#Basi di fotografia
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marcoandriola · 2 years ago
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Le basi della fotografia
Guida alla Fotografia Parte 1 Le Basi della Fotografia
Le Basi della Fotografia Che si tratti di una Reflex, una Mirrorless o lo Smartphone che utilizziamo quotidianamente la fotografia ha un qualcosa che accomuna tutti questi strumenti, uguali per principio di funzionamento ma diversi per costruzione, questa è la LUCE. Questo è il primo capitolo su Le Basi della Fotografia, articolo dopo articolo condividerò le mie conoscenze ed esperienze sul��
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carmenvicinanza · 10 months ago
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Ana Tijoux
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Ana Tijoux, cantautrice e attivista femminista è l’autrice del rap Cacerolazo! che nel 2019, è stato l’inno della rivolta al caro vita che ha portato il Cile all’attenzione mondiale.
Considerata la miglior rapper di lingua spagnola, ha ricevuto otto nomination ai Grammy.
Il suo nome completo è Ana María Tijoux Merino ed è nata a Lilla in Francia il 12 giugno 1977, figlia di esuli fuggiti dopo il colpo di Stato di Pinochet nel 1973.
È cresciuta respirando l’impegno politico e gli interessi artistici coltivati in famiglia fra danza e fotografia..
La passione per l’hip hop e le culture di strada sono state le basi della sua carriera artistica.
Tornata in Cile nel 1993, sin da giovanissima suonava con diverse band.
A vent’anni aveva già inciso il primo disco Vida Salvaje con i Makiza seguito, a distanza di poco, da Aerolineas Makiza salito al top del mercato hip-hop latino-americano. La band si è sciolta nel 2006 e lei, che intanto collaborava a diversi progetti e incideva brani per colonne sonore di film, si è concentrata sul suo primo album da solista Kaos che ha visto la luce nel 2007, ricevendo le nomination ai Latino MTV Video Music Awards nelle categorie Best New Artist e Best Urban Artist.
Il successo internazionale è arrivato due anni dopo con 1977, che prende il titolo dall’anno della sua nascita. Il disco, in gran parte autobiografico, cantato in spagnolo e in francese, ha segnato un allontanamento significativo dalla musica pop e dalle collaborazioni precedenti, dimostrando una maturità artistica che l’ha portata a esibirsi in festival internazionali e a fare un tour in Nord America. Segnalato da Thom Yorke, cantante dei Radiohead, tra i migliori prodotti dell’anno, è stato usato per il videogioco FIFA 11 e nella famosa serie tv Breaking Bad.
L’album La Bala (uscito nel 2011), ha ricevuto la nomination al Grammy Latino nella categoria Música Urbana.
Nel settembre 2012, Ana Tijoux ha aderito al progetto multipiattaforma “30 Canzoni per 30 Giorni” in sostegno delle donne oppresse in tutto il mondo.
Nel 2019 le sue casseruole in versione rap sono diventate la canzone simbolo della protesta contro il presidente miliardario Sebastián Piñera in Cile.
L’anno seguente ha celebra nuovamente quel grande movimento con il brano Rebelion de octubre, che ci ricorda come la sua dimensione artistica sia molto più articolata e profonda, toccando diverse sonorità e ribadendo il suo attivismo femminista decoloniale.
La sua musica intende rompere i confini di genere e farci ballare come risposta di gioiosa ribellione contro le ingiustizie della società.
Il suo ultimo lavoro Antifa Dance è una bella azione sonora basata su ritmi urbani, rap e movimento, intrisa dalla coscienza politica espressa attraverso parola e azione.
Ana Tijoux trasforma le proteste in canzoni potenti che sono un’iniezione di incoraggiamento in questi tempi di emergenza globale.
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tulipanico · 1 year ago
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Ciao! Mi piacciono molto le tue foto ( ⁠ ⁠•͈⁠ᴗ⁠•͈⁠) perché riesci sempre a mettere in risalto quei piccoli dettagli che spesso passano inosservati, volevo chiederti come hai imparato a fare foto cosi belle e se quindi avessi qualche consiglio per un principiante. Inoltre sono curioso di sapere quale macchinetta fotografica usi. Grazie! ✿
Ciao!!
Intanto grazie mille, per la domanda e per il fatto che ti piacciano, mi fa tanto piacere!!
Io non lo so, ne parlavo qualche settimana fa con un amico che mi chiedeva la stessa cosa. A me è venuto naturale, è come se avessi sempre fotografato. Solo che, prima, lo facevo attraverso le parole non avendo la macchina fotografica: scrivevo ciò che attirava la mia attenzione, ci ricamavo storie, pensieri, emozioni. È come se quelle parole fossero diventati scatti, immagini tangibili. Le basi le ho imparate facendo un corso, il gusto guardando tante foto, ma poi di base scatto ciò che mi emoziona. Mi piace pensare che la fotografia sia una sorta di esercizio quotidiano alla meraviglia, sicuramente ora sono moooolto più reattiva a ciò che mi circonda.
Come macchina ho una Canon (2000d) con su una lente fissa (50mm, 1.8). Per qualsiasi domanda o per due chiacchiere son qua 🍬
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ballata · 7 months ago
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Lo scopo di Hamas non è uno stato Palestinese, ma una guerra di religione per spegnere l'ultima scentilla di indipendenza e libertà in una parola Israele. Prendono mensilmente centinaia di milioni di euro eppure è sempre stato tutto abbandonato, hanno usato i soldi solo per tunnel, hanno 36 ospedali alcuni stati Arabi solo 1, ma solo perché li usano solo come basi terroristiche.
Il loro fine è solamente uno stato Islamico esteso, poi faranno ( e lo stanno già facendo ahimè) lo stesso in Europa. Ricordate che dopo il popolo del Sabato toccherà al popolo della Domenica..
La Palestina è un business umano fondata da un delinquente internazionale che fu Arafat. Un azienda basata su vittime, terrore e collaborazione di intere famiglie criminali cresciute ad odio e ak47.
L' islam peggiore quello radicalizzato dell intifada.
Invocano il decolonialismo della Palestina solo le orrende dittature islamiche, Libano, Siria, Yemen, Iran, Afghanistan. Raccontano attacchi terroristici come "Resistenza", è Guerra come "genocidio; forse la fotografia più chiara di un'ideologia confusa e intrisa di una religione del terrore. Il loro mantra è "Morte al sionismo". I centri sociali Europei ( dove si rifugiano migliaia di migranti coranici) invocano lo sterminio di Israele, glissando su sharia,lapidazioni, gay defenestrati, spose bambine. In Israele, virgola geografica e democratica all'interno d'un mare di nazioni ferocemente islamizzate puoi fare cio che vuoi, potete dire lo stesso degli stati che circondano Israele e che vogliono cancellarlo? Ma per favore!
Potreste partire volontari e andare a combattere insieme alle brigate di hamas, un foulard verde in fronte, un ak47, e via a divenir martiri. E visto che sono maschilisti e ferocemente patriarcali in vita, anche da morti avrete 12 vergini con cui sollazzarvi in modo che non ci sia mai fine allo schifo morale anche nel vostro aldilà.
Riconoscerai l'albero dal frutto.
#liberopensiero #robertonicolettiballatibonaffini #israel #hamás #jerusalém
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chez-mimich · 1 month ago
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LA NAISSANCE DES GRANDS MAGASINS
L’ascesa della borghesia francese, durante il cosiddetto Secondo Impero, favorita da Napoleone III, ( che ricordiamolo è colui che diede il compito al barone Haussman di ridisegnare completamente Parigi) crea le condizioni ideali per la nascita del “grande magazzino”, come centro del commercio al dettaglio. Quell’evento, quasi prodigioso, simbolo per eccellenza della modernità, celebrato nella pittura, nella fotografia e nella letteratura, segnerà la storia del costume europeo prima e mondiale poi. La culla del grande magazzino è Parigi e proprio qui, al Musée des Arts Decoratifs, è allestita una mostra che raccoglie, manifesti, maquettes, oggetti, costumi, fotografie e molti altri materiali del rutilante mondo dei grandi magazzini, soprattutto parigini, della fine del XIX secolo (mostra aperta fino al prossimo 13 ottobre). I grandi magazzini sono all’origine di una rivoluzione commerciale che farà entrare la Francia in un nuovo ordine sociale ed economico, ovvero quello del consumismo. La mostra, attraverso nove documentatissime sezioni, segna le tappe, più concettuali che cronologiche, di questo percorso. Per dare la misura di questa rivoluzione del costume e dell’economia, ricordiamo che Émile Zola nel 1882 realizza una sorta di reportage presso i Grands Magasins du Louvre per la preparazione del suo romanzo “Au Bonheur de Dames”. Da un punto di vista meramente commerciale e del costume, i grandi magazzini, rivoluzionano il concetto di commercio a partire dall’abbigliamento della persona (soprattutto della donna), aprendo le porte al concetto stesso di moda. È qui infatti che in uno stesso reparto si trovano tutte, e tutte insieme, le componenti dell’abbigliamento, ma anche della toilette. Anche le "ventes spéciales", che noi chiamiamo oggi "saldi", nascono in seno ai grandi magazzini parigini e gli “affiches” di queste vendite sono quanto di più gustoso offra la mostra del MAD. La trionfante società borghese consente, all’epoca, una rapida crescita demografica e, soprattutto per le classi sociali più agiate, fa strada il giocattolo come strumento ludico-educativo. Anche i giocattoli, su produzione in larga scala, fanno la loro comparsa proprio nei grandi magazzini già dal 1870, così come le più raffinate strategie pubblicitarie che cercano di far leva sulle giovani mamme attraendole verso il prodotto dedicato al bambino. Ma le innovazioni del grande magazzino non finiscono qui; la mostra infatti dedica una ampia sezione alle vendite per corrispondenza, attraverso un apparato fotografico e supporti video. Amazon in fondo non ha inventato niente di nuovo: attraverso accuratissimi cataloghi, esposti in mostra, gli acquirenti potevano scegliere il prodotto anche per corrispondenza. Nel 1912 “Au Printemps” si inaugura l’atelier “Primavera” (curioso l’uso del termine italiano che richiama il nome originale del grande magazzino), un atelier che produrrà mobili e oggetti d’arte in serie, una produzione seriale insomma, che sarà qualche decennio dopo, con altre basi ma con la stessa intenzionalità, la grande novità del Bauhaus di Weimar e Dessau. A Parigi atelier saranno aperti presso le “Galeries Lafayette (Atelier “La Matrise”), Le “Bon Marché” (Atelier “Pomone”) e ancora nel 1923 “Les Grands Magasins du Louvre” (“Studium Louvre”). Tra le gli oggetti esposti, quelli che stimolano maggiormente l’immaginazione sono a mio avviso le affiches, alcune compositivaente e, perché mo, artisticamente pregevolissime, come per esempio il manifesto per “Samaritaine” di Emilio Vila del 1929 o la fantasmagorica litografia de i “Magasins Crespin-Dufayel (manifesto di proprietà del MAD), così cime deliziose sono le litografie di Jules Cheret per “Aux Buttes Chaumont”, i magazzini del Boulevard de la Vilette. L’apparato fotografico di tutto rispetto, ha certamente il suo pezzo migliore nell’album fotografico, diviso per reparti di vendita, dell’organigramma completo del personale (direttori, capi, impiegati, commessi) de “Le Bon Marché Rove Gauche” del 1887. Una mostra insomma strabiliante in una città sempre strabiliante.
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enkeynetwork · 4 months ago
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lamilanomagazine · 6 months ago
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Milano: al via al programma "A Luci Accese", il Comune con il brand Durex insieme per la diffusione dell'educazione affettiva
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Milano: al via al programma "A Luci Accese", il Comune con il brand Durex insieme per la diffusione dell'educazione affettiva. È stato annunciato con un evento tenutosi a Palazzo Marino, l'accordo tra Comune di Milano e Reckitt Benckiser Healthcare, con Durex Italia, che si prefigge di garantire un accesso sempre più esteso a interventi di educazione affettiva e sessuale per i giovani studenti e studentesse milanesi. L'accordo, che riguarderà anche la realizzazione della nuova edizione dell'Osservatorio "Giovani e Sessualità" sul territorio di Milano, rende ufficiale la collaborazione tra le parti nell'ambito del progetto "A Luci Accese", e porterà Milano ad essere tra le prime città in Italia a prevedere, dall'anno scolastico 2024/2025, una proposta di corsi di educazione affettiva e sessuale nelle scuole superiori. Secondo quanto riportato dal Report-GEM dell'UNESCO 2023, l'Italia è tra le sole sei nazioni europee che attualmente non hanno disposto programmi formali e obbligatori di educazione affettiva e sessuale nelle scuole, insieme a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania. Una mancanza, questa, che unita alle evidenze emerse nell'annuale Osservatorio "Giovani e Sessualità" di Durex, dimostra la scarsa consapevolezza delle scelte dei giovani in questo ambito e rende ancora più importante e urgente l'adozione di interventi volti a colmare questo vuoto. Nello specifico, l'Osservatorio - tra le principali, più ampie e approfondite fonti in materia in Italia - è condotto da oltre sei anni a livello nazionale su un campione di circa 15mila giovani tra gli 11 e i 24 anni e fornisce una fotografia molto chiara rispetto alle richieste, necessità e comportamenti dei giovani italiani. Da quest'anno, inoltre, Durex ha approfondito l'analisi prevedendo anche un'estrazione del dato riferito alla città di Milano, allo scopo di valutare eventuali differenze rispetto alla media nazionale. I dati hanno dimostrato che a Milano e provincia emerge una situazione molto simile al panorama nazionale, con un approccio a sessualità e affettività precoce e molto spesso inconsapevole, basato su conoscenze a volte errate e su informazioni non sempre chiare, che determinano però comportamenti a rischio per se stessi e per gli altri. Tra i numeri più significativi emerge come 1 giovane milanese su 10 (9,5%) ha il suo primo rapporto sessuale prima di compiere 13 anni, 6 su 10 (56,2%) non utilizzano sempre il preservativo e, soprattutto, che la quasi totalità di loro (95,1%) vorrebbe l'educazione affettiva e sessuale come materia scolastica. "La partnership con il Comune di Milano è un passo avanti cruciale e significativo nella missione di Durex di promuovere una sessualità libera, protetta e consapevole e nel diffondere l'importanza dell'educazione affettiva e sessuale tra i giovani – ha dichiarato Paolo Zotti, Amministratore Delegato di Reckitt Benckiser Healthcare (Italia) Spa, che commercializza il brand Durex in Italia –. I dati che emergono dalla nostra annuale osservazione sono allo stesso tempo allarmanti e illuminanti e proprio per questo siamo orgogliosi che il Comune di Milano abbia scelto di collaborare direttamente con noi con l'obiettivo di offrire ai giovani milanesi gli strumenti, le conoscenze e le risorse necessarie per affrontare la propria sessualità in modo responsabile e consapevole. Il programma "A Luci Accese", attivo nelle scuole superiori di Milano dall'ottobre 2023, ha rappresentato un primo e concreto passo in avanti in Italia sul tema dell'introduzione dell'educazione affettiva e sessuale nelle scuole ed è nato con il molteplice obiettivo di favorire un'educazione affettiva che possa porre le basi per rapporti 'sani', fondati su valori quali il rispetto ed il consenso, oltre a fornire informazioni chiare e corrette rispetto alla sfera dell'affettività e della sessualità, dell'impatto delle scelte in ambito sessuale sulla salute. "Ci auguriamo che questo possa essere solamente un primo passo d'ispirazione per altre realtà locali e nazionali, a intraprendere un percorso di educazione alla sessualità e all'affettività rivolto ai più giovani – ha dichiarato Laura Savarese, Direttrice Affari Regolatori e Relazioni Esterne di Reckitt Benckiser Healthcare (Italia) Spa –. Il team Durex, in qualità di brand leader nella categoria del benessere sessuale, è da anni impegnato nell'ascolto dei giovani e questo ci ha permesso di acquisire una migliore conoscenza del disagio che spesso vivono ed una competenza approfondita sulle aree prioritarie di intervento per programmi educazionali e di prevenzione sociale e sanitaria. Grazie a questo e ad una rete di esperti del settore, psicologi, sessuologi, possiamo oggi sviluppare e proporre percorsi educazionali rivolti alle scuole, con un approccio innovativo basato su piccoli gruppi di dialogo che facilitino un confronto trasparente, materiali educativi e informativi, sportelli di ascolto e spazi inclusivi e non giudicanti. In questi anni di impegno in questo ambito, abbiamo scelto di non ignorare le richieste provenienti da ragazze e ragazzi di tutta Italia, di dialogare con loro e di mettere il nostro know-how a disposizione di tutte le forze istituzionali, politiche, sociali e medico-scientifiche per agire insieme direttamente e concretamente". L'iniziativa, organizzata in collaborazione con ALA Milano ONLUS, si rinnova e si amplia, con ancora più forza, con l'obiettivo di introdurre l'educazione affettiva e sessuale nelle scuole in tutto il territorio e di coinvolgere sempre più giovani, allineando Milano al resto d'Europa e rendendola, così, esempio e motore per il resto del Paese. L'attività educativa "A Luci Accese" per l'anno scolastico 2024/2025, al centro dell'accordo con il Comune di Milano, sarà curata da Reckitt Benckiser Healthcare con Durex Italia in collaborazione con l'Associazione ALA MILANO ONLUS, Associazione No Profit, la quale si occupa di tutela della salute e promozione del benessere delle persone. L'iniziativa prevede la proposta di percorsi educazionali sull'affettività e sulla sessualità rivolti alle scuole secondarie di secondo grado della città di Milano che, quindi, può diventare un esempio virtuoso a livello nazionale nonché la prima città italiana in linea con gli standard europei in materia. Più nel dettaglio, il programma proposto nelle scuole avrà molteplici obiettivi, tra cui aumentare la conoscenza in tema di sessualità e prevenzione, favorire rapporti sani, fondati su rispetto e, fornire informazioni chiare e corrette rispetto alle Infezioni Sessualmente Trasmesse, favorire la consapevolezza verso l'uso dei contraccettivi, dei metodi di prevenzione e dell'accesso a servizi diagnostici. In continuità con quanto già avvenuto nella prima edizione, ognuna delle classi coinvolte parteciperà ad un laboratorio interattivo di 6 ore, suddiviso in 3 incontri con professionisti specializzati (educatori, psicologi, sessuologi) che utilizzeranno una metodologia attiva e partecipativa. Inoltre, verranno proposti momenti di riflessione e condivisione di gruppo e verranno garantiti spazi di ascolto non giudicanti per facilitare l'emergere di domande e vissuti personali. Riguardo ai genitori, verranno messi a disposizione materiali informativi e video educazionali realizzati da personale qualificato tramite una piattaforma digitale dedicata. Nel percorso di adesione al progetto, ogni istituto potrà partecipare ad un incontro di presentazione rivolto a dirigenti scolastici. Inoltre, per le scuole aderenti saranno costruiti percorsi per condividere il progetto con il personale docente e i genitori degli studenti coinvolti. Nel 2023 Durex ha realizzato la sesta edizione dell'Osservatorio Giovani e Sessualità, in collaborazione con Skuola.net e con il supporto di EbiCo – una cooperativa sociale ONLUS riconosciuta come Spin-Off Accademico dell'Università di Firenze. Questa ricerca, alla quale hanno aderito 15mila giovani tra gli 11 e i 24 anni, fotografa le conoscenze, i comportamenti e le abitudini delle ragazze e dei ragazzi italiani in riferimento all'affettività e sessualità e mostra, ormai con continuità, un approccio molto spesso inconsapevole su questi temi, basato su conoscenze a volte errate e su informazioni confuse che determinano comportamenti a rischio per se stessi e per gli altri. Proprio nel 2023, per la prima volta, l'osservazione è stata svolta anche con uno specifico focus sulla città di Milano, dalla quale è emerso un trend in linea rispetto ai dati raccolti a livello nazionale. Il 41,7% (+3% rispetto al dato nazionale) dei rispondenti, ad esempio, afferma di aver avuto il primo rapporto sessuale tra i 17 e i 18 anni, ma c'è anche chi dichiara di aver avuto la sua prima esperienza prima dei 13 anni (9,5%). Allo stesso modo, parlando di contraccezione, alla domanda relativa al coito interrotto il 33,6% (-5,7% rispetto al dato nazionale) ha risposto definendolo un metodo efficace contro gravidanze indesiderate o Infezioni Sessualmente Trasmesse. La situazione, seppur migliore rispetto ai dati nazionali, è poi ulteriormente complicata dallo scarso confronto e dialogo in famiglia. I giovani, infatti, non sembrano sentirsi a loro agio nel discutere questi temi a casa: il 47,1% (+1,8% rispetto al dato nazionale) dichiara di ricorrere ad Internet per chiarire i dubbi in ambito affettivo e sessuale e tra questi la maggior parte lo fa per l'imbarazzo di chiedere a qualcuno (31%) e perché non sa a chi rivolgersi (9,8%), con il rischio di esporsi a fake news e informazioni sbagliate e fuorvianti. Solo il 9,3% si rivolge ai genitori, il 5,5% al medico, il 15,2% chiede aiuto agli amici (+3% rispetto al dato nazionale) e l'11,9%, semplicemente, non chiede a nessuno. Le motivazioni di questo silenzio e chiusura potrebbero risiedere nell'imbarazzo e nella vergogna che i giovani affermano di provare nel chiedere o nel parlare con qualcuno di questi temi, oltre che nella mancanza – culturalmente tipica del nostro Paese – di educazione e comunicazione su queste tematiche. Infine, e questo è probabilmente il dato più significativo, ben il 95,1% dei giovani milanesi (+1,4% rispetto al dato nazionale) crede che l'educazione alla sessualità e all'affettività dovrebbe essere offerta come materia nel curriculum scolastico.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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littlepaperengineer · 10 months ago
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Non ho scelto strade facili credo. Ho avuto sempre paura delle strade sbagliate, del rovinarmi un'opportunità.
Non mi piaceva e non capivo la matematica, così mi sono messo a studiarla, l'ho resa la mia strada. E mi sono laureato in ingegneria, magistrale con quasi il massimo dei voti.
Sono arrivato a non capire più cosa volessi, perché tutto era indifferente. Certo, quando sei così lontano dai talenti e valori personali può capitare.
La fotografia e la creatività non le ho mai abbandonate, così come neanche la strada umanistica. Tant'è che è lei ad avermi ripescato. Negli ultimi anni ho costruito un castello di abilità e competenze. Insomma, mi sono rifatto, un'attività fotografica che non va benissimo ma anche le basi per farla funzionare. Poi l'amore per la pittura.
Penso che magicamente la vita mi abbia messo sempre alla prova, rivelandomi nel momento giusto le strade celate per vari motivi. Così come quando mio padre ha comprato una reflex digitale, che avevo 19 anni... Così come quando ho ripreso a fotografare per eventi, ed ho scoperto il mondo delle mostre a pochi mesi dalla laurea magistrale.
Adesso che di proseguire nel costruire sono dubbioso, che costruire significa continuare a darmi da fare ma con compromessi troppo grandi, mi sento perso. Le due strade sono tracciate, ma possibile che non trovi ancora la direzione giusta da prendere, quella che mi faccia sentire minimamente soddisfatto e appagato? Cosa e quando deve succedere per illuminarmi il cammino? Quale passo dovrei compiere che non riesco a vedere? Forse trasferirmi altrove?
E poi, mi manca tanto l'amore. In questi ultimi mesi ho perso dei punti fermi, nella mia città ed in quella "nuova", che tra le due fazioni ho preferito scegliere persone nuove.
Dove sta la mia stella cometa?💫
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silviascorcella · 1 year ago
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Act N°1 a/i 2018: Show n°0, una riflessione attuale in codice sartoriale
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Sembra una polaroid di questa nostra eclettica epoca fashionista: sì esatto, proprio quella fotografia concreta e maneggevole, non racchiusa nell’effimero digitale di una nuvola che si può vedere ma non si può afferrare, bensì fatta di sostanza e che prende vita al momento in cui viene scattata. Sì esatto, proprio quel genere di fotografia che apparteneva al secolo scorso, che sembrava estinta ma no, non lo è, perché le icone, così come la verve da sottocultura che invade le strade e lo stile di vita e di guardaroba, non si estinguono, ma si reinventano e ci accompagnano. 
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Ecco, la collezione di Act N°1 a/i 2018-19 andata in scena su una passerella d’eccezione all’appena trascorsa edizione di AltaRoma, ovvero la Galleria Nazionale di Arte Moderna, ha il potere di una polaroid: un ritratto diretto, giovane eppur consapevole, schietto e intrigante nella sua imperfezione, della realtà nella quale siamo immersi e con la quale ci si diletta ad esprimersi. 
Dopotutto s’intitola “Show n°0”: come fosse una messa in scena sincera dell’attualità senza alcun grado di separazione tra noi e gli abiti che han sfilato. E i vari mondi che la loro apparenza sartoriale composita e la loro ispirazione culturale complessa han raccontato. 
Primo fra tutti, il mondo squisitamente personale della cultura d’appartenenza che ha intriso di ricchezza multiculturale l’infanzia dei due fashion designer, che del brand sono fondatori e anime creative: Luca Lin e Galib Gassanoff. L’infanzia e i ricordi saporiti che di essa ancora restano e che nutrono l’ispirazione dei due creativi: l’infanzia dunque, il primo atto dell’esistenza e la prima tessera del mosaico della propria identità, quando si creano le basi dello spettacolo che si protrarrà per tutta la vita e le sue evoluzioni. Eccolo qua, il primo atto: l’Act N°1!
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Per comprendere al meglio è necessario fare un passo all’interno delle relative autobiografie: entrambi son giovanissimi, entrambi son cresciuti sul territorio emiliano-romagnolo e maturati nella moda a Milano, ma al contempo entrambi provengono da origini estere, Luca Lin è nato da genitori cinesi e Galib Gassanoff è nato e cresciuto in Georgia da genitori azeri. 
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Et voilà il fil rouge che dà forma e corpo alle collezioni del brand Act N°1 e che si riallaccia anche nella collezione a/i 2018-19: il bagaglio prezioso che viene dal métissage culturale personale è sottoposto all’attitude studiatamente scomposta di quel grunge anni ’90 che ancora esercita la sua attrazione, in questo caso creando un vero mash-up tra il pregio della materia lavorata e il cool dell’attitude streetwear. Il tutto è poi tradotto attraverso l’esattezza tipica della manifattura sartoriale italiana. 
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L’occhio e il gusto devono star bene attenti: quelli che sembrano esercizi di styling sono operazioni di stile molto sottili, dove il mix di provenienze provoca la stratificazione appassionata, che a scomporla rivela le stampe ricercate tratte da acquerelli originali cinesi, i jacquard preziosi dove sbocciano le peonie, i pattern grafici che ricreano i motivi dei tappeti orientali direttamente dall'arredamento post-sovietico degli anni ’90. 
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E via scomponendo si gode l’effetto che fa il  collage di capi d’abbigliamento e d’icone prese da epoche stilose che sembrano lontane eppur son così recenti: patchwork di pezzi di vestiti decostruiti, ovvero smantellati per poter essere poi riassemblati, in particolare quelli dal gusto sporty come le felpe che si fondono negli abiti, i bomber military che s’incastonano nelle bluse, le due camicie che diventano minidress e il tulle lieve che ricopre l’aplomb del cappotto dritto e materico. 
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Passo dopo passo, anzi, strato su strato si va verso un’eleganza rivisitata con la stessa urgenza della mescolanza: le stampe delle vesti che rievocano il kimono han bisogno della grinta del denim che si affaccia da sotto, il velluto elegante degli abiti va annodato con rapida nonchalance in vita e l’invasione luminosa delle paillettes è da gran finale. Ma sempre intrise da quell’attitude casual che non fa rinunciare alla felpa, mai, nemmeno quando prende la voglia irrefrenabile d’indossare anche un bel paio di cuissard glitterati.
Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
{ Photo backstage ©Grey Magazine }
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carmenvicinanza · 2 years ago
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Sophia Goudstikker
https://www.unadonnalgiorno.it/sophia-goudstikker/
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Sophia Goudstikker è stata una fotografa e poi avvocata, pioniera del femminismo, vissuta tra il 1800 e 1900.
Ha testimoniato coi suoi lavori, il suo modo di vivere e l’inarrestabile attivismo, la necessità di ridefinire gli spazi destinati alle donne.
Lesbica dichiarata, con una fisicità ostentatamente mascolina, sfidava le convenzioni del tempo. Capelli corti, abiti comodi e di foggia maschile, ha posto le basi di una nuova visione della donna, libera dagli stereotipi dell’epoca vittoriana.
È stata la prima donna non sposata in Germania a ottenere una licenza per la fotografia e la prima a discutere casi di minori in un tribunale.
Nata a Rotterdam, in Olanda, il 15 gennaio 1865, dopo due anni si trasferì con la famiglia a Amburgo, in Germania.
Frequentò la scuola d’arte a Dresda dove conobbe Anita Augspurg con cui nacque un importante sodalizio. Insieme, per la prima volta in tutta la Germania, nel 1887 a Monaco, aprirono un’attività tutta al femminile, quello che divenne il mitico Atelier Elvira,  fucina del movimento femminista tedesco.
Uno studio fotografico che divenne un luogo di incontro per le avanguardie artistiche e culturali dei tempi come Isadora Duncan, la Granduchessa di Lussemburgo, Rainer Maria Rilke e tante altre.
Il lavoro nell’atelier delle due donne andò di pari passo con il loro impegno femminista.
Lo studio venne poi chiuso durante la Grande Guerra e il mitico edificio Liberty turchese e viola con la tartaruga e il drago in rilievo sulla facciata, venne distrutto nei bombardamenti.
Con la sua pratica omosessuale disinvolta e libera, Sophia Goudstikker ha ispirato i personaggi di tre libri del tempo: Hans nel libro di Lou Andreas-Salomé L’erotismo. L’umano come donna; lei in Lei e Lui di Frieda von Bülow e Box ne Il terzo sesso di Ernst von Wolzogen.
Libera, emancipata e ribelle, si è battuta per dare alle donne la possibilità di accedere agli studi universitari e farle avanzare negli ambiti sociali e artistici.
Il suo attivismo per i diritti delle donne la spinse a fondare uno studio legale e venne molto apprezzata nel dibattere cause per minori in tribunale, per le quali non serviva la laurea.
La sua relazione con Ika Freudenberg, protagonista di tante battaglie emancipazioniste, con cui visse un sodalizio intellettuale e sentimentale, durò per tutta la sua vita, interrotta a Monaco il 20 marzo 1924.
Sophia Goudstikker ha dato un notevole contributo alla pratica femminista in Germania. Ha portato avanti il concetto di comunità di donne. Il suo studio era il luogo della libertà di genere, le sue stesse immagini testimoniavano il tentativo di andare oltre gli stereotipi e il binarismo imposti dalla società.
È stata una donna che ha osato sfidare la mentalità del tempo, con uno sguardo lungimirante e le idee chiare sulla società che desiderava.
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fashionbooksmilano · 2 years ago
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Steve Sabella   Archaeology of the Future
catalogo a cura di Beatrice Benedetti
testi di  Flavio Tosi, Antonia Pavesi, Karin Adrian von Roques, Steve Sabella, Nadia Johanne Kabalan, Leda Manosur, Beatrice Benedetti
Maretti Editore, Falciano 2014, 96 pagine, 18 x 25 cm,Testo Italiano e Inglese ISBN 978-88-98855-10-0
euro 25,00
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Mostra Verona, Centro Int.di Fotografia, Scavi Scaligeri  8-10 16-11 2014
Steve Sabella. Archaeology of the Future è il titolo del volume d'arte dedicato all' omonima mostra dell'artista di origine palestinese Steve Sabella in occasione di ArtVerona 2014. Perché un'archeologia del futuro? Il titolo della mostra è un paradosso, ma è soprattutto un Manifesto programmatico: solo scavando nell'esiguo passato di un'esistenza umana si possono rinvenire le basi di un singolo domani, per molti aspetti condiviso. E se il piacere di questa recherche -annotava Proust- consiste nel viaggiare con nuovi occhi, Steve Sabella è un viaggiatore vero. Dal suo sguardo s'intravvede l'esilio da Gerusalemme -dove è nato nel 1975- verso l'Europa. Tuttavia, al pari della quarta dimensione cubista, egli porta alla luce anche una visione interiore dello spazio e del succedersi degli accadimenti. Conoscere la biografia dell'artista -trasferitosi a Londra nel 2007 e a Berlino nel 2010- non basta a ripercorrere le tappe di un viaggio chiaramente non cronologico né geografico, bensì esistenziale.
04/01/23
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figlidiroma · 3 months ago
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Storia di un pezzetto di Roma: via di Monte Savello.
Fonti:
Foto Fondo Vedo Anticoli Portico d'Ottavia passanti
- info.roma
- roma segreta
- Mappe del Falda e del Nolli
- varie ed eventuali.
Nei rari momenti di quiete della città (vale a dire di mattina presto e a tardissima notte) c'è un dolce silenzio, in questa breve via cieca che si chiama oggi "di Monte Savello".
Via modesta, appartata, è difficile imboccarla di proposito; più spesso la si prende per sbaglio e poi, indispettiti, si torna indietro: non porta a niente, solo a un parapetto di pietra e travertino e, sotto, un vuoto popolato di rovine.
Il romano ha fretta di arrivare e tirerà un paio di mortacci mentre torna verso il Lungotevere. Il turista ha già visto ruderi più maestosi: difficilmente si impressionerà di questi.
Come tanti altri luoghi belli e defilati di Roma, non è raro che venga usata come orinatoio a cielo aperto o deposito di bottiglie vuote: le scalette che la riuniscono alla piazza sua omonima, con i capolinea dell'autobus 63, sono spesso ridotte a una latrina.
Però lei sopporta, mansueta, dimenticata, ora vespasiano, ora parcheggio, con il suo nasone al quale i disgraziati si fanno il bidè e i suoi vasi di cactus e di papiri spelacchiati tra cui dormono, tra le vespe, i gatti randagi.
Peccato: questa vietta ha tanto da raccontare. Basta sostarci un poco, toccare i muri, e si sentirà forse la dolcezza di una storia antica che attende, sommessa, qualcuno che la voglia ascoltare.
Certo, in questa zona - a destra la Sinagoga, alle spalle il Portico di Ottavia, davanti a noi la nave in eterna navigazione che è l'Isola Tiberina, a sinistra, oltre la vasta curva del lungofiume, la valle del Circo Massimo e la rocca dell'Aventino - qui, da dovunque inizi a raccontare c'è spazio per milioni di storie.
Non sarebbe forse nemmeno necessario scegliere proprio questo punto, quest'angolo particolare, e i millenni ci rotolerebbero dalle labbra solo a parlarne, come in quella bella favola della fanciulla che seminava perle e diamanti appena apriva bocca.
Però a noi, questo punto, piace perché ci possiamo sedere ad osservarlo sul muretto di San Gregorio ai Quattro Capi e ascoltare il vento che spettina i platani e porta su la voce antica delle rapide, giù a fiume.
Monte Savello, quindi.
Iniziamo.
Prendiamo le mosse da una bella fotografia trovata per caso sulla rete.
È stata scattata un giorno di maggio del 1961, il 18, un giovedì che, anche in bianco e nero, non appare meno radioso di come doveva essere a colori: la fonte è l’Archivio Luce.
Della nostra vietta indoviniamo l'angolo a ridosso della Chiesa di San Gregorio della Divina Pietà.
Per poco non si vede il punto in cui il muro della chiesa è tagliato da una buchetta di marmo che doveva servire per l'elemosina e che forse, in questi anni Sessanta ancora intensamente cattolici, poteva essere ancora attiva.
Da quasi centovent'anni la strada ha cambiato nome e, da una trentina, anche la forma.
Sì, perché si chiamava via dei Savelli, fino al 1883: quello è l'anno in cui molte vie cambiano nome e si gettano le basi di molte drastiche trasformazioni, per la nostra città.
Facciamoci un salto, al 1883, e lasciamo il sor Anticoli tranquillo, per ora.
Già poco dopo la presa di Porta Pia, i Savoia si sono trovati per le mani una Roma pastorale, sorniona e zuppa fino alle midolla di fango del Tevere (entrati loro il fiume, burlone, li ha subito benedetti con una piena come non se ne ricordavano di così formidabili da vari anni).
Vorrebbero farne una capitale europea, così, tra alterne interrogazioni del giovane Parlamento unitario elaborano un primo Piano Regolatore: è il 1873.
In dieci anni, dai di lima, dai di mazzette, ecco che siamo al 1883: vede la luce, depositato presso gli Uffici del comune, il Secondo Piano regolatore.
Questo pare il colpo di spazzola dato da una madre ottocentesca alla testa ribelle del suo figlio più piccolo, che intende portare a messa con i capelli leccati ma i cui ricci sfuggono da tutte le parti alle sue zaccagnate.
Per ora, comunque, la strada cambia solo di nome e non di forma: oltre alla villa Orsini, sulla sinistra verso il Teatro di Marcello, è tutta fitta di botteghe e c'è a destra un altro bell'edificio, palazzo Lercari, e poi case nel cui perimetro e cortile, affacciato al fiume, sbucano dei ruderi strani e dei vecchi abbeveratoi.
Le botteghe sono vecchie e hanno tutti degli aggeggi strambi appesi attorno alle porte: sono i robbivecchi, i stracciaroli, e più in là callarari, macellari, drogheri, tutto un mondo di voci e di facce e di odori e di forme che si affollano lungo il tracciato della via.
Carrozze salgono e scendono verso il Ghetto appena riaperto alla vita civile; vengono e vanno a piazza Montanara, luogo di mercato e di contrattazione dove si radunano poveri cristi da fuori Roma, i burini. Da Facebook raccogliamo la testimonianza che ancora qualcuno ricorda un adagio materno: e che joo faccio fà, ai burini de piazza Montanara?, come dire che là in piazza si trovava solo manovalanza scadente, inadatta a lavori di fino.
(nelle foto: via dei Savelli ovvero di Monte Savello; persone radunate nel portone di palazzo Lercari, anni '20, fonti varie tra cui Istituto Luce).
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Tempo nemmeno cent'anni, da quel 1883, e siamo di nuovo alla nostra fotografi anni '60, con i signori a spasso nei pressi della premiata bottega Anticoli.
La nostra via è già monca; non esistono più né piazza Montanara, né palazzo Lercari.
Il campo medio della nostra prima immagine è occupato da poche figure: ci sono tre macchine – la zona era già trafficata allora! - e forse una appartiene al distinto signore che attende di essere servito fuori dal materassaio.
Qui ci viene in sostegno la preziosa testimonianza di chi, quei luoghi, oggi li vive quotidianamente: il titolare del bar e rivenditoria tabacchi n. 125, collocata proprio in via di Monte Savello, che provvede la sua parte di memoria storica.
Il negozio di Anticoli, ci narra, passa nelle mani del sor Cesare dopo il 1955, anno cruciale, per la nostra storia, perché vi si gira La bella di Roma, dolce-amara cronaca d’un corteggiamento fallito in cui il tappezziere Gracco Marcelli - Alberto Sordi tenta di conquistare una bella e imprenditoriale Nannina - Silvana Pampanini.
A quest'altezza, il negozio futuro Anticoli è ancora di altri proprietari che vi hanno una rivenditoria di tessuti (forse Spizzichino).
Proprio là dentro si tiene il set per la tappezzeria di Gracco: tutti i materiali murari attualmente visibili nel bar sono originali e compaiono anche nel film di Sordi, dalla salitella al banco con i parapetti di ferro alle travature lignee originali, meritoriamente conservati dagli attuali gestori.
Il bar-tabacchi di oggi abbraccia tre distinti locali di ieri separati, uno dei quali era un'Osteria delle Quattro Stagioni attiva in periodo di guerra.
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Torniamo alla nostra foto.
Un'altra figura maschile si muove per via del Portico di Ottavia in direzione del monumento: sembra in divisa.
È diretto in direzione di largo Arenula, non sappiamo di più; potrebbe aver traversato il ponte dall'isola Tiberina, o forse ha girato l'angolo proprio da via di Monte Savello.
Quella via infatti, in questi anni, è ancora viva, a differenza di oggi; non solo vi si aprono i negozi che La bella di Roma indirettamente ci mostra ma abbiamo immagini di affissioni elettorali lungo il muraglione di villa Orsini, affissioni che non sarebbero state collocate, senza la ragionevole certezza di un adeguato passaggio di potenziali elettori.
Dall’edificio in cui si apre il materassaio, una donna si affaccia sulla strada con in braccio un pupo che sembra l’unico ad accorgersi della presenza indiscreta della macchina fotografica, verso la quale guarda ingrugnato.
Da quelle finestre spesso spalancate si scorge oggi, e ben chiara, la travatura del soffitto, analogamente esposta nel locale che occupa oggi gli spazi di Anticoli, un bar-tabacchi.
Difficile dire, senza chiedere ai proprietari, se quei travi sono originali, ma è plausibile che il palazzotto rimonti a un’epoca tra il Seicento tardo ed il Settecento come dipendenza della villa Orsini in Monte Savello.
(edit: Confermato, tutto il materiale è originale).
Se si analizza la pianta del 1667 di Giovan Battista Falda infatti, dirimpetto all’edificio n. 109, San Gregorio della Divina Pietà, c’è un edificio d’angolo di modesta altezza – non più di tre piani – la cui pianta a L sembra replicata da quello attuale (si veda Goofle Maps – veduta satellitare e Roma IeriOggi per una buona risoluzione della Mappa di Falda).
L’edificio manca in una delle mappe più antiche di Roma moderna, la terza e più recente tra quelle uscite dalla penna dell’umanista, pittore e archeologo (allora si chiamavano “antiquari”) Pirro Ligorio. Pirro crea la sua ultima mappa nel 1561 ma la mappa, oltre che essere forse un po’ raffazzonata per quel che riguarda gli edifici ritenuti di minore interesse (le sue mappe sono, infatti, incentrate sul suo amore per gli edifici antichi e sono, di fatto, mappe archeologiche) non poteva forse dettagliare molto altro, visto che il palazzo sorto sul Teatro dei Marcello per mano dell’architetto Baldassarre Peruzzi era forse, a quest’altezza, ancora in costruzione (di questa storia, del resto, ne parliamo tra poco).
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L’edificio in cui, quasi trecento anni dopo, doveva serenamente lavorare il nostro materassaio appare invece in una bella mappa del 1663 (Blaeu), quindi sappiamo che viene costruito nei cento anni tra le due mappe. Infine, per il 1748 siamo certi che è già in piedi: ce lo prova Giovan Battista Nolli, grande topografo comasco cui si deve una delle mappe più ricche e accurate per la conoscenza della Roma moderna. Nella sua mappa, san Gregorio è l’edificio 1036 e dirimpetto, nel monumento numerato 1022 e che è il complesso di palazzo Orsini, eccola lì, la casetta del futuro Anticoli materassi reti e tralicci.
Tra l'altro, proprio in Nolli il tracciato della attuale via di Monte Savello si vede benissimo ma, in quegli anni, non è troncata perché arriva fino dirimpetto alla Rupe Tarpea, alla scomparsa Piazza Montanara con la sua fontanella che oggi si trova lungo via de’ Coronari, in piazza San Simeone (974):
Quindi quest’unico, superstite palazzo che abbiamo identificato, già a metà del Seicento terminava nel lungo muraglione di cinta della proprietà Orsini: addirittura per Falda sosteneva forse anche una rampa in salita lungo il Monte Savello.
Già, il monte: ma qui, si dirà, non ci sono monti, anzi la sede stradale è bassa, infatti dal capolinea degli autobus nell’omonima piazza si scende una breve rampa per raggiungere l'attuale tabaccheria.j
Per aver risposta, ovviamente, basterà proseguire proprio al capolinea e girare tutto attorno al Teatro di Marcello, dove via del Foro Olitorio ci conduce in discesa lungo il perimetro di san Nicola in Carcere, nei cui muri è stato incastonato quanto resta di un tempio a Speranza (Spes) e una targa ci informa della discreta presenza di una piccola orma scavata nel selciato: è l'opera di Micha Ullman "Seconda casa. Gerusalemme-Roma", una clessidra le cui coppe, Roma e Gerusalemme, fluiscono l'una nell'altra, unite "a simboleggiare un dialogo millenario".
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La configurazione dei luoghi è stata modificata molto dagli interventi di sterratura ed apertura degli scavi intorno al Teatro di Marcello, risalenti al periodo tra il 1926 ed il 1940, ma il “Monte” c’era davvero: solo, come il vicinissimo Monte Cenci dietro la Sinagoga, non era naturale, ma prodotto dall’accumulo di detriti e rovine sulle quali furono affastellati nel Medioevo edifici e torrette difensive, prima dei Fabi o Faffi, poi dei Pierleoni, la cui presenza nella zona resta nel nome del Lungotevere che proprio dal Ponte Quattro Capi ha inizio e in una torre sull’Isola.
(Qui un paio di fotografie da Romasparita.eu.
La prima mostra il Portico non ancora isolato dalla piazza tramite ulteriori lavori di scavo. Siamo ancora all'altezza del 1960.
La seconda rimonta al 1926, anno d'inizio delle prime demolizioni di tutto quanto restava della zona il Lungotevere e il Campidoglio).
Queste famiglie, Faffi, Pierleoni, Savelli e, appunto, i vicini Cenci, signoreggiavano su una città che faticava a riprendersi dalle devastazioni dei Goti e dal passaggio tra Impero e Papato, ma che stava lentamente delineandosi come la capitale di un regno teocratico, quello papale, il cui potere era insieme spalleggiato e conteso da famiglie di mercenari, ricchi borghesi in grado di acquistare terreni e costruirvi torri e fortilizi per difendere i loro e la gente che viveva su quelle aree.
Un esempio per tutti, proprio i Pierleoni, forse discendenti da un mercante ebreo, Baruch, che nel 1000 si sarebbe convertito al cristianesimo pur rimanendo a vivere nell'area che 575 anni più tardi sarebbe stata recintata e ridotta a Ghetto: è loro anche la torretta collocata al civico 5 di via del Teatro di Marcello, dirimpetto a San Nicola in Carcere, risparmiata dalle demolizioni novecentesche per la via del Mare.
Quanto ai Savelli, più tardi famiglia di almeno due papi accertati (Onorio III e Onorio IV, a cavallo tra 1100 e 1200) si incastellarono proprio qui, arraffando pezzi di terreno sotto il quale giacevano ancora le rovine del Teatro di Marcello: ci sono tracce della loro signoria sia qui che più in là, salendo all’Aventino per il meraviglioso e ripido pendio che si chiama Clivo della Rocca dei Savelli, nel vicolo Savelli che congiunge via del Pellegrino a corso Vittorio Emanuele, poco più a Nord di piazza Campo de’ Fiori.
Qui dominarono il quadrante tra sant'Angelo, Regola, Parione, azzuffandosi con i vicini Pierleoni, Caetani, Cenci, Orsini e quante altre famiglie oggi scomparse o dimenticate, fino a smorire ai primi del 1700, lasciando i loro beni sparsi tra i Chigi e altre famiglie con cui si erano imparentati i rami più a lungo sopravvissuti, quelli dei castelli Romani.
Comunque, tra il 1517 e il 1525 i Savelli stavano ancora benone: non si sa con certezza quando, ma è intorno a queste date che, anzi, decidono di far sì che la loro abitazione, finora un accrocco turrito di fronte al vasto Tevere con le sue calette e le scale che conducono agli attracchi per le vicine salare dell'Aventino e il mercato di piazza Montanara, sia finalmente all’altezza dei grandi lavori che in tutta Roma fervono per costruire palazzi e Chiese degni di una capitale rinascimentale (da poco si va mettendo mano alla sontuosa via Giulia, trionfo dei potentati fiorentini e, al loro seguito, delle maggiori famiglie cittadine).
Il cardinal Giulio Savelli si rivolge così a un architetto di grido, Baldassarre Peruzzi, che in quegli anni (1519?) partecipa con altri illustri nomi (Raffaello, Antonio da Sangallo il Giovane, Jacopo Sansovino) al concorso per la realizzazione di San Giovanni dei Fiorentini, la chiesa nazionale della potente comunità di banchieri insediata in Ponte, lungo la via Giulia che proprio in questi anni si va spianando.
Peruzzi non vince il concorso (che meriterebbe un articoletto a parte per le malversazioni di cui poi il Sansovino, vincitore, fu accusato), ma accetta la commessa dei Savelli, i quali gli affidano la creazione di un palazzo che inglobi e sostituisca in parte gli edifici più antichi.
Peruzzi, quindi, è uno dei grandi artisti e architetti del Rinascimento Romano: legato a Siena alla scuola del Pinturicchio, quando scende a Roma fa presto ad avvicinarsi a Raffaello e, soprattutto, all'amato e detestato Donato Bramante, le cui spregiudicate operazioni di demolizione delle preesistenze per far largo a nuove creazioni gli meritano, da parte del notoriamente linguacciuto popolo romanesco, il soprannome di Mastro Ruinante.
Peruzzi si mostra subito all’altezza delle sue frequentazioni: infatti, messo mano alla dimora dei Savelli, butta giù vecchiumi e, assieme, anche cospicue fatte del Teatro romano, cui aggiunge di sana pianta un terzo piano includendovi frammenti avanzati dai vari templi e costruzioni romane della zona.
L’abbraccio della cavea romana, ormai sfracellata, si trasforma sotto le sue mani nella culla per un nuovo giardino di delizie in cui il cardinale Giulio Savelli potrà collocare le sue collezioni di arte antica.
Ma il palazzo Savelli era destinato a passare di mano, quasi condividendo la natura di questo fazzoletto di Circo Flaminio che fu luogo sempre disperatamente amato dai suoi edificatori e, allo stesso tempo, destinato a continui mutamenti e trasformazioni.
Era stato così durante Roma antica: prospiciente il Foro Olitorio, quella che forse fu la vera culla di Roma ben prima della fondazione sul Palatino, incardinato di fronte al guado dell'Isola Tiberina, questo dimesso angolo cittadino ha testimoniato forse i primi veri insediamenti e le prime attività commerciali che, dalla riva dell'isola, portavano merci e bestie dalla riva destra del fiume, di appannaggio etrusco, in direzione del Campidoglio, del Velabro e del Palatino.
Qui sorgeva forse un arcaico tempio di Diana, dea di Nemi e di Ariccia, centri legati alle origini di Roma e dei popoli del Latium vetus, quell'Alba Longa mitica che si allungava sull'orlo boschivo del cratere del Lago di Albano.
Qui sono stati trovati i resti delle fondamenta di un antico tempio della Pace che Giulio Cesare distrusse per fondarvi sopra un teatro di cui non vide, vivo, che le fondamenta.
Poi, il Teatro fu "ereditato" da Augusto e questi si trovò finalmente a terminarlo, ma nel frattempo perse l'amato nipote Marcello cui, infatti, l'edificio fu amaramente dedicato.
(continua).
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Image source:
Fondo Vedo Istituto Luce Fondo VEDO / Sinagoga di Roma Insegne di un negozio al Ghetto di Roma (Cesare Anticoli)
passanti e una donna con bambino affacciata ad una finestra - campo medio
data: 18.05.1961
luogo della ripresa: Roma
colore: b/n
materia e tecnica: gelatina bromuro d'argento/pellicola (poliestere)
oggetto: negativo
codice foto: FV00189859 Luce Anticoli
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fotopadova · 4 years ago
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La Fotografia Sociale ed Umanistica
di Renzo Saviolo: -- 
Cameron, Nadar, Riis, Hine, Sander, Lange, Evans, Cartier Bresson, Shaan, Frank, Arbus, Avedon, Jeffries.
Gruppi variamente impegnati con un fondamento comune.
Fattoria, Vita, Foto Legue, Magnum, PIC, Famiglia dell'uomo, Foto stampa. 
Questi nomi non vogliono rappresentare una gerarchia di valori al livello più alto, ma semplicemente quelle figure e istituzioni che meglio si prestano a rappresentare l’oggetto della nostra indagine.
Nel 1839 giunse a compimento il mezzo che sarebbe diventato il linguaggio visuale dell’età industriale.
I due principali elementi, la camera oscura per quanto riguarda l’ottica e l’annerimento dei sali d’argento, per l’alchimia più che per la chimica, erano note da tempo.
La fotografia fu, al tempo della rivoluzione industriale, quella che accompagnò l’età dell’energia nelle sue varie forme quali il vapore, l’elettricità e il motore a scoppio, giungendo ad un uso dell’immagine che aveva ristretto il mondo e, come l’oggi dimostra, perchè lo sviluppo della tecnica lo ha permesso, diventato alla portata di tutti.
La fotografia contemporanea porta la comunicazione dell’immagine e il suo uso al punto che le trasformazioni digitali hanno reso la visualità così inflazionata da poter parlare di morte dell’immagine, poichè la quantità sembra aver ucciso la qualità e riempito il mondo in modo tale da rendere tutto rumore di fondo.
Nei suoi vari aspetti questo faceva dell’immagine fotografica un certificato di realtà che ben presto fu percorso in ogni direzione, dato che si prestava, man mano che lo sviluppo tecnico lo consentiva, a soddisfare esigenze documentaristiche, artistiche, sperimentali le più diverse.                            
Ben presto fiorirono tutte le applicazioni possibili nei diversi generi, man mano che l’evoluzione apriva nuovi settori e rendeva in grado di affrontare tematiche diverse, allargando il linguaggio capace di parlarci di ogni aspetto del mondo.
Fin qui si era sempre parlato di immagini singole che potevano racchiudere in sè un aspetto compiuto; mettendo più immagini in sequenza sullo stesso argomento e mostrandone momenti diversi, si sarebbe raggiunta la dinamica di un fatto temporale, sia pur limitato ad una sintesi dei suoi momenti salienti.
Questi nuovi confini erano le basi per lo sviluppo futuro di cinema e televisione. Si poteva ora non mostrare staticamente il mondo, ma farlo seguire nel suo farsi.          
Il nuovo permetteva possibilità che la visione non aveva mai conosciuto, se l’età industriale non avesse consentito l’uso della macchina nel campo della visione, come era avvenuto in tutti gli altri settori. La conquista del tempo instaura un rapporto singolare fra oggetto di cui si ferma per un istante il divenire, mantenendolo fisicamente presente e immobile.  
Nasce così quello che nel primo caso fu denominato “Documentario fotografico” che aveva il suo corrispettivo nel cinema nel “documentario”. Successivante il “Reportage” sarà la nuova frontiera, oggi spostata su “Phototelling” e “Storytelling”. Dobbiamo ricordare che tuttavia il mezzo linguistico è sostanzialmente simile, per non dire lo stesso, di quello usato nel fotormanzo che, a sua volta, fatto salvo il movimento, è quello del fumetto. Si può ora operare quella sintesi narrativa per immagini che aprirà la pagina più ricca, gloriosa e legata all’essenza del processo fotografico che è il reportage sui settimanali illustrati.
Sarà particolarmente efficace la successione delle foto, frutto di azione sul campo o scelte a posteriori. Offre uno strumento che ha dato lo sviluppo più potente della fotografia. Tutto si gioca sul fattore tempo e sulla capacità di organizzarlo.
Un esempio d’uso della temporalità sarà quello di Bresson la cui analisi ci offre un utile strumento.
Il topico “momento decisivo” è l’esempio più singolare di quell’attimo in cui l’azione si porta al suo sviluppo estremo e diventa l’aspetto centrale, basato sulla fotografia di soggetti nel quale i movimenti delle varie forme raggiungono in una frazione di secondo il classico equilibrio a cui la sua opera ci ha abituato.
Il massimo di ciò che storicamente è stato prodotto appartiene al genere del reportage sui temi sociale e umanistico. Differenze utili soltanto per meglio comprendere i limiti entro i quali le varie personalità, più che i vari generi, operano. Ricordando che le categorie servono soltanto a meglio chiarire dove, come e perché tale autore si caratterizza, definito da scelta del soggetto, modalità operative e, in una parola, stile.
L’occasione di queste note è data dalla notizia di una mostra di Robert Frank, fotografo tanto grande quanto misconosciuto dal pubblico americano, per la profondità della sua critica della società e del mondo.  Si verifica per lui quella intolleranza ideologica verso atteggiamenti culturali diversi dalle linee dominanti.
Parlare di Frank ci consente di tentare un approccio verso autori che si sono posti sempre con assoluta libertà di giudizio, sensibilità per il mondo degli esclusi ed in sostanza per quella che si definisce “alienazione”. Frank è una punta di diamante, ma le sistematiche categorie di sociale e umanistico sembrano incapaci di cogliere in una definizione coerente tutte le diverse accezioni di certi autori.
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                                        Julia Margaret Cameron, Portrait of John Herschel, April 1867 
Il problema si presenta col nome della più grande ritrattista dell’800 e forse di ogni tempo, J.M. Cameron. La sua opera: ritratti di grandi personalità scientifiche, letterarie, artistiche a mezzo busto e, da quando ha potuto usare obiettivi che permettevano la vicinanza al soggetto, primi piani di grande espressività e di affascinanti volti femminili che non erano altro che le cameriere di servizio nella sua casa. Le categorie indicate non bastano per definire la dignità e il carattere di personaggi, per cui si può parlare di forme encomiastiche. Non si tratta di una critica sociale, si è nobilitata la realtà con una trasfigurazione, il suo aspetto più creativo.
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                                                         Nadar, Portrait de Sarah Bernhardt, 1865
Questo invece non è nell’altro grande protagonista del ritratto dell’800, Nadar, che nelle sue mezze figure ci dà I maggiori esponenti del mondo parigino come immobili nature morte più che con caratteri pulsanti vitalità.
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                                                Jacob Riis, Boy working in sweatshop, ca.1880
Jacob Riis è invece il vero iniziatore della fotografia sociale. Giornalista del Time, comprende che la parola non basta più per raccontare il reale, ma che si può, anzi si deve mostrarlo. Ed ecco allora nascere un grande fotografo, ammirevole nella sua capacità di cogliere l’essenza del soggetto, ciò dimostra che non è la tecnica e la bella immagine a risolvere i problemi ma la capacità di capire, l’empatia per il soggetto e la sensibilità per trasformare il tutto in figura.
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                       Lewis Hine, Children working in a cotton mill in Macon, Georgia, in January 1909
Similmente Hine può adoperare mezzi piò evoluti, Il suo mondo dei bambini al lavoro e nell’innalzarsi dell’Empire State segnano con potenza l’evidenza di risultati che fanno storia.
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                                                              August Sander, Konditor, Köln 1928
Allo stesso modo Sander negli “uomini del XX secolo” mostra l’ambizione di illustrare con un potente affresco i volti ed i caratteri dell’umanità del tempo. Mostrare il vero è sempre rischioso, infatti I nazisti, che volevano il guerriero trionfante, non potevano tollerare l’illustrazione di quella umanità dolente e distrussero parte dell’archivio. Sander è ascrivibile al sociale, poichè I volti e gli atteggiamenti mostrano i viventi di quel mondo come un prodotto dell’ambiente più che la caratterizzazione individuale del soggetto, tipica del ritratto.  
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                                        Dorothea Lange, Migrant Mother (Florence Thompson) 1936
Quanto le categorizzazioni siano intercambiabili lo dimostrano le figure umane della Lange nella loro capacità di evocare un patetismo che non può non essere nominato come umanistico. Nella caratterizzazione di questi personaggi non si può escludere la dimostrazione del problema sociale.
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                   Walker Evans, Bud Fields and his family at their home, Hale County, Alabama 1936
Walker Evans è figura più facilmente classificabile. Le sue scene stradali ne fanno il più rappresentativo degli ambienti americani.
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                                                    Henri Cartier Bresson, Coco Chanel, Paris 1964
 Cartier Bresson non può non esser nominato benchè le sue immagini trascendano ogni limite di categoria, rispondendo a criteri più estetici che politici, ponendosi come maggior interprete della “street photography”, definizione ineccepibile. non potendosi negare che Bresson trovi nella strada il proprio teatro. Altro è il suo reale interesse: la trasformazione dell’accidentale in assoluto attraverso l’astrazione geometrica. Altro ancora può invece dirsi dei ritratti, cui si dedica alla fine dei grandi viaggi. La caratterizzazione con la quale rende l’essere della persona al di là dei formalismi perfetti ne fanno il capostipite della categoria del “ritratto ambientato”, dato che l’individuo è sempre inserito nel suo ambiente, con tagli piuttosto larghi che articolano lo spazio della scena.
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                                  Ben Shahn, Blind street musician, West Memphis, Arkansas, 1935
Ben Shahn, il grande pittore americano, diventa anche un grande fotografo per merito di Walker Evans e sarà strettamente bressoniano, cosa certamente non facile, con tagli fortissimi in primi piani di grande intensità espressiva.
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                                                       Robert Frank, Trolley, New-Orleans 1958
Venendo ancora a Frank, la desolazione, il vuoto, la luce spettrale, il senso di latente angoscia che permeano le sue immagini ne fanno un autore tanto grande quanto difficile
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                                                        Diane Arbus, Identical twins, Roselle, NJ 1967
Di tutt’altra materia è fatta l’angoscia di Diane Arbus, che trova nella mostruosità del mondo esseri singolari che rappresentano più I problemi personali suoi piuttosto che della società o degli individui.
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                                                                Richard Avedon, Bee man, 1988
Il caso di Avedon è singolare. Autore grandissimo nella fotografia di moda, i cui soggetti abituali sono bellezza, lusso, ricchezza,  dei quali possiede tutte le chiavi, sentirà il bisogno, quasi a compensazione, di trovare in se stesso un’altra anima e la sua capacità di esplorare altre dimensioni in senso opposto, toccandoi temi che sarebbero i più lontani dai suoi abituali, quali le donne bruciate dal napalm a Saigon, la morte del padre, il grande affresco dell’ “American West”, in cui la teatralità dei personaggi è di un’umanità dolente e rassegnata sotto gli orpelli che la caratterizzano. Ovvio che l’ottimismo americano non volesse riconoscersi in tale dimensione, che resta una pietra miliare unificando i due generi.  È un fenomeno recente, ma si pone da subito a fianco dei maggiori esempi che la storia ci ha consegnato.
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                                                             Lee Jeffries, da Homeless, 2008
Si tratta di un nome affacciatosi alla ribalta al massimo livello, allargando la raccolta di capolavori di un nuovo fotografo, Lee Jeffries. Con i suoi “Homeless” ha rifondato il livello della fotografia umanistica. Le sue maschere, simili a interpretazioni teatrali del tragico, ossessivamente presenti, al limite dell’ecccesso, rappresentano certamente un ambito di carattere sociale, riaffermando che la dignità umana non dovrebbe mai essere messa in dicussione. Ma questa denuncia non può neppure essere taciuta.
Quale società vi è dietro questi volti? Quale percorso ne ha modellato la storia? Ma altresì le espressioni che alterano questi volti trovano una dimensione perfino artistica nel loro eccesso. Sollevano il problema dell’estetizzazione della rovina, ma la questione è già stata risolta da Salgado e da Nachtwey.
La fotografia sociale scriverà le sue pagine più gloriose con una serie di istituzioni che hanno usato la fotografia come strumento di conoscenza non solo individuale, caratterizzate da un atteggiamento di empatia nei riguardi dell’umanità ed un’attenzione positiva verso la sofferenza, ovunque si manifesti.
L’elenco rappresenta una scelta di istituzioni molto diverse, ma che hanno nelle forme più profonde un atteggiamento che vede nell’uomo la dignità ed il diritto così spesso negati.  
Ciò che colpisce in questi enti è la loro varietà.
Per il “Farm” si tratta infatti di un organismo governativo, quindi di una rivista illustrata settimanale, di un’associazione privata ideologicamente orientata, di un’agenzia fotografica giornalistica, di una Fondazione-Museo alla memoria, di una mostra fotografica, di un concorso fotografico mondiale.
Il tratto comune, che tranne l’agenzia Magnum francese e il Press Photo olandese sono tutte iniziative americane a testimonianza del fatto che il dinamismo, la vitalità americana si è impossessata della fotografia fin dal suo apparire, diventando in pochi anni, come dimostrato dalla produzione industriale dei materiali usati per la fotografia, facendone ciò che in poco tempo sarebbe diventata la tecnica e l’estetica visuale della modernità.
Sopra ogni altro fenomeno apparso nel mondo della fotografia svetta la Farm Security Administration. Chi potrebbe uguagliare con l’organizzazione sociale del progressismo Roosveltiano comprendente i nomi più illustri dell’epoca, con una produzione di migliaia di immagini, una sorta di “mission”, ambientale e sociale insieme, la più ampia iniziativa di ogni tempo. A sostegno ecco nascere LIFE, il prototipo di ogni rivista, che con la tiraltura di milioni di copi ne faranno un modello inarrivabile, radunando la crema del fotogiornalisnmo mondiale.
La Photo Legue è la più progressista raccolta di fotografi che vedono nel mezzo uno scopo non puramente estetico, ma la documentazione e la denuncia dello stato delle cose, in una generale aspirazione al progresso e all’uguaglianza.
Il Magnum vuole riscattare il lavoro del fotografo dalla schiavitù della committenza, restituendo potere agli autori, altrimenti asserviti al mercato, divenendo per qualità e prestigio la prima agenzia al mondo.
L’International Center, viene fondato dal fratello di Capa in memoria dei caduti sul campo, veri martiri della missione del “mostrare”, insieme alla scuola, al museo ed alle mostre.
Family of Man è probabilmente la più grande e bella mostra di tutta la storia della fotografia. Non è una mostra, è un’opera d’arte in forma di mostra, creata da Steichen, direttore del Dipartimento di fotografis del MOMA, composta da 500 immagini di auori diversi che mostrano la vita umana in tutti I suoi atteggiamenti nei diversi paesi e culture.
Infine il Press Photo, il piò grande concorso mondiale che mostra ogni anno la situazione del fotogiornalismo, le tendenze, I temi e lo stile dominante, fornendo un attendinile quadro dell’attualità.
Da quanto esaminato si conferma il ruolo primario della fotografia quale strumento di conoscenza, comunicazione e creazione anche artistica, vero mezzo tipico dell’età industriale, dotato di una travolgente capacità innovativa, come dimostrato dalla rivoluzione digitale che ha rovesciato ogni cosa con tempi che rendono l’aggiornamento sempre più impegnativo e necessario.
Tutto cambia e non si può non inseguire la vita di un mondo che non è più il nostro anno dopo anno. Ma che deve diventarlo.
Bisogna racogliere la sfida e trovare un determinato coraggio. Altro modo non c’è.
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enkeynetwork · 8 months ago
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lamilanomagazine · 7 months ago
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Protocollo d'intesa tra MiC, Regione Puglia e il Comune di Taranto per la gestione della "Biennale italiana del Mediterraneo"
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Protocollo d'intesa tra MiC, Regione Puglia e il Comune di Taranto per la gestione della "Biennale italiana del Mediterraneo" È stato firmato il 24 aprile, a Roma, al Ministero della Cultura, un protocollo d’intesa tra il MiC, la Regione Puglia e il Comune di Taranto per l’organizzazione e la gestione stabile della rassegna artistica culturale internazionale “Biennale italiana del Mediterraneo”, che si terrà nel capoluogo tarantino. Al centro dell’intesa la promozione e la valorizzazione strutturata della città di Taranto attraverso la cooperazione interistituzionale e il superamento della frammentarietà delle iniziative in ambito culturale. Il protocollo è stato firmato dal Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, dal Sindaco del Comune di Taranto, Rinaldo Melucci e dalla delegata per la Regione Puglia, Bianca Bellino. In video-collegamento il Presidente della Regione, Michele Emiliano. Presenti, tra gli altri, il Capo di Gabinetto del MiC, Francesco Gilioli; il Direttore generale Creatività Contemporanea del MiC, Angelo Piero Cappello e la direttrice del museo MarTa di Taranto, Stella Falzone. Nell’accordo si evince il rapporto della città di Taranto con il mare e la propria identità derivante dalla posizione baricentrica nel bacino del Mediterraneo. Il Ministero della Cultura, con la Regione e l’Amministrazione comunale riconoscono così l’interesse comune a intercettare e promuovere attività stabili, manifestazioni, nonché progettualità innovative nel campo delle arti e degli altri linguaggi della creatività contemporanea legati al mar Mediterraneo. Tra gli obiettivi dichiarati anche la valorizzazione delle regioni italiane che si affacciano sul Mediterraneo, esaltando i profondi legami interculturali, interreligiosi, economici e commerciali con gli altri Paesi e le altre regioni dell’area, nonché il potenziamento e la promozione della ricerca, sostenendo i talenti e le eccellenze italiane nel campo dell’arte, dell’architettura, della fotografia, del design e della moda. “Il progetto della Biennale del Mediterraneo è fondamentale per le nostre politiche culturali perché noi pensiamo che la cultura debba essere diffusa su tutto il territorio e che il Mezzogiorno d’Italia possa rappresentare una straordinaria occasione di sviluppo socio-economico. Taranto è una città che ha una grande storia nel suo dna e una vocazione innata alla cultura. Si tratta solo di organizzare infrastrutture culturali moderne ed efficaci. La Biennale del Mediterraneo si candida ad essere un grande attrattore capace di guardare a tutta l’area del Mediterraneo e all’Africa. Da parte mia ci sarà il massimo impegno e impulso su questo progetto”, ha affermato il Ministro Sangiuliano. “La Biennale del Mediterraneo - ha dichiarato il presidente Emiliano - sarà una pietra miliare della rinascita di Taranto. Il progetto era pronto da tempo, ma senza il contributo del ministro Sangiuliano non lo avremmo attualizzato così rapidamente. Grazie ai tanti progetti realizzati in questi anni, la città ha cominciato a riscrivere la propria storia e molto presto riusciremo a parlarne non più come di una città con problemi ambientali e di lavoro, ma anche e soprattutto come di una delle capitali culturali ed economiche del Mezzogiorno, dell’Italia e del Mediterraneo. Del resto, questo destino è impresso nella storia prestigiosa della città. Taranto è il simbolo della perseveranza e di una Puglia che non molla mai”. Per il sindaco Melucci: “In continuità con il nostro programma di riconversione economica, di rigenerazione urbana e di valorizzazione delle nostre antiche radici, abbiamo gettato le basi per promuovere nell’area del Mediterraneo il ruolo di Taranto quale polo culturale, poiché riteniamo che proprio la cultura possa essere una leva importante per il cambiamento economico. Desideriamo dare della nostra città, che sta vivendo un fermento positivo in più campi, un'immagine diversa, emancipata dalla monocultura industriale, non solo attraverso interventi di recupero e promozione del prezioso patrimonio storico-artistico posseduto, ma anche attraverso il supporto ad iniziative di ricerca e sviluppo nel campo delle arti, dei linguaggi della creatività contemporanea e delle nascenti industrie innovative che la città ospita. La rassegna avrà tra i suoi obiettivi, non solo quello di esaltare i profondi legami interculturali, interreligiosi, economici e commerciali con gli altri Paesi dell’area, ma anche intercettare, elaborare, valorizzare e diffondere le nuove tendenze della creatività contemporanea nel Mediterraneo di tutte le forme di arte: da quella performativa alla fotografia; dalla moda all’architettura; dal cinema al design”.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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tulipanico · 4 years ago
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Diverse cose da dire
Il nome del tuo blog starebbe benissimo anche per etsy/vinted (e anche le mille versioni precedenti del nome)
Non mollare che è un’idea carinissima e sei davvero brava
Per la fotografia la regola è sempre la stessa, con qualunque macchina se si sanno le basi e si ha la creatività si fanno grandi cose piene di sentimento! Le canon più semplici vanno da dio e ti consiglio di pensare anche ai rullini, perché no? (effettivamente un po’ meno versatili da quanto mi raccontano ma sembrano davvero affascinanti per una come te)
Quel 'diverse cose da dire' mi ha scaldato un po' il cuore.
Oramai in un nome come questo mi ci rispecchio, è inutile negarlo, ma sarebbe un qualcosa di troppo personale, troppo collegato a qui, non trovi? Sono nota per mollare, ho tante idee ma anche il brutto vizio della procastinazione e di non credere in me, ma ci vorrei provare. Ti ringrazio tanto per il davvero brava 🌸
Ma, di basi in realtà ho poco e niente, sarebbe in assoluto la prima macchina per me che ho scattato sempre con smartphone di categoria nemmeno alta. I rullini affascinano anche me, ma d'altra parte ho due polaroid, quindi come prima macchina preferirei altro.
Una come me?
Comunque grazie per tutto 💖
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