#André Pichot
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“ L'anno civile egizio contava 365 giorni, cioè dodici mesi di trenta giorni più cinque giorni epagomeni (aggiunti dopo i dodici mesi); il che risulta inferiore di 1/4 di giorno all'anno astronomico. Questi dodici mesi sono raggruppati in tre stagioni di quattro mesi ciascuna, definite in funzione dell'inondazione della valle da parte del Nilo, dunque in funzione di criteri agricoli. La tabella 95 indica quali sono questi mesi e queste stagioni, e dà l'approssimativa corrispondenza con i nostri mesi attuali; quando l'anno civile comincia effettivamente alla levata eliaca di Sothis (Sirio). [...]
La definizione di inizio dell'anno civile fa problema. Astronomicamente, esso comincia quando Sothis (la stella Sirio), dopo un periodo d'invisibilità di circa settanta giorni, ridiventa visibile poco tempo prima del levarsi del Sole; ed è altresì all'incirca in questo periodo che incomincia l'inondazione (che evidentemente non può avere la regolarità del movimento degli astri). Ma, siccome l'anno degli Egizi era troppo corto di circa 1/4 di giorno, e siccome facevano iniziare l'anno nuovo non appena terminati i 365 giorni dell'anno precedente (senza aggiungere un giorno supplementare ogni quattro anni, come facciamo noi con i nostri anni bisestili — sarà soltanto nel 238 a.C. che il faraone Tolomeo III Evergete deciderà di aggiungere un giorno ogni quattro anni, ma gli Egizi rifiuteranno questa modificazione, che verrà loro imposta infine da Augusto nel 29 a.C. quando l'Egitto sarà divenuto parte dell'Impero romano), — a motivo, dunque, di questo «difetto» di 1/4 di giorno, l'anno civile si scostava a poco a poco in rapporto a questa apparizione di Sothis (in capo a 120 anni, l'anno civile cominciava un mese dopo tale apparizione di Sirio). L'anno civile e l'anno astronomico coincidevano solo ogni 1456 anni (periodo sotiaco); una tale coincidenza si produsse nel 139 d.C. (se ne dedussero quelle del 1317, del 2773 e del 4229 a.C.). Si è cercato di fondarsi su queste coincidenze per determinare la data dell'invenzione di questo calendario (nel 2773 o 4229); un metodo simile è tutt'altro che sicuro. È molto probabile che gli Egizi incominciassero l'anno con l'inizio dell'inondazione, poi, per dare maggiore regolarità al loro calendario, lo fissarono su questa levata eliaca di Sothis la quale corrisponde pressappoco all'inizio della inondazione. La migliore approssimazione, su un numero di anni ridotto e in numero intero di giorni, del periodo che separa due riapparizioni di Sothis è 365 giorni, da qui questa scelta per l'anno civile, scelta che in seguito divenne immutabile per il tradizionalismo caratteristico della civiltà egizia.
A questo calendario civile si sovrapponeva certo un calendario lunare (da cui l'anno civile di dodici mesi di trenta giorni, più cinque giorni, forse deriva). Questo calendario lunare sarebbe stato più antico e sarebbe servito ai sacerdoti per determinare i giorni delle festività religiose (il conservatorismo religioso essendo persino superiore al conservatorismo civile egiziano); mentre il calendario civile serviva all'organizzazione dello Stato, imposte, lavori ecc. In questo calendario religioso, i mesi lunari (giorni 29,5 o 29 e 30 giorni alternativamente) cominciavano al momento in cui l'ultima falce della Luna diventa invisibile prima del levarsi del Sole. Un anno lunare così non dura che 354 giorni, occorreva certamente aggiungere un mese in più ogni due o tre anni per «accordarlo» con l'anno solare e le stagioni. I sacerdoti, per calcolare le corrispondenze tra il calendario lunare che fissava le feste religiose e il calendario civile, avrebbero utilizzato un ciclo di 309 lunazioni, che corrispondono a venticinque anni civili di trecentosessantacinque giorni (9125 giorni). Si osservi che Thot, il dio che presiede al calcolo del tempo, è un dio lunare, e che la leggenda che spiega i giorni epagomeni lo mostra in atto di vincerli ai dadi alla Luna. Si può ravvisare qui una traccia del carattere lunare del primo calendario egizio, la leggenda indubbiamente tentando di giustificare con un mito il passaggio dal calendario lunare (religioso) al calendario civile (sotiaco). Per completare questa questione del calendario, notiamo che non esisteva alcun riferimento fisso per il computo degli anni: questi sono nominati secondo il loro posto nel regno del sovrano (in tale o talaltro anno del regno di questo o quel faraone — se ne veda un esempio nel modo in cui è stato datato il Papiro Rhind: «Questo libro fu copiato nell'anno 33mo il 4° mese della stagione dell'inondazione, sotto la maestà del re dell'Alto e del Basso Egitto, 'A-user-Rē' [re Hyksos, verso 1650 a.C.] dotato di vita [che la vita gli sia a lungo serbata], a somiglianza d'un antico scritto del tempo del re dell'Alto e del Basso Egitto, Ne-ma'et-Rē' [Amen-en-het 1849-1801 a.C.]. È lo scriba A'h-mosē che copia questo scritto.»). “
André Pichot, La nascita della scienza. Mesopotamia, Egitto, Grecia antica, traduzione di Marina Bianchi, Edizioni Dedalo (collana Storia e civiltà n° 34), Bari, 1993¹; pp. 226-228.
[1ª Edizione originale: La Naissance de la science, Tome I. Mésopotamie, Égypte, Tome II. Grèce présocratique, Éditions Gallimard, coll. Folio/Essai nos 154 et 155, 1991]
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El surrealismo es un movimiento artístico surgido en la década de 1920 que se caracteriza por expresar imágenes irracionales y oníricas. André Breton es considerado el padre del surrealismo y esta corriente pretendía superar el racionalismo en el arte y explorar el subconsciente.
Salvador Dalí, uno de los artistas más reconocidos del movimiento surrealista, nació el 11 de mayo de 1904 en Figueres, España, y falleció el 23 de enero de 1989. A lo largo de su vida, Dalí dejó una profunda huella en el arte con su estilo único y su enfoque extravagante. A continuación, se resumen los principales puntos de su biografía:
– Primeros años: Su padre era un notario y su madre murió cuando él tenía 7 años. Desde joven, mostró interés por el arte y recibió educación tanto en la Escuela Pública de Párvulos como en el colegio Hispano-Francés, donde aprendió francés, un idioma que influiría en su futura carrera.
– Influencias artísticas tempranas: En 1916, Dalí descubrió el impresionismo a través de la colección de Ramón Pichot, un pintor amigo de la familia. Esta experiencia despertó su interés por el arte. Comenzó a estudiar en la Escuela Municipal de Dibujo de Figueres y asistió a clases del profesor Juan Núñez. En 1922, viajó a París y conoció a Pablo Picasso, lo cual tuvo un impacto significativo en su desarrollo artístico.
– Inicios en el arte: En 1922, Dalí participó en una exposición en Barcelona y comenzó a establecerse como pintor. Sin embargo, fue expulsado de la Academia de San Fernando en Madrid en 1923 debido a su participación en una protesta estudiantil. A pesar de esto, regresó a Figueres y continuó pintando intensamente.
– Entrada al surrealismo: En la década de 1930, Dalí se unió al movimiento surrealista liderado por André Breton. Su obra se caracterizó por la representación de imágenes oníricas, simbolismo y la exploración de los recovecos de la mente humana. Su famoso cuadro «La persistencia de la memoria» (1931) se convirtió en un ícono del surrealismo.
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Entrevista a Andrés Barba: "Traducir es la manera más intensa de leer"
Por Nando Varela Pagliaro
“Cuando me preguntan por los 32 niños que perdieron la vida en San Cristóbal mi respuesta varía según la edad de mi interlocutor”. Así comienza República luminosa, la última novela de Andrés Barba, merecedora del premio Herralde 2017, dotado de 18.000 euros.
En este nuevo libro, el escritor español, entre otras cosas, se pregunta qué tiene que suceder para que nos veamos obligados a redefinir nuestra idea de la infancia y a contramano del lugar común, pone el foco en el lado oscuro y violento que puede habitar en el alma de un niño. Con él hablamos, una tarde muy calurosa de enero, en el bar El Galeón, frente al Jardín Botánico.
-Fabián Casas dice que para él la infancia es la edad en la que uno carga combustible. De la calidad de ese combustible va a depender el tipo de persona que uno va a ser cuando las papas quemen. ¿Vos tenés alguna definición propia acerca de la infancia?
-Lo que dice Fabián es muy psicoanalítico y está muy bien. Yo creo que la infancia por antonomasia es el lugar reconstruido por la ficción. Por eso, siempre es un lugar de una veracidad dudosa. Lo que hemos sentido y lo que hemos construido en esos años, nunca termina de quedar claro dónde lo hemos hecho. Si desde la edad adulta, proyectándolo y ficcionalizándolo o si realmente sucedió.
-¿Por qué tuviste la necesidad de meterte con la infancia, cuando es una de las pocas cosas que colectivamente ubicamos en una especie de paraíso perdido?
-Había varias cosas que me interesaban. Una, tenía que ver con esa mitología que se construye alrededor de la infancia, que culturalmente vamos desarrollando desde la Ilustración. Esa concepción de la infancia como paraíso perdido, que se anhela durante el resto de la vida. Pero por otro lado también me inquietaba el labo B: el miedo a la infancia y en el fondo nuestra inclinación hacia la educación como el lugar donde nos defendemos del niño. En última instancia, la educación es tratar de que un niño se convierta en adulto lo antes posible. Esa ambivalencia entre lugar perdido y lugar temible, me interesaba mucho. Cuando de una cosa se puede decir igualmente A y su contraria es que existe algo interesante.
-¿Cuánto creés que tuvo que ver la literatura con el mito que se construye alrededor de la infancia?
-Hay tanta literatura que confirma la cursilería del paraíso perdido como su contraria. A mí siempre me ha interesado mucho la literatura que ha interpretado a la infancia desde un lugar de oscuridad o al menos donde la oscuridad era posible. Toda la tradición francesa de Marcel Schwob con La cruzada de los niños o Jean Cocteau. Incluso los existencialistas, los relatos sobre la infancia que escribió Sartre en el muro. También me resulta muy atractivo cómo, desde nuestra perspectiva contemporánea, nos defendemos de cualquier manifestación de oscuridad que se produce en la infancia, cómo negamos la violencia protagonizada por niños, cómo negamos cualquier manifestación de sexualidad, cómo nos protegemos de esos territorios porque no queremos aceptar que se producen en el mundo infantil.
-Así como existe este tipo de literatura que pone el foco en el lado oscuro de la infancia, hay muchísima bibliografía que refleja todo lo contrario. Pienso en libros como El principito. En una nota reciente dijiste que el clásico de Saint Exupéry es algo así como el mal en la tierra. ¿Por qué creés eso?
-Por varias razones, El principito me parece uno de los libros más perversos del mundo. La primera es quizás su cursilería: es el libro cursi por antonomasia. Es un libro escrito por un adulto más que para niños, para adultos que se quieren sentir como niños. Además, tiene ese lado de la perversidad bestial, que es el episodio del zorro y la rosa. En aquel episodio, el niño le dice a la rosa que es especial porque él la ha elegido entre todas las rosas del mundo. Ese es un mensaje bastante perverso para poner en boca de un niño. Es decir, que la dignidad de la rosa la otorga alguien externo. Las cosas son dignas o indignas en sí mismas, nadie convierte en digno algo porque le otorga su amor. Este discurso cursi que sostiene que nuestro amor convierte a las cosas en especiales es totalmente perverso porque hace, por ejemplo, en el caso de mi novela, que los padres de los niños naturales de la ciudad de San Cristóbal consideren que sus hijos son más valiosos o más dignos de defensa que los 32 niños salvajes que han aparecido.
-Decís que nos cuesta ver a los niños como personas capaces de cometer actos de violencia, ¿te preocupa la lectura ideológica que se pueda hacer de la novela? Pienso por ejemplo en la derecha y su constante reclamo por bajar la edad de imputabilidad de los menores.
-Sin dudas, es una novela política y en ese sentido un discurso natural de la derecha es precisamente rebajar la edad de punibilidad legal. Es muy loco lo bipolar que es la derecha tradicional: el niño pasa de ser el individuo que hay que defender, a ser instantáneamente el sujeto sobre el que hay que hacer caer todo el peso de la ley sin ningún tipo de misericordia. Eso, en cualquier caso, es una visión hipócrita, primero de la dignidad del hombre y luego de qué es el sujeto que hay proteger. Uno no puede convertirse de un segundo a otro en un sujeto distinto. En la novela, me interesaba mucho narrar una situación en la que una ciudad lentamente se va deslizando a esa posición en la que se cree que lo mejor es penar a los niños menores.
-En España, ¿cómo funcionan los reformatorios? Acá son más bien deformatorios.
-Claro, en el fondo pasa lo que dice Foucault en Vigilar y castigar, cuando habla del nacimiento de la prisión, básicamente dice que los estados conservadores son los que determinan cuál es la manzana podrida desde el inicio y sentencian a muerte a ciertos individuos de la sociedad. En el fondo, un reformatorio es un destino social. El que reflexionó mucho sobre este tema fue Jean Genet, él tiene un libro fascinante que se llama El niño criminal, en el que habla precisamente de los reformatorios como semilleros de criminales. Sartre, que escribió una biografía de Genet, cuenta un episodio en el que se ve a las claras cómo el destino social es algo otorgado por nuestro contexto. Jean Genet era un niño adoptado y hay un momento en el que él percibe, de una manera intuitiva, que sus padres no son como los padres naturales de sus compañeritos del colegio, pero como no sabe formular eso verbalmente no se le ocurre otra cosa que agarrar un collar de su madre y esconderlo debajo de la almohada. Eso hace que se produzca un gran revuelo en la casa. Todo el mundo empieza a buscar el collar hasta que finalmente aparece debajo de la almohada del niño Genet. La madre, al verlo lo señala con el dedo y le dice: “eres un ladrón”. El primer poema de Jean Genet se titula precisamente así: “Me llamáis ladrón, seré ladrón”. Es fascinante ver cómo él relata hasta qué punto somos sensibles al destino social que hemos recibido.
-Todos estos libros que mencionás, ¿estuvieron presentes en tu mesa de trabajo mientras escribías la novela?
-Estuvo mucho encima de la mesa La peste de Camus. Yo quería trabajar con un estado de excepción, como una ciudad de provincia aparentemente tranquila como San Cristóbal, donde de repente hay algo que obliga a sitiar la ciudad y que pone en compromiso todos los valores con los que esa sociedad se ha manejado hasta ese punto. Todo está en suspenso: la idea de la infancia, la idea del orden social, de la civilización, de la barbarie.
-¿El germen de la novela también tuvo que ver con estas lecturas?
-Al margen de lo literario, hubo un documental de unos directores polacos que se llama Los niños de la estación Leningradsky, sobre una comunidad infantil que vive en una estación de metro en Rusia. Ahí me gustó mucho ver cómo se comportaban estos niños y cómo hasta cierto punto esa comunidad funcionaba como una utopía anarquista totalmente horizontal, sin ningún tipo de jerarquía ni poderes. Me fascinaba ver cómo, lo que supuestamente eran los excrementos de la sociedad, en cierto punto eran lejos de la distopía, una utopía política.
-Ya te habrán dicho que la novela es muy visual. ¿Te la imaginás llevada a la pantalla?
-Sí, yo también creo que es muy visual. En este punto, creo que es una equivocación plantear desde el principio una novela pensando en el cine. Las novelas tienen que ser literarias, pero es cierto que hay novelas que salen más “peliculizables” que otras.
-Uno de tus libros anteriores, La risa caníbal, es un ensayo sobre el humor. En estos tiempos de hipercorrección política, ¿es cada vez más difícil hacer humor?
-Yo creo que el humor es una herramienta de agresión. Desde Terencio y Aristófanes hasta hoy, el humor es una prueba de resistencia de materiales idealistas, una especie de contraataque desde el materialismo hacia el idealismo; es fundamental para nuestra progresión cultural y nuestra conciencia social. En el libro hablo mucho de los momentos en los que el humor ha tenido un gran poder dialéctico. Determinar qué es risible y qué no es una acción política. Hay veces que las sociedades progresan y de una manera natural desarticulan la comicidad de ciertas cosas. Es evidente que una sociedad que cada vez es menos machista, no es que cada vez se censure más a sí misma, sino que va encontrando que es menos risible reírse de las mujeres. Sin embargo, en la Argentina es muy interesante cómo el movimiento feminista ha utilizado el humor como estrategia de intervención política. A mí Malena Pichot me parece un caso extraordinario en este aspecto. El humor pone de manifiesto lo desestructurado o lo débiles que son ciertas dialécticas porque son risibles. El machismo en última instancia es risible y ese feminismo que utiliza al humor como arma, en el fondo está atacando al machismo desde el mismo lugar en el que el machista atacaba a la mujer.
-Supongo que debés ser un gran lector del género. Si bien el idioma es el mismo, los códigos y las referencias culturales son distintas. ¿Cómo es tu relación con el humor que se hace en nuestro país?
-El humor argentino es muy dialéctico; el español es más costumbrista y más negro. Nosotros bromeamos con mucha más facilidad sobre la muerte que los argentinos. El argentino es más fóbico para bromear con la muerte, pero el de ustedes es un humor mucho más político. Por otra parte, no hay nada tan sensible al cruce de una frontera como el humor, porque reímos colectivamente. Aunque uno esté solo en una habitación, se está riendo socialmente, con su nación, con su cultura, con su sexo y con sus ideas políticas. Cada vez que reímos, ríe una risa grupal.
-Además de tu trabajo como escritor, también te desempeñás como traductor literario. Hace un tiempo, lo entrevisté a Marcelo Cohen y él me decía que en nuestro país el de traductor es un oficio que no es todo lo que reconocido que debería serlo, ¿cómo es la situación en España?
-En España creo que hay un poquito más de reconocimiento a la labor del traductor y se manifiesta en dos cosas: está mejor pago y el traductor mantiene derechos. En Argentina, muchas veces, las traducciones pertenecen a las editoriales; en España, tú haces una traducción y después de unos años de sesión, esa traducción es de tu propiedad. Entonces, puedes volver a venderla. Es muy absurdo que esto no sea así en Argentina.
-En tu caso, el hecho de estar tanto tiempo en contacto con la palabra ajena, ¿es contraproducente para después hacer tu propia literatura?
-Todo lo contrario. A veces, traduciendo a autores maravillosos, te dan muchas más ganas de escribir. En este libro hay referencias muy claras de autores que he traducido.
-En alguna nota dijiste que la mejor forma de leer a un autor es traduciéndolo, ¿no?
-Sin dudas es así. Es muy fascinante porque uno empieza a vivir los textos con la misma incertidumbre con la que fueron escritos por sus autores. En muchos casos, recuerdo mejor los textos que he traducido que los que he escrito yo mismo.
-¿Se lee con mayor profundidad que cuando se hace una crítica?
-Se lee más profundamente y desde otro lugar. Yo creo que la traducción es la manera más intensa de leer.
-Te escuché decir que serías incapaz de escribir un texto de más de 200 páginas, ¿Creés que cada vez es más difícil encontrar lectores para grandes obras?
-Yo leo mucho y constantemente y a pesar de leer tres libros a la semana, cada vez tolero menos que un libro tenga más páginas de las estrictamente necesarias. Supongo que ya debemos tener una especie de impaciencia genética. Por otra parte, hay cosas que le perdono a los clásicos que ya no le perdono a los escritores contemporáneos. Creo que exigir más atención de la necesaria es una comodidad del autor, que no ha trabajado su texto todo lo que debería.
-Por último, me llamó mucho la atención que no estás en ninguna red social, ¿por qué no querés ser parte de ellas?
-Prefiero no estar porque soy una persona que se relaciona mal con las redes sociales, soy demasiado -sensible al ruido negativo. Por este motivo prácticamente no leo nada de prensa cultural, a pesar de que yo también escribo reseñas. En el caso de los escritores, se activa una cosa muy fea que es el agravio comparativo. Además, creo que en el mundo de las redes sociales uno acaba reducido a su peor versión. De repente, te encuentras mirando las fotos del veraneo de una tipa a la que detestas en el mundo real. Uno descubre allí comportamientos completamente adolescentes. Hay redes que lo que hacen es exacerbar tus defectos naturales, desatan lo peor que hay en ti.
-Calculo que tu ausencia también tiene que ver con el uso que hacés del tiempo, ¿no?
-A mí me desgasta y prefiero invertir la energía en otro lugar.
-Y el hecho de no leer las reseñas, ¿no tiene más que ver con el ego?
-No lo sé. La gente tiene que entender que un escritor es un tipo que se pasa el año prácticamente solo adentro de una habitación, escribiendo un libro. Luego, cuando los publica, se pone en un lugar de exposición relativamente amplio. Uno está casi desnudo y cualquier persona puede decir lo que se le cante de ti. Así, hay cosas que uno lleva bien y otras que no. Por supuesto, estoy a favor de que la gente diga de mí lo que se le ocurra, pero eso no significa que yo tenga que escucharlo.
Publicada originalmente en Revista Quid.
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Pablo Picasso Les Trois Danseuses The Surrealists greatly admired The Three Dancers. To make the work, Picasso started with a realistic representation of ballet dancers rehearsing. His approach was transformed when he heard of the death of Ramon Pichot, which brought back memories of the suicide of their mutual friend, Carlos Casagemas. Recognising the power of sex and violence infused in the painting, André Breton persuade the artist to allow it to be reproduced for the first time in his essay 'Le Surréalisme et la peinture' (Surrealism and Painting) in the July 1925 issue of La Révolution surréaliste. . . #london . . . #tatemodern #surrealism #art #painting #instago #fun #passportready #passionpassport #love #visualsoflife #artofvisuals #design #beautiful #visualart #nothingisordinary #vsco #explorepage (at Tate Modern) https://www.instagram.com/p/CcIP8TzMCai/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Salvador Felipe Jacinto Dalí i Domènech (Salvador Dalí)
Salvador Dalí en 1939. Fotografía de Carl Van Vechten.
Salvador Felipe Jacinto Dalí i Domènech; conocido simplemente como Salvador Dalí, fue un pintor, escultor, grabador, escenógrafo y escritor español, considerado uno de los mayores representantes del surrealismo.
Nació el veinte de mayo de mil novecientos cuatro (1904), en Figueres, provincia de Girona, España, muy cerca de la frontera con Francia.
Criado en el ceno de una familia burguesa, su padre; abogado, tenía un carácter muy estricto, que contrastaba con el carácter suave de su mujer; Felipa, quien alentaba los intereses artísticos del joven Salvador.
Dalí tuvo un hermano mayor, también llamado Salvador, que murió a los siete años, nueve meses antes de su nacimiento. Este hecho marcó mucho al artista, que se veía como la reencarnación de su hermano.
Dalí tuvo también una hermana; Anna María, cuatro más menor que él.
Siempre inquieto y artístico, desde niño se adentraría en el mundo de la pintura con tan sólo doce años, de la mano de unos amigos de sus padres, los Pichot. Gracias a esta familia de artistas y especialmente a la figura de Ramón Pichot, Dalí descubrió el impresionismo.
Siguiendo los consejos de Pichot, su padre lo envió a clases de pintura. En mil novecientos diecinueve (1919), con catorce años, Dalí participó en una exposición colectiva de artistas locales y cuando cursaba sexto de bachillerato, editaron entre varios amigos la revista mensual Sudium.
En febrero de mil novecientos veintiuno (1921), su madre murió a consecuencia de un cáncer. Fue un duro golpe para Salvador. Tras su muerte, el padre de Dalí contrajo matrimonio con la hermana de su esposa fallecida. Dalí nunca lo aprobó.
A los dieciocho se trasladó a la Residencia de Estudiantes de Madrid para estudiar en la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando. Allí; coincidió con algunas futuras celebridades del arte español, como Federico García Lorca o Luis Buñuel.
Dalí enseguida atrajo la atención de todos. Además de por sus pinturas, llamaba la atención por su carácter de estrafalario dandi. Lucía una larga melena con patillas, gabardina, medias y polainas al estilo de los artistas victorianos.
Dalí y su mascota, un ocelote de nombre Babou. La fotografía es de los 60's.
En mil novecientos veintitrés (1923), fue expulsado de la academia, acusado de encabezar una protesta estudiantil. En otoño regresa a la academia donde se ve obligado a repetir el curso.
Durante el siguiente curso, no regresa a la academia de San Fernando, y Federico García Lorca pasa las vacaciones con Dalí en Cadaqués.
Dalí fue expulsado de nuevo de la academia en mil novecientos veintiséis (1926), poco antes de sus exámenes finales, por afirmar que no había nadie en esta en condiciones de examinarlo.
Viajó a París por primera vez, donde conocería a uno de sus ídolos, Pablo Picasso. Esa ciudad, además; vería florecer el surrealismo de Dalí, así como ese característico bigote, inspirado en Velázquez, que le acompañaría el resto de su vida.
A través de Joan Miró entra en contacto con el grupo de surrealistas encabezado por André Breton.
Se proyecta en la capital francesa el film Un Perro Andaluz, fruto de su colaboración con Luis Buñuel.
En agosto de mil novecientos veintinueve (1929) conoció a su musa y futura esposa; Gala, nacida con el nombre de Elena Ivanovna Diakonova, era una inmigrante rusa once años mayor que él, que en aquél momento estaba con el poeta francés Paul Éluard.
La relación con Gala fue la gota que colmó el vaso para romper la relación de Dalí con su padre, que ya estaba muy deteriorada. Ese año Dalí continuó exponiendo regularmente ya como profesional y se unió oficialmente al grupo surrealista afincado en el barrio parisino de Montparnasse.
Durante los dos años siguientes, su trabajo influyó enormemente en el rumbo del surrealismo.
La edad de oro; segunda película realizada en colaboración con Buñuel, fue estrenada en el Estudio 28 de París.
Publica en su libro La Femme Visible (La Mujer Visible), que recoge textos que habían aparecido en diversas revistas.
A principios de la década de los treinta, Dalí haya su propio estilo, una mezcla de vanguardia y tradición.
Dalí está integrado completamente en el surrealismo y empieza su consagración como pintor.
En mil novecientos treinta y uno (1931), pintaría uno de sus cuadros más famosos, La persistencia de la memoria, también conocido como Los relojes blandos.
En mil novecientos treinta y cuatro (1934), expone en la Expositión Du Cinquantenaire, en el Grand Palais de París, sin tener en cuenta la opinión del resto de surrealistas que habían decidido no participar en ella. Esto casi le supone la expulsión del grupo.
Llegó a EE.UU. ese año gracias al marchante Julien Levi. La exposición de alguna de sus obras levantaron un enorme revuelo en Nueva York.
Fotografía donde se explora la idea de la suspensión, representando tres gatos que vuelan, un cubo de agua lanzada y Salvador Dalí en el aire.
En diciembre de mil novecientos treinta y seis (1936), la revista Time le dedica la portada con fotografía de Man Ray y participa en la exposición Fantastic Art Dada Surrealism en el MoMA de Nueva York.
En febrero del siguiente año, conoce a los hermanos Marx en Hollywood y empieza a trabajar en el guion de una película; Jirafas en ensalada de lomos de caballo, conocida en su última versión como La mujer surrealista, que nunca llegará a realizarse.
Dalí y Gala regresan a Europa y en Londres, Stefan Zweig le presenta a Sigmund Freud.
En el treinta y nueve (1939) se estrena en el Metropolitan de Nueva York el Ballet Bacchanale, con libreto, vestuario y decorados de Salvador Dalí.
Ese mismo año Breton publica el artículo Tendencias más recientes de la pintura surrealista (Des tendances les plus récentes de la peinture surréaliste), que supone la expulsión de Dalí de este grupo.
Con la incursión de las tropas alemanas a Burdeos, el matrimonio Dalí se traslada a vivir a Estados Unidos, donde permanecen hasta mil novecientos cuarenta y ocho (1948).
Empieza su interés por el diseño de joyas que continuará a lo largo de su carrera.
Se traslada a Hollywood en el cuarenta y cinco (1945) para trabajar con Alfred Hitchcock en la película Spellbound (Recuerda), cuyas secuencias oníricas realiza.
En el cuarenta y seis (1946), Walt Disney lo contrata para que le ayude en la producción de la película Destino.
De vuelta en Cataluña, empieza su etapa mística y nuclear, caracterizada por el tratamiento de temas religiosos y de aquellos relacionados con los avances científicos de la época, mostrándose especialmente interesado por los progresos relacionados con la fusión y la fisión nucleares.
Al final de su carrera, Dalí no se limitó a la pintura, desarrollando nuevos proyectos que hicieron aumentar su popularidad de excéntrico.
Creó un boletín y se convirtió en uno de los pioneros de la holografía artística.
En mil novecientos sesenta y cinco (1965), se inaugura la muestra antológica Salvador Dalí 1910–1965 en el MoMA.
En mil novecientos sesenta y ocho (1968), Dalí grabó un anuncio televisivo para la marca de chocolate Lanvin y en mil novecientos sesenta y nueve (1969) diseñó el logo de Chupa Chups. Ese mismo año trabajó como responsable creativo de la campaña publicitaria de Eurovisión y creó una gran escultura metálica, que se instaló en el escenario del Teatro Real de Madrid.
Además; el primero de abril de mil novecientos setenta (1970), anuncia la creación de un museo en Figueres, que abrió sus puertas cuatro años más tarde.
En mil novecientos ochenta y dos (1982), Juan Carlos I concedió a Dalí el título de Marqués de Púbol.
Tras el fallecimiento de Gala ese mismo año (1982), Dalí se vio fuertemente afectado. Muere en Figueres el veintitrés de enero de mil novecientos ochenta y nueve (1989), a los ochenta y cuatro años de edad a consecuencia de un paro cardíaco, después de haber sufrido una larga agonía.
Dalí, genio y figura extravagante y fascinante, tanto en sus obras como en su vida, es el representante más popular del surrealismo y uno de los artistas españoles más universales.
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Hydroxychloroquine vs covid-19 : Didier Raoult est-il un nouveau Pasteur ?
« C'est sans doute à cela que Pasteur doit sa grande popularité. Il a lui-même contribué à l'édification de sa légende, par ses textes et par ses interventions publiques. » (André Pichot, "Louis Pasteur, Écrits scientifiques et médicaux", éd. Flammarion, 1994). Depuis le mois de février 2020 sévit une "polémique" qui me paraît bien inutile en période de crise sanitaire mais qui néanmoins pourrait faire comprendre un peu les choses sur le fonctionnement (...) - Santé from AgoraVox le média citoyen https://ift.tt/2QGdWAo via IFTTT
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FICCIÓN ARGENTINA
Televisión concentrada (*)
Por Lorena Sánchez
Faltan realizaciones independientes que puedan llegar al público a través de las pantallas. La gran mayoría de las 27 ficciones argentinas de este año es producida y/o distribuida por Disney, Endemol, HBO, Sony, Telefe, Pol-Ka, Underground, Turner y Viacom.
Tres tendencias se observan al recorrer los programas de ficción televisiva nacional anunciados para 2017: coproducciones con señales panregionales o canales abiertos de distintos países, para asegurar financiación y pantallas; la proliferación de series de 13 a 8 episodios; y las 120 entregas tradicionales de las “tiras”, reducidas prácticamente a 60. De los títulos mencionados a continuación, Pol-ka y Telefe generan más de la mitad de las producciones.
Cómo son, quiénes las realizan y cuándo se estrenan: ADDA, Amar después de Amar; El regreso de Lucas; Quiero vivir a tu lado; Cartoneros; Mis noches sin ti; Olimpia camino a la gloria; Vida de Película; Cuéntame; Divina; O11CE; Heidi, bienvenida a casa; Soy Luna; Supermax; El jardín de bronce; La fragilidad de los cuerpos; Fanny, la fan; Edha; Un gallo para Esculapio; Sandro de América. Las Estrellas. El maestro; Simona; El gran jugador; Gilda, la serie; Golpe al corazón; Oro negro; Por amarte así y Loco x vos (a confirmar).
ADDA, Amar después de Amar se estrenó el 23 de enero, íntegramente producida por Telefe, luego de haber sido adquirida por Viacom International Media Networks, del conglomerado que posee Paramount, MTV, y Nickelodeon. Dirigida por Miguel Colom y Pablo Vásquez, con Mariano Martínez, Isabel Macedo, Eleonora Wexler y Federico Amador. La trama, de Erika Halvorsen y Gonzalo Demaría, descubre la relación secreta entre dos amantes de familias amigas, descubierta a partir de un ‘accidente’ mientras desarrolla un policial. Tiene 70 capítulos, grabados con tecnología 4K y el agregado de una webserie y un blog en la plataforma digital del canal.
El regreso de Lucas primera coproducción de Telefe con América TV de Perú, tiene 60 capítulos grabados en exteriores peruanos y Ultra HD 4K. Se estrenó en Perú en noviembre de 2016 y en Argentina en febrero de 2017. También se vendió a Colombia, Estados Unidos, Israel y Vietnam. Fue dirigida por Mauro Scandolari y Gerardo Herrera y escrita por Bruno Luciani y Martín Méndez. Es un drama en clave de thriller, con la colombiana Ana María Orozco, los argentinos Pablo Martínez y Maca Achaga y los peruanos Salvador del Solar y Diego Bertie. Una familia pierde a un hijo en la playa, 20 años después, un joven muy parecido se presenta en la casa familiar.
Quiero vivir a tu lado es la comedia romántica estrenada en enero por El Trece, con producción de Pol-ka, dirigida por Gustavo Luppi, Daniel Barone y Alejandro Ibáñez, grabada con dos unidades en Estudios Baires y locaciones de Tigre y la Ciudad de Buenos Aires. Está protagonizada por Mike Amigorena, Paola Krum, Florencia Peña y Alberto Ajaka, con libros de Leandro Calderone y Carolina Aguirre. Dos cónyuges de familias amigas que viven en casas contiguas, materializan su romance irresuelto de la juventud, transformando sus rutinarias vidas.
Cartoneros, estrenada en febrero por Canal 9, es una de las series premiadas en los concursos de fomento TDA-INCAA para el horario central. Retrata en 13 capítulos de 48 minutos, la lucha de una cooperativa de reciclaje durante la crisis del 2001. Con Luis Luque y Silvia Kutika, dirigidos por Matías Bertilotti y escrita por Marisa Quiroga, Alberto Muñoz y Javier Castro Albano en base a una historia real coproducida por 3C Films Group, Malkina y ND Cultura.
Por su parte, la TV Pública argentina estrenó en febrero Mis noches sin ti, de Valga, la productora de Víctor Laplace. Fue dirigida por Maximiliano González, quien también escribió el guión junto a Luigi Serradori. La protagonizaron Arnaldo André, María Onetto, Víctor Laplace, Lorenzo Quinteros y Adriana Aizemberg. Secuela de la serie correntina La riña (historia de amor durante una de las primeras huelgas generales del país), retrata la inmigración litoraleña y paraguaya de 1947 en Buenos Aires.
El otro estreno fue Olimpia camino a la gloria, historia de una gimnasta adolescente que en un humilde club de barrio que se prepara para los próximos juegos olímpicos. Grabada en la provincia de Córdoba, con dirección de Atilio Ángel Perin y libro de Luis Langlemey y Carlos Wasserman, fue producida por Aleph Media con elenco cordobés: Elisa Gagliano, Camila Murias y Santiago Luna.
En marzo, la TVA también estrenó Vida De Pelicula, miniserie sobre la vida del distribuidor de cine Pascual Condito, dirigida por Matías Bertilotti y protagonizada por Luis Machín, con participación especial de Graciela Borges, narración de Víctor Hugo Morales y elenco integrado por Guillermo Arengo, Viviana Saccone, Sergio Surraco, Oscar Ferrigno, Nicolás Condito, Silvina Quintanilla, Valeria Lorca, Malena Sánchez, Rodrigo Noya Y Marina Glezer.
Ahora la TVA proyecta Cuéntame cómo paso, ficción propia adaptada de la emblemática serie española que ya lleva 18 temporadas, sobre vivencias de una familia de clase media a través de los años, atravesada por la historia del país, on dirección de Jorge Bechara, producción de Andrea Stivel y guiones de Marisa Grinstein y Liliana Escliar. Su emitiría a partir de agosto.
Divina, está en tu corazón, juvenil musical de 60 capítulos. Coproducción Pol-ka / Televisa, grabada en 2016 en los estudios de Colegiales, con dirección de Lucas Gil en piso y Rodolfo Antúnez en exteriores y guión de Mario Schajris, protagonizada por Laura Esquivel y cuatro actores mexicanos. Se analiza una posible segunda temporada. Emisión de Canal 13 y Televisa, sus canales de TV paga y por streaming en la plataforma Blim.
O11CE, comedia futbolística para chicos de 6 a 12 años, producida por Pegsa (Pichot Entertainment Group), con de Pol-ka para Disney Channels. 80 episodios de 22 minutos, dirigidos por Sebastián Pivotto entre febrero y octubre de 2016, sobre libros de Javier Castro Albano, Marcos Osorio Vidal y Alberto Muñoz, con actores de Argentina, Colombia, México y Brasil, encabezado por Mariano González y Nicolás Pauls. La estrenó Disney XD en marzo. Llegaría a Europa, África y Medio Oriente.
Heidi, bienvenida a casa, otra infantil con humor y canciones. La estrenó en marzo Nickeolodeon. Dirección de Jorge Montero y guión de Marcela Citterio. Serie live action grabada en escenarios naturales de la Patagonia. 60 capítulos de 45 minutos versionando el clásico de la niña que vive en la montaña. Con Chiara Francia, Mercedes Lambre, Flor Benítez y Victorio D’Alessandro, entre otros.
Soy Luna, segunda temporada, siempre dirigida por Jorge Nisco y Martín Saban, producida por Pol-ka para Disney Channel, grabada en los estudios Baires y el ex-cine Tauro y exteriores en Puerto Madero, Tigre, Nordelta y Cancún. 80 capítulos de 46 minutos, con baile, patinaje, romance y humor. La tercera temporada ya se encuentra en pre-producción.
Supermax, serie de acción y suspenso psicológico dirigida por Daniel Burman y escrita por Mario Segade, estrenada en marzo. Primera ficción original coproducida en castellano por Globo con Oficina Burman, Mediaset de España, TV Azteca de México, TV Pública de Argentina y Teledoce de Uruguay. Se grabó durante 12 semanas desde abril de 2016, en la ciudad escenográfica de Globo en Río de Janeiro y en las Salinas Grandes de Jujuy. Es un reality show dentro de una cárcel de máxima seguridad en el desierto, con los españoles Santiago Segura y Rubén Cortada; los argentinos Cecilia Roth, Antonio Birabent, Laura Novoa, Alexia Moyano, Juan Pablo Geretto, Guillermo Pfening, , el uruguayo César Troncoso y la brasileña Laura Neiva.
El jardín de bronce serie original de HBO Latin America con realización de Pol-ka, con 8 capítulos de una hora dirigidos por Hernán Goldfrid y Pablo Fendrik sobre el libro homónimo de Gustavo Malajovich, quien escribió el guión junto con Marcos Vidal Osorio. Thriller policial grabado durante 13 semanas en 2016, en locaciones de San Pedro y CABA, como el Palacio Barolo. Con Joaquín Furriel, Luis Luque, Norma Aleandro, Gerardo Romano y Julieta Zylberberg. Un arquitecto busca desesperadamente a su hija desaparecida ante la falta de respuestas de la policía. Estrenaría a mediados de año.
La fragilidad de los cuerpos, miniserie de 8 capítulos realizada por Pol-ka para TNT y Cablevisión On Demand. Dirigida por Miguel Cohan sobre la novela de Sergio Olguín con guión de Marcos Osorio Vidal y protagónicos de Germán Palacios y Eva de Dominici. A partir del suicidio de un maquinista de tren, una periodista descubre e investiga un juego siniestro de apuestas clandestinas que implica la vida de niños. Grabada en UHD, con estreno previsto para mayo.
Fanny, la fan, coproducción Underground-Telefe. Tira diaria dirigida por Pablo Ambrosini y Mariano Ardanaz, con Agustina Cherri, Nicolás Furtado, Luciano Cáceres, Verónica Llinás, Puma Goity, Julieta Díaz, Luis Ziembrowski, Laura Novoa, Mex Urtizberea, Soledad Fandiño y Dan Breitman. Es la historia de una fanática de una telenovela de temática vampírica que se convierte en estrella de la TV. Arrancó grabaciones en marzo para estar en pantalla a mediados de año.
Edha, policial de 13 capítulos creado y dirigido por Daniel Burman. Pimera serie de Netflix producida íntegramente en Argentina. Ambientada en el universo de la moda y la música, comenzó su pre-producción en 2016, para grabar y estrenar en 2017. Oficina Burman tiene más proyectos con la compañía española Mediapro, quien le adquirió una importante porción accionaria en febrero, entre ellos, la comedia negra Stroke de 13 capítulos y el policial IOSI. The Reformed Spy, adaptación del libro IOSI, el espía arrepentido de Miriam Lewin y Horacio Lutzky con 10 episodios sobre el atentado en la AMIA en Buenos Aires.
Un gallo para Esculapio ganó el concurso de fomento a la producción audiovisual INCAA 2016. 9 episodios escritos y dirigidos por Bruno Stagnaro, con producción de Underground para Telefe y Turner. Comenzó a grabarse en enero para estrenarse por TNT y Telefe. Con Luis Brandoni, Peter Lanzani, Luis Luque, Julieta Ortega y Eleonora Wexler. Riña de gallos y piratas del asfalto en el oeste del conurbano bonaerense.
Loco x vos, adaptación argentina de la sitcom de Sony Mad about you bajo la dirección de Carlos Luna y guiones de Lily Ann Martin y Daniel Cuparo, primera y segunda temporada aseguradas. Con Juan Minujín y Julieta Zylberberg como pareja protagónica. La grabación comenzó el 16 de enero. (luego de publicada la nota corrieron rumores sobre su suspensión).
Sandro de América. Biopic de 13 capítulos con dirección de Adrián Caetano y guión de Esther Feldman. Inició su rodaje el 20 de marzo y espera ser estrenada en el segundo semestre. La historia atraviesa casi cinco décadas de la vida del cantante argentino e incluye más de un Sandro. Coproducen Telefe y Magic Eye (grupo Telefilm).
MAS FICCIONES …
Las Estrellas. Es una comedia dramática femenina y coral con cinco mujeres protagónicas, las hermanas Estrellas, interpretadas por Celeste Cid, Marcela Kloosterboer, Violeta Urtizberea, Natalie Pérez y Justina Bustos. De Pol-ka para El Trece, comenzará a grabarse el 23 de marzo con dirección de Sebastián Pivotto y Lucas Gil en los estudios de la productora y exteriores en Palermo. Su salida al aire está prevista para junio. Cinco hermanas sin vínculo entre sí, reciben una millonaria herencia de su padre que sólo podrán cobrar si regentean con éxito durante un año el hotel. Será una tira diaria y estará escrita por Marta Betoldi.
El maestro. Otra de Pol-ka, con la que Julio Chávez volverá al Trece. Iniciará grabaciones en el segundo semestre de 2017. Un ex bailarín que quedó incapacitado por una lesión, cuando se encontraba en el cénit de su carrera. En su escuela de danzas recibe a una estudiante que está pasando por la misma situación pero quiere dar batalla.
El gran jugador. Telefe/Endemol. De Kuarzo Endemol Argentina (nueva denominación de la compañía de la que ahora Keller posee la totalidad de sus acciones) y Telefe. Se proyecta como una miniserie sobre un infiltrado al reality "Gran Hermano" que ingresa como participante y anuncia en vivo que hará una bomba que tiene si no liberan a su hermana injustamente detenida. El protagónico correrá por cuenta de Peter Lanzani.
Golpe al corazón y Oro negro. Serán la vuelta a la pantalla abierta de la dupla Quique-Sebastián/Estevanez y de Gustavo Bermúdez, en roles dobles de producción y actuación. La primera incluirá a Eva de Dominici como coprotagonista, con fecha aproximada de rodaje a fines de marzo, principios de abril, y la segunda se centrará en el mundo del petróleo.
Gilda, la serie. El proyecto de la biophic televisiva, pergeñada a luego del éxito de la película Gilda No me arrepiento de este amor, fue presentado en la feria televisiva de Natpe con propuesta de estreno para octubre de este año. La historia de la mítica cantante de cumbia argentina será contada en 13 episodios de 45 minutos y al igual que en el film, la cantante argentina será encarnada por Natalia Oreiro con dirección de Lorena Muñoz. La coproducen Habitación 1520 en alianza con la distribuidora Smilehood Media.
Simona. Otra ficción juvenil musical de Pol-ka con Televisa. Estará protagonizada por Ángela Torres, acompañada por Gastón Soffritti y Ana María Picchio entre otras figuras.
Por amarte así. Telenovela romántica emitida entre noviembre ‘16 y febrero ‘17, que anhela segunda temporada. Fue producida entre Azteka Films, CTV Contenidos y Endemol, con 60 capítulos. La dirección estuvo a cargo de Viviana Guadarrama y Mauro Scandolari sobre libro de Claudio Lacelli y Carolina Parmo. Protagonizaron Gabriel Corrado, Aylin Prandi, Catherine Fulop y Maite Zumelzú, con Sergio Surraco, Héctor Bidonde, Branda Asnícar y Gastón Soffitti.
(*) CONTENIDOS PERIODISTICOS - Nota sobre las ficciones televisivas argentinas para 2017. (Versión aumentada de la autora).
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Los chistes que me dan risa
Esta de moda ahora en las entrevistas que le hacen a comediantes, en las conversaciones de pasillo y en las cenas navideñas, que los hombres digan “que ya no se les puede decir nada a las mujeres”. “Ya no aguantan un chiste”, dicen. En una entrevista durante el Festival Internacional de Cine de Karlovy el año pasado, Terry Gilliam, que suele ser genial y divertido, dijo que ya los hombres no podían hacer comedia y remató con: “ That is bullshit. And I have to say: I do not want to be white anymore, a white man, I do not want to be blamed for everything wrong in the world. I now tell the world that I am a black lesbian” (”Eso es pura mierda. Y tengo que decirlo: ya no quiero ser blanco, un hombre blanco, no quiero que me culpen por todo lo que está mal en el mundo. Ahora le digo al mundo que soy una negra lesbiana”).
Últimamente he visto muchos stand ups de mujeres. Y Terry Gilliam tiene razón en algo: ya los hechos por hombres no me causan tanta gracia. Probablemente el primer stand up que vi yo y mucha gente en Colombia de mi generación fue La pelota de letras. En 2004 se estrenaba esta rutina de Andrés López que retrataba a la familia colombiana a través de distintas generaciones en tres horas. Toda la rutina se basaba en estereotipos: que las señoras de la generación tal son regañonas, que los hombres de esta otra son inexpresivos, etc. Después de Andrés López en Colombia hubo un boom del stand up y entonces otros hombres más jóvenes como Alejandro Riaño empezaron también a burlarse del estereotipo de bogotano, de gomelo, etc. Todas las rutinas tenían algo en común: las mujeres de mi edad son bobas y cuando dicen que no, en realidad quieren decir que sí.
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Yo me reía de estos chistes. Pero ahora veo que me reía con la misma risa incómoda con la que me río cuando el jefe o el tío hacen un chiste sexista en la oficina o en la cena navideña. Me río para que no digan “a Juliana no se le puede decir nada”, es una risa que se funda en la intimidación. Malena Pichot, argentina, hace chistes sobre el aborto y sobre lo difícil que es para una mujer tirarse un pedo cuando se está estrenando novio. Está lejos de ser políticamente correcta: es vulgar y grosera. Me identifico con sus historias y me río. No me pasa tan frecuentemente en un stand up de un hombre. Y veo que es porque estos, con algunas excepciones, no hablan conmigo, sino sobre mí, normalmente se burlan de mí. Un hombre se para (”stand up”) en un escenario para quejarse de su esposa y las mujeres esposas de otros hombres están en el público y se ríen incómodamente. Alejandro Riaño se para en un escenario a quejarse de las mujeres calientahuevos que bailan toda la noche con él y no le botan ni un besito. Y ahí estoy yo, que he bailado con hombres toda la noche y al final no quiero ser esa calientahuevos.
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Malena Pichot se para a quejarse del machismo, de la penalización del aborto y de las violaciones. Natalia Valdebenito, chilena, se para en el escenario a hablar de las dinámicas en las amistades femeninas y es chistosa y diferente a la fórmula masculina de decir “que las mujeres se la pasan peleando entre ellas”. Este humor, entonces, se funda en la conversación. En la serie La maravillosa Sra. Maisel, Midge, un ama de casa de los años 50 descubre su talento para el stand up cuando su marido la deja. En una escena está fumándose un porro con una banda de jazz atrás del club en el que se presenta y se da cuenta en la conversación con ellos de que ella, una madre abandonada por su marido que vive en un barrio gomelo de Nueva York, tiene historias con las que los tres músicos negros pueden identificarse. Sale entonces a presentar a la banda y hace reír al público hablando de la conversación que acaba de tener con ellos. Hay, entonces, en este stand up, un diálogo, una empatía y un compartir de historias. En la serie, claro, no falta la mujer del público que se levanta y se va, indignada por los chistes obscenos de Midge. Así como tampoco falta la mujer que se siente incómoda con los chistes de Pichot sobre cagar menstruando, se siente expuesta. Yo, en cambio, me siento acompañada.
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No quiero ser ingenua. Joan Rivers, considerada pionera del stand up hecho por mujeres, se burla en sus rutinas de las amas de casa. Los chistes de la misma Midge Maisel son muchas veces autodespreciativos y machistas. Incluso Ali Wong, tan grotesca y vulgar en el escenario y al mismo tiempo tan contemporánea y tan de este siglo, es a veces también sexista. Amy Schumer se ríe y se ríe de lo gorda que es. Yo misma, cuando quiero hacer reír a mis amigos soy cruel y vuelvo chistes las veces que me han roto el corazón y mis defectos físicos. Es común entre las mujeres hacernos chistes sobre “perder la dignidad”, y es que todas lo hemos hecho y nos sentimos, de nuevo, acompañadas e identificadas con la otra. (Y las hay peores, en el caso colombiano sobretodo, que no son comparables con las genias que acabo de mencionar, incluyéndome a mi misma, y que por eso pongo entre paréntesis: Alejandra Azcárate e Isabela Santodomingo, que se burlan tan cruelmente de las otras mujeres por gordas, guisas, pobretonas, etc). Este es tal vez el único humor que conocíamos hasta hace muy poco: ser como los hombres y burlarnos de las mujeres, es decir, de nosotras mismas.
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Sobre este humor habla Anna Gatsby en su especial para Netflix Nanette. Dice ella, al principio del stand up, que se retirará de la comedia. Explica que sus chistes sobre cómo salió del clóset, por ejemplo, no cuentan la historia completa, porque de contarla completa no serían graciosos. Ayer escuché un podcast en el que un grupo de mujeres feministas se reúnen a hablar de sus inseguridades y culpas. Una de ellas preguntaba qué responder cuando un hombre le decía que si no aguantaba un chiste. Otra de las mujeres le respondió que dijera que sí, que sí le gustaban los chistes y contó uno: “-Knock knock, -Who’s there? -Annie -Annie who? -Anything you do for 1 dollar i do it for 86 cents”. No es gracioso. Y ese es el punto de Gatsby: la opresión no es graciosa y por eso ella debe dejar de hacer chistes. Al final de su stand up yo dejé de reírme y al escuchar algunas de sus historias, que decidió esta vez contar por completo, me puse a llorar. Gatsby le da una vuelta de tuerca al stand up: nos sentó en un teatro (en el caso del público, en mi caso fue en el sofá de mi casa) con la promesa de una risa y nos engañó: nos incomodó con sus historias sobre lo que ha tenido que aguantar como mujer lesbiana. Se hizo parte ella misma de una conversación y nos obligó a nosotros, su público, a hacer parte también.
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No creo que uno no pueda reírse del patriarcado ni que Anna Gatsby debe retirarse de la comedia. Pero sí es cierto que la conversación debe cambiar y está cambiando. El humor que a mi me da risa debe ser incómodo. Lo que Gatsby llama “self-depricating jokes” (que Netflix mal traduce como “chistes autocríticos” pero son más bien “chistes autodespreciativos”) deben cambiar. Y no, no es lo mismo un hombre blanco riéndose de sí mismo que una lesbiana negra burlándose de sí misma. Como dice Gatsby, la segunda es humillación y no humildad. Me parece apenas normal que los hombres se sientan intimidados con este tipo de humor relativamente nuevo. Porque sí, se trata también de ellos y debe ser incómodo para todos. Esto no quiere decir que solo el humor feminista me parezca gracioso, pero es apenas natural sentirme más cercana a las experiencias de otras mujeres que, como a mi, les ha tocado lidiar con la mierda del patriarcado. Me puedo reír también de los chistes sobre ser judío en Seinfield y de los de Ali Wong sobre ser asiática en Estados Unidos. Aunque no haya ni crecido en una familia judía ni sea una mujer asian-american, puedo ser empática. Y puedo ser empática porque me siento incluida en estas conversaciones, no se están burlando de mí.
Y no es cierto lo que dice Terry Gilliam. Los hombres blancos sí pueden seguir haciendo comedia. Lo que pasa es que ahora deben compartir el escenario con otras historias con las que la otra mitad de la población se va a sentir identificada. No es una cuestión de cuotas, que es de lo que se quejaba Gilliam cuando hizo las declaraciones que cito al principio de este texto. En el escenario y en la pantalla debe haber 50% de mujeres porque es que somos el 50% del público también. Me parece que son los hombres, tan intimidados por la presencia femenina en el escenario, los que no aguantan un chiste. Además, está bien tener un poco de competencia, a ver si se ponen pilas y dejan de hacer los mismos chistes de siempre, tan flojos como un pene flácido.
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Signatech Alpine #36 - Le Mans 24H 2019
Signatech Alpine #36 - Le Mans 24H 2019 One of my favorite from from #lemans24h 2019 #motorsport #pierrepichot #signatech #alpine #racing
This Signatech Alpine #36 photo is one of my favorite shot of the Le Mans 24H 2019. It was taken with a very slow shutter speed of 1/5s in order to get that awesome panning effect. I took the photo from the grand stand, in front of the pits, just after the start line.
Processing this photo was not that easy, but the Lutify.me* Morpheus LUT was a good starting point.
The Signatech Alpine #36 was…
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un Día como Hoy 22 de Agosto Dialogos con la Historia
Artículo de Dialogos con la Historia en http://dialogosconlahistoria.com/dia-hoy-22-agosto/
un Día como Hoy 22 de Agosto
Hoy es el Día Mundial del Folclore y Día del Folclore Argentino
1846 Los estadounidenses conquistan la ciudad de Santa Fe, capital de Nuevo México.
1862 Nace Claude Debussy, compositor francés.
1864 Se firma el Tratado de la Cruz Roja Internacional, o Convención de Ginebra.
1865 Nace Juan Bautista Ambrosetti, el padre de la ciencia folklórica argentina.
1904 Nace Deng Xiaoping, líder comunista chino.
1908 Nace Henri Cartier-Bresson, fotógrafo francés.
1910 Japón se anexa Corea.
1920 Nace Ray Bradbury, escritor de ciencia-ficción.
1922 Asesinan a Michel Collins, jefe del Estado libre de Irlanda.
1926 En Grecia un golpe de estado militar, comandado por Georges Kondylis, pone fin a la dictadura de Theodoros Pangalos.
1930 Pronunciamiento revolucionario de Arequipa, Perú, dirigido por Sánchez Ferro, que derrota al presidente Leguia.
1945 Conferencia de Postdam para reorganizar el mapa político de Europa tras la II Guerra Mundial.
1950 La Asamblea Europea aprueba la Declaración de los Derechos del Hombre.
1951 Se llevó a cabo el Cabildo Abierto del Justicialismo, proclamando la fórmula Juan Perón-Eva Duarte de Perón. Concurrieron alrededor de dos millones de personas.
1961 Nace Andrés Calamaro, músico de rock.
1968 El papa Pablo VI llega a Colombia para asistir al XXXIX Congreso Eucarístico Internacional.
1971 El Cnel. Hugo Banzer encabeza un golpe de estado en Bolivia, que depone al presidente Juan Jose Torres.
1972 16 militantes de organizaciones armadas de izquierda son asesinados por el ejército en una cárcel de la armada Argentina, en lo que se conoció como la Masacre de Trelew.
1974 Nace Agustín Pichot, medio scrum del CASI y los Pumas.
1978 Los sandinistas ocupan el Palacio Nacional de Managua y secuestran a cientos de personas.
1978 Muere Jomo Kenyatta, padre de la independencia de Kenia y su primer presidente.
1982 Finaliza en Viena la Conferencia para la Explotación Pacífica del Universo, con un llamamiento contra la extensión de la carrera armamentista al espacio.
1991 El ejercito soviético inicia su retirada de Estonia, Letonia y Lituania, recientemente independizadas.
1994 Se sanciona en Santa Fe la reforma de la Constitución Nacional.
1998 Muere Elena Garro, escritora mexicana.
1998 El Ejército Nacional de Liberación Irlandés (INLA) declara el alto el fuego tras 23 años de violencia en el Ulster.
2002 Muere Ted Ashley, empresario norteamericano, ex presidente de Warner Brothers.
2003 Muere en España la actriz y cantante argentina, Imperio Argentina.
2004 Roban los cuadros “El grito” y “La Madonna” del museo Edward Munch
2008 En Argentina, la Cámara de Diputados aprobó la re estatización de Aerolíneas Argentinas
2010 En Atacama (Chile), tras 17 días de búsqueda son encontrados con vida los 33 mineros atrapados en el yacimiento de San José.
2012 Muere Nina Bawden, escritora inglesa.
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Nouvelles lectures en BSPO (06/02/17)
À la une : Ce qu'ils disent vraiment : les politiques pris aux mots / Cécile Alduy
Cote de rangement : JA 85 .2 A 253906 / Domaines : Sciences politiques - Analyse de discours
"Liberté", "laïcité", "sécurité", "peuple", "identité"... Les hommes politiques aiment les mots qui claquent ou qui clivent. Mais quel sens précis leur donnent-ils ? À l'aube d'une année électorale à hauts risques, et dans le contexte de montée du Front national et de menace terroriste accrue, il est urgent de clarifier le sens des mots du débat politique.
Pour la première fois, une analyse scientifique décode la logique du discours des politiques qui se disputent l'élection présidentielle de 2017 – Marine Le Pen, François Fillon, Jean-Luc Mélenchon, etc.– et de ceux qu'ils ont peu à peu supplantés – François Hollande, Nicolas Sarkozy, Alain Juppé. À la croisée d'un monde ancien et d'un monde nouveau, c'est la capacité des politiques à lire le monde contemporain et à le dire qui est scrutée.
L'auteur passe au crible plus de 1 300 textes – 2,5 millions de mots – écrits ou prononcés de 2014 à 2016 pour décrypter mots-clés, mots-fétiches et mots-tabous, et cartographier les positions de chacun et la reconfiguration du paysage politique.
Cette enquête sémantique, stylistique et rhétorique dévoile derrière l'écume des petites phrases la structure profonde de la vision du monde des politiques. Que disent-ils ? Qui est "de gauche" et "de droite" à l'heure des concepts politiques élastiques ? Les "populismes" des deux bords se ressemblent-ils vraiment ? Et quels sont les angles morts de ces orateurs aguerris qui manient aussi bien silences et non-dits que slogans et mots d'ordre ?
Plus que jamais, la bataille des idées passera par celle des mots. Et celui qui imposera son propre sens de la "laïcité" ou de la "République" aura remporté une victoire idéologique, au-delà même des résultats électoraux.
Professeur de littérature à l'université Stanford et chercheuse associée au Cevipof à Sciences Po, Cécile Alduy est l'auteur au Seuil de Marine Le Pen prise aux mots. Décryptage du nouveau discours frontiste (2015)." - Quatrième de couverture
Sociologie
Critique du pouvoir : Michel Foucault et l'École de Francfort, élaborations d'une théorie critique de la société / Axel Honneth
Cote de rangement : HM 480 H 253909
The culture of connectivity : a critical history of social media / José van Dijck
Cote de rangement : HM 742 V 253898
Institutions and organizations : ideas, interests, and identities / W. Richard Scott
Cote de rangement : HM 786 S 253910
Community development in an uncertain world : vision, analysis, and practice / Jim Ife
Cote de rangement : HN 49 I 253892
Ce qui nous unit : discriminations, égalité et reconnaissance/ François Dubet
Cote de rangement : HN 440 D 253904
Family time : the social organization of care / edited by Nancy Folbre & Michael Bittman
Cote de rangement : HQ 728 F 253897
Fathering, masculinity and the embodiment of care / Gillian Ranson
Cote de rangement : HQ 756 R 253899
Sciences politiques
Integrating cognitive and rational theories of foreign policy decision making / edited by Alex Mintz
Cote de rangement : JZ 1253 I 253893
Le réveil démocratique du Chili : une histoire politique de l'exigence de justice : de la transition à l'Assemblée constituante (1990-2016) / Marie-Christine Doran
Cote de rangement : F 3101 .3 D 253912
Sciences Economiques
Théorie générale de l'emploi, de l'intérêt et de la monnaie / John Maynard Keynes
Cote de rangement : HB 171 K 253911
The illusion of separation : exploring the cause of our current crises / Giles Hutchins
Cote de rangement : HC 79 H 253894
Agriculture
The unsettling of America : culture & agriculture / by Wendell Berry
Cote de rangement : HD 1761 B 253895
Terrorisme
Les revenants : ils étaient partis faire le jihad, ils sont de retour en France / David Thomson
Cote de rangement : HV 6433 T 253896
Migrations
Décamper / [sous la direction de Samuel Lequette et Delphine Le Vergos]
Cote de rangement : JV 7995 D 253913
Environnement
Disasters, risks and revelation : making sense of our times / Steve Matthewman
Cote de rangement : HV 553 M 253900
Gestion
Reputation risk and globalisation : exploring the idea of a self-regulating corporation / Terry O’Callaghan
Cote de rangement : HD 3613 O 253901
Droit
Légalité et légitimité / Carl Schmitt
Cote de rangement : KK 4713 S 253902
Finance
The return of the deficit : public finance in Belgium over 2000-2010 / edited by Etienne de Callataÿ and Françoise Thys-Clément
Cote de rangement : HJ 53 R 253903
Calmer les prix : l'inflation en Europe dans les années 1970 / sous la direction de Michel-Pierre Chélin, Laurent Warlouzet
Cote de rangement : HG 925 C 253907
Anthropologie
Devenir humains / Yves Coppens et André Pichot
Cote de rangement : BD 450 D 253905
Commerce
Prévision des ventes : théorie et pratique / Régis Bourbonnais, Jean-Claude Usunier
Cote de rangement : HF 5415 .2 B 253908
Tous ces ouvrages sont exposés sur le présentoir des nouveautés de la BSPO. Ceux-ci pourront être empruntés à domicile à partir du 20 février 2017
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“ Quando le Pleiadi, figlie di Atlante, s'innalzan nel cielo, tu comincia il raccolto, e quando tramontano, comincia anche a coltivare il campo. Esse invero per quaranta notti ed altrettanti giorni stanno nascoste, poi di nuovo col volgere dell'anno ricompaiono subito quando si affila la falce. Questa è la legge dei campi [...]. Nel tempo in cui la sferza del sole pungente perde l'ardore che rende l'uomo molle di sudore, quando Zeus onnipossente fa venire le piogge autunnali, e le membra dell'uomo si fanno molto più agili —allora infatti la stella Sirio passa sul capo degli uomini destinati a morire, solo per poco tempo durante il giorno, e gode rimaner di più durante la notte —, in quel tempo è del tutto immune dal morso dei tarli il legno del bosco, reciso dal ferro [...]. Sta' attento, quando senti il grido della gru, che dall'alto delle nubi ogni anno schiamazza: essa porta il segnale di arare i campi e annunzia la stagione dell'inverno piovoso [...]. Se invece seminerai la terra divina quando il sole volge al solstizio, tu potrai mietere stando seduto, stringendo in una mano lo scarso raccolto [...]. Quando Zeus ha fatto compiere sessanta giorni invernali dopo il solstizio, proprio allora la stella di Arturo, dopo aver abbandonato la sacra corrente di Oceano, s'innalza la prima volta nel cielo al calar delle tenebre. E dopo di essa, la figlia di Pandione dall'acuto lamento, la rondine sorge alla luce fra gli uomini, all'inizio della primavera. Tu prima della sua venuta pota i vigneti, perché così è meglio [...]. Quando poi Orione e Sirio sono giunti a mezzo del cielo, e l'Aurora dalle dita di rosa riesce a vedere Arturo, allora, o Perse, raccogli tutti i grappoli d'uva e portali a casa [...]. Ma se ti prende desiderio della navigazione perigliosa, nel tempo in cui le Pleiadi, fuggendo la terribile possa di Orione, si tuffano nel mare caliginoso, allora invero spirano i soffi dei venti da ogni direzione ed allora tu non tener mai le navi nel purpureo mare, ma ricordati di lavorare la terra [...]. Cinquanta giorni dopo il solstizio, quando è giunta al termine la stagione dell'estate spossante, allora è tempo giusto per i mortali di mettersi in mare; allora tu non perderai in naufragio la nave, né il mare farà perire i tuoi uomini [...]. In quel tempo i venti sono costanti ed il mare è sicuro [...]. “
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Brano tratto da Esiodo, Le Opere e i Giorni, traduzione di A. Colonna in Esiodo, Opere, Torino 1977; testo raccolto in:
André Pichot, La nascita della scienza. Mesopotamia, Egitto, Grecia antica, traduzione di Marina Bianchi, Edizioni Dedalo (collana Storia e civiltà n° 34), Bari, 1993¹; p. 295.
[1ª Edizione originale: La Naissance de la science, Tome I. Mésopotamie, Égypte, Tome II. Grèce présocratique, Éditions Gallimard, coll. Folio/Essai nos 154 et 155, 1991]
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Vital forces direct phenomena they do not produce: physical agents produce phenomena they do not direct.
Claude Bernard, Leçons sur les phénomènes de la vie (1878)
Extract featured in André Pichot's book Expliquer la vie, de l'âme à la molécule: chapter 2, Mécanisme et chimie pp. 267—268 (éd. Quae, 2011)
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“ La nostra organizzazione del tempo ha ereditato dalla Mesopotamia una delle sue divisioni temporali «magiche»: la settimana di sette giorni. L'origine di questa settimana sembra sia la seguente (anziché quella che la vede come una semplice divisione in quattro del mese lunare — il quale ultimo conta 29,5 giorni e le fasi della luna, infine, non sono uguali): a Babilonia, il numero 7 sarebbe stato nefasto, di modo che non si doveva intraprendere nulla nei giorni settimo, quattordicesimo, ventunesimo e ventottesimo del mese; questi giorni diventando anzi giorni di completo riposo per le classi agiate. Questa abitudine del riposo ogni sette giorni (in quanto il numero sette era nefasto) è passata nella Bibbia (insieme a una gran quantità di miti mesopotamici) sotto la forma del riposo settimanale (calco del riposo di Dio dopo la creazione: la spiegazione mitica è mutata, dimenticando il numero 7) e ci è così pervenuta. Si noterà peraltro che ogni giorno della nostra settimana è denominato secondo uno degli astri mobili che conoscevano i Mesopotamici: il Sole, la Luna e i cinque pianeti più vicini (lunedì: Luna; martedì: Marte; mercoledì: Mercurio; giovedì: Giove; venerdì: Venere; sabato: Saturno; quanto alla domenica, essa è diventata invece il giorno del Signore — latino ecclesiastico dies dominicus ma la sua denominazione solare ancora è visibile in inglese, Sunday, giorno del sole). Per concludere questa questione dell'organizzazione del tempo in Mesopotamia, ricordiamo che il giorno è diviso in dodici berli uguali (ciascuno di essi equivale a due delle nostre ore). L'inizio del giorno è stato dapprima fissato al sorgere del Sole; poi i Caldei scelsero la mezzanotte (proprio come facciamo attualmente noi), probabilmente perché era difficile conservare al giorno una durata costante di dodici berú facendolo cominciare al sorgere del Sole (la cosa più semplice sarebbe stata di farlo cominciare a mezzogiorno, quando il Sole passa al meridiano, passaggio che è facilmente reperibile con lo gnomone o con il polos; ma una tale soluzione è difficilmente compatibile con la concezione del giorno come unità amministrativa o unità di tempo di lavoro). “
André Pichot, La nascita della scienza. Mesopotamia, Egitto, Grecia antica, traduzione di Marina Bianchi, Edizioni Dedalo (collana Storia e civiltà n° 34), Bari, 1993¹; pp. 140-141.
[1ª Edizione originale: La Naissance de la science, Tome I. Mésopotamie, Égypte, Tome II. Grèce présocratique, Éditions Gallimard, coll. Folio/Essai nos 154 et 155, 1991]
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Salvador Felipe Jacinto Dalí i Domènech (Salvador Dalí)
Salvador Dalí en 1939. Fotografía de Carl Van Vechten.
Salvador Felipe Jacinto Dalí i Domènech; conocido simplemente como Salvador Dalí, fue un pintor, escultor, grabador, escenógrafo y escritor español, considerado uno de los mayores representantes del surrealismo.
Nació el veinte de mayo de mil novecientos cuatro (1904), en Figueres, provincia de Girona, España, muy cerca de la frontera con Francia.
Criado en el ceno de una familia burguesa, su padre; abogado, tenía un carácter muy estricto, que contrastaba con el carácter suave de su mujer; Felipa, quien alentaba los intereses artísticos del joven Salvador.
Dalí tuvo un hermano mayor, también llamado Salvador, que murió a los siete años, nueve meses antes de su nacimiento. Este hecho marcó mucho al artista, que se veía como la reencarnación de su hermano.
Dalí tuvo también una hermana; Anna María, cuatro más menor que él.
Siempre inquieto y artístico, desde niño se adentraría en el mundo de la pintura con tan sólo doce años, de la mano de unos amigos de sus padres, los Pichot. Gracias a esta familia de artistas y especialmente a la figura de Ramón Pichot, Dalí descubrió el impresionismo.
Siguiendo los consejos de Pichot, su padre lo envió a clases de pintura. En mil novecientos diecinueve (1919), con catorce años, Dalí participó en una exposición colectiva de artistas locales y cuando cursaba sexto de bachillerato, editaron entre varios amigos la revista mensual Sudium.
En febrero de mil novecientos veintiuno (1921), su madre murió a consecuencia de un cáncer. Fue un duro golpe para Salvador. Tras su muerte, el padre de Dalí contrajo matrimonio con la hermana de su esposa fallecida. Dalí nunca lo aprobó.
A los dieciocho se trasladó a la Residencia de Estudiantes de Madrid para estudiar en la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando. Allí; coincidió con algunas futuras celebridades del arte español, como Federico García Lorca o Luis Buñuel.
Dalí enseguida atrajo la atención de todos. Además de por sus pinturas, llamaba la atención por su carácter de estrafalario dandi. Lucía una larga melena con patillas, gabardina, medias y polainas al estilo de los artistas victorianos.
Dalí y su mascota, un ocelote de nombre Babou. La fotografía es de los 60's.
En mil novecientos veintitrés (1923), fue expulsado de la academia, acusado de encabezar una protesta estudiantil. En otoño regresa a la academia donde se ve obligado a repetir el curso.
Durante el siguiente curso, no regresa a la academia de San Fernando, y Federico García Lorca pasa las vacaciones con Dalí en Cadaqués.
Dalí fue expulsado de nuevo de la academia en mil novecientos veintiséis (1926), poco antes de sus exámenes finales, por afirmar que no había nadie en esta en condiciones de examinarlo.
Viajó a París por primera vez, donde conocería a uno de sus ídolos, Pablo Picasso. Esa ciudad, además; vería florecer el surrealismo de Dalí, así como ese característico bigote, inspirado en Velázquez, que le acompañaría el resto de su vida.
A través de Joan Miró entra en contacto con el grupo de surrealistas encabezado por André Breton.
Se proyecta en la capital francesa el film Un Perro Andaluz, fruto de su colaboración con Luis Buñuel.
En agosto de mil novecientos veintinueve (1929) conoció a su musa y futura esposa; Gala, nacida con el nombre de Elena Ivanovna Diakonova, era una inmigrante rusa once años mayor que él, que en aquél momento estaba con el poeta francés Paul Éluard.
La relación con Gala fue la gota que colmó el vaso para romper la relación de Dalí con su padre, que ya estaba muy deteriorada. Ese año Dalí continuó exponiendo regularmente ya como profesional y se unió oficialmente al grupo surrealista afincado en el barrio parisino de Montparnasse.
Durante los dos años siguientes, su trabajo influyó enormemente en el rumbo del surrealismo.
La edad de oro; segunda película realizada en colaboración con Buñuel, fue estrenada en el Estudio 28 de París.
Publica en su libro La Femme Visible (La Mujer Visible), que recoge textos que habían aparecido en diversas revistas.
A principios de la década de los treinta, Dalí haya su propio estilo, una mezcla de vanguardia y tradición.
Dalí está integrado completamente en el surrealismo y empieza su consagración como pintor.
En mil novecientos treinta y uno (1931), pintaría uno de sus cuadros más famosos, La persistencia de la memoria, también conocido como Los relojes blandos.
En mil novecientos treinta y cuatro (1934), expone en la Expositión Du Cinquantenaire, en el Grand Palais de París, sin tener en cuenta la opinión del resto de surrealistas que habían decidido no participar en ella. Esto casi le supone la expulsión del grupo.
Llegó a EE.UU. ese año gracias al marchante Julien Levi. La exposición de alguna de sus obras levantaron un enorme revuelo en Nueva York.
Fotografía donde se explora la idea de la suspensión, representando tres gatos que vuelan, un cubo de agua lanzada y Salvador Dalí en el aire.
En diciembre de mil novecientos treinta y seis (1936), la revista Time le dedica la portada con fotografía de Man Ray y participa en la exposición Fantastic Art Dada Surrealism en el MoMA de Nueva York.
En febrero del siguiente año, conoce a los hermanos Marx en Hollywood y empieza a trabajar en el guion de una película; Jirafas en ensalada de lomos de caballo, conocida en su última versión como La mujer surrealista, que nunca llegará a realizarse.
Dalí y Gala regresan a Europa y en Londres, Stefan Zweig le presenta a Sigmund Freud.
En el treinta y nueve (1939) se estrena en el Metropolitan de Nueva York el Ballet Bacchanale, con libreto, vestuario y decorados de Salvador Dalí.
Ese mismo año Breton publica el artículo Tendencias más recientes de la pintura surrealista (Des tendances les plus récentes de la peinture surréaliste), que supone la expulsión de Dalí de este grupo.
Con la incursión de las tropas alemanas a Burdeos, el matrimonio Dalí se traslada a vivir a Estados Unidos, donde permanecen hasta mil novecientos cuarenta y ocho (1948).
Empieza su interés por el diseño de joyas que continuará a lo largo de su carrera.
Se traslada a Hollywood en el cuarenta y cinco (1945) para trabajar con Alfred Hitchcock en la película Spellbound (Recuerda), cuyas secuencias oníricas realiza.
En el cuarenta y seis (1946), Walt Disney lo contrata para que le ayude en la producción de la película Destino.
De vuelta en Cataluña, empieza su etapa mística y nuclear, caracterizada por el tratamiento de temas religiosos y de aquellos relacionados con los avances científicos de la época, mostrándose especialmente interesado por los progresos relacionados con la fusión y la fisión nucleares.
Al final de su carrera, Dalí no se limitó a la pintura, desarrollando nuevos proyectos que hicieron aumentar su popularidad de excéntrico.
Creó un boletín y se convirtió en uno de los pioneros de la holografía artística.
En mil novecientos sesenta y cinco (1965), se inaugura la muestra antológica Salvador Dalí 1910–1965 en el MoMA.
En mil novecientos sesenta y ocho (1968), Dalí grabó un anuncio televisivo para la marca de chocolate Lanvin y en mil novecientos sesenta y nueve (1969) diseñó el logo de Chupa Chups. Ese mismo año trabajó como responsable creativo de la campaña publicitaria de Eurovisión y creó una gran escultura metálica, que se instaló en el escenario del Teatro Real de Madrid.
Además; el primero de abril de mil novecientos setenta (1970), anuncia la creación de un museo en Figueres, que abrió sus puertas cuatro años más tarde.
En mil novecientos ochenta y dos (1982), Juan Carlos I concedió a Dalí el título de Marqués de Púbol.
Tras el fallecimiento de Gala ese mismo año (1982), Dalí se vio fuertemente afectado. Muere en Figueres el veintitrés de enero de mil novecientos ochenta y nueve (1989), a los ochenta y cuatro años de edad a consecuencia de un paro cardíaco, después de haber sufrido una larga agonía.
Dalí, genio y figura extravagante y fascinante, tanto en sus obras como en su vida, es el representante más popular del surrealismo y uno de los artistas españoles más universales.
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