi anni dopo avrei preso in mano l'edizione italiana di questa rivista.
Assieme ad Umberto Eco ho collaborato, per la parte visiva, al libro di un prete operaio, Edgardo Rossi "io sono un cristiano", una specie di Vangelo per gli operai, dove ho cercato di fare delle fotografie che potessero sostituire la vecchia iconografia classica della trinità, di Dio, di Gesù: immagini di impegno sociale, più vicine alla realtà di oggi. Verso la fine del '64 sono stato chiamato a dirigere Popular Photography Italiana che, in quel particolare momento, stava andando male. Era un rischio molto grosso che ho accettato con l'entusiasmo di sempre e, adagio adagio, ho trasformato la rivista. Il continuo contatto con i fotografi mi aveva portato a capirli, perché si sentivano snobbati o addirittura neanche presi in considerazione dagli operatori culturali, dagli stessi editori, per cui mi sono reso conto che era il momento di poter creare una galleria, cioè una base di appoggio, un punto di incontro che li inserisse nei canali classici dell'arte.
© Lanfranco Colombo, Islanda 1967
Nel '67 è nato "Il Diaframma", prima galleria privata al mondo dopo la "291" di New York. Il Diaframma è il completamento della rivista, non è mai stato sostenuto da nessuno e non ha un ritorno se non con una limitata vendita di libri. E' aperto a tutti i fotografi sia ai più giovani cha agli affermati; questi ultimi per dare uno stimolo, per essere pietra di paragone, per essere storia della fotografia: Henri Cartier Bresson, Robert Capa, Werner Bischop, André Kertész, Lee Friedlander. Tutti i fotogiornalisti italiani vi hanno esposto le loro opere; Antonioni stesso ha presentato la documentazione di "Blow up". La galleria è divisa in due piani, nella parte sotto, non perché sia meno importante, ma perché essendo una "cave" aveva già il sapore dell'underground, abbiamo cercato di riservarla ai giovani per dare loro la possibilità di farsi conoscere. Uno degli scopi del Diaframma è di essere un punto di partenza per delle mostre itineranti che facciano conoscere i fotografi italiani all'estero. Oggi siamo arrivati alla 170a mostra . Nel '68 ho avuto l'incarico di curare la parte culturale del SICOF, salone merceologico di prodotti di cine, foto, ottica.
Ho organizzato una media di 25-30 mostre di fotografie per volta di estrazione diversa; da una parte tenevo conto del valore estetico, del divertimento sempre però con un certo tipo di impegno, dall'altra aumentavo man mano la parte storica e sociologica».
© Lanfranco Colombo, Pony islandese 1967
Come mai, partito dalla fotografia, passato attraverso la pittura, il cinema, sei ritornato alla fotografia?
«La fotografia, nella cosiddetta civiltà dell'immagine, è il mezzo più immediato per avvicinarmi agli uomini perché ti dà la possibilità di comunicare con loro. Tutte le altre arti sono già state codificate, glorificate, la fotografia è stata la più bistrattata, la più meschina per cui, per una scelta originaria, mi sono sentito di difenderla da solo, per tanti anni, con una preparazione scientifica limitata, forse da don Chisciotte, ma che ha avuto un seguito».
Secondo te la fotografia attualmente è in crisi o ha un futuro?
«Ciascun operatore di immagine bisogna che sia adattabile ai nuovi mezzi dai quali può essere coinvolto; deve però impegnarsi ad usare il proprio linguaggio».
Consideri la Body-Art una delle espressioni di questo linguaggio? (n.d.r. body-art: linguaggio del corpo espresso fotograficamente).
«Sono alieno da tutto: dai concettuali, dai comportamentisti, da questa nuova possibilità degli operatori culturali di servirsi del mezzo fotografico per creare. Attualmente sono in attesa e direi scettico nei confronti di certe facilità di esecuzione furbe più che intelligenti, di operazioni evidentemente supportate, aiutate e ampliate dalla critica alla quale diventa più facile sciorinare un linguaggio ermetico o concettuale difficile da capirsi, così da poter mescolare le carte con più facilità. Perciò sono contrario a certe speculazioni, in parte di taglio esibizionistico, che creano il collezionismo d'arte».
In definitiva cos'è la fotografia per te?
«La fotografia è un mezzo di espressione personale, di impegno culturale, per riuscire a comunicare con gli altri e, in un momento come questo, in cui penso sia particolarmente difficile il messaggio fra gli uomini, trovo che sia fondamentalmente importante potersi capire attraverso un linguaggio universale quale è quello fotografico».
© Lanfranco Colombo, Nascita dell'isola di Surtsey-Islanda 1967
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Questo articolo, che ripubblichiamo per gentile concessione dell'Autrice, è apparso originariamente nel Giugno 1975 sul periodico “Speciale NordEst".
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attilio lolini, "notizie dalla necropoli", ristampato in modalità open access da diacritica edizioni
attilio lolini, “notizie dalla necropoli”, ristampato in modalità open access da diacritica edizioni
Attilio Lolini notizie dalla necropoli
A cura di Carlo Bordini, Giuseppe Garrera, Sebastiano Triulzi
Torna a disposizione dei lettori, gratuitamente per tutti e in formato digitale, notizie dalla necropoli di Attilio Lolini.
Diacritica Edizioni, «Arianna – I libri ritrovati», 1 Collana diretta da Carlo Bordini, Giuseppe Garrera, Sebastiano Triulzi pp. 84, formato PDF, open access ISBN…
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