Tumgik
#(lo dico da zecca)
armoniaxcaos · 2 years
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pure ama ormai completamente esaurito da quelli di poltronesofà
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HIGHWAY TO HELL
Così vorresti mollare dico tutto. 
Non credo più a niente, non voglio più niente.
Cosa vuol dire che non vuoi più niente?
Che per me va bene così, basta. 
Vuoi farla finita?
Voglio essere lasciata in pace, stare da sola. Farmi un orto, una casa. 
Sono andato in mezzo ai boschi prima di te, sai cosa ci ho trovato?
Cosa?
Le zecche, e se non sai coltivare muori di fame. Servono anni per preparare la terra….. ma te che ne sai. 
Silenzio
Voglio dirti una cosa. Per me e te non è stato facile . C’è gente che nasce con la camicia noi siamo nati nella merda, abbiamo sofferto tutta la vita e probabilmente moriremo male. Lo sai questo si?
Si
E se fai nel bosco che trovi?
Pace. 
Per 3\4 ore, poi trovi piante tossiche che scambi per commestibili e zecche che ti sforacchiano la pelle. Non ti dico poi che divertimeno se ti entrano sotto le mutande. 
te sempre
Me ne hanno tolta una a 10 cm dall’inguine ed era a testa in giù
Perché era a testa in giù?
Perché era una zecca scema.
Silenzio. 
Io e te avremmo il diritto di vivere con uno stipendio d’oro, di non fare un cazzo per almeno 3\4 anni solo per quante persone hanno provato a spaccarci gambe, schiena, braccia in più momento o in uno stesso. Solo per gli insulti, per le bugie per i maltrattamenti. Io e te ci meriterremmo 3 mesi di ferie in barca e 3 mesi in montagna, E invece che fai domani?
Lavoro
Magari, vai a lavare i piatti aspettando un lavoro. E io cosa faccio?
Il tuo lavoro?
Spero di vendere attraverso un metodo che non porta vendite. E se anche scappiamo in un bosco il bisogno di soldi ci verrà a cercare, e se non quello i traumi. 
Io non ho traumi
Ti ricordi quelli che ti hanno chiuso dentro quella casa?
Come lo sai?
Me lo hai detto te. 
Silenzio
Tanto noi moriamo comunque male, soffrendo. È inutile illudersi è andata così. L’unica cosa che possiamo fare è scegliere come farlo. Per queso sogno ancora. Certo che ho paura di farmi male, è ovvio, in tutto e di perdere tempo. Ma davvero non me ne frega assolutamente niente. Sono stato a cercare per anni la scelta “ sicura” in termini di ottimo equilibrio tra sofferenza e felicità, spoiller non esiste. 
Si ma io che faccio?
Smetti di raccontarti cazzate. Quando dici “ mi va bene questo, o quel lavoro” e la notte quando stacchi ti senti morire. Quando sono anni che non rivedi i tuoi amici, quando preghi per una stanza in cui fare l’amore e pensi che non avrai mai una casa per te. Tutto questo ti fa morire dentro, ti crea un buco. 
Se tanto vale soffrire allora crea un piano per ottenerlo. 
Come si fa?
Uccidendo i problemi. Devi pianificare, togliere la parte mentale, economica fisica, è un lavoraccio, ma un problema una volta morto non ritorna se fai il lavoro fatto bene. 
E se non muore?
Non è importante, se nel frattempo tu lavori, speri e non muori dentro hai già salvato qualcosa: te.
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seoul-italybts · 2 years
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[✎ ITA 🏟] 15.10.22⠸ Discorsi Finali Concerto ' BTS : Yet to Come in Busan ' ⠸ ita : © Seoul_ItalyBTS⠸
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15.10.2022 | Discorsi Finali Concerto ' BTS : Yet to Come in Busan '
a sostegno della candidatura di Busan come città ospite della World Expo 2030
⠸ ENG: © loopmyg , © 7btsupdates , © JiminGlobal , © lovemazejikook , © odetonamu , © SUGAJelly9339 , © Koo_Picasso , © modooborahae / ITA: © Seoul_ItalyBTS ⠸
Premessa
V: La canzone che abbiamo appena cantato, 'Spring Day' è la nostra preferita e anche quella degli ARMY. È una canzone molto preziosa, per me, perché possiamo cantarla tutti insieme ai concerti. Siamo molto felici di avervi potuti sentire cantare insieme a noi, oggi.
JIN: Sì, esatto. Ero un po' stanco, ma quando vi ho sentiti cantare, ho recuperato le energie.
SUGA: Già, quando vi ho sentiti cantare 'Spring Day', mi è venuto un po' un groppo in gola. Per poco non mi mettevo a piangere, sul serio. Ah... Se tra voi c'è chi sta attraversando un momento difficile, così come i vostri cori e grida ci hanno restituito le forze, spero il ricordo dell'aver cantato insieme a noi vi tiri un po' su il morale.
JUNGKOOK: Oggi abbiamo cantato persino le canzoni che non facevamo da un po', oltre a tutte quelle più popolari, ed abbiamo fatto del nostro meglio. Cosa ve n'è parso?...
Se vi è piaciuto, siamo felici.
JIMIN: Abbiamo talmente tanti ricordi, innumerevoli ricordi con tutti voi
ARMY: * cantano 'Tanti Auguri' a Jimin *
JIMIN: Oggi diventerà uno di quei ricordi preziosi...
BTS: * si uniscono al coro *
JIMIN: Ah, grazie... Ah.. Credo non farà tanto piacere ai miei genitori sentirlo, ma sinceramente non mi è mai interessato molto dei compleanni. Mi dico sempre che non è che un giorno come un altro
SUGA: Hey, il tuo compleanno per me è importante! Penso che il compleanno di Jimin sia davvero molto importante
JIMIN: Ah, bugie... perché dici bugie?
Ad ogni modo, ragazz*, lo sapete, no? Sono molto felice che voi festeggiate il mio compleanno e penso che sarebbe bello festeggiare ogni giorno. Grazie mille per gli auguri!
Ad ogni modo... Non era neppure il mio turno di parlare... * indica RM *
RM: Buon compleanno!
JIMIN: Grazie!
RM: Tantissimi auguri di buon compleanno, Jimin
JIMIN: Grazie * si inchina *
RM: Sì. Siamo quasi in chiusura di questo nostro concerto da Busan, dopo tre anni [che non ci esibivamo compiutamente in Corea]. Quindi ora, ognuno di noi, dirà qualche parola e poi saluteremo.
J-Hope
Suga: Per il discorso di Hobi sediamoci
J-HOPE: Ah ah, ma non ce n'è bisogno!
Suga: No, è che ci fanno male le gambe
ARMY: j-hope! J-hope! J-hope!
J-HOPE: * si unisce al coro, ballando * Sì, ragazz*, siamo arrivati all'ultima parte di questo concerto a Busan. Sul serio, visto che spero tutti questi nostri commenti avranno un significato speciale per voi, ho riflettuto molto su ciò che volevo dire.. Ah, prima di tutto, mi mancavano davvero tanto i momenti come questo, sapete? Ho fatto una performance solista e non è stato affatto facile esibirmi senza gli altri 6 membri. Ne ho sentito davvero la mancanza. Sul serio, quando sono insieme agli altri mi sento vivo e sanno trasmettermi un sacco d'energia. Quindi, mentre ci preparavamo per questo spettacolo qui a Busan, mi veniva quasi da piangere perché mi era mancato davvero tantissimo stare insieme agli altri. Non so, è stato emozionante. Quindi penso, se già solo io mi sono sentito così, chissà quanto dobbiamo esservi mancati noi? Chissà quanto devono esservi mancati i concerti dei BTS?
Sono davvero felice e sollevato per essermi potuto esibire, mi sento come rigenerato.
Abbiamo lavorato sodo per presentarvi 'Run BTS' per la prima volta, con una coreografia nuova di zecca, ed abbiamo anche provato ad aggiungere degli effetti auto-tune buffi alle nostre voci. Volevamo assolutamente che vi divertiste, quindi abbiamo preparato molte cose per questo concerto e ne sono soddisfatto. Anche voi mi siete mancati... Volevamo mostrarvi tutto il nostro affetto e passione e ora mi sento più leggero. Sì, in realtà volevo dire anche due parole riguardo al futuro
ARMY: Ooooooh!!!
J-HOPE: No, non preoccupatevi, non è niente di che. Volevo solo dire che, ora più che mai, credo sia importante avere fiducia, sia noi BTS che voi, ARMY. Credo sia arrivato il momento di guardare al futuro con fiducia, insieme, tutti quanti.
Grazie mille ai fan e al pubblico per essere venuti a vederci, oggi. Vi voglio bene. Grazie infinite, vi voglio bene.
Jimin: Hai finito?
J-HOPE: Sì, mi sono dilungato un po', vero?
Jimin: Ah, non ti preoccupare. Hyung, io mi fido!
J-HOPE: Abbiamo bisogno di fiducia, d'ora in poi... * canta “Ho fiducia in te...e alla fine ti leverai in volo verso un futuro prospero”, da 'Outro : Wings' *
JIMIN
JIMIN: Vi siete divertiti? È un po' triste pensare che sia quasi finito. Però questo non sarà il nostro ultimo concerto, ne faremo altri. Quindi non siate troppo tristi, ragazz*! Inoltre, grazie per i vostri auguri di buon compleanno, sono felice di essere nato eh eh. Ragazz*, dato che è passato un altro anno, ho riflettuto molto. Non mi è mai piaciuto invecchiare. Anzi, vorrei continuare a fare concerti per voi come ora per molto, molto tempo. Quindi continuo a riflettere sull'invecchiamento. Ultimamente, ho avuto più tempo per chiacchierare con voi, quindi, specialmente oggi, invece di parlare d'età... Solitamente non ci do molto peso, ma la cosa mi incuriosisce e mi chiedo come saremo tra 10 anni. Non vedo l'ora di scoprirlo. Non sono preoccupato, credo sarò ancora molto felice. Quindi, sì, penso potremo continuare su questo percorso, creandoci tanti altri ricordi insieme? Forse, ciò che abbiamo fatto finora, non era che un assaggio di ciò che verrà in futuro. Voglio davvero restare con voi per... [*dialetto] (altri) 30, 40 anni!
Jungkook: [*dialetto]: Ne sei proprio sicuro??!!
JIMIN: [*dialetto] Sì, sicuro! Tipo, a 70 anni “Siamo i Bangtan Sonyeondan (Bangtan Boys)”
j-hope: Oww, chiamarci 'ragazzi (Sonyeondan / Boys)', a quel punto, sarebbe ben imbarazzante!
Suga: Non potremo più chiamarci 'ragazzi' a quell'età
JIMIN: Ad ogni modo, oggi è stata una giornata felice! Come sempre, insieme a voi ci sentiamo totalmente a nostro agio ed è sempre un'esperienza preziosa. Spero potremo rivederci al più presto. Grazie per essere venuti a vederci, ragazz*!
* si inchina *
RM
RM: Ciao! Di solito sono l'ultimo a fare il mio discorso, mi dilungo sempre alla fine, ma oggi non volevo passare per ultimo quindi seguirò l'ordine in cui siamo disposti e parlerò ora. Visto che era tanto che non vi vedevamo ci tenevo a fare bella figura, quindi mi sono tagliato i capelli. Non siamo ancora così vecchi.. Sono sicuro che se anche gli altri membri si tagliassero i capelli, sembrerebbero appena entrati nei vent'anni e potremmo fare comeback in qualsiasi momento.
Jin: E io?
RM: ...Tu, hyung, sembri un 25enne.
Jin: Grazie
RM: Ad ogni modo, parlo sempre un sacco ma oggi, per la prima volta, non mi sono preparato niente di che. Sono salito sul palco con l'unico proposito di farvi divertire. Credo questa sia la prima volta, in 3 anni, che facciamo un concerto (come si deve, in Corea). Grazie per averci aspettati in questi ultimi 3 anni. È stata anche la prima volta, dopo tanto, che facevamo un concerto con pubblico in piedi [*nella zona prato: solitamente ci sono sempre sezioni sedute anche nel parterre]. Penso l'ultima fosse stata durante il tour 'Speak Yourself' o il 'Magic Shop'.. A dire il vero, avevamo in programma di avvicinarci di più al pubblico su alcune canzoni, come 'Run' e 'Idol', ma non abbiamo potuto per motivi di sicurezza, mi spiace. Ad ogni modo.. Cosa posso dire? Anche se non dirò chissà che, sono sicuro capirete lo stesso. Qualsiasi cosa accadrà in futuro, i nostri 7 cuori batteranno sempre all'unisono, continueremo a nutrire sempre gli stessi sentimenti e ad esibirci con gioia, come ora. Come ha detto Hoseokie prima, se voi ragazz* avrete fiducia in noi, potremo affrontare qualsiasi sfida futura. Per favore, abbiate fiducia in noi. Spero vi porterete nel cuore tutti i bei ricordi creati oggi insieme a noi. Grazie per averci aspettati in questi 3 anni! So che gli altri hanno ancora cose da dire, quindi, sul serio, vi sono grato. Grazie.
Jungkook
JUNGKOOK: Namjoonie hyung ha detto che oggi, per la prima volta, è salito sul palco senza pensare troppo (a cosa dire nel discorso finale), ma io non mi preparo mai niente. Scusate!
* si inchina *
Oggi... Cos'è? Il nostro nono anno? Sì, è quasi il nostro decimo anno. Oggi, mentre ero sul palco, pur non essendo un gran pensatore, ho riflettuto molto. Ho ripercorso mentalmente questi 10 anni, fin da quando ero un trainee, e credo di non averlo mai detto sul palco prima d'ora, ma vorrei ringraziare i nostri membri.
J-hope: (eng) Cavolo!
Suga: Così all'improvviso?
JUNGKOOK: Sul serio, trovarmi qui sul palco, nella mia città natale, Busan, con così tanti ARMY è davvero un'esperienza curiosa e, ad un certo punto, non mi sembrava neppure vero. Quindi, sì, ho pensato molto agli ARMY e ai membri. Faccio questa carriera da 10 anni.. 9 anni, e ci sono stati momenti difficili in cui avrei anche voluto mollare. Ma i membri mi hanno sostenuto e credo sia grazie a loro se ora sono qui, su questo palco.
J-hope: (eng) Sono fiero di te, JayKaay!!!
JUNGKOOK: Ad ogni modo.. Per tutto questo tempo, voi tutti e gli hyung-nim dei BTS ne avete davvero passate tante e lavorato sodo. Questa non è la fine, continuiamo a correre anche in futuro! Come ha detto prima Jiminie hyung, voglio trascorrere i prossimi 10 anni, e altri 10 ancora, insieme a voi! Grazie, sono davvero felice di potermi esibire nella mia città d'origine. Grazie agli ARMY che sono venuti a vederci. Ora che fa più freddo, per favore, fate attenzione a non ammalarvi. Occhio alle auto, alla folla e abbiate cura di voi. Mi raccomando, mangiate come si deve. La chiudo qui, ma sono davvero felice. Vi voglio bene, ARMY! Vi voglio bene, BTS! Vi voglio bene!
JIN
JIN: ... Allora, oggi mentre mi esibivo...
ARMY: Kim Seokjin! Kim Seokjin!
Jimin: Non è forse colui che ha vinto il premio alla popolarità durante la cerimonia (TMAs)?
JIN: Sì, ora che ho 30 anni, ho sempre più l'aura da idol.
Ad ogni modo, nel corso della serata, ho pensato molto al fatto che questo era l'ultimo concerto che avevamo in programma e mi sono chiesto “quando ci ricapiterà un'opportunità simile?” Ragazz*, non so quando ci sarà un altro tour, ma se dovessimo farlo voi ci verrete, vero?
ARMY: Siiiiiiiiiì
JIN: A dire il vero, nelle ultime settimane avevo male alla gola e non ero del tutto in forma. Sono dovuto andare spesso a farmi visitare e vivevo praticamente presso la clinica dell'otorinolaringoiatra. Non facevo che pregare e sperare che la mia gola migliorasse, almeno prima del concerto. Sul serio, fino a 10 minuti prima dell'inizio, non avevo voce, non riuscivo neppure a parlare. Questa mattina, hanno dovuto farmi una flebo e fino a pochi giorni fa stavo ancora prendendo medicinali perché non potevo smettere di lavorare, wow! Ma quando sono salito sul palco, la mia gola è migliorata. Quindi ho pensato, "Dunque è veramente questo quello che chiamano vocazione/destino?" Credo veramente sia un'enorme sollievo e fortuna avervi incontrati. In conclusione, forse è un po' inaspettato, ma il prossimo album ad essere rilasciato, dopo quello di j-hope, sarà il mio. Non è proprio un album ma un singolo, però ho avuto l'opportunità di lavorare con qualcuno che adoro. Ho preparato molti contenuti da condividere con voi, quindi spero li aspetterete con entusiasmo. Oggi mi sono divertito molto. Grazie e vi voglio bene!
SUGA
SUGA: Sì, ci sono stati un po' di disguidi durante questo concerto a Busan... Ad ogni modo, quel che è fatto è fatto e resterà nel passato. Credo sia molto più importante esserci potuti creare un ricordo così prezioso, oggi. Di recente, mentre preparavamo la setlist, beh, forse è abbastanza conosciuta anche quella, ma, a parte Ma City, tutte le altre canzoni sono quelle che abbiamo sempre eseguito in gruppo. Le vedo quasi sfilarmi di fronte agli occhi, mentre scorrono nella mia memoria. Dal 14 giugno 2013 fino al 15 ottobre 2022, ah, che sollievo! Sono felice e sollevato di avervi potuti incontrare, qui a Busan ed è un sollievo poter sentire le vostre grida. Sul serio. C'è chi dice che i BTS sono vecchi, o robe simili... Sono trascorsi quasi 6 anni dal nostro primo Daesang (*gran premio ad una cerimonia di premiazione coreana), ma credo che continueremo ad ergerci sul palco per altri 10, ma che dico? 20 o 30 anni!
V
V: ARMY, vi siamo mancati? Voi ci siete mancati un sacco! Mentre ci esibivamo, nel corso del concerto, pensavo ad una cosa: quando abbiamo fatto la nostra "Cena Aziendale", piangendo, abbiamo detto che avremmo interrotto le attività di gruppo per dedicarci a quelle soliste, ma ora eccoci di nuovo qui insieme con un concerto di gruppo!
Suga: Non abbiamo mai detto che avremmo interrotto le attività di gruppo. Sono quelli che scrivono [articoli] che hanno detto ci saremmo fermati
V: Il bello è che...
Suga: Non abbiamo mai detto niente del genere!
Jin: Esatto, non l'abbiamo detto!
Suga: Mai!
Jin:Già, non l'abbiamo mai detto
V: Ah, sono gli articoli che ne hanno scritto così. Scusate
Suga: Non c'è niente di cui scusarci/non è colpa nostra
V: Oh, ma improvvisamente mi è venuta in mente questa cosa: "Gli ARMY rimarranno di nuovo sorpresi nel vedere questo concerto!" Perché anche se si è trattato di un solo show, ci siamo preparati duramente e la coreografia di 'Run BTS' è molto faticosa. Abbiamo anche incluso le canzoni più recenti e mostrato cose nuove, quindi speravo veramente l'avreste adorato, ARMY. Vi è piaciuto? Ah, siamo quasi alla fine. Non so fare discorsi troppo lunghi. Grazie * si inchina *
Jungkook: Fine discorso? Così?
Suga: Un taglio netto- già~!!!
V: I purple you!
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corallorosso · 4 years
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Meloni, quel glitter anni ’80 e lo strano concetto di sessismo dei Fratelli d’Italia Di Selvaggia Lucarelli Il 9 febbraio è una di quelle date da segnare sul calendario e da celebrare ogni anno perché ricorrenza di una grande scoperta. E cioè: Fratelli d’Italia e i suoi elettori e rappresentanti hanno una loro sensibilità. Un loro punto di fragilità. Un tema su cui si stringono commossi e compatti. Un argomento su cui non accettano cinismo e aridità: IL GLITTER. Ebbene sì, a loro non frega nulla dei migranti, delle navi delle ong che vanno affondate, dei gay che non devono adottare e delle famiglie tradizionali, di elettori e buona parte della classe dirigente nostalgica del fascismo, dei fratelli d’Italia finiti in galera per ‘ndrangheta. No. Loro si offendono se dici che la loro leader donna-mamma-cristiana è pure glitterata. Un’offesa indicibile. Una ferita insanabile. Un dolore inconsolabile, per la povera Giorgia, che da ieri, per il mio tweet sul suo ombretto glitterato che sfoggiava ieri in tv (“La Meloni ha rispolverato la trousse Deborah dell’85”) non chiude occhio. Forse anche perché non è ancora riuscita a struccarsi, tanta è la sofferenza che l’affligge. Dire che il suo trucco in tv era anni ’80, che frase terribile. “Bodyshaming”, “Cyberbullismo!”, “E la solidarietà femminile?”, tuonano i suoi. Ed è bizzarro per due motivi: primo perché non si capisce bene quale sia il concetto offensivo. L’anno 1985 è insultante? Ma è un anno incredibile il 1985! Sono nati Ronaldo, Mario Bros e Ritorno al futuro, nel 1985. Potrei capire, che so, se avessi fatto riferimento a una trousse del 1924, anno delle prime elezioni fasciste, ma cosa avete contro il 1985, amici di Fratelli D’Italia? (...) Cioè, se dico che una si veste anni ’50 è bodyshaming? Quando dicono “Monti col suo loden anni ’70” è cyberbullismo? Quando scrivono che un’attrice o una cantante ha un look vintage è accanimento? Ma siete tutti scemi? Ah già, no, siete Fratelli d’Italia. (...) Una satira, direi, più che gentile, che non ha mai turbato nessuno, nemmeno la Meloni. Ma Fratelli d’Italia, col suo comprensibile complesso di avere un manipolo di commentatori aggressivi, sessisti, violenti spesso spalleggiati da vari esponenti del partito sia a livello locale che nazionale, collezionisti di figure di merda epocali e di ignobili frasi L’iste, è alla ricerca disperata di scuse per fare un po’ di vittimismo facile. La Meloni truccata anni ’80? Bodyshamiiiiiing. Tra parentesi, ora sappiamo che i fratellini d’Italia hanno imparato la parola “bodyshaming”, chissà che non imparino presto anche cosa significhi “antifascismo”. (...) Quelle che “povera Meloni, povera piccoletta mortificata da un riferimento orribile al suo glitter” ma non hanno nulla da dire sulla piccoletta indifesa che teme il cous cous nelle mense scolastiche, che vuole l’abolizione del reato di tortura perché impedisce agli agenti di LAVORARE, che preferirebbe non avere un figlio gay, che basta con questa identità lgbt, che i migranti se ne tornino a casa loro, che portano il Covid, che affondiamo le navi delle Ong, che no alle adozioni gay, che blablabla, povero angioletto indifeso, promotore di campagne d’amore e tolleranza. Quella che ha tra i cavalli migliori della scuderia il presidente della Regione Marche, quello che passava a salutare gli amici nel ristorante in cui accanto allo spallino di vitello al tartufo, sul menù, campeggiavano nell’ordine: un fascio littorio, un’aquila con la scritta “Per l’onore dell’Italia”, il motto “Dio, patria e famiglia”. Quella che ha tra gli elettori anche i tanti bandierini che attaccarono la migrante salvata in mare perché aveva lo smalto. Lo smalto, non il glitter. Ma lì non era bodyshaming, e ve lo dico io. Lì era schifo, e basta. Era delegittimare il dolore. Insomma, alla fine, in fondo, avete ragione voi: il problema della Meloni non è il suo glitter anni ‘80, il problema è la mentalità anni ’20. Quella brutta, quella peggiore, magari mascherata da indignazione femminista. Quella che in queste ore mi sta dando della puttana, vacca, zecca, comunista, per difendere la Meloni dagli attacchi sessisti. Certo. E no. Non sarà un po’ di glitter a mascherare quello che siete.
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kon-igi · 4 years
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Buongiorno Doc, mercoledì sono stata morsa sul piede da, probabilmente, un ragno. Dopo qualche ora, il piede era violaceo, con pelle irregolare che pulsava, prudeva ed era molto gonfio. Dato che mi era venuta anche la febbre, sono andata al ps e ora sono sotto antibiotico/cortisone/antistaminico. Ora va molto meglio, ma il violaceo non è scomparso del tutto e sento un formicolio. Che faccio? Il mio medico non c'è, vado al ps? Al centro antiveleni? Avrò qualche potere dopo tutto ciò? Grazie
Da come la descrivi sembra più il morso di una vipera che di una ragno! :D
Ok... forse l’emoticon sorridente non è stato il massimo della delicatezza.
Comunque, intanto ti premetto che devi sentire subito un medico (sostituto del MMG, guardia medica o PS) perché qua io e te si sta chiacchierando ed è da scemi dare o accettare consigli medici in situazioni di urgenza/emergenza.
Poi ti dico che, partendo dal presupposto che sia stato un morso di aracnide, quel tipo di segno focale particolare lo dà solo uno dei due ragni pericolosamente velenosi qua in Italia e cioè IL RAGNO VIOLINO (il morso di Malmignatta dà manifestazioni solo neurologiche):
https://it.wikipedia.org/wiki/Loxoscelismo
In ogni caso e senza scomodare per forza ‘sti bestiolini specifici, ogni morso di ragno o insetto può dare manifestazioni allergiche e infettive come da te descritte e anche se fosse stato un morso di vipera (è molto raro morire per il veleno di vipera e di solito si schiatta più facilmente per la reazione allergica da siero antiofidico) la terapia che ti è stata somministrata - antibiotico, cortisone e antistaminico - è quella standard ed efficace per qualsiasi morso, sia di ragno, di zecca, di serpente che di cane o chubacabra.
COMUNQUE SENTI SUBITO UN MEDICO, VA’
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i-love-things-a-lot · 4 years
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Quel Qualcosa in Più
G, 11.091 parole (!), Amadello, passata Amadeus/Biagio Antonacci (????), Betata! link per A03
Iniziò tutto con lo smalto trasparente. Aka, la storia di come Amadeus scopre di essere una donna e l'amicizia con il suo migliore amico si trasforma in qualcosa di più. (nota: Immagino sarebbe tutt* abbastanza confus* dal tema di questa fanfic. Prima di tutto, da dove deriva l'idea di Amadeus mtf? Durante l'AltroFestival di Savino c'è stato un momento in cui Bugo, il nostro caro e povero Bugo, cotto dal fatto che fosse ormai notte inoltrata ha dato una pronuncia femminile ad Amadeus, e da lì poi la mente è volata e le cose sono degenerate in questa serie di fic con il nostro celebre conduttore che cambia sesso. Detto questo, dedico un bacio al cuore pulsante di questo fandom, il canale Discord di Sanremo!)
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Iniziò tutto con lo smalto trasparente.
‘Serve per rafforzare le unghie’, diceva a tutti coloro che incontrava mostrando orgoglioso le dita lucide, segretamente soddisfatto di quella piccola cosa come fosse ai limiti della legalità.
Forse non pareva da fuori, eppure in un certo senso lo era. Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’anima.  
Pareva quasi un breve assaggio di qualcosa che non riusciva a definire dentro di sé, un monolite che si stagliava leggero come fosse di polistirolo, misterioso e sorprendentemente antico, gigante posato sulla sua vecchia anima.
Dopotutto cosa poteva mai causare un po’ di smalto? Il trasparente svanì con il crescere delle unghie, rendendolo un po’ nostalgico.
“Prova questo”, gli consigliò la truccatrice in trasmissione un giorno in cui il discorso finì casualmente sull’argomento,
“È color pelle, non troppo visibile e rende pure le mani un po’ più eleganti. È importante, oggigiorno, la cura delle mani. Come quella del viso.”
Gli regalò la boccetta.
Galeotto fu il gesto, forse, ora che ci pensava.
Il mattino seguente si dipinse le dita di quel rosa. Ne fu ammaliato. Stavolta non lo fece notare troppo in giro, perché un’attenzione eccessiva a quel tipo di cose poteva essere vista come ambigua, cosa di cui lui non aveva proprio bisogno, essendo un personaggio pubblico.
Un conto era lo smalto rafforzante, un altro quello colorato: rischiava realmente di passare per…per cosa sarebbe dovuto passare?
Quello smalto gli stava così bene, dopotutto. E poi aveva sempre desiderato fare qualcosa di più azzardato, ma non ne aveva mai trovato il coraggio, non fino a quella mattina, quando l’acre odore che proveniva dalla boccetta ancora aperta gli donava un sentore di libertà che raramente aveva provato in vita sua.
Le boccette di smalto si moltiplicarono presto dentro al mobiletto del bagno.
Provò ogni colore: da quelli più cupi, come nero e grigio, a quelli ben più accesi e considerati femminili, come il giallo brillante che ora non riusciva proprio a togliere con l’acetone perché era un colore che gli stava dannatamente bene, e non importava il fatto che dovesse andare in onda tra qualche ora, perché non riusciva a controllare la fitta di malinconia che il solo pensiero di avere le dita nude gli donava.
Tanto chi mai gli avrebbe guardato le mani in una trasmissione simile?
Era già andato in passato con le dita colorate di rosa incarnato, discrete ma evidenti se lo sguardo ci cadeva sopra. Il giallo, invece, era tutto un’altro discorso. Colore brillante, saltava subito all’occhio. Doveva rinunciare?
No. Non poteva farlo. Chiuse l’acetone con quelle dita ancora dipinte un po’ tremanti, ma che sentiva un po’ più sue da quando vi era la presenza del colore.
Dopotutto il giallo era uno dei colori che riconosceva meglio.
Lo specchio di casa rifletteva l’immagine di un uomo alle soglie della vecchiaia. Viso da lui ben conosciuto, viso con cui condivideva una vita intera, di cui conosceva ogni singola ruga.
Allungò una mano colorata verso la bocca sottile. Teneva un tubetto, un piccolo contenitore lungo e stretto da cui fuoriusciva appena una punta di colore dalla forma ben familiare a chi è avvezzo all’uso del trucco.
Era la prima volta che provava a mettersi un rossetto.
La scelta del colore non era stata difficile, si era attenuto al classico. Lo smalto giallo ancora padroneggiava le sue mani, e tanto aveva riscoperto in quel periodo l’intensità dei colori, colori che sapevano di fiducia in sé stesso, che aveva deciso di provarli anche sulle labbra troppo nude.
Il rossetto era rosso carminio, scuro e sensuale. Gli piaceva da matti. Sbatté le labbra per distendere meglio il colore e non poté trattenere un sorriso nel vedere quanto gli illuminasse il viso, quanto si trovasse bene ad indossarlo.
Non era strano per un uomo che lavorava nel mondo dello spettacolo. Il trucco per loro era una quotidianità.
O almeno questo si diceva per calmare quella sorta di piccolo magone d’ansia e paura che qualcuno lo scoprisse, lo vedesse e lo rovinasse parlando a tutti di quelle piccole cose, cosine normali, assolutamente normali. Non importava.
Si toccò le labbra con la punta gialla del mignolo e si sentì felice, come se per un istante la luce avesse illuminato il gigante etereo che gli poggiava nell’anima, sfiorandolo appena, ma abbastanza perché lui sentisse una fitta di paura attraversargli le viscere.
Non era il caso di indossare il rossetto in pubblico, pensò socchiudendo gli occhi, ma a casa, nel privato, era tutta un’altra storia. Nessuno avrebbe potuto giudicarlo.
Il pennellino sfiorò con delicatezza le palpebre chiuse.
Non aveva idea di come la truccatrice avesse preso la sua proposta di provare un trucco completo, standard, “da donna”, ma in ogni caso sperava che fosse suonata come un’idea divertente, qualcosa di comico, e non come frutto di quella curiosità morbosa che da qualche settimana gli invadeva la mente.
La matita toccò delicatamente il confine stanco dei suoi occhi e tracciò una linea che non poteva ancora vedere.
“Ecco fatto. Sei bellissima!”
Non riuscì a capire il perché, ma essere chiamato al femminile, seppur in modo ironico, gli provocò una magnifica ondata di contentezza. Aprì gli occhi.
La sua figura era ancora vecchia e stanca. Ma il viso, oh! La luce che emanavano i suoi occhi era immensa. Le guance parevano più rosee e le labbra erano dipinte con una tinta tenue, quello che gli appariva un delicato rosso tendente al rosato che stava molto bene con la sua carnagione. La figura allo specchio arrossì con lui.
“Hai fatto un lavoro meraviglioso.”
La sua espressione era forse troppo rapita per poter parere ancora una cosa ironica, ma non gli importava. O meglio, un po’ gli importava: si riscosse e curvò le labbra in un sorriso divertito.
“Okay,” cinguettò alzandosi di scatto dalla sedia e seguendo il corridoio delle quinte,
“Che ne pensate? Non sono la donna più affascinante di questo studio?- dopo di te ovviamente, Carla” si corresse dopo aver incontrato di sfuggita la fonica che ricontrollava la scaletta e lo guardava a bocca aperta con una posa estremamente comica.
Percorse tutte le quinte e arrivò finalmente all’entrata del set. Il pubblico era già presente, come ogni giorno di registrazione, e attendeva solo che la registrazione cominciasse.
“Buonasera!” esclamò a braccia aperte, sorridente come al solito, se non di più. Fu accolto da una risata. Non si aspettava altre reazioni.
“Che dite, oggi presento così?”
Un coro di ‘si!’ si alzò dagli spalti. Provò l’impulso di seguire il consiglio.
No.
La negazione arrivò dal profondo del suo cuore.
Perché no?
Perché potrebbe piacerti.
Quella rivelazione lo colpì in viso come uno schiaffo. Probabilmente gli altri lo vedevano conciato come un pagliaccio in quel momento. Altro che occhi illuminati, altro che labbra dipinte: si stava ridicolizzando. Per fortuna questa volta era riuscito a frenarsi prima di iniziare a registrare, pensò scuotendo lentamente la testa, ma non abbandonò il sorriso, perché dopotutto in quel momento era pur sempre truccato in quel modo che lo faceva sentire un po’ migliore.
“Vi piacerebbe?”
Un’altro coro affermativo. Ridacchiò un po’ e rivolse lo sguardo verso le telecamere ancora spente. Forza dell’abitudine.
“Piacerebbe anche a me. Tra un quarto d’ora circa dovremmo iniziare, siete pronti?”
Di nuovo una risposta positiva. Pubblico caldo, indice di una puntata che non sarebbe stata difficile da condurre. Ne fu rincuorato.
“Meraviglioso,” esclamò, e subito fu richiamato dietro le quinte dalla stessa truccatrice, ridente e impegnata ad agitare un flacondino di struccante nuovo di zecca. Corse di nuovo da lei e si sedette (un po’ a malicuore) sulla sedia del trucco.
Un altro giorno, pensò mentre lo struccante agiva sulla sua pelle.
Magari un altro giorno.
Erano ormai due mesi che non si tagliava i capelli. Non erano male, non troppo lunghi, decisamente un taglio ancora intatto e valevole, ancora maschile. Si era divertito non poco a notare il ritorno del suo castano naturale tra il grigio, cosa che lo faceva sentire di gran lunga più giovane e meno stanco di come si vedesse in passato.
Era felice. Nel suo guardaroba comiciavano a esserci non solo pantaloni e camicie da uomo, ma anche magliette con una certa quantità di scollatura, e in più qualche occasionale gonna rigorosamente indossata solo nel privato di casa, non troppo stretta né troppo larga, elegante e adatta a una persona della sua età.
Perché lo stava facendo? Aveva smesso di chiederselo, tanto non riusciva più giustificarsi con sé stesso, né c’era bisogno di farlo con altri, visto che nessuno sapeva. Almeno fino a quel momento.
Rosario Fiorello lo guardava con quella che poté definire solo come disperata incredulità.
“Mi ero accorto che c’era qualcosa di nuovo.”
Sorseggiò lentamente la sua bottiglia di birra e fece una breve pausa, lo sguardo fisso in un punto oltre il tavolino da bar su cui erano seduti.
“Lo smalto. Me ne sono accorto dallo smalto. Ho pensato: eh, qua c’è qualcosa di nuovo, sicuro, ma non dico niente perché magari mi sbaglio. E invece.” Sapeva che confessare al proprio migliore amico la nuova predilezione per il mondo femminile non sarebbe stato facile. Così come non sarebbe stato facile accettarlo.
“E meno male che te l’ho chiesto io se c’era qualcosa di strano, altrimenti tu mica me l’avresti detto, ansioso come sei.”
“Ho sbagliato?”
“No. Questo no, assolutamente. Ti senti in questo modo, hai deciso di fare qualcosa per migliorare la situazione, e non sarò mai grato abbastanza del fatto che tu me l’abbia detto. Posso solo immaginare quanto sia difficile accettare una cosa del genere. Poi ti dirò, non è che avessi sospettato, ma…beh, mi è sempre parso tu fossi interessato in particolar modo alla femminilità. Pensavo fosse per le ragazze. Certo che non vai a pensare…! Non che ci sia nulla di sbagliato, ripeto. Ti senti così, non è una cosa che puoi cambiare. Questo sentimento di base ce l’hai, insomma, no? Ecco. Allora l’unica cosa che puoi fare è assecondarlo.”
Una macchina passò in fretta tra il chiacchiericcio dei passanti.
“Quando te ne sei accorto?”, chiese Fiorello.
Prima che potesse rispondere rincarò la dose,
“Devo chiamarti al femminile? Con il lei informale?”
Annuì piano. Non aveva chiesto nulla, ma per fortuna aveva un amico che lo conosceva meglio di chiunque altro.
“Se ti va.”
Fiorello scattò.
“No, no. Non deve andar bene a me, deve andar bene a te. Vuoi che usi il femminile quando mi riferisco a te?”
“Solo in privato. Per ora.” Non era ancora arrivato il momento di spargere la notizia ai quattro venti. Era una questione delicata, avrebbe potuto perdere il lavoro al solo accennare una cosa simile, sopratutto nel suo campo, con i giornalisti alla continua e avida ricerca di informazioni in grado di far profondare un rispettabile essere umano nel più completo e denigrante fango. Si guardò le unghie, curate e di un piacevole colore blu notte, e riuscì a trovare in esse abbastanza forza per continuare.
Fiorello annuì e gli rivolse un breve sorriso pieno d’emozione, quasi a volerlo incoraggiare. La cosa funzionò.
“Lo farò. Tu ora non preoccuparti, va bene? Magari non fare cose troppe esplicite in trasmissione, potrebbero arrivarti guai, ma per il resto non c’è alcun problema, penso. Se non sbaglio conosco un gay bar in zona che- si chiama gay bar, ma so che essere femmine non significa che ti piacciano gli uomini, eh. È un bar, come dicono ora, “lgbt frendly”.”
“L g t b?”
“L-G-B-T. Quella cosa dove ci sono tutte le persone che non sono etero e normali. Normali nel senso di non…come te. Insomma, mi hai capito.”
“Si, ho letto qualcosa al riguardo.”
“Ecco. Dicevo, conosco questo bar in cui potremmo andare. Pure per gioco, eh. Tanto per conoscere qualcuno nel campo, così puoi avere qualche consiglio in più da una persona che ha già affrontato il tuo stesso percorso. Cosa ne pensi? L’idea ti garba?” Ci pensò su. Non si sentiva ancora abbastanza al sicuro per uscire così tanto allo scoperto, no. Uscire con Fiorello, d’altro canto, era sempre un’avventura.
“E se andassimo a fare un giro normale? Senza gay bar, senza vestiti femminili. Non ancora. Solo un giro. Una cena, magari.”
Fiorello socchiuse gli occhi e ridacchiò in modo eloquente.
“Cos’è, un appuntamento? Lo dici come se non avessimo mai cenato insieme. Certo che mi va di fare giri normali! Perché non dovrei, perché mi hai detto che sei trans?”
“Abbassa la voce.” “Scusa. Perché hai detto che sei trans? Prima di essere uomo o donna, Ama, tu sei mio amico. Amica. Non potrei mai buttare al vento trent’anni di fiducia solo perché ti senti in un modo che non è il comune, lo standard. Io ti voglio bene. Te ne vorrò sempre. Niente cambierà questo sentimento. Capito?”
La sensazione di estrema gratitudine e gioia che lo pervase gli stampò un breve sorriso sulla bocca.
Chissà, magari con un amico che lo chiamava al femminile finalmente sarebbe riuscito a riferirsi così anche nella solitudine dei suoi pensieri.
“Grazie. Grazie infinite. Il tuo sostegno è la cosa più importante in questo momento.”
Fiorello gli afferrò delicatamente un braccio e allargò il sorriso.
“È il minimo che possa fare per il mio migliore amico. Non ha ancora risposto alla domanda di prima, però, eh.” “Cosa mi hai chiesto? Perdonami, ero-”
“Come te ne sei accorto? Qual’è stato il primissimo passo che ti ha portato a questa rivelazione.”
Ci pensò su per qualche secondo. Di episodi ce n’erano a bizzeffe fin dall’infanzia, ma la questione era rimasta velata per lungo tempo, mai affrontata, sempre relegata ad un’angolino polveroso della sua mente. Almeno finché…
“Iniziò tutto con lo smalto trasparente.”
“Posso dire due parole, se possibile?” La donna al centro del palco era molto alta. Un grazioso vestito color miele dall’aria primaverile le cadeva dalle spalle in maniera elegante, lasciandole le ginocchia scoperte per poco. I capelli erano acconciati in morbidi boccoli biondo cenere, il rossetto brillante illuminava il suo viso come in un quadro medievale. Non aveva più di trent’anni.
“Non c’è alcun problema! Dica pure quello che vuole”, disse piano il conduttore con una voce ancora troppo bassa, un completo troppo maschile e le unghie di una accesa tonalità di lilla.
L’aveva appena annunciata come “attivista lgbt”. Un prezzo basso, semplice da indovinare per il concorrente in piedi nella postazione, perché quella donna era visibilmente transessuale.
“Vorrei fare un piccolo appello a tutti coloro in ascolto. Come avrete purtroppo notato, sono nata in un corpo che non avvertivo mio. Ho dovuto faticare molto per ammetterlo, decidere di fare qualcosa in merito e infine farmi accettare da tutte le persone a me vicine, compresa mia madre, così felice quando nacqui di aver avuto un maschietto. Per questo vi dico: se vedete che qualcuno accanto a voi fa dei piccoli, impercettibili cambiamenti, anche solo mettere un po’ di trucco, farsi crescere i capelli, tagliarli, e ancora indossare vestiti sformati che nascondano le curve o la loro assenza, o anche solo dipingersi le unghie, allora è il momento di star più vicino ed essere comprensivi, di sostenerli anche se ancora non si sentono pronti per dire nulla, di usare le pronunce che richiedono a mezza voce. Non abbandonate figli, fratelli, sorelle o amici solo perché il loro corpo non corrisponde alla loro mente. Il loro percorso è già abbastanza difficile anche senza dover sopportare ancora più pregiudizi di quanti ne riceveranno nel mondo. Grazie mille.”
Un breve applauso partì dal pubblico, e con quello anche molti sguardi, che si diressero immediatamente al conduttore, con i suoi capelli ingellati, ma decisamente più lunghi di qualche mese prima, le dita colorate che in quel momento battevano le une sulle altre nell’applauso, ma sopratutto l’espressione colpevole e nervosa trasparita nonostante la maschera della professionalità.
Il locale era più pieno di quanto di aspettasse. La sciarpa certo era abbastanza coprente per naso e bocca, mentre un paio di occhiali da sole nascondevano gli occhi. Un lungo cappotto sottolineava un vestito alle ginocchia, da cui spuntavano due gambe lisce che si concludevano in scarpette eleganti da signora, un piccolo tacco per slanciare una statura già notevole.
I capelli erano la cosa che più la rendeva orgogliosa. Erano abbastanza cresciuti ormai da sfiorare la sciarpa in uno scoordinato caschetto che diventata sempre più difficile da manovrare in una pettinatura maschile durante le registrazioni. Non importava.
Non fu accolta in modo particolare. Con garbo si sedette a un tavolino vuoto, felice di essere abbastanza coperta da non essere riconosciuta, ma sopratutto orgogliosa di sé, perché mai si sarebbe aspettata di trovare abbastanza coraggio da andare in un gay bar, soprattutto se da sola.
“Desidera qualcosa?”
Il cameriere aveva tratti e statura molto delicati. Lei si tolse gli occhiali da sole, mostrando gli occhi truccati forse un po’ pesantemente, ma tutto era concesso a un principiante, no?
“Uno Spritz, grazie”, chiese piano. Aveva passato una settimana a provare gli esercizi per alzare la tonalità di voce. C’era riuscita?
“Arriva subito”, sorrise il cameriere, e lei ricambiò il sorriso da sotto la sciarpa e fece un cenno con la testa, lo sguardo concentrato sulla figura che si allontanava dal suo tavolo.
Diete un’occhiata più ampia a ciò che la circondava. Non poteva certo dire di essere in un posto con persone che apparivano tutte uguali, pensò un po’ divertita, visto che quella che più si avvicinava alla definizione di normalità era un essere umano che pareva un misto perfettamente incredibile di maschile e femminile, tanto che invano provò a lambiccarsi su quale potesse essere la sua identità di genere.
Maschio o femmina? Il cameriere tornò con il suo Spritz.
“Grazie mille”, e subito si maledisse perché, dopo una settimana di sudore e maledizioni per trovare la perfetta voce era lo stesso riuscita a dimenticarsi tutto a favore della sua naturale tonalità, molto bassa.
“Non c’è di che, signora”, rispose il cameriere con un gran sorriso.
Una sensazione di sorpresa gioiosa la avvolse come un panno caldo. Era la prima volta che qualcuno la chiamava signora. Dunque non pareva così tanto un uomo travestito? Passava davvero per una donna? Decise che l’idea migliore era quella di annegare il groppo in gola nello Spritz.
Come berlo?
Se c’era una cosa abbastanza iconica della sua persona, quella era, ahimé, il suo naso. Far passare la cannuccia da sopra era dunque fuori discussione. Poteva farla passare sotto…? Qualcuno le diede un colpetto sulla spalla. Una donna, o meglio, così pareva a un primo sguardo, vestita di tutto punto come una sorta di ballerina del ventre, ma più coperta, e con una elegante mascherina di colore acceso su naso e bocca le si era avvicinata alla coatta. Le porgeva qualcosa.
Con lo sguardo seguì la mano.
“Piglia”, ordinò la donna con forte accento napoletano.
Era un’altra mascherina, questa di un colore che non riusciva a definire. Marrone? Grigio? Sospettò fosse di qualche tonalità di verde, colore a lei irriconoscibile.
“Ca sta spettand’? Piglia.”
Si riscosse e afferrò d’impulso la mascherina. Avrebbe voluto dirle che non era proprio il suo colore, ma che avrebbe accettato, perché quella era una situazione un po’ disperata, e quindi la ringraziava moltissimo per la sua estrema gentilezza; rialzò lo sguardo e la donna era sparita.
Che persone incredibili, i frequentatori dei gay bar.
Con mossa abile prese la mascherina per le due estremità e la infilò sotto la sciarpa, incastrandola dietro le orecchie. Il tessuto era morbido come seta, ma ci stava: era una di quelle mascherine dei giovani, quelle fashion, per qualche motivo a lei incomprensibile. Però faceva il suo sporco lavoro e copriva bene ciò che doveva, dunque perché giudicare? Appena fu sicura della stabilità della mascherina sciolse il nodo della sciarpa e la srotolò con cura, scoprendo un collo chiaro e ben rasato, assieme a una scollatura che si perdeva sotto il cappotto, che ancora teneva addosso.
In effetti faceva un po’ di caldo dentro quel locale, forse era il caso di toglierlo.
Sganciò anche quei bottoni, sfilò le maniche e liberò una graziosa maglia scollata non in maniera esagerata, decisamente femminile, ma che ricadeva tristemente su un petto vuoto, seppure l’avesse messa in modo da apparire un po’ gonfia. La gonna invece era nera, anch’essa abbastanza elegante, ma larga perché ancora non si sentiva abbastanza sicura da indossare abiti aderenti, dalla struttura ripiegata a zig zag per nascondere la poca ampiezza del bacino. Era davvero un bella gonna, pensò lisciandosi il tessuto nelle cosce, forse un giorno avrebbe potuto indossarla in programma. Un giorno ancora lontano, s’intende.
Sospirò e guardò lo Spritz davanti a lei. La musica pompava nelle casse, anch’essa musica giovane, da discoteca, ma paradossalmente ritmica come quella a cui era abituata tanti anni prima, quando ancora faceva il dj. Che tempi.
Allungò la cannuccia sotto la mascherina e bevve un sorso.
Non era affatto male, dopotutto, l’ambiente di quel gay bar.
“Ama, non posso riempirti questa meraviglia di gel.” L’acconciatrice squadrava il nuovo taglio con l’aria di chi le avesse appena chiesto di compiere un’illegalità.
Ci aveva messo due settimane per decidere che i suoi capelli avevano decisamente bisogno di un’accorciata e che non era il caso di andare dal solito parrucchiere specializzato in tagli maschili.
Non che non se ne fosse accorta prima; c’era stato bisogno dei consigli che l’altra sera le avevano dato al bar (ormai si era fatta un buon giro di amicizie tra i clienti abituali e il personale, seppur ancora non si fidava abbastanza da togliere la mascherina) perché necessitava di qualcuno di discreto, che non facesse né nomi né cognomi, né tantomeno nomi d’arte.
“Non potresti racchiuderli in un codino e basta?”
L’acconciatrice scosse la testa e schioccò la bocca in segno di diniego, poi sospirò a fondo seccata.
“Senti. Qui non ci sente nessuno, quindi ti parlo un attimo da amica. Questo non è un taglio maschile. Non lo è per natura. I capelli non sono abbastanza lunghi per fare una coda che non si sfasci dopo dieci minuti, non lo posso fare e basta. E poi, ripeto, da amica,”
Sentì un brivido freddo scorrerle lungo la colonna vertebrale,
“Forse è arrivato il momento di cominciare a uscire dall’armadio.”
Deglutì a fondo e strinse i pugni. Gli amici al bar erano stati chiari sul significato di quel modo di dire. Non c’era dubbio su cosa stesse proponendo. La questione era: si sentiva pronta? La risposta era no. Assolutamente no. Il solo pensiero le faceva venire le palpitazioni.
“Qui tutti lo sospettano. Abbiamo tutti gli occhi, sappiamo come sei vestita prima di andare a cambiarti. E no, non dirò nulla sugli atteggiamenti più femminili perché non ce n’è bisogno.”
Cominciò a giocare con le mani, incapace di replicare.
“Ti voglio dire solo questo: non posso far nulla con questi capelli. O vai in onda così oppure non vai in onda. Scegli tu.” Le gettò una veloce pacca sulla spalla e si allontanò, lasciandola sola con le mani tremanti e tanta, tanta voglia di piangere.
“Buonasera!” annunciò il conduttore con la sua solita voce tonante. Il taglio a caschetto era un po’ vuoto di capelli, ma era decisamente un caschetto, e i ciuffi argentei si ripiegavano sulle guance in maniera delicata. Sembrava molto scosso.
“Avrete notato il mio nuovo taglio di capelli. Che dite, mi sta bene?”
Un coro affermativo si levò dal pubblico. Ne fu estremamente confortata.
“Allora direi che possiamo presentare il concorrente di oggi.”
Le pagine aperte della rivista ricambiavano il suo sguardo vuoto da ore.
“Look da Piton o da Lily?”, diceva il titolo.
La pagina era interamente occupata da una foto. Era palesemente stata scattata da qualche paparazzo, troppo buona perché potesse essere amatoriale, troppo giusta.
La ritraeva al bar mentre aspettava il suo amico Fiorello per uno dei loro soliti caffè. Era una foto di appena tre giorni prima, scattata la mattina prima di ripartire a Milano.
Quel giorno indossava una maglia bianca, velata, indiscutibilmente femminile. Un paio di pantaloni stretti, ma non abbastanza da essere osceni, effetto ottenuto sopratutto grazie ai suggerimenti avuti al gay bar. I tacchi neri. I capelli, messi in modo da nascondere i punti meno folti, formavano un glorioso caschetto in cui il grigio si mescolava col castano. Gli occhi erano coperti da una grossa montatura di occhiali da sole, la bocca dipinta di un bel color ciclamino. Aveva persino un accenno di seno, fittizio e composto interamente da un reggiseno riempito di cotone.
L’articolo non era molto lungo.
“Nemmeno per strada Amadeus (54) riesce ad essere…un solito ignoto! Eccolo mentre incontra il suo migliore amico Rosario Fiorello (56) al bar di fiducia.”
“Notate qualcosa di strano? Il noto conduttore è vestito da donna! Che sia per un nuovo programma televisivo? Dopotutto la scorsa settimana l’avevamo beccato con un’aria da Professore di Pozioni, con quei capelli e il nasone. Dopo Piton, che voglia travestirsi anche da Lily Potter, la madre di Harry? A questo punto tutte le scommesse sul prossimo personaggio della nota serie per ragazzi, dalla professoressa McGrannit al maghetto protagonista, sono ben accette!”
Nella pagina di fianco c’erano delle foto più piccole. Una in cui il suo amico era arrivato e lei lo salutava con i classici baci sulla guancia, un’altra dove erano seduti nel tavolino e infine la terza, scattata mentre era impegnata a sistemarsi i capelli.
Nessuna didascalia.
“Non accadrà niente, vedrai. Quante persone potranno mai leggere uno stupido articolo di gossip? Non è nemmeno così esplicito.” “Ero truccata. Avevo i tacchi. Fiore, se lo pubblicano vuol dire che qualcuno lo legge.”
Poté sentire Fiorello esitare un attimo dall’altra parte del telefono.
“Facciamo una cosa. Tu vai a farti prescrivere quelle medicine di cui mi hai parlato, okay? Io mi occuperò di eventuali sospetti su di te. Posso dire che Jova stava cercando un idea per un nuovo videoclip o qualcosa del genere. Faccio una rullata di telefoni e vedo ora riesco a ottenere, tanto vedrai che qualcuno di disponibile lo trovo. Sai che non andrò in giro a spifferare il vero motivo della paraculata.”
Sospirò a fondo e si fissò le unghie grigie. Stava rischiando la carriera solo per uno stupido desiderio malato che non piaceva a nessuno, tantomeno all’azienda televisiva per cui lavorava. Perché lo stava facendo?
“Ama? Ci sei?”
“Si.” “Vedi? Ti risolverò tutto io. Sei d’accordo? Tu non devi preoccuparti, faccio tutto io.”
Le risposte arrivarono nella sua testa di getto.
Perché quando a lavoro aveva riunito tutti e aveva chiesto di usare pronunce femminili era terrorizzata, ma quando aveva sentito le persone chiamarla in maniera appropriata si era sentita viva come non mai.
Perché non era mai stata così a suo agio con sé stessa prima di quel momento.
Perché non poteva tornare indietro. Non più.
“Sono d’accordo.” “Perfetto. Ricordati, le medicine. Mi raccomando. La prossima volta che ci vediamo voglio vederti con due tette vere, capito? Voglio vederti felice.”
Un moto di estremo affetto la trafisse.
“Non potrò mai ringraziarti abbastanza per tutto quello che fai, Fiore. Ti voglio bene.”
Lo sentì sorridere attraverso il telefono.
“Mi ringrazi abbastanza solo se vai dall’endocrinologa e ti fai fare la ricetta per gli estrogeni. Ti voglio bene anch’io. Buonanotte, Ama.” “Lo farò, non preoccuparti. Buonanotte anche a te.”
“Sei un personaggio pubblico. Lo sei da tanti anni, quindi non metto in dubbio che tu lo sappia, eppure le tue azioni di questi ultimi tempi mi rendono in dovere di ricordartelo. L’aspetto fisico è importante in questo lavoro. Non possiamo permetterci di perdere il conduttore di un preserale, ma mi dispiace dirtelo, la situazione ci sta rendendo molto propinqui a spostarti a un orario dove il pubblico possa adattarsi meglio alla tua…nuova presentazione fisica.” “Stanno calando gli ascolti?” “Non ancora. Lo faranno presto. Devi capire, Amadeus, che la popolazione non è ancora pronta per vedere questo genere di cose nella televisione pubblica, all’ora di cena, con minori presenti. Le persone accendono il televisore per guardare un programma leggero, qualcosa con cui distrarsi un po’ e divertirsi come con un gioco a premi, e invece cosa vedono? Un uomo maturo con lo smalto e i capelli da donna. Non che ci sia niente di sbagliato in questo, eppure ribadisco: sei un personaggio pubblico. Il tuo aspetto dev’essere di un certo livello. Se non lo sarà entro breve, mi dispiace, ma saremo costretti a sostituirti.”
“Ti parlerò con tutta franchezza: per il tipo di terapia che mi stai richiedendo chiedo sempre la certificazione da parte di uno psicologo con scritto che tu desideri di ricevere questa tipologia di cambiamento fisico da almeno un anno. Il tuo corpo riceverrebbe modificazioni permanenti, non sarebbe saggio iniziare una tipologia di farmaci così pesanti senza prima avere la certezza assoluta che sia necessaria. Almeno io la penso così, che ognuno faccia pure quello che vuole. Dimmi, da quanto tempo ti senti in questo modo? Non accetto risposte come ‘da tutta una vita’. Voglio sapere quando hai avuto la realizzazione, quando ti sei accorto che c’era qualcosa che volevi cambiare.”
“È stato circa cinque mesi fa.”
L’endocrinologa fece spallucce.
“Allora mi dispiace, per ora non posso fare nulla per te. Se rimarrai della stessa idea in cui sei ora tra sette mesi e avrai con te il foglio che lo attesta, allora non ci sarà santo che mi fermerà dal prescriverti quei farmaci, ma prima di questa data non ti potrò dar nulla. Siamo intesi?”
Lo specchio rifletteva gli occhi stanchi di una donna che non riusciva a smettere di osservare le mani del suo parrucchiere, quello storico, da cui era sempre andata e da cui ora tornava con tutt’altro spirito.
Aveva delle forbici in mano.
“Scusa se te lo dico, ma questo taglio è proprio femminile. Non faccio fatica a immaginare perché ora vuoi cambiarlo, qua c’è il rischio che ti scambino per una donna, soprattutto da quando hai tolto il pizzetto!”
La risata dell’uomo fu ricambiata da un sorriso forzato.
“Allora, di quanto li vuoi accorciare?”
“Falli come al solito.” La voce le tremava un po’.
“Intendi corti come prima che li lasciassi crescere? Stessa lunghezza di prima?”
“Si.”
Gli occhi osservarono la sua stessa gola che cercava di deglutire invano un intenso groppo che rischiava di farla piangere.
“Sicuro? È un bel salto.”
“Taglia tutto, per piacere.”
La prima ciocca cadde a terra come lama nel suo animo.
“Mi dispiace,” singhiozzò coprendosi il viso con le mani,
“Non posso smettere. Sono un mostro.” Quando Fiorello aveva deciso di fare un salto a casa della sua amica non era quello lo spettacolo che aveva immaginato di trovare. Sul letto erano posati un paio di pantaloni e una maglia maschile, ma lei indossava un grazioso abito a fiori che sottolineava i fianchi e cadeva aggraziato persino sul suo petto, sfortunatamente vuoto.
Si era tagliata i capelli come li aveva un tempo, maschili, cortissimi. Poteva vedere la sottile ombra del pizzetto in ricrescita.
“Te l’hanno detto loro?”
Non rispose. Non diede nemmeno segni di aver sentito. Rimase lì a singhiozzare, seduta al bordo del letto, le braccia morbide e bianche, le gambe nude e liscie che spuntavano dalla gonna fiorita. Si avvicinò a lei.
“Ama, tu non sei un mostro. Non dirlo nemmeno per scherzo. Perché dovresti esserlo? Non hai fatto del male a nessuno, ti sei solo azzardata a voler essere te stessa. Chiunque ti abbia detto il contrario è un segaiolo di merda che non sa cosa voglia dire avere un corpo con cui non stai bene. Non devi azzardarti ad ascoltare certa feccia. Chi è stato? Dimmelo. È qualcuno che conosco?” “Forse sto solo fingendo. Forse è solo desiderio di attenzioni.”
“Se lo fosse non saresti qui a piangere perché ti sei messa un vestito. Rispondimi. Chi è stato?” Aspettò un po’ prima di rispondere. Almeno aveva smesso di singhiozzare, anche se il peso opprimente al petto non si azzardava a sparire.
“Non è stato qualcuno in particolare. Sono stati in tanti. Con lo sguardo, principalmente. La Rai ha detto che non ero adatta ai bambini. Non posso prendere gli ormoni se non tra sette mesi e delle sedute psicologiche in cui devo convincere qualcuno che non sto fingendo, che mi sento davvero così. Rosario, io non ce la faccio più. Hanno detto che se non mi tagliavo i capelli mi toglievano il programma. Non posso continuare così, ma non posso nemmeno tornare indietro. Non so cosa fare.” “Non devi tornare indietro se non lo vuoi. Loro non hanno alcun diritto di decidere della tua vita, Ama, che tu sia un personaggio pubblico o meno. Anzi: il tuo esempio potrebbe essere importante. Molte persone nella tua stessa situazione potrebbero sentirsi incoraggiate a uscire lo scoperto. I loro parenti imparerebbero a supportarle! Non puoi abbandonare adesso. Fallo non solo per te, ma per tutti coloro che hanno bisogno di un esempio.”
“Ho già rischiato la mia carriera una volta. Non posso permettermi di farlo ancora.”
“Vuoi continuare a fingere di essere ciò che non sei per il resto della tua vita? Non credo tu possa continuare a farlo. Non ti permetterò di farlo, questo è poco ma sicuro. Perderai il programma? Non credo, non con gli ascolti che stai facendo. Ti stanno solo minacciando, Ama. A loro rode il culo che tu stia facendo qualcosa al di fuori del loro controllo, ti vorrebbero linda, una macchina che va e fa quello che dicono loro. Scusa, ormai hai anche un po’ di soldi da parte, no? Non rischi di fallire se perdi il programma. Fallo. Se non lo puoi fare tu, chi mai potrebbe?”
“Ma il programma-”
“Ma che vada a farsi fottere, il programma! Stai mettendo una robina del genere davanti alla tua stessa salute, te ne rendi conto? Io non tornerò a chiamarti al maschile perché qualcun altro mi ha detto di farlo, né credo lo faranno gli altri. Solo tu puoi decidere di te stessa. Io ti voglio bene e ti supporterò sempre, qualunque sia la tua scelta finale; però devi promettermi che non farai qualcosa che ti fa star male. Promettimelo.”
Sospirò a fondo. Fiorello non era solo un amico, era il suo angelo custode.
“Ci proverò.”
La concorrente la guardava con l’aria più confusa che avesse mai visto su qualcuno. Era una donna sui quarant’anni, truccata ma non troppo, i capelli castani e l’abbigliamento da persona di provincia. Portava gli occhiali.
“Scusi, come la devo chiamare? Insomma, quando aveva i capelli lunghi alcuni concorrenti usavano il femminile, altri il maschile-ora uso il maschile?” Il cuore perse un battito e cominciò a pompare un po’ di adrenalina, manco fosse in tribunale. Le orecchie presero un leggero colorito rosso.
“È…complicato. La rete vuole che io usi il maschile, ma personalmente preferirei il femminile.”
La donna annuì subito in fretta.
“Oh, certo. Capito. Sa, mia sor-mio fratello ha affrontato un persorso simile, anni fa. So cosa significa. Dunque nel palco la dovrò chiamare al maschile?”
“Grazie per la comprensione. Per le pronunce in trasmissione, signora, mi chiami pure come le viene meglio. Per me non c’è problema. ”
“Perfetto, grazie mille! Sa, però potrebbe truccarsi un po’. Sinceramente poi la preferivo con i capelli lunghi, le davano un’aria più…non saprei. Aggraziata?”
Ridacchiò un po’, contagiando pure lei, che in quel momento provava una gratitudine e una sorpresa così grande che il sentimento rischiava di soppraffarla e farla commuovere.
“Grazie del consiglio. Ne terrò sicuramente conto.”
“Oh, a proposito: adoro lo smalto.”
Il suo sorriso a questo punto era così grande che la bocca cominciava a fargli male.
“Bene, se non sbaglio siamo tutti pronti.” “Non ancora!”
Sabrina la truccatrice si stava sbracciando verso di lei.
“Manca ancora il trucco per te, Ama!” “…Oh, scusate. Torno subito.”
Il trucco fu più lungo di quanto pensasse. Avvertì il solletico della cipria, poi con sua grande sorpresa il sentore di un pennellino più sottile attorno agli occhi, e infine cominciò a intuire quando la punta di una matita cominciò a tracciare il confine dei suoi occhi, seguito dalla cerosità di un rossetto sulle labbra.
“Puoi aprire gli occhi”, e lei li aprì eccome.
Allo specchio c’era un lavoro incredibile. La durezza dei lineamenti era stata ammorbidita e affusolata, gli occhi parevano più grandi, lo sguardo intenso (e ora un po’ commosso- “No non piangere o dovremo rifare tutto d’accapo!”, esclamò Sabrina posandogli le mani sulle spalle) e la bocca era stata ridisegnata in modo che le labbra apparissero più carnose e morbide. In qualche modo era riuscita persino a togliere il segno grigio della barba dalle guance, seppur lasciando intatta la figura curata del pizzetto, che spiccava in modo strano su quel viso truccato, un modo che non era affatto spiacevole, doveva ammettere.
“Abbiamo saputo della cosa che hanno detto alla Rai e non è piaciuta a nessuno qua, quindi abbiamo deciso che tu non andrai mai in onda senza essere il più femminile che la rete permette. Certo, queste puntate andranno in onda tra qualche mese, quando quelle con i capelli lunghi finiranno, abbiamo pure cercato una parrucca quando ti abbiamo visto entrare qualche ora fa, ma temo che per quella dovrai aspettare ancora un po’, perché non siamo riusciti a procurare niente.” “Non dovevate, davvero. Siete delle persone d’oro”, esclamò con la voce sull’orlo del pianto e un sorriso così grande da far bene all’anima.
“Non potevamo non farlo. Allora, sei pronta?”
“Assolutamente.”
“Allora vai pure! E buona fortuna.”
“Non vi ringrazierò mai abbastanza.” “Vai, vai!”
Il corridoio era pieno di volti sorridenti e supportivi, o forse lo erano in risposta al suo, di sorriso, e alle sue spalle dritte e la testa alta, che mostrava quegli occhi profondi e le labbra luminose a tutti i presenti con un coraggio e un orgoglio che non aveva mai provato prima.
La musica che veniva dalle casse sul carro era molto più alta di quanto avesse pensato. Fiorello era più spaesato di quanto cercasse di dimostrare, eppure stava cercando in tutti i modi di integrarsi con i suoi nuovi amici del gay bar che, nonostante non avesse ancora mostrato il viso e rivelato la sua identità, avevano comunque ormai intuito di chi si trattasse, e da quando era andata in onda la puntata in cui aveva i capelli corti erano riusciti a convincerla a partecipare al suo primo, primissimo gay pride.
I capelli erano di nuovo lunghi abbastanza da potersi acconciare in un grazioso taglio corto da signore, cosa che ben si adattava con il grigio sparso tra il castano che non intendeva coprire, sotto consiglio del suo migliore amico.
Indossava una maglia a bretelle con tanto di reggiseno apposito per coloro prive di molto materiale la reggere, quindi appariva che avesse un seno, e la sua gonna larga aveva un grazioso tema floreale su sfondo nero che dava un bel contrasto con le calze a velo scure e le scarpe, comode ma con un piccolo tacchetto, decisamente femminili.
E proprio femminile si sentiva, sopratutto perché nessuno l’aveva scambiata per uomo da quando era arrivata.
“Ti stai divertendo?” le chiese Fiorello prendendola per mano e urlandole all’orecchio a causa del volume della musica. Lei sorrise e cominciò a trascinarlo verso il carro principale. Ignorò le deboli proteste sulla sua forza e  “manco un golden retriver tira così” finché non arrivò abbastanza vicino perché la madrina di quell’anno non la notasse, o almeno, vedesse un Fiorello stremato che urlava e rideva mentre una donna dall’aria familiare un po’ lo tirava per il braccio, un po’ ballava.
“Rosario? Sei tu? Signori, mi è parso di vedere Rosario Fiorello! Un applauso! Vieni su, vieni su!”
Il pubblico subito cominciò a urlare e fare spazio, e questa volta fu Fiorello a trascinarla sino al palco, rossa come un peperone, ma felice come una pasqua.
“Buon pomeriggio a tutti!” esclamò al microfono. Il pubblico prese a fare un coro, e lui si ritrovò a ridacchiare in una maniera che le fece scaldare il cuore. Il suo migliore amico era nato per intrattenere.
“A giudicare da quanti siete qui oggi, direi che di etero qui in città non ne è rimasto più nemmeno uno, eh?”
La guardò e avvolse il braccio attorno alla sua vita. Lei ricambiò e rise con delicatezza, come si addiceva a una signora.
“Sono qui con la mia migliore amica. Una vita che ci conosciamo, eh? Quanto saranno ormai, Venticinque? Trent’anni?” “Trenta e passa, ormai!”
“Trenta e passa, signori! Da trent’anni che la conosco, ma nonostante la sua immensa bellezza non ci ha mai provato con me. Ditelo: non le sta benissimo questa gonna?” Un grido affermativo si alzò dalla folla mentre lei faceva un grazioso inchino tenendo i lembi della gonna e piegava le gambe divertita. Fiorello era davvero il suo angelo custode.
“Un applauso per la mia amica, e un altro per tutti voi! Viva gli strani, abbasso la normalità, ma che schifo è? Etero, poi come si dice una persona che non è tr-come scusa? Cis? E cos’è, la Gallia Cisalpina? Dicevo, etero, cis, ma che noia! Ma non è meglio avere qualcosa di particolare di cui parlare? Dico, se la mia amica qui fosse un uomo dovremo fare i soliti discorsi da maschi, ma che tristezza! E lo sport, e le donne, e questo, e quest’altro, e alla fine si finiscono gli argomenti! Invece qua noi parliamo- beh, parliamo lo stesso di queste cose, ma è molto più divertente perché, si sa, le donne non sanno niente di calcio! Si scherza, si scherza”, si corresse subito appena lei  minacciò di tirargli uno schiaffetto sul collo, seppur non riuscisse a smettere di ridere.
“Con questa mascherina pari Myss Keta, la cantante, lo sai?”
Ricominciò a ridere copiosamente. Era impossibile stare offesa con lui, persino per finta.
“Com’è che fa, la canzone, ‘siamo le ragazze di porta Venezia…’ ”
Il pubblico cominciò a cantare in coro.
“Ecco, esatto, proprio quella! Altro che ragazze, qui c’è di tutto! Qua, lei signora, che cos’è? Drag queen? Donna? Uomo? Chissenefrega? Come, scusi? Eh? Enbi? Cos’è Enbi?” La madrina gli disse qualcosa all’orecchio.
“Non ha un genere? Madonna ragazzi, siete troppo avanti voi. Di nuovo un applauso a tutti voi, che siate maschi, femmine, trans, drag queen e Enba, Enbi, quello che è! Mi raccomando, continuate a farvi sentire!”
L’applauso risuonò per le vie di Roma amplificato dalle strade laterali in modo così avvolgente da sovrastare la musica.
L’estate era volata via fin troppo in fretta. Rosario era coricato nel suo letto e si godeva la leggera brezza che entrava attraverso la finestra. Era vestito da casa.
Ultimamente si presentava a sorpresa a casa sua sempre più spesso, e restava a parlare, o anche semplicemente passare un po’ di tempo assieme, mentre lei si pettinava i capelli, ora lunghi abbastanza da arrivare quasi alle spalle, o si metteva lo smalto, o provava qualche nuovo vestito. Questo almeno nei giorni produttivi, perché la maggior parte delle volte erano semplicemente coricati l’uno di fianco all’altra ad assaporare il leggero vento di Roma che passava a lenire il caldo. Non c’era nemmeno bisogno di parlare.
“Sai cosa pensavo l’altro giorno?”
Fiorello la fissava con affetto. Lei sorrise.
“No, cosa?”
Lui cominciò un sorriso e allungò la mano verso la sua, forse per dare enfasi alla risposta che stava per dare, forse ancora come semplice gesto di amicizia.
“Non so se sia perché stai migliorando con la questione del femminile, ma mi pare che ogni giorno diventi sempre più bella. È da gay dire che sei bella?”
Quasi arrossì per il complimento.
“Perché dovrebbe essere gay? Sono una donna.”
Fiorello fece una certa faccia pensosa, poi sorrise piano, gli occhi neri puntati verso il suo viso con mordidezza.
“Una donna molto bella.”
Questa volta arrossì senza il quasi.
Novembre era un buon mese per tante cose. L’inverno cominciava a far sentire più forti le sue spire, persino in una città dal clima relativamente mite come Roma. Era notte.
Il bar era affollato come suo solito. La porta si aprì, il barista girò casualmente il viso, attirato dal rumore e dal movimento, e si gelò, sorpreso. Mise su un enorme sorriso incredulo e corse a chiamare quanto più personale potesse. Ben presto tutti i presenti, incuriositi da tutto quel trambusto, si girarono verso i nuovi arrivati.
Fiorello attirava sempre attenzioni, ma per una volta non era lui ad attirare gli sguardi. Accanto a lui, con i capelli ormai lunghi e ben acconciati che facevano da cornice a un trucco che ben si adattava ai suoi lineamenti e un abbigliamento elegante, seppur caldo abbastanza per il clima di quei giorni, c’era la conduttrice televisiva fino a poco tempo nota con un nome che ora preferiva dimenticare.
Fu la direttrice del bar in persona la prima a gettarle le braccia al collo.
“La mascherina, finalmente hai tolto quella dannata mascherina!” esclamò tra le lacrime mentre la nuova arrivata ricambiava l’abbraccio con tutto l’affetto possibile.
Non pensava si sarebbe mai sentita abbastanza sicura con sé stessa da fare una mossa del genere. Un anno prima aveva a malapena su uno smalto trasparente, come poteva immaginare che fosse solo l’inizio di qualcosa di così grande e incredibile? Il suo programma non solo non era stato sospeso come avevano minacciato perché i suoi ascolti erano  aumentati, ma la fascia d’età leggermente ringiovanita e i concorrenti erano diventati molto più vari e particolari, perché con una conduttrice dai lunghi capelli ma il solito completo blu dall’aria maschile (accordo fatto con la sartoria e le varie aziende coinvolte nella stesura del programma) faceva sentire tutti più accettati e rilassati.
Per strada raramente accadeva che sbagliassero ancora il suo genere, senza contare che coloro che di solito lo facevano erano avanti con l’età o dall’aspetto poco sveglio, cosa che le donava una fiducia nell’umanità che non pensava di aver potuto mai recuperare dopo la chiusura che gli era parso di notare agli inizi.
Era, insomma, ora di uscire dall’armadio.
“È strano poter parlare liberamente senza avere nulla in bocca”, disse mentre scioglieva l’abbraccio con la direttrice e iniziava quello con una delle cameriere che conosceva meglio. Peccato che il primo che avesse conosciuto in quel posto ormai non lavorasse più lì, ma si sa, la vita va avanti, e in ogni caso gli augurava solo cose belle.
“Dì pure che è strano poter parlare liberamente” disse qualcuno con un forte accento napoletano.
La voce era estremamente familiare per qualche motivo. Si girò e capì il perché: una donna particolarmente alta indossava una mascherina molto simile al quella che un tempo aveva indossato lei. Era stata proprio quella donna, migliaia di anni prima, ad averle offerto quella prima di colore verde (almeno per quanto potesse intuire, visto che non vedeva quel colore e supponeva che le mascherine marroni con paillettes non fossero molto comuni).
“Tu!” esclamò puntandole un dito contro,
“Sei stata tu a darmi la mascherina la prima volta!”
La donna fece spallucce.
“Io? Oh, può darsi. Offro mascherine a tutte le persone che preferiscono tenere la loro identità nascosta, quindi può essere.” Pensò di ringraziarla, correggerla e spiegarle quanto l’avesse aiutata nell’accettazione poter nascondere il proprio viso a piacimento, ma non fece in tempo: la donna sparì così com’era apparsa, tra la folla che ormai li circondava.
Certe persone erano proprio destinate a non essere che comparse senza nome. Certo, era brutto pensarlo, eppure era anche estremamente vero.
Guardò alla sua sinistra. Fiorello aveva gli occhi puntati sui suoi con un affetto così profondo, ma così profondo, che improvvisamente si accorse di essere innamorata di lui.
“Allo’, si è fatta una certa. Forse è il caso di andare a casa.” Rosario era bello persino quando il suo viso sbucava appena da una grossa sciarpa nera e un basco grigio, e si stringeva le mani compiaciuto e un po’ nervoso in quel modo che gli era tipico almeno quanto la sua vena comica.
Si avvicinò a lui. Dopotutto quella sera dentro al bar si era presentata con la sua nuova identità per la prima volta ad almeno un centinaio di persone: cosa la poteva più fermare?
“Casa mia o casa tua?” scherzò (ma nemmeno troppo) mentre gli solleticava il mento. Lo sguardo del suo migliore amico pareva non scherzare affatto.
“Mi sembra un po’ presto per quello.”
La sua voce era profonda e nervosa. Le stava fissando le labbra? Si riscosse e allontanò il viso da lei, quasi ci avesse ripensato. Le diede un buffetto sul braccio.
“E poi com’è, ora che sei donna ti piacciono gli uomini? Perché ricordo bene che per le donne avevi una…evidente reazione!”
Scoppiarono a ridere e lo minacciò scherzosamente con dei finti pugni.
“Non si dicono queste cose davanti a una signora!” esclamò tra le risate. Fiorello la prese per le braccia e la guardò con intensità, o forse era solo il suo sguardo ad essere naturalmente intenso e lei stava vedendo cose che non c’erano. Entrambe le cose?
“Signora, signora, e intanto non mi hai ancora risposto.”
Forse ciò che vedeva nei suoi occhi era più semplice nervoso. Esitò un attimo e distolse lo sguardo.
“Non ho mai pensato troppo a cosa avessi davanti mentre mi innamoravo. Se mi piaci mi piaci. Mi innamoro delle persone”, fece una breve pausa, “Non mi importa del sesso.”
Scoppiò a ridere da sola, una risata un po’ nervosa che ben s’intonava con il viso arrossito. Fiorello non distolse lo sguardo da lei.
“Quindi ti piacciono anche gli uomini?”
“Si. Anche prima di…di quest’anno.” “Perché non me l’hai mai detto?” Lo sguardo le scivolò sui piedi.
“Non è facile. Pensavo che tu avresti reagito male. Sai, se hai un amico a cui piacciono gli uomini di solito hai paura che ci provi e ti allontani un po’. Volevo evitare.”
Fiorello annuì e la prese a braccetto, poi la invitò a seguirlo nel fare una passeggiata nei dintorni. L’atmosfera era elettrica, piena di potenzialità e sottintesi ancora troppo nascosti da poter essere anche solo intuiti. Era una serata particolare, dopotutto.
“È per quello che non mi hai mai detto di te e Biagio?”
Il cuore le piombò a tanti anni prima. Tra lei e Biagio c’era sempre stata della tensione fin dai tempi del Festivalbar. Tensione che si era risolta una di quelle lontane estati, dietro un vicolo, tra un muro sudicio e il calore dei loro corpi che si confondeva con quello della notte di un paesino di provincia.
Avevano provato a mantenere una relazione, ci avevano provato davvero. Biagio era troppo impegnato con concerti e dischi, lei doveva tenere il voto di riservatezza a causa del suo lavoro; avevano dovuto interrompere, seppur si amassero ancora. Per fortuna erano rimasti buoni amici.
“Chi te l’ha detto?”
Fiorello sorrise amaramente.
“Lui stesso una quindicina d’anni fa. Era ubriaco e faceva commenti incredibili su una marea di cose, ad un tratto il discorso è caduto su di te, ha detto che non poteva dirmelo e invece me l’ha detto. Assieme a troppi dettagli sui vostri…uhm…chiamiamoli incontri intimi. Certe immagini non vanno via facilmente.”
“Ti ha detto anche d-”
“Si, mi ha parlato anche degli ‘incontri intimi’, ascoltami quando ti dico le cose. Quelli dopo che vi siete lasciati. Se non sbaglio era da un po’ di mesi che non ti vedeva quando l’ho incontrato, era abbastanza giù di morale. Fate ancora…?”
“Abbiamo smesso quando si è fidanzato con Paola.”
“Oh. Bene. Quindi nel…”
“2004.”
“Oh. Pensavo che aveste continuato, sai. Non lo facevo un tipo fedele.”
“Lui voleva continuare, sono io che ho messo un punto. Non potevamo andare avanti così all’infinito, no?”
“E lo ami ancora?”
Lo fissò con l’aria più scettica del mondo e ridacchiò.
“È stato quasi vent’anni fa. Ormai è passata alla grande.”
“Comunque c’è una cosa particolare che m’ha detto, qualcosa che proprio mi è rimasta in testa e te la devo dire.” “Che cosa?”
“Non ti facevo attivo.” “Cioè?”
“Beh, mi ha detto che non eri tu a prenderlo in paniere, per dirlo elegantemente. Tra i due. Lui era la donna. Aspetta, nel senso che lo prendeva, non nel senso che- insomma, hai capito”
“In realtà facevamo a turno.” “Si, ma lui lo prendeva di più.” “Perché ti interessa così tanto questa informazione? Lo vuoi prendere anche tu? Lo vuoi dare? Vuoi qualche consiglio? Cosa vuoi?”
Fiorello parve voler dire qualcosa, ma rideva così tanto che non poté farlo. Lei si unì alla sua risata, e di nuovo furono due amici che si divertivano soli nella notte novembrina, le nuvolette dei loro fiati che saliva verso i lampioni.
“Da una bella donna, magari, lo prenderei volentieri”, esclamò Fiorello guardandola eloquentemente.
“È una provocazione?”
“È una constatazione.”
Girarono l’angolo e cominciarono a tornare indietro, verso il parcheggio. Non sentivano più nemmeno il freddo.
“Se una bella donna ti chiedesse un bacio, invece?” La voce le saltò un po’ dal nervosismo. Diamine, gli aveva appena detto di essere attratta dagli uomini. Forse pretendere un bacio da lui era troppo. Eppure, pensò tra le righe, eppure non si sarebbe certo tirata indietro, se Fiorello avesse dimostrato quell’intenzione.
“Dipende tutto da chi me lo chiede. Lo sai quante malattie si possono trasmettere con un bacio? Metti che te lo chiede una figa che ha una malattia strana in bocca, te la contagia e tu come rispondi? ‘E ma era figa’? Però se me lo chiedesse una persona che conosco e di cui mi fido, allora non avrei alcun problema. Per esempio: se me lo chiedessi io accetterei. Per dire.” “Anch’io accetterei. Se fossi tu.”
Fiorello si fermò, si spostò davanti a lei e la guardò con un’aria indefinibile, il viso a pochi centimetri dal suo.
“Io dico seriamente.”
“Anch’io.”
La pausa fu brevissima. “Ti andrebbe di provare?”
Annuì. Bastò perché lo sguardo di lui si spostasse alle sue labbra lucide di rossetto, portasse delicatamente la mano alla sua guancia e si avvicinasse, un po’ nervoso, un po’ sicuro, e ancora un po’ naturale, perché la loro vicinanza passata rendeva l’esperienza estremamente familiare, seppur fosse una prima volta. Il bacio fu una delle sensazioni più belle della sua vita.
Sabrina la richiamò in sala trucco così in fretta che quasi non ebbe il tempo di poggiare la borsa in camerino.
“È successo qualcosa?”
La truccatrice cominciò a rimestare qualcosa in una piccola scatola la cui visione le era preclusa, per quanto cercasse di allungare il collo.
“Cos’è?” chiese con un sorriso che andava allargandosi sempre di più. Sabrina l’aveva aiutata non poco agli inizi, dopotutto. Aveva imparato molto presto a fidarsi di lei.
“Niente di che. Solo un pensierino per Natale.” Finalmente si girò con quella che pareva una minuscola valigetta di plastica nera e gliela porse.
“Non ho fatto in tempo a impacchettarlo per bene, mi è arrivato solo oggi.” Guardò ancora l’oggetto. Era più pesante di quanto avesse pensato.
“Beh?”
Guardò Sabrina con aria interrogativa. Doveva fare qualcosa?
“Non lo apri?”
“Oh, pensavo di aprirlo a Nat-” “Ma no, io a Natale mica ci sarò! Voglio vedere la tua reazione. Apri, apri!”
Intanto si era creata una piccola folla attorno alla porta, che sia lei che la truccatrice avevano inaccuratamente lasciato aperta. Pareva più lasciata aperta apposta in realtà, perché tutti i presenti avevano la faccia di chi sa bene di che regalo si tratta e vuole vedere la reazione.
Aprì delicatamente la valigetta.
Una sfilza di polveri colorate ricambiò il suo sguardo stupefatto.
“Oh. Oh…!”
Guardò Sabrina, poi la massa di persone sulla porta che sorridevano come diavoli, di nuovo Sabrina e infine la valigetta di trucchi intonsi.
“Ho provato a scegliere la tua tonalità migliore, sai? Questi in teoria sono professionali, ma non credo avrai problemi particolari a usarli con i miglioramenti che hai fatto in questi mesi. Ora ti trucchi molto meglio di alcune persone che conosco e lo fanno dall’adolescenza, sai?”
Non aveva abbastanza parole per ringraziarla, quindi spalancò le braccia e la avvolse con forza, rischiando nel frattempo di spargere il prezioso contenuto della valigetta per terra.
“Grazie per tutto”, le sussurrò all’orecchio mentre la stringeva, una mano sulla sua schiena e l’altra a tenere a stento il regalo.
“È stato un piacere”, rispose Sabrina con le lacrime agli occhi.
Lo studio si illuminò alla presenza di Fiorello che emergeva dalle quinte, tra il pubblico, e andava a schioccare un buon bacio sulle labbra pitturate della sua compagna.
“Scusate, scusate l’intrusione, eh! Nessuno sapeva che sarei venuto, nemmeno lei!”
La conduttrice rise di gusto e unì le mani in un unico applauso di confusa gioia. Non l’avrebbe mai detto ad alta voce, ma adorava le sorprese che Fiorello continuava a riservarle dall’inizio della loro sudata relazione.
Era aprile dopotutto, stavano ufficilamente insieme da appena cinque mesi, seppur si conoscessero da una vita, cosa che rendeva il dato abbastanza inaffidabile, ora che ci pensava.
“C’è un motivo particolare se sono qui oggi. Ecco, tra l’altro: devo ringraziare la splendida regia che mi ha permesso di venire qui a rompere le…spalle, ho detto spalle! Per fare questa cosa, ecco, volevo che fosse un po’ speciale, e quale posto più speciale se non il programma della mia donna preferita?”
Si avvicinò a lei, che gli schioccò un altro sonoro bacio, ma questa volta sulla guancia, poi si allontanò di nuovo e si rivolse subito verso il pubblico, gli espressivi occhi neri che scrutavano nervosamente attorno a sé.
“Che dite, lo faccio? Perché è una cosa particolare, qui non si torna indietro.” “Ma cosa vuoi fare?” chiese sistemando automaticamente una ciocca ribelle sulla spalla. Quando Fiorello era attorno a lei non riusciva proprio a smettere di ridere.
“Lo faccio, lo faccio.” Fiorello si girò di scatto verso lei. Con movimento fluido scese in ginocchio, e con altrettanta delicatezza afferrò un piccolo oggetto dalla tasca della giacca.
“Ama, so che forse è un po’ troppo presto- no, forse è un po’ troppo tardi, c’abbiamo sessant’anni, se non ci sbrighiamo non lo facciamo più, insomma.”
In mano teneva una scatolina di colore blu. Il suo cuore perse un battito, ma lo sguardo di Rosario non esitò un istante.
“Ama, all’anagrafe Rita (ti devo chiamare così in questa occasione? Credo sia il caso, si), Rita, ti andrebbe, se te la senti, ti sposarmi?”
Il pubblico trattenne il fiato. La regia e i tecnici pure.
L’anello brillava in filigrana d’argento come una goccia d’acqua al sole sotto le potenti luci dello studio. Annuì.
“Quindi mi sposi?”
Annuì di nuovo, questa volta con gli occhi pieni di lacrime e il sorriso più morbido che avesse mai fatto.
“Dillo a voce.”
“Si, Rosario. Certo che ti sposo.”
La commozione nella sua voce era tale da provocare un immenso torrente di applausi da parte di tutto lo studio.
Per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare un’altra occasione in cui aveva mai abbracciato qualcuno in quel modo.
La spiaggia era deserta e il clima torrido come doveva essere a luglio inoltrato, merito del clima mediterraneo, anche se mitigato da morbide raffiche di maestrale in modo da non essere insopportabile.
Gli unici presenti erano gli invitati esclusivi a quel particolare matrimonio. Per l’occasione si erano chiusi gli accessi pubblici alla spiaggia, in modo da dare riservatezza all’evento; gli invitato totali non raggiungevano le cento unità.
I due sposi, un uomo abbronzato in uno smoking elegante e una donna dal trucco leggero, i capelli raccolti e un timido seno ben raccolto dal vestito bianco, seno tanto agognato e finalmente ottenuto con la sua terapia, particolarità che mostrava con orgoglio rivolta verso il suo sposo.
La firma delle carte, lo scambio delle fedi, il bacio, l’applauso finale, il pranzo e la festa nella villetta con giardino, tutto fu meraviglioso, tanto che le era impossibile scegliere un momento che spiccasse tra gli altri. O forse si: quando durante il taglio della torta Rosario aveva trovato il modo di mettersi un po’ di panna nel mento, e lei si era avvicinata a leccargliela via; quello era stato forse il momento più bello.
Eccola ora, mentre ondeggiava piano in un lento con il suo migliore amico, la persona che meglio conosceva, ma quasi gli pareva di conoscere a malapena, in quell’istante, con quel suo sorriso dolce e gli occhi scuri fissi sui suoi, felici e stanchi come lei.  
Posò il telefono con riverenza. L’enorme sorriso dipinto sul suo volto doveva parlare da sé, perché Rosario non le chiese niente: si limitò a darle un lungo, lunghissimo e appassionato bacio.
“Condurre Sanremo. Te ne rendi conto? Io, che ho iniziato a prendere ormoni nove mesi fa, io, condurre Sanremo.”
“E perché, ci volevi su qualcun’altro? Te lo meriti, Ama. Te lo meriti con tutta te stessa. Sai che sei una delle poche donne ad averlo condotto? Pensa a quanto tu abbia fatto per tutta Italia. Pensa a quanto tu sia importante per tutti, per primo per me, e poi baciami tanto, che se gli altri hanno bisogno di te, immagina quanto io ne ho di te!”
Rise di gusto. Cosa diavolo stava dicendo il suo fidanzato?
“Fiore, niente di quello che hai detto ha un senso logico”, ridacchiò ancora abbracciandolo stretto.
“Ha importanza?” rispose il suo Rosario lasciandole un morbido bacio sulla fronte.
“È da due mesi che sei mia moglie. Ricordi le promesse? Dovrai sorbirti i miei discorsi senza senso per tutta la vita!”
“Lo farei anche per tre vite, se potessi.”
“Guardate ragazzi, l’ospite di oggi è una persona così buona e così speciale che quasi mi commuovo a vederla entrare, scusate, sapete che ho la lacrima facile, io! Ha una storia meravigliosa di accettazione senza nessuna precedenza prima, qualcosa che si merita completamente, perché questa persona è davvero la cosa più affettuosa che io abbia mai conosciuto- pensate, prima mi ha fermato dietro le quinte e mi ha chiesto se poteva indossare i tacchi, perché sarebbe apparsa molto alta e mi avrebbe fatto sentire una nanetta, a me che diciamo non è che sia proprio bassottina, ecco. In ogni caso, probabilmente avete già capito di chi si tratta, dai, si è pure sposata da poco, in spiaggia in Sardegna, voi direte: e minc…! E io vi dico: dovevate venire, c’era un vento ragazzi, un vento che non faceva a stare! Ma è stata una cerimonia splendida, si vedeva proprio che c’erano due persone davvero innamorate l’uno dell’altra. Sto divagando, scusate. Anche perché poverina, è lì dietro le quinte che aspetta solo di entrare, e io invece sono qua a chiacchierare da sola come una pazza. Ve la annuncio? Eccola che arriva, un applauso alla regina del preserale, Ama!”
“Salve a tutti, salve!”
“No, no, aspetta prima di sederti, vieni qui che ti devo abbracciare un pochino, eh!”
Gli abbracci di Mara Venier erano proverbiali nel giro degli studi televisivi non senza valida ragione; se poi si considerava che ora erano in qualche modo imparentati, visto che era la migliore amica d’infanzia di suo marito, allora si può ben immaginare il tipo di abbraccio che ricevette.
“Ecco, così! Ma quindi alla fine ti sei messa i tacchi lo stesso!”
“Si, prima mi hai detto che-”
“Ma certo che sei davvero alta, sai? Non per tirare fuori la storia che prima eri uomo e cose simili, ma quanto sei alta? Che poi, solo due anni fa ti vedevamo in televisione coi capelli quasi a zero e il pizzetto che fa tanto musicista single, e guardati ora, fattelo dire tesoro, sei uno splendore!”
“Grazie Mara, ricambio volentieri.” “Eh, ormai qui si invecchia! Ma dimmi piuttosto: hai qualche notizia di Sanremo? Perché sai, ci sono voci molto contrastanti sulla conduzione o meno, con alcuni che dicono che a condurlo sarai tu, altri che dicono ‘eh no ma non lo farebbero mai, ora che è una donna’, hai presente?” “Si, si, ho letto qualc-” “Ecco, allora, visto che sei qui, ora, dacci qualche conferma, un minimo di notizia, qualcosina per capire meglio, ti va? Puoi?” “Si, ora finalmente posso parlarne.” “Oh! Finalmente! Io ragazzi ve lo devo dire: lo so già. Perché si sa, le notizie girano, anche qua in studio qualcosa è arrivato, com’è normale ragazzi, ora non bisogna farne una tragedia. Quindi?”
“Quindi-” “No, aspetta, fallo come se fossi al tuo programma, come si chiama, I-I Soliti Nascosti”
“Ignoti”
“Si, esatto, fammi un bel primo piano- ecco, hai un viso così pulito, sai quante donne vorrebbero avere una pelle come la tua? Perfetto, allora, cos’è che devo dire? Insegnami un po’, devo dire-”
“Allora, tu dici ‘Per- che ne so, trentamila euro?- per trentamila euro, signora Rossi, è lei che conduce Sanremo?’”
“Okay, perfetto, ho capito. Allora. Per trentamila euro, signora Ama, è lei che condurrà la prossima edizione di Sanremo? Abbiamo la musichetta? Oh, eccola, la abbiamo la musichetta!” Rise un po’, in barba al gioco reale, dove la persona inquadrata deve cercare di stare il più ferma e zitta possibile. La musichetta finì e arrivò il momento di rispondere.
“Si, sono io che condurrò Sanremo VentiVenti.”
“Buonasera e benvenuti a questa settantesima edizione del Festival di Sanremo!”
Non poteva negare di sentirsi un po’ a disagio in quell’elegante completo maschile, seppur rimodellato in modo da non nascondere completamente le tanto faticate curve. Portava i capelli raccolti in una complessa acconciatura ornata da piccole margherite selvatiche e un trucco leggero, quasi invisibile se una persona non voleva soffermarcisi troppo, ma abbastanza presente da illuminarle il viso e rendere i suoi tratti più femminei.
Faceva tutto parte della scelta dei costumi. La prima serata aveva l’abito più maschile, la quinta avrebbe usato il più lungo e femminile, con capelli ornati da fiori man mano sempre più vistosi; così avevano deciso gli stilisti, e lei non poteva dire di essere in disaccordo, perché era un buon modo per omaggiare il lungo percorso che l’aveva portata sino a quel punto.
Ciononostante era un po’ nervosa. Un conto era presentare il suo programma, dove con gli anni si era venuto a creare un ambiente domestico persino con i suoi spettatori, che non solo non avevano accennato a diminuire, ma addirittura erano aumentati da quando aveva iniziato il suo cambiamento. Un’altro era realizzare il suo sogno di una vita e condurre una delle più importanti manifestazioni musicali dell’intero Paese.
Fiorello l’aveva aiutata non poco. La sua sola presenza aveva il potere di calmarla, e la sua introduzione di quella sera, quando lui si era presentato sul palco vestito da Don Matteo, era stata come al solito fenomenale. Non che avesse qualche dubbio, visto che lo conosceva ormai da abbastanza tempo da non poter dubitare in alcun modo delle sue capacità intrattenitive.
Guardò davanti a lei.
Il pubblico senza volto era oscurato dal contrasto creato dalle luci sul palco. Le telecamere fissavano irrefrenabili come occhi affamati.
Era il momento di soddisfare quella fame.
Rivolse una breve occhiata al gobbo, fece un rapido calcolo dei tempi, sistemò le mani ordinatamente davanti al busto e cominciò a vivere.
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COME ESTRARRE UN SIM DAL GIOCO
Se vi è mai capitato di dover ricominciare una nuova partita da capo a causa della corruzione della stessa ma non volete perdere i vostri sim, l’unico modo per portarli con voi nella partita nuova di zecca è quella di estrarli dal gioco, ma come? vi chiederete. Che vogliate semplicemente estrarli per portarveli in una nuova partita o che vogliate estrarli per passarli ad un vostro amico o caricarli in rete, in questa guida vi spiegherò come farlo in modo pulito! (Alcune immagini a metà guida sono prese dalla guida inglese perchè non mi andava di estrarre un sim ok? Evviva la sincerità e la pigrizia!)
Step 1: Inanzi tutto per per tutto questo procedimento avremo bisogno di due programmi essenziali: 
1) Il Bodyshop, incluso in The Sims 2. (Nell’Ultimate Collection il percorso del Bodyshop è: C o D:\Origin Games\The Sims 2 Ultimate Collection\Fun with Pets\SP9\CSBin )
2) Il programma SimPe, adattissimo per modificare file package e per altre mille utilità! Potrete scaricare l’ultima versione QUI. (Scaricate la versione 0.75 del 2019).
Step 2: Apriamo simPe.
Una volta aperto simPe clicchiamo su “Strumenti” in alto a destra. Se il vostro simPe è in inglese si chiamerà “Tools” ma potrete comunque cambiare la lingua del programma dalle impostazioni del programma stesso. Di default il programma si imposta da solo nella lingua del vostro sistema.
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Step 3: Sempre su simPe.
Dopo aver cliccato su “Strumenti” cliccate su “Neighborhood” e successivamente su “Neighborhood Browser...”
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Step 4: Continuiamo con simPe.
Dopo aver cliccato su “Neighborhood Browser...” vi apparirà una finestrella che vi chiederà di scegliere il quartiere dove risiede il sim che vorrete esportare. A quel punto selezionatelo, cliccate su “Open”. Quindi attendete il caricamento.
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Step 5: Sempre su simPe.
Una volta che il quartiere si sarà caricato, tornate su “Strumenti”, quindi su “Neighborhood” ma questa volta cliccate su “Sim Surgery...” ed attendete il caricamento.
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Step 6: Addentriamoci ancora in simPe.
Una volta cliccato su Sims Surgery vi si aprirà un elenco di sim, che saranno tutti i sim che esistono in quel quartiere. Scrollate la barra e cercate il sim che volete esportare. Una volta trovato selezionatelo e a quel punto a destra cliccate su “use” e poi su “export”.
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Step 7: Abbiamo finito su simPe!
Di default il sim verrà salvato nella cartella “SavedSims”, perciò l’unica cosa che voi dovrete fare sarà cliccare su “Salva” (o Save, ma se il vostro pc è in italiano è “Salva”).
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Step 8: Non abbiamo ancora finito! Adesso apriamo Bodyshop!
Eccoci alla nostra seconda parte della guida! Per questa parte dovremo prima di tutto aprire Bodyshop, che si trova nel percorso indicato ad inizio guida. Di norma, già con i passaggi eseguiti su simPe il sim è estratto MA è sporco, e questo che significa? Significa che da simPe abbiamo estratto un sim che ha ancora dei residui di dati e che quindi se installato nella nuova partita potrebbe corrompere tutto quanto, quindi dobbiamo “pulirlo” su Bodyshop e questo come si fa? E’ molto semplice: clonando SOLO il suo aspetto, in modo da fare come se si stesse creando un sim del tutto nuovo.
Per farlo, dopo aver aperto Bodyshop cliccate su “Crea un Sim”.
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Dopo di questo cliccate su “Crea o duplica un sim”.
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Step 9: Continuiamo su Bodyshop!
Una volta caricati i sim, trovate il sim che avete estratto, selezionatelo e cliccate su “duplica il sim selezionato” (i due omini in basso a destra.) Non ho screen dello stesso sim esportato (o meglio, li ho ma sono in inglese, ma fate finta sia lo stesso). Un consiglio furbissimo che vi do è di mettere un rossetto del gioco (no cc) al vostro sim prima di clonarlo e vi spiegherò dopo perchè.)
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Una volta cliccato, premete dove indicato (Non so come è scritto in italiano perchè non ho screen ma comunque non potete sbagliarvi, il tasto è lo stesso)
Gli screen in inglese non sono miei, per questo il sim è diverso ma fate finta sia lo stesso di quello estratto.
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Step 10: La fase finale!
Adesso che il vostro sim è stato pulito e nuovamente estratto aprite The Sims 2, aprite il quartiere dove volete iniziare la vostra nuova partita (o dove semplicemente volete mettere il sim) e cliccate sull’opzione “Crea una famiglia”.
A quel punto selezionate nel Crea un Sim un sim della STESSA ETA’ del sim esportato (altrimenti non appare il sim) e cliccate successivamente sul “Contenitore dei Sim”, li è dove vengono salvati tutti i sim nella cartella “SavedSims”.
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A questo punto si aprirà una finestrella con una lista di sim, individuato il vostro cliccatelo ed apritelo. Una volta fatto potrete modificarvelo come vorrete ed infine salvare la famiglia per giocarci nella vostra nuova partita!
Il motivo per cui vi ho fatto mettere il rossetto al sim prima di clonarlo è perchè per esperienza so che in gioco apparirà sia il clone sporco di simPe sia quello pulito di Bodyshop, perciò onde evitare casini, sbagliando il sim da selezionare, mettendo qualcosa che distingueva i due cloni potevate essere certi che il sim con quel qualcosa fosse il clone pulito.
Invece del metodo del rossetto un altro metodo è quello di cancellare il vecchio file del sim esportato nella cartella SavedSims da simPe, DOPO aver creato il clone su Bodyshop, ma per esperienza vi dico che cancellando quello di simPe per qualche motivo poi non mi si vedeva più neanche quello di bodyshop, quindi ho preferito usare il metodo del rossetto.
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Step 11: Come esportare un sim da passare ad amici e da caricare su internet.
Per esportare un sim da fare installare ad altre persone, dovrete fare lo stesso procedimento dal punto 1 al punto 8, solo che invece di cliccare solo su “Crea o duplica un sim”, prima dovrete clonare il sim (se non lo avete già fatto) e poi tornate indietro e cliccate su “Esporta un Sim”. A quel punto selezionate il sim clonato. Vi chiederà di mettere un nome al file ed una descrizione, quindi, una volta fatto vi chiederà di salvarlo sul computer (potete salvarlo ovunque vogliate a differenza dei sim esportati da simPe). Il file esportato sarà del formato “.Sims2pack” che potrete passare a chiunque vogliate.
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I vostri amici o chi lo scaricherà potranno installarlo cliccando due volte sul file (che quindi si installerà con un piccolo programmino legato al bodyshop) o in modo più sicuro con  il programma Sims2Pack Clean Installer che potrete scaricare QUI. Questo programma è più sicuro perchè installa sim e lotti evitando che insieme a loro si installi spazzatura e file corrosivi ma non è obbligatorio per installare sim e lotti, è una vostra scelta se usarlo o meno.
I sim installati verranno trovati nello stesso posto dei sim estratti: nel catalogo dei sim in Crea un Sim.
ATTENZIONE: Se il vostro gioco è infettato dal Super Duper Hug Bug NON passate i vostri sim e i vostri lotti ad altre persone perchè infetterete anche i loro giochi. Parlo QUI di questo bug e di come risolverlo.
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sandnerd · 5 years
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Sword Art Online: Alicization - Ep 21 - Il 32esimo cavaliere
Ciao! Sono Sand, ed anche oggi torna l'appuntamento non proprio regolare con Sao. Il protagonista indiscusso della puntata è di certo Eugeo, che si mostra tutto impettito con la sua armatura nuova di zecca mentre corre verso Kirito sguainando la spada. Inutile parlare della battaglia, nella quale Kirito ha la peggio, nonostante tutte le tecniche che Eugeo usa gliele abbia insegnate lui, e che si conclude con la solita ghiacciata Elsa style che blocca Kirito e Alice. Il problema sono le tecniche che sfoggia il biondino, come l'incantesimo Accio di Harry Potter che usa per prendere la spada rosa blu dalle mani di Kirito, ed anche la bravura del biondino nella battaglia, una bravura che anche per un cavaliere integratore è impossibile da acquisire nelle poche ore che sono passate da quando è avvenuto il rituale synthesize. Non viene spiegato bene il motivo per cui Eugeo sia così forte, la mia teoria è che Quinella su di lui stia sperimentando alcune tecniche per rinforzare i suoi seguaci ma non ne sono sicura, credo sia un'altra di quelle cose che lasceremo nel dimenticatoio. 
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Eugeo, dopo aver solo ghiacciato gli ex amici senza avere usato il potere della rosa blu, torna dalla Somma, che continua a blaterare del fatto che adesso gli darà le caramelline che gli aveva promesso, ma non prima di aver rinforzato il prisma viola ostacolatore di memoria, dato che con Kirito che gli urlava di ricordare si è un attimo danneggiato. Il tempo di rimuoverglielo ed il nostro Eugeo si risveglia, più biondo e arrabbiato che mai! Afferra il pugnalino datogli da Cardinal che tiene ancora al collo e tenta di pugnalare la Somma proprio in mezzo alle tette, la fonte del suo malefico potere. Ma la Somma non la freghi alla 21esima puntata, minimo dobbiamo arrivare alla penultima, ed ora che ci penso stiamo terminando la stagione ed ancora la trama nel mondo esterno tace, per non parlare della minaccia degli eserciti oscuri...bah. Come dicevamo la Somma si difende, e Eugeo viene scagliato contro la parete opposta, poverino Eugeo cucciolo T.T, dove sono appese delle spade tamarrissime ogni due metri di muro, ecco da dove venivano le spade rare di cui si vantavano tutti i cavalieri incontrati finora. Ma la scena viene interrotta dal pagliaccio, che sbuca dal buco proveniente dalla stanza di prima, e che esce accusando Eugeo di aver lasciato vivi apposta Kirito ed Alice, che sbucano dal buco uno dopo l'altro, sorridendo ad Eugeo, e Kirito dice che lui l'aveva capito che era tutta una farsa, lui capisce sempre tutto, per forza, è il protagonista, ormai di che ci stupiamo. 
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Nel frattempo che i tre compari si scambiano i soliti convenevoli sulla famiglia e il lavoro, Quinella se li guarda come se fosse davanti ad una partita di solitario e si chiede come sia possibile che gli ostacolatori di memoria non funzionino più. Deve essere stato uno sforzo di volontà più che un'emozione indotta, si dice, e guarda Kirito come la causa di tutto questo, in quanto rappresenta un'anomalia. Ehi, piano con le parole che lui è il protagonista e ti fa quel bel sederino a striscie se vuole. Ma le è seccato pensare, si è svegliata poco fa e si ritrova la casa piena di gente, troppo stress per lei. Lascia il pagliaccio ad occuparsi dei tre caballeros, promettendogli quello che vuole, e cioè una notte di passione con lei. Va bene, dice lei, toccandosi tutta (tutto sto fanservice vi assicuro che non era necessario), e carica il pagliaccio a manetta, facendolo diventare una palla di fuoco con le corna e le zampe. Mh, carino. Ma la puntata termina qui, per vedere questo magico scontro che ha come scopo una fantastica notte di passione dovremo aspettare la prossima. 
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Devo dire che Eugeo me l'aveva fatta, quasi avevo creduto che per un paio di puntate l'avremmo visto asservito al lato oscuro delle nudità gratuite e delle caramelline, e invece si è dimostrato più forte, dico la verità, alle caramelline non era facile rinunciare. Non proprio una puntata di transizione, e nemmeno la prossima credo lo sarà, sempre che non sconfiggano il pagliaccio nei primi secondi per poi parlare per il resto del tempo. Alla prossima!
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Ti Amo.
A volte può sembrare una frase che, detta sempre, può perdere il suo significato e valore. Ma no, per noi non è così. Io non smetterei mai di dirti che ti amo, lo urlerei al mondo intero quanto ti amo, ti farei uscire quelle due paroline da tutte le parti. Perché ti amo. Ti amo come amo i girasoli. Ti amo come amo il pollo allo spiedo e la pasta. Ti amo come amo Shadowhunters. Ti amo come amo Lily Collins. Ti amo come amo il Trono di Spade, Pretty Little Liars e tutte le serie tv del mio cuore e le serie tv in generale. Ti amo come amo il profumo dei libri quando sono nuovi di zecca. Ti amo come amo guardare gli abiti da sposa e abiti di tutti i tipi. Ti amo come amo dormire. Ti amo come gli orsi amano il miele. Ti amo come amo i trucchi. Ti amo come amo il rosa. Ti amo come amo le cose sbrilluccicose. Ti amo come amo leggere. Ti amo come amo scrivere. Ti amo come amo viaggiare. Ti amo come amo il tramonto in tutte le sue sfumature. Ti amo come i girasoli amano il sole. Ti amo come Giulietta amava Romeo. Ti amo come Lucia amava Renzo. Ti amo come amo quando ti preoccupi per me. Ti amo come amo quando mi chiami “piccola mia”. Ti amo come amo quando ti dico “ti amo” e tu mi rispondi con “tantissimo”. Ti amo come amo dormire fra le tue braccia e sentirmi al sicuro. Ti amo come solo una donna innamorata sa amare. Ed io sono innamorata. Persa. Di Te. @comeilfreddo
Pezzi di me.
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Heroes - pt. 1
PROMPT: So che non accetti più prompt però io provo comunque a lasciartene uno, non si sa mai. Incrocio le dita! Pensavo a una scena in cui qualcuno tenta di far del male a Ermal (magari un tentativo di aggressione fisica o sessuale), ma Fabrizio in versione BAMF lo salva (Fabrizio protettivo e supereroe fa qualcosa ai miei ormoni...) (possiamo prenderci due minuti per sbavare su Fabrizio versione eroe?) (Che caldo che fa!!). Loro due possono già stare insieme oppure no, come vuoi. Incrocio le dita!!
Eccomi qui, provatissima dalla vita ma ci siamo! Premetto che la versione “eroica” di Fabrizio non sarà la classica cosa tipo superman che spara raggi laser dagli occhi, è più una cosa strettamente casuale e anzi, in verità in verità vi dico che di eroe non possiamo proprio parlare.
Altra premessa doverosa e necessaria, è  una au perché è ambientata nel periodo degli anni di piombo. Se non avete idea di che cosa siano, in breve: periodo che non è ben definito ma solitamente in italia si considera partire dalla fine degli anni sessanta e che va fino agli anni ottanta. Di che parliamo? Parliamo di degli anni un bel po’ del cazzo, dove ci furono diverse sconti, stragi e atti terroristici che vedono protagonisti organizzazioni extraparlamentari di estrema sinistra e i relativi gruppi di destra che vi si contrapponevano. In Italia parliamo di organizzazioni come  Lotta Continua per citarne una e per quanto riguarda le organizzazioni terroriste di estrema sinistra naturalmente la più citata e ricordata è quella delle Brigate Rosse, che vedevano la lotta armata come metodo di rivoluzione efficace. Per farvi capire chi sono questi, vi nomino un avvenimento che (spero) conoscerete tutti: sono stati gli autori del sequestro di Moro e della sua uccisione.Non è stato l’unico che hanno rapito e/o ucciso, ma è stato probabilmente il caso più eclatante.
Detto questo, spero che ci siamo capiti sulla situa. Chi sono Ermal e Fabrizio qui dentro? Lo scoprirete solo leggendo.
Buona lettura!
Ermal corre
Corre per le viuzze di Roma, rese scivolose dalla pioggerellina leggera che da qualche ora casca dal cielo e che in precedenza aveva prodotto un piacevole tap tap di sottofondo contro al suo ombrello mentre lui, ritto in piedi vicino a un muretto nei pressi dell’università, saltellava piano sui propri piedi per tenersi al caldo, il vento freddo che gli sferzava il viso e le guance, congelandogliele.
Ombrello che, ora come ora, giace parecchi metri più indietro, rovesciato e dimenticato dal proprietario nella fretta della fuga che sta cercando di compiere
Dietro di lui, risuonano anche fin troppo vicini i passi pesanti e le grida dei suoi inseguitori, che tra un insulto e l’altro si prodigano di ricordargli che è inutile che scappi: tanto, dicono, lo prenderanno. Gli intimano, quindi, di fermarsi, che tanto gli conviene se non ne vuole prendere il doppio, ma Ermal non gli presta attenzione: continua a correre, sentendo il cuore scoppiargli nel petto per lo sforzo e la paura, i muscoli delle gambe che bruciano nello sforzo.
Svolta a destra, poi a sinistra, prosegue dritto e svolta ancora: non ha la minima idea di dove sia o di dove stia andando e, come volevasi dimostrare, questo si traduce in un disastro non appena deve arrestare la sua corsa per non finire contro a un muro.
Vicolo cieco.
In tutta fretta, si volta per tornare indietro, ma è troppo tardi: all'entrata del vicolo tre ragazzi gli bloccano il passaggio e lo fissano, rossi in viso, sudati, bagnati e ansimanti quanto lui, con l’unica differenza che loro hanno stampato in faccia un ghigno trionfante e non una smorfia di paralizzato terrore.
Sono grossi, tutti e tre. Decisamente più grossi di lui. Farebbe fatica a tenere testa a uno solo di loro, ma così non c’era proprio speranza.
Fa un passo indietro, deglutendo rumorosamente mentre loro si avvicinano.
Stringe spasmodicamente la presa sui volantini ormai zuppi e rovinati che tiene in mano, la carta molliccia che cede e si strappa sotto alle sue dita mentre arretra ancora, fino a quando non si ritrova con la schiena contro al muro.
Li osserva da sotto i ricci scuri ridotti a una massa bagnata e informe che gli ricade davanti agli occhi, ma non ha il coraggio di alzare le mani per spostarli, né, in realtà, di muoversi.
Man mano che lui arretrava, loro erano avanzati e adesso si ritrova il ragazzo al centro-il capo dei tre, probabilmente, alto più di lui e grosso il doppio, se non il triplo. Deve essere anche più grande, probabilmente deve avere ventidue o ventitré anni-chino su di lui, che lo squadra a metà tra il disgustato e l’eccitato. Disgusto verso di lui, eccitazione, ovviamente, per averlo catturato. Probabilmente anche il terrore che si sente stampato in viso lo diverte.
Ermal guarda i suoi occhi chiari e vi legge che sta già pregustando il momento in cui lo colpirà, ma per adesso l’altro allunga solo la mano verso di lui, lentamente.
“Da qua, zecca” gli intima, facendo cenno verso i fogli.
Ermal se li stringe di più al petto, come se potessero proteggerlo, premendosi contro al muro, desiderando prepotentemente di potercisi fondere per scampare all’agonia che sa che lo attende.
L’altro inarca appena un sopracciglio, lanciando un’occhiata ai suoi due compari che, a loro volta, lo squadrano dubbiosi ma anche divertiti.
“Ho detto” ripete il ragazzo, avvicinandosi tanto da sfiorarlo quasi con il proprio corpo e torreggiando su di lui “Da qua, piccola e schifosa zecca che non sei altro!” 
Ermal sussulta appena quando lo sente alzare la voce, ma lentamente, con un coraggio che non sa di avere-o più probabilmente con grande stupidità-scuote appena il capo in cenno di diniego. Non riesce a parlare, non ha abbastanza fiato o volontà per farlo, ma basta quel piccolo gesto perché l’altro diventi viola in faccia, la rabbia a deformargli i lineamenti.
“No?” gli chiede, quasi ringhiando “dici no a me, feccia? A me?!”
Se fosse stato nel pieno delle sue facoltà mentali Ermal gli avrebbe volentieri chiesto chi si crede di essere per non poter accettare un no come risposta, ma si rende conto da solo che quella non è proprio una buona idea 
Per cui sta zitto, incapace di fare altro se non mordicchiarsi il labbro con febbrile preoccupazione. 
Sobbalza quando il ragazzo gli strappa violentemente di mano i volantini, deglutendo rumorosamente mentre li osserva e poi, con attenzione, li strappa, facendoli a pezzi davanti ai suoi occhi.
“Spazzatura” mormora, continuando a rompere la carta in pezzi sempre più piccoli, spargendoli ai suoi piedi “spazzatura, esattamente come te” 
Ermal si fa piccolo contro al muro, sentendo il cuore rimbombargli nelle orecchie mentre, disperatamente, cerca con gli occhi una via di fuga che non c’è
L’altro si prende il suo tempo prima di gettare a terra ciò che non ha sminuzzato, sputandoci poi sopra
“Mi fate schifo” dice, spingendolo poi contro al muro, facendolo sussultare di nuovo “siete dei parassiti. Vi metterei in carcere, a voi” continua, dandogli un’altro spintone “ma non basterebbe, vero? Stareste ancora lì, dietro le sbarre, a vivere a spese degli altri, esattamente come fate ora. No, sarebbe meglio ammazzarvi, a voi. Schifosi comunisti” replica, prendendogli poi con forza il viso in una mano, premendo le dita nelle sue guance “Scommetto che tu sei pure frocio, eh?” gli chiede, a mezzo centimetro dalla faccia,
La presa che ha è forte, tanto da fargli male, ma seppur con le lacrime agli occhi Ermal porta le mani sul suo polso, cercando di levarselo dal viso. Geme di dolore quando l’altro stringe la presa, cercando di divincolarsi, ma quello gli tira avanti la testa e poi gliela sbatte contro al muro, facendogli vedere le stelle
“Lasciami!” cerca di dire, provando ancora a togliersi da quella stretta,  ma l’altro ride, facendo un cenno ai suoi compari perché vengano a dargli man forte. 
Lo afferrano, uno da un lato e uno dall’altro, bloccandogli le braccia perché sia totalmente inerme.
Ermal sente il panico salirgli nel petto. Lo sa che lo picchieranno, è piuttosto palese, ma non è quello il problema. 
Il problema è che il ragazzo di fronte a lui sta usando la mano libera per aprirsi i pantaloni e il brivido che gli scende lungo la schiena non ha nulla a che fare con la pioggia gelida che gli entra nel colletto della giacca.
“Frocio e pure comunista. Fossi tuo padre t’avrei già ammazzato” ribatte, facendogli sbattere di nuovo il capo contro al muro “Ma sai, sei fortunato zecca. Forse oggi sarai utile a qualcosa. Tu e la tua sporca boccuccia comunista” 
Ermal boccheggia appena, cercando di scappare dalla stretta delle loro mani che, lo sa, stanno lasciando il segno nella sua pelle, ma non può nulla. 
“Che c’è, non ti va? Dicono che siete bravi, voi froci. siete come donne con il cazzo, dovreste sapere cosa piace a un uomo” replica, facendo ridere sguaiatamente gli altri due “Poi tu sei pure zecca, quindi te ne intendi il doppio sul succhiare” rimanda, dandogli uno strattone che Ermal subisce con un gemito
Si sente le ginocchia molli per la paura, ma la presa degli altri due ragazzi lo sostiene. 
Guarda negli occhi di quello che gli sta di fronte, maligni quanto divertiti, ed è in quel momento che il terrore per quello che l’altro vuole gli fa sciogliere la lingua
“Forse sei tu che sei frocio” bofonchia “altrimenti perché chiederesti a me di succhiartelo?”
Il discorso viene fuori più come un mugolio, ma il senso viene afferrato abbastanza perché l’altro impallidisca, facendosi poi livido di rabbia 
“Cosa hai detto, bastardo?” strilla, ritirando la mano dal suo viso
Ermal apre subito la bocca, ansimando, muovendo appena la mascella dolorante 
“Ho detto” replica, guardandolo, sentendosi tremante e terrorizzato ma come non mai pronto a prenderle “che forse sei tu il fro-”
Non finisce  la frase.
Prima che possa completarla, sente uno scricchiolio funesto gli risuona nelle orecchie e poi un dolore sordo e pulsante gli invade il viso, mentre il sapore ferroso del sangue gli riempie la gola
Per un secondo, vede tutto nero
Sente solo un male atroce alla faccia e alla nuca, dove ha di nuovo sbattuto contro il muretto.
E’ solo quando un sonoro schiaffo gli colpisce la guancia che rinviene, sbattendo le palpebre e ritrovandosi a osservare l’immagine sfocata dell’altro mentre boccheggia, cercando di respirare, sputando sangue
Deve avergli rotto il naso, o non si spiega
Non fa però in tempo a riprendersi che un pugno nello stomaco lo fa piegare in avanti, anche se la presa degli altrui due lo tiene in piedi, nonostante il dolore sordo che sente anche ai muscoli perché gli stanno torcendo le braccia
Geme di dolore, tremando per la paura e il freddo e il male, deglutendo il suo stesso sangue caldo e salato prima di tossire, incamerando l’aria con un risucchio violento.
Sente che il ragazzo di fronte a lui lo sta insultando, ma le orecchie gli fischiano troppo per carpire le sue parole.
Un nuovo calcio, dritto in pancia, gli fa salire un conato di vomito e gli strappa di nuovo l’ossigeno dai polmoni per qualche secondo.
Il dolore sordo alle ginocchia lo avverte che gli altri due energumeni devono averlo lasciato cascare parzialmente in avanti, consentendogli di mettersi in ginocchio sul lastricato.
Sente la dita altrui infilarsi nei propri capelli e poi un dolore acuto alla nuca quando li tira senza garbo, strappandone alcuni, per fargli alzare il capo
Vede le sue labbra muoversi, ma non sente cosa gli sta dicendo.
Aiuto, pensa, qualcuno mi aiuti, ma non sa se lo sta dicendo o la sta solo pensando.
L’unica cosa che capisce è un qualcosa che somiglia a un ti ammazzo e poi il ragazzo gli sferra un altro violento pugno in faccia, colpendolo con l’anello che indossa dritto sul viso, appena sopra l’occhio.
Il dolore gli esplode dietro alle palpebre chiuse sottoforma di lucine psichedeliche.
Poi, le dita dell’altro gli si chiudono attorno alla gola, stringendo con forza, bloccandogli il respiro
Cerca debolmente di divincolarsi, l’istinto di sopravvivenza che prevale, senza successo
I pensieri gli corrono velocissimi nella testa
Pensa che morirà lì, al freddo e al gelo, in quella strada che puzza di fogna e che nessuno conosce, probabilmente nemmeno quelli che ci abitano. Forse il suo cadavere verrà trovato giorni dopo, mangiato dai ratti, e a nessuno importerà perché non è altro che uno stupido diciannovenne albanese che non vale nulla
Sente le lacrime scorrergli lungo il viso mentre prega di venire salvato o di morire in fretta, i polmoni che gli bruciano e la testa che gli scoppia
E poi, miracolosamente la presa sparisce
Boccheggia rumorosamente, tornando a incamerare aria
Sbattendo le palpebre, riesce confusamente a  distinguere quello che sembra il suo aggressore che si prende un pugno da qualcun’altro, mentre i due al suo fianco lo lasciando andare di scatto.
L’ultima cosa che Ermal sente è quello che somiglia a un grido. 
Poi, collassa in avanti, di faccia, sulla strada, senza la forza di mettere le mani avanti per parare il colpo, e la botta è l’ultima cosa che gli serve per perdere definitivamente i sensi.
“Ragazzino. Ao. Ragazzino svegliati”  “Secondo voi è morto?” “Ma non vedi che respira?” “Secondo me è morto” “State zitti vuoi due. Regazzì, ao, daje” 
Sono tre voci distinte che battibeccano tra loro che gli giungono alle orecchie quando riprende improvvisamente conoscenza.
La testa gli pulsa dolorosamente e la pioggia gli batte sul viso, facendogli strizzare gli occhi
“Visto!” esclama una voce trionfante “Te l’avevo detto che non era morto!” “Cazzo c’hai ragione si muove. Regazzi daje, apre gli occhi. Va tutto bene adesso” “Ao ma state zitti du minuti? Non vedete che-AO PIANO”
La terza voce deve appartenere alla stessa persona che gli sta più vicino e che, al suo tirarsi su di scatto, si è spostata per non prendersi una capocciata con lui
Ermal, del canto suo, non appena ha iniziato a riprendere i sensi si è alzato di scatto, sentendo l’improvviso bisogno di rimettere, la nausea che gli aveva stretto lo stomaco.
Non vede neanche quel che succede: un secondo prima sta guardando il cielo plumbeo e un secondo dopo, dopo un vortice di cose indistinte, fissa la strada su cui, con un gemito, rigurgita il suo stesso sangue che aveva in gola, prendendo poi a boccheggiare e tossire
Chiunque lo circondi-i suoi salvatori, apparentemente-emettono un verso schifato.
“Che schifo” dice la voce di quello che lo credeva morto “Senti meglio che vomiti che soffochi” replica un’altra voce
La terza, invece, rimane quieta, ma in mancanza di parole a far sentire la sua presenza è una mano che gli accarezza energicamente ma delicatamente la schiena, mentre il braccio libero lo sostiene appena posandosi con circospezione sul suo petto 
“Piano” mormora la voce mancante al suo orecchio. è bassa e roca, calda e decisamente piacevole “Va tutto bene, tranquillo. Se ne sono andati. Respira, piano”
Lentamente, riesce a calmare il battito impazzito del suo cuore, tornando a respirare decentemente. Per quanto, ovviamente, glielo consenta il dolore che sente ovunque: alla faccia, allo stomaco, al petto, alla pancia, alla testa. Perfino le gambe e le braccia gli fanno male.
Sbatte spasmodicamente le palpebre, sentendo caldo e appiccicaticcio su un lato del viso e non appena riesce a passarci una mano tremante si rende conto che deve essersi fatto male dato che ritrae un palmo zuppo di sangue.
“prendi” dice qualcuno, facendo comparire  nel suo campo visivo una mano che gli tende un fazzoletto
Ringrazia con un roco mugolio, sentendo la gola bruciante e irritata, e si preme il pezzo di stoffa sul sopraccigglio, sibilando appena per il dolore, cercando di pulirsi l’occhio con l’altra mano.
Quando finalmente riesce a riprendersi abbastanza da mettere a fuoco e alzare il capo, si ritrova davanti forse il trio più singolare che gli sia mai capitato di vedere.
Alla sua sinistra c’è un ragazzo di media statura, a contraddistinguerlo dagli altri solo la leggera barba e i capelli, di colore rosso. Ha una taglio sullo zigomo, e degli schizzi di sangue sulla maglietta. Nel mezzo, si ritrova a ricambiare il preoccupato sguardo di un altro ragazzo, dai capelli scuri e piuttosto lunghi e le labbra stranamente rosee, molto più della media, spaccate in un angolo, un livido non recente che gli ricopre una tempia. E infine, alla sua destra, inginocchiato sulla strada accanto a lui, c’è un ragazzo dai capelli corti e castani, una leggera barba che gli spunta sul viso e gli occhi nocciola che lo squadrano gentilmente. Dei tre è sicuramente il più bello, a suo parere. Distrattamente, nota che ha qualche lentiggine sul viso stanco, segnato da profonde occhiaie.
Quando si accorge di averlo fissato un secondo di troppo abbassa lo sguardo, imbarazzato, schiarendosi di nuovo la gola irritata
“Dove...cosa...” gracchia, guardandoli 
“I coglioni di prima se ne sono andati, se è questo che vuoi sapere” dice il rosso, sorridendogli “Li abbiamo fatti andare via. Figli di cani codardi, sono scappati subito. Li avrei voluti inseguire ma tu stavi qua a terra... Sono Roberto, comunque”
“Già” annuisce il ragazzo dai capelli lunghi, sorridendogli “Gli abbiamo reso quel che meritavano, ai bastardi. Fortuna che passavamo di qua ragazzino, perché quegli animali te l’hanno fatta vedere brutta. Andrea, comunque”
Ermal annuisce mestamente e lentamente prima di rivolgere uno sguardo al ragazzo al suo fianco che, senza aggiungere altro, scrolla le spalle 
“C’hanno ragione sai” dice poi, dopo un secondo di pausa “Te stavano massacrando. Ma che non te l’ha mai detto nessuno che non te ne devi andare in giro da solo a quest’ora per questi vicoli?” gli chiede, prima di sospirare “Comunque io so Fabbbbrizio”
“Con quattro b, sì” gli sorride il rosso, dando una pazza sulla spalla all’amico al suo fianco.
Dopo quelle inconsuete presentazioni, Ermal rimane un secondo in silenzio.
“Gra-grazie” gracchia poi, rendendosi conto solo in quel momento del sollievo che lo invade di colpo quando rielabora che no, i suoi aggressori non sono più in giro “mi avete salvato la vita” mormora, quasi incredulo della cosa. La consapevolezza di quanto quella frase sia vera lo fa tremare appena.
“io... io vi sono debitore. Grazie, davvero” soffia, guardandoli uno per volta prima di soffermarsi su Fabrizio. “Io sono Ermal, comunque” aggiunge, tirando appena su con il naso e poi immediatamente rimpiangendo di averlo fatto data l fitta che lo attraversa.
Parla con voce più nasale del solito e portandosi una mano al viso si sente gonfio e tumefatto
“Te l’hanno rotto, regazzì” osserva Roberto senza tanti complimenti
“Sì e ti hanno anche aperto un sopracciglio” aggiunge Andre, indicando la mano che l’altro preme ancora con il fazzoletto ormai zuppo di sangue
“Basta, voi due. Non c’è bisogno che gli facciate ‘a cartella clinica. C’ha bisogno di cure, non di una diagnosi. Lo porto a casa mia, voi andate a cercare Ale, va bene?”
“Fabbrì, sicuro che ce la fai da solo con lui?” aveva chiesto Andrea, preoccupato, facendogli emettere uno sbuffo “Questo pesa quaranta chili da bagnato, ce la faccio, sì. Voi andate a recuperare Ale e magari qualcosa da mangiare”
I due avevano annuito, allontanandosi prima che lui potesse protestare
Non che avesse poi molto da dire: cosa poteva fare? Che altre opzioni aveva? Nessuna. Se fosse tornato a casa in quello stato, sarebbero stati guai. 
Erano già stati fin troppo gentili con lui, quei ragazzi, ma gli era grato del fatto che non l’avessero semplicemente abbandonato lì come avrebbero potuto fare.
“Ci vediamo ragazzino” aveva detto Roberto, facendogli un cenno leggero, mentre Andrea si era limitato a dirgli “Ciao” e a rivolgergli un sorriso leggero.
Erano spariti quasi subito, lasciandolo solo in compagnia di Fabrizio, dolorante e ancora confuso su quel che era appena successo.
Una parte di lui avrebbe persino potuto credere che si stava immaginando tutto e quei tre non fossero altro che un prodotto della sua immaginazione di persona morente se non fosse che non crede che avrebbe potuto tirar fuori dalla sua mente delle persone tanto... eccentriche.
“Regazzì, riesci a camminare?”
La voce di Fabrizio lo riscuote dai suoi pensieri, facendolo voltare lentamente verso di lui
Lo guarda, gli occhi nocciola puntati nei suoi.
E’ bello, Fabrizio. Bello di una bellezza ruvida ma innegabile e mentre sta li, con i capelli incollati al capo a causa della pioggia, sembra quasi scolpito per quello scenario.
“Io... forse” mormora Ermal, rabbrividendo per il freddo
Solo in quel momento si rende conto di quanto lo sente, fin nelle ossa, i vestiti bagnati che gli pesano addosso come non mai.
“Daje allora. Ti do una mano a rimetterti in piedi” dice Fabrizio, tirandosi poi su. 
E’ abbastanza alto, ma non troppo, la sua figura che è comunque magra e slanciata nonostante tutto.
Ci vogliono cinque minuti, una buona dose di imprecazioni e gemiti e due tentativi falliti prima che Ermal si ritrovi ritto sulle proprie gambe, ansimante e dolorante, appoggiato a Fabrizio per sostenersi che, per aiutarlo, gli ha messo anche un braccio attorno al fianco
Ermal vorrebbe non esserne così consapevole ma la verità è che sente benissimo la presenza di quella leggera stretta.
Nota, con un leggero senso di colpa, che le nocche del suo accompagnatore sono livide, probabilmente a causa dei pugni dati.
Non che importi. Ora quel che conta è mettersi al caldo, e farsi curare.
Guardando per terra, vede i pezzi dei suoi volantini distrutti e sa che è inutile raccogliere pure quelli ancora quasi interi dato che sono completamente zuppi di pioggia.
“Ci sei?” gli chiede Fabrizio e  lui annuisce appena, facendo un passo tremulo e zoppicante in avanti
Si sente la testa che gira e le gambe molli, ma almeno non ha perso di nuovo i sensi.
“Bene” mormora Fabrizio “Perché di strada da fare ne abbiamo un po’. Forza regazzì, andiamo.”
E detto quello, si avviano lentamente sotto la pioggia, il buio della sera che li inghiotte mentre svoltano e la pioggia lava via il sangue dal vicolo, non lasciando nessuna traccia del crimine che vi era appena stato commesso.
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Non riuscirai a crederci a un certo punto penserai di sognare ma questa volta sarà tutto vero. Sarà fico sarà una cosa che non hai mai provato non riuscirai ad annoiarti questa volta. È una storia di capi di stato spie assassini brutali nelle ambasciate avvelenamenti carneficine una storia di parolai dittatori pagliacci di ogni genere razza colore uno addirittura arancione di bombe atomiche tutte bagnate pronte all’uso stuzzicate accarezzate portate al culmine governate dalle dita di mentecatti senza scrupoli senza niente da perdere una storia fatta tutta di bugie maschere attori con testi di infimo ordine senza regola alcuna, non s’era mai vista non che io ricordi e io ne ho viste di cose sono antico vengo da lontano non badare al mio aspetto e ciò che non ho visto ho studiato e ciò che non ho studiato ci ho l’istinto che lasciami dire ci ha pigliato gusto nel mestiere non sbaglia mai non s’era mai vista dicevo una tale concentrazione di stronzi al potere in ogni singolo paese del pianeta una vera adunata un raduno un rave cazzo un conclave fatto solo di stronzi uomini donne tutti stronzi tutti contemporaneamente stronzi stronzi buoni e stronzi cattivi tutti compresi imprigionati nella loro stronzità come se qualcuno qualcosa li obbligasse ad essere gli stronzi sonori che sono. Vi cagherete tutti sotto e non lo dico per farti ridere non badare alle metafore è sciocco. Sembrerà prima una possibilità fra le tante poi diventerà auspicabile poi necessario poi inevitabile, una guerra mondiale, una nuova guerra mondiale una guerra mondiale tutta nuova nuova di zecca bollinata tutta nostra tutta solo per noi fatta su misura sotto i nostri occhi che appartiene solo a noi che nessuno riuscirà a toglierci di cui poter dire poi ai nipoti ammesso che si possa, chi ci pensava chi ci sperava più chi avrebbe potuto prevedere che avremmo avuto un’altra possibilità per abbracciarci per stringerci in noi stessi per affratellarci per diventare uno! Da tutto questo male sgorgherà un bene di ordine superiore, è una sorta di regola, lo sai. Non mi credi vero?
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paoloxl · 6 years
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di Tobia Iacconi
Ricordo che pensai: ora, fascista dimmerda, ora ti stroncolo. Ricordo che pensai: ora, sai che c’è, ora ti disintegro. Ti prendo per le orbite e ti lancio fuori dal treno in corsa. Questo pensai, dopo aver letto la scritta sulla tua maglietta nera dimmerda. Ma i treni regionali vanno troppo piano, pensai ancora, te la caveresti con due mesi di gesso e qualche cicatrice che esibiresti con onore – fasci dimmerda, voi e il vostro onore da tronfioni impettiti. Per quanto mi riguarda l’onore l’ho perso da piccolo e non ci tengo a riaverlo, nossignore, voglio piangere e avere paura e abbracciare i cuscini tutte le volte che mi va – ma il tuo onore, quell’onore tutto maschio che ti sta tanto a cuore, te lo levo a suon di schiaffi, parola mia – ora è il momento di far piangere te, fringuello nazista – ti faccio male, ti faccio tanto, tanto male. E poi, pensai mentre sbirciavo tra le tue spille dimmerda, che cazzo ci fai su un regionale, guardati attorno, qua dentro io e te siamo gli unici bianchi razza di coglione, come ti è saltato in mente di venirti a mischiare con noi disgraziati, tutti diversi e stanchi e arrabattati alla bell’e meglio, tutti assonnati per i nostri lavori dimmerda, tutti in ritardo perché alle coincidenze facciamo passare avanti i treni dei ricchi. Te lo dico io cosa ci fai, ti trovi anche tu su questo treno scannato perché non hai un soldo come tutti noi, imbecille, proprio tu, rigurgito del capitale, proprio tu – in mezzo a noi, internazionale di morti di fame – questo pensai osservando le tue spille dimmerda. E, indovina un po’, brutta testa di stronzo, ora mi metto a spiegare a tutti gli altri passeggeri che belle cose significano quei simboli da pezzo dimmerda che indossi con orgoglio, e allora sì, ah bene, allora sì che vedrai, capirai quanto sei solo e stronzo. Sissignore, chiuderemo il vagone, parola mia, tireremo il freno d’emergenza, sigilleremo porte e finestre per poterti picchiare indisturbati, per poterti randellare meglio e più a lungo e con ancora più gioia. Faremo dei turni, dei turni santo cielo, per non smettere mai di picchiarti e di farti sputare sangue e saliva e denti e pezzi di lingua. Ricordo che pensai: ci inventeremo delle nuove vite qua dentro, in questo vagone antidiluviano dimmerda, su questo binario infestato dai rovi che taglia come un rigagnolo di piscio questa periferia grigia e consumata – aggiungeremo tubi innocenti e pancali di truciolato – piegheremo lamiere di vecchie carcasse d’auto attorno ai frigoriferi abbandonati – costruiremo una nuova e meravigliosa città attorno, e sopra, e sotto a questo sconcertante treno regionale occupato – e questo tenace e combattivo spazio sarà fondato sull’antifascismo, sull’antirazzismo, sull’antisessismo, sulla condivisione e sulla cooperazione, sull’esaltazione viscerale di qualsiasi diversità – e sul riempirti di legnate – sì, hai capito bene: riempire di legnate proprio te, fascistello dimmerda. Prenderti a sberle sarà il rito fondativo al quale nessuno vorrà mancare. Mai. Nemmeno durante le ferie, nei giorni di pioggia.
Era il momento peggiore. La Lega e il Movimento Cinque Stelle erano al governo e Minniti era il peggior Ministro dell’Interno che avessimo mai avuto. No. Faccio confusione. Era il momento peggiore: il PD era al governo, sì, era così, e Salvini era il peggior Ministro dell’Interno che avessimo mai avuto, sì, dev’essere stato così. No. Faccio confusione. E poi non riesco proprio a ricordare dove fosse Berlusconi. C’era ancora Berlusconi? Non ricordo. Ricordo il postcolonialismo. Quello lo ricordo, ma vagamente. Ricordo che popoli interi si mettevano in moto, i loro saperi, i loro corpi, le loro poche cose. Sì. E noi non li volevamo. No. Gli altri, erano gli altri a non volerli. Noi li volevamo eccome, li avremmo voluti, li avremmo aiutati, se solo. Se solo. Ma era il momento peggiore. Non avevamo forze, eravamo stanchi, eravamo distratti. O, semplicemente, eravamo sazi. In pochi anni eravamo passati dalla lotta di piazza ai bistrot con cucina a vista, dai free party al clubbing, dalla contestazione alla sussunzione mercificata. Costringevamo ostriche e tartare di wagyu in soluzioni simmetricamente soddisfacenti, per poi fotografarle con inquadrature assiali citando Wes Anderson. Disquisivamo di Cărtărescu mentre degustavamo sontuosi pinot neri dell’Oregon e, dopo gli eventi vaporwave, ci affollavamo ad assaggiare gli esclusivi cocktail signature nei nostalgici speakeasy. Per consumare ed essere consumati dagli happening globali e trilingue di una nuova ed elettrizzante Belle Èpoque, avevamo lentamente abbandonato le periferie, i quartieri, le province profonde: i centri
storici, si sa, sono più fotogenici. Dalle retrovie della Storia, eccoli. Come se non fosse bastato il neoliberismo a scartavetrarci i coglioni. Anche i fascisti, erano tornati. No. Faccio confusione. Non se ne erano mai andati. Mondo Nuovo, Vecchie Merde.
Ricordo che pensai: ora ti faccio finire sul giornale, giuro, ti faccio diventare famoso dalle botte che ti rifilo. Ricordo che pensai: ora ti martirizzo, fascista dimmerda. Faranno delle magliette col tuo nome, camerata stocazzo, martire di stafica. Quanti anni avrai: venti, ventidue? Col cazzo che ti faccio arrivare a ventitré, bastardo. Ti stai accorgendo, voglio sperare, che non ti tolgo gli occhi di dosso? Bravo, inizia ad avere paura. Tanto questa è l’unica lingua che sapete parlare. La paura. Ma ora sei solo. Adesso tocca a te, tremare. Ricordo che pensai: la tua folgore dimmerda la spengo a sputi, stronzo, questo pensai, mentre decifravo di soppiatto gli obbrobri celtici tatuati sulle tue giovani braccia dimmerda. Tu, brutta merda. Merda infima e abietta. Mi fai schifo. [‘ʃkifo].
Era il momento peggiore. La finanza, astratta e intoccabile, governava il mondo degli uomini. La sua spietatezza algoritmica aveva affamato le masse, che adesso gridavano alla vendetta, all’abbattimento dello status quo, al rovesciamento di ogni potere. E il potere, per contro, aveva consegnato i governi all’unica forza apparentemente rivoluzionaria che avrebbe salvaguardato gli interessi del capitalismo: i fascisti. Ed eccone uno, di quegli infami bastardi. Proprio lì, a due sedili di distanza da me, su quel regionale dimmerda. Solo, senza branco. Più basso di me di almeno dieci centimetri. Più magro, meno corpulento. In forma, il nanerottolo, ma pur sempre venti chili meno di me. Quello stronzetto rappresentava tutto ciò che odiavo dell’umanità. Una forza ignorante e sovranista, una narrazione tetra e bigotta lo aveva plasmato affinché in lui affiorassero i lati peggiori – quelli meschini, vigliacchi e crudeli – dell’essere bianco, di sesso maschile, eterosessuale, occidentale, giovane, magro, pulito, in salute, di bell’aspetto – vale a dire gli elementi dominanti delle più comuni dicotomie sociali. Una narrazione sostanzialmente vittimista, capace di occultare sotto un astuto amalgama di eroismo, coraggio e onore la sua reale e trasversale peculiarità: l’essere sempre e comunque dalla parte del più forte.
Ricordo che pensai: ma non ora, fascista dimmerda, non qui. Ora i più forti siamo noi. È il momento di conoscere la pelle dei giusti, di sentire il rumore dell’osso sull’osso. O forse no. Ricordo che pensai: forse c’è qualcosa di ben peggiore, per uno come te. C’è qualcosa di ben peggiore dell’essere menato, qualcosa che risulterebbe insopportabile a tutta la maschiosfera, a tutto quel vostro mondo patriarcale, virile e cisgenere di cui andate tanto fieri: è in quel momento che pensai, lo ricordo bene, pensai che lo sai cosa ti dico, nazistello omofobo dimmerda? Che adesso t’inculo. T’inculo, sissignore, con tutto il cazzo, vaffanculo, fino a farti cacare sangue. E poi chiamo tutti gli altri e cascasse la volta a capriata del cielo merdoso se non li convinco a incularti uno per uno. Metterò un erogatore di biglietti con il numerino, come alle poste, come dal macellaio, così le persone non litigheranno per incularti per primi. E mica solo gli uomini, cosa credi? No caro, ti piacerebbe. Anche le donne, usando un po’ tutto quello che trovano: pugni, bastoni, vibratori, strap-on. E se credi che su un treno regionale faremo fatica a trovare qualche compagna transessuale, be’, ti sbagli di grosso. Sai che storie su Instagram? Bellezza, diventerai virale in men che non si dica. Salivando dalla rabbia, gli occhi arrabuzzati e cattivi, pensai: imparerai. Ti pentirai di ogni volta che hai detto frocio dimmerda, finocchio di qua, lesbicaccia di là. Ti pentirai di aver deriso ogni adolescente effemminato che hai avuto in classe, di aver chiamato troia ogni ragazza scosciata, di aver chiamato zecca ogni nostra compagna con la maglietta dei Crass. Ti pentirai della vostra necropolitica schifosa, grottesca e negazionista. Ti pentirai dei vostri incubi privati, grigi e omofobi, ti pentirai del mondo arido e depotenziato nel quale vorreste costringerci a vivere. O forse no. Forse non ti pentirai di niente. Ma sant’iddio, di cazzi ne avrai presi a secchiate. Chiudi gli occhi e prefigurati le nostre cappelle baby, lo splendore, il fulgido splendore. Ma poi pensai. Pensai a una frase apparsa sui muri di Parigi in quegli stessi giorni, quando il movimento dei gilet gialli bloccava la città e la Francia intera: Macron on t’encule pas, la sodomie c’est entre ami-e-s. In fondo ero, e sono, e sarò sempre, un idiota.
Solamente noi eterosessuali sappiamo essere così miopi. Ricordo che mi vergognai di me stesso, ricordo che serrai forte i denti, ricordo che pensai: hai capito, stronzo? Tra amici. Non te la meriti la nostra sodomia, stronzo. Voi siete gli stupratori, stronzo. Siete voi a fare schifo – noi siamo bellissime, stronzo. Noi siamo il clamore e l’audacia e la discordia vestita di luce. Siamo il liquore e il balsamo, siamo l’estasi e il furore. Siamo il tuono e siamo il miele, stronzo. Siamo il virus, l’azzardo, il fulcro e la visione. Noi siamo Arthur Rimbaud e siamo Sarah Kane, noi siamo il colore che abbaglia e noi siamo la pece che inonda. Siamo la brina e il tepore, siamo i cieli inclinati e siamo le birre calde nei centri sociali. Siamo precari, oppressi, disoccupati, sfruttati, e siamo così pieni di dolore da dimenticarci di mangiare. Ma siamo rabbia feconda che si tramanda, che incendia, che straripa. Noi siamo le barricate e i sanpietrini divelti, noi siamo le case occupate e le scarpe slacciate. Noi siamo il tuono che cresce dal basso, che ringhia, che lacera, che libera. Non lo capisci? Noi siamo l’impulso vitale, la scintilla orgiastica, il sole che sorge sul vostro avvenire dimmerda. Noi dormiamo nudi, avvinghiati, intrecciati, brutto stronzo, noi scopiamo in quattro per aspettare l’alba, e appena arriva scopiamo anche lei. Il disequilibrio dolce, i nostri corpi ibridi, noi. Non puoi non arrivarci, è evidente: noi siamo, razza di stronzo, tutta la gioia che voi non proverete mai.
Era il momento peggiore. Il capitalismo ci spingeva a sognare oggetti, abitudini e stili di vita che il capitale stesso non ci avrebbe mai permesso di raggiungere. Nella lotta per le briciole, i triti succedanei di felicità e di tranquillità economica che la Nazione aveva da offrire, gli italiani avevano iniziato a ringhiare verso gli unici che avevano meno di loro. Con i denti e con i pugni. Nelle ferite purulente del capitale, nei luoghi dimenticati dalla politica, nel tempo immobile delle vite senza speranza. Con tutta la loro ferocia. Come nei periodi peggiori della Storia, anche le persone comuni iniziavano a fare paura.
Ricordo che pensai che, in fondo, eri solo un ragazzo. Che alla tua età era sufficiente avere a che fare con un fratello maggiore megalomane, un cugino stronzo e bullo, un compagno di classe prepotente e carismatico o un padre testa di cazzo per fare la tua fine. Che magari eri nato nel quartiere sbagliato, nella casa popolare sbagliata, nella famiglia sbagliata al momento sbagliato. Ricordo che pensai che forse, per te, c’era ancora speranza. Che qualcuno o qualcosa avrebbe potuto salvarti. In quel momento capii che non ti avrei fatto niente. Non ti avrei gridato, non ti avrei nemmeno sfiorato. Mi giustificai pensando che, inoltre, le bastonate sono il vostro mezzo, il vostro ignobile linguaggio, i manganelli, i pestaggi, le lame infami; mentre noi abbiamo le parole, le argomentazioni, le idee, l’amore, e mentre mi dicevo queste stronzate iniziai a pensare al Natale dimmerda e alle vecchie pubblicità della Coca Cola: vorrei cantare insieme a voi, in magica armonia. La verità è che l’odio, a volte, può essere così dolce. Così buono. E la violenza è necessaria. I nostri nonni e le nostre nonne ce l’hanno insegnato, incidendolo col sangue sui libri di storia. D’un tratto un missile argenteo ad alta velocità sfrecciò accanto alla nostra bagnarola, togliendogli la pelle, quasi ribaltandola. Ricordo di aver provato compassione per il nostro vecchio trenino scalcinato, incartapecorito e prossimo alla pensione, mentre si allontanava sferragliando, sconfitto e mortificato dall’incontro col suo asettico e fotonico pronipote. Mentre inseguivo questo pensiero stupido e tenero ho incrociato i tuoi occhi cattivi e spavaldi. Mi stavi fissando con superiorità, con disgusto, senza alcuna traccia di paura. Ho distolto lo sguardo con un pretesto, ho tossicchiato, ho armeggiato col telefono scarico. Ricordo che pensai che non eri così mezza sega come mi eri sembrato all’inizio, pensai che sicuramente passavi il tuo tempo libero nelle palestre di MMA, a imparare come sbriciolare di botte un altro essere umano. Ricordo che pensai che magari non eri nemmeno solo, magari stavi solo aspettando che salisse qualche camerata alle stazioni successive. Ricordo che pensai che non era più l’Italia di un tempo, che su quel treno dimmerda sarebbe sicuramente spuntato qualche leghista pentastellato a darti manforte, e che insieme mi avreste rifilato due sganassoni e mandato a casa con le guance calde. Ma niente di tutto questo accadde. Il treno arrivò alla tua stazione dimmerda. Un paesino dimmerda anche il tuo, come i nostri, un paesino senza sogni, fuori dalla Storia del Mondo. Scendesti dal treno lanciandomi un ultimo sguardo carico di sfida e di odio. Io feci finta di niente, chinai il capo ancora una volta, gli occhi nervosi sul telefono spento. È finita, pensai. Quanto tempo avevamo passato accanto? Un minuto? Un’ora? Difficile dirlo. Mi facevo schifo. [‘ʃkifo].
La rabbia, a poco a poco, si farà paura. E diremo niente. Faremo niente. Ce ne staremo lì, in mezzo a tutti e soli come tutti, a far picchiare gli altri, a lasciarli rimpatriare o marcire nei lager. A lasciarli annegare. Torturare. Stuprare. Ci ergeremo seduti, indignati e sereni. Troveremo riparo e conforto nel capitale e nelle sue energiche e metodiche consolazioni: maratone di Black Mirror su Netflix, pizze Domino’s ordinate su Just Eat, libri di Frantz Fanon consegnati dai corrieri Amazon, carrellate di culi e sneakers su Instagram, una sana dipendenza da pillole e centomila seghe su Pornhub. Tutto, pur di non aver paura. Pur di non ricordare. Pur di non riconoscere il male, l’abominio, l’orrore. Un altro secolo passerà. Le donne e gli uomini dell’ennesimo Mondo Nuovo si chiederanno come la nostra civiltà abbia potuto lasciare che tutto questo accadesse, così come noi ce lo siamo chiesti dei nostri avi. E, proprio come noi, mentre guarderanno indietro non sapranno riconoscere le nuove atrocità del loro mondo e del loro tempo, poiché allora il male avrà cambiato forma, nome e colore. Ed è raro che il male si vesta di nero due volte di seguito. Ancora una volta gli antichi tumori dell’umanità ci trascineranno giù, nell’abisso orrido, nella tenebra immonda e molliccia. Scenderà la notte. S’infittirà un nero precoce, da Ovest, la memoria si farà ombra e, lentamente, dimenticheremo. E poi scenderà la pioggia, che purificherà ogni anima e laverà ogni peccato, e dimenticheremo. E poi tuonerà la Storia, annichilendo corpi e vite, e ancora una volta dimenticheremo. E poi arriverà qualcos’altro, qualcosa di ancora più narcotico e terribile, che porterà via tutto, che cancellerà ogni male, che ci farà dimenticare persino di aver dimenticato, di aver ricordato, qualcosa che non ricordo.
Non ricordo più.
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corallorosso · 5 years
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Leggete Salvini su Libero: sta male, curatelo di Peppino Calderola Chi, soprattutto a destra, si interroga ancora sulle ragioni per cui Matteo Salvini ha messo in crisi il governo spingendo il Movimento 5 stelle all’alleanza con il Pd, deve leggere l’intervista che ha dato a Pietro Senaldi, direttore di Libero. E la riposta al quesito è semplice: quest’uomo non ci sta con la testa. Il suo problema non erano le simpatie fasciste, il linguaggio truce, la voglia di pieni poteri, l’odio verso i deboli che lo spingeva verso la guerra civile contro i poveri di tutto il mondo. No, niente ideologie. Salvini non ci sta con la testa. SALVINI FARFUGLIA COSE SENZA SENSO Il governo Conte nuovo di zecca non ha solo risparmiato agli italiani una deriva autoritaria, non ha solo allontanato elezioni che avrebbero visto il facinoroso sovraeccitato balzare alla guida della politica italiana. No. Giuseppe Conte ha restituito alla famiglia e al suo partito un uomo che non sta bene con la testa. Se fossi il capo della propaganda, un tempo si diceva così, del Pd o anche dei cinque stelle, la battaglia anti-Salvini la imposterei in questo modo: pubblicherei ogni giorno su tutti i media e sui social la cazzata di Salvini dell’ultimora, dalle bugie, alle parole esagerate, ai farfugliamenti religiosi, alle promesse, agli insulti, insomma tutte quelle robe che si dicono quando proprio non si sta bene e quando te le ripetono una volta guarito tu dici: ma ero proprio io? IL LEADER DELLA LEGA HA CAVALCATO L’ODIO PERDENDO LA TESTA Da dove nasce il malessere di Salvini? Paradossalmente nasce da una sua intuizione. Nel momento più basso della Lega ha capito che si stava contemporaneamente celebrando il funerale della destra. Silvio Berlusconi imbambolato, Gianfranco Fini fuori gioco, Giorgia Meloni con sondaggi e voti modesti. Lì l’uomo ha capito che poteva riprendersi «tutt’ chell che è ‘o nuost» e si è buttato a capofitto sul patrimonio della destra. Ha smesso di fare il nordista, si è fatto italiano a modo suo, ha cavalcato tutte le paure concentrandosi su quella più ancestrale, la paura del diverso, dell’uomo di altro colore, di quello che non è nato come noi e lì si è messo a suonare la tromba. L’operazione gli è riuscita, ma a mano a mano che gli riusciva Salvini si sovraeccitava perché era andato al di là delle proprie forze. Soprattutto intellettuali. Nel suo partito poteva trovare suggeritori anti-immigrati ma non c’era una cultura di destra strutturata e la destra vera gli si è consegnata dimenticando le proprie tradizioni, sposando il sovranismo al posto del nazionalismo, mettendo in primo piano l’economia feroce dell’odio sociale e dimenticando i sogni corporativi e la teoria dell’armonia di Pinuccio Tatarella. SALVINI TRADITO DALLA FIDUCIA DEI SUOI SOSTENITORI DI DESTRA Salvini si è fatto pure anti-papa. Ci sono giornali e giornalisti che la famiglia Salvini dovrebbe citare in giudizio. Ad esempio tutti quelli che pur vedendo il leader leghista in lite con mezzo mondo lo hanno incoraggiato a litigare con il pontefice contendendogli la santità. Nella sua intervista Pietro Senaldi prende in giro Salvini per la storia del rosario, ma 20 giorni fa lo elogiava. Da qui si capisce l’importanza della famiglia e degli amici. Questi avrebbero dovuto dire: Matteo hai fatto tanto, ma l’affare si è ingrossato, calmati o passa la palla. Nessuno ha parlato, tutti a destra, anche i noti intellettuali che ci rompono le palle con le autocritiche che noi di sinistra (veri specialisti) facciamo da anni, hanno avuto fiducia che alla fine Salvini avrebbe sfondato – non dico cosa – a noi dell’altra parte e Salvini intanto beveva a gargarozzo, parlava a ruota libera perdendo via via il controllo di sé. Giuseppe Conte lo ha capito e si è mosso di conseguenza. La storia di questa svolta ha una natura psichiatrica. Inutile girarci attorno.
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hai voglia a dire solitudine da lockdown ! le pareti qua sono sottili come la balsa---- e si sente tutto la giovanissima coppia-del-piano-di-sopra , appena trasferita e con tanto di cane molosso, una bestia forte e vigorosa,  che quando rientrano lei urla al cane  un fortissimo e tragico  “BASTA!!!! BASTA!!!!!!! BASTA!!!!!!!”, che io i primi gg me sono spaventato a morte: urla da scena di omicidio, pensavo che il ragazzo la stesse accoltellando e  quindi ho afferrato la padella di ghisa, per ....ma poi no... è lei che è isterica, e appena il cane smette de saltellare se calma. però ogni tanto lui e lei fanno la microtragedia in casa e se le dicono di santa ragione. “è colpa tua, no tua” ...una sera erano in strada che urlavano coem carrettieri, dicendosene di tutti colori  alle 3 del mattino. dico io, un po’ de creanza cari...è notte fonda ! qua c’è gente che lavora ! lol  ahah la vecchia coppia di nonni der piano de sotto, che non si sentono molto, ma quando alla sera arriva la nipotina che beh è piccola e quindi fa chiasso come è normale coi bambini piccoli, e mamma dopo un  po’ dice adesso basta eh e quella continua  imperterrita, e la senti anche quando va via giù in strada che urla come un cosacco ubriaco, la bambina...ma ha una voce simpatica. strano, la nonna  è una stronza superantipatica, decisamente non ha gli stessi geni il vicino del piano terra che suona 6 ore al giorno SEMPRE lo stesso pezzo, che dura 60 secondi, sulla pianola, sempre allo stesso modo... io non so dove studi ma qualcuno deve assolutamente spiegargli un giorno che non è così che si alza la tecnica di piano, vabbè...ok... ogni tanto lo trovo nel retro dei garage che fuma,  eh in casa non se fuma, e me guarda con l’aria triste, e spossata.  Un giorno gli ho domandato “tutto a posto” e lui ha fatto il gesto come di movere le dita sulla tastiera... ah ecco ... vedi... un giorno gli lancio la scuola del meccanismo di Duvernoy sul balcone  ... fa tenerezza per come se impegna, e non impara mai... lol la vicina gentile e silenziosa e in pensione, singola, dirimpettaia di balcone che l’unica volta che la sento è quando va sul balcone appunto,  e  sempre e solo per aggiustare lo scaldabagno a gas, nuovo di zecca, che le da’ mille problemi. ogni tanto arriva il tecnico, accento del profondo nord.  in tre arrivano, sale su un scaletta move quarcosa sui tubi le leve i rubinetti. Li vedo e sento mentre cucino chè  ho sempre la finestra aperta, bene o male, anche in inverno. e loro me vedon lavare i patti. poi  quello dice cose con lo sguardo sapiente, si aggiusta il berretto aziendale blu con tanto di logo e visiera, raccoglie tutti gli attrezzi, e poi e tutti se ne vanno in fila indiana. poi la vicina che ascolta la tv a tutto volume dalle 10:00 alle 10:30 de sera e non riesco a sentire i film o la musica tanto è alta... però almeno dura poco.... ogni tanto capita che sur pianerottolo, mentre prendo l’ascensore, arriva er fijo, lei apre la porta lui non entra, parlottano a debita distanza lui con la mascherina, poi triste come se stesse per morire domani, lui saluta la madre che è tutta dignitosa e coi capelli giallo paglia, saranno tinti boh,  e come è arrivato  se ne va e poi la vicina col cane piccolo e pazzo: una donna laureata in medicina che fa il medico della scola, insomma non fa il medico ; zitella da quando è nata convive col padre e c’ ha questo cane piccolo, spelacchiato, puzzolente e isterico, che appena lo trascina fuori dalla porta di casa, comincia ad abbai' fortissimo come se stessero per castrarlo lì sul pianerottolo baubaubaubaubaubau, e lei lo redarguisce zitto zitto zitto, e lo tira forte per la corda del guinzaglio,  agitata dal casino che fa’ il cane... che solo quando è in strada si calma. Lei porta fuori sto cane alle ore più impossibili, tipo le 4:00 am e naturalmente quello fa casino uguale, giorno o notte fonda...  secondo me sono anche amanti.. legame morbosetto. e poi? ah sì certo i piccioni, che me invadono un balcone e mi colonizzano l’altro  balcone. mentre sul terzo scoiattoli e corvi. in quello amato dai piccioni, ogni anno trovo nidi e uova e nn dico che cosa altro trovo a tonnellate... e le api che  annidate in un angolo che me pungono, come esco a pulire !
ste bestie volanti ! me serve un alleato.... me serve un gatto....
Anzi, una gatta  💋💓 due, meglio ...!
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Rosso Fuoco (Young!Remus Lupin x Lettore)
Avvertimenti: c’è una parolaccia (forse di più, non ho controllato bene) e c’è una menzione di odio contro se stessi
Richiesta: no, solo qualcosa a cui ho pensato un po’ di tempo fa
Parole: 1626
A/n: spero vi piaccia perché l’ho riscritto tipo un milione di volte lol. ah e poi io immagino Andrew Garfield come il perfetto Remus da giovane, ma voi immaginate chi vi pare obv :)
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Il suo rossetto rosso fuoco, non di certo uno dei più economici, era ben conosciuto ad Hogwarts: ognuno dei ragazzi con cui (T/n) fosse mai stata erano andati in giro per la scuola con le labbra macchiate di rosso.
Forse era il contrasto con il nero dell’uniforme, forse la Grifondoro che era in (T/n) che bramava essere diversa da tutti gli altri, ma quando lo indossava si sentiva coraggiosa, imbattibile, inafferrabile come il vento e semplicemente non poteva immaginare di vivere senza.
La sua relazione con Remus era diventata di pubblico dominio quando, un pomeriggio ventoso di novembre, lei era rientrata nella Sala Comune e poi era entrato anche lui, ovviamente dopo cinque minuti, con del rossetto di un rosso vibrante sulle labbra e sul collo. La Sala Comune si era riempita di fischi e di applausi. Lei si era messa a ridere: adorava essere al centro dell’attenzione, ma non si poteva certo dire lo stesso di Remus. Sì, era tra i ragazzi più popolari di tutta la scuola, ma preferiva starsene sulle sue.  Inutile dire che nel giro di due ore tutta la scuola era venuta a sapere della scottante rivelazione: (T/n) (T/c) e Remus Lupin,- sì, quel Remus Lupin, stavano insieme.
Per i primi mesi si poteva sentire l’allegra fibrillazione nell’aria: per Hogwarts era tutto ancora molto nuovo e (T/n) non poteva evitare di sentirsi un po’ importante quando percepiva gli sguardi della gente sulle loro mani allacciate o sul colletto macchiato di rosso della camicia di Remus. Era una battuta ricorrente nel suo gruppo di amici: dopo ogni volta che stava con lui le sue labbra diventavano sempre più scure di qualche sfumatura e quelle di lei più chiare, come per magia.
Era solo che le labbra di Remus erano sempre così dannatamente attraenti che non lanciargli le braccia al collo, stringerlo a sé e baciarlo fino a ritrovarsi senza fiato era una battaglia persa in partenza.
Era felice, era dannatamente euforica: lo amava da impazzire. Non riusciva nemmeno a rendersi conto che stavano davvero insieme. A volte, soprattutto durante le lezioni, si ritrovava a combattere silenziosamente con se stessa: un po’ di autocontrollo (T/n), si ripeteva continuamente, come un mantra, quando faceva fatica a tenere le mani in tasca.
 (T/n) aveva iniziato ad accorgersi che qualcosa non andava un sabato particolarmente soleggiato di aprile. Era seduta in riva al Lago Nero alla ricerca disperata di un angolo d’ombra: non sopportava stare troppo a lungo sotto la luce diretta del sole. Mentre frugava nella borsa per trovare la crema solare da spalmarsi sul viso che scottava di già, sentì delle ragazze parlare a voce altissima, senza nemmeno curarsi di abbassare il tono.
-È davvero una cosa disgustosa!
-Davvero, non so con che coraggio vada in giro per la scuola con quella puttana.
-Sempre con quel rossetto rosso, ma chi si crede di essere? La regina del mondo?
-Quel Lupin meriterebbe proprio di meglio!
-Ma non si rende conto di metterlo in imbarazzo facendolo girare per la scuola con il suo marchio sul collo, come se fosse una vacca da pascolo?
Il tubetto di crema le cadde dalle mani. Stavano parlando di lei e Remus. Sentì il volto bruciare, e non per la scottatura. Non le era mai nemmeno passato per la testa che a Remus potesse dare fastidio il suo rossetto, o che potesse vergognarsi di farsi vedere marcato di rosso su tutto il viso. Credeva gli piacesse, che facesse parte di quella complicità che si era creata sin da subito tra di loro.
Quel rossetto era una parte di lei, era davvero difficile separarsi da quel piccolo tubetto dorato. La faceva viaggiare fino in Olanda, il paese natale di sua madre che aveva visitato così tante volte, le faceva rivedere il rosso sgargiante dei bellissimi tulipani che costellavano la campagna vicino la casa dei suoi nonni. La stessa, identica, precisa sfumatura del suo rossetto. Ecco perché non se ne separava mai. Non era il coraggio che le infondeva, non era lo spirito ribelle di Grifondoro: era l’unico legame con sua madre, ormai defunta da molti anni, con il paese dov’era nata, con una parte della sua famiglia che era stata spazzata via improvvisamente dalla sua vita. Quel rosso era ricordi, era dolore, era la forza di rinascere dalle ceneri. Quel rosso era lei, e soltanto lei. Non poteva immaginare che non piacesse a Remus, tantomeno che lo potesse mettere a disagio.
Con il viso scarlatto per l’imbarazzo, (T/n) recuperò tutte le sue cose e, trattenendo a stento le lacrime, corse nel suo dormitorio.
 Da quel giorno le cose avevano cominciato a precipitare: sentiva gli sguardi bruciarle la nuca, sentiva i commenti cattivi sussurrati nemmeno così a bassa voce. Era terribile.
Un mattino (T/n) si svegliò di umore particolarmente pessimo: si sentiva svuotata da qualsiasi emozione dopo aver passato tutta la notte a piangere silenziosamente contro il cuscino, pensando a sua madre e a quanto le mancasse e a Remus. Il suo Remus. Come aveva potuto non notare che forse sbandierare il fatto che fosse suo in giro per la scuola poteva effettivamente dargli fastidio? A lui poi, così sempre sulle sue, sempre in disparte, sempre in un angolo. Si sentiva una vera e propria deficiente.
Scendendo le scale fino alla Sala Grande si accorse di come tutti i colori fossero sbiaditi in fretta: i blu sembravano grigi, i gialli apparivano spenti, i verdi non infondevano più la speranza di prima. Per non parlare dei rossi, privati totalmente della loro grinta, della loro forza, ridotti quasi a dei pallidi rosa. Per (T/n) era una vera e propria tortura.
-Ehi (T/n)! Dov’è il tuo rosso?- esclamò James dall’altra parte del tavolo. (T/n) lo fulminò con lo sguardo.
-Stai zitto Potter.-, lui la guardò offeso.
-Cos’è? Siamo regrediti ai cognomi? Andiamo (T/n)...
-Non. Oggi. James!- sibilò sedendosi accanto al suo ragazzo.
-C’è qualcosa che non va?- chiese premuroso Remus, posandole una mano sulla schiena con uno sguardo apprensivo. Lei scrollò le spalle cercando il più possibile di non incrociare gli occhi del ragazzo.
Per tutta la giornata (T/n) fece del suo meglio per evitare i suoi amici e Remus: non era proprio in vena di altri commenti sarcastici sul fatto che quella mattina aveva deciso di non mettersi il rossetto. Il tubetto dorato l’aveva fissata dal suo comodino pregandola di essere indossato, ma lei lo aveva scagliato a terra, rompendolo in centinaia di frammenti e poi, con l’amaro in bocca, lo aveva buttato nel cestino. Non ce la faceva più a sentire i commenti della gente. Non ce la faceva più a stare al centro dell’attenzione. Voleva solo che quella giornata passasse in fretta. (T/n) ripensò a quando percepire gli occhi delle persone addosso la faceva stare bene, la faceva sentire sul limite di un burrone, al sicuro, mentre sorrideva con sicurezza all’oscurità infinita sottostante. Ora voleva solo sentire le braccia del vuoto stringerla forte mentre precipitava.
Stava camminando davanti ad un magazzino delle scope, quando un braccio la afferrò e la trascinò nell’angusto spazio. Si ritrovò con le spalle al muro e il peso di un corpo contro il suo. Due labbra, morbide, familiari, le sfiorarono il collo facendola rabbrividire. Poi, le baciarono il lobo sinistro, poi la mascella e infine la bocca. (T/n) si abbandonò al bacio e sentì piano piano i nervi sciogliersi e la tensione accumulata in quei giorni, in quei terribili, interminabili giorni, allentarsi lentamente.
Dopo diversi minuti, o forse diverse ore, Remus ruppe il bacio.
-Meglio?- chiese spostandole una ciocca sfuggita dalla coda dietro l’orecchio. (T/n) annuì dopo qualche istante.
-Allora mi dici cosa non va? Perché non hai messo il tuo rossetto?
(T/n) sorrise davanti alla sua premura, ma sentì il cuore bruciare.
-Non ti imbarazza farti vedere con il mio rossetto su tutta la faccia?-. Remus sgranò gli occhi, incredulo.
-Imbarazzarmi? No, io impazzisco quando lo metti. Vado fuori di testa, (T/n). Mi piace da morire, pensavo lo sapessi- mormorò prendendole il viso tra le mani.
(T/n) abbassò lo sguardo.
-Tutti a scuola parlano di quanto sia inappropriato e disgustoso… pensavo che tu potessi essere d’accordo.- ammise la ragazza, sentendo la voce spezzarsi.
-Senti, non ti deve importare quello che pensa la gente. Forse non sono la persona adatta per questo tipo di discorso, ma tu sei tu, e io ti amo da impazzire. Non devi cambiare quello che sei. Non sei perfetta, nessuno lo è. E te lo dico io che sono forse l’essere umano meno perfetto al mondo-.
-Non dire così, Rem. È solo che… non so…
Una lacrima solcò la guancia di (T/n) e Remus la baciò.
-Volevo dartelo al tuo compleanno, ma...- tirò fuori dalla tasca un pacchetto. (T/n) lo guardò con la fronte aggrottata.
-Aprilo.
(T/n) fece come le era stato detto. Quando tolse il coperchio alla scatola rimase col fiato mozzato. Un tubetto di rossetto nuovo di zecca. Un’altra lacrima le bagnò il viso.
-Rem...- riuscì a dire. Non aveva idea di come spiegare cosa quel gesto significasse per lei. Remus riusciva a capirla così bene, senza che lei dovesse dire nulla, e lei gliene era infinitamente grata.
Lui scrollò le spalle:-Mettilo, dai.
(T/n) aprì il tubetto e poi, con grande calma, si passò il rossetto sulle labbra un paio di volte. Si sentiva rinata, un’altra persona. Il viso di Remus s’illuminò nel vederla così. (T/n) non riuscì a tenere le mani al loro posto: il sorrisetto compiaciuto che increspava le labbra del ragazzo davanti a sé era irresistibile. Gli lanciò le braccia al collo e lo attirò verso le sue labbra.
Qualche interminabile ora dopo, (T/n) e Remus fecero i loro ingresso nella sala comune, con le mani allacciate. (T/n) con le labbra di un pallido rosa, Remus macchiato di un acceso rosso pompeiano dal viso al colletto della camicia.
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katekesi · 7 years
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Il vitello d’oro
Un giorno Mosè se ne esce con “Oh bella raga vado in montagna”. “In montagna dove?” Gli chiedono. E lui fa “Non lo so, tipo Curma, Livigno, dov'è che c'è una bella neve?” Comunque parte e sparisce per un tot. Gli Israeliti lo attendono per un bel po', poi cominciano a nutrire qualche sospetto sul fatto che il vecchio forse se l’era mangiato un leone di montagna, o comunque non sarebbe più tornato. Tenete conto che all'epoca non avevano ancora inventato il calcio o netflix quindi nei weekend c'era davvero poco da fare. La cosa più cool era adorare. Ci si vestiva tutti bene, si andava in centro e si adorava un casino. La gente tornava soddisfatta a casa, ancora tutti belli adoranti, si metteva una vestaglia e ricominciava a picchiare le mogli, giacersi con le serve, insomma una vita felice. Ora vi chiederete, perché quando Mosè è andato via questi benedetti Israeliti non hanno continuato ad adorare il Dio di Israele? Ve lo dico io: perché il vecchio bastardo s'era portato via la password. Allora gli Israeliti iniziano un po' a spazientirsi, provano a dedicarsi ai soliti passatempi, bruciare olocausti, prendere a sassate le adultere, vendere primogeniture, robe così. Ma è tutto così booooring senza un dio da adorare. Allora vanno da Aronne e gli dicono: e se facessimo uno spinoff? Aronne li guarda e gli dice: “Whaaaaaat?” Gli Israeliti insistono, dicono: guarda così non si può andare avanti, fondiamo una corrente nostra, una cosa piccola ma lontana dai palazzi, guarda abbiamo già fatto il business plan. Aronne ci pensa e gli dice: ma scusate siamo Israeliti giusto? sìììì. e allora che dio dovremmo adorare? il dio dei persiani? il dio dei sumeri? nooo. Eh, allora, il Dio di Israele dobbiamo adorare, non c'è niente da fare. Ma quelli insistono e allora Aronne un po' si convince un po' gli viene in mente un business e dice: facciamo così, portatemi tutto l'oro. E gli Israeliti rispondono: “Whaaaaaat?” Aronne è irremovibile: lo volete il dio customizzato? E allora portatemi tutto l'oro, bracciali, monili, sterline, medaglie olimpiche, gettoni del rischiatutto, anelli, tutto. In qualche modo, Aronne riesce a farsi dare tutto l'oro. Da degli ebrei. Diciamo che fino ai roveti ardenti che parlano, le colonne di fuoco, le trombe di Gerico, mi sembrava ancora una storia realistica, ma qui il Vecchio Testamento si rivela proprio un testo totalmente allegorico. Com'è come non è, Aronne prende tutto l'oro e annuncia: “Ok, al netto del compenso degli amministratori, l'accantonamento sociale, il 2% di provvigione e la mia nota spese, cosa ci facciamo di tutto il resto dell'oro?” E gli Israeliti chiedono: “Quanto è rimasto?” E Aronne risponde, guardando di sbieco nella sua tenda: “Beh, abbastanza per farci un vitello. Piccolo.” E gli Israeliti dicono: “Whaaaaaat?” Allora Aronne risponde: “Vabbè dai lo facciamo grande, facciamo un grande vitello d'oro, ma dentro vuoto (quest’ultima parte la disse molto piano)”. Perché il vitello, non s'è mai capito. Nemmeno un toro, una mucca, no: un vitello. Si vede che ad Aronne il dio piaceva tenero. Insomma, fondono tutto l'oro e fanno ‘sto vitello. E cominciano ad adorarlo come dei matti. Ma proprio una adorazione forte forte, perché gli Israeliti era già un bel po' che non adoravano, e sapete come funziona, che se uno non adora per una settimana o due, poi quando gli capita di adorare, adora un po' dappertutto. Aronne da una parte apre un conto corrente a Lugano, dall'altra però si preoccupa e un po' si dispiace. Il vecchio ci teneva a quella roba del dio incorporeo, era una sua idea, e lo sai com'è fatto, e metti che torna, sai come si incazza. Niente che alcune schiave nubiane di 15 anni cosparse di mirra non riescano comunque a fargli dimenticare. Insomma mentre sono lì che se la sciallano col vitello, a Mosè arriva una telefonata: “Pronto Mosè - sì pronto - sono Dio - oh, scusa non avevo salv... - fa niente, senti, ci sono gli Israeliti che adorano un vitello - come? i sodomiti ruotano il pisello? - Mosè, santomestesso, come ti viene in mente che il tuo dio ti possa dire un roba del genere? ADORANO. UN. CAZZO. DI. VITELLO. - ah - eh, non avevamo un accordo? io vi guidavo fuori dal deserto, bla bla bla, e tu mi davi l'esclusiva per 5 anni - sì ma - no guarda, niente ma, lo sai quella roba del mare che si apre quanto mi è costata? - no, beh, immagino - ecco allora adesso scendi giù e sistemi per favore, ok? toh, prendi le tavole non te le dimenticare che c'è su il contratto”. Mosè torna a valle, vede sto popò di casino, si incazza come una iena e che fa? Rompe le tavole della legge. In mille pezzi. Bam! Sta cosa mi manda ai matti, non ho mai capito perché. E’ un po' tipo: NUN VE LE MERITATE STE LEGGI DIVINE A ZOZZI. Tra l’altro non sapremo mai cosa c'era scritto sulle prime tavole: magari i comandamenti erano tipo "scopate tutto il giorno come ricci e non fate un cazzo", "bevete molta birra", "le minorenni sono okkeione", per colpa di quel vecchio demente non lo sapremo mai. Dopo aver spaccato le tavole, Mosè "prende il vitello e lo getta nel fuoco". Cioè, Mosè c'aveva già 3000 anni, il vitello pesava una tonnellata e niente, la forza che ti viene quando sei incazzato, raga. Comunque dopo averlo gettato nel fuoco, resta tipo lì a guardarlo perché è di metallo e non brucia. Gli Israeliti vedono la scena e chiedono: "Non è che per caaaaso, ma proprio proprio ipoteticamente, si poteva riavere indietro il nostro oro?" E Mosè risponde "sabastah bahai" che in aramaico antico, lo sanno tutti, vuol dire "col cazzo". Poi li raduna tutti e gli dice: allora, chi vuole adorare il vero Dio, mi segua, chi invece gli piace quella munnezz’ di vitello, ok, bella per loro. E qui pensi: va’ che tipo elastico che era il Mosè, tutto sommato, oh, massima libertà di pensiero, ognuno per la sua strada, rispetto delle diversità culturali... poi ti ricordi che siamo nel vecchio testamento e quindi non può proprio finire così. Infatti subito dopo gli Israeliti del team di Mosè prendono tutti gli altri e li ammazzano: in your face, libertà di culto. Mosè benedice il massacro e si ritira sul monte per deliberare. Lì la parte più imbarazzante è quando deve dire a Dio che ha rotto le tavole, e infatti la bibbia per pudore la salta, e arriva subito a quando Mosè riceve delle tavole nuove di zecca, scende dal montagnone tutto tronfio e le getta in faccia agli Israeliti pentiti. Mosè è talmente su di giri in questa fase che la bibbia riporta una roba del tipo "la sua faccia divenne così luminosa che per un tot di tempo dovette andare in giro con un velo". Io me lo immagino che i primi tempi va in giro senza e tutti gli urlano contro "Oh, anche meno, Mosè", tanto che alla fine per ordine pubblico gli mettono un foulard in testa come sull'abat-jour quando vuoi scopà. E QUESTA E' PAROLA DI DIO
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